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Saggio

Il valore di liquidazione nel Codice della crisi e dell’insolvenza*

Alessandro Turchi, Dottore Commercialista in Milano

20 Settembre 2024

*Lo studio costituisce l’esito del progetto di ricerca affidato da Diritto della crisi all’A. e vertente su un tema nuovo e per ora controverso quale quello della distribuzione del valore della ristrutturazione. Il tema è affrontato cercando di individuare una nozione condivisa di valore di liquidazione e ciò al fine di consentire all’autorità giudiziaria di valutare in concreto i profili di legittimità e di convenienza.
Il valore di liquidazione del patrimonio in ipotesi di liquidazione giudiziale rappresenta il fulcro delle proposte concordatarie, poiché costituisce il parametro di base per verificare che il soddisfacimento dei creditori non sia inferiore rispetto a quello realizzabile nello scenario liquidatorio, delimita il perimetro applicativo della regola della priorità assoluta e offre al singolo creditore il diritto individuale di sindacare un potenziale pregiudizio del proprio credito. Nonostante l’importanza che il valore di liquidazione riveste ai fini di un corretto utilizzo dello strumento concordatario e delle relative regole distributive, il Codice della crisi, quantomeno prima del recente intervento correttivo, non ne ha fornito una chiara definizione. Anzi, il Codice della crisi non ha agevolato l’interprete perché ha adottato espressioni di volta in volta differenti per disciplinare uno medesimo “valore”. Tuttavia, il recente intervento del legislatore ha fornito maggiore chiarezza e cercato così di superare alcuni dei dubbi interpretativi. Il presente elaborato affronta le tematiche principali connesse al valore di liquidazione e al valore eccedente quello di liquidazione, tra cui (i) lo scenario nell’ambito del quale operare le valutazioni relative agli attivi patrimoniali dell’impresa, (ii) i criteri di stima, con particolare riferimento alla percorribilità della stima del valore dell’azienda in esercizio rispetto alla vendita atomistica dei singoli beni, (iii) la qualificazione delle eventuali maggiori somme conseguite dalla vendita di beni non funzionali alla continuità ovvero dell’eventuale eccedenza dei flussi di cassa effettivamente prodotti, (iv) la stima del valore in ipotesi di offerta irrevocabile di acquisto per l’azienda ovvero per un altro asset, (v) la stima del valore in caso di soci illimitatamente responsabili e (vi) il computo dei potenziali crediti derivanti dall’esercizio di azioni risarcitorie, recuperatorie e revocatorie. L’elaborato, in seguito, intende evidenziare la centralità del valore di liquidazione non solo nell’ambito del concordato preventivo, ma anche nella composizione negoziata e negli strumenti di regolazione della crisi, con specifico riferimento alla fase delle trattative con i creditori, tenuto conto che questi divengono titolari di un’aspettativa ad essere soddisfatti almeno nei limiti del valore di liquidazione. Viene analizzato il controllo del Tribunale sul corretto utilizzo della regola della priorità relativa e, conseguentemente, sulla correttezza delle stime che hanno condotto alla determinazione del valore di liquidazione. Viene svolta un’analisi comparatistica tramite il raffronto con la normativa e prassi negli Stati Uniti (Chapter 11– Subchapter II e V), in Germania (InsO e StaRUG), in Olanda (WHOA), in Francia (la Ordinance n. 2021-1193 e il Code de Commerce), in Spagna (la nuova Ley Concorsual) e nel Regno Unito (Corporate Insolvency and Governance Act 2020 – Part 26A Companies Act 2006). Infine, vengono esaminati otto casi di ristrutturazione aziendale ove è stato affrontato in modo dettagliato il tema della stima del valore di liquidazione e le conseguenti regole distributive, di cui sette relativi a procedure di concordato preventivo in continuità aziendale (diretta e indiretta) omologate ed un caso di omologazione di un concordato semplificato. 

The liquidation value of assets in the context of judicial liquidation represents the cornerstone of restructuring plans, as it constitutes the basis for verifying that the creditors’ satisfaction is not lower than that obtainable in a liquidation scenario. It also defines the scope of the absolute priority rule and grants individual creditors the right to challenge any potential prejudice to their claims. Despite its importance, the Italian Crisis Code originally did not provide a consistent definition of the “liquidation value”. However, the Italian legislator has recently intervened to eliminate inconsistencies and clarify the scope of its application. This paper addresses various issues related to the “liquidation value” including: (i) the scenario in which to estimate the company’s assets, (ii) the estimation criteria (ranging from a going concern scenario or to a piecemeal liquidation of the company’s assets), (iii) the qualification of any amount in excess of the liquidation value obtained from the sale of “non-core” assets or any excess cash flows actually generated from the business, (iv) the estimate of the value of the business or of a particular asset in the event of an irrevocable purchase offer, (v) the estimation of value in the case of partners with unlimited liability and (vi) the calculation of potential claims arising from recovery actions against directors and supervisory bodies. The paper emphasizes the importance of the assessment of the liquidation value not only in the context of the “concordato preventivo” but also in the “composizione negoziata” and in general in the crisis regulation tools, with specific reference to the phase of negotiations with creditors, considering that they acquire the expectation of being satisfied at least equl to the liquidation value. Then, the paper addresses the role of the court’s control over the correct application of the relative priority rule and, consequently, the importance of the accuracy of the determination of the liquidation value. The paper also provides for a comparative analysis of the topic in the US (Chapter 11 – Subchapter II and V), in Germany (InsO and StaRUG), in the Netherlands (WHOA), in France (Ordonnance No. 2021-1193 and the Code de Commerce), in Spain (the new Ley Concorsual), and in the United Kingdom (Corporate Insolvency and Governance Act 2020 – Part 26A Companies Act 2006). Finally, the paper examines eight corporate restructuring cases addressing specifically the assessment of the liquidation value and the distribution rules, of which seven cases deals with “concordati preventivi in continuità”, and one case of a “concordato semplificato”, all sanctioned by the relevant court. 
Riproduzione riservata

Sommario:

1 . Introduzione

2 . Premessa metodologica: la liquidazione giudiziale come parametro di riferimento e unica alternativa liquidatoria percorribile

2.1 . Il parametro comparativo dell’amministrazione straordinaria

2.2 . La valutazione d’azienda come processo complesso e influenzato da molteplici variabili

3 . La centralità del valore di liquidazione ai fini comparativi

4 . La centralità del valore di liquidazione ai fini distributivi e il concetto di valore eccedente nel concordato preventivo in continuità diretta

4.1 . Valore di liquidazione

4.2 . Valore eccedente quello di liquidazione

5 . La centralità del valore di liquidazione ai fini distributivi e il concetto di valore eccedente nel concordato preventivo in continuità indiretta

6 . La stima del valore di liquidazione in presenza di una offerta irrevocabile di acquisto

7 . Il valore di liquidazione del patrimonio nelle società di persone

8 . I criteri di stima del valore di liquidazione tra dottrina e giurisprudenza

8.1 . I criteri di stima del valore di liquidazione: vendita atomistica o cessione unitaria dell’azienda

8.2 . Il computo delle utilità eventualmente rinvenibili dall’esercizio di azioni recuperatorie, risarcitorie e revocatorie

9 . Le risorse esterne

9.1 . Le risorse esterne tra legge fallimentare, orientamento consolidato della Corte di Cassazione e Codice della crisi

9.2 . Le risorse esterne nel concordato in continuità: le due differenti tesi

10 . La rilevanza del valore di liquidazione nella composizione negoziata e negli strumenti di regolazione della crisi diversi dal concordato

10.1 . La composizione negoziata

10.2 . Piano attestato, Accordi di ristrutturazione e Piano di ristrutturazione omologato: diritto al valore di liquidazione

11 . Il valore riservato ai soci nel concordato preventivo in continuità aziendale

11.1 . Il ruolo degli equity holders nella Direttiva Insolvency

11.2 . Il valore riservato ai soci nel CCII

11.3 . La metodologia di stima del valore riservato ai soci nel CCII e i dubbi interpretativi

12 . Il controllo del tribunale sulle regole distributive e sulla stima del valore di liquidazione: in sede di ammissione o di omologazione

13 . Il tentativo di uno sguardo comparato

13.1 . Chapter 11 statunitense – Subchapter II

13.2 . Chapter 11 statunitense – Subchapter V

13.3 . Insolvenzordnung (InsO) e il Gesetz über den Stabilisierungs - und Restrukturierungsrahmen für Unternehmen (StaRUG) in Germania

13.4 . Wet homologatie onderhands akkoord (WHOA) in Olanda

13.5 . La Ordinance n. 2021-1193 e il Code de Commerce in Francia

13.6 . La nuova Ley Concorsual in Spagna

13.7 . Il Corporate Insolvency and Governance Act 2020 – Part 26A Companies Act 2006 nel Regno Unito

13.8 . Sintesi dello sguardo al diritto comparato

14 . Quadro di sintesi

15 . L’analisi dei casi

15.1 . Calzaturificio Skandia S.p.a. – Trib. Treviso R.G. 20/2023 P.U. e R.G. 1/2024 C.P. omologato

15.2 . Sergio Lunatici S.p.a. – Trib. Lucca R.G. 9-2/2022 P.U. e R.G. 1/2023 C.P. omologato

15.3 . Co.ret. s.a.s. – Trib. Lecce R.G. 75/2022 C.P. omologato

15.4 . Respitalia Società Benefit a Socio Unico – Trib. Milano R.G. 327/2023 C.P. omologato

15.5 . Coop. Edilizia Terdoppio a responsabilità limitata e proprietà indivisa– Trib. Novara R.G. 22/2022 C.P. omologato

15.6 . Doplà S.p.a. – Trib. Treviso R.G. C.S. 1/2023 Concordato semplificato omologato

15.7 . Repe S.r.l. – Trib. Latina C66/2023 P.U. omologato

15.8 . Cimolai S.p.a. – Trib. Trieste R.G. 5-1/2022 P.U. C.P. omologato

16 . Conclusioni

1 . Introduzione
L’art. 87, comma 1, lett. c) del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (in seguito “CCII” o “Codice della crisi”), rubricato “Contenuto del piano di concordato”, dispone che l’imprenditore presenti, con la proposta di concordato e unitamente alla documentazione prevista dall’art. 39 CCII, un piano contenente, tra gli altri, “il valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale”. 
Il requisito previsto dalla lettera c) della predetta disposizione costituisce il fulcro del piano concordatario, poiché il valore di liquidazione del patrimonio in ipotesi di liquidazione giudiziale, da determinarsi alla data della domanda di concordato, oltre a rappresentare il parametro di base per verificare che il soddisfacimento dei creditori non sia inferiore a quello realizzabile in caso di liquidazione giudiziale[1], delimita, in ipotesi di continuità aziendale, il perimetro applicativo della regola della priorità assoluta nella distribuzione dell’attivo[2], ai sensi dell’art. 84, comma 6, CCII[3]. Il valore di liquidazione, inoltre, offre al singolo creditore il diritto individuale di sindacare un potenziale pregiudizio del proprio credito, mediante l’opposizione all’omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale[4]. 
Sebbene il valore di liquidazione rappresenti lo snodo fondamentale per una corretta utilizzazione dello strumento concordatario, il Codice della crisi non ne ha fornito una chiara definizione e tantomeno ha individuato i criteri di determinazione dello stesso[5]. La ragionevole necessità di una specifica definizione di valore di liquidazione si rinviene non solo nella centralità assunta da tale nozione nel sistema delle regole distributive, ma anche nel rischio che l’utilizzo di espressioni simili in altre disposizioni del Codice della crisi possa generare dubbi ed incertezze applicative. Si pensi, a titolo esemplificativo, al concetto di “valore generato dal piano”, di cui all’art. 64 bis CCII dettato in materia di piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, al “valore risultante dalla ristrutturazione” contenuto nell’art. 120 quater CCII in tema di trattamento da riservare ai soci oppure al “valore di mercato” contenuto nell’art. 88 CCII (prima del recente intervento correttivo)[6]. 
Si consideri, infine, che il valore di liquidazione indicato dal debitore nel piano non deve necessariamente basarsi, in considerazione del dato letterale dell’art. 87 CCII, su una relazione attestativa ad hoc. Tuttavia, nell’ambito del concordato preventivo in continuità aziendale, l’art. 87, comma 3, CCII prevede che la “generale” attestazione del professionista indipendente contenga anche una “specifica” attestazione circa l’idoneità del piano a “riconoscere a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale”. Dalla lettura coordinata degli artt. 84, commi 5 e 6, e 87, comma 3, CCII, ne discende che la correttezza con cui sia stato calcolato il valore di liquidazione rappresenta uno degli aspetti su cui sarà tenuto ad esprimersi il professionista indipendente con la propria relazione attestativa di fattibilità, salva ovviamente la facoltà del debitore di integrarla con una collaterale relazione redatta da un altro esperto stimatore avente specificatamente ad oggetto l’identificazione del valore di liquidazione[7]. Ciò assume maggiormente rilievo se si tiene conto della assoluta necessità di una corretta determinazione del valore di liquidazione per evitare una ingiustificata sottovalutazione che potrebbe comportare un pregiudizio ai diritti dei creditori in quanto, da un lato, comprimerebbe l’applicazione della absolute priority rule e, dall’altro, aprirebbe la strada a propositi abusivi del debitore volti a trattenere per sé parte della ricchezza prodotta dalla continuità aziendale, una volta soddisfatti i creditori nell’esigua misura prevista nel piano, sebbene non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria[8]. La quantificazione del valore di liquidazione effettuata dal debitore o da un terzo estimatore sarà poi sottoposta al vaglio del commissario giudiziale[9].
2 . Premessa metodologica: la liquidazione giudiziale come parametro di riferimento e unica alternativa liquidatoria percorribile
Per aversi un “valore di liquidazione” occorre preliminarmente individuare lo scenario (di liquidazione) nell’ambito del quale operare le diverse simulazioni relative agli attivi patrimoniali dell’impresa. Pertanto, prima di entrare nel merito dell’oggetto del presente scritto, è doveroso formulare una precisazione in considerazione della (apparente) diversità di terminologia utilizzata dal legislatore in ordine allo scenario di riferimento ai fini della stima del valore di liquidazione. Infatti, accanto a norme del CCII che prendono in considerazione il valore di liquidazione, ve ne sono altre che, invece, si riferiscono al valore di mercato, ovvero norme che richiamano espressamente lo scenario della liquidazione giudiziale e altre che, invece, si riferiscono genericamente alla liquidazione dei beni e diritti. Sul punto, è intervenuto recentemente il decreto correttivo approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 4 settembre, recante “Disposizioni integrative e correttive al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14”, proprio al fine di fare chiarezza anche sulla nozione di valore di liquidazione. 
L’art. 84, comma 1, CCII, definisce la finalità del concordato preventivo come “il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale”[10]. L’art. 84, comma 5, il quale rappresenta la disposizione volta a stabilire il corretto trattamento da riservare ai creditori prelazionari, consente la falcidia concordataria del credito privilegiato nei limiti del ricavato “realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali,…”[11]. L’art. 84, commi 6 e 7, che stabilisce i limiti dell’applicazione delle regole di distribuzione del patrimonio nel concordato in continuità, fanno riferimento al “valore di liquidazione” e al “valore eccedente quelli di liquidazione”. Anche l’art. 112, comma 2, lett. a) e b) CCII, per distinguere tra valore da distribuire secondo l’ordine delle cause legittime di prelazione e quello al quale si applica la regola della priorità relativa fa riferimento, rispettivamente, al “valore di liquidazione” e al “valore eccedente quelli di liquidazione”. L’ art. 87, comma 1, lett. c), che definisce il contenuto del piano di concordato, prevede l’indicazione del “valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale”. Infine, l’art. 88, che disciplina il trattamento dei crediti tributari e previdenziali dispone che (i) la proposta ai creditori deve prevedere la “soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione di un professionista indipendente” e (ii) “l’attestazione del professionista indipendenteha ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale e, nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore [rispetto alla liquidazione giudiziale]”. 
In funzione delle diverse terminologie adottate dal legislatore si rende necessario appurare se lo scenario di riferimento ai fini della stima del valore di cui agli artt. 84, comma 5 e 6, 87 e 88 CCII sia sempre l’apertura della liquidazione giudiziale, atteso che il riferimento a tale scenario è espressamente richiamato, quantomeno nella versione originaria del Codice della crisi, soltanto all’art. 87 CCII e, ai fini del rilascio dell’attestazione, dall’art. 88 CCII. A parere dello scrivente, una lettura coordinata delle norme, la coerenza della disposizione di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 84 con il principio sancito dal primo comma della stessa norma, secondo cui il trattamento dei creditori non può essere inferiore a quello realizzabile nella liquidazione giudiziale, nonché il contesto giuridico di riferimento della crisi o dell’insolvenza nel quale si trova l’imprenditore e la circostanza per cui l’unico scenario oggettivo, e “coercibile” ad iniziativa dei creditori, da assumere quale termine di raffronto è quello della liquidazione giudiziale, chiarisce che anche il valore di liquidazione di cui all’art. 84, comma 5 e 6, CCII debba intendersi quale “valore di liquidazione giudiziale”[12]. Dirimente appare, tra gli altri, anche la diversa formulazione dell’art. 84, co 5, CCII rispetto al previgente art. 160, comma 2, L. fall., in tema di ammissibilità di un pagamento non integrale a favore dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca. Da un attento confronto delle due disposizioni, infatti, si desume come il parametro di riferimento ai fini della stima del valore di liquidazione ex art. 84, comma 5, CCII (e conseguentemente ex art. 84, comma 6 CCII) sia rappresentato dalla liquidazione giudiziale: (i) nella attuale formulazione dell’art. 84, comma 5, CCII manca ogni riferimento al “valore di mercato”[13], invece presente nella previgente legge fallimentare (oltre che nella formulazione originaria dell’art. 84, comma 5, CCII prima della modifica operata dal D.Lgs. n. 83 del 17 giugno 2022), facendo presumere come lo scenario di riferimento non sia costituito da una vendita libera bensì da una vendita coattiva[14] e (ii) l’art. 84, comma 5, CCII richiama le “spese di procedura”, specifiche e generali, inducendo a ritenere che il parametro di confronto delineato da tale norma, non possa che essere quel valore che si realizzerebbe in una procedura di liquidazione giudiziale, tenuto conto degli oneri di procedura che verrebbero imputati al valore stesso[15]. Il riferimento al “valore di mercato” era stato mantenuto, nella versione del Codice della crisi in vigore da luglio 2022, nell’art. 88 comma 1, in tema di trattamento dei debiti tributari e contributivi all’interno del concordato preventivo, all’art. 67, comma 4, in tema di pagamento parziale dei prelatizi nell’ambito della procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore, all’art. 75, comma 2, in tema di pagamento parziale dei prelatizi nell’ambito del concordato minore, all’art. 100 comma 2, in materia di pagamento di crediti pregressi derivanti da un contratto di mutuo con garanzia reale gravante su beni strumentali all’esercizio dell’impresa, e all’art. 240 comma 4, in tema di pagamento parziale dei prelatizi nell’ambito del concordato nella liquidazione giudiziale. A seguito dell’intervento del recente decreto correttivo, il riferimento al “valore di mercato” è rimasto unicamente agli artt. 75 e 100 CCII. Invero, l’art. 2, comma 1, n. 6 della Direttiva Insolvency definisce la “verifica del migliore soddisfacimento dei creditori” (best-interest-of-creditors test) come “la verifica che stabilisce che nessun creditore dissenziente uscirà dal piano di ristrutturazione svantaggiato rispetto a come uscirebbe in caso di liquidazione se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale, sia essa una liquidazione per settori o una vendita dell’impresa in regime di continuità aziendale, oppure nel caso del migliore scenario alternativo possibile se il piano di ristrutturazione non fosse omologato”[16]. Il grado di priorità è rimesso al diritto nazionale e può quindi riguardare una liquidazione per settori o una vendita dell’impresa in regime di continuità aziendale; nel nostro ordinamento questo criterio è determinato dalla comparazione del concordato in continuità con la liquidazione giudiziale e lo spettro delle alternative praticabili si riduce alla procedura liquidativa maggiore[17]. 
Pertanto, ai fini del calcolo del valore di liquidazione e del conseguente valore eccedente, il parametro di riferimento (i.e. l’unica alternativa percorribile rispetto alla soluzione concordataria) è costituito dalla liquidazione giudiziale sia con riferimento all’art. 84 sia in relazione all’art. 87 CCII[18]. In tale scenario, come meglio specificato infra, deve necessariamente tenersi conto della percorribilità dell’alienazione dell’azienda piuttosto che dei singoli beni. Infatti, come autorevolmente evidenziato, il valore di liquidazione, sebbene debba intendersi come valore che potrebbe essere distribuito ai creditori in caso di sottoposizione del debitore alla liquidazione giudiziale, non necessariamente coincide con la sommatoria dei valori dei singoli beni che tale patrimonio compongono, ben potendo includere anche l’eventuale avviamento, qualora i complessi produttivi siano tali da generare cash-flows positivi (ossia qualora sia ancora configurabile un’azienda o un ramo d’azienda)[19]. 
Sul punto, anche la scienza aziendalistica potrebbe essere di supporto. In particolare, i Principi Italiani di Valutazione (PIV III.6.5. e III.6.6.) distinguono tra: 
· valore di liquidazione ordinaria: “stima del valore lordo che tipicamente si potrebbe realizzare dalla vendita per liquidazione di un bene, avendo a disposizione un ragionevole periodo di tempo per trovare uno o più acquirenti, nelle condizioni e nel luogo in cui si trova [“as is, where is”]”; 
· valore di liquidazione forzata: “stima del valore lordo che tipicamente si potrebbe realizzare dalla vendita di un bene mediante asta pubblica adeguatamente pubblicizzata, il cui venditore è costretto a vendere il bene nell’immediato, nelle condizioni e nel luogo in cui il bene si trova”; 
· valore di liquidazione “in place”: “stima del valore lordo che tipicamente si potrebbe realizzare dalla vendita in blocco di un complesso non più in grado di far fronte alle proprie obbligazioni finanziarie e non operativo, offerto in forma adeguatamente pubblicizzata, con il venditore costretto a vendere e nel presupposto che la struttura sia venduta in blocco ed intatta”. 
Precisano i PIV che tutte le definizioni relative alla liquidazione implicano la costrizione del venditore a vendere, mentre quelle riferite al valore di mercato presuppongono che egli sia intenzionato a vendere e che non vi sia alcuna forma di coercizione. La principale differenza tra liquidazione ordinaria e quella forzata è il periodo di tempo preso in considerazione per vendere il bene: il valore di liquidazione ordinaria prevede un ragionevole periodo di tempo mentre sussiste un senso di immediatezza nel caso del valore di liquidazione forzata, come avviene inevitabilmente nell’ambito delle ristrutturazioni aziendali funzionali a salvaguardare l’avviamento e i valori aziendali in generale. Infatti, nell’ambito dei percorsi di ristrutturazione, è arduo identificare un acquirente sul mercato disposto (ovvero in grado di) pagare il prezzo corrispondente al valore in continuità aziendale. Generalmente, invero, gli acquirenti maggiormente interessati all’azienda in crisi sono rappresentati da altre imprese operanti nello stesso settore, ovvero che identificano specifiche sinergie da poter attuare; questi, tuttavia, essendo consapevoli della situazione di crisi e della urgenze di intervento che comportano tra gli altri una maggiore rischiosità nell’investimento da effettuare, potrebbero essere disposti ad effettuare un investimento funzionale ad attuare tali sinergie, a condizioni differenti rispetto ad una operazioni condotta al di fuori di un contesto di risanamento funzionale a salvaguardare, tra gli altri, i valori avviamentali[20]. La scarsità di tempo connessa alla necessità di assicurare la continuità aziendale in situazioni distressed, pertanto, porta inevitabilmente ad una liquidazione forzata con inevitabili impatti sul valore dell’azienda. 
È stato autorevolmente osservato come il concetto di valore di liquidazione rilevante ai fini della tutela di classe collegata alla regola sulla ristrutturazione trasversale (art. 112, comma 2, lett. a) CCII) potrebbe assumere un significato non coincidente con quello riferito al valore ritraibile dalla liquidazione giudiziale (comprensivo del presumibile ricavato delle azioni di massa), che sta alla base della tutela individuale fondata sul c.d. best interest of creditors (art. 112, comma 3, lett. c) CCII) e che deve essere specificatamente indicato nel piano di concordato ex art. 87, comma 1, lett. c) CCII. Tali concetti, secondo tale orientamento, sebbene siano entrambi riconducibili a una prognosi del valore di liquidazione degli assets, sono funzionali a preservare regimi di tutela differenti: da un lato, la tutela di classe dinanzi al mancato rispetto della regola distributiva della APR sul valore di liquidazione (art. 112, comma 2, lett. a), nell’ambito della quale la mancata approvazione di tutte le classi è elevata a condizione ostativa all’omologazione, a prescindere dall’opposizione individuale di un dissenziente; dall’altro, la tutela individuale ancorata alla verifica del best interest of creditors (art. 112, comma 3) che, all’esatto contrario, opera nel solo caso di contestazione della convenienza da parte del dissenziente, ma a prescindere dalla circostanza che il piano sia approvato da tutte o solo da alcune delle classi. Pertanto, se si volesse preservare l’autonomia dei due rimedi, occorrerebbe tenere distinti i significati che, nei due contesti, assume il valore di liquidazione: (i) il valore di liquidazione ai sensi dell’art. 112, comma 2, lett. a) CCII costituisce l’oggetto di una regola di giustizia distributiva a cui il contenuto dispositivo del piano concordatario deve conformarsi ex ante se si vuol ambire alla ristrutturazione trasversale dei debiti (in mancanza del consenso di tutte le classi), con la conseguenza che il suo perimetro non può che riferirsi a tutti i valori patrimoniali disponibili per la distribuzione in quanto esistenti e realizzabili alla data e nel contesto del piano stesso, ma non può comprendere valori futuri ricavabili nel solo caso in cui il piano non dovesse perfezionarsi (il ricavato di ipotetiche azioni esperibili nella liquidazione giudiziale), ne´ potrebbe all’opposto, subire decurtazioni in considerazione della presumibile perdita di valore degli elementi dell’attivo in caso di liquidazione concorsuale; (ii) il valore di liquidazione alla base della verifica del best interest of creditors ex art. 112, comma 3, CCII non atterrebbe alla distribuzione di valori esistenti o attesi nel contesto del piano concordatario, ma costituisce un parametro di valutazione ex post della idoneità della proposta a conseguire un risultato utile in termini di efficienza allocativa, proiettandosi sui valori realizzabili nello scenario alternativo della liquidazione giudiziale con specifica finalità di impedire che il concordato possa vincolare un singolo dissenziente che, in mancanza dell’approvazione del piano concordatario, possa conseguire un miglior soddisfacimento delle proprie ragioni di credito[21]. 
Il recente decreto correttivo è intervenuto in modo incisivo nell’ambito della nozione di valore di liquidazione, permettendo così, ad avviso di chi scrive, di risolvere il dubbio circa il parametro di riferimento ai fini della sua stima, nonché il dubbio che il valore di liquidazione rilavante ai fini dell’opposizione ex art. 112, comma 3, CCII fosse differente rispetto a quello cui si riferisce l’art. 84, comma 6, CCII in tema di regole distributive. In particolare, il recente decreto correttivo ha precisato la definizione di valore di liquidazione contenuta all’art. 87, comma 1, lett. c) CCII come segue “valore realizzabile, in sede di liquidazione giudiziale, dalla liquidazione dei beni e dei diritti, comprensivo dell’eventuale maggior valore economico realizzabile nella medesima sede dalla cessione dell’azienda in esercizio nonché delle ragionevoli prospettive di realizzo delle azioni esperibili, al netto delle spese”. La circostanza per cui il parametro di riferimento ai fini della stima del valore di liquidazione sia sempre rappresentato dalla liquidazione giudiziale, nonché il fatto che oggi vi sia una unica nozione di valore di liquidazione[22], alla base tanto del valore minimo da assicurare ai creditori (art. 112, comma 3)[23] quanto della regola di distribuzione della APR e della stima del degrado dei creditori privilegiati (art. 84, comma 5 e 6, CCII)[24], si rinviene dalla lettura delle norme modificate: la nozione di valore di liquidazione sopraccitata di cui all’art. 87 lett. c) è richiamata, quasi ossessivamente, in ogni punto in cui compare il concetto di valore di liquidazione nel concordato preventivo[25]. In aggiunta, come sopra accennato, se prima del recente decreto correttivo vi erano alcune disposizioni che continuavano a fare riferimento al “valore di mercato”, a seguito dell’intervento correttivo, tale riferimento è rimasto unicamente agli artt. 75 e 100 CCII. Inoltre, con un intervento che, ad avviso di chi scrive, rafforza in modo decisivo quanto sopra esposto, in tema di trattamento dei crediti tributari e contributivi, il legislatore non soltanto ha espunto il riferimento al “valore di mercato”, ma ha anche precisato che la soddisfazione minima da assicurare ai creditori pubblici è rappresentata dal “ricavato in caso di liquidazione giudiziale”[26]. La Relazione Illustrativa al recente decreto correttivo è molto chiara sul punto: la precisazione che il limite di decurtazione delle ragioni creditorie del creditore pubblico sia quello del valore che lo stesso riceverebbe in caso di liquidazione “giudiziale” con conseguente eliminazione del riferimento al valore “di mercato”, si colloca in linea con ogni altra disposizione del CCII che prevede il confronto tra la soddisfazione proposta dal debitore nell’ambito della procedura concordataria e la soddisfazione ricavabile in caso di liquidazione, rispetto al valore dei beni sui quali sussiste la causa di prelazione[27].
2.1 . Il parametro comparativo dell’amministrazione straordinaria
Nel paragrafo precedente si è giunti alla conclusione per cui ai fini del calcolo del valore di liquidazione e del conseguente valore eccedente, il parametro di riferimento è costituito dalla liquidazione giudiziale, nell’ambito della quale deve necessariamente tenersi conto della percorribilità dell’alienazione dell’azienda piuttosto che dei singoli beni in via atomistica, come meglio specificato nel proseguo del presente scritto. Tuttavia, si pone la questione di quale sia l’alternativa più conveniente rispetto alla soluzione concordataria prospettata dal debitore nell’ipotesi in cui quest’ultimo abbia i presupposti per accedere alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al D.Lgs. n. 270/1999 ovvero di cui al D.L. n. 347/2003. In tal caso, pertanto, l’alternativa potenzialmente praticabile è rappresentata anche dalla diversa procedura di amministrazione straordinaria in luogo della liquidazione giudiziale e si tratta, quindi, di comprendere a quale scenario maggiormente conveniente debba aversi riguardo ai fini della determinazione del valore di liquidazione. 
A parere dello scrivente, in siffatte situazioni, il debitore, e conseguentemente l’attestatore e il professionista incaricato a redigere la relazione ex art. 84, comma 5, CCII, non possono esimersi dalla valutazione circa la percorribilità dello scenario liquidatorio rappresentato dall’amministrazione straordinaria e la conseguente valutazione di convenienza rispetto all’apertura della liquidazione giudiziale in termini di miglior tutela, al contempo, dei valori occupazionali e delle aspettative di soddisfazione dei creditori; non appare rigoroso escludere aprioristicamente che il valore di liquidazione vada individuato avuto riguardo all’ipotesi di sottoposizione del debitore alla procedura di amministrazione straordinaria. Ciò è maggiormente valido qualora il debitore, nell’ambito della proposta concordataria, dia atto di una condizione di comprovata economicità della gestione, sebbene temporaneamente in difficoltà; tale circostanza deve evidentemente portare a tenere in debita considerazione lo scenario della procedura di amministrazione straordinaria ai fini comparativi della convenienza nelle diverse soluzioni di regolazione della crisi alternative a cui potrebbe essere sottoposto il debitore in luogo dell’accesso al concordato preventivo. 
Sul tema, i Principi di attestazione aggiornati al 2024, nella sezione relativa al termine di confronto rispetto al quale formulare il giudizio di comparazione quantitativa richiesto al professionista indipendente, precisa che “Nelle ipotesi in cui, alternativamente allo scenario della liquidazione giudiziale, sia praticabile lo scenario dell’Amministrazione straordinaria (D.Lgs. 270/1999 e D.L. n. 347/2003) la valutazione deve prendere in riferimento tale contesto, avuto riguardo alle diverse finalità e risultati cui tende quest’ultima procedura”[28]. 
2.2 . La valutazione d’azienda come processo complesso e influenzato da molteplici variabili
La necessità di includere nell’ambito della stima del valore di liquidazione anche l’eventuale avviamento, qualora i complessi produttivi siano tali da generare cash-flows positivi (ossia qualora sia ancora configurabile un’azienda o un ramo d’azienda), deve tenere in debita considerazione la circostanza per cui in tutta la letteratura e dottrina in materia di valutazione d’azienda non viene mai citato un metodo unico o una “formula magica” che permetta di giungere ad un valore inequivocabile e innegabilmente corretto[29]. Infatti, la valutazione di un’azienda rappresenta un processo complesso e influenzato da molteplici variabili e, conseguentemente, non può esistere una valutazione perfetta, definitiva e valida in tutte le fattispecie[30]. Sebbene in letteratura siano stati identificati diversi metodi di valutazione d’azienda, la natura intricata e complessa del contesto oggetto di valutazione, specialmente se inserito in una situazione di crisi d’impresa, implica l’esistenza di una certa soggettività con conseguenti diverse interpretazioni[31]. 
Come evidenziato dai PIV, la stima del valore di una partecipazione, di un’azienda o di un ramo di essa costituisce un giudizio ragionato e motivato che si fonda su stime e che deve essere formulato in modo obiettivo, senza sotto o sovra stimare il risultato della valutazione medesima. In particolare, l’opinione di valore cui giunge l’esperto deve essere: razionale, verificabile, coerente, affidabile, svolta in modo professionale e con competenza[32]. 
3 . La centralità del valore di liquidazione ai fini comparativi
Una prima funzione da attribuire al valore di liquidazione è quella di fungere da parametro sul quale si fonda il giudizio di valutazione, di natura comparativa[33], circa la convenienza (recte, non deteriorità) [34] della soluzione concordataria rispetto a quella liquidatoria[35]. La comparazione fra ipotesi concordataria e alternativo scenario di apertura della liquidazione giudiziale assume rilevanza nell’ambito di ogni singola tipologia di concordato preventivo[36], stante la valenza generale attribuibile all’art. 84, comma 1, CCII[37]. Infatti, il requisito della non deteriorità del trattamento dei creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale è inderogabilmente previsto per ogni tipologia di concordato indicata dal primo comma dell’art. 84 CCII e rappresenta, per come tassativamente sancito, una condizione di ammissibilità della proposta concordataria[38]. Tale requisito deve essere oggetto di una specifica attestazione, ai sensi dell’art. 87, comma 3, CCII soltanto nell’ambito del concordato in continuità aziendale, mentre nel concordato liquidatorio pare che il legislatore abbia inteso presumerne la sussistenza in ragione della previsione dell’apporto di risorse esterne, di cui all’art. 84, comma 4, CCII[39]. Pertanto, la previsione normativa del requisito di equivalenza del trattamento nella proposta concordataria in continuità aziendale rispetto alla alternativa della liquidazione giudiziale, alla stregua di un carattere necessario della finalità satisfattiva del concordato, induce a ritenere che la sua inosservanza determini l’inammissibilità della proposta e, subordinatamente alla contestazione della sua convenienza ex art. 112, commi 3 e 5, CCII anche la sua non omologabilità. 
In conclusione, il raffronto tra la misura di soddisfacimento prevista nella proposta concordataria e quella ricavabile nell’alternativo scenario dell’apertura della liquidazione giudiziale presuppone l’identificazione e la determinazione della somma ripartibile a favore di ciascun creditore sulla base dell’attivo ottenibile in tale scenario liquidatorio, che corrisponde al valore di liquidazione da indicarsi nel piano ai sensi dell’art. 87, comma 1, lett. c) CCII. Da ciò discende la funzione comparativa assunta dal valore di liquidazione ex art. 87, comma 1, lett. c) CCII[40]. 
4.1 . Valore di liquidazione
Come accennato nelle premesse, il valore di liquidazione costituisce, tra gli altri, il perimetro applicativo della regola della priorità assoluta nella distribuzione dell’attivo[41], ai sensi dell’art. 84, comma 6, CCII, ovvero, più in generale, il perimetro di riferimento ai fini della identificazione delle corrette regole di distribuzione del patrimonio[42]. L’esame delle regole di distribuzione del patrimonio nel diritto della crisi e dell’insolvenza rappresenta un compito ineludibile e, allo stesso tempo, complesso. Ineludibile in quanto la disciplina delle regole di distribuzione del patrimonio del debitore costituisce il centro dell’intera disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza; complesso poiché la risposta normativa alla domanda sulle modalità di distribuzione del patrimonio non è univoca, declinandosi in modo differente nei vari strumenti di regolazione della crisi, precludendo così di poter giungere ad una risposta unitaria[43]. 
Nell’ambito del concordato preventivo in continuità aziendale, il comma sesto dell’art. 84 CCII è stato profondamente modificato dal D.Lgs. n. 83/2022 (c.d. Decreto Insolvency) al fine di adeguare il Codice della crisi alla Direttiva UE 2019/1023 in relazione alle regole che presiedono alla distribuzione del patrimonio del debitore nello strumento concordatario[44]. Infatti, nel testo originario della norma in esame, era stata riprodotta la clausola già prevista nell’art. 160, comma 2, L. fall., che, in caso di formazione di classi, disponeva il divieto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione. Il principio della non alterabilità delle cause legittime di prelazione pone la questione, in presenza di una falcidia dei creditori muniti di privilegio generale, circa l’attribuibilità di una soddisfazione (sia pur minima) ai privilegiati di rango inferiore ovvero ai creditori chirografari. Nell’ambito della previgente legge fallimentare, se la vigenza del divieto di alterare le cause di prelazione era (ed è) indiscussa, problematica era, invece, la perimetrazione dell’effettivo contenuto della regola e dei limiti che essa comporta. Dubbi che si ponevano soprattutto con riferimento al trattamento dei creditori muniti di privilegio generale mobiliare, per i quali, nella previgente disciplina, era discusso se la graduazione ex art. 160, comma 2, L. fall., consentisse un pagamento non integrale pur in presenza di un pagamento (ancorché meno favorevole) in favore dei creditori chirografari. Il tema esposto ha generato non pochi contrasti in dottrina e giurisprudenza, che hanno dato origine a due tesi contrapposte: Absolute Priority Rule e Relative Priority Rule[45]. 
L’art. 84, comma 6, CCII puntualizza che nel “concordato in continuità aziendale il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione”. Pertanto, il valore di liquidazione costituisce il perimetro applicativo della regola della priorità assoluta nella distribuzione dell’attivo. Come opportunamente osservato[46], per “valore di liquidazione” deve intendersi il valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale, da indicarsi nel piano, ai sensi dell’art. 87, comma 1, lett. c) CCII[47]. Tale identificazione, infatti, non pare dubitabile non soltanto per la corrispondenza terminologica, bensì anche per la coerenza della disposizione con il principio sancito dal primo comma dell’art. 84, secondo cui il trattamento dei creditori non può essere inferiore a quello realizzabile nella liquidazione giudiziale[48]. 
Sebbene il legislatore non specifichi espressamente le modalità di distribuzione del valore di liquidazione nell’ambito del concordato liquidatorio, è ragionevole ritenere che il criterio applicativo rimanga quello della absolute priority rule. Ciò si desume indirettamente dall’art. 84, comma 4, CCII, il quale, in relazione al concordato con cessione dei beni, ammette come unica deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c., quindi alla graduazione secondo la regola della priorità assoluta, la distribuzione da effettuare con le “risorse esterne” provenienti dai soci[49], purché sia rispettato il requisito del 20% del soddisfacimento dei creditori chirografari e dei creditori privilegiati degradati per incapienza[50]. Ne discende che soltanto le risorse esterne possono essere distribuite in deroga alla regola della priorità assoluta, mentre le altre risorse devono essere distribuite secondo il rigido rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione. In altri termini, nel concordato liquidatorio la possibilità di assegnare una soddisfazione ai creditori chirografari in assenza di integrale pagamento dei creditori con privilegio generale è sostanzialmente precluso, fatto salvo l’utilizzo della finanza esterna[51].
4.2 . Valore eccedente quello di liquidazione
L’art. 84, comma 6, CCII non soltanto definisce le regole di distribuzione del valore di liquidazione, bensì anche quelle afferenti al “valore eccedente quello di liquidazione”. Come noto, la distinzione tra i due valori è rilevante ai fini delle regole di distribuzione: sino alla concorrenza del valore di liquidazione la distribuzione dovrà avvenire nel rispetto della regola della priorità assoluta, mentre per l’eccedenza potrà trovare applicazione le relative priority rule. Infatti, con riferimento al valore eccedente quello di liquidazione[52], il legislatore attribuisce al debitore che presenta una domanda di concordato in continuità aziendale la facoltà (e non l’obbligo) di distribuzione secondo la regola della priorità relativa, per cui “è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore”.
In tema di determinazione di tale valore e del conseguente sistema delle regole distributive, è difficilmente opinabile, quantomeno in applicazione di un criterio logico, ritenere che il valore eccedente quello di liquidazione sia rappresentato dalla differenza tra l’importo complessivo messo a disposizione dei creditori nel piano concordatario (i.e. il valore complessivo del soddisfacimento offerto ai creditori con la proposta concordataria o, ancora, il fabbisogno concordatario come risultante dagli obblighi assunti dal proponente) e il valore di liquidazione[53]. Si tratta, in altre parole, del c.d. surplus da continuità messo a servizio dei creditori nell’orizzonte temporale di riferimento[54], che si aggiunge al patrimonio concordatario del debitore staticamente fotografato alla data della domanda di concordato[55]. Pertanto, come autorevolmente evidenziato, se il valore di liquidazione rappresenta il valore del patrimonio attivo del debitore in caso di liquidazione giudiziale, il valore eccedente costituisce il valore che il piano ipotizza come conseguibile solo mediante e, durante, il concordato preventivo attraverso la prosecuzione dell’attività[56]. 
Il valore eccedente quello di liquidazione non deve essere confuso con il ricavato della continuità aziendale, intendendo quest’ultimo come i flussi di cassa disponibili durante il piano per soddisfare i creditori concorsuali[57]; per cui il valore eccedente quello di liquidazione potrebbe essere definito in termini di flussi di cassa conseguiti dal debitore durante il piano concordatario dedotta l’eventuale quota destinata, secondo la proposta concordataria, ad integrare il valore di liquidazione[58]. La corretta identificazione del valore eccedente quello di liquidazione e la sua distinzione rispetto ai flussi di cassa liberi previsti nel piano non rispondono a mere esigenze tassonomiche, ma assumono massimo rilievo ai fini della corretta applicazione della regola della priorità relativa, la quale può operare solo con riferimento al valore eccedente quello di liquidazione[59]. Ipoteticamente il valore eccedente quello di liquidazione e il ricavato della continuità potrebbero coincidere, tuttavia, è ragionevole ritenere che nella maggior parte dei casi divergano. Infatti, potrebbe accadere, ragionevolmente nell’ambito di proposte che prevedono la prosecuzione diretta dell’attività d’impresa, che una parte degli asset concordatari (ossia quelli strategici) non venga liquidata nel piano. Poiché tale attivo costituisce una componente (che rientra nella determinazione) del valore di liquidazione assoggettata alla regola della priorità assoluta, il valore eccedente potrà essere distribuito secondo la regola della priorità relativa unicamente per la parte eccedente quella necessaria a coprire il valore (di liquidazione) dei cespiti che non vengono liquidati e che, pertanto, rimangono nella disponibilità del debitore. In tal caso, dunque, il valore eccedente quello di liquidazione sarà necessariamente inferiore rispetto al ricavato della continuità aziendale, poiché una parte dello stesso resterà assorbita nel valore di liquidazione, dovendo compensare la parte di patrimonio che il debitore ha trattenuto a sé[60]. Tenuto conto del fattore tempo, si potrebbe prevedere che, se i tempi di soddisfazione previsti per i creditori nel concordato sono più ridotti rispetto ai presumibili tempi di soddisfazione nel caso della liquidazione giudiziale, l’attualizzazione del valore di liquidazione potrebbe eventualmente portare il valore eccedente quello di liquidazione ad essere superiore al ricavato della continuità aziendale.  
Discussa, invece, è la questione se nella determinazione del valore eccedente quello di liquidazione debbano essere incluse anche le (eventuali) maggiori somme, rispetto al valore di realizzo loro attribuito in sede di determinazione del valore di liquidazione, conseguite dalla vendita, nella fase di esecuzione del concordato, di beni non funzionali[61]. Si tratta, in altri termini, di definire se gli esiti della liquidazione di specifici beni dovrebbero o meno risultare rilevanti rispetto alla preventiva determinazione del valore di liquidazione, con la conseguenza di una diversa applicazione delle regole di distribuzione su tale maggiore valore[62]. Come osservato da autorevole dottrina, stante l’identità del realizzo del cespite anche in caso di liquidazione giudiziale[63], lo stesso dovrebbe rimanere governato dall’absolute priority rule, senza che possa influire l’eventuale maggiore flusso rispetto al valore di liquidazione preventivamente stimato[64]. Ne discende che il maggior ricavato degli attivi aziendali da liquidare deve essere distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione affinché le aspettative dei creditori non subiscano un pregiudizio in conseguenza dell’omologazione della proposta concordataria. Ciò in quanto, in caso di liquidazione giudiziale, che rappresenta il parametro di riferimento ai fini del giudizio di convenienza della proposta, i creditori avrebbe avuto diritto ad una distribuzione integrale del ricavato[65]. In giurisprudenza sul tema dei criteri di allocazione dell’eventuale eccedenza della cessione di asset non strategici rispetto a quanto originariamente previsto in sede di determinazione del valore di liquidazione, si riscontra, allo stato attuale, una pronuncia di merito orientata a ritenere che l’eventuale maggiore flusso rispetto al valore di liquidazione preventivamente stimato, rimarrà governato dall’absolute priority rule[66]. 
Ad avviso di chi scrive, diversamente dall’ipotesi in cui il maggior valore (rispetto a quello stimato dal debitore) viene realizzato nell’ambito delle procedure competitive di cui all’art. 91 CCII che si conclude prima della votazione, come meglio esposto in seguito[67], le eventuali maggiori somme conseguite solo ad esito della omologazione del concordato preventivo non dovrebbero rappresentare un valore da assoggettare obbligatoriamente alla regola della priorità assoluta in quanto non rientranti nel valore di liquidazione. Da un lato, infatti, gli esiti della liquidazione di specifici beni dovrebbero risultare irrilevanti rispetto alla preventiva determinazione del valore di liquidazione; dall’altro lato, nell’ambito della esecuzione del piano concordatario possono verificarsi delle modificazioni, tuttavia, ciò che resta vincolante per il debitore nei confronti dei creditori concorsuali rimane la proposta concordataria effettuata, sulla quale i creditori hanno espresso il proprio voto e il tribunale ha pronunciato l’omologazione. Pertanto, tali maggiori somme ricavate soltanto dopo l’omologa del concordato, rappresentative in questo caso da maggiori flussi ricavati dalla liquidazione di asset non strategici, sono destinati prioritariamente ai creditori nei tempi e nella misura prevista nella proposta concordataria omologata e successivamente possono anche essere eventualmente trattenuti dal debitore, salvo che la proposta concordataria preveda espressamente e originariamente la destinazione di detti maggiori valori a favore dei creditori nel rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione.   
Una questione altrettanto complessa concerne l’eventuale eccedenza dei flussi di cassa effettivamente prodotti dal debitore in esecuzione del piano rispetto al valore determinato in sede di predisposizione della proposta concordataria. Si tratta, in altre parole, di definire (i) se i maggiori flussi di cassa siano vincolati, e quindi oggetto di distribuzione, a favore dei creditori e (ii), in caso di risposta affermativa, se siano distribuibili secondo la regola della priorità relativa. Da un lato, è ragionevole ritenere che con la proposta di concordato il debitore non abbia assunto dei vincoli distributivi su tali maggiori flussi di cassa. Dall’altro lato, tuttavia, il legislatore non parla di valore eccedente la liquidazione prevista nel piano di concordato, bensì di valore eccedente la liquidazione tout court. Considerando, inoltre, che il debitore risponde delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, ne discende che, secondo il dato letterale della norma, non è da escludere che vi siano vincoli distributivi anche sui flussi di cassa eccedenti. Come osservato da autorevole dottrina[68], il valore dell’azienda in continuità è quello determinato nel piano di concordato, ossia quello stimato dal debitore e, pertanto, in base ad esso sarà formulata la proposta e assunto il vincolo proprio della promessa concordataria, essendo irrilevanti eventuali differenze tra la stima e il valore riscontrato nel concreto (sottostime e sovrastime del valore della continuità), purché non venga leso il canone del “miglior soddisfacimento”, inteso nell’accezione della Direttiva UE 2019/1023[69]. L’eventuale differenza rilevata nel flusso di continuità potrebbe, infatti, essere anche frutto di investimenti futuri, non previsti nel piano, oltre che di risultati più satisfattivi, ferma l’invarianza degli investimenti originariamente pianificati. Come opportunamente osservato in dottrina, il tema è ulteriormente complicato dalla circostanza che tale plusvalore, se non viene distribuito ai creditori, finisce quasi sempre per avvantaggiare i soci, incrociando le disposizioni di cui all’art. 120 quater CCII. Sebbene la norma disciplini l’ipotesi in cui il piano preveda di riservare ai soci il valore risultante dalla distribuzione e non, come nel caso di flussi di cassa eccedenti, un valore in origine non previsto, non si può escludere a priori, anche in applicazione dei principi che governano la responsabilità patrimoniale del debitore, che i creditori anteriori non possano vantare pretese su tale plusvalore imprevisto generato dal debitore, che ha proseguito la propria attività anche grazie al parziale sacrificio delle ragioni di tali stessi creditori[70]. 
Sul tema dei criteri di distribuzione degli eventuali flussi di cassa maggiori rispetto alle previsioni del piano concordatario pare che, allo stato attuale, l’unica pronuncia di merito, a conoscenza di chi scrive, che si è espressa è stata quella del Tribunale di Lucca del 25 luglio 2023[71]. Secondo i Giudici il debitore potrà farli propri e, pertanto, potranno essere utilizzati o trattenuti dallo stesso, poiché “è consustanziale alla disciplina della continuità diretta che l’imprenditore possa far propri i flussi di cassa eccedentari”.
5 . La centralità del valore di liquidazione ai fini distributivi e il concetto di valore eccedente nel concordato preventivo in continuità indiretta
Il tema della qualificazione del valore eccedente quello di liquidazione assume caratteristiche peculiari nell’ambito delle proposte di concordato in continuità aziendale indiretta. È pacificamente riconosciuto che la continuità indiretta, sul piano concettuale, costituisce una fattispecie di carattere liquidatorio; altrettanto condiviso è l’assunto per cui la sua collocazione, sul piano della disciplina, nel versante della continuità assolve all’esigenza di evitare l’imposizione del soddisfacimento dei creditori chirografari e di quelli privilegiati degradati per incapienza dell’attivo nella misura minima del 20%. 
Premesso ciò, secondo autorevole dottrina, nell’ambito della continuità indiretta, il valore eccedente è rappresentato dai canoni di affitto dell’azienda o dal corrispettivo della sua alienazione in going concern[72]. Ad avviso di chi scrive, premesso che ai fini della stima del valore di liquidazione connesso ai canoni di affitto si rende necessaria l’applicazione di un tasso di sconto funzionale ad attualizzare il valore di detti canoni, è necessario tenere distinti i seguenti scenari: (i) affitto di azienda stipulato prima della domanda di concordato e (ii) affitto di azienda autorizzato dopo la domanda di concordato. Nel primo caso, è difficilmente discutibile assumere che tutti i canoni di affitto, essendo maturati dopo la domanda di concordato, non rientrano nel valore di liquidazione, trattandosi di un diritto che rientra nel patrimonio del debitore soltanto successivamente al deposito della domanda di concordato; tale valore, pertanto, rientra nel concetto di valore eccedente e, conseguentemente, può essere assoggettato alla regola della priorità relativa. Nel secondo scenario, a parere dello scrivente, il valore eccedente (sul quale si può applicare la regola della priorità relativa) non è necessariamente rappresentato da tutti i canoni di affitto maturati o da maturare successivamente al deposito della domanda di concordato, bensì comprende unicamente i canoni di affitto che potrebbero essere ulteriormente realizzati dal debitore rispetto ad un ipotetico curatore nell’ipotesi di apertura della liquidazione giudiziale[73]. Allo stesso modo, con riferimento al valore dell’azienda, il valore eccedente è rappresentato unicamente dall’eventuale maggior valore ritraibile dalla vendita dell’azienda in esercizio rispetto a quello ritraibile dalla vendita in sede di liquidazione giudiziale ed esercizio provvisorio (sul quale quindi si applica la regola della priorità assoluta), come opportunamente calcolato e, quindi, tenuto conto non del plusvalore derivante dalla continuità come prevista nel piano ma di solo quell’eventuale plusvalore della continuità (minima) che sarebbe conseguibile con l’esercizio provvisorio[74]. L’aspetto dirimente di una siffatta conclusione concerne la dimostrazione della creazione di un plusvalore derivante dalla vendita dell’azienda in esercizio rispetto a quello ritraibile dalla vendita in sede di liquidazione giudiziale ed esercizio provvisorio; si tratta di un esercizio tutt’altro che agevole, ma che deve essere condotto in modo assai rigoroso al fine di evitare possibili abusi. Si potrebbe riscontrare, a titolo esemplificativo, una proposta di concordato in continuità aziendale nella quale il debitore prima della domanda di concordato e in funzione della stessa abbia concesso in affitto l’azienda ad un terzo per un periodo pari a tre anni, con contestuale impegno all’acquisto alla conclusione del contratto, condizionatamente all’omologazione del concordato, ad un prezzo di cessione maggiore rispetto al valore di liquidazione stimato. In tal caso, ai fini delle regole distributive del patrimonio si pongono due questioni: (i) il prezzo di cessione offerto, che è maggiore rispetto al valore di liquidazione stimato e (ii) i canoni di affitto incassati dal debitore per l’intera durata del contratto. 
Quanto al punto sub (i), a parere dello scrivente, anticipando quanto verrà più diffusamente esposto infra[75], affinché si possa ritenere che il maggior valore tra il prezzo di cessione offerto e il valore di liquidazione sia distribuibile in applicazione della regola della priorità relativa occorre che il debitore dimostri in modo rigoroso le ragioni per le quali la prosecuzione dell’attività d’impresa (ad opera di un terzo) consenta di generare un plusvalore rispetto alla alternativa della liquidazione giudiziale. Il valore eccedente, infatti, diversamente dal valore di liquidazione tiene conto della maggiore valorizzazione delle poste attive nella loro dinamicità e nell’ottica di prosecuzione dei rapporti commerciali, ancorché da parte di un terzo, il quale apporterà le proprie azioni strategiche volte a migliorare il risultato operativo, che dipendono esclusivamente dalle attività di investimento e sviluppo ipotizzate dal terzo, senza alcun collegamento con il patrimonio originario del debitore. Diversamente, si ritiene che il valore da assumere a riferimento ai fini dell’applicazione della regola più rigida della priorità assoluta sia il (maggiore) prezzo offerto dal terzo. 
Allo stesso modo, quanto al punto sub (ii) al fine di qualificare l’attivo derivante dai canoni di affitto d’azienda, al netto dei costi che continuano a gravare sulla società, che possa essere utilizzato dal debitore secondo la regola della priorità relativa, occorre stimare nell’ipotesi di liquidazione giudiziale, nell’ambito della quale la curatela decida ragionevolmente di proseguire il contratto di affitto, i tempi di cessione dell’azienda e, conseguentemente, i canoni che la procedura potrebbe incassare sino all’aggiudicazione definitiva. Soltanto la differenza dell’attivo derivante dai canoni di affitto previsti nella proposta del debitore e la stima degli stessi nello scenario liquidatorio ipotizzando una prosecuzione del contratto d’affitto da parte della curatela, rappresenta, a parere dello scrivente, un valore eccedente quello di liquidazione e, come tale, distribuibile secondo la regola della priorità relativa; i canoni che, invece, potrebbero ragionevolmente costituire attivo anche nell’ipotesi alternativa della liquidazione giudiziale, con prosecuzione del contratto di affitto sino alla aggiudicazione dell’azienda, devono essere qualificati come valore di liquidazione e, in quanto tali, distribuiti secondo la regola della priorità assoluta. 
Sul tema si è espresso il Tribunale di Spoleto con provvedimento del 4 luglio 2024[76] ove si evince che, con riferimento agli eventuali canoni di affitto dell’azienda, il valore eccedente quello di liquidazione comprende “unicamente i canoni di affitto che potrebbero essere ulteriormente realizzati dal debitore rispetto ad un ipotetico curatore nell’ipotesi di apertura della liquidazione giudiziale: soltanto la differenza dell’attivo derivante dai canoni di affitto previsti nella proposta del debitore e la stima degli stessi nello scenario liquidatorio, ipotizzando una prosecuzione del contratto d’affitto da parte della curatela, rappresenta un valore eccedente quello di liquidazione e, come tale, distribuibile secondo la regola della priorità relativa; i canoni che, invece, potrebbero ragionevolmente costituire attivo anche nell’ipotesi alternativa della liquidazione giudiziale, con prosecuzione del contratto di affitto sino alla aggiudicazione dell’azienda, devono essere qualificati come valore di liquidazione e, in quanto tali, distribuiti secondo la regola della priorità assoluta”.
In conclusione, da quanto sopra emerge altresì che il piano concordatario imperniato sulla continuità indiretta dovrebbe dimostrare di generare un valore “eccedente” quello di liquidazione, ossia si tratta di dimostrare come la vendita dell’azienda sul mercato, da parte della procedura concordataria, riesca ad assicurare maggiori incassi rispetto a quanto avverrebbe ad opera di un ipotetico curatore, ove fosse prevedibile la continuazione dell’impresa ai sensi dell’art. 211 CCII[77]. Dunque, come osservato da autorevole dottrina, potrebbe sembrare che gli spazi potenziali della relative priority rule applicabile anche alla continuità indiretta siano in pratica molto limitati. In realtà è proprio l’esperienza empirica che evidenzia svariati esempi di aziende oggetto di concordati ove si pianifichi la loro utile ricollocazione e che, ove invece liquidate secondo il modello della liquidazione giudiziale, potrebbero conseguire obiettivi riallocativi molto più limitati e meno convenienti, a causa, ad esempio, della prospettiva ragionevole di perdere talune relazioni convenzionali determinanti ai fini del realizzo integrale del loro “valore” (si pensi, a titolo esemplificativo, agli appalti pubblici); come pure vi sono casi in cui la prosecuzione dell’attività nella liquidazione giudiziale sarebbe comunque più disagevole rispetto al concordato, e quindi l’arresto dell’impresa porterebbe inevitabilmente alla depressione dei componenti di valore, soprattutto di ordine immateriale[78].
6 . La stima del valore di liquidazione in presenza di una offerta irrevocabile di acquisto
Un tema rilevante e delicato, già accennato nel paragrafo precedente, concerne la stima del valore di liquidazione nell’ipotesi in cui il debitore abbia ricevuto una offerta irrevocabile di acquisto per l’azienda ovvero un ramo di essa ovvero, più in generale, una componente dell’attivo del proprio patrimonio e che, conseguentemente, apre all’applicazione della disciplina delle offerte concorrenti ex art. 91 CCII. In altri termini, si pone il seguente quesito: in presenza di una offerta di acquisto di un asset aziendale da parte di un terzo a valori differenti rispetto alla stima formulata da un professionista indipendente come rileva ai fini della stima del valore di liquidazione da indicare nel piano? 
Potrebbe accadere, a titolo esemplificativo, che il ramo d’azienda sia stato periziato da un professionista che abbia formulato una valutazione inferiore rispetto a quella del terzo offerente, quest’ultima basata su proprie valutazioni, anche di natura strategica. Allo stesso modo può verificarsi per una specifica componente dell’attivo facente parte del patrimonio del debitore, quale, a titolo esemplificativo un credito o una partecipazione. Si tratta, quindi, di comprendere se il maggior valore derivante dall’offerta di acquisto di un’azienda in esercizio possa costituire una componente estranea al patrimonio aziendale della società in concordato preventivo[79], ovvero se il prezzo offerto dal terzo per rilevare l’azienda del debitore debba considerarsi necessariamente equivalente al valore che detto compendio dovrebbe assumere in caso di apertura della liquidazione giudiziale con conseguente applicazione della regola della priorità assoluta sulla totalità del valore in oggetto. 
Ad avviso di chi scrive, per fornire una risposta compiuta al quesito in esame occorre individuare la portata esatta dell’offerta in funzione dell’effettiva volontà e intenzione del terzo offerente. Infatti, se, da un lato, non si può assumere a priori che le offerte pervenute da un terzo valgano soltanto nell’ambito della proposta concordataria e non anche in quella alternativa della liquidazione giudiziale, in quanto, in linea di principio, dovrebbe essere irrilevante per un acquirente la cornice concorsuale nella quale la vendita si inserisce, dall’altro lato,  potrebbero verificarsi dei casi in cui l’offerta del terzo si connoti per un valore maggiore rispetto alla stima formulata da un professionista indipendente per motivazioni legate prettamente alle intenzioni del terzo offerente. A titolo esemplificativo, per (i) ragioni connotate al buon esito della procedura concordataria, con la conseguenza che in caso di apertura della liquidazione giudiziale tale maggior valore attribuito dal terzo offerente verrebbe a mancare e (ii) per la individuazione di un avviamento futuro che non ha alcun collegamento con il patrimonio originario del debitore e dipende esclusivamente dalle strategie industriali future e dalle attività di investimento e sviluppo ipotizzate dal terzo offerente. In tali casi, infatti, l’offerente può essere interessato a supportare la procedura di concordato preventivo sul presupposto che l’apertura della liquidazione giudiziale possa comportare degli effetti negativi sull’asset che intende acquisire, giustificando un maggior valore che il terzo intende riconoscere alla procedura. Proprio in ragione dell’interesse dell’offerente alla buona riuscita del concordato, l’offerta di acquisto potrebbe essere condizionata all’omologa del concordato stesso. Pertanto, in ragione del fatto che tale maggiore valore riconosciuto dal terzo si avrebbe soltanto nella procedura di concordato preventivo e non anche quella di liquidazione giudiziale, si potrebbe ritenere ragionevole qualificarlo come valore eccedente quello di liquidazione[80]. Occorre, pertanto, che l’offerta formulata dal terzo chiarisca che il valore in essa indicato dipenda dal permanere del debitore in concordato e che nello scenario deteriore tale valore sarebbe destinato a diminuire a causa degli effetti della liquidazione giudiziale sul compendio aziendale: quest’ultima situazione si verifica sia nell’eventualità in cui il terzo subordini motivatamente l’efficacia della propria offerta al buon esito del concordato (ovvero chiarisca che il prezzo offerto non dipenda dalle condizioni di mercato, bensì dall’esigenza di far fronte al fabbisogno concordatario, come tipicamente accade nel caso di offerta formulata da un’altra società del medesimo gruppo cui appartiene il debitore), sia quando formuli contestualmente una diversa offerta – a livelli evidentemente inferiori – per l’ipotesi di assoggettamento del debitore a liquidazione giudiziale[81]. Infatti, il maggior valore determinato dal terzo offerente rispetto al valore di liquidazione non attiene al patrimonio esistente alla data della domanda di concordato, bensì dipende dal buon esito della procedura e/o da strategie industriali future dipendenti esclusivamente dalle scelte strategiche previste dal terzo. In altre parole, il valore di liquidazione, come stimato dal perito, non considera alcuna sinergia o efficientamento che un terzo potrebbe riconoscere nel prezzo di acquisto dell’azienda (o un ramo di essa), poiché esprime (opportunamente) un valore di stima determinato secondo una logica valutativa as it is, la cui adozione prevede la considerazione di un’ipotesi di stabilità della formula imprenditoriale dell’azienda, ossia presupponendo che una volta avvenuto il trasferimento del compendio aziendale sia previsto il mantenimento dell’attuale combinazione prodotto-mercato-tecnologie; il prezzo del mercato potrà pertanto differire per effetto dei fattori di accrescimento e/o riduzione del valore che i singoli partecipanti attribuiranno alle potenzialità ritraibili dallo sfruttamento soggettivo e dal massimo e miglior uso dell’attività (c.d. highest and best use)[82]. Conseguentemente, tale maggior valore attribuito dal terzo non rappresenta la valorizzazione di un attivo esistente nel patrimonio aziendale, assoggettabile al dovere di rispettare l’ordine delle cause legittime di prelazione, bensì costituisce un valore frutto delle prospettive avviamentali derivanti dall’intervento industriale del terzo che, in caso di apertura della liquidazione giudiziale, non potrebbe emergere. In ogni caso, ipotizzando che l’offerta del terzo sia condizionata all’omologazione del concordato, pure presumendo che l’interesse del terzo possa permanere anche in caso di mancata omologazione, e quindi anche in ipotesi di liquidazione giudiziale, il venir meno dell’obbligo contrattuale all’acquisto dell’asset, non essendosi verifica la condizione sospensiva rappresentata dall’omologazione dell’autorità giudiziaria, è ragionevole ritenere che il terzo possa adottare (legittimamente) un comportamento opportunistico finalizzato ad ottenere una riduzione del prezzo offerto.
Sul punto, il Tribunale di Milano del 20 luglio 2023 ha preso posizione in maniera netta, ritenendo che l’offerta ricevuta per l’acquisto di un bene costituisca essa stessa il valore di liquidazione di quel bene, al contrario di quanto prospettato dalla ricorrente, la quale aveva originariamente ritenuto che tale eccedenza potesse essere considerata come un valore eccedente quello della liquidazione nei termini di cui all’art. 84, comma 6, CCII. Nel caso di specie, è stato condiviso l’orientamento per cui chi il proponente possa suddividere il valore offerto tra il valore di stima (che costituisce quindi il valore della liquidazione) e un surplus a titolo di apporto esterno. Pertanto, convenendo con l’impostazione dei giudici milanesi, la società ricorrente ha raccolto la disponibilità di quegli stessi soggetti interessati all’acquisto ad offrire (i) una somma pari al valore di perizia e (ii) ad impegnarsi a versare l’eccedenza al fine, comunque, di raggiungere le somme originariamente promesse, anche a seguito della necessaria vendita competitiva di quegli stessi assets. Evidentemente, si rende poi necessario procedere alla raccolta di manifestazioni di interesse per l’acquisto delle partecipazioni e dei crediti della società, secondo la disciplina di cui all’art. 91 CCII, e nell’ipotesi in cui tali asset vengano allocati sul mercato ad un prezzo superiore a quello indicato in perizia, “il piano potrebbe subire ulteriori modifiche in quanto aumenterebbe il valore che dovrebbe essere distribuito secondo la regola della absolute priority rule”. Tale interpretazione permette di affrontare un tema successivo, rappresentato dal prezzo al quale invitare gli eventuali interessati a presentare una manifestazione di interesse ex art. 91 CCII, ossia se al prezzo di perizia ovvero al maggior valore che il terzo si è impegnato a versare anche a seguito della necessaria vendita competitiva di quegli stessi assets. Ad avviso di chi scrive, condividendo l’impostazione poc’anzi esposta dai giudici milanesi, sarebbe necessario scorporare l’offerta del terzo tra prezzo di acquisto dell’azienda, coincidente con la stima formulata dal perito esperto, e l’apporto esterno; in seguito, in sede di raccolta di manifestazioni di interesse da parte di terzi eventualmente interessati per avviare l’eventuale gara tra gli offerenti, il prezzo al quale deve essere effettuata la pubblicità e competitività è rappresentato dal prezzo di stima contenuto nella perizia, senza tenere conto dell’eccedenza messa a disposizione dal terzo. Ciò in quanto, in tale sede la finalità è quella di sondare il mercato ai fini dell’acquisizione di eventuali offerte concorrenti e, conseguentemente, cristallizzare il valore di liquidazione di quell’asset, funzionale ad accertare la corretta determinazione dello stesso e conseguentemente la corretta utilizzazione delle regole distributive. Nell’ipotesi di apertura della procedura competitiva si creerà una eccedenza di valore, rispetto alla stima del valore di liquidazione, che deve essere qualificata come valore di liquidazione, quindi assoggettabile alla regola della priorità assoluta, anche tenuto conto che, in ossequio all’art. 91 CCII, il procedimento per le offerte concorrenti si deve concludere almeno quindici giorni prima del voto dei creditori, affinché il proponente il concordato possa modificare il piano in funzione dell’andamento della procedura competitiva stessa. In questa sede, quindi, il debitore è tenuto a modificare al rialzo il valore di liquidazione, alla luce dell’andamento delle offerte competitive che ha portato ad un maggior valore di liquidazione rispetto a quello inizialmente stimato, con conseguente incremento del valore rispetto al quale trova applicazione la rigida regola della priorità assoluta. 
In modo, ad avviso di chi scrive, non dissimile si è espresso il Tribunale di Spoleto con provvedimento del 4 luglio 2024[83], ove si evince che concorre a formare il valore di liquidazione l’importo corrispondente all’offerta di acquisto irrevocabile ricevuta dal terzo, salvo che l’offerente abbia meglio precisato i termini dell’offerta tra il valore di stima (che costituisce quindi un elemento del valore di liquidazione) e il surplus apportato al concordato, che verrà versato in caso di omologazione del concordato e quindi non esisterebbe nella liquidazione giudiziale. Anche secondo tale impostazione, pertanto, pare che, se l’offerente indica una somma a titolo di prezzo e un’altra a titolo di ulteriore apporto, solo la prima coincide con il valore di liquidazione. 
Un ulteriore pronuncia giudiziale del Tribunale di Bergamo del 30 novembre 2023[84], sebbene riferita al giudizio di omologazione di un accordo di ristrutturazione del debito, rileva in questa sede in quanto fornisce utili spunti di approfondimento in merito al percorso di stima del valore di liquidazione con specifico riferimento al valore di beni rispetto ai quali il debitore ha già ricevuto delle proposte irrevocabili di acquisto che, nel caso di specie, non sono condizionate all’omologa dello strumento di regolazione prescelto. In particolare, nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto che la comparazione della proposta del debitore con la liquidazione giudiziale non possa esaurirsi nel mero confronto tra la vendita sottostante alla proposta di accordo in esame e l’esito della procedura di vendita in sede di liquidazione giudiziale. Infatti, occorre considerare che “tali offerte sarebbero verosimilmente coltivabili anche in sede di liquidazione giudiziale e ciò non solo perché, presumendosi fondate su scelta razionale di operatore economico interessato al lucro della propria impresa, esse dovrebbero risultare insensibili alla cornice procedimentale e concorsuale (adr o l.g.) in cui s’inscriva la vendita, ma anche perché le offerte in questione non sono condizionate all’omologa ma puramente e semplicemente vincolate ad un termine”. Dunque, conclude il tribunale, “non si può assumere, sulla base di una riserva mentale o tacita presupposizione, che le offerte valgano solo in questa sede e non in quella liquidatoria. La scelta dello strumento concorsuale al fine di raccogliere le offerte di contestata imperdibilità è dunque irrilevante”[85].  
Altro precedente di merito che, seppure riferito al procedimento di omologa di un concordato semplificato, offre utili spunti per rispondere al quesito oggetto del presente paragrafo è costituito dal Trib. di Treviso del 3 ottobre 2023[86]. Nel caso di specie, in sede di giudizio di omologazione un creditore eccepisce che, non essendo l’offerta del terzo per l’acquisto di uno dei rami aziendali (comprensivo dei beni mobili e delle rimanenze ad esso afferenti) subordinata all’omologa ma solo alla presentazione della domanda di accesso alla procedura di concordato preventivo in continuità indiretta, la comparazione tra i due scenari (liquidazione giudiziale e concordato preventivo) doveva tener conto dello stesso valore di realizzazione per tale ramo e non, invece, il minor valore di perizia assunto come riferimento nella stima dello scenario di liquidazione giudiziale da parte della ricorrente. Il Tribunale ha statuito che “Il motivo non può trovare accoglimento perché la stima del valore dell’azienda nello scenario liquidatorio, pur considerando la vendita unitaria e non atomistica in coerenza con quanto dispone l’art. 214, comma 1, CCI, deve avvenire con riferimento alla data di apertura del concorso. La vendita del Ramo è avvenuta nel contesto della soluzione concordataria ed è il risultato della negoziazione tra le parti condotta successivamente alla composizione negoziata e in funzione della domanda di concordato. Non vi è alcuna evidenza che … [il terzo] avrebbe acquistato l’azienda e alle medesime condizioni anche in caso di apertura della liquidazione giudiziale”.
Infine, uno spunto di riflessione fornito dalla giurisprudenza che pare confermare la tesi sopra sostenuta è fornito dal Tribunale di Lecce del 9 febbraio 2024, ove si legge che “nel caso di liquidazione giudiziale, la cessione [del ramo d’azienda attualmente condotto in affitto] … potrebbe avvenire anche a prezzo inferiore [rispetto alla stima fornita dal perito nominato dal tribunale e pari all’offerta irrevocabile di acquisto formulata dal terzo che attualmente conduce in affitto il ramo aziendale], posto che l’impegno irrevocabile all’acquisto da parte dell’affittuaria ha valenza limitata alla presente procedura”. Infatti, precisa il Tribunale che “con la proposta concordataria stante la proposta irrevocabile di acquisto dellatale prezzo sarà acquisito al patrimonio concordatario; nella ipotesi alternativa della liquidazione giudiziale, non vi è alcun elemento che consenta di affermare con certezza che si riesca a pervenire quantomeno allo stesso risultato e non, invece, ad una cessione a prezzo via via ridotto”[87]. 
In conclusione, è ragionevole ritenere che nel caso in cui un terzo dovesse formulare una offerta di acquisto dell’azienda (o di un ramo di essa o di un altro componente del patrimonio del debitore) ad un valore maggiore rispetto alla stima del valore di liquidazione, tale maggiore valore non necessariamente dovrebbe rappresentare una componente del valore di liquidazione giudiziale e, quindi, del patrimonio da assoggettare alla regola della priorità assoluta. A tal fine, si rende necessario dimostrare che tale maggior valore non esisterebbe nella prospettiva della liquidazione giudiziale e, pertanto, occorre verificare congiuntamente ovvero singolarmente che (i) l’offerta del terzo è condizionata al buon esito della procedura concordataria, poiché in caso contrario l’asset che intende acquisire potrebbe subire degli effetti negativi con ripercussioni sulla sua valorizzazione, e quindi in caso di liquidazione giudiziale tale offerta non potrebbe più ritenersi valida in quanto è proprio il buon esito della procedura a giustificare il maggior valore rispetto allo scenario liquidatorio e (ii) il maggior valore attribuito dal terzo è frutto delle prospettive avviamentali derivanti dall’intervento industriale dello stesso ovvero da altre circostanze che, in caso di apertura della liquidazione giudiziale, non potrebbe emergere.
7 . Il valore di liquidazione del patrimonio nelle società di persone
Un ulteriore tema che si pone attorno alla nozione di valore di liquidazione concerne il patrimonio di riferimento nel caso in cui la proposta di concordato preventivo venga presentata da una società di persone. In particolare, si pone la questione se il valore di liquidazione di cui all’art. 87, comma 1, lett. c) CCII debba comprendere anche il valore del patrimonio dei soci illimitatamente responsabili, nei cui confronti sarebbe estesa l’apertura della liquidazione giudiziale, ai sensi dell’art. 256 CCII. 
Pare ragionevole ritenere che ai fini della determinazione del valore di liquidazione in ipotesi di proposta concordataria avanzata da una società di persone, si debba comprendere anche il valore del patrimonio dei soci illimitatamente responsabili poiché, dovendo determinare il valore in caso di liquidazione giudiziale, si deve tenere conto delle specifiche disposizioni dettate per tale tipologia di società[88]. 
La soluzione opposta, che esclude dal valore di liquidazione sociale il valore del patrimonio dei soci illimitatamente responsabili, potrebbe consentire l’esdebitazione, ai sensi dell’art. 117, comma 2, CCII[89], anche qualora la proposta offrisse ai creditori chirografari un trattamento non deteriore rispetto alla ipotesi di liquidazione giudiziale del solo patrimonio sociale, pur a fronte di una consistenza patrimoniale dei soci idonea a soddisfare in misura integrale, o comunque maggiore, i creditori. 
Sul tema, si potrebbe porre la questione di beni che sopravvengono nel patrimonio del socio illimitatamente responsabile dopo la domanda di concordato, per esempio, a titolo ereditario. Ad avviso di chi scrive, tali beni non dovrebbero rientrare nella stima del valore di liquidazione poiché, stante la previsione di cui all’art. 87, comma 1, lett. c) che individua nella data del deposito della domanda di concordato il momento nel quale effettuare tale stima, si tratta di un diritto sorto in un periodo successivo a tale deposito e, pertanto, fuoriesce dal perimetro di stima del valore di liquidazione. 
8 . I criteri di stima del valore di liquidazione tra dottrina e giurisprudenza
Le regole di distribuzione del patrimonio richiedono di identificare la parte di patrimonio rispetto alla quale trova applicazione la absolute priority rule e l’altra parte sulla quale, invece, può trovare applicazione la regola della priorità relativa. Il valore di liquidazione fornisce una indicazione dirimente, come evidenziato nelle pagine precedenti, ma non specifica, poiché la sua quantificazione dipende da molteplici variabili. 
8.1 . I criteri di stima del valore di liquidazione: vendita atomistica o cessione unitaria dell’azienda
Ai fini della determinazione del valore di liquidazione si rende necessario determinare il valore dei beni del debitore sulla base di criteri che sarebbero adottabili nell’ipotesi (alternativa) della liquidazione giudiziale. In particolare, per la determinazione del valore di liquidazione si deve stimare il possibile valore di realizzo di tutti i beni e diritti liquidabili nel caso di apertura della liquidazione giudiziale, cui va sottratto il presumibile importo delle spese della procedura di liquidazione giudiziale, quantomeno nella misura in cui eccedono quelle della procedura di concordato preventivo[90]. 
Ne discende la necessità di identificare il più probabile valore di realizzo dei singoli beni nella prospettiva della liquidazione atomistica o il più probabile valore di realizzo dell’azienda (o di singoli rami) sia in una prospettiva dinamica di prosecuzione (meramente conservativa e transitoria) dell’attività da parte del curatore mediante l’esercizio provvisorio ex art. 211 CCII[91] sia, qualora quest’ultima non sia praticabile, in una prospettiva statica[92]. Infatti, come autorevolmente osservato, poiché nella liquidazione giudiziale è prevista anche una provvisoria continuazione dell’esercizio dell’impresa, va preferita l’interpretazione secondo la quale nel valore di liquidazione debba essere valutata anche la percorribilità di un possibile esercizio provvisorio, naturalmente nell’ottica della successiva dismissione in favore di terzi dell’azienda o di un ramo di essa[93]. Ne discende, pertanto, che il valore di liquidazione giudiziale dovrebbe essere determinato avuto riguardo all’azienda quale universitas e non ai singoli beni di cui si compone[94], sebbene la Direttiva UE 2019/1023 menzioni i due criteri come alternativi[95]. Tuttavia, la scelta preferenziale dell’art. 214, primo comma, CCII induce ad optare per una considerazione unitaria e non atomistica dei beni. Ciò, tuttavia, non significa che il valore in esercizio provvisorio deve necessariamente rappresentare il parametro di riferimento ai fini del calcolo del valore di liquidazione giudiziale poiché costituisce una evenienza scarsamente ricorrente nella prassi e non può, pertanto, divenire criterio di applicazione generale[96]. Poco rilevante, infatti, è discorrere di un esercizio provvisorio che sarebbe meramente “eventuale”, una “mera ipotesi”, condizionata alla concessione di una autorizzazione giudiziaria; quella che ha ad oggetto il valore di liquidazione è, infatti, comunque una stima, per sua natura incerta, e fondata su previsioni e sulla proiezione di uno scenario futuro alternativo ed ipotetico[97]. In ogni caso, laddove il debitore optasse per la valorizzazione atomistica del compendio aziendale, la scelta deve essere adeguatamente motivata, soprattutto in termini di maggiore convenienza e percorribilità rispetto alla cessione unitaria[98]. 
L’intervento del recente decreto correttivo pare che vada proprio nella direzione sopra esposta: con la modifica apportata all’art. 87, comma 1, lett. c) CCII, ad avviso di chi scrive, il legislatore ha inteso identificare il valore di liquidazione in termini di valore realizzabile dalla vendita atomistica di beni e di diritti, mentre lo scenario della cessione dell’azienda in esercizio diventa quello di riferimento laddove si dimostri che ciò sia concretamente praticabile (“laddove possibile”). Sul punto, le Commissioni Giustizia di Camera e Senato, “al fine di evitare improprie equiparazioni tra concordato in continuità indiretta e liquidazione giudiziale, con conseguente indesiderabile pregiudizio per la percorribilità della soluzione concordataria” hanno chiesto di espungere dalla disposizione in esame le parole “comprensivo dell'eventuale maggior valore economico realizzabile nella medesima sede dalla cessione dell'azienda in esercizio”. La soppressione proposta, come si legge nella Relazione Illustrativa al recente decreto correttivo, determinerebbe lo stravolgimento della modifica apportata con l’intervento correttivo, di cui si è detto infra, con la quale si intende chiarire che, ai fini della stima del valore di liquidazione, va considerato quanto sia ricavabile non solo dalla vendita atomistica dei beni in sede di liquidazione giudiziale ma anche dalla vendita dei complessi produttivi. 
In aggiunta, poiché anche il fattore temporale con il quale i creditori vengono soddisfatti nell’ambito di una procedura concorsuale riveste un rilievo non solo fattuale, ma anche giuridico nella valutazione della soddisfazione dei creditori, al valore di liquidazione andrebbe applicato un tasso di sconto che tenga conto del presumibile tempo di realizzo dell’attivo (particolarmente lungo nel caso di esiti positivi sperati da azioni recuperatorie e risarcitorie) che consenta di attualizzare lo stesso, rendendolo comparabile con la tempistica indicata nel piano di concordato per la soddisfazione dei creditori[99]. 
Tale attualizzazione, tuttavia, ad avviso di chi scrive, non solo deve essere intesa in termini di tempo, ma anche di rischiosità connessa alla situazione di crisi (o insolvenza) in cui versa il debitore. Da ciò discende che, ai fini della stima del valore di liquidazione di un’azienda, si rende necessaria l’applicazione di un congruo haircut, che tenga in debita considerazione lo stato di crisi (o anche, di insolvenza) del debitore. Sul tema, come autorevolmente osservato in dottrina, i principali elementi che distinguono le imprese in difficoltà rispetto alle imprese in condizioni ordinarie sono i seguenti[100]: 
a) il profilo di maggiore rischio: riconducibile a rischi connessi all’impossibilità di proiettare nel futuro uno svolgimento del business in continuità senza interventi correttivi (di ristrutturazione operativa o finanziaria), i rischi connessi alle discontinuità che gli interventi correttivi comportano e quindi di deragliamento dell’azione correttiva pianificata, i rischi di dover riconoscere sconti rilevanti in sede di liquidazione di attività o di emissione di nuovi strumenti di equity o di debito; 
b) la natura e l’origine dello stato di difficoltà: con riferimento alla natura della difficoltà, si può distinguere tra (i) cause idiosincratiche, riferibili a circostanze ed eventi propri della specifica impresa quali ad esempio errori gestionali, frodi, scadenza di brevetti, calamità naturali, perdita di persone chiave, e (ii) cause strutturali comuni a tutte le imprese del settore o talune categorie di imprese che operano nel medesimo settore quali ad esempio flessioni della domanda, discontinuità tecnologiche. In relazione all’origine della crisi, si può distinguere tra (i) cause operative., riferibili a condizioni economiche sfavorevoli, settore in crisi per mancanza di domanda o per lievitazione dei costi non traslabile sui prezzi, debolezze competitive dell’impresa, modello di business superato, errori compiuti nel passato a seguito di previsioni eccessivamente ottimistiche con conseguenti errori strategici e manageriali, e (ii) cause finanziarie, riconducibili a illiquidità, indebitamento eccessivo e costi finanziari sproporzionati; 
c) le tipologie di rischi tipici, che si possono esprimere in termini di rischio di aggressione del patrimonio da parte dei creditori, rischi operativi che assumono la forma di costi indiretti di dissesto, rischi operativi legati alla gestione che ha portato alla crisi, rischi gestionali, legati alla indisponibilità di adeguati supporti informativi o di adeguate competenze manageriali, rischi connessi ai tempi ridotti di azione, rischi connessi alla volatilità delle condizioni di contesto, rischi di diluizione del capitale, rischi di discontinuità gestionale e rischio di piani goal oriented
Le considerazioni svolte al par. 6 si ritiene possano essere condivise anche ai fini della stima del valore di liquidazione dell’azienda in esercizio nell’ambito della liquidazione giudiziale. Infatti, come evidenziato in tale paragrafo, a parere dello scrivente il valore eccedente (sul quale si può applicare la regola della priorità relativa) è costituito unicamente dall’eventuale maggior valore ritraibile dalla vendita dell’azienda in esercizio rispetto a quello ritraibile dalla vendita in sede di liquidazione giudiziale ed esercizio provvisorio. Ciò significa che, ai fini della determinazione del valore di liquidazione, sebbene vada stimato, ove possibile, in ottica dinamica, occorre tenere conto dell’eventuale plusvalore derivante da una (minima) continuità aziendale che sarebbe comunque conseguibile con l’esercizio provvisorio nella liquidazione giudiziale, e non anche il plusvalore derivante dalla continuità come prevista nel piano. In questo senso, pertanto, ai fini della stima del valore di liquidazione si rende necessario valutare la percorribilità di una minima continuità aziendale nell’ambito dell’esercizio provvisorio funzionale alla successiva alienazione dell’azienda a terzi, mentre non devono essere considerati i benefici evidenziati nel piano di concordato per effetto delle relative azioni strategiche finalizzate ad ottenere una maggiore valorizzazione delle poste attive derivanti dalla prospettiva di continuità resa possibile dalla prosecuzione dei rapporti commerciali, grazie anche (eventualmente) all’intervento di soci o terzi finanziatori. D’altronde, la continuità consente, almeno in via teorica, di evitare quello “sconto” insito in ogni liquidazione forzosa, ovvero in ogni conversione coattiva di beni in denaro; il valore aggiunto di una ristrutturazione (da cui trae origine il surplus) è proprio rappresentato dalla possibilità di evitare lo sconto insito nella natura stessa di una cessione forzosa, nonché nella possibilità di sfruttare talune azioni strategiche evidentemente non realizzabili nello scenario liquidatorio. In termini pratici, ai fini della determinazione del valore di liquidazione occorre calarsi nel ruolo di curatore della relativa liquidazione giudiziale, aperta ipoteticamente alla medesima data di presentazione del concordato[101], abbandonare lo scenario concordatario e i relativi benefici evidenziati nel piano in continuità, con le relative azioni strategiche finalizzate ad ottenere un incremento dei ricavi o una riduzione dei costi e, più in generale, una maggiore valorizzazione delle poste attive derivanti dalla prospettiva di continuità resa possibile dalla prosecuzione dei rapporti commerciali, grazie anche all’intervento di soci o terzi finanziatori. Si tratta, quindi, di adottare una logica valutativa cd. as is (che si contrappone alla cd. valutazione dello scenario to be), la cui adozione prevede la considerazione di un’ipotesi di stabilità della formula imprenditoriale dell’azienda, ossia presupponendo che una volta avvenuto il trasferimento del compendio aziendale sia previsto il mantenimento dell’attuale combinazione prodotto-mercato-tecnologie. Pertanto, la determinazione del valore di liquidazione deve fondarsi su una prospettiva dinamica, che privilegi – laddove percorribile – l’ipotesi di vendita unitaria dell’azienda nello stato di fatto in cui si trova e, pertanto, in assenza di interventi di ristrutturazione[102]. Inoltre, le valutazioni dovrebbero essere uniformate non già ai principi di redazione del bilancio di cui all’art. 2423 bis c.c., che prevedono che siano effettuate nell’ottica della continuazione dell’attività (c.d. going concern), ma a criteri di liquidazione. Ciò in quanto la procedura di liquidazione giudiziale è finalizzata a liquidare l’attivo (seppure con la preferenza a salvaguardare l’organismo produttivo) e, pertanto, l’impresa (in esercizio provvisorio) non potrebbe comunque essere considerata alla stregua di un’entità in funzionamento in grado di operare per un prevedibile arco temporale futuro[103]. 
In ordine ai criteri di stima del valore di liquidazione, ad avviso di chi scrive, la valutazione della percorribilità dell’esercizio provvisorio non può prescindere da un attento esame della redditività aziendale; ciò in quanto, in caso di redditività negativa, difficilmente una ipotetica curatela avrebbe interesse a proseguire l’attività d’impresa, sebbene funzionale al successivo trasferimento a terzi, in quanto ciò comporterebbe ragionevolmente un aggravio delle passività che, in ossequio all’art. 6 CCII, sono assistite dal rango prededucibile. Sul tema, lo scenario della liquidazione giudiziale potrebbe differenziarsi rispetto a quella della apertura della procedura di amministrazione straordinaria. In ipotesi di badwill, infatti, nelle procedure fallimentari difficilmente viene esercitato l’esercizio provvisorio[104]. Invero, come noto, il legislatore nell’ambito dell’amministrazione straordinaria pare ammettere la prosecuzione dell’attività anche in caso di redditività negativa, stante anche le diverse finalità sottese alla procedura amministrativa[105]. Infatti, come autorevolmente evidenziato[106], per rendere percorribile un esercizio provvisorio è necessario che gli assetti gestionali e strategici restino invariati rispetto alla gestione precedente (ossia quella che ha gestito l’azienda prima dell’apertura della liquidazione giudiziale) poiché il curatore ragionevolmente non è nelle condizioni di apportare interventi correttivi tipici di un percorso di turnaround che consenta all’impresa di uscire risanata. Pertanto, poiché il curatore eredita l’azienda con le caratteristiche economiche e finanziarie di quel momento, ciò che assume rilievo sono i risultati storici che quel complesso ha cumulato nei vari esercizi (certamente depurati da elementi non caratteristici o riconducibili ad atti di mala gestio). Inoltre, le dinamiche di deterioramento della redditività (rinvenibile dall’andamento dell’EBITDA), ossia la capacità di bruciare cassa di quel complesso, non si interrompono con l’apertura della liquidazione giudiziale; al contrario, ragionevolmente tale redditività assumerà connotati ancora maggiormente negativi a seguito dell’apertura della procedura liquidatoria[107]. In questo conteso, quindi, la previsione di un esercizio provvisorio non appare coerente, tenuto conto che le perdite crescenti di redditività potrebbero avere l’effetto di assorbire il maggior valore attribuibile ai beni unitariamente considerati, riducendo il differenziale di valore tra lo scenario di prosecuzione temporanea dell’attività e di cessione atomistica dei beni, rafforzando così la convenienza della seconda ipotesi rispetto alla prima. 
A favore della conclusione per cui nella determinazione del valore di liquidazione si debba tenere conto della possibilità di disporre l’esercizio provvisorio, milita anche la considerazione per cui il debitore, approcciandosi ad un concordato in continuità aziendale, si presume che abbia ancora a disposizione un’azienda o un ramo di essa in grado di funzionare e produrre valore; pertanto, se si ritiene che sussista una qualche utilità alla prosecuzione dell’attività nell’ambito concordatario, sarebbe illogico non valorizzare il complesso aziendale in esercizio. D’altronde, l’esercizio provvisorio è istituto poco utilizzato anche per la difficoltà del tribunale e del curatore di valutare, con l’indispensabile rapidità, se vi siano i presupposti per darvi corso. Tuttavia, se alla liquidazione giudiziale si giunge in esito ad una proposta di concordato in continuità che non abbia avuto esito positivo, tali difficoltà dovrebbero essere decisamente attenuate. Da qui la conclusione per cui nella determinazione del valore di liquidazione si deve tenere conto della possibilità di disporre l’esercizio provvisorio, quantomeno in via potenziale, potendo essere escluso soltanto se, con motivato e convincente assunto, si dimostri che tale istituto non possa essere proficuamente attuato nel caso specifico[108]. E questo, a maggior ragione, qualora siano state formulate offerte di acquisto dell’azienda funzionante. 
Altro elemento che, ad avviso di chi scrive, dovrebbe essere dirimente ai fini della valutazione della percorribilità dell’esercizio provvisorio e quindi della sua preferibilità rispetto ad una liquidazione atomistica dei beni e diritti è rappresentato dal settore di riferimento e, conseguentemente, dall’appetibilità dell’azienda in esercizio per un potenziale acquirente. Infatti, nell’ipotesi in cui l’azienda operi in un settore in crisi, che in quanto tale si connota per una scarsa (se non addirittura assente) redditività e attrattività, l’avvio di un esercizio provvisorio si connota per una maggiore rischiosità di insuccesso, stante (i) la difficoltà per una ipotetica curatela di conseguire risultati economici positivi con conseguente rischio di aggravio delle spese prededucibili e (ii) la difficoltà di individuare, in tempi celeri, un compratore interessato all’azienda in esercizio. 
Sul tema, pare che l’orientamento giurisprudenziale ad oggi prevalente sia nel senso di ritenere che il valore di liquidazione debba assumere connotati dinamici, ossia vada individuato, anzitutto, come valore di cessione dell’azienda o di singoli rami, o in alternativa vadano spiegate in maniera analitica e completa le ragioni dell’impossibilità di cedere l’azienda nel suo complesso o per singoli rami[109]. 
Ritenuto che ai fini della stima del valore di liquidazione occorre verificare se, al momento della domanda di concordato, l’azienda sia o meno nelle condizioni di essere posta in esercizio provvisorio, si pone la questione se ricomprendere in tale valore anche l’utile (prospetticamente) percepibile durante l’esercizio provvisorio, inteso come differenza tra ricavi e costi sostenuti dalla curatela nell’esercizio dell’impresa in liquidazione giudiziale. Ad avviso di chi scrive e premessa la necessità di valutare la concreta praticabilità dell’esercizio d’impresa in liquidazione giudiziale, tenuto conto che, ai sensi dell’art 87, comma 1, lett. c) CCII la data di riferimento ai fini della stima del valore di liquidazione è rappresentata dalla “domanda di concordato”, tale differenza di componenti reddituali realizzata nell’ambito dell’esercizio dell’impresa da parte della curatela non dovrebbe essere ricompreso nella stima del valore di liquidazione in quanto ciò che eventualmente avanza nell’ambito dell’esercizio provvisorio non rientra nel patrimonio del debitore alla data della domanda di concordato. In tal caso, dunque, rappresenta valore di liquidazione l’azienda (in esercizio) e non il valore dei beni atomisticamente considerati.
8.2 . Il computo delle utilità eventualmente rinvenibili dall’esercizio di azioni recuperatorie, risarcitorie e revocatorie
Infine, un aspetto dirimente nella definizione delle modalità di calcolo del valore di liquidazione è rappresentato dal computo o meno dei potenziali crediti derivanti dall’esercizio di azioni risarcitorie e recuperatorie[110], nonché di azioni di inefficacia e revocatorie ex artt. 163 e seguenti CCII[111]. Tema che si pone considerando altresì che il legislatore ha formalmente tenuto distinto dal valore di liquidazione, menzionato alla lettera c) dell’art. 87 CCII, le azioni risarcitorie e recuperatorie, nonché quelle eventualmente proponibili solo nel caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale, richiamate invece nella lettera h) [112] della medesima disposizione[113]. 
Sul tema appare condiviso che nel valore di liquidazione debbano essere compresi anche i crediti, al netto dei costi di realizzo, derivanti da azioni risarcitorie e recuperatorie, tenendo conto del potenziale successo e realizzo delle stesse, come opportunamente richiesto dal legislatore[114]. Dibattuta, invece, appare l’inclusione nel valore di liquidazione delle azioni proponibili solo nel caso di apertura della liquidazione giudiziale. Come noto, infatti, vi sono azioni che non trovano collocazione nel concordato preventivo poiché presuppongono l’apertura della liquidazione giudiziale: ci si riferisce alle azioni di inefficacia ex artt. 144 (atti compiuti dopo l’apertura della liquidazione giudiziale) e 163 (atti a titolo gratuito) e 164 (pagamento di debiti non scaduti e debiti postergati) CCII e alle azioni di revocatoria concorsuali ex art. 166 CCII. Secondo un filone dottrinale, tali azioni, non essendo esercitabili nell’ambito del concordato preventivo, non costituiscono un asset concordatario e, pertanto, non sarebbero da includere nel valore di liquidazione. L’indicazione delle azioni revocatorie e delle altre azioni esercitabili solo nella liquidazione giudiziale assolverebbe, secondo tale orientamento, unicamente una funzione di supporto alla valutazione di convenienza del concordato, mentre il valore di liquidazione dovrebbe essere destinato a misurare unicamente il valore degli asset ricompresi nell’attivo patrimoniale distribuibile ai creditori concordatari, al netto dell’eventuale surplus da continuità e da eventuali apporti gratuiti provenienti da terzi[115]. Secondo altro filone dottrinale, farebbero parte del valore di liquidazione anche gli attivi che potrebbero derivare da azioni revocatorie, poiché l’art. 84, comma 1, CCII chiarisce che con il concordato è necessario garantire il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile nella liquidazione giudiziale. Pertanto, se la comparazione deve essere fatta con tale ipotesi alternativa, sarebbe pacifico che anche il ricavato dalle potenziali azioni revocatorie sia incluso nel concetto di valore di liquidazione[116]. 
Sul tema pare che, allo stato attuale, la giurisprudenza sia orientata ad includere nella stima del valore di liquidazione le utilità eventualmente reperibili dalle azioni risarcitorie, recuperatorie e revocatorie esperibili anche o “solo” nella liquidazione giudiziale[117]. Invero, tale orientamento è conforme a quello della giurisprudenza di legittimità formatosi nel vigore della legge fallimentare. Secondo la Corte di cassazione, infatti, in tema di concordato preventivo, la relazione ex art. 160, comma 2, L. fall., (oggi art. 84, comma 5, CCII) deve contenere le valutazioni circa la possibilità di esperire eventuali azioni risarcitorie o revocatorie, risultando le stesse necessarie per la corretta quantificazione e valutazione del possibile attivo ricavabile in sede di liquidazione e per fornire ai creditori un adeguato set informativo funzionale a consentire loro di decidere con cognizione di causa quale posizione assumere nei confronti della proposta concordataria, con la conseguenza che l’indicazione di dati incompleti o parziali, che potrebbero indurre a ritenere l’inesistenza di alternative o di migliori possibilità di realizzo, danno luogo ad una violazione dei presupposti giuridici della procedura[118]. 
Sul tema è intervenuto il recente decreto correttivo precisando, all’art. 84, comma 1, lett. c) CCII che il valore di liquidazione deve essere stimato tenendo anche conto “delle ragionevoli prospettive di realizzo delle azioni esperibili, al netto delle spese”. Sul tema, infatti, la Relazione Illustrativa precisa che con la modifica alla definizione del valore di liquidazione, il legislatore “chiarisce … che … occorre tener conto anche del possibile e ragionevole esito positivo di azioni recuperatorie o risarcitorie collegate alla liquidazione giudiziale (come ad esempio le azioni revocatorie e le azioni di responsabilità promosse dal curatore), al netto delle relative spese”.
9.1 . Le risorse esterne tra legge fallimentare, orientamento consolidato della Corte di Cassazione e Codice della crisi
Come noto, nella previgente legge fallimentare l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione[119] in ordine al perimetro della nozione di “finanza esterna” era nel senso che l’apporto del terzo risulti neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società, non comportando né un incremento dell’attivo patrimoniale del debitore, sul quale i creditori privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati secondo il loro grado, né un aggravio del passivo della stessa, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo, indipendentemente dalla circostanza che tale credito sia stato postergato o meno[120].
A seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 83/2022 si è posta la questione se la “finanza esterna” (o, meglio, le “risorse esterne” per usare la terminologia codicistica[121]) nella accezione di “apporto neutrale del terzo”, come definita dalla S.C. nelle pronunce nell’ambito della previgente legge fallimentare, possa ritenersi di libera distribuzione, ovvero se tali valori debbano comunque essere computati al fine di verificare il rispetto complessivo della regola di priorità relativa nel concordato in continuità aziendale. Ciò in quanto la nozione di finanza esterna emersa dall’orientamento consolidato della S. Corte è stata travasata nel Codice della crisi espressamente solo con riferimento al concordato liquidatorio, quantomeno prima del recente intervento correttivo. Il Codice della crisi, infatti, fornisce una definizione di risorse esterne soltanto con riferimento al concordato liquidatorio, disciplinato dall’art. 84, comma 4, CCII. Ai sensi di quest’ultimo, “Si considerano esterne le risorse apportate a qualunque titolo dai soci senza obbligo di restituzione o con vincolo di postergazione, di cui il piano prevede la diretta destinazione a vantaggio dei creditori concorsuali” e, in quanto tali, una volta rispettata la soglia del 20%, possono essere distribuite anche in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. Nel concordato in continuità aziendale, invece, non si rinviene alcuna definizione di risorse esterne[122], facendo così emergere il dubbio se tali valori debbano essere computati al fine di verificare il rispetto complessivo della regola di priorità relativa nel concordato in continuità aziendale, ovvero se possano essere utilizzati liberamente.
9.2 . Le risorse esterne nel concordato in continuità: le due differenti tesi
Come osservato da autorevole dottrina, la circostanza che, prima del recente intervento correttivo, le risorse esterne siano state espressamente contemplate dal legislatore soltanto nel concordato liquidatorio, non significa che esse costituiscano un asset estraneo al concordato in continuità aziendale e neppure che in tale tipologia concordataria esse non siano liberamente distribuibili in deroga ai principi della responsabilità patrimoniale del debitore[123]. Infatti, la nozione di risorse esterne è di origine giurisprudenziale ed è stata travasata espressamente nel solo concordato liquidatorio in quanto è soltanto in tale tipologia concordataria che l’apporto di risorse esterne non è solo un evento accidentale, bensì rappresenta sempre un requisito indefettibile di ammissibilità. Nel concordato in continuità aziendale, invece, l’apporto di risorse esterne non è un fattore determinante e neppure un elemento necessario ed indefettibile ai fini dell’ammissibilità. Ne discende che le risorse esterne nel concordato in continuità, possono esservi o mancare e, quando presenti, possono essere distribuite interamente in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. Sulla scia di tale orientamento, pertanto, i flussi prodotti da una prosecuzione aziendale propiziata dall’apporto di risorse da parte di un terzo ereditano i caratteri della finanza esterna, e risultano, quindi, liberamente distribuibili; il principio dell’intangibilità dell’ordine delle cause di prelazione non vieta all’estraneo di condizionare il proprio sostegno finanziario alla soddisfazione preferenziale di crediti posposti, purché l’apporto abbia i connotati definiti dalla S.C.[124]. 
Questa tesi, tuttavia, non è ampiamente condivisa non solo in giurisprudenza, ma anche in dottrina. Secondo autorevole autore, infatti, le risorse esterne andrebbero ricondotte al valore eccedente quello di liquidazione con conseguente applicazione delle regole distributive ad esso dettate (priorità relativa). Atteso che le risorse esterne non rientrano nel valore di liquidazione, perché non vi sarebbero state in ipotesi di liquidazione giudiziale, le stesse rientrano necessariamente nel valore eccedente quello di liquidazione, assoggettandosi alle regole distributive previste per queste risorse[125]. Nel concordato in continuità aziendale non sarebbe corretto ritenere che vi sia una lacuna normativa in tema di disciplina delle risorse esterne[126], in quanto tale disciplina esiste ed è di contenuto contrario e opposto rispetto a quella della disciplina del concordato liquidatorio, precludendo altresì la possibilità di applicazione analogica. Detto ciò, è opportuno precisare che, al pari dei flussi di cassa della continuità[127], anche le risorse esterne devono fare i conti con l’eventuale interesse del debitore a non liquidare i beni funzionali alla prosecuzione dell’attività d’impresa e, conseguentemente, sebbene contribuiscano a determinare il valore eccedente quello di liquidazione, non sempre e necessariamente rientrano nello stesso. Poiché il valore dei beni trattenuti dal debitore rientra nel valore di liquidazione, per compensare quella quota parte di tale valore che può non essere distribuita con il realizzo dei relativi beni, il debitore dovrà necessariamente utilizzare il valore da continuità e/o eventualmente anche gli apporti di terzi costituenti le risorse esterne. Pertanto, se il debitore riserva per sé una parte del proprio patrimonio e i flussi liberi da continuità sono inferiori rispetto a quella parte di valore trattenuto dal debitore, una parte delle risorse esterne resteranno assorbite nel valore di liquidazione, che consente di compensare la parte di patrimonio trattenuto[128]. 
Sul tema dell’apporto di risorse esterne nell’ambito del concordato in continuità aziendale, ad oggi, la giurisprudenza di merito non è giunta ad un orientamento consolidato. Secondo una parte della giurisprudenza sinora emersa è stata attribuita al debitore la facoltà di distribuire le somme apportate dai terzi in modo del tutto libero, senza dover sottostare né alla regola della priorità relativa né alla regola della priorità assoluta[129]. Secondo altri tribunali, invece, le risorse esterne devono essere distribuite secondo la regola distributiva propria del valore eccedente quello di liquidazione, ossia secondo la regola della priorità relativa, “trattandosi in ogni caso di importi esorbitanti rispetto all’ammontare ritraibile dal valore di realizzo dei cespiti della Società, difatti, nel mutato contesto normativo del Codice della Crisi, il dato scriminante della neutralità dell’apporto del terzo rispetto al patrimonio della società debitrice, cruciale per distribuire la somma in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. sotto la vigenza della legge fallimentare, mantiene rilevanza nel solo concordato liquidatorio, sicché è indifferente ai fini della tenuta del piano presentato la diversa qualificazione operata dalla Società in termini di “finanza esterna” dell’apporto di capitale”[130]. 
Il tema delle regole distributive da applicare alle risorse esterne è stato specificatamente affrontato in giurisprudenza con riferimento all’ipotesi di concordato con assuntore[131], rispetto alla quale è stata anzitutto ritenuta applicabile la disciplina dettata in caso di continuità indiretta nel caso di specie, considerato che, successivamente all’omologazione, viene prospettata una continuazione in senso oggettivo dell’attività di impresa. In primo luogo, i giudici di merito precisano che la regola di distribuzione di cui all’art. 84, comma 6, CCII deve trovare applicazione anche con riferimento alla “finanza nuova”, poiché il dettato di cui al quarto comma dell’art. 84 è stato previsto soltanto con riferimento al concordato liquidatorio. Detto ciò, nel concordato con assuntore, ove l’apporto risulta condizionato alle esigenze concordatarie ed è strutturato per poter far sì che l’assuntore possa succedere alla società debitrice, valgono le regole distributive dettate per il concordato in continuità, nonché il precetto di cui all’art. 88, comma 1, CCII. In particolare, nel caso in esame, il Tribunale ha ritenuto che la proposta concordataria violi la regola distributiva della relative priority rule di cui all’art. 84, comma 6, CCII e dell’art. 88 CCII, poiché prevede il pagamento di un credito chirografario al 100%, mentre i creditori, degradati al chirografo, sono pagati ad una percentuale inferiore. 
Sul tema è intervenuto il recente decreto correttivo, sposando la tesi della libera distribuzione delle risorse esterne anche nell’ambito del concordato preventivo in continuità aziendale. In particolare, il legislatore ha modificato il comma sesto dell’art. 84 CCII che, come noto, disciplina specificatamente le regole distributive nell’ambito del concordato preventivo in continuità aziendale, specificando che “Le risorse esterne possono essere distribuite in deroga alle disposizioni di cui al primo e secondo periodo del presente comma”. Sul tema, nella Relazione Illustrativa si legge che tale modifica consente “l’esplicitazione della regola per cui le risorse esterne all’impresa, quelle cioè non riconducibili al suo patrimonio, possono essere distribuite liberamente non ricadendo nell’ambito applicativo della garanzia patrimoniale che la legge costituisce in linea generale in capo al debitore”.
10.1 . La composizione negoziata
Come noto, la composizione negoziata non rappresenta una procedura concorsuale[132], bensì un luogo in cui il debitore entra volontariamente, o per spinta “gentile” dell’organo di controllo, e nel quale si dipana lo svolgimento delle trattative alla presenza di un terzo che non assiste l’imprenditore, ma ha il compito di facilitare e stimolare gli accordi[133]. Stante la natura giuridica della composizione, in tale percorso negoziato non trovano applicazione le regole di distribuzione del patrimonio. Tenuto conto dei possibili esiti della composizione negoziata e della circostanza per cui si tratti di un percorso per addivenire alla risoluzione della crisi, si può ritenere che le regole di distribuzione trovino (eventualmente) applicazione ad esito della stessa, in funzione della soluzione adottata dal debitore. L’estraneità della composizione negoziata rispetto alle regole distributive, tuttavia, oltre che lasciare comunque aperte alcune delicate questioni in relazione a specifici snodi della stessa[134], non fa venire meno la rilevanza del valore di liquidazione nell’ambito delle trattative funzionali al risanamento d’impresa, tenuto anche conto che, in linea di principio, ogni creditore ha, innanzitutto, diritto a vedersi soddisfatto quantomeno in proporzione alla propria quota sul valore di liquidazione della sua pretesa creditoria[135]. 
A parere dello scrivente, sin dall’accesso alla composizione negoziata un imprenditore avveduto, unitamente ai propri consulenti, ha già identificato, seppure prima facie non in modo puntuale e definitivo, il valore di liquidazione della propria azienda, ovvero i criteri direttivi da applicare ai fini della stima dello stesso. Tale valore, infatti, è funzionale alla conduzione delle trattative con le parti interessate e può rappresentare un elemento dirimente ai fini dell’accettazione delle proposte formulate dall’imprenditore nell’ambito del percorso negoziato. Conoscere il valore di liquidazione dell’azienda significa consentire alla parte interessata di simulare il proprio diritto di vedersi soddisfatte le proprie ragioni di credito, nel rispetto delle cause legittime di prelazione, nello scenario estremo rappresentato dalla liquidazione giudiziale[136]. Ciò anche in considerazione del fatto che, una volta emerso lo stato di crisi, come può verificarsi anche nell’ambito del percorso negoziato, il creditore diviene titolare di un’aspettativa ad essere soddisfatto almeno nei limiti del valore di liquidazione, analogamente a quanto accadrebbe qualora fosse dichiarata l’apertura di una procedura di liquidazione giudiziale. Infatti, i creditori che negoziano con l’imprenditore nella prospettiva della absolute priority rule, caratterizzata da una indubbia oggettività derivante dalla rigorosa ripartizione dell’attivo, sono consapevoli di quale potrebbe essere lo scenario alternativo qualora non assecondino le istanze negoziali dell’imprenditore in crisi[137]. 
A rafforzare una simile conclusione si può richiamare quanto indicato dal decreto dirigenziale del 21 marzo 2023, al paragrafo 13. In quest’ultimo si legge che in “qualunque momento risulti utile per le trattative, è opportuno che l’esperto proceda alla stima delle risorse derivanti dalla liquidazione dell’intero patrimonio o di parti di esso ... La stima consente alle parti con le quali sono in essere le trattative di valutare le utilità che deriverebbero dalla liquidazione, nel rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione”[138]. 
Invero, come è stato evidenziato in giurisprudenza di merito in tema di concordato semplificato, “le trattative con i creditori … [devono svolgersi] secondo correttezza e buona fede ove i creditori, nella fase di composizione negoziata della crisi, siano stati effettivamente messi, con trasparenza, nelle condizioni di valutare una proposta di accordo effettivamente migliore rispetto alla alternativa liquidatoria tipicamente fallimentare, nell’alveo della quale, come noto, costituiscono un importante, ancorchè altamente aleatorio ed ipotetico, asset attivo le eventuali azioni revocatorie, restitutorie, risarcitorie che appartengono alla massa di azioni teoricamente esperibili dalla procedura fallimentare[139] (nei confronti dell’imprenditore, dei terzi, degli stessi creditori, etc.)”[140]. 
Se la composizione negoziata rappresenta un percorso per addivenire ad una delle possibili definizioni della crisi, è ragionevole concludere che ogni percorso di risanamento debba prendere avvio dalla stima del valore di liquidazione e, in particolare, dall’individuazione dei più opportuni criteri da adottare nel caso specifico al fine di giungere ad una opportuna stima del valore di liquidazione. 
Quanto sopra a maggior ragione è vero qualora si ritenga che nel caso specifico la continuità aziendale possa essere salvaguardata soltanto attraverso il trasferimento a terzi dell’azienda o di un ramo di essa. In tal caso, la stima del complesso aziendale assume carattere di estrema urgenza al fine di stimare le risorse realizzabili attraverso la cessione dell’azienda o di rami di essa e compararle con il debito che deve essere servito per comprendere la praticabilità del risanamento.
10.2 . Piano attestato, Accordi di ristrutturazione e Piano di ristrutturazione omologato: diritto al valore di liquidazione
Come opportunamente osservato, la spinta propulsiva del prognostico valore del patrimonio in ipotesi di liquidazione giudiziale, inteso quale parametro di riferimento nella comparazione distributiva, permea ogni quadro di ristrutturazione preventiva[141]. 
Per il piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII, non qualificandosi come una procedura concorsuale[142], valgono le medesime conclusioni esposte nel paragrafo precedente con riferimento alla composizione negoziata: il valore di liquidazione assume un ruolo dirimente ai fini della conduzione delle trattative finalizzate ad addivenire ad un accordo in esecuzione di un piano attestato di risanamento idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria e ad assicurare il riequilibrio della situazione economico-finanziaria[143]. 
Ad analoghe considerazioni si può giungere con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti “ordinari” ex art. 57 CCII, indipendentemente dalla vexata questio della natura concorsuale o meno di tale strumento[144]. 
Differente, invece, è il caso di accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa ex art. 61 CCII, ovvero di accordi di ristrutturazione dei debiti accompagnati da una proposta di trattamento dei debiti tributari e contributivi ex art. 63 CCII. In tali casi, connotati dalla possibilità di estendere a determinate condizioni gli effetti dell’accordo ai creditori non aderenti, il legislatore impone che venga rispettato il requisito dell’assenza di pregiudizio (ovvero la sussistenza di convenienza) rispetto alla alternativa della liquidazione giudiziale. In particolare, nell’ambito degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, il legislatore consente di “trascinare” i creditori non aderenti a condizione, tra le altre, che questi “possano risultare soddisfatti in base all’accordo stesso in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale”. Ne discende che negli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, il diritto al valore di liquidazione si configura in termini di diritto individuale, secondo la regola del test di convenienza rispetto alla liquidazione giudiziale, mentre il valore eccedente si inquadra in termini di diritto collettivo, poiché la categoria può accettare qualsiasi distribuzione del valore, purché nel rispetto di tale test. Nell’ambito del c.d. cram down erariale, ai sensi dell’art. 63, comma 2 bis, CCII, il legislatore consente di giungere all’omologazione forzata da parte del tribunale purché, tra gli altri, “la proposta di soddisfacimento …. [sia] conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria” [145]. 
In maniera non dissimile dagli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, anche nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione ex art. 64 bis CCII (in seguito “PRO”), il valore di liquidazione assume un ruolo dirimente ai fini dell’esito positivo di tale strumento. In particolare, dalla lettura del dato letterale delle disposizioni che disciplinano il piano omologato, pare che il debitore possa offrire ai creditori un soddisfacimento anche inferiore rispetto a quello realizzabile in caso di liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione[146]. Tuttavia, ciò non comporta l’irrilevanza della determinazione del valore di liquidazione[147]. Ciò in quanto, a compensazione della estrema flessibilità concessa dal legislatore all’imprenditore che intende ricorrere al piano omologato, l’art. 64 bis, comma 8, CCII prevede che ciascun creditore sia legittimato a sottoporre al tribunale, mediante l’opposizione all’omologazione, un test di convenienza rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, con il risultato che, se non viene superato, l’omologazione deve essere negata. Nel PRO, pertanto, le classi (obbligatorie) possono accettare qualsiasi distribuzione, tuttavia, a tale potere si contrappone il limite rappresentato dal diritto di ciascun creditore di ottenere, in sede di opposizione, il valore di liquidazione della sua pretesa[148]. Ne discende che, qualora si considerasse irrilevante la stima del valore di liquidazione, e conseguentemente le regole di distribuzione del patrimonio, l’omologazione verrebbe negata dal tribunale qualora il creditore “svantaggiato” proponga opposizione eccependo il difetto di convenienza[149]. In conclusione, non pare condivisibile l’affermazione per cui nel PRO operi alcuna regola distributiva, potendo il tribunale omologare solo se risulta che il creditore opponente sia soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale: il rigido ordine di priorità è derogabile o esplicitamente dal creditore, che si esprime favorevolmente alla proposta, o implicitamente, attraverso la mancata opposizione all’omologazione. 
11.1 . Il ruolo degli equity holders nella Direttiva Insolvency
Prima di analizzare, per quanto rilevante in questa sede, il tema del valore riservato ai soci nel diritto nazionale, è opportuno focalizzare anzitutto l’attenzione sulle indicazioni fornite dalla Direttiva (UE) 2019/1023, poiché è in attuazione di quest’ultima che il Codice della crisi, per effetto delle modifiche apportate dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 (c.d. decreto Insolvency, appunto), ha introdotto disposizioni specificamente dettate in tema di attribuzioni ai soci, ai sensi degli artt. 120 ter e 120 quater CCII. In diverse parti della Direttiva Insolvency si rinviene come l’introduzione della più flessibile regola della priorità relativa sia stata prevista anche al fine di favorire il coinvolgimento dei soci (equity holders) nella distribuzione del valore. 
In primo luogo, il Cons. 56 prevede che “Gli Stati membri dovrebbero poter derogare alla regola della priorità assoluta, se ad esempio si consideri giusto che i detentori di strumenti di capitale mantengano determinati interessi ai sensi del piano, nonostante che una classe di rango superiore sia obbligata ad accettare una falcidia dei suoi crediti, o che i fornitori essenziali cui si applica la disposizione sulla sospensione delle azioni esecutive individuali siano pagati prima di classi di creditori di rango superiore. Gli Stati membri dovrebbero poter scegliere quale dei suddetti meccanismi di protezione predisporre”. 
Altrettanto significativo in relazione alla rinnovata considerazione degli interessi in gioco che includano anche i soci, è il Cons. 59, secondo il quale “Ai fini della sua attuazione, il piano di ristrutturazione dovrebbe contemplare la possibilità che i detentori di strumenti di capitale di PMI forniscano assistenza alla ristrutturazione in forma non monetaria, attingendo ad esempio alla loro esperienza, reputazione o contatti commerciali”. 
Viene altresì in rilievo il Cons. 48 ove si legge che “L’omologazione del piano di ristrutturazione da parte dell'autorità giudiziaria o amministrativa serve per garantire che la riduzione dei diritti dei creditori o delle quote dei detentori di strumenti di capitale sia proporzionata ai benefici della ristrutturazione e che tali soggetti abbiano accesso a un ricorso effettivo” [150]. 
Il favor del legislatore europeo verso il coinvolgimento degli equity holders nella ristrutturazione si rinviene anche nelle disposizioni specifiche riguardanti i poteri e diritti dei soci. In particolare, in tema di diritti di voto dei soci, il Cons. 43 prevede che “ove consentito dal diritto nazionale, i detentori di strumenti di capitale dovrebbero avere diritto di voto in merito all'adozione del piano di ristrutturazione”. Ancora, il Cons. 58, che contempla la possibilità di istituire “diverse classi di detentori di strumenti di capitale qualora sussistano diverse classi di azionisti con diritti diversi”. 
Infine, la Direttiva Insolvency si preoccupa di scongiurare un eventuale esercizio abusivo od ostruzionistico dei diritti dei soci, tale da ostacolare indebitamente l’approvazione ed attuazione del piano di ristrutturazione. In particolare, il Cons. 57, ove si legge che “Sebbene sia necessario tutelare i legittimi interessi degli azionisti o altri detentori di strumenti di capitale, gli Stati membri dovrebbero garantire che essi non possano impedire irragionevolmente l'adozione di un piano di ristrutturazione che ripristinerebbe la sostenibilità economica del debitore”. In funzione di ciò, l’art. 12 della Direttiva Insolvency (rubricato “Detentori di strumenti di capitale”) dispone che “gli Stati membri provvedono con altri mezzi affinché ai detentori di strumenti di capitale non sia consentito di impedire o ostacolare irragionevolmente l'adozione e l'omologazione di un piano di ristrutturazione”.
11.2 . Il valore riservato ai soci nel CCII
L‘idea della regola della priorità relativa, quale paradigma alternativo idoneo a correggere la rigidità della regola della priorità assoluta, consentendo di soddisfare interessi da questa oscurati, trova per lo più giustificazione nell’esigenza di coinvolgere nella distribuzione del valore dell’impresa in crisi, oltre che alcune categorie di creditori junior, comunque strategici per il buon esito della ristrutturazione, anche e, soprattutto, i soci anteriori[151], colmando altresì una evidente lacuna mostrata dalla previgente legge fallimentare[152]. Infatti, l’ipotesi tipica considerata è quella in cui il valore disponibile non è di per sé sufficiente all’integrale soddisfacimento dei creditori in applicazione della regola della priorità assoluta e, conseguentemente, alcun valore potrebbe essere destinato ai soci, quali residual claimant: da qui l’applicazione di una versione peculiare della regola della priorità relativa, che consenta una attribuzione di valore anche ai soci. 
Alla luce di ciò, il D.Lgs. n. 83/2022 ha introdotto, all’interno della nuova disciplina “Degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società” (artt. da 120 bis a 120 quinquies CCII), apposite previsioni volte a normare possibili attribuzioni[153] ai soci del “valore risultante dalla ristrutturazione” nel concordato preventivo in continuità aziendale[154]. Tali norme sono funzionali a individuare le condizioni poste dal legislatore per consentire ai soci la distribuzione (il più delle volte, rectius, la conservazione) di un valore che, in alternativa, potrebbe (ovvero dovrebbe) essere destinato ai creditori, in quanto attiene al patrimonio del debitore: da qui l’esigenza del legislatore europeo e nazionale di individuare delle condizioni alla omologazione di un piano di ristrutturazione che preveda tale distribuzione del valore[155]. In altre parole, si tratta di disciplinare la possibilità “that equity holders keep certain interests” (Cons. 56) nella società che risulterà all’esito della ristrutturazione, in base alla conservazione o al riacquisto di partecipazioni sociali o di altri strumenti per acquisirle (quali, a titolo esemplificativo, opzioni, warrant), piuttosto che vedere ridotti o azzerati tali interessi a causa delle perdite economiche che generalmente comportano la fuoriuscita dei soci dagli esiti della ristrutturazione non soltanto per effetto dell’azzeramento del capitale e nuovo aumento con esclusione del diritto di opzione ai vecchi soci, ma anche per il semplice fatto che la società, una volta destinate le risorse disponibili al soddisfacimento dei creditori, sia priva di ogni valore. 
L’art. 120 quater CCII[156], rubricato “Condizioni di omologazione del concordato con attribuzione ai soci”, prevede, al primo periodo, che “se il piano prevede che il valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato anche ai soci anteriori alla presentazione della domanda, il concordato, in caso di dissenso di una o più classi di creditori, può essere omologato se il trattamento proposto a ciascuna delle classi dissenzienti sarebbe almeno altrettanto favorevole rispetto a quello proposto alle classi del medesimo rango e più favorevole di quello proposto alle classi di rango inferiore, anche se a tali classi venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci.”. Il legislatore definisce “valore riservato ai soci” quale “valore effettivo, conseguente all’omologazione della proposta, delle loro partecipazioni e degli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle, dedotto[157] il valore da essi eventualmente apportato ai fini della ristrutturazione in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto oppure, per le imprese minori, anche in altra forma”[158]. Resta, tuttavia, aperta la questione della metodologia da adottare ai fini della determinazione del valore riservato ai soci[159]. 
Ai fini dell’omologazione di un siffatto concordato, il legislatore richiede quindi una simulazione che consista nella verifica che in un ipotetico scenario alternativo, ove il valore ora riservato ai soci venga invece trattenuto ai creditori secondo la regola della priorità assoluta, “risalendo”[160] alle classi (consenzienti) dei creditori che hanno pari rango o rango inferiore rispetto alle classi di creditori dissenzienti, le quali conserverebbero comunque un trattamento conforme alla regola della priorità relativa, in quanto “almeno altrettanto favorevole” delle classi di pari grado e “più favorevole” delle classi inferiori[161]. Pertanto, se, considerata tale attribuzione fittizia di valore, i creditori sono comunque soddisfatti più favorevolmente rispetto alle classi inferiori e almeno altrettanto favorevolmente rispetto a quelle di pari grado, il concordato può essere omologato. Ricorrendo tali presupposti sarebbe economicamente indifferente, per la classe dissenziente, il fatto che il piano abbia consentito ai soci di avvantaggiarsi della ristrutturazione (resa possibile grazie al sacrificio dei creditori che patiscono la falcidia), senza che tale vantaggio sia riversato a favore del ceto creditorio; al contrario, se la suddetta prova di resistenza dovesse comportare un esito economicamente svantaggioso per il creditore dissenziente, il vantaggio economico per i soci non potrebbe allora giustificarsi e, conseguentemente, il concordato non potrebbe essere omologato. Da tale previsione discende, tra gli altri, che la “mancata distribuzione a favore dei creditori del vantaggio economico conseguente alla ristrutturazione (per effetto della falcidia) implica, quindi, il rischio che in caso di dissenso anche di una sola classe il concordato non possa essere omologato, senza che a quel punto alla debitrice possa essere consentito porre rimedio, atteso che – ai sensi dell’art. 90, c. 8 CCII – la proposta può essere modificata solo prima dell’inizio delle votazioni. Tenuto conto del disposto dell’art 120quater, c. 2 CCII tale rischio di mancata omologa non si presenterebbe nel caso in cui i soci dovessero decidere di mettere sin da subito a disposizione finanza terza di entità almeno corrispondente al valore che le loro partecipazioni acquisiranno per effetto dell’omologa. In tal caso, infatti, il piano non prevederebbe più la riserva del valore di ristrutturazione ai soci e, pertanto, la preclusione all’omologa prevista dall’art 120quater, c. 1 CCII non potrebbe operare”[162]. 
Come autorevolmente osservato, la previsione dell’art. 120 quater CCII qui esaminata non comporta alcuna violazione delle condizioni di omologazione di cui all’art. 112 CCII. Da un lato, requisito di applicazione della regola della priorità relativa è che i crediti delle classi dissenzienti ricevano un trattamento “almeno pari” a quello delle classi dello stesso grado e “più favorevole rispetto alle classi di grado inferiore” (art. 112, comma 2, lett. b) CCII), sicché anche rispetto alle classi di uguale rango il trattamento può essere legittimamente più favorevole (la soglia non è u soddisfacimento “pari” ma “almeno pari”). Dall’altro lato, una parità di trattamento è imposta solo fra “creditori all’interno di ciascuna classe” (art. 112, comma 1, lett. e) CCII), non tra classi diverse pur di pari livello, fra le quali è invece possibile prevedere trattamenti differenziati, ad esempio in ragione della diversità di interessi economici (fornitori, creditori commerciali, creditori non strategici)[163]. 
Come autorevolmente osservato, il valore risultante dalla ristrutturazione cui si riferisce l’art. 120 quater CCII rappresenta una grandezza che non coincide affatto con quella di “valore eccedente il valore di liquidazione”, assoggettabile alla regola della priorità relativa. Si tratta, infatti, di due grandezze concettualmente diverse, e ben potrà trovare applicazione la disciplina dell’art. 120 quater CCII anche in presenza di un ingente plusvalore da continuità che renda la proposta concordataria molto più conveniente per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria[164]. 
11.3 . La metodologia di stima del valore riservato ai soci nel CCII e i dubbi interpretativi
Fermo restando la definizione di “valore riservato ai soci” di cui all’art. 120 quater, comma 2, CCII, il legislatore, tuttavia, lascia aperta la questione circa la metodologia da adottare ai fini della determinazione del valore riservato ai soci[165]. 
Sul tema, autorevole dottrina[166] sostiene che, poiché la norma in esame si riferisce al valore “effettivo” quale risultante ad esito dell’omologazione del concordato, parrebbe non potersi esaurire nella ricostruzione del profilo meramente nominale della partecipazione quale frazione del patrimonio netto contabile. Dovrebbe, invece, realizzarsi sotto forma di grandezza che rifletta il valore reale della quota sociale. Condividendo questa prospettiva, il possibile parametro cui fare riferimento potrebbe allora essere quello individuato dall’art. 2437 ter, comma 2, c.c. relativamente alla determinazione del valore di liquidazione della quota di partecipazione in caso di recesso del socio. Tale norma, infatti, è proprio quella che fissa la soglia cui fare riferimento nella determinazione del valore minimo di realizzo cui avrebbe diritto chi abbia effettuato un investimento in equity ogni qual volta abbia luogo un’ipotesi di forzosa (e forzata) estromissione dal capitale sociale. In questo modo emergerebbe il valore del capitale economico dell’azienda, sempre al netto dei conferimenti e degli apporti a fondo perduto eseguiti ai fini della ristrutturazione, da declinarsi non già in chiave statica ma secondo un approccio dinamico, prendendo a riferimento l’intero orizzonte del piano concordatario a sostegno dell’intervento di risanamento e dunque tenendo conto anche degli effetti conseguenti alle possibili (e future) prospettive reddituali della partecipazione societaria conservata dalla proprietà anteriore alla crisi. 
Fermo restando che il valore effettivo risultante dalla ristrutturazione debba essere determinato ricorrendo alle metodologie di valutazione più adeguate alla struttura aziendale e al business di riferimento, tenuto conto delle passività aziendali, ristrutturate grazie anche all’effetto esdebitatorio derivante dalla omologazione del concordato, e dei flussi finanziari destinati al loro servizio[167], generalmente, come opportunamente osservato, il metodo più accreditato per la valutazione di partecipazioni è il valore attuale dei flussi finanziari, o Discounted Cash Flow (c.d. DCF), al quale (i) deve essere aggiunto il valore dei beni non funzionali alla continuità (c.d. non-operating assets), anche se la proposta non ne prevede la vendita, poiché costituiscono una componente del valore delle partecipazioni e (ii) devono essere sottratti i debiti finanziari verso banche e altri finanziatori nonché i debiti concordatari, poiché riducono il valore delle partecipazioni, oltre che i conferimenti o i versamenti a fondo perduto apportati dai soci[168]. È discusso in dottrina se comprendere nella formula del valore della partecipazione anche il Terminal Value, il quale rappresenta il valore dei flussi attesi in un periodo infinito di tempo. Ad avviso di chi scrive, tenuto conto che nei piani industriali, e a maggior ragione in quelli di risanamento, i flussi di cassa a disposizione dei creditori vengono calcolati quasi sempre su un periodo esplicito massimo di cinque anni, poiché oltre tale orizzonte le previsioni si fanno troppo incerte, è ragionevole ritenere che il valore riservato ai soci sia calcolato nei limiti dei flussi finanziari della continuità che si formano nel periodo esplicito, senza tenere conto di quelli che si generano successivamente[169]. 
Sulla scia di quanto sopra, è stato evidenziato come ai fini dell’individuazione delle regole di determinazione del valore riservato ai soci, occorre riferirsi ai principi contabili interni ed internazionali, che determinano, conformemente alla prassi aziendalistica, il valore in misura corrispondente ai valori attuali dei flussi risultanti dal piano stesso (che già prevedono con segno negativo i pagamenti spettanti ai creditori concorsuali). Sul punto, infatti, il recente decreto correttivo prevede la seguente integrazione al comma secondo dell’art. 120 quater CCII “Il valore effettivo è determinato in conformità ai principi contabili applicabili per la determinazione del valore d’uso, sulla base del valore attuale dei flussi finanziari futuri utilizzando i dati risultanti dal piano di cui all’articolo 87 ed estrapolando le proiezioni per gli anni successivi”. Ne discende, pertanto, che l’unico parametro rimesso al valutatore è quello del tasso di attualizzazione dei flussi finanziari, che, secondo i principi contabili (OIC 9 e IAS 36), deve tenere adeguatamente conto del premio per il rischio inerente a tal fine, viene in rilievo il noto approccio del Capital Asset Pricing Model (CAPM). Nell’ambito dei percorsi di ristrutturazione, il premio per il rischio inerente deve essere coerente con i rischi di fattibilità del piano di concordato. Tuttavia, considerando il giudizio di fattibilità cui è chiamato ad esprimere l’attestatore, il rischio è tendenzialmente inferiore a quello ordinario, impedendo così di assumere premi integrativi per il rischio ed anzi comporterebbe uno sconto rispetto al rischio di mercato[170]. 
L’identificazione del valore riservato ai soci nei termini di attualizzazione dei flussi attesi dal piano concordatario appare coerente con la definizione fornita in un decreto di apertura del concordato preventivo, ove si legge che “il valore di ristrutturazione che rimarrà al socio, … pari al valore dell’avviamento alla fine del piano”[171]. 
Infine, sebbene, come opportunamente evidenziato, non sia possibile (e nemmeno utile) individuare a priori un metodo valutativo universalmente riconosciuto come adeguato ai fini della determinazione del valore risultante dalla ristrutturazione, è necessario che il metodo prescelto consideri quali criteri-base di valutazione, perlomeno (i) quale termine di riferimento della valutazione, la (presumibile) data di omologazione del concordato e (ii) quali flussi reddituali e finanziari di riferimento, quelli previsti nel piano di concordato[172].
12 . Il controllo del tribunale sulle regole distributive e sulla stima del valore di liquidazione: in sede di ammissione o di omologazione
Un tema di rilevo è certamente rappresentato dal controllo del tribunale sul corretto utilizzo della regola della priorità relativa e, conseguentemente, sulla correttezza delle stime che hanno condotto alla determinazione del valore di liquidazione nel concordato in continuità aziendale. La questione che si pone è se tale controllo debba essere condotto nell’ambito della valutazione sulla ritualità della proposta che il tribunale è tenuto a svolgere in sede di apertura della procedura (art 47, comma 1, lett. b) CCII) o se, invece, vada svolto solo in fase di omologazione e solo laddove, su richiesta del debitore o con il suo consenso in caso di proposte concorrenti, vi sia il dissenso di una o più classi e venga quindi domandata la ristrutturazione trasversale (art. 112, comma 2, lett. a) e b) CCII. Nel primo caso, la decisione maggioritaria della classe non potrebbe derogare alla regola della APR, alla quale la proposta concordataria dovrebbe conformarsi in ogni caso, dovendo il rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione essere verificato in sede di controllo di ritualità e quindi prima della votazione; nel secondo, invece, la proposta potrebbe discostarsi dalla APR in quanto la verifica del rispetto di tale regola verrebbe in rilievo solo in fase di omologazione e solo per superare il dissenso della classe, la quale, a maggioranza, potrebbe decidere di derogare a detto ordine, disponendo del relativo diritto. 
Come noto, nel concordato in continuità, l’art. 47, lett. b), CCII prevede: (i) che la verifica del tribunale sia limitata alla ritualità della proposta senza riferimenti alla ammissibilità ed alla fattibilità del piano e (ii) che il potere del tribunale di dichiarare l’inammissibilità del concordato sia limitata all’ipotesi del piano manifestatamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali. In seguito, spetta ai creditori apprezzare o meno le prospettive di soddisfazione e tale valutazione è espressa nella più ampia complessiva valutazione che si manifesta con l’espressione di voto sulla proposta concordataria. Se quest’ultima raccoglie il voto favorevole di tutte le classi dei creditori, il concordato è approvato e il tribunale procede alla omologazione. 
Sebbene vi siano talune argomentazioni a favore della tesi che riconduce la verifica del rispetto del criterio di distribuzione del surplus ad una condizione di ritualità/ammissibilità[173], l’orientamento che riconduce tale verifica ad una condizione di omologazione della proposta per superare il dissenso della classe appare più convincente, oltre che maggioritaria.
Secondo autorevole dottrina, il rispetto delle regole distributive non rientra nel controllo di ritualità che il tribunale deve compiere in sede di apertura della procedura di concordato, bensì soltanto ed eventualmente in sede di omologazione[174]. In tale sede, il tribunale può operare un controllo sul rispetto delle regole distributive (sia quelle c.d. verticali sia quelle c.d. orizzontali) solo ed esclusivamente laddove vi sia una o più classi dissenzienti (art. 112, comma 2, lett. b) CCII). Pertanto, qualora la proposta sia stata approvata da tutte le classi votanti, il tribunale non può compiere in sede di omologazione il controllo sul rispetto delle regole distributive. Sarebbe, infatti, contraddittorio attribuire al tribunale il potere/dovere di compiere la verifica sull’osservanza delle regole distributive in sede di apertura, quando la votazione non si è ancora tenuta e non è noto se la proposta sarà approvata dall’unanimità delle classi o meno, poiché questo significherebbe che l’autorità giudiziaria dovrebbe sempre compiere in sede di apertura della procedura una verifica che, invece, in sede di omologazione sarebbe solo eventuale e richiesta unicamente nel caso di dissenso di una o più classi[175]. Invero, seguendo le chiare indicazioni pervenute dalla Direttiva (UE) 1023/2019[176], è soltanto in presenza di opposizioni fondate sull’esistenza di un pregiudizio arrecato al creditore dissenziente rispetto alla liquidazione giudiziale che il tribunale può disporre la stima del complesso aziendale, la quale rappresenta una operazione imprescindibile ai fini della verifica del rispetto delle condizioni poste dall’art. 112, comma 2, lett. a) e b) CCII nell’ambito della ristrutturazione trasversale[177]. La proposta concordataria, dunque, fermo restando che debba attribuire ai creditori privilegiati almeno il valore di liquidazione della pretesa (art. 84, comma 5, CCII)[178], può essere confezionata anche in deroga al criterio distributivo del suprlus concordatario; sarà poi la classe, con il proprio voto, a decidere se disporre del relativo diritto: in caso di dissenso, il tribunale non sarà tenuto a verificare che nei suoi confronti sia rispettato il criterio di ripartizione del surplus, mentre se la classe vota negativamente alla proposta scatterà, nei suoi confronti, la verifica del rispetto di tale criterio[179]. 
Sulla base della nuova disciplina di cui all’art. 120 quater CCII, autorevole dottrina ritiene che la corretta allocazione del valore eccedente non possa essere inteso come un requisito rigido di ammissibilità della domanda[180]. Ciò in quanto verificare ex ante che i crediti inseriti in ciascuna classe (anziché ex post con riferimento ai crediti inseriti nella classe dissenziente) ricevano complessivamente “un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado” significherebbe imporre che classi dello stesso rango ricevano tutte un identico trattamento (altrimenti la verifica non potrebbe avere esito positivo per ciascuna classe, ove per qualcuna si andasse al di là dell’almeno): il che non soltanto è contrario al pacifico assunto secondo cui è possibile differenziare il trattamento fra classi di pari livello, ma renderebbe impraticabile l’ipotesi di una attribuzione del valore di ristrutturazione ai soci, sulla base del meccanismo di cui all’art. 120 quater, comma 1, CCII, il quale proprio su tale possibilità di differenziazione poggia la propria realizzabilità, onde consentire il superamento di eventuali dissensi e la conseguente omologazione del concordato con attribuzione del valore ai soci. 
In giurisprudenza si rinviene una pronuncia che espressamente ha concluso nel senso di ritenere che la correttezza dell’applicazione delle norme relative alla distribuzione del valore nel concordato preventivo non sia sindacabile dal tribunale in sede di apertura della procedura concorsuale, bensì nel successivo giudizio di omologazione[181]. 
Il controllo del tribunale soltanto (ed eventualmente) in sede di omologazione è, tuttavia, circoscritto alla corretta applicazione delle regole di distribuzione del valore del patrimonio del debitore nell’ambito della proposta concordataria. Diversamente, invece, si potrebbe assumere con riferimento alla stima effettuata dal debitore del valore di liquidazione dell’impresa, tenuto conto che la proposta concordataria debba sempre prevedere l’attribuzione ai creditori privilegiati almeno del valore di liquidazione della pretesa. Pertanto, se il controllo del tribunale sulla correttezza delle regole distributive attiene unicamente ed eventualmente alla fase di omologazione del concordato, ai fini dell’apertura della procedura concorsuale il controllo dell’autorità giudiziaria si estende alla stima effettuata direttamente dal debitore del valore di liquidazione dell’impresa[182].  Sul punto, in giurisprudenza, si rinvengono diversi provvedimenti di merito che hanno verificato la correttezza della stima effettuata direttamente dal debitore del valore di liquidazione dell’impresa già in sede di ammissione del debitore alla procedura di concordato preventivo. 
In conclusione, nel concordato preventivo in continuità la verifica del rispetto del criterio di ripartizione del surplus dovrebbe avvenire solo in fase di omologazione e solo nell’ipotesi di classe dissenziente. La soluzione prospettata, infatti, appare in linea con le indicazioni provenienti dalla Direttiva Insolvency, nonché con quanto rinvenibile dallo sguardo al diritto comparato di cui al paragrafo che segue.
13.1 . Chapter 11 statunitense – Subchapter II
La reorganization disciplinata dal Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense del 1978 rappresenta una procedura alternativa alla liquidation di cui al Chapter 7 del medesimo codice ed è diretta a conseguire la riorganizzazione della struttura finanziaria e proprietaria delle società che si trovano in una situazione di difficoltà. Quest’ultima viene realizzata attraverso l’elaborazione di un plan, da parte del debitore o in taluni casi anche dai creditori (§ 1121 Chapter 11), sottoposto alla votazione da parte dei creditori e soci c.d. impaired, ossia pregiudicati dal piano di ristrutturazione in quanto non soddisfatti integralmente e, in quanto tali, suddivisi in classi con interessi omogenei[183]. 
Per quanto rileva in questa sede, a seguito dell’espressione del voto[184] da parte dei soggetti impaired, il plan deve essere assoggettato a conferma da parte della court (corte fallimentare), la quale deve verificare il rispetto dei requisiti previsti dal codice ai fini dell’omologazione, fra i quali rientra la verifica del rispetto delle condizioni per il superamento del dissenso (§ 1129 Chapter 11). Quest’ultimo concerne sia “each holder of a claim or interest” (singolo titolare di pretese all’interno della classe) sia “each class of claims or interests” (l’intera classe). In questo contesto, assume un rilievo dirimente il concetto di valore di liquidazione, che, sebbene definito in termini che, a parere dello scrivente, non sono dissimili da quelli introdotti nel CCII, assume una finalità differente rispetto a quella identificata dal legislatore italiano. 
In ordine al dissenso del singolo creditore inserito all’interno di una classe (la quale può risultare tanto assenziente quanto dissenziente), la corte può superare tale dissenso se accerta che il creditore dissenziente riceva dal plan almeno il valore di liquidazione che riceverebbe “if the debtor were liquidated under chapter 7 of this title on such date”, ossia il valore che potrebbe ricavare quale il debitore, anziché presentare un piano di riorganizzazione di cui al Chapter 11, fosse assoggettato a liquidazione nell’ambito della procedura di cui al Chapter 7[185]. 
Il dissenso della classe, invece, può essere superato dalla corte fallimentare solo se rispetto a tale classe siano rispettati due criteri: (i) la regola di non discriminazione e (ii) il criterio del fair and equitable[186], ove la prima condizione regola i rapporti orizzontali tra le classi, mentre la seconda regola i rapporti verticali. 
La regola di non discriminazione statunitense[187] è stata interpretata nel senso che le classi dissenzienti dello stesso rango devono ricevere il medesimo trattamento[188]; conseguentemente, in caso di dissenso da parte di una certa classe chiamata ad esprimersi con la votazione, il plan non può essere omologato dalla court qualora preveda, per un’altra classe avente il medesimo rango, un trattamento più favorevole rispetto a quello della classe dissenziente[189]. 
Il criterio del fair and equitable, invece, viene declinato dal legislatore statunitense in modo differente a seconda che la classe dissenziente sia composta da creditori secured (creditori assistiti da cause di prelazione reale) e unsecured (chirografari e subordinati). Qualora la classe dissenziente sia composta da creditori garantiti, il plan deve assicurare loro un valore corrispondente al valore di riorganizzazione del bene sul quale insiste il loro security interest[190](§ 1129(b)(2)(A)). Se ad essere dissenziente è, invece, una classe di creditori unsecured, il criterio del fair and equitable richiede la verifica da parte della court del rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione, ossia della regola della priorità assoluta[191]. Ne discende che la court deve verificare che il plan non preveda la distribuzione di alcun valore a favore di una classe junior se quella senior, che è risultata dissenziente, non risulta integralmente soddisfatta[192].
Dallo sguardo al Chapter 11 sopra esposto emerge come la regola della priorità assoluta, e con essa la definizione di valore di liquidazione in caso di procedura di cui al Chapter 7, trovi applicazione soltanto nell’ambito del c.d. cramdown plan e con riferimento ai creditori appartenenti ad una classe dissenziente[193]. Ne discende, pertanto, che, se tutte le classi impaired votano favorevolmente al plan secondo le maggioranze, quest’ultimo diviene un consensual plan, e la court può procede con l’omologazione, previa verifica del rispetto delle condizioni contenute nel codice, ma senza dover verificare la conformità dello stesso rispetto alla regola della priorità assoluta. Non soltanto la regola della priorità assoluta non trova applicazione nell’ambito del consensual plan, ma anche con riferimento ai creditori appartenenti a classi che, secondo le maggioranze previste dal codice statunitense, hanno votato favorevolmente[194]. Infatti, come opportunamente osservato[195], l’APR statunitense si applica unicamente alla classe dissenziente e dalla classe dissenziente “verso il basso” lungo la scala gerarchica dell’ordine delle priorità. Ne discende che, seppur esista nel sistema statunitense un principio di distribuzione del valore secondo l’ordine dettato dalla APR, tale principio può essere derogato da parte di una classe di creditori che, attraverso l’espressione di un voto favorevole al plan, accetta la distribuzione di un valore anche inferiore a quella che discenderebbe dalla stretta applicazione della APR. 
La circostanza per cui la APR nel sistema statunitense trovi applicazione nei limiti di cui sopra non significa che i creditori dissenzienti appartenenti ad una classe siano privi di tutele. Infatti, trova applicazione, come sopra anticipato, il c.d. “best interest of creditors test”, che prevede il diritto di ciascun creditore (e socio) di ricevere almeno il valore di liquidazione, inteso come valore ricavabile in caso di liquidazione del patrimonio nell’ambito della alternativa procedura liquidatoria disciplinata dal Chapter 7. Se il creditore dissenziente dovesse ricevere, nell’ambito del plan, un valore inferiore al valore di liquidazione, la court non potrebbe omologare il piano, poiché il limite posto dal legislatore statunitense alla classe di disporre a maggioranza del valore ricavabile dal piano è quello per cui ciascun creditore (e socio) debba ricevere almeno il valore di liquidazione della sua pretesa. 
13.2 . Chapter 11 statunitense – Subchapter V
Il 19 febbraio 2020 è entrato in vigore il Small Business Reorganization Act of 2019 (c.d. SBRA), introdotto all’interno del Chapter 11, Subchapter V, dedicato alla riorganizzazione delle piccole imprese, ovvero quelle che hanno una esposizione debitoria che non supera i 2,725,625 dollari (innalzata a 7,5 mln di dollari con il CARES Act recante misure di urgenza durante la pandemia da Covid-19). 
Il Subchapter V ha introdotto, limitatamente alle imprese nei cui confronti trova applicazione, un particolare criterio di fair and equitable, a fronte del dissenso di una o più classi di creditori non privilegiati[196]. In particolare, per quanto rileva in questa sede, il nuovo § 1191(d) prevede che la court possa superare il dissenso della classe (o delle classi) dissenziente e procedere con l’omologazione, qualora il piano destini ai creditori tutti il “projected disposable income” dell’attività d’impresa. Quest’ultimo è definito dal legislatore statunitense come “the income that is received by the debtor and that is not reasonably necessary to be expended for 
(1) (A)the maintenance or support of the debtor or a dependent of the debtor; or 
(B)a domestic support obligation that first becomes payable after the date of the filing of the petition; or 
(2) for the payment of expenditures necessary for the continuation, preservation, or operation of the business of the debtor”[197]. 
Da tale disposizione discende che i soci della società in procedura sono legittimati a mantenere le loro partecipazioni anche in assenza del consenso unanime delle classi di creditori (non integralmente soddisfatti dal plan), purché tutto il valore generato nell’arco dell’attuazione del piano[198] sia devoluto ai creditori[199]. 
Ad avviso di chi scrive, il concetto di “projected disposable income” non è dissimile dalla nozione di valore eccedente quello di liquidazione contenuto nel Codice della crisi. Tuttavia, appaiono diverse le regole distributive ad esso sottoposte. Infatti, nell’ambito dello SBRA, il legislatore statunitense richiede che tutto il ricavato della continuità nell’arco di piano sia devoluto ai creditori, mentre il legislatore nazionale non richiede espressamente che il valore derivante dalla continuità aziendale sia interamente messo a disposizione dei creditori. Infatti, sebbene oggetto di dibattito come sopra esposto[200], il vincolo assunto dal debitore con la proposta concordataria è limitato a quella parte dei flussi che il debitore si impegna a destinare a favore dei creditori concorsuali, senza che necessariamente tutti i flussi della continuità siano utilizzati per soddisfare tali creditori. 
13.3 . Insolvenzordnung (InsO) e il Gesetz über den Stabilisierungs - und Restrukturierungsrahmen für Unternehmen (StaRUG) in Germania
Negli ultimi anni il legislatore tedesco ha progressivamente orientato il diritto fallimentare, storicamente connotato da un approccio restrittivo ed ostile alla ristrutturazione, verso la preservazione della continuità aziendale, che ha ispirato la Insolvenzordnung (in seguito “InsO”) del 1999. Quest’ultima ha introdotto il Planverfahren come alternativa alla liquidazione dell’attività del debitore. 
In modo non dissimile da quanto sopra esposto con riferimento al Chpater 11, Subchapter V, nel sistema tedesco dell’Insolvenzordnung la regola che disciplina la distribuzione del valore derivante dal piano di ristrutturazione tra le varie classi di creditori si identifica nella priorità assoluta; tale regola, anche in questo ordinamento, può essere derogata da una classe omogenea di creditori attraverso l’espressione del voto secondo le regole previste dal legislatore tedesco. 
In particolare, come nel sistema statunitense, la verifica del rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione nella distribuzione del valore di riorganizzazione entra in gioco unicamente in caso di dissenso di una o più classi. Infatti, secondo quanto previsto da § 251 InsO, in caso di piano consensuale (che nell’ordinamento statunitense è definito consensual plan, come sopra esposto), la corte fallimentare è tenuta unicamente a verificare che al singolo creditore (o socio) dissenziente nella classe (assenziente o dissenziente) sia riconosciuto il valore che tale creditore (o socio) potrebbe ottenere in assenza del piano. Tale valore viene generalmente ricondotto al valore di liquidazione della pretesa[201]. Sulla base di tale previsione normativa, discende che, come nell’ordinamento statunitense, le classi possono accettare a maggioranza (formatasi all’interno della classe di creditori omogenei) una distribuzione inferiore a quella che spetterebbe loro in applicazione della regola della priorità assoluta, così potendo disporre del diritto al valore derivante dalla riorganizzazione. 
Per superare l’opposizione dei creditori, il legislatore tedesco ha previsto una disposizione (§ 245 InsO), in forza della quale un Insolvenzplan si considera approvato da una classe dissenziente di creditori in presenza di tre condizioni[202]: (i) il piano deve prevedere per i creditori di tale classe un soddisfacimento non inferiore rispetto a quello che conseguirebbero in assenza del piano di ristrutturazione[203]; (ii) i creditori di tale classe partecipino in giusta misura (“angemessen”) al valore economico derivante dal piano (“wirtschaftlichen Wert”) e (iii) la maggioranza delle classi abbia approvato il piano secondo le regole previste dal legislatore tedesco[204]. 
La tematica più complessa e rilevante in questa sede è costituita dalla condizione di cui al sub (ii), sulla quale il legislatore tedesco fornisce taluni chiarimenti (§ 245, 2, InsO). In particolare, il legislatore statuisce che una “giusta partecipazione” dei creditori di una classe dissenziente al valore economico derivante dal piano è integrata quando: (i) nessun creditore è soddisfatto in misura superiore rispetto al valore della propria pretesa; (ii) né i creditori che, in mancanza del piano, sarebbero postergati rispetto ai creditori della classe dissenziente, né il debitore, né i soci conseguono alcun vantaggio economico e (iii) nessun creditore che, in mancanza del piano, sarebbe collocato nello stesso grado dei creditori appartenenti alla classe dissenziente riceva un trattamento più favorevole di questi[205]. Pare, pertanto, che la regola di cui al sub (ii) corrisponda alla APR, che impedisce di riservare una qualche utilità economica alla classe di creditori che si colloca nel grado successivo rispetto alla classe dissenziente non integralmente soddisfatta, mentre la regola di cui al sub (iii) corrisponde alla regola di non discriminazione di cui all’ordinamento statunitense che, come sopra esposto, implica che le classi dissenzienti dello stesso rango debbano ricevere il medesimo trattamento. 
Nel 2020 in Germania è stata approvata una riforma del diritto dell’insolvenza incorporata nel Gesetz über den Stabilisierungs- und Restrukturierungsrahmen für Unternehmen (in seguito “StaRUG”), in vigore dal 1° gennaio 2021. Lo StaRUG, come osservato in dottrina europea, oltre a recepire la Direttiva Insolvency, mira a creare un quadro efficiente per la ristrutturazione a disposizione delle imprese in difficoltà finanziarie al di fuori delle procedure di insolvenza, prevedendo un duplice binario: pubblico e non pubblico[206], tenuto conto che, in linea di principio, l’intervento del tribunale dovrebbe essere limitato alla fase finale delle negoziazioni e, più precisamente, al momento della omologazione del piano di ristrutturazione. Si tratta dell’introduzione del primo meccanismo di prevenzione dell’insolvenza, prima mai contemplato dal legislatore tedesco, che, pertanto, è destinato a modificare drasticamente le trattative nell’ambito dei percorsi di ristrutturazione in Germania[207]. 
Per quanto rileva in questa sede, il StaRUG prevede la APR come regola generale (§ 26-27), sebbene soggetta a talune limitate eccezioni, che hanno portato la dottrina a ritenere che il legislatore tedesco abbia adottato una “relaxed absolute priority approach”[208]. In particolare, l’art. 28 StaRUG corrisponde alla disposizione dell'art. 8 StaRUG secondo cui il piano di ristrutturazione non deve necessariamente interferire con tutti i crediti o diritti modificabili; conseguentemente, può essere concessa un’esenzione alla APR se il trattamento differenziato dei creditori di pari rango è appropriato alla luce delle circostanze specifiche[209], in particolare delle difficoltà economiche da superare[210]. Inoltre, il § 27 prevede che la classe junior possa ricevere un qualche valore anche se la classe senior dissenziente non risulta integralmente soddisfatta quando viene creato nuovo valore dal creditore junior per la riorganizzazione (“new value exception”) o quando la conservazione del valore di continuità aziendale del debitore richiede il coinvolgimento di una classe di soci. In tali casi, infatti, l’applicazione della APR non sarebbe nell’interesse dei creditori alla cui tutela questa norma intende servire[211]. Il legislatore tedesco prevede che tale disposizione, e quindi la deroga alla APR, è ammissibile se (i) la partecipazione del debitore o del socio è indispensabile per la continuazione dell'attività (art. 28 (2) n. 1 StaRUG)[212] oppure (ii) le ingerenze con i diritti dei creditori siano contenute, in particolare perché non vengono intaccati i diritti e la loro scadenza non è posticipata di oltre 18 mesi (art. 28 (2) n. 2 StaRUG). 
Infine, anche nello StaRUG è previsto un meccanismo di cross class cram down. In particolare, qualora il piano fosse approvato dalle maggioranze richieste (voto favorevole dei tre quarti dei creditori appartenenti alla classe), il tribunale provvede alla omologazione, mentre in caso di mancato raggiungimento delle maggioranze, il tribunale può comunque procedere ad omologare al ricorrere di talune condizioni che paiono essere le medesime sopra esposte con riferimento al InsO: (i) ai creditori della classe dissenziente è riservato un soddisfacimento non inferiore rispetto a quello che conseguirebbero in assenza del piano di ristrutturazione ; (ii) i creditori di tale classe partecipino in giusta misura al valore economico derivante dal piano e (iii) la maggioranza delle classi abbia approvato il piano secondo le maggioranze previste dal legislatore[213].
13.4 . Wet homologatie onderhands akkoord (WHOA) in Olanda
La normativa sulla crisi d’impresa in Olanda ha attraversato periodi di riforme che si sono accelerate nel 2012 e hanno portato all’approvazione del Wet homologatie onderhands akkoord (in seguito “WHOA”), in vigore dal 1° febbraio 2021. Come è stato osservato, prima della entrata in vigore del WHOA le procedure di insolvenza previste dall’ordinamento olandese si sono rivelate inefficienti in termini di salvataggio delle imprese in difficoltà finanziarie[214]. L’idea sottostante all’introduzione del WHOA è quella di fornire agli imprenditori degli strumenti che possano consentire di addivenire ad un accordo tra il debitore e le parti interessate, che possa trovare l’omologazione da parte del tribunale. 
Al WHOA possono fare accesso debitori che ragionevolmente “will not be able to continue paying its debts as they fall due” (art. 370). Nell’ambito di tale percorso, il debitore conserva la gestione dell’impresa ed è libero di scegliere i creditori con i quali avviare le negoziazioni funzionali al risanamento. Il coinvolgimento del tribunale, in linea di principio, dovrebbe essere limitato solo alla fase conclusiva del percorso, ossia in sede di omologazione del piano. Tuttavia, per agevolare le trattative il legislatore olandese ha previsto che il tribunale possa essere chiamato ad esprimersi su talune circostanze; a titolo esemplificativo, può essere richiesta una moratoria fino a quattro mesi (prorogabili fino a otto) oppure la prededuzione sui nuovi finanziamenti. 
Per quanto rileva in questa sede, in caso di approvazione del piano da parte di tutte le classi, il tribunale è chiamato ad omologarlo previa fissazione di apposita udienza e dopo aver verificato il rispetto di talune condizioni, tra cui la circostanza per cui i creditori (o soci) dissenzienti non ricevano meno rispetto a quello che sarebbe loro riservato nello scenario liquidatorio[215]. Ne discende, pertanto, che nell’ambito del WHOA, il dovere di rispettare l’ordine delle priorità, in ossequio alla APR, trova applicazione nel momento in cui uno o più creditori manifestino il proprio dissenso alla approvazione del piano; in tale scenario, e quindi soltanto in caso di dissenso, il tribunale è tenuto a verificare il rispetto dell’ordine delle priorità con specifico riferimento alle classi di creditori dissenzienti. 
Qualora, invece, il piano non venga approvato da tutte le classi (art. 384, comma 4, lett. b), anche il legislatore olandese ha introdotto un meccanismo di cross class cram down, per il quale “all that is needed is at least one class of impaired creditors having voted in favor of the restructuring plan”[216]. L’omologazione da parte del tribunale, in siffatti casi, dipende anche dal rispetto della APR. In particolare, il tribunale non può procedere con la omologazione del piano di ristrutturazione se il valore creato attraverso di esso è distribuito in violazione dell’ordine gerarchico delle priorità, ossia della APR. Tuttavia, il legislatore ammette delle “deviations” rispetto alla APR (i.e. ammette l’adozione della RPR), ossia qualora vi siano ragionevoli motivi che giustifichino una deviazione da tale ordine e a condizione che i creditori (o i soci) interessati non siano pregiudicati in conseguenza di tale scelta[217]. 
In conclusione, da quanto sopra discende che la regola principale sottostante al WHOA è quella per cui un accordo nell’ambito del piano di ristrutturazione non può discostarsi dal rispetto dell’ordine delle priorità, come avviene nell’ambito dello scenario liquidatorio, a danno di una classe dissenziente. Tuttavia, il legislatore olandese ammette delle deroghe rispetto alla APR, se esiste un motivo ragionevole (“reasonable ground”) per discostarsi da tale regola e se non viene pregiudicato l’interesse della classe dissenziente, per la quale tale deroga è svantaggiosa. L’impostazione adottata dal legislatore olandese, tuttavia, pone qualche perplessità. In primo luogo, si rende necessario delineare quali sarebbero le deviazioni rispetto alla APR da considerare svantaggiose per la classe dissenziente, tenuto conto che il legislatore non ha fornito alcuna indicazione su ciò che considera una deviazione svantaggiosa[218]. Una ulteriore criticità è rappresentata dalla identificazione di cosa debba intendersi per “reasonable ground” per discostarsi dalla APR. Alcuni autori ritengono che un motivo ragionevole sia rappresentato dal fatto che tale deviazione si rende necessaria per portare a termine la ristrutturazione. Infine, è stato evidenziato come il legislatore olandese non abbia specificato in quali situazioni la deroga rispetto alla APR non pregiudichi gli interessi della classe di creditori di rango superiore. Infatti, taluni autori hanno evidenziato come la deviazione rispetto alla APR necessariamente pregiudica gli interessi della classe di creditori di rango superiore e, se così fosse, in molti casi non sarebbe possibile superare la condizione dell’assenza di pregiudizio[219].
13.5 . La Ordinance n. 2021-1193 e il Code de Commerce in Francia
Tradizionalmente, il diritto fallimentare francese è stato orientato al salvataggio delle imprese in difficoltà in funzione della preservazione dell’occupazione, spesso prioritaria rispetto al soddisfacimento dei creditori. Negli ultimi vent’anni, in particolare, sono state varate numerose riforme, introducendo nuove procedure di ristrutturazione e aggiornando quelle esistenti al fine di renderle più efficienti. L’attenzione del legislatore è stata gradualmente orientata ad incentivare le imprese francesi ad intervenire in una fase precoce per agevolare i percorsi di risanamento[220]. 
Con la Ordinance n. 2021-1193 del 15 settembre 2021, che ha modificato il Libro VI del Code de Commerce (in seguito “C. com.”), l’ordinamento francese ha recepito la Direttiva Insolvency. Tale recepimento ha permesso di modernizzare la normativa francese sull’insolvenza, introducendo nuovi meccanismi, quali il cross-class cram-down e la nuova sauvegarde accélérée[221]. 
L’ordinamento francese mette a disposizione dei debitori in difficoltà, al termine del c.d. observation period, due insolvency proceedings: sauvegarde[222] (e il subprocedimento sauvegarde accélérée) e redressement judiciaire[223]. Entrambi i procedimenti possono essere avviati dal Tribunal de Commerce, se il debitore svolge attività commerciale o artigianale, ovvero dal Tribunal Jiudiciaire, per tutte le altre attività. Gli obiettivi di tali procedimenti sono i medesimi: continuazione dell’attività d’impresa, mantenimento dei posti di lavoro e riequilibrio dell’esposizione debitoria. 
Nei procedimenti di cui sopra viene nominato un mandataire judiciaire, il cui ruolo è quello di salvaguardare gli interessi dei creditori; infatti, soltanto il mandataire judiciaire ha diritto di agire in nome e per conto e nell’interesse dei creditori (art. 622-20 C. com.). La corte, inoltre, può nominare un administrateur judiciaire, obbligatorio al raggiungimento di determinate soglie di dipendenti e fatturato, il quale svolge una attività di supervisione della gestione del debitore. In aggiunta, in tali procedimenti può essere nominato un juge-commissaire, il cui ruolo è quello di assicurare celerità nella conduzione del procedimento (ad esempio, attraverso il rilascio di talune autorizzazioni) e di salvaguardare gli interessi delle parti coinvolte (art. 626-25 C. com.) 
Con la Ordinance n. 2021-1193 è stato anche introdotto l’obbligo in talune circostanze di formazione delle classi di creditori interessati. In particolare, l’apertura della sauvegarde accélérée comporta necessariamente la formazione delle classi (art. 628-4 C. com.) e, in ogni caso, il debitore può procedere con la formazione delle classi di creditori interessati ogniqualvolta accede ad un procedimento di insolvenza. Tuttavia, in tali circostanze, la formazione delle classi deve essere autorizzata dal juge-commissaire. La formazione delle classi porta altresì alla nomina del administrateur judiciaire, il quale appare come “conductor of the composition and consultation of the classes of affected parties”[224]; l’importante ruolo da esso ricoperto consiste nell’assistere e supportare il debitore durante il percorso di ristrutturazione. 
Nella procedura di sauvegarde, il debitore, con il supporto dell’administrateur judiciaire, formula una proposta ai creditori interessati, funzionale ad elaborare un draft plan; nella procedura di redressement judiciaire, invece, è direttamente l’administrateur judiciaire, con il supporto del debitore, il responsabile della formazione del draft plan e, se ritenuto opportuno, di presentare la proposta ai creditori interessati. A seguito della formulazione della proposta, i creditori interessati sono chiamati all’espressione del voto, tenuto conto che gli stessi devono essere informati del draft plan almeno dieci giorni prima della data fissata per l’espressione della votazione (art. 626-60 C. com.). Le classi di creditori sono tenute ad esprimersi sul draft plan, eventualmente modificato, entro un periodo di venti-trenta giorni dalla ricezione dello stesso; tale termine può essere ridotto (non al di sotto di quindici giorni) o aumentato dal juge-commissaire, su richiesta del debitore o del administrateur judiciaire. La classe si ritiene consenziente se vota con una maggioranza dei due-terzi degli aventi diritto. 
In seguito, qualora il piano venga approvato da ciascuna classe, interviene il controllo del tribunale, che, per quanto rileva in questa sede, deve verificare che qualora taluni creditori interessati abbiano votato negativamente, nessuno di questi a seguito dell’adozione del piano di ristrutturazione si trovi in una situazione meno favorevole rispetto al soddisfacimento che sarebbe loro prospettato qualora venisse applicato l’ordine delle priorità sugli asset del debitore nell’ambito di una liquidation judiciaire, ovvero in una migliore situazione alternativa qualora il piano di ristrutturazione non venisse omologato dal tribunale[225]. Questa previsione rappresenta, in altre parole, il “best interest creditors test” declinato all’interno dell’ordinamento francese. 
Nell’ipotesi in cui tutte le classi abbiano votato favorevolmente al piano, il debitore può allocare liberamente “the surplus of the plan among the various classes”; pertanto, il piano potrebbe anche prevedere, in tali circostanze, trattamenti differenti nei confronti di classi aventi stesso rango[226]. 
Anche all’interno dell’ordinamento francese, a seguito del recepimento della Direttiva Insolvency, è stato introdotto il meccanismo del cross class cram down. In particolare, in ossequio all’art. 626-32 C. com., qualora il piano non venga approvato dalle maggioranze previste dall’art. 626-30-2 C. com., può essere omologato dalla corte, su richiesta del debitore o del administrateur judiciaire, con il consenso del debitore, per essere poi imposto anche nei confronti dei creditori dissenzienti. A tal fine, il piano deve rispettare taluni requisiti. Tra questi, in primo luogo, la corte deve verificare che il piano evidenzi una ragionevole prospettiva della capacità del debitore di adempiere alle proprie obbligazioni o di garantire la sostenibilità dell’attività d’impresa. In secondo luogo, il piano deve essere approvato: (i) dalla maggioranza delle classi di soggetti interessati aventi diritto di voto, a condizione che almeno una di tali classi sia una classe di creditori titolari di garanzie reali o abbia un rango superiore alla classe dei creditori chirografari; (ii) in mancanza[227], da almeno una delle classi di soggetti interessati aventi diritto di voto, diversa da una classe di possessori di azioni o qualsiasi altra classe che sia ragionevole supporre, dopo aver determinato il valore del debitore come entità in funzionamento, non abbia diritto a ricevere alcuna soddisfazione qualora fosse applicato l’ordine di priorità nella distribuzione del patrimonio del debitore in liquidation judiciaire
La terza condizione, invece, attiene specificatamente al rispetto della regola della priorità assoluta anche nell’ordinamento francese, di cui all’art. 626-32, comma 3, C. com., il quale prevede che il piano possa essere omologato se “Les créances des créanciers affectés d'une classe qui a voté contre le plan sont intégralement désintéressées par des moyens identiques ou équivalents lorsqu'une classe de rang inférieur a droit à un paiement ou conserve un intéressement dans le cadre du plan”[228]. Pur prevedendo il rispetto della APR come regola principale dell’ordinamento[229], il legislatore francese ammette alcune deroghe a tale regola, su richiesta del debitore o del administrateur judiciaire, con il consenso del debitore, evidenziando una certa flessibilità che il legislatore francese ha voluto adottare nell’ambito delle regole distributive[230]. Al fine di riconoscere le deroghe all’applicazione della APR, il legislatore richiede che esse siano necessarie per il raggiungimento degli obiettivi del piano di ristrutturazione e che lo stesso non pregiudichi indebitamente gli interessi o i diritti delle parti interessate. Secondo la dottrina, gli obiettivi del piano di ristrutturazione richiamati dal legislatore francese il cui perseguimento giustificherebbe una deroga alla APR sarebbero quelli, propri della procedura di sauvegarde, di facilitare la riorganizzazione delle imprese in difficoltà per consentire la continuazione dell’attività, il mantenimento dell’occupazione e l’estinzione delle passività[231]. Quanto, invece, al trattamento “particolare” ammesso dal legislatore francese come deroga della APR da riservare a taluni titolari di pretese[232], è stato osservato, a titolo esemplificativo, che una valida eccezione alla APR potrebbe consistere nella previsione di un piano di pagamento a favore di tali creditori che inizierebbe contemporaneamente a quello previsto per i creditori seniores, ma con un ritmo più lento e graduale[233]. In conclusione, se il legislatore francese ha adottato la APR come regola principale, “this principle is likely to admit very important exceptions whose extent will have to be determined by case law”[234]. 
Infine, in modo non dissimile da quanto previsto nell’ordinamento italiano, ad esito della votazione un creditore dissenziente può argomentare il mancato rispetto del best interest creditors test, sostenendo che per effetto del piano di ristrutturazione, si trova in una situazione meno favorevole di quella che si troverebbe se fosse applicata la APR. In tal caso, la corte è tenuta ad effettuare una analisi della potenziale recovery in caso di liquidazione o comunque in assenza del piano di ristrutturazione. Poiché si tratta di una analisi assai complessa, anche il legislatore francese consente alla corte di nominare a tal fine un esperto. Sul punto, è stato osservato[235] che, sebbene le disposizioni francesi non siano del tutto chiare, si può presumere che in questa fase si debba tener conto del valore indicato dalla Direttiva Insolvency al Considerando 49[236]. 
13.6 . La nuova Ley Concorsual in Spagna
In Spagna è entrata in vigore il 26 settembre 2022 la nuova Ley Concorsual, che modifica il testo della legge concorsuale, approvato con Regio Decreto legislativo n. 1 del 5 maggio 2020, e che recepisce la Direttiva Insolvency. La nuova normativa introduce una profonda revisione del sistema spagnolo delle procedure di insolvenza, le cui principali novità sono volte a fornire agli imprenditori in difficoltà soluzioni relative, in particolare, al recupero delle imprese ancora sane, alla durata dei procedimenti e allo scarso ricorso agli accordi prefallimentari. In tema di pre-insolvenza sono state introdotte nuove opportunità di ristrutturazione: vengono eliminati i planes de liquidaciòn e introdotti i planes de reestructuraciòn, i quali costituiscono nuovi strumenti, caratterizzati da una maggiore flessibilità, destinati, in via preventiva, ad evitare l’insolvenza o a superarla[237]. 
Si anticipa che nell’ordinamento spagnolo il problema distributivo è stato affrontato in modo difforme a seconda che si tratti o meno di PMI. Qualora non si tratti di PMI, ai sensi dell’art. 655, comma 2, n. 4 Ley Consorsuali, si applica la APR, mentre in caso di PMI trova applicazione, ai sensi dell’art. 684, comma 4, Ley Concorsual, la RPR. Ancora, una forma di RPR è altresì contemplata per le microimprese in relazione al Procedimiento especial para mocroempresas di cui al Libro III della Ley Concorsual
La riforma concorsuale in Spagna ha mantenuto le due procedure di pre-insolvenza, le quali sono autonome ma anche strettamente collegate: (i) la comunicazione del debitore al Tribunale di Commercio di aver avviato, o di procedere ad avviare immediatamente, un percorso negoziale con i creditori (c.d. moratorium)[238] e (ii) il piano di ristrutturazione. Sebbene la comunicazione di cui al sub (i) sia funzionale ad agevolare le trattative e l’adozione di un piano di ristrutturazione attraverso una sospensione delle iniziative esecutive dei creditori, le due procedure sono indipendenti: l’omologazione di un piano di ristrutturazione può essere richiesta senza una preventiva comunicazione al Tribunale di Commercio e viceversa. In ogni caso, la riforma spagnola è stata spinta dal “principle of minimum judicial intervention”, per cui l’intervento giudiziario è limitato per quanto necessario al fine di ridurre i tempi e i costi delle procedure di pre-insolvenza. È stato, infatti, definito come un sistema concorsuale che opta per “Hybrid prcedure”, poiché le negoziazioni, la formazione delle classi e l’espressione del voto sono tutti condotti out of court, attraverso “a sort of spontaneous or informal cooperation between the interested parties”, dove l’autorità giudiziaria interviene solo all’esito del percorso per estendere, ove vi siano le condizioni di cui infra, gli effetti dell’accordo ai creditori minoritari dissenzienti o ad una classe dissenziente, oltre che per assicurare una garanzia agli atti e pagamenti in caso di insuccesso del piano di ristrutturazione[239]. 
Il legislatore spagnolo prevede anche la possibilità di nomina di un esperto, che ha il compito di assistere il debitore e i creditori nelle trattative e nella predisposizione del piano, al fine di trovare una soluzione che soddisfi tutte le parti (art. 679 Ley Concorsual). La sua nomina è obbligatoria solo in determinati casi, elencati all’art. 672 Ley Concorsual, e, tra questi, (i) quando è richiesta dal debitore; (ii) quando il debitore richiede la sospensione delle esecuzioni o la proroga di detta sospensione e il giudice ritiene che la nomina sia necessaria per tutelare gli interessi di coloro che sono pregiudicati dalla sospensione; (iii) quando il debitore o qualsiasi soggetto legittimato richiede l’approvazione giudiziale di un piano di ristrutturazione i cui effetti si estendano a una classe di creditori o ai soci che non hanno votato a favore del piano. 
Nell’ambito del piano di ristrutturazione che, come sopra accennato, può essere preceduto dalla moratorium, il debitore individua le parti interessate, procede alla formazione delle classi[240], si innesta il meccanismo di votazione[241] e, infine, il tribunale decide sulla omologazione. In tale sede, dopo che il piano è stato votato, si possono verificare due scenari: (i) tutte le classi di creditori (e soci) hanno votato favorevolmente (c.d. consensual plan) e (ii) talune classi hanno votato negativamente (c.d. non consensual plan). Le maggioranze richieste dal legislatore spagnolo ai fini della approvazione del piano di ristrutturazione variano a seconda che si tratti di creditori secured e unsecured. Nell’ultimo caso, il piano deve essere approvato da almeno il 66,66% dei crediti nella classe votante, mentre nel primo caso la percentuale si innalza al 75% (art. 629 Ley Concorsual). 
In caso di consensual plan, per cui è stata raggiunta l’adesione di tutte le classi, il tribunale procede con la omologazione e l’estensione degli effetti a tutti i creditori appartenenti alle classi consenzienti, alle seguenti condizioni (art. 638 Ley Concorsual): (i) il debitore si trova in una situazione di probabile, imminente o attuale insolvenza e il piano di ristrutturazione evidenzia ragionevoli prospettive di evitare l’insolvenza e assicurare la sostenibilità dell’attività; (ii) il rispetto dei requisiti legali in termini di contenuto e foma del piano; (iii) la correttezza della formazione delle classi e il raggiungimento delle maggioranze previste; (iv) la parità di trattamento di ciascun creditore inserito nella medesima classe e (v) l’avvenuta notifica del piano a tutte le parti interessate. In aggiunta, il piano di ristrutturazione deve superare il best interest creditors test[242], il cui termine di raffronto rispetto al soddisfacimento proposto dal debitore è rappresentato dalla liquidación concursal. Sul punto, è stato osservato che, tenuto conto dei requisiti di accesso alla procedura (“probabilty of insolvence”), l’alternativa più probabile rispetto al piano di ristrutturazione è l’apertura di una procedura di insolvenza, che costituisce, pertanto, il parametro di raffronto ai fini del test. Tale valore di liquidazione include il possibile valore dell’azienda as a going concern e deve essere attualizzato per giungere ad un present value[243]. 
In caso di non consensual plan, anche il legislatore spagnolo ha introdotto un meccanismo di cross class cram down. Oltre a dover rispettare le condizioni sopra esposte, tale meccanismo si attiva qualora il piano venga approvato dalla maggioranza delle classi, di cui almeno una sia assistita da privilegio speciale o generale (art. 639, comma 1, Ley Concorsual). In mancanza[244], il piano deve essere approvato da “Al menos una clase que, de acuerdo con la clasificación de créditos prevista por esta ley, pueda razonablemente presumirse que hubiese recibido algún pago tras una valoración de la deudora como empresa en funcionamiento” e, in tal caso l’omologazione richiede che “que la solicitud vaya acompañada de un informe del experto en la reestructuración sobre el valor de la deudora como empresa en funcionamiento” (art. 639, comma 2, Ley Concorsual). Ne discende, pertanto, che, qualora si raggiunga la maggioranza delle classi, di cui almeno una assista da privilegio, non si rende necessario, quantomeno in questa fase, procedere con una stima del valore di liquidazione as a going concern, mentre per raggiungere l’omologazione forzosa con una sola classe si rende necessaria la nomina di un esperto che proceda con tale stima. 
In aggiunta, ai fini della omologazione forzosa, il legislatore spagnolo richiede la verifica del rispetto della regola della priorità assoluta nei confronti della classe dissenziente. A tal fine, l’art. 655, comma 2, n. 4 dispone che il piano di ristrutturazione non approvato da tutte le classi può essere omologato dal tribunale se “la clase a la que pertenezca el acreedor o acreedores impugnantes vaya a mantener o recibir derechos, acciones o participaciones con un valor inferior al importe de sus créditos si una clase de rango inferior o los socios van a recibir cualquier pago o conservar cualquier derecho, acción o participación en el deudor en virtud del plan de reestructuración”. Come è stato osservato, al fine di adempiere a tale regola, occorre assumere come riferimento (i.e. valore di liquidazione) il valore dell’impresa in esercizio, quale ente in funzionamento, poiché l’obiettivo è quello di distribuire il plusvalore derivante dalla ristrutturazione tra le classi di creditori. In questo senso, mentre l’ipotetica quota di liquidazione costituisce un diritto individuale di ciascun creditore, il diritto a partecipare all’eccedenza connessa alla ristrutturazione, che deriva dal mantenimento dell’impresa operativa e ristrutturata al di fuori delle procedure formali di insolvenza, rappresenta un diritto collettivo della classe. Il legislatore spagnolo, tuttavia, ammette delle deroghe alla APR, consentendo quindi l’applicazione della più flessibile RPR, quando “sea imprescindible para asegurar la viabilidad de la empresa y los créditos de los acreedores afectados no se vean perjudicados injustificadamente” (art. 655, comma 3, Ley Concorsual). Pertanto, è ammessa una deroga alla APR qualora si renda necessaria al fine di perseguire la sostenibilità dell’impresa, senza pregiudicare ingiustamente i diritti dei creditori che hanno votato negativamente al piano di ristrutturazione. È stato osservato che il ricorso a questo tipo di eccezione alla regola della priorità assoluta può essere ritenuto indispensabile per mantenere gli azionisti nella società per il valore o i beni immateriali che apportano, o per mantenere determinati contratti di fornitura di beni o servizi indispensabili per la sostenibilità dell’attività. 
Il dovere di rispettare la APR, ferme le deroghe di cui sopra, è posto a carico delle società diverse dalla PMI[245]. Infatti, per queste ultime, tenuto conto della necessità di contenimento dei costi e di minore complessità, il legislatore ha dettato una specifica disciplina. In particolare, per le PMI l’art. 684, comma 4, Ley Concorsual prevede che in caso di mancata approvazione del piano da parte di tutte le classi “el plan de reestructuración podrá ser homologado si la clase o clases de acreedores que no lo hayan aprobado reciben un trato más favorable que cualquier otra clase de rango inferior”. In questo modo, pertanto, il legislatore esclude il dovere di rispettare l’ordine delle priorità e ammette l’utilizzo della RPR.
13.7 . Il Corporate Insolvency and Governance Act 2020 – Part 26A Companies Act 2006 nel Regno Unito
Il 25 giugno 2020 è stato approvato il testo del Corporate Insolvency and Governance Act (in seguito “CIGA”), il quale ha introdotto, all’interno del Companies Act del 2006, una nuova procedura, denominata Part A restructuring plan procedure. Con tale intervento normativo, il legislatore inglese ha preso posizione in ordine all’applicazione della regola della priorità assoluta, nonché ha introdotto il meccanismo del cross class cram down
L’art. 901G prevede, in particolare, la possibilità per la court di applicare il meccanismo del cross class cram down al verificarsi di entrambe le seguenti condizioni: 
o condition A: “The court is satisfied that, if the compromise or arrangement were to be sanctioned under section 901F, none of the members of the dissenting class would be any worse off than they would be in the event of the relevant alternative”; 
o condition B: “the compromise or arrangement has been agreed by a number representing 75% in value of a class of creditors or (as the case may be) of members, present and voting either in person or by proxy at the meeting summoned under section 901C, who would receive a payment, or have a genuine economic interest in the company, in the event of the relevant alternative”. 
La prima tematica che la court è tenuta ad attenzionare al fine di verificare il rispetto delle condizioni di cui sopra, concerne la identificazione del c.d. “relevant alternative”. Quest’ultima viene definita dal legislatore inglese come “whatever the court considers would be most likely to occur in relation to the company if the compromise or arrangement were not sanctioned under section 901F”. In seguito, la court è tenuta a verificare quanto potrebbe ottenere la classe dissenziente nell’ambito di tale scenario[246]. 
In questo modo il legislatore inglese lascia ampia discrezione alla court; infatti, la Explanatory Note al CIGAevidenzia come, a seguito della verifica del rispetto di tali condizioni, la court può comunque decidere di non attivare il meccanismo del cross class cram down laddove ritiene “just and equitable to do so”[247]. Sul punto, infatti, l’art. 901G(2) specifica che l’avvenuta verifica del rispetto delle condizioni di cui sopra, non impedisce alla court di decidere di non procedere con la omologazione forzosa[248]. In aggiunta, l’art. 901F prevede che, al raggiungimento delle maggioranze richieste, la court può (“may”) omologare forzosamente. 
Sulla base delle disposizioni sopra richiamate, pare ragionevole concludere nel senso che nell’ambito della procedura di cui alla Part 26A non trovi applicazione la regola della priorità assoluta, tuttavia, la stessa potrebbe trovare comunque applicazione in ragione dell’ampio potere discrezionale lasciato alla court
Come osservato, inoltre, la ragione per cui sia ragionevole ritenere che la regola della priorità assoluta non rappresenti un test obbligatorio per verificare “the fairness of a Part 26A restructuring plan” è costituita dalla circostanza per cui il legislatore abbia scelto di non contemplarla all’interno di una disposizione normativa[249]. Il fatto che il legislatore abbia lasciato al giudice il compito di decidere cosa sia “just and equitable” significa, pertanto, che la court sarà chiamata a decidere, per ogni fattispecie, se l’APR possa trovare applicazione o meno. 
La discrezionalità lasciata alla court circa la scelta di applicazione o meno della APR si riflette inevitabilmente sulle regole distributive da applicare al restructuring surplus che, secondo parte della dottrina inglese, è definito come “the value sought to be preserved and perhaps created by the implementation of the plan itself”[250]. Secondo tale orientamento dottrinale, il primo step da compiere consiste nel calcolare la quota proporzionale che ciascuna classe recupererebbe rispetto al proprio credito nella “relevant alternative”; sulla base di ciò è possibile calcolare il rapporto (“ratio”) che ciascuna classe riceverebbe rispetto ad un’altra e, infine, la court dovrebbe verificare che le classi condividano il restructuring surplus secondo i medesimi rapporti[251]. 
In conclusione, nell’ambito della legislazione inglese la regola della priorità assoluta non rappresenta un cardine del nuovo piano di ristrutturazione di cui al Part 26A, poiché viene lasciato ampio margine discrezionale al giudice di decidere quale sia la regola distributiva “just and equitable” nelle single fattispecie esaminate.
13.8 . Sintesi dello sguardo al diritto comparato
Dallo sguardo al Chapter 11 emerge come la regola della priorità assoluta, e con essa la definizione di valore di liquidazione in caso di procedura di cui al Chapter 7, trovi applicazione soltanto nell’ambito del c.d. cramdown plan e con riferimento ai creditori appartenenti ad una classe dissenziente. Ne discende, pertanto, che, se tutte le classi impaired votano favorevolmente al plan secondo le maggioranze, quest’ultimo diviene un consensual plan, e la court può procede con l’omologazione, previa verifica del rispetto delle condizioni contenute nel codice, ma senza dover verificare la conformità dello stesso rispetto alla regola della priorità assoluta. Non soltanto la regola della priorità assoluta non trova applicazione nell’ambito del consensual plan, ma anche con riferimento ai creditori appartenenti a classi che, secondo le maggioranze previste dal codice statunitense, hanno votato favorevolmente. Pertanto, seppur esista nel sistema statunitense un principio di distribuzione del valore secondo l’ordine dettato dalla APR, tale principio può essere derogato da parte di una classe di creditori che, attraverso l’espressione di un voto favorevole al plan, accetta la distribuzione di un valore anche inferiore a quella che discenderebbe dalla stretta applicazione della APR. La circostanza per cui la APR nel sistema statunitense trovi applicazione nei limiti di cui sopra non significa che i creditori dissenzienti appartenenti ad una classe siano privi di tutele. Infatti, trova applicazione il c.d. “best interest of creditors test”, che prevede il diritto di ciascun creditore (e socio) di ricevere almeno il valore di liquidazione. Rimanendo negli USA, il Subchapter V ha introdotto, limitatamente alle imprese nei cui confronti trova applicazione, un particolare criterio di fair and equitable, a fronte del dissenso di una o più classi di creditori non privilegiati: il nuovo § 1191(d) prevede che la court possa superare il dissenso della classe (o delle classi) e procedere con l’omologazione, qualora il piano destini ai creditori tutti il “projected disposable income” dell’attività d’impresa, il quale pare essere non dissimile dalla nozione di valore eccedente quello di liquidazione contenuto nel Codice della crisi. 
In modo simile al legislatore statunitense, nel sistema tedesco dell’Insolvenzordnung la regola che disciplina la distribuzione del valore derivante dal piano di ristrutturazione tra le varie classi di creditori si identifica nella priorità assoluta; tale regola, anche in questo ordinamento, può essere derogata da una classe omogenea di creditori attraverso l’espressione del voto secondo le regole previste dal legislatore tedesco. Come nel sistema statunitense, la verifica del rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione nella distribuzione del valore di riorganizzazione entra in gioco unicamente in caso di dissenso di una o più classi. Infatti, in caso di piano consensuale la corte fallimentare è tenuta unicamente a verificare che al singolo creditore (o socio) dissenziente nella classe (assenziente o dissenziente) sia riconosciuto il valore che tale creditore (o socio) potrebbe ottenere in assenza del piano, che viene generalmente ricondotto al valore di liquidazione della pretesa. Ne discende che, come nell’ordinamento statunitense, le classi possono accettare a maggioranza una distribuzione inferiore a quella che spetterebbe loro in applicazione della regola della priorità assoluta, così potendo disporre del diritto al valore derivante dalla riorganizzazione. In Germania con la riforma del 2020, che ha introdotto il StaRUG, sebbene la APR rimanga la regola generale, le innovazioni normative hanno portato la dottrina a ritenere che il legislatore tedesco abbia adottato una “relaxed absolute priority approach”, che consiste nel concedere una deroga alla regola rigida dell’ordine di priorità se il trattamento differenziato dei creditori di pari rango è appropriato alla luce delle circostanze specifiche , in particolare delle difficoltà economiche da superare.
In Olanda nell’ambito del WHOA, il legislatore ha previsto il dovere di rispettare l’ordine delle priorità, in ossequio alla APR, che trova applicazione nel momento in cui uno o più creditori manifestino il proprio dissenso alla approvazione del piano; in tale scenario, e quindi soltanto in caso di dissenso, il tribunale è tenuto a verificare il rispetto dell’ordine delle priorità con specifico riferimento alle classi di creditori dissenzienti. Qualora, invece, il piano non venga approvato da tutte le classi (art. 384, comma 4, lett. b), anche il legislatore olandese ha introdotto un meccanismo di cross class cram down, ove il tribunale non può procedere con la omologazione del piano di ristrutturazione se il valore creato attraverso di esso è distribuito in violazione dell’ordine gerarchico delle priorità, ossia della APR. Tuttavia, il legislatore, sebbene lasci aperte talune perplessità, ammette delle “deviations” rispetto alla APR, ossia qualora vi siano ragionevoli motivi che giustifichino una deviazione da tale ordine e a condizione che i creditori (o i soci) interessati non siano pregiudicati in conseguenza di tale scelta.
In Francia nell’ambito del sauvegarde (e il subprocedimento sauvegarde accélérée) e redressement judiciaire, qualora il piano venga approvato da ciascuna classe, interviene il controllo del tribunale, che, per quanto rileva in questa sede, deve verificare, tra gli altri, che qualora taluni creditori interessati abbiano votato negativamente, nessuno di questi a seguito dell’adozione del piano di ristrutturazione si trovi in una situazione meno favorevole rispetto al soddisfacimento che sarebbe loro prospettato qualora venisse applicato l’ordine delle priorità sugli asset del debitore nell’ambito di una liquidation judiciaire, ovvero in una migliore situazione alternativa qualora il piano di ristrutturazione non venisse omologato dal tribunale. Nell’ipotesi in cui tutte le classi abbiano votato favorevolmente al piano, il debitore può allocare liberamente “the surplus of the plan among the various classes”; pertanto, il piano potrebbe anche prevedere, in tali circostanze, trattamenti differenti nei confronti di classi aventi stesso rango: una delle condizioni attiene specificatamente al rispetto della regola della priorità assoluta anche nell’ordinamento francese. Pur prevedendo il rispetto della APR come regola principale dell’ordinamento il legislatore francese ammette alcune deroghe a tale regola, su richiesta del debitore o del administrateur judiciaire, con il consenso del debitore, purché esse siano necessarie per il raggiungimento degli obiettivi del piano di ristrutturazione e che lo stesso non pregiudichi indebitamente gli interessi o i diritti delle parti interessate. 
In Spagna il problema distributivo è stato affrontato in modo difforme a seconda che si tratti o meno di PMI. Qualora non si tratti di PMI, si applica la APR, mentre in caso di PMI trova applicazione la RPR. Ancora, una forma di RPR è altresì contemplata per le microimprese in relazione al Procedimiento especial para mocroempresas di cui al Libro III della Ley Concorsual. In caso di non consensual plan, anche il legislatore spagnolo ha introdotto un meccanismo di cross class cram down, che, tra gli altri, richiede la verifica del rispetto della regola della priorità assoluta nei confronti della classe dissenziente. Il legislatore spagnolo, tuttavia, ammette delle deroghe alla APR, consentendo quindi l’applicazione della più flessibile RPR, qualora si renda necessaria al fine di perseguire la sostenibilità dell’impresa, senza pregiudicare ingiustamente i diritti dei creditori che hanno votato negativamente al piano di ristrutturazione. Il dovere di rispettare la APR è posto a carico delle società diverse dalla PMI: per queste ultime, tenuto conto della necessità di contenimento dei costi e di minore complessità, il legislatore esclude il dovere di rispettare l’ordine delle priorità e ammette l’utilizzo della RPR. 
Infine, nel Regno Unito con l’approvazione del Corporate Insolvency and Governance Act, il legislatore inglese ha preso posizione in ordine all’applicazione della regola della priorità assoluta, nonché ha introdotto il meccanismo del cross class cram down. Il legislatore inglese lascia ampia discrezione alla court: la Explanatory Note al CIGAevidenzia come, a seguito della verifica del rispetto di tali condizioni, la court può comunque decidere di non attivare il meccanismo del cross class cram down laddove ritiene “just and equitable to do so”. Ne discende che nell’ambito della procedura di cui alla Part 26A non trovi applicazione la regola della priorità assoluta, tuttavia, la stessa potrebbe trovare comunque applicazione in ragione dell’ampio potere discrezionale lasciato alla court. Pertanto, nell’ambito della legislazione inglese la regola della priorità assoluta non rappresenta un cardine del nuovo piano di ristrutturazione di cui al Part 26A, poiché viene lasciato ampio margine discrezionale al giudice di decidere quale sia la regola distributiva “just and equitable” nelle single fattispecie esaminate.
14 . Quadro di sintesi
Di seguito si espone una tabella funzionale a riassumere le principali questioni critiche intorno al concetto di valore di liquidazione, le rispettive interpretazioni e la soluzione condivisa dallo scrivente.
15 . L’analisi dei casi
Nell’ambito del progetto sono stati esaminati n.ro 8 casi di ristrutturazione aziendale ove è stato affrontato in modo dettagliato il tema della stima del valore di liquidazione e le conseguenti regole distributive, con le relative criticità esposte nelle pagine precedenti[252], di cui n.ro 7 relativi a procedure di concordato preventivo in continuità aziendale (diretta e indiretta) omologate ed un caso, con talune specificità rilevanti ai fini del presente scritto, di omologazione di un concordato semplificato.
15.1 . Calzaturificio Skandia S.p.a. – Trib. Treviso R.G. 20/2023 P.U. e R.G. 1/2024 C.P. omologato
[253]
a) Sintesi della società, delle cause della crisi e tipologia di concordato 
Calzaturificio Skandia S.p.a. (in seguito “Calzaturificio”) rappresenta una realtà costituita nel 1979 che opera nel mercato delle calzature calde e impermeabili. 
Le cause della crisi sono principalmente riconducibili a fattori esterni quali, in primo luogo, la guerra in Ucraina, che ha comportato un drastico calo dei volumi di vendita nel mercato Russo, il quale rappresentava per Calzaturificio uno dei mercati più recettivi dei prodotti doposcì, che garantiva volumi e margini significativi. In tale contesto, Calzaturificio si è trovata costretta a ridurre la produzione programmata, con incremento del magazzino di materie prime, semilavorati e prodotti finiti con conseguente riduzione del turnover annuale. La necessità di smaltire rapidamente le rimanenze ha indotto Calzaturificio a proporre scontistiche ai clienti, che hanno assorbito completamente i margini, generando risultati economici negativi. 
Alla luce di quanto sopra, Calzaturificio ha deciso di intraprendere una procedura di concordato preventivo in continuità diretta, con il mantenimento della forza lavoro dei propri dipendenti pari a n.ro 76 (oltre ad altre 580 risorse umane impiegate dalle controllate) assicurando la discontinuità nella gestione aziendale attraverso un rinnovo delle cariche sociali e, in particolare, l’individuazione di un consulente autonomo con sostanziali mansioni di direttore generale. 

b) I criteri di determinazione del valore di liquidazione dell’azienda in caso di esercizio provvisorio 
Come si evince dal ricorso ex art. 40 CCII, Calzaturificio, ai fini della determinazione del valore di liquidazione rilevante ai fini del giudizio di comparazione e di degrado dei creditori privilegiati, ha proceduto esclusivamente ad una valutazione atomistica, non ritenendo praticabile la cessione dell’azienda in esercizio poiché non percorribile l’esercizio dell’impresa da parte del curatore, per le seguenti motivazioni[254]: 
o produce al 90% per conto terzi e, pertanto, in caso di sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, i committenti sicuramente non garantirebbero la continuità del rapporto commerciale tenuto conto che l’attività dovrebbe essere sospesa per la redazione dell’inventario che richiederebbe almeno due mesi, poiché i cui beni sono dislocati in tre nazioni nelle quali opera Calzaturificio; 
o i dipendenti delle controllate, come dimostrato dalle recenti dimissioni riscontrate, non sarebbero disponibili a continuare a lavorare in caso di ritardo nei pagamenti delle proprie spettanze e, pertanto, venendo a meno la forza lavoro sarebbe complesso garantire la prosecuzione dell’attività aziendale; 
o a far data dal deposito della domanda con riserva, vi sono state ben sei dimissioni di impiegati, per cui è ragionevole ritenere che, in caso di liquidazione giudiziale, il curatore non disporrebbe della forza lavoro necessaria per la prosecuzione dell’attività attraverso l’esercizio provvisorio; 
o le forniture di materie prime dalla Cina devono essere pagate all’ordine e tali tempistiche di pagamento sarebbero ragionevolmente difficili da rispettare per una ipotetica curatela; 
o opera attraverso il metodo di fornitura just in time, il cui presupposto è quello di consentire ai clienti di non disporre di un proprio magazzino ma di programmare forniture scaglionate da ricevere dopo pochi giorni dalla richiesta; pertanto, in caso di sospensione anche temporanea dell’attività, i clienti resterebbero privi di merce con danni che difficilmente consentirebbero di recuperare il rapporto con il cliente. 
o le previsioni di piano al termine dell’esercizio 2023 evidenziano una perdita di euro 343.000 (escludendo la sopravvenienza da stralcio conseguente alla omologazione del concordato preventivo), che sarebbe incompatibile con un eventuale esercizio provvisorio, poiché comporterebbe inevitabilmente un aggravio delle spese in prededuzione; 
o l’eventuale esercizio dell’attività da parte del curatore potrebbe consentire al massimo il soddisfacimento degli ordini in corso, ma difficilmente il curatore potrebbe acquisire con un anno di anticipo gli ordini per l’anno successivo rendendo pertanto non appetibile l’acquisizione dall’azienda da parte di un terzo. 
In funzione di quanto sopra, la ricorrente non ha ritenuto percorribile l’esercizio provvisorio da parte di una ipotetica curatela e, pertanto, tutte le componenti attive sono state stimate sulla scorta di criteri di pronto realizzo, tenuto conto anche di tre relazioni aventi ad oggetto (i) beni mobili e immobili, (ii) magazzino e (iii) partecipate, meglio specificate ed analizzate nel paragrafo che segue. 
Sul tema della non percorribilità dell’esercizio provvisorio si è altresì espresso l’attestatore, nonché anche professionista incaricato a redigere anche la relazione ex art. 84, comma 5, CCII. Quest’ultimo ha ritenuto condivisibili le motivazioni addotte dalla ricorrente per ritenere non praticabile e, quindi, non conveniente per il ceto creditorio, la cessione dell’azienda in esercizio (provvisorio) rispetto alla valutazione atomistica dei singoli beni. Anche il commissario giudiziale nella propria relazione ex art. 105 CCII ha dato atto di condividere le ragioni esposte dalla Calzaturificio in merito alla opportunità di una stima atomistica dei beni aziendali al fine di una valutazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale, come previsto dall’art. 87, c. 1, lett. c, CCII. 

c) La stima del valore di liquidazione nella relazione ex art. 84, comma 5, CCII 
In primo luogo, si precisa che lo scenario di riferimento adottato dal perito redattore della relazione ex art. 84, comma 5, CCII (in seguito “Perito art. 84”) è stato quello della liquidazione giudiziale[255]. Di seguito si ripercorrono le principali voci dell’attivo valorizzate dal perito ai fini della redazione della perizia di degrado e che assumono rilievo in questa sede in quanto forniscono utili spunti di approfondimento rispetto alle tematiche esposte nelle pagine precedenti. 
In primo luogo, con riferimento alla valorizzazione delle immobilizzazioni materiali, costituite da impianti, macchinari e attrezzature industriali, Calzaturificio ha fornito incarico ad un perito. Quest’ultimo ha formulato una valutazione tenuto conto: (i) del costo di acquisto di macchinari o attrezzature nuovi comparabili per caratteristiche intrinseche e di utilità nonché i costi di carico, trasporto, installazione, allacciamento ed adeguamento alle esigenze produttive, (ii) del deprezzamento legato alle condizioni di conservazione ed alla obsolescenza funzionale dei beni, (iii) dei costi di smontaggio, carico e trasporto dei materiali verso altra sede, considerando, nel valore di stima, l’appetibilità dei beni per una ristretta fascia di possibili acquirenti, (iv) la presenza o meno dell’attestazione di conformità europea (CE) al fine di verificare la rispondenza dei beni ai requisiti previsti per la loro utilizzabilità. Il perito ha ritenuto opportuno calcolare, oltre che un coefficiente di obsolescenza funzionale, un ulteriore abbattimento prudenziale variabile fra il 20% ed il 50% per considerare i fattori indicati in precedenza. Tale abbattimento è stato considerato dal Perito art. 84 conforme alle finalità della presente stima e, dunque, alla determinazione del valore di mercato dei beni in caso di liquidazione giudiziale. 
Ai fini della valorizzazione delle partecipazioni detenute da Calzaturificio è stato nominato un perito, il quale ha rilasciato la propria relazione peritale. Come si evince nella relazione di degrado, poiché la valutazione delle tre partecipate è stata effettuata in ottica liquidatoria per Calzaturificio e, poiché le partecipate svolgono attività economica esclusivamente nei confronti della capogruppo, il perito ha ritenuto che in caso di cessazione dell’attività da parte di Calzaturificio, anche le controllate cessino di operare. La cessazione dell’attività del debitore, infatti, comporterebbe il venir meno della configurazione di azienda (inteso quale complesso economico funzionante) da parte delle controllate. Di fatto, quindi, i singoli elementi patrimoniali cesserebbero di avere un valore di funzionamento ma dovrebbero essere valutati singolarmente in ottica liquidatoria. In tale contesto, quindi, l’unico metodo concretamente ritenuto applicabile, poste le peculiarità della valutazione in questione, è stato il metodo patrimoniale semplice. È stato escluso, infatti, il metodo patrimoniale complesso, cioè con valutazione separata degli intangibili, siccome le controllate non paiono disporre di immateriali di valore rilevante. Di conseguenza il perito ha ritenuto di valutare le tre partecipate con il metodo patrimoniale semplice. A tal fine, peraltro, ha basato le proprie valutazioni sulle stime del valore dei beni materiali di proprietà delle tre società partecipate sulla base di apposita perizia. Nell’applicare il metodo patrimoniale ha adeguato il valore delle immobilizzazioni materiali delle partecipate al valore indicato da tale perizia e ha rettificato i crediti che le controllate vantano nei confronti del debitore, in considerazione della crisi d’impresa di Calzaturificio che non darà soddisfazione a tali crediti[256] ovvero altri crediti di cui non si prevede la recuperabilità in futuro. Da ultimo, in considerazione dell’ottica liquidatoria è stata applicata un’ulteriore defalcazione del valore ottenuto pari al 10%[257]. Il Perito art. 84 ha ritenuto condivisibili le conclusioni del perito delle partecipazioni in merito agli effetti in termini di cessazione dell’attività delle controllate in caso di liquidazione giudiziale di Calzaturificio, escludendo quindi l’impiego di metodi valutativi basati sui flussi di reddito o di cassa in quanto, di fatto, impossibili da realizzare in futuro, in caso di cessazione dell’attività da parte della società capogruppo, così come i metodi misti (patrimoniale-reddituale) per le medesime considerazioni. Anche l’impiego dei metodi multipli è stato escluso in quanto trattasi di metodologie valutative che non potrebbero essere utilizzate nell’ambito della valutazione qui ipotizzata, poiché anche tali metodi presuppongono la continuazione dell’attività d’impresa. Da ultimo, evidenzia il Perito art. 84, che il metodo patrimoniale, nel caso in esame, pare contemperare due esigenze contrapposte: la prima consistente nella necessità di valutare il valore minimo realizzabile in caso di liquidazione giudiziale e la seconda esigenza rappresentata dalla necessità di garantire un valore congruo rispetto alle aspettative dei creditori muniti di privilegio su tali elementi patrimoniali. 
Infine, anche in ordine alla stima del valore delle rimanenze di magazzino, Calzaturificio ha dato apposito mandato ad un perito. Quest’ultimo ha utilizzato come scenario di riferimento ai fini della redazione della propria perizia il valore in caso di liquidazione giudiziale. Ciò in quanto ha ritenuto non percorribile una vendita a normali condizioni di mercato poiché l’azienda non ha titolarità dei marchi e contrattualmente non ha alcun permesso alla vendita autonoma degli stessi. Il perito, inoltre, ha evidenziato come Calzaturificio adotta un metodo just in time, pertanto, una interruzione della produzione e quindi delle vendite dettata dalla necessità di ricorrere a procedure competitive, con conseguenti tempistiche prolungate, comporterebbe l’impossibilità di realizzare le vendite a condizioni di mercato. Tenuto conto di quanto sopra, il perito ha ritenuto che l’unica eventuale via percorribile per la cessione di tali beni sarebbe una vendita in stock, presso soggetti specializzati nel commercio all’ingrosso. Pertanto, sono state applicate specifici coefficienti di svalutazione per tipologia di rimanenza (dal 30% al 90%). 
Il commissario giudiziale ha richiesto e ottenuto dal tribunale la nomina di un perito al quale è stato affidato l’incarico di verificare i valori indicati nelle perizie di stima allegate al ricorso, sopra sommariamente esposte per quanto di rilievo in questa sede, valutandone la congruità (verifica della congruità delle stime del compendio mobiliare e immobiliare della ricorrente)[258]. Complessivamente l’attività effettuata dal perito ha portato a ritenere congrui i valori assunti nel piano, pur con singoli valori differenti rispetto a quelli del perito nominato dalla Calzaturificio, dimostratesi, quest’ultimi, comunque superiori a quelli dell’ausiliario della procedura e conseguentemente più favorevoli al ceto creditorio. Pertanto, i valori assunti nel piano sono stati confermati e, quindi, fatti propri dall’ufficio commissariale. 

d) Stima del valore di liquidazione delle azioni risarcitorie, recuperatore e revocatorie 
Nel caso in esame, come si evince nel ricorso ex art. 40 CCII, è stata analizzata la sussistenza di profili di responsabilità gestoria, nonché di esercizio di azioni recuperatorie, non ravvisando tuttavia alcuna delle ipotesi suddette[259]. Ciò in quanto, ad avviso della ricorrente, Calzaturificio (i) è dotata di un coerente apparato organizzativo, amministrativo e contabile, (ii) gli amministratori hanno agito in modo informato nelle loro determinazioni, alla stregua dei principi codificati dall’art. 2381 c.c. e (iii) i bilanci sono stati redatti secondo corretti principi contabili; neppure si configurerebbero nei confronti dell’organo di controllo, avendo lo stesso invitato tempestivamente l’organo gestorio a presentare domanda di accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi. Ad avviso della ricorrente, Calzaturificio ha condotto ampia disclosure informativa sugli atti gestori e i fatti che hanno condotto la stessa ad affrontare una situazione di crisi; questi, ad avviso della ricorrente, non configurano alcun profilo di responsabilità in capo all’organo amministrativo e di controllo, nonché al revisore, stante l’operativa della c.d. business judgment rule, poiché in tale contesto è escluso che eventuali scelte gestorie possano essere sindacabili, tanto più in una prospettiva ex post
L’attestatore, in ordine alle azioni risarcitorie, ha ritenuto che gli amministratori abbiano opportunamente presidiato i valori della continuità aziendale e si siano attivati tempestivamente con il ricorso ad uno strumento di regolazione della crisi; lo stesso atteggiamento proattivo è stato constatato anche a livello produttivo, in quanto gli insediamenti produttivi esteri della Calzaturificio (siti in Romania e Serbia) sono sempre stati presidiati e non hanno mai interrotto la produzione. L’attestatore, prima ancora di valutare la possibile sussistenza di eventuali condotte che possano determinare una responsabilità, ha ritenuto di condurre una verifica sulla consistenza patrimoniale riferibile a ciascun amministratore e componente del collegio sindacale. Questo in quanto, evidentemente, la convenienza nell’esperibilità di un’azione di responsabilità dipende direttamente dalle prospettive di recupero di somme a favore della procedura. Peraltro, anche laddove esistessero profili di responsabilità in capo agli stessi, la convenienza nella esperibilità di eventuali azioni in caso di liquidazione giudiziale sarebbe da valutare alla luce dei tempi, non brevi, e dei costi per la procedura liquidatoria, non di lieve entità, considerato che la richiesta di un danno eventualmente attivata si potrebbe chiudere, come spesso accade, con una transazione fra le parti a valori ben inferiori alla pretesa. L’attestatore ha preliminarmente segnalato che le verifiche sulle consistenze patrimoniali dei componenti dell’organo amministrativo e dei sindaci effettuate si sono limitate a quelle effettuabili su banche dati pubbliche, attraverso l’estrazione di una visura catastale ed una visura ipotecaria per ciascun amministratore. Per valutare la capacità patrimoniale degli amministratori e dei sindaci, l’attestatore ha anche effettuato una ricerca in merito alle partecipazioni sociali eventualmente detenute in proprietà. Quanto ai tempi tecnici di realizzo dei beni in ipotesi di soluzione alternativa al concordato, ovvero di liquidazione giudiziale, l’attestatore ha richiamato la sentenza della Corte di Cassazione n. 10233/2015 che ha indicato in cinque anni “la durata ragionevole delle procedure fallimentari di media complessità”, termine “elevabile fino a sette anni allorquando il procedimento si presenti notevolmente complesso”. In funzione di tali considerazioni, l’attestatore ha proceduto ad esaminare l’esistenza di eventuali condotte che possano legittimare un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, dei sindaci e del revisore, sulla base della lettura dei verbali del Consiglio di Amministrazione dell’ultimo quinquennio; da tale lettura, l’attestatore ha concluso che non emergano atti compiuti tali da determinare motivi di responsabilità in capo agli stessi. I verbali del Consiglio di Amministrazione, infatti, ad avviso dell’attestatore sono sempre stati redatti in maniera completa e articolata, consentendo di rilevare come gli amministratori abbiano sempre cercato di agire in maniera “informata” ex art. 2381 c.c. 
Sul tema, il commissario giudiziale nella propria relazione ex art. 105 CCII ha evidenziato come non si ravvisino particolari censure all’organo amministrativo in quanto non sono emerse operazioni che possano ritenersi pregiudizievoli per i creditori dal momento che la crisi si è manifestata soprattutto per effetto di eventi imprevisti ed imprevedibili, e questa è stata affrontata dagli amministratori e dall’organo di controllo con tempestività facendo immediato ricorso ad uno degli strumenti previsti dalla normativa per la risoluzione della crisi d’impresa 
Infine, in merito alle azioni revocatorie, ad avviso della ricorrente, non sono stati compiuti atti meritevoli di dichiarazione di inefficacia ex artt. 165 e 166 CCII, come anche confermato dall’attestatore e dal commissario giudiziale. 

e) Stima del valore riservato ai soci 
Al fine di adempiere al disposto di cui all’art. 120 quater CCII e tenuto conto della tipologia di concordato adottata (continuità diretta), la ricorrente ha provveduto alla stima del valore dell’azienda conseguentemente all’omologa, adoperando quale criterio di stima, il metodo del multiplo medio EV/EBITDA, che rappresenta, nelle operazioni di cessioni di società, il metodo più utilizzato per la valutazione d’azienda[260]. La ricorrente ritiene tale metodologia particolarmente adatta poiché consente di valutare, nel caso di specie, in ottica prospettica e sulla base della redditività attesa, il valore da poter attribuire all’azienda ad esito dell’omologazione del concordato. Per determinare l’equity value, ossia il valore netto dei soci, la ricorrente ha poi provveduto a decurtare dal valore ottenuto il fabbisogno concordatario, ossia il passivo che la società prevede di soddisfare con la proposta concordataria (e quindi nella misura falcidiata prospettata[261]. Il multiplo EV/EBITDA è stato ricavato dai dati pubblicati sul sito di A. Damodaran per analoghi settori in aziende europee. Ai fini della stima dell’EBITDA è stato assunto il valore attuale[262] della media degli EBITDA prospettici del piano; tale valore è stato moltiplicato per il multiplo del settore identificato. Tale multiplo, tuttavia, è stato ridotto del 50% per le seguenti ragioni: 
o il multiplo fa riferimento ad aziende produttrici con marchio proprio, mentre la ricorrente produce per conto terzi e, pertanto, il proprio margine è inferiore rispetto alle aziende che producono con il proprio marchio; 
o la società opera con 3/4 clienti, con evidente concentrazione del rischio e, conseguentemente, un eventuale cessione a terzi potrebbe non essere ben vista dai clienti che potrebbero anche decidere di interrompere la fornitura. 
Il valore del capitale economico così determinato è stato pari ad euro 10,35 mln, mentre il fabbisogno concordatario è pari a c.a. 13,50 mln, e pertanto l’equity value è stimato per un importo negativo di euro 3,15 mln. In aggiunta, occorre considerare che i soci si sono impegnati ad effettuare un aumento di capitale sociale ad esito della omologazione per 2 mln di euro, che andrebbe ulteriormente a rendere maggiormente negativo il valore riservato ai soci. 
L’attestatore ha ritenuto che la ricorrente abbia correttamente effettuato le valutazioni dettate dal nuovo art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII che ha condiviso sia in termini di impostazione logica, di criterio valutativo applicato che di risultanze finali, concernenti quello che deve considerarsi il “valore effettivo” riservato ai soci per effetto dell’eventuale omologa della proposta. 

f) Focus – Regole di distribuzione del valore derivante dall’aumento di capitale sociale 
La proposta di Calzaturificio prevede una operazione di aumento di capitale scindibile sospensivamente condizionato all’omologa del concordato preventivo[263]. Come si evince nel ricorso ex art. 40 CCII, l’apporto consente di avere flussi, assimilabili in tutto e per tutto ai flussi derivanti dalla continuità aziendale, che diversamente non si avrebbero in ipotesi di liquidazione giudiziale. Tale valore viene considerato nel piano quale valore generato dalla continuità e quindi eccedente quello di liquidazione e, pertanto, assoggettabile non alla regola della priorità assoluta ma alla relative priority rule e non anche liberamente distribuibile in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. In altre parole, l’eccedenza rispetto al valore di liquidazione, generata tanto dai flussi della continuità e tanto dall’aumento di capitale, viene distribuita secondo la regola della priorità relativa. Ad avviso della ricorrente, la qualificazione dell’aumento di capitale in simili termini pare indirettamente ricavabile dal principio generale sancito dall’art. 84, comma 4, CCII secondo cui “si considerano esterne le risorse apportate a qualunque titolo dai soci senza obbligo di restituzione o con vincolo di postergazione, di cui il piano prevede la diretta destinazione a vantaggio dei creditori concorsuali”. La collocazione di tale principio nel comma relativo al concordato liquidatorio appare dettata unicamente dalla volontà del legislatore di “imporre” per la tipologia liquidatoria un apporto esterno, facoltativo invece per l’ipotesi di continuità. 

g) Focus – Regole distribuzione del patrimonio con riferimento al trattamento dei debiti tributari e contributivi 
A seguito del deposito della domanda di concordato preventivo, il tribunale ha richiesto, ai sensi dell’art. 47 CCII, al debitore taluni chiarimenti, tra cui, in parte qua, precisazioni in merito alle regole di distribuzione del patrimonio con riferimento al trattamento dei crediti tributari e previdenziali. In particolare, il tribunale ha evidenziato che l’art. 88, comma 1, ultimo periodo, CCII così stabilisce “Se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, anche a seguito di degradazione per incapienza, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri crediti chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei crediti rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole”. Pare chiaro in base all’interpretazione letterale, ad avviso dei giudici di merito, che i crediti erariali chirografari non possano avere un trattamento deteriore rispetto a nessun’altra classe, sicché devono avere un trattamento almeno pari alla classe destinataria della percentuale più favorevole. Non è previsto in particolare che essi possano avere un trattamento deteriore rispetto ai creditori degradati che ab origine godevano di un privilegio di grado superiore: il legislatore ha riservato una disciplina “rinforzata” ai crediti tributari o contributivi di natura chirografaria (tali divenuti “anche a seguito di degradazione per incapienza” come ha aggiunto l’art. 3 del d.l. 7 ottobre 2020) (cfr. Cass. ord. n. 17155/2022 Est. Vella). Trattasi di una regola distributiva speciale rispetto alla c.d. Relative Priority Rule di cui all’art. 84, comma 6, CCII, dettata nell’ottica di favorire i crediti erariali, dunque destinata ad applicarsi anche all’attivo derivante dal c.d. surplus da continuità aziendale. Nel piano invece i crediti erariali chirografari sono stati inseriti in due distinte classi, a seconda del grado di privilegio, con previsione di soddisfazione deteriore rispetto alla classe I. 
La ricorrente ha precisato come l’iniziale impostazione adottata con riferimento al trattamento dei crediti contributivi e fiscali era basata su di una diversa interpretazione della norma, secondo cui l’art. 88 CCII, nella parte richiamata dal provvedimento, si applicherebbe al solo concordato liquidatorio. L’incipit dello stesso art. 88 CCII reca un dato letterale, ad avviso della ricorrente, significativo: “Fermo restando quanto previsto per il concordato in continuità aziendale dall’art. 112, comma 2 (…)”. Alla luce di ciò, ad avviso della ricorrente, può fondatamente ritenersi che nel concordato in continuità aziendale il disposto degli artt. 84, comma 6, e 112, comma 2, lett. b) CCII prevalga su quello previsto all'art. 88, comma 1, ultimo periodo CCII, relativamente ai crediti privilegiati assistiti da privilegio generale e degradati a chirografo per incapienza. Inizialmente, per tali ragioni, la Calzaturificio aveva ritenuto che la previsione di cui all’ultimo periodo del comma 1 art. 88 CCII fosse applicabile al solo concordato liquidatorio, motivo per il quale nella formazione delle classi costituite da crediti privilegiati degradati a chirografo di Agenzia dele Entrate, INPS e INAIL aveva seguito uno schema che ricalcava la graduazione delle cause legittime di prelazione sebbene in applicazione della c.d. Relative Priority Rule. Nonostante ciò, la ricorrente ha preso atto della diversa interpretazione del Tribunale e ha proceduto alla modifica delle percentuali di riparto e della formazione delle classi. 
15.2 . Sergio Lunatici S.p.a. – Trib. Lucca R.G. 9-2/2022 P.U. e R.G. 1/2023 C.P. omologato
[264]
a) Sintesi della società, delle cause della crisi e tipologia di concordato 
Sergio Lunatici S.p.a. (in seguito “Lunatici”) si occupa di commercio di autoveicoli nuovi ed usati, derivati industriali, parti di ricambio, accessori, autoradio e prodotti industriali, nonché svolge l’attività di rappresentanze e assunzione di contratti di commissione e di concessione per conto di ditte produttrici, della gestione di officine di riparazione e rimessaggio, nonché l’attività di trasporto per conto terzi dei beni di cui sopra. Le principali cause della crisi indicate da Lunatici sono riconducibili all’andamento del settore automobilistico conseguente agli effetti della pandemia da Covid-19 e al conflitto tra Ucraina e Russia, che hanno determinato una drastica riduzione dei volumi di vendita. 
La proposta concordataria presentata da Lunatici si connota per la prosecuzione diretta dell’attività d’impresa unitamente alla dismissione di un immobile ritenuto non più funzionale alla continuità aziendale. Inoltre, all’omologa (e condizionatamente alla stessa) Lunatici adotterà, anche nelle forme di cui all’art. 118, comma 6, CCII, una delibera di aumento di capitale, previo azzeramento, con conseguente impegno da parte dell’azionista di maggioranza, a ricostituire il capitale sociale in misura tale da consentire l’integrale adempimento dell’onere concordatario mediante la sottoscrizione e la liberazione in denaro dell’aumento di capitale riservato. 

b) I criteri di determinazione del valore di liquidazione dell’azienda in caso di esercizio provvisorio 
Ai fini della determinazione del valore di liquidazione, Lunatici ha dettagliatamente analizzato, anzitutto, il tema della percorribilità dell’esercizio provvisorio[265]. A tal fine, l’analisi è stata condotta prescindendo dai benefici derivanti dal piano in continuità (con le relative azioni strategiche volte ad apportare un aumento dei ricavi, riduzione dei costi, risultati positivi di esercizio e, in generale, una maggior valorizzazione delle poste attive nella loro “dinamicità” e nell’ottica di prosecuzione dei rapporti commerciali, grazie anche all’intervento finanziario dell’azionista di riferimento o di nuove sinergie), immedesimandosi invece nel ruolo di curatore della relativa liquidazione giudiziale, aperta alla data di presentazione del concordato. 
L’ipotetico esercizio provvisorio non è stato nella specie ritenuto minimamente praticabile, per tutti i limiti che esso presuppone, soprattutto in termini di temporaneità, volta esclusivamente ad evitare un ulteriore aggravamento del pregiudizio (o una più profittevole alienazione dei cespiti), visto che nella liquidazione giudiziale il fine è, pur sempre, la liquidazione dei beni. Ciò in quanto l’apertura della liquidazione giudiziale, anche se assunta disponendo l’esercizio provvisorio ai sensi dell’art. 211, comma 2 e 3, CCII, comprometterebbe irreversibilmente la credibilità sul mercato, con azzeramento, in termini assoluti, delle attività dell’impresa e farebbe venir meno il rapporto commerciale con le case automobilistiche. Oltre ai tempi ristretti e ai rigorosi presupposti cui va soggetto per legge l’esercizio provvisorio, l’apertura della liquidazione giudiziale comporterebbe ad avviso di Lunatici la sicura risoluzione del mandato con i principali clienti della società. Ne deriverebbe, da un lato, l’interruzione dell’attività in corso relativa alla consegna delle auto (con conseguente applicazione di penalità) e, dall’altro, l’impossibilità di svolgere il piano aziendale ipotizzato. 
Pertanto, conclude Lunatici evidenziando come nell’ipotesi di liquidazione giudiziale verrebbe meno l’azienda, con la conseguenza di dover procedere necessariamente alla dismissione atomistica dei beni che la compongono. Tale considerazione giustifica e motiva, in sede di ricorso, un’analisi mirata solo a tale soluzione liquidatoria disaggregata. 
A seguito del deposito del ricorso ex art. 40 CCII, il Tribunale ha richiesto chiarimenti, tra gli altri, in relazione alla mancata valutazione della liquidazione del complesso aziendale per impossibilità di cedere l’azienda in sede liquidatoria e, in ogni caso, alla valutazione dell’azienda in sede giudiziale. A tale quesito, Lunatici è giunta alla medesima conclusione di cui al ricorso ex art. 40 CCII, ipotizzando che in caso di apertura della liquidazione giudiziale verrebbe meno un ramo aziendale in applicazione della clausola di risoluzione espressa contenuta nel contratto di mandato con il cliente di riferimento, mentre resterebbero soltanto due rami aziendali. In relazione a tali rami, Lunatici ha costruito un prospetto economico con ricavi e costi ad essi direttamente imputabili e, sulla base di ciò, è emerso un valore negativo della redditività aziendale, qualificato come badwill. Pertanto, ad avviso della ricorrente, si ritorna alla necessità di optare per una valutazione atomistica dell’azienda, stante l’antieconomicità dell’esercizio provvisorio. 
Con parere ex art. 47, comma 1, CCII, il Commissario Giudiziale ha rilevato che nel ricorso e nella relazione del professionista indipendente, in riferimento al valore realizzabile nella liquidazione giudiziale, viene considerata la sola ipotesi di vendita atomistica dei beni, mentre per l’ulteriore ipotesi – vendita dell’intero complesso aziendale - vengono illustrate le difficoltà di vendere l’azienda tramite l’esercizio provvisorio, sottolineando che l’informazione resa dalla ricorrente è comunque conforme con quanto richiesto dalla norma. Sul punto, nella relazione ex art. 105 CCII, il commissario ha evidenziato come il Codice della crisi abbia introdotto, al fine di contenere le spese in prededuzione, l’abolizione della nomina di periti stimatori da parte del tribunale (art. 172, L. fall., e ora art. 105 CCII). Premesso ciò, il commissario ha provveduto a verificare i criteri di valutazione adottati per la stima delle attività, evidenziando l’impossibilità di richiedere la nomina di nuovi periti al fine di confrontare le stime condotte dalla ricorrente[266]. 

c) Stima del valore di liquidazione della partecipazione 
Una delle componenti dell’attivo mobiliare che presenta maggiore rilevanza ai fini della stima del valore di liquidazione nel caso di specie è rappresentata da una partecipazione del 95% in una società anch’essa avente ad oggetto la vendita di autoveicoli nuovi ed usati. 
Al fine di determinare il valore della partecipazione, è stato conferito mandato ad un professionista, il quale ha prescelto il metodo misto patrimoniale con stima autonoma dell’avviamento, mentre è stato utilizzato il metodo reddituale come metodo di controllo. La valutazione finale è stata data assumendo il valore medio derivante dall’applicazione dei due metodi. In considerazione della presenza di una clausola di gradimento, che potrebbe incidere sulle considerazioni di un potenziale acquirente, è stata apportata una svalutazione del 25% rispetto al valore sopra determinato, così giungendo alla determinazione del valore di mercato. Inoltre, il perito ha altresì formulato una valutazione della partecipazione in ipotesi di vendita giudiziale; a tal fine è stato apportato al valore di cui sopra un ulteriore sconto nella misura del 20%. Nel piano è stato considerato, quale valore di liquidazione in caso di apertura della liquidazione giudiziale, una media tra il valore di mercato e quello di liquidazione giudiziale. 

d) Stima del valore di liquidazione delle azioni risarcitorie, recuperatore e revocatorie 
In primo luogo, nel ricorso si evince che non sono prospettabili maggiori incassi derivanti dall’esperimento di azioni revocatorie, poiché non sarebbero atti compiuti meritevoli di dichiarazione di inefficacia ai sensi degli artt. 165 e 166 CCII[267]. 
In ordine alle azioni di responsabilità verso l’organo gestorio, ad avviso della ricorrente, non ne ricorrono i presupposti, stante l’operatività della c.d. business judgment rule, poiché sarebbero conseguenti a determinazioni imprenditoriali che si sono poi nel tempo probabilmente rivelate errate. In particolare, è emerso che: 
o la società è dotata d’un coerente apparato organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla struttura imprenditoriale; 
o gli amministratori hanno agito in modo informato nelle loro determinazioni, alla stregua dei principi codificati nell’art. 2381 c.c.; 
o i bilanci sono stati redatti secondo corretti principi contabili. 
Conseguentemente, la ricorrente non ha ravvisato i presupposti per l’esercizio di azioni di responsabilità nei confronti dell’organo di controllo, poiché è tempestivamente intervenuto nel segnalare le criticità della tenuta economico/finanziaria della società, invitando la stessa a presentare istanza per l’accesso allo strumento della composizione negoziata della crisi d’impresa. 
Sul tema, anche l’attestatore non ha ravvisato i presupposti per l’esercizio di azioni risarcitorie, recuperatore e revocatorie.
15.3 . Co.ret. s.a.s. – Trib. Lecce R.G. 75/2022 C.P. omologato
[268]
a) Sintesi della società, delle cause della crisi e tipologia di concordato 
Co.ret s.a.s. (in seguito “Coret”) svolge l’attività di realizzazione, gestione e manutenzione per conto di enti pubblici e di privati, di costruzioni, lavori, opere ed impianti speciali, di ogni genere e tipo, a titolo esemplificativo e non esaustivo, impianti civili e industriali di produzione, trasporto, distribuzione e utilizzazione dell’energia elettrica, comprese centrali elettriche, termiche ed impianti interni ed esterni di illuminazione, cabine di trasformazione, linee a bassa, media ed alta tensione. 
Le cause della crisi di Coret sono prevalentemente individuate in un incremento dei costi ai quali non ha seguito un corrispondente incremento dei ricavi comportando una sensibile riduzione della redditività e una decisa riduzione della liquidità. Su un esito così fortemente negativo incidevano in maniera consistente, oltre ad alcune difficoltà nella gestione caratteristica, un insieme di fattori, di tipo strutturale e congiunturale, quali la crisi del settore fotovoltaico, che ha comportato un rilevante calo dei volumi di affari, la politica di pagamenti piuttosto severa adottata dai committenti, che ha comportato una rotazione dei crediti piuttosto lenta e che oscilla fra i 60 ai 120 giorni, nonché il rallentamento delle attività conseguente alla pandemia da Covid-19. 
La Coret intende, pertanto, superare lo stato di crisi e di tensione finanziaria in cui versa attraverso la presentazione di un piano volto al risanamento della situazione economico-finanziaria e alla ristrutturazione dell’esposizione debitoria, con continuità indiretta. La proposta di Coret, infatti, prevede la prosecuzione dell’attività in via indiretta, tramite un contratto di affitto della durata di tre anni e successiva cessione dell’azienda mediante procedure competitive ex art. 91 CCII, tenuto conto che l’affittuaria, oltre a godere del diritto di prelazione, ha formulato una proposta irrevocabile di acquisto dell’azienda affittata. 

b) I criteri di determinazione del valore di liquidazione dell’azienda concessa in affitto 
Come sopra anticipato, in funzione dell’omologazione del concordato preventivo, Coret ha stipulato un affitto d’azienda con un terzo, il quale ha altresì formulato una offerta irrevocabile di acquisto[269]. Nel ricorso ex art. 40 CCII si legge che il Tribunale ha nominato, su richiesta di Coret e dell’affittuaria, un perito per rendere una valutazione analitica e complessiva del valore dell’azienda. 
La metodologia di stima prescelta dal perito è costituita dal metodo misto in quanto consente, da un lato, di apprezzare il valore corrente dei singoli elementi attivi (tangibili e intangibili) che costituiscono il patrimonio dell’azienda da valutare e, dall’altro, di tenere conto, per un periodo di tempo entro il quale è ragionevole poter effettuare attendibili previsioni circa l’andamento economico dell’azienda, del valore economico dell’avviamento (o disavviamento) dell’attività imprenditoriale. Il criterio di valutazione prescelto non si limita, pertanto, all’adozione del c.d. “metodo patrimoniale semplice”, ritenuto non sufficiente in quanto non consente di apprezzare eventuali valori immateriali attribuibili all’azienda oggetto di valutazione, ancorché potenzialmente esistenti (avviamento). 
Ai fini della determinazione del patrimonio netto rettificato, il professionista si è basato su due perizie di stima realizzate da altrettanti professionisti, di cui una relativa ai beni mobili e l’altra ai beni immobili. Ad una tale valutazione, di tipo patrimoniale, il perito ha integrato la stima dell’avviamento, in coerenza con la metodologia (mista) prescelta. 
In ordine alla determinazione dell’avviamento, ad avviso del perito, nell’ambito di un’azienda in crisi il professionista dovrebbe assegnare al bene immateriale una vita economica definita; infatti, anche se non si riscontrano specifiche condizioni che limitano la protezione legale o circoscrivono temporalmente il ciclo di vita, è improbabile che il bene possa essere utilizzato su cicli così estesi da essere considerati indefiniti. Inoltre, la stima dell’avviamento è esperibile in riferimento alle situazioni di ristrutturazione dell’azienda, e quindi all’ipotesi di riconversione dello stato di crisi, ma non nelle situazioni meramente liquidatorie dell’azienda oggetto di valutazione; tale considerazione vale anche con riferimento a singoli rami d’azienda, oggetto di ristrutturazione e quindi di possibile cessione, nell’ambito di una procedura liquidatoria giudiziale. Pertanto, conclude il perito, nella stima del “valore intrinseco”, determinato assumendo la prosecuzione delle modalità correnti di svolgimento dell’attività aziendale, l’avviamento deve ricomprendere esclusivamente l’elemento going concern dell’azienda oggetto di valutazione, se esistente. 
Inoltre, ai fini della stima del valore dell’azienda il perito ha precisato che esso non include valori addizionali, premi o sconti, poiché esprime l’oggettivo apprezzamento che un qualsiasi soggetto razionale operante sul mercato, senza vincoli e in condizioni di trasparenza informativa, dovrebbe assegnare alla data di riferimento, in funzione dei benefici economici offerti dall’attività medesima e dei relativi rischi. Conseguentemente, il valore determinato dal perito non considera alcuna sinergia o alcun efficientamento che un terzo potrebbe riconoscere nel prezzo di acquisto dell’azienda esprimendo un valore di stima determinato seguendo una logica valutativa “as it is”, la cui adozione prevede la considerazione di un’ipotesi di stabilità della formula imprenditoriale dell’azienda target, presupponendo, cioè, che una volta avvenuto il trasferimento del compendio aziendale sia previsto il mantenimento dell’attuale combinazione prodotto-mercato-tecnologie, guardando solo alle naturali evoluzioni spontanee della suddetta combinazione. Ne discende che il prezzo del mercato potrà differire per effetto dei fattori di accrescimento e/o riduzione del valore (sinergie universali e sinergie speciali) che i singoli partecipanti attribuiranno alle potenzialità ritraibili dallo sfruttamento soggettivo e dal massimo e miglior uso dell’attività (HBU - Highest and Best Use)[270]. 
Formulate le dovute precisazioni di cui sopra, al fine di determinare l’eventuale avviamento sono stati dapprima determinati i dati afferenti l’EBITDA della Coret relativi agli ultimi cinque anni (dal 2018 al 2022). Da ciò è dapprima emerso che partire dal 2021 la società esprimeva una situazione non più di normale operatività, attesa la rilevante negatività dei margini di redditività. Pertanto, ai fini della valutazione, il perito ha ritenuto opportuno considerare i dati EBITDA relativi agli anni precedenti al 2021, determinandone il relativo dato medio. Al suddetto valore è stata in seguito applicata la percentuale di redditività di mercato ipotizzabile per il complesso aziendale di riferimento. La suddetta percentuale, da applicare al dato medio EBITDA è stata estratta dalle quotazioni della Prysmian spa in termini di industry di appartenenza per gli anni 2022-2023 (ritenute più attendibili in ordine al mercato di riferimento). Infine, il valore così determinato è stato moltiplicato per un numero minimo di verosimili anni di attività, individuato in 3. 

c) Il valore di liquidazione e il computo dei canoni di affitto d’azienda
Nella Relazione ex art. 105 CCII, il commissario giudiziale nella ricostruzione del valore dell’attivo di cui alla proposta concordataria di Coret evidenzia come il ricavato derivante dai canoni di affitto d’azienda percepiti dal debitore sino alla data della vendita dell’azienda è stato considerato quale “finanza interna”[271][272]. Sul tema non pare che il debitore nel proprio ricorso abbia specificato la qualificazione attribuita a tale valore, tuttavia, dall’esame dei criteri di distribuzione del valore del patrimonio concordatario, le utilità derivanti dal contratto di affitto pare che siano distribuite nel rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione e, quindi, che siano considerato all’interno del valore di liquidazione[273]. 
Infine, nella Relazione ex art. 105 CCII, il commissario giudiziale, pur precisando che i canoni di affitto d’azienda siano stati considerati quali “finanza interna”, nella sezione relativa alla convenienza della proposta concordataria rispetto alla alternativa della liquidazione giudiziale, precisa che nell’ipotesi alternativa della liquidazione giudiziale, si potrebbe perdere anche l’incremento di valore delle disponibilità liquide correlato all’incasso dei canoni di affitto d’azienda. 

d) Il valore di liquidazione e il patrimonio del socio accomandatario 
La fattispecie in esame si connota per una proposta concordataria presentata da una società in accomandati semplice e, pertanto, emerge il tema della quantificazione del patrimonio del socio accomandatario, in quanto illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali, ai fini della stima del valore di liquidazione del patrimonio ai sensi dell’art. 87 CCII[274]. Sul punto, tuttavia, nel ricorso ex art. 40 CCII e nella relazione di attestazione non viene quantificato il valore del patrimonio del socio accomandatario. Ciò si presume in quanto, come si evince nel ricorso ex art. 40 CCII nella sezione in cui si espongono i vantaggi della proposta concordataria rispetto alla alternativa della liquidazione giudiziale, Coret dà atto che il socio accomandatario non è titolare di beni immobili o mobili. 

e) Stima del valore di liquidazione delle azioni risarcitorie, recuperatore e revocatorie 
Nel ricorso ex art. 40 CCII, la ricorrente evidenzia come siano insussistenti i presupposti per l’esperimento sia di azioni revocatorie, poiché nel periodo sospetto non sono stati compiuti significativi atti di disposizione dei beni di Coret, sia risarcitorie. 
L’attestatore, pur premettendo che rientri nel suo giudizio la valutazione dell’eventuale utilità rinvenibili in caso di liquidazione giudiziale dall’esperimento dall’avvio di azioni revocatorie e di responsabilità, conclude attribuendo a tali utilità un valore nullo. Evidenzia, infatti, l’attestatore che l’elevata alea ed incertezza, in termini di successo, delle azioni risarcitorie e, in generale, delle azioni di recupero del credito è stata riconosciuta dallo stesso legislatore, il quale, sulla scorta della casistica giurisprudenziale e delle ridotte percentuali medie di recupero del credito, ha richiesto nella più recente formulazione del codice allo stesso curatore, prima di richiedere l’autorizzazione ad avanzare azioni revocatorie o azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, di compiere una attenta valutazione non soltanto circa l’effettiva esperibilità delle stesse – a livello giuridico – ma anche circa la convenienza delle stesse. Ciò premesso, l’attestatore ha ritenuto che non vi siano atti compiuti di mala gestio e comunque anche laddove dovessero essere rilevati da un ipotetico curatore, non porterebbero ad alcuna utilità stante l’incapienza patrimoniale degli amministratori. 

f) Le regole distributive dell’apporto di risorse esterne 
Nel ricorso ex art.40 CCII, come modificato e integrato successivamente al deposito dello stesso, si evince che l’affittuaria si è impegnata ad apportare una somma a titolo di “finanza esterna”, la quale è stata distribuita liberamente e quindi senza il rispetto della regola della priorità relativa. Ciò si evince nel decreto di omologazione, nonché nella lettura della proposta concordataria, ove si rinviene che ai creditori chirografari ab origine suddivisi in classi differenti viene offerta una percentuale di soddisfacimento diversa (a titolo esemplificativo, alle banche chirografarie e ai fornitori non strategici viene offerto un ristoro del 5,10%, mentre ai fornitori strategici di lungo periodo del 7% e ai fornitori strategici di breve periodo del 6,5%). 

g) L’offerta irrevocabile di acquisto del terzo, l’apporto esterno, il diritto di prelazione e la compatibilità con l’art. 91 CCII 
A seguito del deposito del ricorso per l’omologazione del concordato preventivo, il Tribunale ha chiesto alla ricorrente di specificare la conciliabilità con la disposizione inderogabile di cui all’art. 91 CCII dell’opzione di acquisto e del diritto di prelazione accordati all’affittuaria, tenuto conto che deve svolgersi la procedura competitiva e che gli eventuali partecipanti alla gara devono essere messi nelle condizioni di presentare offerte comparabili a quella formulata dall’affittuaria medesima. Ciò in quanto nel caso in esame tale eventualità sembrerebbe essere esclusa dalla nuova finanza che l’affittuaria si è impegnata a mettere a disposizione dei creditori, condizionatamente all’acquisto dell’azienda. 
A fronte di tale richiesta, Coret ha precisato che la finanza esterna che l’affittuaria si è impegnata a versare è da intendersi svincolata all’acquisizione dell’azienda da parte dell’affittuaria stessa. Inoltre, come si evince dal decreto di omologazione, l’affittuaria ha altresì rinunciato al diritto di prelazione, tenuto conto che il necessario svolgimento della procedura competitiva fa, di fatto, venire meno anche il diritto di opzione.
15.4 . Respitalia Società Benefit a Socio Unico – Trib. Milano R.G. 327/2023 C.P. omologato
[275]
a) Sintesi della società, delle cause della crisi e tipologia di concordato 
Respitalia Società Benefit a Socio Unico (in seguito “Respitalia”) è un’azienda di servizi attiva nella progettazione, realizzazione e gestione di modelli innovativi e sostenibili di assistenza dedicati alla cronicità e alla disabilità, in continuità con la rete dei servizi sociosanitari. 
A partire dal mese di febbraio 2020, con il diffondersi della pandemia Covid-19, l’attività di Respitalia – e in particolare la gestione di un poliambulatorio – è stata particolarmente penalizzata, con una riduzione di fatturato e una rilevante perdita d’esercizio. Al pari di altre strutture sanitarie, infatti, Respitalia ha subito un forte calo dell’attività dovuto sia all’interruzione obbligatoria per decreto regionale (dal 16 marzo 2020 al 2 maggio 2020), sia ad una riduzione dell’affluenza di utenti legata al distanziamento e all’obbligo di prenotazione. Ciò a fronte di una impossibilità ad attivare interventi significativi sulla struttura dei costi fissi, principalmente legati agli stipendi dei lavoratori dipendenti a causa del blocco dei licenziamenti disposto dall’art. 46 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 e prolungato sino al 31 ottobre 2021. Tali dinamiche hanno generato un consistente assorbimento di cassa che è stato coperto anche mediante il ricorso a finanziamenti assistiti dal Fondo di Garanzia per le PMI, comportando un forte appesantimento della struttura finanziaria. In tale contesto, pertanto, Respitalia ha deciso di ricorrere alla composizione negoziata, durante la quale ha cercato di proseguire trattative con soggetti potenzialmente interessati ad intervenire nel percorso di risanamento senza, tuttavia, ottenere alcun concreto interesse. A seguito dell’archiviazione della composizione negoziata da parte dell’esperto, Respitalia ha dato corso alle attività funzionali alla predisposizione della manovra di ristrutturazione, portando avanti interlocuzioni con soggetti terzi potenzialmente interessati a valutare il proprio coinvolgimento in operazioni aventi ad oggetto l’affitto e/o l’acquisto del ramo aziendale. Nell’ambito delle trattative, Respitalia ha individuato un soggetto che, previa due diligence, ha formulato una offerta irrevocabile di acquisto. 
La proposta di concordato si caratterizza per un percorso di risanamento basato su di un piano in continuità indiretta che, nell’ottica di salvaguardare il patrimonio della Respitalia e la continuità aziendale, si articola essenzialmente nella cessione del ramo aziendale ad un terzo, che ha formulato una offerta irrevocabile di acquisto. In particolare, il piano concordatario prevede la prosecuzione diretta dell’attività d’impresa da parte di Respitalia sino al momento in cui, previa autorizzazione da parte del Tribunale, provvederà alla cessione dello stesso. 

b) I criteri di determinazione del valore di liquidazione dell’azienda 
Ai fini della stima del valore di liquidazione dell’azienda (o meglio, del ramo aziendale, tenuto conto che esso rappresenta l’unico asset ancora di valore) Respitalia, conferendo mandato ad un professionista esperto, ha considerato l’ipotesi di prosecuzione dell’esercizio d’impresa da parte di un ipotetico curatore sino alla scadenza naturale del contratto di appalto stipulato da Respitalia. 
Ai fini della valutazione del ramo d’azienda, il perito ha ritenuto opportuno adottare il metodo misto patrimoniale-reddituale[276]. In particolare, il perito ha proceduto dapprima ad analizzare i bilanci analitici della Respitalia al fine di verificare la redditività complessivamente espressa dalla stessa. Dopodiché il perito estimatore ha provveduto, sulla base della situazione economico patrimoniale ad isolare i componenti positivi e negativi di reddito riconducibili al ramo aziendale oggetto di valutazione rispetto all’azienda nel suo complesso. In relazione all’analisi della redditività e della conseguente determinazione del reddito del ramo d’azienda oggetto di valutazione e del piano economico previsionale, il perito ha poi proceduto ad analizzare il reddito previsionale sino all’esercizio nel quale si conclude il contratto d’appalto tra Respitalia e il proprio committente del ramo aziendale. Tale metodologia di valutazione appare, pertanto, coerente con la stima del valore di liquidazione in senso dinamico. 

c) L’offerta irrevocabile di acquisto e il valore di liquidazione dell’azienda 
L’offerta irrevocabile di acquisto del ramo aziendale originariamente prevedeva un corrispettivo di importo superiore rispetto alla valutazione formulata dal perito sopra esposta (ritenuta convincente da parte del Tribunale)[277]. In funzione di ciò, nella proposta originaria di Respitalia si evince che il valore indicato dal perito è stato qualificato come “valore di liquidazione” e quindi assoggettabile alla regola della priorità assoluta, mentre la differenza tra il maggior importo offerto dal terzo e il valore indicato dal perito è stata qualificata come “valore eccedente” quello di liquidazione e, pertanto, distribuibile secondo la regola della priorità relativa. Anche l’attestatore, incaricato di redigere la relazione attestativa ex art. 87 e quella di degrado ex art. 84, comma 5, CCII ha individuato come valore di liquidazione dell’azienda in caso di apertura della liquidazione giudiziale quello determinato dal perito e non quello coincidente con l’offerta di acquisto formulata dal terzo. 
Sul punto, a seguito del deposito del ricorso ex art. 40 CCII, il Tribunale ha assegnato alla ricorrente termine di quindici giorni per apportare modifiche, tenuto conto che, ad avviso dei giudici milanesi, l’offerta irrevocabile di acquisto costituisce essa stessa l’effettivo valore di liquidazione, sebbene tale aspetto possa essere risolto ove l’offerente fosse disponibile a versare la somma stimata dal perito per l’acquisto dell’azienda e la differenza a titolo di finanza esterna. 
In considerazione di ciò, è stato modificato l’impegno all’acquisto da parte del terzo, prevedendo che l’offerta vincolante (sospensivamente condizionata esclusivamente all’intervenuta aggiudicazione in suo favore del ramo aziendale in questione) fosse così formulata: corrispettivo per l’acquisto del ramo aziendale per un importo pari alla stima formulata dal perito e la differenza rispetto a quanto originariamente offerto è stata considerata come finanza esterna, che si va ad aggiungere all’importo che il terzo stesso si era già impegnato a versare a tale titolo, definito quale componente ulteriore ed indipendente rispetto al prezzo di acquisto del ramo aziendale. Nell’offerta vincolante integrata si evince che l’apporto di tale somma è sottoposto alla duplice condizione sospensiva (i) dell’aggiudicazione definitiva del ramo aziendale in favore del terzo offerente a seguito dell’espletamento delle procedure competitive che saranno disposte dal Tribunale secondo quanto previsto dall’art. 91, comma 3, e art. 94, comma 5, CCII, nonché (ii) dell’omologazione definitiva della proposta di concordato. 
In seguito, la ricorrente ha depositato istanza di autorizzazione all’alienazione di ramo di azienda ex artt. 91 e/o 94, comma 5, CCII chiedendo al Tribunale di indicare le modalità con cui dare pubblicità all’offerta vincolante, come anche integrata secondo quanto sopra riportato. A seguito del deposito di tale istanza, il Tribunale ha evidenziato quanto segue: 
o benché prudentemente la richiesta di autorizzazione abbia ad oggetto esclusivamente il ramo d’azienda, non può sottacersi che il piano concordatario si basi sostanzialmente sull’intervento del terzo, evidentemente interessato alla chiusura positiva della presente vicenda concordataria, che intende rendersi acquirente dalla azienda almeno a valori di perizia ed immettere finanza esterna al fine di sostenere la proposta concordataria; 
o il commissario giudiziale ha espresso un parere favorevole in ordine a quanto richiesto, affermando che, al fine di eguagliare nella sostanza le somme messe a disposizione del terzo complessivamente, sarebbe necessario che in asta l’azienda fosse aggiudicata ad un valore superiore a detta somma complessiva. 
In funzione di ciò, il Tribunale, ferma ogni ulteriore valutazione in ordine all’effettiva entità delle somme necessarie per eguagliare l’offerta giunta dal terzo, ritiene che sia necessario sondare il mercato ai fini dell’acquisizione di eventuali offerte concorrenti e che, a tal fine, sia sufficiente la creazione di una data room in cui inserire la perizia di stima e i documenti ivi allegati, nonché pubblicare sul portale delle vendite pubbliche, per 15 giorni, un invito rivolto al pubblico a manifestare interesse per l’acquisto del ramo d’azienda di cui si discute, riservato ogni ulteriore provvedimento all’esito. 

d) Il valore di liquidazione, la prosecuzione temporanea dell’attività e l’esercizio provvisorio 
Come sopra accennato, il piano concordatario prevede la prosecuzione diretta dell’attività d’impresa da parte di Respitalia sino al momento in cui, previa autorizzazione da parte del Tribunale, provvederà alla cessione al terzo che ha formulato offerta irrevocabile nonché all’eventuale diverso aggiudicatario. A seguito del deposito del ricorso ex art. 40 CCII, il Tribunale ha richiesto taluni chiarimenti, tra cui quanto segue: ai fini della corretta allocazione del profitto della gestione caratteristica maturato sino alla cessione del ramo aziendale, dovrebbe considerarsi se, in uno scenario liquidatorio, sarebbe percorribile l’ipotesi di un esercizio provvisorio o meno, essendo nel primo caso i ricavi parte del valore della liquidazione, nel secondo caso da considerarsi, viceversa, quale valore eccedente la liquidazione stessa, posto che né il piano, né l’attestazione né il parere del commissario giudiziale prendono esplicita posizione su quanto sopra considerato[278]. 
Ad esito di tale richiesta di chiarimenti, la ricorrente ha confermato che il valore di liquidazione tiene conto di quanto indicato dal Tribunale, tenuto conto che esso include i flussi derivanti dall’esercizio provvisorio e, in particolare, (i) il corrispettivo della cessione del ramo aziendale e (ii) il valore attuale netto dei flussi finanziari derivanti dalla gestione che va da deposito della domanda con riserva alla cessione del ramo aziendale.  

e) Le regole distributive dell’apporto di risorse esterne  
Il terzo che ha formulato una offerta irrevocabile di acquisto si è altresì impegnato ad apportare una somma a titolo di apporto esterno[279]. L’apporto, si legge nel ricorso ex art. 40 CCII, è intimamente connesso alla assoluta necessità, per il terzo, di evitare qualsivoglia rischio – altrimenti non del tutto eludibile – di interruzione anche solo temporanea del servizio di assistenza ai pazienti disabili ospitati presso la RSD ove viene svolta l’attività del ramo aziendale di interesse. A ciò si aggiunga, quale ulteriore elemento motivazionale che ha indotto il terzo ad offrire l’apporto, anche il fatto che solo un trasferimento in capo al terzo stesso della proprietà del ramo aziendale senza alcuna soluzione di continuità è atto a preservare il rischio, per il terzo, di vedersi oggetto di pretese creditorie da parte dei creditori di Respitalia e, in particolare, dei dipendenti. 
Sul punto dell’apporto di risorse esterne, Respitalia ha sottolinato (i) l’assoluta estraneità e neutralità rispetto al patrimonio di Respitalia della provvista da destinarsi a beneficio dei creditori concorsuali a titolo di “finanza esterna (ii) il fatto che la predetta “finanza esterna” non perverrà nelle disponibilità dirette (e, quindi, nel patrimonio) di Respitalia, bensì sarà rimessa direttamente nella disponibilità dei creditori concorsuali, giusta corresponsione in favore del Commissario Giudiziale, secondo le modalità che saranno stabilite dal Tribunale con il provvedimento di omologazione, (iii) il fatto che, a fronte dell’apporto della “finanza esterna”, nessuna controprestazione viene richiesta a Respitalia, tant’è che tutti gli attivi ulteriori di Respitalia saranno destinati, nelle forme di cui si è già dato conto, al beneficio esclusivo dei creditori concorsuali, così come ogni eventuale sopravvenienza attiva realizzata anche in corso di procedura sarà parimenti destinata al soddisfacimento del ceto creditorio concorsuale. 
Tenuto conto di quanto sopra indicato, Respitalia ha ritenuto di condividere l’interpretazione secondo la quale anche nel concordato in continuità l’apporto esterno, come definito sopra, possa essere distribuito liberamente senza dover sottostare neppure alla regola della priorità relativa, tenuto conto che il piano di concordato ne prevede l’utilizzo per il pagamento della totalità dei debiti maturati nei confronti di erario ed enti previdenziali. Ad avviso della ricorrente, infatti, la finanza esterna non è una componente del valore di liquidazione, ma conserva una propria autonomia e caratteristiche tali che consentono di utilizzarla con criteri di discrezionalità anche in deroga al rispetto dell’Absolute priority rule e della Relative priority rule
Sul punto, tenuto conto dell’avvenuta emissione del decreto di omologazione del concordato preventivo ove si evince il libero utilizzo della finanza esterna, si desume che il Tribunale abbia condiviso la tesi esposta da Respitalia. 

f) Stima del valore di liquidazione delle azioni risarcitorie, recuperatore e revocatorie 
Nel ricorso ex art. 40 CCII, la ricorrente ha ampiamente evidenziato gli atti di straordinaria amministrazione compiuti dall’organo gestorio nell’ultimo quinquennio, nonché operazioni potenzialmente rilevanti[280]. La ricorrente ha concluso ritenendo che non si sia in presenza di alcun tipo di operazioni straordinarie – né, tanto meno, di atti di illecita disposizione del patrimonio, ovvero di atti esulanti l’oggetto e l’interesse sociale – che possano costituire oggetto di autonoma censura, avendo, piuttosto, l’amministratore di Respitalia cercato di fare buon governo dei propri doveri di diligente gestione del patrimonio sociale. Inoltre, ha evidenziato la ricorrente che nel caso di specie le operazioni poste in essere non ha causato un aggravio dell’indebitamento, ma anzi hanno determinato un miglioramento della cassa, ben potendo, dunque, essere considerati come atti negoziali profittevoli. 
In ogni caso, conclude la ricorrente, a fronte dei risultati ottenibili per effetto dell’adempimento delle obbligazioni concordatarie, l’eventuale azione nei confronti dell’amministratore unico risulterebbe, con buona probabilità e nell’ipotesi (ritenuta del tutto ipotetica e comunque contestata) in cui questa dovesse avere esito positivo, in ogni caso priva di concreta utilità, attesa la modesta consistenza del patrimonio immobiliare dell’amministratore unico. 
Sul tema anche l’attestatore ha ritenuto che, ad esito delle verifiche svolte è possibile rilevare ragionevolmente che nessuna delle operazioni straordinarie descritte nella relazione ex art. 39, comma 2, CCII, abbia rappresentato un atto pregiudizievole per i creditori. Quanto alle azioni revocatorie, l’attestatore ha condiviso l’esame svolta dalla ricorrente che ha quantificato le utilità potenzialmente rinvenibili dall’esperimento di azioni revocatorie, al netto delle spese legali e delle ragionevoli tempistiche per pervenire ad un giudicato. 
15.5 . Coop. Edilizia Terdoppio a responsabilità limitata e proprietà indivisa– Trib. Novara R.G. 22/2022 C.P. omologato
[281]
 
a) Sintesi della società, delle cause della crisi e tipologia di concordato 
Coop. Edilizia Terdoppio a responsabilità limitata e proprietà indivisa (in seguito “Terdoppio”) opera nel settore edilizio, retta dalla normativa e dai principi della mutualità prevalente ex art. 2511 c.c.; essa svolge la propria attività, nel comparto delle costruzioni edili, a far data dal 15 febbraio 1989, senza fini di speculazione privata, in ragione dello scambio mutualistico con e tra i suoi soci ai sensi di legge e secondo le disposizioni sull’edilizia economica e popolare e di ogni altra norma e legge successiva in materia. Terdoppio svolge la propria attività in favore dei soci; questi, nella loro qualità di assegnatari hanno in disponibilità i beni della cooperativa, al fine di raggiungere gli scopi sociali tramite la realizzazione dell’oggetto. Terdoppio, in conformità agli interessi dei suoi soci, si prefigge di associare e raggruppare in cooperativa i soggetti lavoratori che intendono provvedersi di alloggio, in conformità alle disposizioni legislative in materia di edilizia economica e popolare ed alle norme urbanistiche generali e locali; in particolare, scopo della cooperativa è quello di assegnare alloggi a titolo di godimento ai soci nell’ambito di quanto previsto dalle vigenti leggi in materia. 
Le cause della crisi finanziaria in cui versa la Cooperativa sono riconducibili essenzialmente alla mancata assegnazione di alcuni alloggi edilizi siti in aree abitative depresse della Regione Piemonte, generando, nel tempo, in assenza di entrate dirette in favore della Cooperativa, un danno economico finanziario via via appesantitosi nel corso del tempo e che ha impedito di dare regolare esecuzione al rimborso dei finanziamenti in essere. Infatti, la mancata assegnazione in favore dei soci ha determinato il mancato incasso dei canoni di locazione e, dunque, da un lato, la mancata produzione di ricavi e, d’altro lato, la generazione di costi per spese di manutenzione e per il pagamento delle rate dei finanziamenti insistenti su dette unità immobiliari; ciò ha rappresentato negli ultimi anni il principale elemento determinante una liquidità insufficiente al ristorno dei contratti di mutui accesi da Terdoppio per la costruzione degli alloggi rimasti inoptati. 
La proposta di concordato, articolata in cinque anni, si caratterizza per una porzione di carattere liquidatorio, derivante dalla vendita del patrimonio immobiliare di proprietà della Terdoppio diversa dagli immobili per i quali si intende proseguire l’attività d’impresa, e per una porzione in continuità aziendale, afferente l’esercizio dell’attività d’impresa concernente gli immobili per i quali non è prevista l’alienazione in arco di piano, con destinazione dei flussi derivanti dalla prosecuzione diretta della attività caratteristica della Terdoppio al soddisfacimento del ceto creditorio. 

b) I criteri di determinazione del valore di liquidazione dell’azienda in caso di esercizio provvisorio 
Ai fini della determinazione del valore di liquidazione, come si evince nel ricorso ex art. 40 CCII e nella relazione ex art. 84, comma 5, CCII è stato simulata la percorribilità dell’esercizio provvisorio funzionale alla successiva cessione di tutti gli immobili di proprietà di Terdoppio[282]. 
Come sopra evidenziato, il patrimonio di Terdoppio è prevalentemente rappresentato da beni immobili, alcuni già assegnati a soci ed altri invece rimasti inoptati. Gli immobili di proprietà di Terdoppio sono stati oggetto di perizia giurata, nella quale il perito ha fornito le seguenti valorizzazioni: (i) valore commerciale/concordatario dell’immobile; (ii) valore in ipotesi di dismissione fallimentare, tenuto conto che è prassi consolidata del Tribunale di Novara che il perito applichi una riduzione del 20% in relazione all’incidenza negativa derivante dalla vendita coattiva del bene; (iii) l’ipotetico valore di realizzo in sede fallimentare derivante, ai sensi dell’art. 571 c.p.c., dall’offerta minima prevista in sede di asta, pari ad ¼ del prezzo base d’asta di cui al p.to precedente. 
In funzione di ciò, nella relazione ex art. 84, comma 5, si evince il seguente ragionamento che ha portato alla stima del valore di liquidazione in caso di apertura della liquidazione giudiziale e tenuto conto della percorribilità di un esercizio provvisorio funzionale alla alienazione del patrimonio immobiliare: 
1. stima del valore di liquidazione in sede giudiziale ipotizzando la cessione in sede di terzo esperimento di vendita, da concludersi entro un anno dall’apertura della procedura di liquidazione giudiziale, in coerenza con quanto disposto dall’art. 216, comma 2, CCII; 
2. determinazione dei frutti civili, di cui all’art. 223 CCII, i quali sono stati stimati sino all’alienazione degli immobili ipotizzata in un anno dall’apertura della procedura liquidatoria, come indicato al punto precedente; 
3. determinazione delle spese di procedura della liquidazione giudiziale, senza considerare le spese professionali maturate nell’ambito della procedura concrdataria, e attribuzione delle stesse alla massa immobiliare; 
4. determinazione del valore di liquidazione al netto delle spese presumibilmente sostenibili in sede di liquidazione giudiziale. 
Sul tema, il commissario giudiziale ha ritenuto opportuno richiedere la nomina di un perito che rendesse una perizia di riesame delle valutazioni degli immobili stimati dal geometra incaricato dalla Terdoppio, la quale ha sostanzialmente confermato i valori indicati nel piano[283]. 

c) Le regole distributive dell’apporto di risorse esterne  
Nel ricorso si evince che l’amministratore unico ha messo a disposizione della procedura, condizionatamente all’omologazione definitiva del concordato preventivo, una somma a titolo di finanza esterna[284]. A tal proposito, la ricorrente ha sottolineato (i) l’assoluta estraneità e neutralità rispetto al patrimonio di Terdoppio della provvista da destinarsi a beneficio dei creditori concorsuali a titolo di “finanza esterna”, (ii) il fatto che la predetta “finanza esterna” non perverrà nelle disponibilità dirette (e, quindi, nel patrimonio) della Terdoppio, bensì sarà rimessa direttamente nella disponibilità dei creditori concorsuali, giusta corresponsione in favore del commissario giudiziale, secondo le modalità che saranno stabilite dal Tribunale con il provvedimento di omologazione della proposta di concordato, (iii) il fatto che, a fronte dell’apporto della “finanza esterna”, nessuna controprestazione viene richiesta a Terdoppio. 
Tenuto conto di quanto sopra indicato, Terdoppio ha ritenuto di condividere l’interpretazione secondo la quale anche nel concordato in continuità l’apporto esterno, come definito sopra, possa essere distribuito liberamente senza dover sottostare neppure alla regola della priorità relativa, tenuto conto che il piano di concordato ne prevede l’utilizzo per il pagamento della totalità dei debiti maturati nei confronti di erario ed enti previdenziali. 
Sul punto, tenuto conto dell’avvenuta emissione del decreto di omologazione del concordato preventivo ove si evince il libero utilizzo della finanza esterna, si desume che il Tribunale abbia condiviso la tesi esposta da Terdoppio. 

d) Stima del valore di liquidazione delle azioni risarcitorie, recuperatore e revocatorie 
Nel ricorso ex art. 40 CCII, la ricorrente ha ampiamente evidenziato gli atti di straordinaria amministrazione compiuti dall’organo gestorio nell’ultimo quinquennio, nonché operazioni potenzialmente rilevanti[285]. La ricorrente ha concluso ritenendo che non si sia in presenza di alcun tipo di operazioni straordinarie – né, tanto meno, di atti di illecita disposizione del patrimonio, ovvero di atti esulanti l’oggetto e l’interesse sociale – che possano costituire oggetto di autonoma censura, avendo, piuttosto, l’amministratore di Terdoppio cercato di fare buon governo dei propri doveri di diligente gestione del patrimonio sociale. Prova di ciò, ad avviso della ricorrente, è il fatto che ogni diversa condotta avrebbe portato al definitivo naufragare delle iniziative immobiliari, così arrecando un danno definitivo ed irreparabile che, invece, è stato comunque evitato essendo oggi la Terdoppio nella disponibilità di immobili comunque ben valorizzati dal perito e sulla cui base il piano contempla la valorizzazione di detti immobili e la loro utilizzabilità ai fini del ristoro dei relativi creditori ipotecari altrimenti del tutto compromesso.       
Sul punto, l’attestatore dopo una analisi dei bilanci degli ultimi cinque esercizi, sui quali ha apportato talune rettifiche, ha concluso ritenendo che tali rettifiche non incidono sulla patrimonializzazione della Terdoppio in misura tale da dover attivare i doveri di ricapitalizzazione o liquidazione. 
Quanto alle azioni revocatorie, l’attestatore, in prima istanza, aveva ritenuto sussistenti i presupposti per l’esercizio di cui all’art. 166, comma 2, CCII in considerazione del fatto che, tra gli altri, si evince dalla visura camerale l’avvio del procedimento per l’adozione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ex art. 2545 terdecies c.c., rendendo quindi pubblico lo stato di crisi della società. Pertanto, l’attestatore ha verificato i pagamenti effettuati nel periodo sospetto ed è giunto alla determinazione del valore da assegnare alle utilità rinvenibili da possibili azioni revocatorie, al netto delle relative spese presumibili, che è stato incluso nel valore di liquidazione.
15.6 . Doplà S.p.a. – Trib. Treviso R.G. C.S. 1/2023 Concordato semplificato omologato
[286]
 
a) Sintesi della società, delle cause della crisi e piano di liquidazione 
Doplà S.p.a. (in seguito “Doplà”) rappresenta una realtà (prima della crisi che ha afflitto la stessa) leader in Europa nel mercato dell’arredo tavola monouso (i.e. bicchieri, piatti, stoviglie) e del packaging alimentare. 
Quanto alle cause della crisi, a seguito di ingenti investimenti effettuati da Doplà al fine di adattarsi al mutato contesto normativo e di mercato di riferimento, ha dovuto affrontare gli effetti conseguenti alla pandemia da Covid-19. In particolare, l’introduzione delle misure di distanziamento ha determinato una netta contrazione dei momenti di aggregazione sociale, con evidenti ripercussioni sul mercato dell’arredo tavola monouso, il quale si vedeva costretto a registrare una riduzione generalizzata dei ricavi (e, con essi, dell’Ebitda) in tutta l’arena competitiva. Quanto a Doplà, gli effetti dei provvedimenti emergenziali e della menzionata pandemia provocavano un marcato crollo dei ricavi nel biennio 2020 2021 su tutte le linee di business. Le misure gradualmente introdotte nei diversi mercati fra le quali lo smart working, la chiusura di attività produttive, i divieti di circolazione e di assembramento, la cancellazione di eventi di ogni genere i.e. sportivi, ricreativi, sociali) influenzavano fortemente i consumi. Altra causa della crisi è stata individuata nel forte incremento dei prezzi delle materie prime, nonché del brusco calo della disponibilità delle stesse. Alla luce della difficoltà di traslare tempestivamente gli accresciuti costi delle materie prime nei prezzi di vendita, la marginalità operativa veniva severamente erosa dall’entità dei rincari intervenuti lungo l’intero primo semestre 2021. Il perdurare, nei primi mesi dell’anno, delle misure di distanziamento sociale acuiva ulteriormente il declino del corrispondente fatturato di periodo. 
In considerazione di tale situazione, Doplà decise di accedere alla composizione negoziata, nella quale tuttavia non è stato ottenuto un esito positivo e la stessa ha presentato ricorso per l’omologazione di un concordato semplificato. 
In particolare, ed in sintesi, il piano di liquidazione prevede: 
o la temporanea prosecuzione dell’attività propedeutica alla cessione in esercizio dei rami d’azienda, per uno dei quali è pervenuta una offerta di acquisto, mentre per l’altro la società è in attesa di ricevere l’offerta di un terzo già individuato; 
o la liquidazione di tutti gli altri asset aziendali non ricompresi nei rami di cui sopra; 
o l’apporto di finanza esterna da parte di un terzo. 

b) Il valore di liquidazione, la comparazione con lo scenario della liquidazione giudiziale e l’offerta di acquisto 
Il caso in esame che, come anticipato, concerne una proposta di concordato semplificato assume valenza nel tema che viene qui affrontato in quanto viene esaminato in modo molto puntuale la stima del valore in caso di liquidazione giudiziale, nonché affronta la tematica, sulla quale il tribunale ha altresì preso posizione[287], relativa alla ricezione di una offerta di acquisto a valori maggiori rispetto al valore di perizia[288]. 
In primo luogo, come si evince nel ricorso ex art. 25 sexies CCII, al fine di supportare le analisi compiute dalla ricorrente, è stato richiesto ad un perito incaricato di individuare - oltre ai valori negli scenari di continuità diretta e di liquidazione atomistica - anche la stima del valore atteso in caso di vendita unitaria del complesso aziendale in condizioni di “consolidata assenza di operatività aziendale”. Tale distinto scenario valutativo verrà assunto, ai fini del ricorso, come quello in cui simulare lo svolgimento della liquidazione giudiziale da porre a confronto con lo scenario di concordato semplificato. La ricorrente ritiene, infatti, in ottica massimamente prudenziale di non simulare una disgregazione atomistica del compendio aziendale nella liquidazione giudiziale, quale termine di confronto con il soddisfo atteso nella proposta di concordato semplificato. In altre parole, il perito ha prodotto i valori di stima sia nell’ipotesi di realizzo di mercato, sia in quella liquidatoria: per quella liquidatoria, relativamente ai beni mobili (essenzialmente gli impianti e le attrezzature), ha espresso valori in una duplice ipotesi subordinata: i) quella della liquidazione atomistica; ii) quella del complesso di beni in ottica sinergica, in quanto intesi ancora come sistemi produttivi organizzati, ancorché in temporanea interruzione della produzione. Quest’ultimo valore è stato assunto dalla società ai fini comparativi e, pertanto, per la stima del valore di liquidazione in caso di apertura della liquidazione giudiziale (valore che, come indicato in seguito, è inferiore rispetto al prezzo offerto per l’acquisto da parte del terzo). 
Il perito ha proceduto applicando al più probabile valore di liquidazione complessivo dei beni oggetto di stima (inteso come il valore nello scenario di liquidazione c.d. atomistica) un incremento di valore per ogni singolo bene in funzione delle specifiche caratteristiche dei beni e del mercato di riferimento, con particolare valutazione dei seguenti aspetti: 
1. nel caso di vendita unitaria del compendio aziendale in condizioni di consolidata assenza di operatività aziendale, i costi e gli oneri per la rimozione/disinstallazione ed eventuale reinstallazione dei beni in altro sito produttivo, risultano sostanzialmente non considerabili e/o sensibilmente ridotti, in quanto si ipotizza che i beni stessi possano riprendere l’attività e la funzionalità senza oneri di rimessa in esercizio così elevati come nel caso di vendita forzata di ogni singolo bene. Tale considerazione conduce comunque ad un migliore apprezzamento sul mercato dei beni stessi, rispetto allo scenario di liquidazione c.d. atomistica; 
2. in tale scenario deve comunque essere considerata una riduzione della possibile appetibilità di mercato dei beni stessi, la cui entità dipende da condizioni oggettive peculiari del compendio aziendale oggetto di valutazione, dovendosi concludere che nello scenario di consolidata assenza di operatività aziendale il valore attribuibile al compendio aziendale può essere ricollegato a vari fattori tanto generici che peculiari del compendio aziendale oggetto di valutazione[289], che conducono ad una restrizione della “domanda” potenziale riducendola ad un limitato gruppo di possibili acquirenti disposti a pagare denaro per acquistare i beni nella situazione descritta (quella di consolidata assenza di operatività aziendale). 
In funzione di tali aspetti, il perito ritiene quindi che nella prospettiva di cessione ed in uno scenario di consolidata assenza di operatività aziendale, possa attribuirsi un valore leggermente superiore a quello determinato nello scenario di liquidazione c.d. atomistica, seppure considerevolmente inferiore a quello determinato nello scenario di continuità aziendale. Infatti, ai fini dell’analisi comparativa per la verifica dell’assenza di pregiudizio per i creditori, la società ricorrente ha proposto un raffronto basato proprio su questo (maggior) valore di liquidazione del compendio dell’attivo rappresentato dai beni mobili, in termini di complesso produttivo organizzato. 
L’ausiliario nominato dal tribunale nell’ambito della omologazione del concordato semplificato ha condiviso questa opzione metodologica, sia perché più rispondente alla effettiva situazione dei beni della società sia in quanto rispettosa del principio di economicità dei beni, il quale costituisce un solido principio logico della valutazione del patrimonio aziendale, che interpreta i beni non come singoli elementi, ma come combinazione produttiva maggiormente valorizzata in virtù dell’azione organizzativa impressa dall’imprenditore. Inoltre, come si evince nel parere dell’ausiliario, il perito ha sviluppato una più complessa metodologia di valutazione per i beni mobili, in ragione della loro complementarità strumentale nei processi produttivi della società e quindi della loro attitudine a conservare valore, anche in sede di liquidazione, diversamente e in misura superiore ad una mera liquidazione atomistica. Tale metodologia di valutazione, ad avviso dell’ausiliario, è maggiormente fedele alla realtà fattuale[290] e più coerente rispetto all’espressione di un giudizio in ordine alla valutazione comparativa del realizzo in sede di concordato semplificato con l’alternativa della liquidazione giudiziale. Una valutazione che consideri la natura “sistemica” dei complessi produttivi, oggettivamente superiore a quella di una mera valutazione in sede liquidatoria atomistica, apprezza un maggiore valore e quindi viene a costituire un parametro di raffronto più prudenziale in termini di possibile (maggiore) valore differenziale dell’esito della liquidazione concordataria. Questo approccio metodologico è stato adottato effettivamente dalla ricorrente e appare condiviso dall’ausiliario, anche e soprattutto nell’ottica della tutela dei creditori. 
Per i beni oggetto di maggior valore ed importanza per i quali sono noti i valori di acquisto e l’anzianità dei beni stessi, il perito ha proceduto ad una valutazione mediante metodo del costo, basato sull’ipotetico valore “a nuovo” dei beni fornito/indicato dal committente, al quale è stato applicato un coefficiente correttivo legato all’obsolescenza dei beni stessi. Per i beni di minor valore e/o con un più ampia diffusione sul mercato di riferimento e/o in assenza di informazioni sulla vetustà, il perito ha proceduto con una valutazione mediante metodo diretto di comparazione con il valore di beni similari a quelli oggetto di stima e di cui siano noti i valori di mercato e/o liquidazione. 
Con riferimento al valore delle partecipazioni detenute da Doplà, il perito ha adottato un metodo misto di determinazione autonoma dell’avviamento, stante la presenza di un business plan della società valutata. La valutazione è stata condotta ipotizzando una vendita coattiva nell’ambito di una procedura d’asta, con applicazione di uno sconto del 50%. Sul punto, l’ausiliario ha evidenziato come il perito non abbia applicato alcuno “sconto di illiquidità”. Invero, le azioni della società oggetto di valutazione non sono quotate in mercati regolamentati e quindi subiscono gli effetti di difficoltà di commercializzazione, prestandosi pertanto a concrete ipotesi di applicabilità del cosiddetto “sconto di illiquidità”, dovuto per l’appunto alle difficoltà di realizzabilità. 
Premesso quanto sopra, il perito è giunto a determinare, per taluni asset (in particolare, il portafoglio marchi, i beni mobili di alcuni rami aziendali e le rimanenze), un valore inferiore rispetto a quello per i quali sono pervenuto offerte di acquisto da parte di terzi; in funzione di tale valutazione, la ricorrente ha stimato il valore di liquidazione giudiziale sulla base del (minor) valore stimato dal perito e non sulla base dell’offerta di acquisto pervenuta. Sul tema, l’ausiliario ha dato atto che i valori dei beni mobili e immobili e rimanenze assunti come parametro di riferimento per la determinazione del valore di liquidazione nello scenario della liquidazione giudiziale sono i minori valori delle perizie rispetto ai maggiori valori derivante dalle offerte di acquisto pervenute. Nello specifico, precisa l’ausiliario che, in conseguenza all’attività liquidatoria forzata, nella liquidazione giudiziale dovranno essere liquidati i beni di proprietà della società sulla base delle stime effettuate dal perito a valori prevalentemente assai inferiori (rispetto a quanto previsto dal concordato semplificato in presenza delle offerte di acquisto) e con tempistiche incerte[291]. 
Sul tema della corretta determinazione del valore di liquidazione in presenza di una offerta di acquisto a valori maggiori rispetto a quelli di stima, in sede di giudizio di omologazione un creditore eccepisce che, non essendo l’offerta del terzo per l’acquisto di uno dei rami aziendali (comprensivo dei beni mobili e delle rimanenze ad esso afferenti) subordinata all’omologa ma solo alla presentazione della domanda di accesso alla procedura di concordato preventivo in continuità indiretta (si presume, ipotizzata durante il percorso della composizione negoziata), la comparazione tra i due scenari (liquidazione giudiziale e concordato preventivo) doveva tener conto dello stesso valore di realizzazione per tale ramo e non, invece, il minor valore di perizia assunto come riferimento nella stima dello scenario di liquidazione giudiziale da parte della ricorrente. Il Tribunale ha statuito che “Il motivo non può trovare accoglimento perché la stima del valore dell’azienda nello scenario liquidatorio, pur considerando la vendita unitaria e non atomistica in coerenza con quanto dispone l’art. 214 comma 1 CCI, deve avvenire con riferimento alla data di apertura del concorso. La vendita del Ramo è avvenuta nel contesto della soluzione concordataria ed è il risultato della negoziazione tra le parti condotta successivamente alla composizione negoziata e in funzione della domanda di concordato. Non vi è alcuna evidenza che … [il terzo] avrebbe acquistato l’azienda e alle medesime condizioni anche in caso di apertura della liquidazione giudiziale”. 
Infine, con riferimento alla correttezza della metodologia di stima adottata dalla società, e condivisa dall’ausiliario, che si basa sulla ipotesi di prospettiva di cessione in uno scenario di consolidata assenza di operatività aziendale che, come sopra esposto, conduce ad un valore leggermente superiore a quello determinato nello scenario di liquidazione c.d. atomistica seppure considerevolmente inferiore a quello determinato nello scenario di continuità aziendale, si è espresso in modo puntuale il Tribunale ad esito della opposizione formulata da un creditore. In particolare, il creditore opponente ha eccepito la carenza informativa nella proposta di concordato semplificato e nei pareri dell’ausiliario e dell’esperto in ordine al surplus che potrebbe derivare da un eventuale “prevedibile” esercizio provvisorio da parte del curatore. Il Tribunale ha statuito che lo scenario dell’esercizio provvisorio risulta “solo ipotetico tenuto conto della complessità gestionale di un’impresa con quasi 200 dipendenti strutturata su stabilimenti con linee di produzione diverse, rilevanti costi fissi, di valori di EBITDA negativi per quasi tutto il corso del procedimento e dell’assenza di soluzioni diverse dall’offerta per la cessione dell’azienda in esercizio oggetto di specifica verifica da parte dell’Ausiliario”. Inoltre, precisano i giudici di merito che in “assenza di un’offerta, non vi è alcuna evidenza che l’esercizio provvisorio non arrechi pregiudizio ai creditori come richiesto dall’art. 211 comma 2 CCI anzi gli elementi desumibili dalle relazioni dell’Ausiliario, che ha verificato tutti gli aspetti dell’azienda e della sua crisi … dimostrano che vi è un’alta probabilità che il prolungarsi dell’attività d’impresa determini un sensibile aumento dei crediti prededucibili”. Con specifico riferimento al criterio di valorizzazione adottato dalla società e condiviso dall’ausiliario, il Tribunale ha rimarcato che “lo scenario della liquidazione giudiziale preso dalla Ricorrente quale termine di confronto con gli altri scenari non si riferisce alla liquidazione atomistica dell’attivo ma alla vendita unitaria del complesso in ipotesi di “consolidata assenza di operatività aziendale”, in coerenza con il disposto di cui all’art. 214 comma 1 CCI e in una prospettiva, quindi, di maggior garanzia per i creditori”. Concludono, infatti, i giudici di merito evidenziando che il perito incaricato aveva espresso, nell’ipotesi liquidatoria, due valori, quello della liquidazione atomistica e quella del complesso dei beni in un’ottica sinergica, intesi ancora come sistemi produttivi organizzati se pur in temporanea interruzione della produzione e “la società in via prudenziale ha adottato il secondo criterio di stima che attribuisce un maggior incremento al valore di liquidazione”.
15.7 . Repe S.r.l. – Trib. Latina C66/2023 P.U. omologato
[292]
 
a) Sintesi della società, delle cause della crisi e tipologia di concordato 
Re.Pe S.r.l. (in seguito “Repe”) è una società attiva nel settore dell’hôtellerie e si occupa della gestione ed amministrazione di immobili di proprietà sociale, nonché di alberghi, case per ferie, case per vacanze ed altri esercizi alberghieri complementari, con la gestione, anche indiretta, delle attività̀ di ristorazione e di ogni altra attività connessa all’attività alberghiera.
Lo stato di crisi economica e finanziaria in cui versa la Repe è dovuto a fattori endogeni, legati principalmente ai debiti della scissa di cui si è fatta carico con l’atto di scissione totalitaria ex art. 2506 e ss. c.c., a fattori esogeni, legati all’andamento economico del settore di riferimento, che è stato gravemente colpito sia dalla crisi pandemica da Sars-Cov 2, sia più recentemente dagli eventi bellici che vedono fronteggiarsi Russia ed Ucraina che hanno determinato un sensibile aumento del costo dell’energia e delle materie prime. 
La struttura alberghiera di proprietà di Repe è gestita dalla affittuaria, la quale esercita l’attività alberghiera ed è conduttrice dell’immobile di proprietà di Repe. 
Si tratta di un caso di particolare interesse e successo, tenuto conto che, a fronte di un piano di concordato in continuità diretta con apporto di finanza da parte di un investitore terzo che entra nel capitale all’omologazione, non è contemplata alcuna liquidazione dei beni sociali (albergo), trattandosi di beni funzionali alla prosecuzione dell’attività d’impresa, e il valore di liquidazione dell’attivo è (quasi) interamente coperto con flussi di cassa generati dal piano e apporto di risorse esterne. 

b) I criteri di determinazione del valore di liquidazione dell’azienda in caso di esercizio provvisorio 
Ai fini della determinazione del valore di liquidazione nello scenario alternativo della apertura della liquidazione giudiziale è stato ritenuto percorribile l’esercizio provvisorio da parte dell’ipotetica curatela[293]. In particolare, nel caso di specie, l’esercizio provvisorio ipotizzato consiste nella prosecuzione del contratto di locazione dell’immobile sino alla alienazione dello stesso in sede di liquidazione giudiziale. In particolare, la ricorrente stima che nell’esercizio provvisorio la curatela possa ricavare n.ro dodici mensilità dal contratto di locazione. Le dodici mensilità sono state stimate tenuto conto del tempo fisiologicamente minimo per addivenire alla collocazione sul mercato del bene immobile di riferimento, tenuto altresì conto che su tale cespite era pendente una esecuzione immobiliare[294]. 
15.8 . Cimolai S.p.a. – Trib. Trieste R.G. 5-1/2022 P.U. C.P. omologato
[295]
a) Sintesi della società, delle cause della crisi e tipologia di concordato 
Cimolai S.p.a. (in seguito “Cimolai”) rappresenta una storica realtà specializzata nella progettazione, fornitura e montaggio di strutture complesse in acciaio diversificando le sue attività nel campo dell’ingegneria industriale, civile, militare, navale e dell’Oil & Gas, nonché nel settore delle facciate continue, dei rivestimenti speciali e nei sistemi di movimentazione. Cimolai vanta una presenza internazionale ed è riconosciuta come leader nel proprio ambito di attività. Nello svolgimento delle proprie attività Cimolai si avvale del supporto della controllante Luigi Cimolai Holding S.p.A. e di alcune delle controllate; in particolare, Cimolai detiene partecipazioni di controllo in società situate in Inghilterra, Svizzera, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Irlanda e USA; detiene, inoltre, partecipazioni di minoranza in società con sede negli Emirati Arabi e in Russia. 
Le cause della crisi sono state principalmente ricondotte a un significativo impatto negativo conseguente a numerose operazioni relative a contratti aventi a oggetto strumenti derivati su cambi, che hanno generato una grave tensione finanziaria nonché una situazione di deficit patrimoniale. Tale situazione ha indotto Cimolai a depositare una domanda di accesso con riserva ex art. 44 CCII presso il Tribunale di Trieste. 
A seguito del deposito di un primo atto modificativo della domanda di concordato e del piano con cui, nel rispetto dell’art. 105, comma 4, secondo periodo, CCII, Cimolai, ha dato atto, a seguito dei necessari approfondimenti, di voler procedere, in luogo del trasferimento a titolo oneroso del complesso aziendale in continuità a una società di nuova costituzione interamente controllata da LCH (Nuova Cimolai), al conferimento del complesso aziendale ad una società per azioni di nuova costituzione il cui capitale sociale sarà detenuto interamente dalla Cimolai medesima. A fronte del conferimento, Nuova Cimolai emetterà a favore della Cimolia sia l’SFP Continuità sia azioni ordinarie aventi diritti patrimoniali integralmente postergati rispetto ai diritti patrimoniali dell’SFP Continuità e degli SFP Up-Side, come definiti nella domanda di concordato. 
Con una seconda memoria integrativa, Cimolai evidenzia che il piano modificato prevede, tra gli altri, la prosecuzione dell’attività aziendale direttamente da parte di Cimolai stessa, senza alcun trasferimento a terzi (esclusa Nuova Cimolai che non verrà più costituita) e/o continuità c.d. indiretta. Conseguentemente, in luogo della assegnazione degli SFP, la soddisfazione dei creditori avverrà a mezzo dei flussi ritraibili dalla continuità diretta di Cimolai. 

b) La stima del valore di liquidazione e le osservazioni evidenziate dal commissario giudiziale 
Come si evince nella prima relazione ex art. 105 CCII, il commissario giudiziale evidenzia come nel ricorso ex art. 40 CCII la società dà atto che la valutazione del valore di liquidazione è stata affidata al professionista incaricato di redigere la relazione ex art. 84, comma 5, CCII[296]. Tenuto conto della centralità del valore di liquidazione nel contesto del piano e della proposta concordataria, il commissario giudiziale ha ritenuto opportuno verificare gli assunti metodologici e i criteri adottati nell’elaborato peritale. 
In primo luogo, ai fini della stima del valore di liquidazione dell’azienda è stata verificata la percorribilità dell’esercizio provvisorio in una ipotetica liquidazione giudiziale ovvero la preferenza ad una vendita atomistica dei beni aziendali[297]. Come si evince nella seconda integrazione alla relazione ex art. 87, comma 3, CCII l’attestatore rileva che il perito ex art. 84, comma 5, CCII ha individuato, sulla base di determinati criteri, un ramo d’azienda potenzialmente in grado di operare in esercizio provvisorio e di garantire la prosecuzione di almeno parte delle attuali commesse di Cimolai; ciò naturalmente nell’ottica della sua successiva dismissione in favore di terzi. Il perito nella propria relazione ex art. 84, comma 5, CCII è addivenuto alla stima del valore realizzabile di detto ramo aziendale prendendo in esame i flussi finanziari derivanti dalle commesse, selezionate sulla base di precisi criteri e tenuto conto di talune precisazioni (es. eventuali penali conseguenti a ritardi nel completamento delle commesse), e mediante l’applicazione del metodo di stima basato sul c.d. “Discounted Cash Flow” (DCF)[298]. 
Per quanto concerne le immobilizzazioni immateriali, materiali e le rimanenze sono stati incaricati appositi periti ai fini della stima del valore che è stato recepito nell’ambito della relazione ex art. 84, comma 5, CCII. Anche per le immobilizzazioni finanziarie e, in particolare, per le partecipazioni detenute da Cimolai è stato dato incaricato un professionista per stimare il più probabile valore di realizzo in ottica liquidatoria.  
Sul tema dei criteri di stima del valore di liquidazione, il primo aspetto evidenziato dal commissario giudiziale concerne lo scenario (di liquidazione) nell’ambito del quale operare le diverse simulazioni relative agli attivi patrimoniali dell’impresa, ciò tenuto conto che il professionista indipendente giunge a ritenere non concretamente percorribile l’ipotesi dell’amministrazione straordinaria di cui al d.lgs. n. 270/1999, procedura della quale Cimolai avrebbe i requisiti per farvi accesso[299]. Ad avviso del commissario giudiziale non pare assumere rilievo l’osservazione della ricorrente per la quale l’amministrazione straordinaria normalmente persegua obiettivi (anche) non coincidenti con quello di assicurare il semplice soddisfacimento dei creditori. Né pare potersi apoditticamente sostenere che l’amministrazione straordinaria, di per sé, non sarebbe in grado di assicurare un risultato più conveniente rispetto ad uno scenario di interruzione dell’attività d’impresa (come quello prospettato), specie in una condizione di dichiarata e comprovata economicità di gestione. Non può in altre parole sottacersi, ad avviso del commissario giudiziale, come l’amministrazione straordinaria sia (i) la procedura cui Cimolai verrebbe sottoposta; e per l’effetto (ii) il parametro che debitore, perito ed attestatore avrebbero dovuto prendere in considerazione ai fini comparativi della convenienza nei diversi scenari[300]. Tale considerazione appare maggiormente attinente al caso specifico, tenuto conto che non pare potersi trascurare il fatto che la stessa natura (dichiaratamente esogena rispetto al core business) della crisi Cimolai, non legata alla gestione caratteristica, potrebbe indurre a ritenere praticabile, quando non virtuoso (e quindi nell’interesse dei creditori), un esercizio provvisorio dell’impresa tanto in sede di amministrazione straordinaria che di liquidazione giudiziale. 
Quanto ai criteri di determinazione del valore di liquidazione, il commissario giudiziale si sofferma puntualmente sulla percorribilità della vendita unitaria rispetto alla liquidazione atomistica. In particolare, come si evince nella relazione ex art. 105 CCII, il commissario giudiziale evidenzia che nel ricorso del debitore si ipotizza non una cessione unitaria dell’azienda (l’azienda in continuità) o di suoi singoli rami (suddivisi territorialmente o in funzione delle diverse specializzazioni), quanto, da subito: (i) una liquidazione atomistica del patrimonio; e (ii) la perimetrazione di un ramo d’azienda composto da specifiche commesse di cui si assume la trasferibilità a terzi. Per converso, vengono escluse dall’ipotetico ramo aziendale commesse anche di particolare rilievo senza, tuttavia, illustrare adeguatamente le ragioni di fatto o di diritto sottese a tale scelta. Più in generale, non appare rigoroso ad avviso del commissario giudiziale escludere - senza dettagliata motivazione - la possibilità che un competitor o altro potenziale interessato valuti di acquisire le commesse unitamente a tutte e/o parte delle immobilizzazioni materiali (immobili, macchinari e attrezzature) già organizzate per lo svolgimento dell’attività di impresa. Il tema assume particolare rilievo in ragione dell’entità delle svalutazioni operate dal perito sulle immobilizzazioni materiali, che confluiscono, nel loro complesso, in un valore di liquidazione sensibilmente inferiore a quanto ipoteticamente ritraibile in scenari di (anche temporanea) continuità in funzione di una migliore liquidazione degli asset
Sui temi sopra esposti, nella seconda integrazione al piano e alla proposta, la società ha evidenziato come le valutazioni effettuate dal professionista incaricato di redigere la relazione ex art. 84, comma 5, CCII rispondono ad oggettivi criteri di ragionevolezza (anche) in ragione del fatto che le stesse si basano sulla assunzione della quasi integrale cessazione dell’attività d’impresa in un (denegato) scenario di liquidazione giudiziale, fatta eccezione per la continuazione di specifiche limitate commesse[301]. Evidenzia, in particolare, Cimolai che stante la natura del business, fondato su numerose commesse estere, molte delle quali avente natura prototipale e tecnologicamente innovativa, e del settore di riferimento, appare remoto lo scenario di un esercizio provvisorio dell’attività d’impresa in un contesto della liquidazione giudiziale. Invero, precisa la società, è fatto notorio che la continuazione delle commesse idonee a generare un margine operativo postuli, oltre che la mancata risoluzione del contratto di appalto da parte dei committenti (sulla base di contratti spesso governati da legge straniera e soggetto alla competenza di autorità giudiziarie di giurisdizioni che non riconoscono la normativa concorsuale italiana), il necessario supporto finanziario (nelle forme di concessione di linee di firma e/o controgaranzie) da parte degli istituti finanziari, difficilmente ipotizzabile a seguito della dichiarazione di insolvenza di Cimolai e in un contesto in cui verosimilmente le garanzia già emesse saranno interamente escusse da parte dei soggetti beneficiari. Infine, segnala la società come prendere a riferimento la vendita dell’intera azienda rischierebbe di rappresentare un esercizio fuorviante per i creditori anche in ragione (i) dei processi di M&A condotti da primaria società di consulenza che a tutt’oggi non ha portato a ricevere alcuna offerta per l’azienda e (ii) di conseguenza, delle maggiori difficoltà di ricevere offerte convenienti nell’ambito di una liquidazione giudiziale. 

c) Stima del valore di liquidazione delle azioni risarcitorie, recuperatore e revocatorie 
Come si evince nella relazione ex art. 105 CCII, per quanto attiene invece alle azioni esperibili e alle utilità apportate dalle medesime nello scenario di liquidazione giudiziale, il commissario giudiziale ha evidenziato come queste siano state oggetto di specifica illustrazione, ad esito delle quali ha ritenuto di rettificare in aumento le utilità da essere ritraibili[302]. 
Sul punto, la società ha conferito mandato a taluni professionisti ai fini, tra gli altri, di fornire un parere in merito ai profili di responsabilità degli organi amministrativi e di controllo per i danni discendenti dall’attività di sottoscrizione di taluni contratti[303] e sulla esperibilità e consistenza di eventuali azioni di inefficacia in ipotesi di liquidazione giudiziale di Cimolai. 

d) Valore riservato ai soci 
Cimolai ha dato incarico ad un professionista di periziare il valore di mercato dell’azienda a seguito dell’auspicata omologa della proposta concordataria (in seguito “Perizia Valore Soci”), al fine di verificare il rispetto delle previsioni di cui all’art. 120 quater CCII. 
Nell’ambito della Perizia Valore Soci, il perito ha applicato il metodo finanziario nell’approccio disaggregato (c.d. Adjusted Present Value). In particolare, il perito ha proceduto a (i) calcolare l’equity value della società conferitaria alla data in cui è stata assunta l’intervenuta omologa definitiva del concordato preventivo e (ii) valorizzare il fair market value degli SFP emessi della conferitaria a servizio della proposta concordataria[304]. 
Sulla base di tale metodologia, il perito ha concluso ritenendo che il valore riservato ai soci a seguito dell’omologazione della proposta sarà pari a zero, essendo quest’ultimo totalmente “assorbito” dai diritti patrimoniali degli SFP, i quali sono antergati rispetto a quelli spettanti alle azioni ordinarie di titolarità dei soci. In particolare, come si evince nella prima relazione ex art. 105 CCII del commissario giudiziale, la Perizia Valore Soci rappresenta come l’equity value di Nuova Cimolai risulterebbe interamente eroso dai flussi di cassa (prospettici) relativi al SFP Continuità e agli SFP Up-Side, per cui nessuna utilità risulterebbe riservata ai soci alla data di (auspicata) omologa del concordato preventivo. 
Al fine di verificare la solidità di tale conclusione, il commissario giudiziale si è avvalso dell’ausilio di un professionista al quale è stata demandata una perizia suppletiva avente ad oggetto il medesimo ambito di indagine di cui alla Perizia Valore Soci. In tale elaborato peritale, il professionista, utilizzando il medesimo criterio valutativo impiegato dal perito incaricato dal debitore, è giunto a stimare un diverso e maggiore equity value della società rispetto a quello indicato nella Perizia Valore Soci. Il diverso valore cui è giunto il professionista di cui si è avvalso il commissario giudiziale deriva non dalla applicazione di una diversa metodologia di valutazione rispetto a quella impiegata dal perito incaricato dal debitore (CAPM), bensì dall’impiego di diversi parametri nell’ambito di tale criterio valutativo. In questo modo, il professionista è giunto a stimare un determinato valore, quindi diverso da zero come invece attribuito dalla società, riservato ai soci ad esito dell’omologa del concordato preventivo. 
16 . Conclusioni
Il valore di liquidazione del patrimonio in ipotesi di liquidazione giudiziale rappresenta il fulcro delle proposte concordatarie, poiché (i) costituisce il parametro di base per verificare che il soddisfacimento dei creditori non sia inferiore a quello realizzabile nello scenario liquidatorio, (ii) delimita, nel concordato in continuità aziendale, il perimetro applicativo della regola della priorità assoluta nella distribuzione dell’attivo, e (iii) offre al singolo creditore il diritto individuale, a vedersi riconosciuta la propria pretesa, di sindacare un potenziale pregiudizio del proprio credito, mediante l’opposizione all’omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale. Sebbene il valore di liquidazione rappresenti lo snodo fondamentale per una corretta utilizzazione dello strumento concordatario e delle relative regole distributive, il Codice della crisi, quantomeno prima del recente intervento correttivo, non ne ha fornito una chiara definizione, la quale dipende da molteplici variabili. Anzi, il Codice della crisi adotta(va) formule lessicali che potrebbero (o avrebbero potuto) disorientare l’interprete con l’utilizzo di espressioni di volta in volta differenti per disciplinare (forse) uno stesso “valore”.  Tuttavia, sul punto è recentemente intervenuto il legislatore fornendo maggiore chiarezza, superando così alcuni dei dubbi interpretativi emersi sul tema. 
Un primo tema di centrale rilevanza concerne il parametro di riferimento: per aversi un “valore di liquidazione” occorre preliminarmente individuare lo scenario (di liquidazione) nell’ambito del quale operare le diverse simulazioni relative agli attivi patrimoniali dell’impresa, tenuto conto che accanto a norme del CCII che prendono in considerazione il valore di liquidazione, ve ne sono altre che, invece, si riferiscono al valore di mercato, ovvero norme che richiamano espressamente lo scenario della liquidazione giudiziale e altre che, invece, si riferiscono genericamente alla liquidazione dei beni e diritti. Oltre al fatto che, seguito dell’intervento del recente decreto correttivo, il riferimento al “valore di mercato” è rimasto unicamente agli artt. 75 e 100 CCII, una lettura coordinata delle norme, la coerenza della disposizione di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 84 con il principio sancito dal primo comma della stessa norma, nonché il contesto giuridico di riferimento della crisi d’impresa o dell’insolvenza nel quale si trova l’imprenditore e la circostanza per cui l’unico scenario oggettivo, e “coercibile” ad iniziativa dei creditori, da assumere quale termine di raffronto è quello della liquidazione giudiziale, chiarisce che anche il valore di liquidazione di cui all’art. 84, comma 5 e 6, CCII debba intendersi quale “valore di liquidazione giudiziale”. Il recente decreto correttivo è intervenuto in modo incisivo nell’ambito della nozione di valore di liquidazione, permettendo così, ad avviso di chi scrive, di risolvere il dubbio circa il parametro di riferimento ai fini della stima del valore di liquidazione, nonché di chiarire che il valore di liquidazione rilavante ai fini dell’opposizione ex art. 112, comma 3, CCII non sia differente rispetto a quello cui si riferisce l’art. 84, comma 6, CCII in tema di regole distributive. 
Accanto al valore di liquidazione, il legislatore ha inteso definire il concetto di valore eccedente quello di liquidazione e le regole distributive ad esso associate. In termini definitori, ad avviso di chi scrive, il valore eccedente quello di liquidazione è pari alla differenza tra l’importo complessivo messo a disposizione dei creditori nel piano concordatario (i.e. il valore complessivo del soddisfacimento offerto ai creditori con la proposta concordataria o, ancora, il fabbisogno concordatario come risultante dagli obblighi assunti dal proponente) e il valore di liquidazione. Ne discende che il valore eccedente quello di liquidazione non debba essere confuso con il ricavato della continuità aziendale, intendendo quest’ultimo come i flussi di cassa disponibili durante il piano per soddisfare i creditori concorsuali; per cui il valore eccedente quello di liquidazione potrebbe essere definito in termini di flussi di cassa conseguiti dal debitore durante il piano concordatario dedotta l’eventuale quota destinata, secondo la proposta concordataria, ad integrare il valore di liquidazione. 
Una ulteriore tematica concerne la qualificazione delle (eventuali) maggiori somme, rispetto al valore di realizzo attribuito in sede di determinazione del valore di liquidazione, conseguite dalla vendita, nella fase di esecuzione del concordato, di beni non funzionali alla continuità aziendale. Nelle pagine precedenti si è cercato di sostenere che le eventuali maggiori somme conseguite solo ad esito della omologazione del concordato preventivo non dovrebbero rappresentare un valore da assoggettare obbligatoriamente alla regola della priorità assoluta in quanto non rientranti nel valore di liquidazione, a condizione che (i) tale maggior valore non venga realizzato nell’ambito delle procedure competitive di cui all’art. 91 CCII, che si concludono prima della votazione, e (ii) la proposta concordataria non abbia puntualmente ed espressamente previsto la distribuzione di tali maggiori valori a soddisfazione dei creditori secondo l’ordine delle cause legittime di prelazione.  
Allo stesso modo si pone la questione della qualificazione dell’eventuale eccedenza dei flussi di cassa effettivamente prodotti dal debitore in esecuzione del piano rispetto al valore determinato in sede di predisposizione della proposta concordataria. Ad avviso di chi scrive, il debitore non ha assunto alcun vincolo distributivo dell’eventuale eccedenza di flussi di cassa, poiché il valore dell’azienda in continuità, con i relativi flussi finanziari, è quello determinato nel piano di concordato, ossia quello stimato dal debitore e, pertanto, in base ad esso è stata formulata la proposta e assunto il vincolo proprio della promessa concordataria, essendo irrilevanti eventuali differenze tra la stima e il valore riscontrato nel concreto. L’eventuale differenza rilevata nel flusso di continuità potrebbe, infatti, essere anche frutto di investimenti futuri, non previsti nel piano, oltre che di risultati più satisfattivi, ferma l’invarianza degli investimenti originariamente ipotizzati. 
Il tema della qualificazione del valore eccedente quello di liquidazione assume caratteristiche peculiari nell’ambito delle proposte di concordato in continuità aziendale indiretta, con particolare riferimento alla valorizzazione dei canoni di affitto d’azienda e al valore dell’azienda medesima, soprattutto in ipotesi di offerta irrevocabile di acquisto formulata da un terzo. Quanto ai canoni di locazione, ad avviso di chi scrive, premesso che ai fini della stima del valore di liquidazione connesso ai canoni di affitto si rende necessaria l’applicazione di un tasso di sconto funzionale ad attualizzare il valore di detti canoni, è necessario tenere distinti i seguenti scenari: (i) affitto di azienda stipulato prima della domanda di concordato e (ii) affitto di azienda autorizzato dopo la domanda di concordato. Nel primo caso, è difficilmente discutibile assumere che tutti i canoni di affitto, essendo maturati dopo la domanda di concordato, non rientrano nel valore di liquidazione, trattandosi di un diritto che rientra nel patrimonio del debitore soltanto successivamente al deposito della domanda di concordato. Nel secondo scenario, il valore eccedente potrebbe comprendere unicamente i canoni di affitto che potrebbero essere ulteriormente realizzati dal debitore rispetto ad un ipotetico curatore nell’ipotesi di apertura della liquidazione giudiziale, tenuto altresì conto della necessità della curatela di procedere celermente con la vendita dell’azienda funzionale alla salvaguardia dei valori avviamentali e ridurre al minimo le rischiosità connesse all’attività imprenditoriale condotta dall’affittuaria.  
Particolarmente complessa è la questione circa la stima del valore di liquidazione nell’ipotesi in cui il debitore abbia ricevuto una offerta irrevocabile di acquisto per l’azienda ovvero un ramo di essa ovvero, più in generale, una componente dell’attivo del proprio patrimonio e che, conseguentemente, apre all’applicazione della disciplina delle offerte concorrenti ex art. 91 CCII. Ad avviso di chi scrive, non si può assumere a priori che le offerte pervenute da un terzo valgano soltanto nell’ambito della proposta concordataria e non anche in quella alternativa della liquidazione giudiziale, in quanto, in linea di principio, dovrebbe essere irrilevante per un acquirente la cornice concorsuale nella quale la vendita si inserisce. Tuttavia, se ciò è valido in generale, potrebbero verificarsi dei casi in cui l’offerta del terzo si connoti per un valore maggiore rispetto alla stima formulata da un professionista indipendente per (i) ragioni connotate al buon esito della procedura concordataria, con la conseguenza che in caso di apertura della liquidazione giudiziale tale maggior valore attribuito dal terzo offerente verrebbe a mancare e (ii) per la individuazione di un avviamento futuro che non ha alcun collegamento con il patrimonio originario del debitore e dipende esclusivamente dalle strategie industriali future e dalle attività di investimento e sviluppo ipotizzate dal terzo offerente. Pertanto, in ragione del fatto che tale maggiore valore riconosciuto dal terzo si avrebbe soltanto nella procedura di concordato preventivo e non anche quella di liquidazione giudiziale, si potrebbe ritenere ragionevole qualificarlo come valore eccedente quello di liquidazione. In ogni caso, ipotizzando che l’offerta del terzo sia condizionata all’omologazione del concordato, pure presumendo che l’interesse del terzo possa permanere anche in caso di mancata omologazione, il venir meno dell’obbligo contrattuale all’acquisto dell’asset, non essendosi verifica la condizione sospensiva, è ragionevole ritenere che il terzo possa adottare (legittimamente) un comportamento opportunistico finalizzato ad ottenere una riduzione del prezzo offerto. 
Un ulteriore tema che si pone attorno alla nozione di valore di liquidazione concerne il patrimonio di riferimento nel caso in cui la proposta di concordato preventivo venga presentata da una società di persone. Pare ragionevole ritenere che ai fini della determinazione del valore di liquidazione in ipotesi di proposta concordataria avanzata da una società di persone, si debba comprendere anche il valore del patrimonio dei soci illimitatamente responsabili poiché, dovendo determinare il valore in caso di liquidazione giudiziale, si deve tenere conto delle specifiche disposizioni dettate per tale tipologia di società. Sul tema, lo scritto analizza anche la questione di beni che sopravvengono nel patrimonio del socio illimitatamente responsabile dopo la domanda di concordato, per esempio, a titolo ereditario. 
Quanto ai criteri di stima del valore di liquidazione, il legislatore, con il recente intervento correttivo, ha inteso identificare il valore di liquidazione in termini di valore realizzabile dalla vendita atomistica di beni e di diritti, mentre lo scenario della cessione dell’azienda in esercizio diventa quello di riferimento laddove si dimostri che ciò sia concretamente praticabile (“laddove possibile”). Qualora dovesse risultare praticabile l’esercizio provvisorio funzionale alla cessione dell’azienda in esercizio, ad avviso di chi scrive, il valore eccedente è costituito unicamente dall’eventuale maggior valore ritraibile dalla vendita dell’azienda in esercizio rispetto a quello ritraibile dalla vendita in sede di liquidazione giudiziale ed esercizio provvisorio. Ciò significa che, ai fini della determinazione del valore di liquidazione, occorre adottare una valutazione as is, che si sostanzia nel calarsi nel ruolo di curatore della relativa liquidazione giudiziale, aperta ipoteticamente alla medesima data di presentazione del concordato, abbandonare lo scenario concordatario e i relativi benefici evidenziati nel piano in continuità, con le relative azioni strategiche finalizzate ad ottenere un incremento dei ricavi o una riduzione dei costi e, più in generale, una maggiore valorizzazione delle poste attive derivanti dalla prospettiva di continuità resa possibile dalla prosecuzione dei rapporti commerciali, grazie anche all’intervento di soci o terzi finanziatori. In aggiunta, poiché anche il fattore temporale riveste un rilievo non solo fattuale, ma anche giuridico nella valutazione della soddisfazione dei creditori, al valore di liquidazione andrebbe applicato un tasso di sconto che tenga conto del presumibile tempo di realizzo dell’attivo. Tale attualizzazione, tuttavia, ad avviso di chi scrive, non solo deve essere intesa in termini di tempo, ma anche di rischiosità connessa alla situazione di crisi (o insolvenza) in cui versa il debitore. Da ciò discende che, ai fini della stima del valore di liquidazione di un’azienda, si rende necessaria l’applicazione di un congruo haircut, che tenga in debita considerazione lo stato di crisi (o anche, di insolvenza) del debitore. 
Altro tema dirimente in ordine alla definizione delle modalità di calcolo del valore di liquidazione è rappresentato dal computo o meno dei potenziali crediti derivanti dall’esercizio di azioni risarcitorie e recuperatorie, nonché di azioni di inefficacia e revocatorieex artt. 163 e seguenti CCII. Sebbene il tema fosse discusso in dottrina e in giurisprudenza, il recente decreto correttivo chiarisce che occorre tener conto anche del possibile e ragionevole esito positivo di azioni recuperatorie o risarcitorie collegate alla liquidazione giudiziale, al netto delle relative spese. 
Nelle pagine precedenti, inoltre, si è cercato di evidenziare la centralità del valore di liquidazione non solo nell’ambito del concordato, ma anche nella composizione negoziata e negli strumenti di regolazione della crisi. Nel primo caso, la stima del valore di liquidazione assume un ruolo centrale durante le trattative con i creditori, tenuto conto che questi divengono titolari di un’aspettativa ad essere soddisfatti almeno nei limiti del valore di liquidazione, analogamente a quanto accadrebbe qualora fosse dichiarata l’apertura di una procedura di liquidazione giudiziale. Lo stesso può dirsi nell’ambito delle trattative funzionali alla redazione di un piano attestato ex art. 56 CCII, ovvero nell’ambito degli accordi di ristrutturazione “ordinari” ex art. 57 CCII. Nell’ambito degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa ex art. 61 CCII, il diritto al valore di liquidazione si configura in termini di diritto individuale, secondo la regola del test di convenienza rispetto alla liquidazione giudiziale, mentre il valore eccedente si inquadra in termini di diritto collettivo, poiché la categoria può accettare qualsiasi distribuzione del valore, purché nel rispetto di tale test. Anche nel PRO ex artt. 64 bis e ss CCII, la stima del valore di liquidazione assume un ruolo dirimente tenuto conto che le classi (obbligatorie) possono accettare qualsiasi distribuzione del valore del piano, tuttavia, a tale potere si contrappone il limite rappresentato dal diritto di ciascun creditore di ottenere, in sede di opposizione, il valore di liquidazione della sua pretesa. Ne discende che, qualora nel PRO si considerasse irrilevante la stima del valore di liquidazione, e conseguentemente le regole di distribuzione del patrimonio, l’omologazione verrebbe negata dal tribunale qualora il creditore “svantaggiato” proponga opposizione eccependo il difetto di convenienza. 
Un tema di rilevo è certamente rappresentato dal controllo del tribunale sul corretto utilizzo della regola della priorità relativa e, conseguentemente, sulla correttezza delle stime che hanno condotto alla determinazione del valore di liquidazione nel concordato in continuità aziendale. Sebbene vi siano talune argomentazioni a favore della tesi che riconduce la verifica del rispetto del criterio di distribuzione del surplus ad una condizione di ritualità/ammissibilità, nel presente scritto si è cercato di evidenziare come l’orientamento che riconduce tale verifica ad una condizione di omologazione della proposta per superare il dissenso della classe appaia più convincente, oltre che maggioritaria. 
Infine, dal tentativo di analizzare la tematica oggetto del presente scritto al di fuori del contesto nazionale, sono emersi taluni spunti di approfondimento. Partendo dagli Stati Uniti, è emerso come esista un principio di distribuzione del valore secondo l’ordine dettato dalla APR, che può essere derogato da parte di una classe di creditori che, attraverso l’espressione di un voto favorevole al plan, accetta la distribuzione di un valore anche inferiore a quella che discenderebbe dalla stretta applicazione della APR, fermo restando la tutela assicurata dal c.d. “best interest of creditors test”, che prevede il diritto di ciascun creditore (e socio) di ricevere almeno il valore di liquidazione della propria pretesa. Rimanendo negli USA, il Subchapter V ha introdotto, limitatamente alle imprese nei cui confronti trova applicazione, un particolare criterio di fair and equitable, a fronte del dissenso di una o più classi di creditori non privilegiati. In Germania, come nel sistema statunitense, la verifica del rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione nella distribuzione del valore di riorganizzazione entra in gioco unicamente in caso di dissenso di una o più classi; con la riforma del 2020, che ha introdotto il StaRUG, sebbene la APR rimanga la regola generale, le innovazioni normative hanno portato la dottrina a ritenere che il legislatore tedesco abbia adottato una “relaxed absolute priority approach”, che consiste nel concedere una deroga alla regola rigida dell’ordine di priorità se il trattamento differenziato dei creditori di pari rango è appropriato alla luce delle circostanze specifiche, in particolare delle difficoltà economiche da superare. In Olanda nell’ambito del WHOA, il legislatore ha previsto il dovere di rispettare l’ordine delle priorità e, in ossequio alla APR, trova applicazione nel momento in cui uno o più creditori manifestino il proprio dissenso alla approvazione del piano; qualora trovi applicazione il meccanismo del cram down, il legislatore, sebbene lasci aperte talune perplessità, ammette delle “deviations” rispetto alla APR, ossia qualora vi siano ragionevoli motivi che giustifichino una deviazione da tale ordine e a condizione che i creditori (o i soci) interessati non siano pregiudicati in conseguenza di tale scelta. In Francia, pur prevedendo il rispetto della APR come regola principale dell’ordinamento, il legislatore ammette alcune deroghe, su richiesta del debitore o del administrateur judiciaire, con il consenso del debitore, purché esse siano necessarie per il raggiungimento degli obiettivi del piano di ristrutturazione e che lo stesso non pregiudichi indebitamente gli interessi o i diritti delle parti interessate. In Spagna il problema distributivo è stato affrontato in modo difforme a seconda che si tratti o meno di PMI, per cui qualora non si tratti di PMI, si applica la APR, mentre in caso di PMI trova applicazione la RPR; ancora, una forma di RPR è altresì contemplata per le microimprese in relazione al Procedimiento especial para mocroempresas di cui al Libro III della Ley Concorsual. Infine, nell’ambito della legislazione inglese la regola della priorità assoluta non rappresenta un principio cardine del nuovo piano di ristrutturazione di cui al Part 26A de Corporate Insolvency and Governance Act, poiché viene lasciato ampio margine discrezionale al giudice di decidere quale sia la regola distributiva “just and equitable” nella singola fattispecie esaminata. 



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GIURISPRUDENZA DI MERITO E LEGITTIMITA’  

Cass. 8 giugno 2012, n. 9373
Cass. Civ., Sez. VI, 9 settembre 2016, n. 17911
Cass. Civ., sez. I, 25 gennaio 2018, n. 1895.
Cass, sez. I, 14 maggio 2019, n. 12864
Cass., sez. I, 17 maggio 2019, n. 13391
Cass., sez. I, 8 giugno 2020, n. 10884
Trib. Ivrea, 27 maggio 2022 
Trib. Milano, 15 giugno 2023 
Trib. Siena, 30 giugno 2023
Trib. Milano, 6 luglio 2023
Trib. Treviso, 10 luglio 2023
Trib. Ferrara, 18 luglio 2023 
Trib. Milano, 20 luglio 2023
Trib. Verona, 21 luglio 2023
Trib. Lucca, 25 luglio 2023
Trib. Milano, 28 settembre 2023
Trib. Treviso, 3 ottobre 2023
Trib. Roma, 24 ottobre 2023
Trib. Bergamo, 30 novembre 2023 
Trib. Bologna, 5 dicembre 2023 
Trib. Roma, 20 dicembre 2023
Trib. Milano, 28 settembre 2023
Trib. Spoleto, 29 dicembre 2023 
Trib. Bologna, 30 dicembre 23
Trib. Lucca, 9 gennaio 2024
Trib. Massa, 16 gennaio 2024 
Trib. Palermo, 22 gennaio 2024 
Trib. Milano, 5 febbraio 2024 
Trib. Lecce, 9 febbraio 2024 
Trib. Santa Maria Capua Vetere, 13 febbraio 2024 
Trib. Napoli, 21 febbraio 2024 
Trib. Verona, 13 marzo 2024 
Trib. Mantova, 14 marzo 2024 
Trib. Larino, 19 marzo 2024
Trib. Avellino, 26 marzo 2024 
App. Venezia, Sez. I, 28 marzo 2024
Trib. Monza, 11 aprile 24 
Trib. Roma, 11 aprile 2024 
Trib. Milano, 11 aprile 2024
Trib. Milano, 2 maggio 2024
Trib. Monza, 11 maggio 2024
Trib. Monza, 18 luglio 2024

Note:

[1] 
L’art. 84, comma 1, CCII dispone che l’imprenditore, in possesso dei requisiti disposti dal legislatore, può “proporre un concordato che realizzi, sulla base di un piano avente il contenuto di cui all’articolo 87, il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale”. 
[2] 
Maffei Alberti (a cura di), Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa ed insolvenza, Milano, 2023, p. 625. Come autorevolmente sollevato da PINTO nell’intervento al Convegno di Pietrasanta del 10-11 maggio 2024 organizzato da Diritto della Crisi intitolato “Le modifiche del Codice della crisi: analisi e dibattito”, il valore di liquidazione è diventato un concetto normativo, la cui centralità si apprezza quantomeno sotto due profili: (i) come oggetto della regola di efficienza allocativa, identificata dall’art. 112, comma 3, CCII, che consente a ciascun interessato dissenziente di proporre opposizione all’omologazione del concordato preventivo e sotto tale profilo il valore di liquidazione rappresenta il valore minimo sotto il quale non è possibile trattare ciascun creditore, a prescindere dal funzionamento delle maggioranze delle classi, costituendo quindi un diritto individuale, alla violazione del quale ciascuna parte interessata (creditori e soci) può reagire con lo strumento dell’opposizione; (ii) come oggetto della regola identificata dagli artt. 84, comma 6, e 112, comma 2, lett. a) e b) CCII, che porta a distinguere il valore derivante dal piano in valore di liquidazione, assoggettato alla regola della priorità assoluta, e in valore eccedente, assoggettabile alla regola della priorità relativa e la cui peculiarità consiste nel potere eteronomo del giudice di superare il dissenso di una o più classi, ossia di omologare la proposta concordataria in mancanza di consenso della maggioranza dei creditori. 
[3] 
Sul tema delle regole di distribuzione del patrimonio si veda, tra gli altri, A. Pezzano, M. Ratti, Le regole di distribuzione, in Dirittodellacrisi.it, 6 settembre 2022; G. P. Macagno, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, in Dirittodellacrisi.it, 6 aprile 2022; G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in Dirittodellacrisi.it, 25 febbraio 2022; D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, in Il Fallimento n. 10-2022, pp. 1223 ss. 
[4] 
M. Fabiani, Effetti dell’autonomia del diritto della crisi tra un breve catalogo dei principi e delle clausole generali e il nuovo lessico del Codice, in Dirittodellacrisi.it, 5 ottobre 2023, p. 4. 
[5] 
Trib. Lucca, 25 luglio 2023 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che “il CCII non definisce il valore di liquidazione del patrimonio né individua i criteri di determinazione dello stesso”. Ancora, Trib. Bologna, 30 gennaio 2023 in Dirittodellacrisi.it, ove si legge che il “Codice della Crisi non specifica come individuare il valore di liquidazione”. Ancora, Trib. Monza, 18 luglio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che “Nonostante la fondamentale rilevanza del ‘valore di liquidazione’, il Codice non ne prevede una specifica definizione”. 
[6] 
Nella Direttiva Insolvency (art. 8, par. 1, lett. b) si fa riferimento al “valore delle attività” come elemento informativo da indicare nel piano, senza tuttavia precisare di cosa si tratti e senza fornire alcuna definizione. 
[7] 
Sul punto, autorevole dottrina ritiene che, in ossequio all’art. 87, comma 3, CCII il valore di liquidazione debba essere oggetto di attestazione. Così D’Attorre, Relative priority rule(s), in D. Vattermoli (a cura di) La questione distributiva nel diritto della crisi e dell’insolvenza, Pisa, 2023, p. 75. L’autore precisa che il valore di liquidazione deve essere “indicato specificatamente nel piano di concordato (art. 87, comma 1, lett. c, CCII) e, costituendo il riferimento per valutare se il piano assicura a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale, deve essere oggetto di attestazione del professionista indipendente (art. 87, comma 3, CCII)”. Sul punto, in giurisprudenza v. Trib. Napoli, 21 febbraio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che il valore di liquidazione “deve essere oggetto di attestazione del professionista indipendente (art. 87, comma 3, CCII)”. Si veda anche Trib. Roma, 11 aprile 2024 in Dirittodellacrisi.it ove si evince che “il comma 6 [dell’art. 84 CCII] non prevede alcuna specifica relazione o individua alcun professionista che debba determinare il valore di liquidazione, e ciò si spiega proprio col fatto che quel valore è già stabilito nella perizia di cui al comma 5”. 
[8] 
Trib. Ferrara, 21 febbraio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che il valore di liquidazione “se quantificato in misura deteriore a quanto possibile pregiudica i diritti dei creditori”. 
[9] 
Si ritiene che, in linea di principio, il commissario giudiziale non possa avvalersi, con spese a carico della procedura, di un proprio perito di fiducia per controllare l’attendibilità del valore di liquidazione indicato dal debitore. Ciò per due ordini di ragioni: (i) l’art. 14 della Direttiva Insolvency pone limiti al potere del tribunale di disporre la stima del complesso aziendale nell’ambito del giudizio di omologazione e (ii) l’art. 112, comma 4, CCII statuisce che, in caso di opposizione proposta da un creditore dissenziente, la stima del complesso aziendale del debitore può essere disposta dal tribunale soltanto se con l’opposizione viene eccepito il difetto di convenienza di cui al comma terzo o il mancato rispetto delle condizioni di ristrutturazione trasversale di cui al secondo comma. Così Lamanna (a cura di), Il Codice della crisi e dell’insolvenza dopo il secondo correttivo, Milano, 2022, p. 472. 
[10] 
Inoltre, l’art. 87, comma 2, CCII stabilisce che, nella domanda, il debitore indica le ragioni per cui la proposta concordataria è preferibile rispetto alla liquidazione giudiziale. Tale previsione legislativa costituisce una regola centrale, che si fonda sul rapporto di alternatività tra concordato preventivo e liquidazione giudiziale: il primo si legittima rispetto alla alternativa liquidatoria unicamente in ragione della sua preferibilità. Quest’ultima è espressa in termini di convenienza nel concordato liquidatorio e di assenza di pregiudizio al diritto individuale di credito nel concordato in continuità. 
[11] 
L’art. 160, comma 2, L. fall., e l’originaria versione dell’art. 84, comma 5, CCII prevedevano che il parametro ai fini dell’accertamento della capienza del privilegio fosse “il valore di mercato” attribuibile al bene o diritto gravati. Sul punto, Macagno, op. cit., p. 5 evidenzia come l’eliminazione di tale parametro nella versione definitiva del CCII debba accogliersi con favore poiché avrebbe potuto evocare una prospettiva di vendita “libera” incompatibile con la liquidazione in ambito concorsuale. Sul punto, anche Lamanna, Il Codice della crisi e dell’insolvenza dopo il secondo correttivo, op. cit., p. 464, secondo cui il criterio previsto da tale norma “ripete quello che in generale va applicato in sede di riparto finale nel fallimento ai fini dell’imputazione delle spese di procedura ai singoli beni o masse attive di realizzo. In tal modo risulta confermata la tesi che, in sede di interpretazione dell’art. 160, comma 2, L. fall. ha ritenuto e ritiene necessario effettuare, ai fini della valutazione della capienza del bene o del diritto oggetto di prelazione, una vera e propria proiezione del progetto di riparto finale fallimentare (visto che occorre non solo stimare il presumibile valore di realizzo fallimentare del bene o del diritto, ma anche ipotizzare in che misura potrà essere soddisfatto il credito con prelazione nel riparto)”. 
[12] 
La liquidazione giudiziale, seppure relegata quasi alla profondità del “piano inclinato” che vede alla base il percorso della composizione negoziata, resta comunque la procedura di riferimento sia perché è quella contrassegnata da una più articolata sequenza di norme, sia perché resta il punto di riferimento delle altre, anche nell’ambito delle regole distributive. Così, M. Fabiani, L’avvio del codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 5 maggio 2022. Ancora, Fabiani, Effetti dell’autonomia del diritto della crisi tra un breve catalogo dei principi e delle clausole generali e il nuovo lessico del Codice, op. cit. p. 4, ove si evince che “Lessico nuovo è quello espresso nella formula ‘valore di liquidazione’ meglio da precisare come valore nella liquidazione giudiziale”. Ancora, Fabiani (a cura di), Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, Roma, 2023, p. 220, l’autore precisa che per valore di liquidazione debba intendersi “la dimensione del patrimonio statico del debitore simulando quanto si ricaverebbe se l’attivo venisse liquidato e ciò nella cornice della liquidazione giudiziale, perché per valore di liquidazione non si può intendere valore di mercato in una liquidazione ‘civile’”. Sul punto, anche Lamanna, Il Codice della crisi e dell’insolvenza dopo il secondo correttivo, op. cit., p. 466, il quale precisa che il valore di liquidazione di cui all’art. 84, comma 5-6, CCII rappresenta il “valore del patrimonio attivo del debitore in caso di liquidazione giudiziale calcolato alla data della domanda di concordato preventivo. Infatti, precisa l’autore, la leva utilizzata dal legislatore per realizzare le regole distributive di cui all’art. 84, comma 6, CCII è “anzitutto il valore di liquidazione … che, non a caso, va sempre indicato nel piano, come previsto dall’art. 87, comma 1, lett. c), disposizione che, inoltre, impone di calcolarlo rapportandolo all’ipotesi in cui si apra la liquidazione giudiziale e con riferimento alla data della domanda di concordato”. Sul punto anche Maffei Alberti, op. cit., pp. 578 e 604, secondo il quale, a seguito delle nuove regole introdotte nel Codice della crisi dal D.Lgs. n. 83/2022, “in deroga all’art. 2741 c.c., il comma 6 [dell’art. 84] dispone che nel concordato in continuità aziendale il soddisfacimento dei creditori nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione (c.d. absolute priority rule) sia obbligatorio soltanto nei limiti del valore del patrimonio del debitore determinabile con riferimento all’ipotesi della liquidazione giudiziale, mentre il valore eccedente quello di liquidazione può essere distribuito secondo il criterio della priorità relativa (c.d. relative priority rule)”; Ancora “Tenuto conto della ratio della disposizione [art. 84], che anche nella nuova disciplina è intesa ad equiparare il trattamento dei crediti assistiti da cause di prelazione a quello ottenibile nella liquidazione giudiziale”. Alla medesima conclusione pare che giunga Lener, op. cit., p. 5, ove si evince che il valore di liquidazione debba intendersi quale “patrimonio secondo il valore di liquidazione giudiziale” e il surplus da continuità debba calcolarsi come “differenza, alla data di apertura del concorso, tra il valore di liquidazione giudiziale del patrimonio e il valore dell’azienda in continuità”. Precisa, inoltre, l’autore, p. 13, che “ciò che conta è il (valore del) patrimonio da assumere a termine di raffronto; ed è quello da liquidazione fallimentare, perché unico scenario oggettivo e, proprio per questo ‘coercibile’ ad iniziativa dei terzi”. Su quest’ultimo punto, v. anche Fabiani, La rimodulazione del dogma della responsabilità patrimoniale e la de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in IlCaso.it, 9 dicembre 2016, p. 10, ove si evince che “L'equilibrio fra l'art. 2740 c.c. e l'art. 186 bis c.c. si raggiunge quando si avverte che il patrimonio destinato ai creditori può essere solo quello che è liquidabile senza la volontà collaborativa del debitore”. 
[13] 
Il riferimento al “valore di mercato” è rimasto, prima del recente decreto correttivo, nell’art. 88, comma 1, CCII, relativo al trattamento dei crediti tributari e contributivi nel concordato preventivo. Nell’art. 63 CCII, invece, inerente il trattamento di tale tipologia di crediti nell’ambito degli accordi di ristrutturazione del debito, non vi è alcun riferimento al “valore di mercato” come parametro per una previsione di vendita nell’ambito della liquidazione giudiziale. 
[14] 
Macagno, op. cit., p. 5 che, come già anticipato nella precedente nota, evidenzia come l’eliminazione del parametro del “valore di mercato” debba accogliersi con favore poiché “il ‘valore di mercato’ richiama … una prospettiva di “vendita libera” che dovrebbe verosimilmente prescindere dal prevedibile risultato (al ribasso) della liquidazione fallimentare coattiva; più in generale, il “valore di mercato” di un bene destinato alla produzione è una grandezza che può variare sensibilmente a seconda che si adotti una prospettiva di continuazione dell'impresa o una prospettiva di liquidazione e cessazione”. 
[15] 
M. Greggio, M. Razzino, Il valore di liquidazione dei beni: brevi considerazioni basate su osservazioni empiriche, in Dirittodellacrisi.it, 23 aprile 2024. 
[16] 
Il c.d. best-interest-of-creditors test richiede che una comparazione tra quanto proposto nel piano di ristrutturazione e quanto potrebbe ottenere il creditore in uno scenario alternativo che non contempli tale piano di ristrutturazione (definito dalla Direttiva Insolvency come “next-best-alternative scenario”). Tale scenario potrebbe consistere in una liquidazione atomistica ovvero nella liquidazione di una entità in funzionamento: lo scenario più realistico tra i due dovrebbe rappresentare quello di riferimento per il tribunale ai fini della omologazione forzosa del piano di ristrutturazione. Così, Madaus, Is the Relative Priority Rule right for your jurisdiction? A simple guide to RPR, in Stephan Madaus Blog, January 18, 2020. L’autore precisa, inoltre, che “If the dissenting creditor or shareholder would receive X in the alternative scenario, they must not receive less under the plan. The need for numbers results in the need for a valuation of the debtor’s assets. How much would be realised in the alternative scenario (be it a piecemeal liquidation, a going-concern sale or any other scenario)? And how much of this value could be claimed by the dissenting stakeholder in this scenario?”. In questo modo, il best-interest-of-creditors test garantisce “the realisable value of existing claims and equity rights of dissenting stakeholders against coercive infringements under a restructuring plan”. Sul tema, MOKAL, Fairness, in Lorenzo Stanghellini, Rizwaan Mokal, Christoph Paulus (a cura di), Best Practices in European Restructuring: Contractualised Distress Resolution in the Shadow of the Law, Milano, 2018, p. 44, definisce il next-best-alternative scenario come “the most likely to materialise if the plan were not confirmed”. 
[17] 
Di Marzio (a cura di), Diritto dell’insolvenza, Milano, 2023, pp. 546-547. L’autore precisa che il parametro della assenza di pregiudizio che governa il concordato in continuità è sicuramente compatibile con la regola sulla parità di trattamento, sia pur intesa in senso meno rigoroso, poiché limitata al valore di liquidazione. 
[18] 
In giurisprudenza si richiamo di seguito alcuni dei provvedimenti dove si evince come lo scenario di riferimento ai fini della stima del valore di liquidazione sia rappresentato dalla liquidazione giudiziale. 
Trib. Milano, 6 luglio 2023 in Dirittodellacrisi.it: “considerato che la differenza tra il valore ritraibile dal concordato … e dalla liquidazione giudiziale … è coperto, in parte, da finanza esterna … ed in parte dal c.d. surplus concordatario …”. Da tale conclusione si evince come il valore di liquidazione, di cui all’art. 84, CCII sia da intendersi come valore di liquidazione in ipotesi di liquidazione giudiziale. 
Trib. Treviso, 10 luglio 2023 in Dirittodellacrisi.it, ove i Giudici in sede di esame del piano concordatario rilevano come “la distribuzione delle somme eccedenti il valore di liquidazione, pari ad euro … milioni, applicando la regola della c.d. Relative Priority Rule di cui all’art. 84, comma 6, CCII, somma che consentirà il pagamento parziale del ceto chirografario che, nell’alternativa procedura di liquidazione giudiziale, non troverebbe alcuna soddisfazione: la Società debitrice, avvalendosi della regola di cui sopra, promette ai crediti assistititi da privilegio (nei limiti della capienza dei beni) una percentuale di soddisfacimento non integrale, ma comunque più favorevole rispetto ai creditori di rango inferiore, tutelando quindi i crediti di rango gerarchicamente inferiore anche in assenza di un soddisfacimento integrale delle classi di rango superiore, nei limiti del c.d. surplus concordatario”. Anche in questo caso, lo scenario di riferimento rilevante ai fini dell’art. 84 è stato identificato nella liquidazione giudiziale. 
Trib. Ferrara, 18 luglio 2023 in Dirittodellacrisi.it, ove i Giudici evidenziano come il valore di liquidazione vada individuato nella prospettiva della liquidazione giudiziale e che il valore di liquidazione giudiziale di cui all’art. 87, comma 1, lett. c) CCII rappresenta il “fondamentale valore di liquidazione che costituisce ai sensi dell’art. 84 comma 6 il limite entro il quale le risorse … vanno distribuite secondo la APR”. 
Trib. Lucca, 25 luglio 2023 in Dirittodellacrisi.it, ove i Giudici, preso atto che il CCII non definisce il valore di liquidazione, conclude ritenendo che il criterio fissato dall’art. 214 CCII per la liquidazione giudiziale può essere utilizzato “nella diversa sede del concordato preventivo … in continuità aziendale …”. 
Trib. Roma, 24 ottobre 2023 in Dirittodellacrisi.it, ove il Tribunale statuisce che per valore di liquidazione ex art. 84, comma 5, CCII “deve intendersi quale valore, alla data di deposito della domanda di concordato, che potrebbe trarsi dalla alienazione/realizzo in sede di liquidazione giudiziale dell’intero patrimonio della ricorrente”. Precisano, inoltre, i Giudici che il “valore di liquidazione (ossia il valore realizzabile, anche in questo caso, in sede di liquidazione giudiziale) cui fa riferimento il medesimo articolo 84 al successivo comma 6, a proposito della regola della relative priority rule: del resto, il comma 6, sul piano letterale: 
- succede al comma cinque; 
- detta lo stesso criterio di determinazione del valore di cui al comma 5 (valore di liquidazione, deve ritenersi anche in questo caso correlato a quanto ritraibile in sede di liquidazione giudiziale); 
- non prevede alcuna specifica relazione o individua alcun professionista che debba determinare il valore di liquidazione …, ad ulteriore conferma del fatto che quell valore è già stabilito nella perizia di cui al comma 5 ..; 
- va interpretato in modo coerente con quanto disposto dall’articolo 112, comma 3, … perchè si renderebbe legittima la presentazione di una proposta che verrebbe, poi, ad essere facilmente vanificata dall’opposizione del creditore …”. Allo stesso modo, Trib. Roma, 10 luglio 2024 in Dirittodellacrisi.it
Trib. Spoleto, 29 dicembre 2023, in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che “la scelta della debitrice ricorrente di assegnare ai valori di liquidazione quelli derivanti dalla loro cessione atomistica, … risulterebbe quella più adeguata ove si dovesse accedere ad una Liquidazione giudiziale della Società”. 
Trib. Napoli, 21 febbraio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che il “valore di liquidazione, su cui calcolare l’applicazione della RPR, rappresenta il valore complessivo alla data della domanda di concordato che, in caso di liquidazione giudiziale, sarebbe ricavabile dal patrimonio del debitore. Questo valore va indicato specificamente nel piano di concordato (art. 87, comma 1, lett. c, CCII) e [costituisce] il riferimento per valutare se il piano assicura a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale”. 
Trib. Milano, 5 febbraio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si legge che il valore di liquidazione “epurato dai costi connessi alla apertura della liquidazione giudiziale … può determinarsi … in … L’attivo disponible secondo la proposta concordataria ammonta ad … con un surplus par ad … rispetto alle ipotesi di liquidazione giudiziale”. 
Trib. Verona, 13 marzo 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che il valore di liquidazione costituisce il limite della falcidia dei creditori privilegiati e viene determinato “considerando quanto ricavabile nella liquidazione giudiziale dalla liquidazione dei beni”. 
Trib. Roma, 11 aprile 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che per valore di liquidazione ai fini dell’art. 84, comma 5 e 6, CCII debba intendersi il valore alla data di deposito della domanda di concordato “che potrebbe trarsi dalla alienazione/realizzo in sede di liquidazione giudiziale dell’intero patrimonio della ricorrente” e, affermano I giudici di merito, tale valore di realizzo, di cui all’art. 84, comma 5, CCII coincide con il valore di liquidazione cui fa riferimento il comma 6 della medesima disposizione a proposito della regola della RPR. 
Trib. Milano, 11 aprile 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove il Tribunale in sede di verifica della correttezza del trattamento da riservare ai creditori privilegiati ex art. 84, comma 5, CCII e richiamando la attestazione del professionista indipendente riporta “la tabella riassuntiva dei due scenari, liquidazione giudiziale e concordato preventivo in continuità”. 
Trib. Monza, 11 aprile 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che ai fini della stima del valore di liquidazione, rilevante per il pagamento non integrale dei creditori privilegiati ex art. 84, comma 5, CCII e per la distribuzione dell’eccedenza del valore medesimo secondo la regola della priorità relativa ex art. 84, comma 6, CCII, il parametro di riferimento è “quello dell’attivo, comprensivo di tutti i beni, diritti ed azioni (incluse azioni di responsabilità e revocatorie) che si potrebbe avere in caso di liquidazione giudiziale da aprirsi il giorno stesso di presentazione della domanda di concordato”. 
Trib. Monza, 18 luglio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che “per valore di liquidazione debba intendersi il valore, alla data di deposito della domanda di concordato, che potrebbe trarsi dalla alienazione/realizzo in sede di liquidazione giudiziale dell’intero patrimonio sociale”. In aggiunta, precisa il Tribunale, che il valore di liquidazione è funzionale “anche determinare la misura in cui è ammessa la cd. falcidia dei crediti privilegiati disciplinata dall’art. 84, comma quinto” CCII. 
[19] 
D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, in D. Vattermoli (a cura di) La questione distributiva nel diritto della crisi e dell’insolvenza, Pisa, 2023, p. 90. 
[20] 
Come osservato, infatti, tenuto conto che gli acquirenti più probabili dell’impresa in crisi sono rappresentati da altre imprese dello stesso settore, quando un'azienda del settore è in difficoltà, anche queste altre aziende potrebbero esserlo e, conseguentemente, potrebbero essere carenti di liquidità. Conseguentemente, quando coloro che sono interessati ad acquistare l’azienda in crisi soffrono di difficoltà finanziarie, la vendita dell’asset non frutterà il valore dell’impresa. Così Baird, Priority Matters: Absolute Priority, Relative Priority, and the Costs of Bankruptcy, in University of Pennsylvania Law Review, 2017, p. 789, ove si legge che “The most likely purchasers of the firm may be other businesses in the same industry. When a firm is distressed, these other firms may be distressed as well and may not have the resources to take part in an auction. When those who value the firm the most are not able to bid, the auction will not yield what the firm is worth”. 
[21] 
Pinto, Sacchi, Diritti e garanzie comuni dei dissenzienti nel concordato preventivo, negli adr e nel PRO, in Le Nuove Leggi Civili Commentate n. 2/2024, nota 20. 
[22] 
L’unificazione del valore di liquidazione ai fini della regola di efficienza allocativa (art. 112, comma 3, CCII, di cui alla nt. 2) e di giustizia distributiva (art. 84, comma 6, e art. 112, comma 2, lett. a) e b) CCII) crea un problema di sovrapposizione di norme e di tutele. In particolare, la violazione della regola di efficienza allocativa presuppone sempre l’opposizione dei creditori, ossia che vi sia una contestazione della convenienza della proposta: ciò si evince dall’art. 11 della Direttiva Insolvency ove si rinviene che la contestazione della violazione della regola del miglior soddisfacimento dei creditori (inteso dal legislatore nazionale nell’ambito del concordato preventivo in continuità come trattamento non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziale) deve necessariamente essere fatta valere dalla parte interessata e non può, pertanto, essere sollevata d’ufficio dal giudice. Viceversa, la violazione della regola distributiva del valore di liquidazione costituisce una regola che il giudice è tenuto a rilevare d’ufficio, anche in mancanza di opposizione qualora ci sia il dissenso di una classe, in quanto costituisce condizione affinché il tribunale possa esercitare il potere di superare questo dissenso. Ad avviso di Pinto, nell’intervento di cui alla nota 2, ritiene che un criterio utile per coordinare tali regole, caratterizzate da ambiti e principi diversi ma che si applicano sul medesimo valore di liquidazione, si rinviene dalla Direttiva Insolvency e, in particolare, nella contestazione del valore di liquidazione come indicato nel piano del debitore. Infatti, le norme che trattano del valore di liquidazione richiamano sempre il valore di liquidazione indicato nel piano del debitore, stante il riferimento all’art. 87, comma 1, lett. c) che appunto disciplina il contenuto del piano di concordato, prevedendo l’indicazione del valore di liquidazione giudiziale. Ad avviso di Pinto, affinché si possa rivedere il valore di liquidazione indicato nel piano, si configura un tema di violazione della regola di efficienza allocativa, ossia di rispetto del trattamento minimo ai fini del giudizio di convenienza, e conseguentemente si rende necessaria una opposizione di un creditore. Ciò trova dimostrazione anche nel fatto che solo in tal caso, ossia in presenza di una opposizione, il tribunale può disporre la stima del complesso aziendale del debitore, in ossequio all’art. 112, comma 4, CCII. Viceversa, in presenza di una classe dissenziente ma in assenza di opposizioni, il tribunale, in sede di omologa, non può rivedere d’ufficio il valore di liquidazione indicato nel piano, mentre può verificare il rispetto della regola di giustizia distributiva, ossia che quel valore è stato distribuito in coerenza con le cause legittime di prelazione. 
[23] 
Nella Relazione Illustrativa si legge che la modifica apportata alla lettera a) dell’art. 112 CCII “chiarisce che il valore di liquidazione sul quale si applica la regola di priorità assoluta è quello definito dall’articolo 87, comma 1, lettera c)”. 
[24] 
Nella Relazione Illustrativa si legge che la modifica apportata al comma sesto dell’art. 84 “consente il rinvio alla definizione del valore di liquidazione dato nell'articolo 87, comma 1, lettera c), con il quale … sono state date indicazioni più puntuali ai fini del suo calcolo”. 
[25] 
Nella Relazione Illustrativa si legge che la modifica apportata alla definizione del valore di liquidazione consente, tra gli altri, “l’applicazione delle norme che contengono espressamente tale terminologia e si eliminano i dubbi interpretativi esistenti sul punto”. 
[26] 
Alla luce dell’intervento correttivo, il legislatore, ad avviso di chi scrive, ha altresì fornito una risposta in merito al dubbio sollevato dal La Croce nel blog di Dirittodellacrisi.it, Riflessioni intorno al valore di liquidazione oltre le illusioni ottiche, ove l’autore mette in dubbio l’interpretazione dell’equiparazione del “valore di liquidazione” al “valore della liquidazione giudiziale”, evidenziando come tale tesi presupponga, tra gli altri, che “il legislatore si sarebbe distratto non una sola volta, bensì in quattro frangenti (nei commi 6 e 7 dell’art. 84, nel comma 1 dell’art. 88 e nel comma 2 dell’art. 112)”. 
[27] 
Precisa la Relazione Illustrativa al recente decreto correttivo che “Se infatti la soddisfazione va misurata rispetto al ricavato in caso di liquidazione giudiziale non appare corretto il riferimento al valore di mercato che presuppone una liquidazione di tipo negoziale”. 
[28] 
Par. 7.3.3 dei “Principi di attestazione dei piani di risanamento”, versione 2024. 
[29] 
PIV I.1.1 “La valutazione non è un dato di fatto, ma una stima di una specifica configurazione di valore riferita ad una specifica attività ad una specifica data, tenuto conto della specifica finalità della stima. … Non esiste – in quanto non è oggettivamente determinabile – il valore ‘giusto’ o il valore ‘vero’ di un bene. Ogni valore è sempre e comunque frutto di una stima e, pertanto, è sempre una quantità approssimata e non esatta”. 
[30] 
Sul tema, anche nella letteratura americana viene evidenziato che, nonostante la centralità dei processi valutativi nell’ambito delle ristrutturazioni condotte all’interno del Chapter 11, molto spesso gli standard valutativi non forniscono sufficiente supporto ai valutatori. Si veda, Ayotte, Morrison, Valuation Disputes in Corporate Bankruptcy, in Columbia Law School, 2018, p. 1824, ove precisa che “Most of the time, however, the standards for valuation are vague and unhelpful. When a proposed plan of reorganization is disputed, the judge must determine (i) the firm’s value and (ii) whether the plan distributes value in accordance with bankruptcy priorities, such as the “absolute priority rule.” The Code says a lot about (ii), but almost nothing about (i)”. 
[31] 
Sul tema della valutazione delle imprese in crisi, tra i vari, v. Bini, Le valutazioni nelle crisi e nelle situazioni di insolvenza delle imprese, in Valutazione imprese in crisi, I/luglio 2019; Idem, Principi e formula generale di valutazione delle imprese a rischio di non sopravvivenza, in Valutazione imprese in crisi, III/luglio 2020; Idem, La valutazione d’azienda a fini di una liquidazione forzata in asta, in Valutazione imprese in crisi, III/luglio 2020; Buttignon, La valutazione delle imprese in crisi finanziaria, in Valutazione imprese in crisi, II/dicembre 2019. 
[32] 
PIV I.1.4. 
[33] 
Trib. Ferrara, 21 febbraio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che il valore di liquidazione consente di “compiutamente valutare la convenienza della proposta”. Trib. Napoli, 21 febbraio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che il valore di liquidazione costituisce “il riferimento per valutare se il piano assicura a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale”. Trib. Verona, 13 marzo 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che il valore di liquidazione costituisce il limite della falcidia dei creditori privilegiati e viene determinato “considerando quanto ricavabile nella liquidazione giudiziale dalla liquidazione dei beni”. 
[34] 
Per un’approfondita analisi sulla “convenienza” e “assenza di pregiudizio” nel concordato preventivo si rimanda a M. Fabiani, I. Pagni, I giudizi di omologazione nel Codice della Crisi, in Dirittodellacrisi.it, 31 agosto 2022. 
[35] 
Se in vigenza della legge fallimentare l’attenzione dei tribunali, sia in fase di ammissione sia di omologazione, si è concentrata prevalentemente sulla fattibilità del piano, in prospettiva è ragionevole ritenere che le maggiori questioni applicative sorgeranno, al contrario, in materia di convenienza: tanto la convenienza in assoluto rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, quanto in termini relativi, nella sua declinazione specifica del sindacato sulla corretta distribuzione delle risorse concordatarie secondo la regola della priorità relativa. Così, Tarabusi, Convenienza, valore di liquidazione, miglior soddisfacimento: se grande è la confusione sotto il cielo, l’alternativa liquidatoria pare eccellente, in IUS Crisi d’impresa, 13 dicembre 2023. 
[36] 
La quantificazione del valore di liquidazione ex art. 84, comma 6, CCII e le conseguenti regole distributive trovano applicazione anche nel concordato minore, per effetto del richiamo operato dall’art. 74 comma 4 CCII ed in assenza di incompatibilità. Così, Trib. Ferrara, 21 febbraio 2024 in Dirittodellacrisi.it. Si veda anche Trib. Ferrara, 11 marzo 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove tra gli altri si evince che il valore di liquidazione costituisce “elemento cardine del piano in continuità anche per il concordato minore”. 
[37] 
Gambi, Il valore di liquidazione nel concordato preventivo, IUS Crisi d’impresa, 30 marzo 2023. Sul punto, Di Marzio, op. cit., p. 526, evidenzia come il valore di liquidazione in caso di apertura della liquidazione giudiziale rappresenta il valore da assicurare a ciascun creditore secondo la regola del concorso e, pertanto, si tratta di una soglia minima, superata la quale sarebbe ipotizzabile una “incostituzionale espropriazione del diritto ai danni del creditore”. 
[38] 
Maffei Alberti, op. cit., p. 587. Allo stesso modo, Macagno, op. cit., p. 7, secondo il quale il rispetto della regola distributiva, quale che sia il contenuto che le si voglia attribuire, rappresenta una condizione di ammissibilità della proposta di concordato, potendo essere derogata soltanto in forza di un consenso individuale dei singoli creditori privilegiati potenzialmente pregiudicati dall’inosservanza della stessa. 
[39] 
Sul punto osserva opportunamente Gambi, op. cit., che l’attestazione, nell’ambito del concordato liquidatorio, potrebbe essere assorbita o ritenute integrata dalla verifica, nel concreto, della sussistenza dei requisiti di ammissibilità con riferimento ai profili ex art. 84, comma 4, CCII ovvero: (i) apporto di risorse esterne di almeno il 10% dell’attivo disponibile e (ii) soddisfacimento dei creditori chirografari non inferiore al 20%. 
[40] 
Di diverso avviso invece pare che giunga Lamanna, “Valore di liquidazione” e “valori eccedenti” nel concordato preventivo: come calcolarli e distribuirli, in IUS Crisi d’impresa, 13 ottobre 2023. L’autore ritiene che il valore di liquidazione non sia funzionale al test di convenienza sulla base di talune assunzioni. Tra queste, l’autore ritiene che già soltanto la circostanza per cui il valore di liquidazione non comprende né il surplus da continuità né le risorse esterne, porterebbe ad escludere l’attendibilità della tesi che attribuisce al valore di liquidazione la funzione di consentire il test di convenienza. In particolare, l’autore evidenzia che “… se il valore di liquidazione non comprende né il surplus da continuità, né le risorse esterne, non si vede in che modo il valore di liquidazione potrebbe far emergere, da solo, la convenienza del concordato preventivo rispetto alla liquidazione giudiziale. In realtà il test di convenienza presuppone che vengano sommati al valore di liquidazione anche il surplus da continuità e le risorse esterne, e sarà questa somma complessiva ad indicare se il concordato sia o meno più conveniente (o “non pregiudizievole”) rispetto alla liquidazione giudiziale”. In aggiunta, Lamanna giunge a tale conclusione anche in funzione del computo o meno nel valore di liquidazione degli importi realizzabili con il vittorioso esercizio di azioni revocatorie, risarcitorie e recuperatorie proponibili (solo) in caso di liquidazione giudiziale. In particolare, l’autore sostiene che “Non andrebbe quindi affatto confusa la funzione di supporto alla valutazione di convenienza del concordato che assolve l'indicazione nel piano delle azioni revocatorie e delle altre azioni esercitabili solo dal curatore nella liquidazione giudiziale, con la funzione assolta dall'indicazione del “valore di liquidazione”, il quale è apparentemente destinato solo a misurare il valore degli assets ricompresi nell'attivo patrimoniale distribuibile ai creditori concordatari, al netto dell'eventuale surplus da continuità e da eventuali apporti gratuiti provenienti da terzi” (su questo tema si ritornerà infra nel par. 5). 
[41] 
Il valore di liquidazione è “da intendersi come limite aritmetico entro cui obbligatoriamente applicare la APR, unica regola di distribuzione della alternativa liquidatoria”. Così, Trib. Ferrara, 21 febbraio 2024 in Dirittodellacrisi.it; Trib. Verona, 13 marzo 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che il valore di liquidazione costituisce il limite “da distribuire nel rigoroso rispetto delle cause legittime di prelazione secondo la regola della absolute priority rule”. Trib. Monza, 18 luglio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che la determinazione del valore di liquidazione consente di “correttamente individuare la parte dell’attivo che dovrà essere distribuita nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione (ossia secondo la regola della cd. priorità assoluta), come prescritto dall’art. 84, comma 6, CCII”. 
[42] 
Il Codice della crisi ha dato vita a un regime di responsabilità patrimoniale del debitore definibile “a geometria variabile, fondato sulla frantumazione del valore della massa attiva, della quale la componente definibile ‘prospettica’, eccedente il valore di liquidazione, viene svincolata dal rigido operare dell’ordine delle cause legittime di prelazione”. Così Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, op. cit., p. 91. Sul tema, approfondite riflessioni sono condotte da L. Pecorella, Le classi come tecnica di distribuzione nel concordato in continuità tra dimensione “orizzontale” e “verticale”. Una prospettiva applicativa, in Dirittodellacrisi.it, 17 maggio 2024. In particolare, l’autore evidenzia come la RPR rappresenti un’espressa deroga alla APR e che, di converso, tale ultima regola costituisca il paradigma della distribuzione “verticale” conforme all’ordine delle cause legittime di prelazione. In questo contesto, “l’art. 84, comma 6, … stabilisce che la distribuzione concordataria possa operare in deroga alla APR, alterando … l’ordine delle cause legittime di prelazione, al ricorrere di tre precisate condizioni: (i) in primo luogo, la condizione secondo cui la deroga può trovare luogo solo con riferimento al “valore eccedente quello di liquidazione”; (ii) in secondo luogo, la condizione per cui, ai fini della distribuzione di tale valore, i crediti inseriti in una classe devono ricevere “complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado”; (iii) da ultimo, quella per cui tale medesimo trattamento deve essere “più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore”. 
[43] 
D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, op. cit., p. 1223. 
[44] 
L’art. 11, par. 1, lett. c) della Direttiva prevede, in caso di ristrutturazione con più classi di creditori (c.d. ristrutturazione trasversale – cross-class cram-down), la regola della priorità relativa, secondo cui “le classi di voto dissenzienti di creditori interessati ricevano un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori”. Il paragrafo seguente della Direttiva dispone che gli Stati membri “possono prevedere che i diritti dei creditori interessati di una classe di voto dissenziente siano pienamente soddisfatti con mezzi uguali o equivalenti se è previsto che una classe inferiore riceva pagamenti o mantenga interessi in base al piano di ristrutturazione”. L’intento del legislatore comunitario è quello di facilitare le ristrutturazioni, preservando la continuità aziendale ed evitando la liquidazione delle imprese sane (e quindi meritevoli di risanamento) in difficoltà. Ciò si evince anche dal Considerando n. 56, che cita “Gli Stati membri dovrebbero poter derogare alla regola della priorità assoluta, se ad esempio si consideri giusto che i detentori di strumenti di capitale mantengano determinati interessi ai sensi del piano, nonostante che una classe di rango superiore sia obbligata ad accettare una falcidia dei suoi crediti, o che i fornitori essenziali cui si applica la disposizione sulla sospensione delle azioni esecutive individuali siano pagati prima di classi di creditori di rango superiore. Gli Stati membri dovrebbero poter scegliere quale dei suddetti meccanismi di protezione predisporre”. 
[45] 
Sul tema si rimanda, tra gli altri, a Pacchi, Par condicio e relative priority rule. Molto da tempo è mutato nella disciplina della crisi d’impresa, in Ristrutturazioni aziendali, 6 gennaio 2022; Ballerini, Art. 160, comma 2°, L. fall. (art. 85 c.c.i.i.), surplus concordatario e soddisfazione dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2021, pp. 625 e ss; D’attorre, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, in Il Fallimento n. 8-9/2020, pp. 1071 e ss; Bassi, La “finanza esterna” nel concordato preventivo tra finanziamento del debitore e finanziamento della iniziativa, in Giur. comm., 2019, I, pp. 181 e ss; Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine, in Riv. Società, 2018, pp. 858 e ss.; Id., Concordato con continuità aziendale, Absolute priority rule e new value exception, in Riv. dir. comm., 2014, II, pp. 342 e ss; Arato, Il piano di concordato e soddisfazione dei creditori concorsuali, in Crisi d’Impresa e procedure concorsuali, diretto da Cagnasso-Panzani, Milano, 2016, p. 3526; D’attorre, Concordato con continuità ed ordine della causa di prelazione, in Giur. comm., 2016, I, 50 ss; Rossi, Le proposte “indecenti” nel concordato preventivo, in Giur. comm., 2015, I, pp. 334 e ss; Bozza, Il trattamento dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Il Fallimento, 2012, pp. 381 e ss; Fabiani, Fallimento e concordato preventivo, II, Concordato preventivo, in Commentario Scialoja-Branca-Galgano, 2014, pp. 243 e ss; Guerrera, Struttura finanziaria, classi dei creditori e ordine delle prelazioni nei concordati delle società, in Dir. fall., 2010, I, p. 720. 
[46] 
Maffei Alberti, op. cit., p. 607. 
[47] 
Sul tema dei criteri di stima del valore di liquidazione si rimanda al par. 8. 
[48] 
Si aggiunge, inoltre, che l’art. 87, comma 1, lett. c) CCII prevede l’indicazione del valore di liquidazione nel piano di qualunque tipologia di concordato preventivo, compreso quindi anche il concordato liquidatorio. Pertanto, pare che non vi sia alcun riferimento normativo che porti a ritenere che il valore di liquidazione assuma una funzione differente a seconda della tipologia di concordato. 
[49] 
Il legislatore ha definito le risorse esterne come “le risorse apportate a qualunque titolo dai soci senza obbligo di restituzione o con vincolo di postergazione, di cui il piano prevede la diretta destinazione a vantaggio dei creditori concorsuali” (art. 84, comma 4, CCII). 
[50] 
Si aggiunge, inoltre, che l’art. 87, comma 1, lett. c) CCII, come già specificato nella nt. 48, prevede l’indicazione del valore di liquidazione nel piano di qualunque tipologia di concordato preventivo, compreso quindi anche il concordato liquidatorio. 
[51] 
Tronci, Il “surplus” concordatario: profili valutativi, in Il Nuovo Diritto delle Società, n. 4/2023, p. 670. 
[52] 
La Relazione Illustrativa al D. lgs. n. 83/2022 definisce il valore eccedente come “il valore ricavato dalla prosecuzione dell’impresa, il c.d. plusvalore da continuità”. 
[53] 
V. Trib. Avellino, 26 marzo 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che al fine di identificare il valore eccedente va “adottato un criterio di residualità, nel senso che esso comprende tutto ciò che non è valore di liquidazione, ovvero ogni diverso apporto di risorse finalizzato ad assicurare la conservazione dell’integrità aziendale”. 
[54] 
Nella letteratura europea il going-concern surplus è definito quale “the greater value that is obtained by restructuring the company (going-concern value) compared with the value that is obtained by transferring the enterprise in a unitary transaction (in other words, unitary liquidation value –keeping the business as a going concern–, as opposed to the fragmented or piecemeal liquidation of the company’s assets)”. Viene, inoltre, precisato che in mancanza di un surplus da continuità aziendale, le ristrutturazioni non trovano giustificazione, poiché “the creditors would be better served by carrying out a unitary liquidation of the company, which will give them the same or greater recovery of their claims immediately and in cash”. Pertanto, “Restructuring a company without a going-concern surplus by definition does not satisfy the best interests-of-creditors test”. Così, Richter, Thery, Claims, Classes, Voting, Confirmation and the Cross-Class Cram-Down, in INSOL Europe Guidance Note on the Implementation of Preventive Restructuring Frameworks under EU Directive 2019/1023, 2020, par. 124, p. 34. 
[55] 
Richiamando la dottrina al di fuori del territorio nazionale, Krohn, Rethinking priority: The dawn of the relative priority rule and the new “best interests of creditors” test in the European Union, in International Insolvency Review, novembre 2020, ove si evince che “the reorganization surplus, that is, the difference in value between the value recoverable in a liquidation of the debtor's assets and the assumed value of the reorganized firm”. Ancora, McCormack, The European Restructuring Directive and stays on creditor enforcement actions, in International Insolvency Review, luglio 2021, p. S69, la quale ritiene che vi sia un surplus derivante dalla continuità aziendale laddove “a collection of assets is … more valuable than the same assets would be if spread to the winds. It is often referred to as the surplus of a going concern value over a liquidation value”. Ancora, Engelberg, A theory of relativity in restructuring developed with the Coase Theorem, in International Insolvency Review, luglio 2023, p. 222, che definisce il restructuring surplus come “an estimated additional joint benefit for stakeholders, against the outcome in a direct bankruptcy/going concern sale, is customarily referred to as a restructuring surplus”. Ancora, McCormack, Debt restructurings, debt grifting and the limits of contractualism, in International Insolvency Review, agosto 2023, p. 482, ove l’autore definisce il restructuring surplus come “the surplus over the relevant produced by the restructuring process”. 
[56] 
Lamanna, Il Codice della crisi e dell’insolvenza dopo il secondo correttivo, op. cit., p. 466. Sul punto v. anche Morri, Il valore distribuibile nel concordato in continuità: APR, RPR e libero arbitrio del debitore, in Ius Crisi d’Impresa, 27 febbraio 2024, il quale precisa che, se il valore di liquidazione postula la vendita dell’attivo e quindi la sua trasformazione in numerario, il valore eccedente rappresenta un valore in sé, frutto di un ente concettuale autonomo e, pertanto, non è altro che un dato derivato, la mera differenza algebrica tra il valore riservato ai creditori nella continuità e il valore di liquidazione. 
[57] 
Ciò, a parere di autorevole dottrina, rende complessa la formulazione di proposte in continuità diretta, poiché il debitore dovrebbe poter disporre di un attivo liquido per pagare i creditori sia per l’intero valore di liquidazione sia, dopo aver proceduto a tale distribuzione con la regola della priorità assoluta, con il surplus da continuità, distribuibile invece secondo la regola della priorità relativa. Così Lamanna, Il Codice della crisi e dell’insolvenza dopo il secondo correttivo, op. cit., p. 473. L’autore quindi si domanda quali imprese potranno davvero riuscire a programmare con il piano la distribuzione dell’intero valore del patrimonio iniziale senza averlo liquidato di fatto interamente e programmando anche la distribuzione del surplus da continuità? 
[58] 
Il valore eccedente non è rappresentato dai cc.dd. flussi della continuità ma dalla differenza tra quanto si ricava nel complesso dalla prosecuzione dell’attività e quanto si ricaverebbe con la liquidazione giudiziale. Così, Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, op. cit., p. 221. 
[59] 
Come opportunamente osservato, il dato relativo ai flussi di cassa liberi si ottiene senza alcuna attualizzazione, perché è una misura astratta e atemporale, della massa di risorse a disposizione dei creditori. In questa fase, infatti, non viene in rilievo il calcolo di convenienza, in cui è necessario mettere a confronto la soddisfazione che deriverebbe dalla liquidazione giudiziale con quella della continuità, ed è essenziale attualizzare i flussi per comprendere qual è il risultato netto della procedura. Qui si tratta solo di calcolare il quantum assoluto che venga dalla continuità diretta per poterlo dividere tra parte da distribuire con la APR e parte con la RPR. Così, Morri, Il valore distribuibile nel concordato in continuità: APR, RPR e libero arbitrio del debitore, op. cit. 
[60] 
Un esempio riportato da D’attorre, Relative priority rule(s), op. cit., p. 76 può aiutare a comprendere. Si formulano le seguenti ipotesi: (i) il patrimonio del debitore alla data della domanda di concordato (i.e. il valore di liquidazione) è pari a € 10 mln, di cui € 6 mln costituiti da beni e diritti non strategici e quindi destinati alla liquidazione ed € 4 mln costituiti da beni strategici e quindi non destinati alla liquidazione; (ii) i flussi disponibili nel piano ammontano ad € 7 mln. Sulla base di ciò, si rinviene che il valore messo a disposizione dei creditori nel piano è complessivamente pari a € 13 mln (di cui € 6 mln di beni e diritti non strategici ed € 7 mln di flussi di cassa liberi). Pertanto, a fronte di un valore di liquidazione pari ad € 10 mln e un valore messo a disposizione nel piano di € 13 mln, il valore eccedente quello di liquidazione ammonta ad € 3 mln. In conclusione, il valore eccedente quello di liquidazione (€ 3 mln) è inferiore al valore da continuità rappresentato dai flussi liberi nel piano (€ 7 mln). 
[61] 
Poiché i valori inseriti nella proposta concordataria rappresentano valori stimati e attestati, a posteriori potrebbero differire rispetto ai valori effettivamente quantificati a consuntivo in sede di rendiconto relativo all’esecuzione del concordato preventivo, rendendo suscettibile di variazioni l’ammontare del surplus distribuibile secondo la regola della priorità relativa. 
[62] 
Nel caso opposto di minore realizzo, invece, è difficilmente opinabile che debba comunque essere distribuito esattamente quello che era stato indicato in origine come valore di liquidazione, stante la promessa e il vincolo assunto dal debitore con la proposta concordataria. 
[63] 
Cass. Civ., Sez. VI, 9 settembre 2016, n. 17911, ove viene espressamente evidenziato che le procedure di concordato liquidatorio “consistono in un sostanziale fallimento dell'impresa con i vantaggi della realizzazione di una liquidazione concordata e non hanno di mira il recupero e rilancio di compendi aziendali se non addirittura dell'intero corpo d'impresa”. 
[64] 
Pezzano, Ratti, Le regole di distribuzione, in Dirittodellacrisi.it, 6 settembre 2022, p. 13. Di diverso avviso, invece, Maffei Alberti, op. cit., p. 607, secondo il quale il valore eccedente quello di liquidazione comprende tutto ciò che è ritraibile dalla continuità diretta, “comprensivo delle maggiori somme conseguite dalla vendita di beni non funzionali rispetto al valore di realizzo loro attribuito – posto che gli esiti della liquidazione di specifici beni dovrebbero risultare irrilevanti rispetto alla preventiva determinazione del valore di liquidazione”. 
[65] 
Sul punto, l’autore richiama opportunamente Trib. di Milano, 20 luglio 2011. In tal caso, la proposta concordataria si fonda su un contratto di affitto di cinque rami aziendali e di licenza d’uso del portafoglio marchi (in seguito “Ramo Aziendale”), con contestuale preliminare di cessione del Ramo Aziendale al prezzo pari ad euro 3.284.990. I beni oggetto di cessione sono stati valutati con apposita perizia che è giunta ad una determinazione complessiva pari ad euro 2.684.990. Il debitore ha ritenuto di poter distribuire liberamente la differenza tra il prezzo di cessione dei beni (euro 3.284.990) e la valutazione fornita dal perito (euro 2.684.990, residuando così una differenza di euro 600.000); tale interpretazione, tuttavia, è stata ritenuta incompatibile rispetto alla previsione dell’art. 160, comma 2, L. fall. A fronte di tale rilevo del Tribunale, il debitore ha apportato una modifica al contratto di affitto, dove viene indicato che l’importo di euro 600.000 viene versato “a titolo di dazione senza titolo” che l’affittuaria si è impegnata a mettere a disposizione della procedura e che in caso di mancata omologazione dovranno essere restituiti. Il Tribunale ha ritenuto che anche tale previsione sia incompatibile con l’art. 160, comma 2, L. fall. in quanto l’oggetto delle obbligazioni assunte dall’affittuaria rimane l’acquisto di beni facenti parte del patrimonio del debitore, in relazione ai quali il corrispettivo offerto si deve qualificare unicamente in termini di prezzo. Poiché un trattamento derogatorio rispetto al divieto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione si può configurare unicamente mediante l’utilizzo di risorse finanziarie non provenienti dal patrimonio del debitore, la proposta è stata ritenuta inammissibile. Pertanto, quando le risorse destinate al pagamento dei creditori sociali derivano da operazioni di liquidazione dei beni facenti parte del patrimonio del debitore, esse non costituiscono risorse esogene e non possono essere utilizzate in violazione delle regole che intendono assicurare al ceto privilegiato un trattamento non deteriore rispetto a quello conseguibile mediante la liquidazione dei beni sui quali sussiste la causa di prelazione. In conclusione, “dal riferimento espresso, che la norma opera, al valore di mercato dei beni sui quali il privilegio insiste, ed alla relazione attestatrice di tale valore, non può discendere la conclusione secondo cui la quota di prezzo esuberante rispetto al valore di mercato così stimato integri una risorsa liberamente collocabile tra i creditori”. 
[66] 
Trib. Lucca 25.7.2023 in Dirittodellacrisi.it, nel quale i Giudici statuiscono che l’eventuale maggiore valore di beni non funzionali rispetto a quanto originariamente stimato in sede di determinazione del valore di liquidazione deve essere “messo a disposizione dei creditori secondo la regola dell’APR”. 
[67] 
V. infra par. 8. 
[68] 
Lener, op. cit., p. 6. Di diverso avviso, invece, pare Tronci, op. cit., il quale ritiene che il “surplus” concordatario debba essere ricalcolato e quantificato in base ai valori effettivi. 
[69] 
Art. 2, comma 1, n. 6 della Direttiva (UE) 2019/1023. 
[70] 
M. Binelli, L’omologazione del concordato in continuità non approvato, in Dirittodellacrisi.it, 27 dicembre 2022, p. 9. 
[72] 
Maffei Alberti, op. cit., p. 607. Sul punto, Tronci, op. cit., p. 673, ritiene che il “valore di continuità” da contrapporre al “valore di liquidazione” in caso di continuità indiretta sia pari al prezzo che si stima di ricavare dall’alienazione dell’azienda e dalla riscossione dei canoni dell’eventuale contratto di affitto di azienda. 
[73] 
Si tenga presente che, come autorevolmente osservato, la prosecuzione del contratto di affitto d’azienda preesistente alla data di apertura della liquidazione giudiziale “è di regola utile nel breve periodo, mentre ostacola la liquidazione se si protrae a lungo, sottraendo peraltro, sia pur temporaneamente, alcuni beni al potere di disposizione del curatore, non essendo prevista una fase di sospensione”. Così, Fimmano’, L’affitto di azienda preesistente nel codice della crisi, in Giurisprudenza Italiana, luglio 2023, p. 1709. 
[74] 
V. infra par. 8. 
[75] 
Sul punto, si ritornerà in modo più approfondito nel successivo par. 6. 
[77] 
V. infra par. 8. 
[78] 
Galletti, Portata e razionalità economica dell’absolute priority rule, in D. Vattermoli (a cura di) La questione distributiva nel Diritto della crisi e dell’insolvenza, Pisa, 2023, p. 63. 
[79] 
Quando si è in presenza di una cessione di azienda è possibile distinguere un valore interno e un valore esterno. Il valore interno rappresenta ciò che esiste al momento della cessione aziendale, mentre il valore esterno in quel momento non esiste in capo al debitore in quanto deriva dal nuovo corso dell’attività aziendale in capo ad un soggetto terzo. Così, Auricchio, Covino, Jeantet, Vallino, Absolute e relative priority rule a confronto nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in IUS Crisi d’impresa, 6 ottobre 2022. 
[80] 
Sul punto, può essere utile in quanto coerente con quanto indicato, le previsioni dei PIV I.1.1. nella parte in cui si precisa che “Quando oggetto di stima è il valore di mercato, quest’ultimo può differire dal prezzo che si forma successivamente sul mercato per lo stesso bene (sia perché il prezzo si riferisce ad una data successiva, con aspettative diverse, ecc. sia perché il prezzo riflette le caratteristiche e gli interessi dello specifico acquirente e dello specifico venditore e non quelli di un generico partecipante al mercato”. 
[81] 
Ambrosini, La continuità aziendale (diretta e indiretta) fra diritto contabile e disciplina della crisi d’impresa. Profili ricostruttivi e sottotipi concordatari, in Ristrutturazioni Aziendali, 11 luglio 2024, p. 34. L’autore precisa che “Non si vede invero come possa affermarsi che “il mercato” attribuisca al compendio il valore portato dall’offerta ove quest’ultimo sia espressamente riferito all’azienda di un imprenditore in concordato, alla quale venga dichiaratamente associato un minor valore in caso di liquidazione giudiziale. E in tal caso il perito chiamato a calcolare il valore di liquidazione ben può – anzi, deve – valorizzare diversamente il compendio aziendale: sempre che, naturalmente, non vi sia un’altra offerta che indichi il medesimo valore di detto complesso di beni a prescindere dallo scenario che in concreto si verificherà, giacché questo sì che comporterebbe una “risposta del mercato” nel senso dell’equivalenza valoriale” tra prezzo offerto dal terzo e valore in caso di liquidazione giudiziale. 
[82] 
Linee guida per la valutazione di aziende in crisi, CNDCEC – SIDREA, p. 40. In tale documento si evince che “in caso di liquidazione il valore di mercato deve riflettere la prospettiva del massimo e miglior uso possibile (highest and best use). Il principio del massimo e miglior uso possibile ha la sua ragion d’essere nell’ottica di separabilità del bene dal contesto aziendale in cui si è formato e deve riflettere il potenziale che quel bene può generare se posseduto da un generico operatore di mercato. Ciò significa che la stima del valore di realizzo deve essere liberata dall’influenza di fattori specifici dell’azienda target e deve includere gli effetti delle sinergie disponibili per i partecipanti al mercato (o “sinergie generali”)” (par. 8.1.4). Inoltre, si legge che “Nel caso di aziende in crisi, i flussi devono essere misurati in funzione del valore intrinseco del bene, senza includere le sinergie apportate da soggetti esterni in grado di valorizzare al massimo l’investimento” (par. 8.8.9). 
[85] 
Aggiunge il Tribunale che “Il mancato inserimento nel testo dell’offerta … [del terzo] del termine omologa è del tutto coerente con il fatto che l’offerta era sottoposta alla (sola) condizione sospensiva del deposito del ricorso per l’accesso al concordato preventivo. Se fosse stata posta la condizione ulteriore dell’omologa, non sarebbe stato possibile procedere alla cessione del Ramoa norma dell’art. 25-septies comma 3 CCI prima dell’omologa, come previsto nel piano”. 
[87] 
 Trib. Lecce, 9 febbraio 2024 in Dirittodellacrisi.it.
[88] 
In giurisprudenza v. Trib. Palermo, 22 gennaio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che il valore di liquidazione è stato “determinato in € …, di cui € … riconducibili al valore dell’azienda … ed € … riconducibili al valore del patrimonio netto disponibile del socio illimitatamente responsabile di …”, facendo pertanto presumere come il valore del patrimonio del socio illimitatamente debba essere incluso nella determinazione del valore di liquidazione ex art. 87 CCII. 
[89] 
L’art. 117, comma 2, CCII dispone che “Salvo patto contrario, il concordato della società ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili”. 
[90] 
D’Attorre, Relative priority rule(s), op. cit., p. 75. 
[91] 
Per un’approfondita disamina dell’istituto, si rinvia a Leuzzi, L’esercizio (non più provvisorio) dell’impresa del debitore nel quadro del codice della crisi e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 31 marzo 2019. 
[92] 
Il fatto che debba essere considerato, laddove le circostanze del caso concreto lo consentano, il ricavato della vendita unitaria dell’azienda e non della vendita atomistica si rinviene anche nella Direttiva (UE) 2019/1023 al Considerando n. 49 e all’art. 2, comma 1, n. 6. 
[93] 
M. Fabiani, Un affresco sulle nuove 'milestones' del concordato preventivo, in Dirittodellacrisi.it, 6 ottobre 2022, p. 37. 
[94] 
Lener, op. cit., p. 5. 
[95] 
L’art. 2, comma 1, n. 6 parla di “liquidazione per settori o [di] una vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale”. 
[96] 
G. Lener, op. cit., p. 6 e p. 24. L’autore evidenzia che, stante i dati empirici che mostrano quanto infrequente sia la scelta dell’esercizio provvisorio, è opportuno altresì procedere nel piano, volta a volta, ad argomentate le difformi valutazioni, anche con riguardo alla possibile disgregazione di quel complesso in caso di liquidazione giudiziale, aprendo così ad un’ipotesi di valutazione atomistica dei singoli beni. 
[97] 
Galletti, op. cit., p. 62. 
[98] 
In tema di modalità di liquidazione dell’attivo nell’ambito della liquidazione giudiziale, la costruzione dell’art. 213 CCII e la sua sequenza concettuale inducono a ritenere che essa stabilisca un ordine di preferenza nella scelta degli esperimenti di vendita, che dovranno partire (i) dalla vendita dell'azienda, in subordine (ii) quella dei suoi rami, in ulteriore subordine (iii) dei beni e rapporti giuridici in blocco e infine (iv) dei singoli beni. E solo se in chiave previsionale dalla vendita dell'azienda si può ottenere una minore soddisfazione rispetto alla vendita dei beni in blocco si scarta la vendita dell'azienda e si confronta la vendita in blocco con la vendita atomizzata. Se, invece, dal confronto esce vincente la vendita dell’azienda, allora la vendita in blocco va scartata come prima modalità di liquidazione e si deve procedere al confronto della vendita dell’azienda con la vendita atomistica. Così, Morri, Sull’art. 214, comma 1, CCII, e in particolare sul concetto di soddisfazione dei creditori e sulla posizione dell’affittuario dell’azienda Prelazionario, in Ius Crisi d’Impresa, 24 gennaio 2024. 
[99] 
D’Attorre, Relative priority rule(s), op. cit., p. 75. In giurisprudenza, si veda Trib. Napoli, 21 febbraio 2024 in Dirittodellacrisi.it
[100] 
Bini, Le valutazioni nelle crisi e nelle situazioni di insolvenza delle imprese, in Valutazione delle aziende, luglio 2019, pp. 33 ss. 
[101] 
Sul tema della stima delle spese in prededuzione nell’ambito dell’ipotetica liquidazione giudiziale, si veda Trib. Verona, 13 marzo 2024 in Dirittodellacrisi.it , ove si evince che l’attestatore nella determinazione dell’attivo ricavabile nell’alternativo scenario liquidatorio “ha correttamente considerato … le spese ed i compensi degli organi della liquidazione giudiziale, nonché i compensi dei professionisti che hanno assistito la società limitatamente all’attività svolta durante la composizione negoziata, senza considerare il compenso dovuto per la procedura di concordato preventivo, a partire dal momento della proposizione del ricorso in bianco ex art. 44 CCII”. Il tema è stato altresì affrontato da Trib. Avellino, 26 marzo 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che “senza dubbio vanno decurtati i costi necessari alla vendita in sede di liquidazione giudiziale e, sia pure proporzionalmente, quelli generali normalmente derivanti dalla procedura di insolvenza (compensi del curatore, spese di giustizia, oneri per il pagamento dello stimatore e di altri ausiliari necessari), ma [il legislatore] nulla dice a proposito della incidenza delle passività derivanti dalla presentazione dello strumento di regolazione alternativa della crisi, in specie rappresentate dagli oneri per il pagamento degli advisors, del commissario giudiziale, dell’attestatore e del professionista indipendente. A voler ritenere necessaria anche l’inclusione delle spese di assistenza del debitore nel confezionamento della proposta e del piano nel prospetto di ripartizione delle utilità realizzabili con la liquidazione giudiziale, occorre poi domandarsi in che misura i suddetti costi incidano singolarmente sulle masse attribuite ai privilegiati, atteso che, ove intesi come spese di procedura prededucibili (entro i limiti di cui all’art. 6 CCII), essi gravano pro quota su tutte le masse, comprese quelle immobiliari oggetto di ipoteca o privilegio speciale, ex art. 223 comma 3 CCII, mentre se ritenuti crediti privilegiati con il rango di cui all’art. 2751 bis n. 2 c.c., sottraggono risorse ai soli creditori ad essi postergati sulla massa mobiliare. Un indice interpretativo si trae al riguardo dall’art. 87 comma 1 lett. c) CCII, secondo cui il valore di liquidazione si calcola ‘alla data della domanda di concordato’, ovvero prima della sua apertura, dal che si desume che esso deve tener conto anche le passività maturate nella fase di preparazione della proposta e del piano, sia pure quali crediti professionali non prededucibili, atteso che a quella data la procedura non è ancora aperta, bensì concorsuali e muniti di rango privilegiato”. Il tema è stato altresì affrontato da Trib. Monza, 11 maggio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che “per individuare l’attivo astrattamente distribuibile ai creditori [ai fini della stima del valore di liquidazione], dovrà tenersi conto di tutte le passività prededotte, quantomeno quelle di sicura maturazione in sede di liquidazione giudiziale”. 
[102] 
La circostanza per cui il valore di liquidazione non debba includere anche il valore derivante dagli interventi di ristrutturazione pare condivisa anche da Madaus, op. cit., p. 3, ove si evince che “The realisable value does not include value which is only generated by the cooperation of stake-holders. This concerns the value which can only be realised in a restructuring of the debtor (reor-ganisation surplus)”. Aggiunge l’autore “The reorganisation surplus is a value which is only generated if a restructuring is achieved. This requires cooperation. … Any restructuring is a new effort of stakeholders creating new value … not just another form of debt collection .... It’s a fresh start by means of cooperation”. 
[103] 
Maffei Alberti, op. cit., p. 625. 
[104] 
Ipoteticamente si potrebbe ipotizzare l’esercizio provvisorio anche in caso di redditività negativa quando è ragionevole stimare che la prosecuzione dell’attività possa consentire alla curatela di raggiungere dei risultati, in sede di cessione dell’azienda, che consentano un miglior soddisfacimento dei creditori e che, quindi, permetta di coprire pienamente gli eventuali esuberi di costi rispetto ai ricavi conseguiti durante l’esercizio dell’impresa da parte della curatela. 
[105] 
Art. 63 D.Lgs. n. 270/1999 “Per le aziende e i rami di azienda in esercizio la valutazione … tiene conto della redditività, anche se negativa, all'epoca della stima e nel biennio successivo”. 
[106] 
Solidoro nell’intervento al Convegno di Pietrasanta del 10-11 maggio 2024 organizzato da Diritto della Crisi intitolato “Le modifiche del Codice della crisi: analisi e dibattito”. 
[107] 
Sul tema v. App. Venezia, Sez. I, 28 marzo 2024, in Dirittodellacrisi.it, sebbene riferito ad una proposta di concordato semplificato, fornisce utili indicazioni anche ai fini di quanto in esame. In sede di opposizione alla omologazione del concordato semplificato, l’Agenzia delle entrate sostiene che al fine di valutare la convenienza della proposta rispetto alla liquidazione giudiziale occorra tener conto, oltre che delle azioni di responsabilità, del valore di liquidazione del patrimonio comprensivo anche del surplus derivante dall’eventuale prevedibile esercizio provvisorio da parte del curatore. Il motivo non è stato accolto dal Tribunale in quanto ritiene che l’esercizio provvisorio sia soltanto “ipoteticospecie se si considera che la gestione dell'impresa, con quasi 200 dipendenti dislocati su più stabilimenti con linee di produzione diverse, implica rilevanti costi fissi, come si evince dai valori di EBITDA negativi durante quasi tutto il corso del procedimento e l'assenza di soluzioni diverse dall'offerta per la cessione dell'azienda in esercizio, oggetto di specifica verifica da parte dell'Ausiliario nel parere ex art. 25 septies, comma 3, CCI del 10/3/2023. Peraltro, in assenza di un'offerta, manca qualsiasi elemento per ritenere che l'esercizio provvisorio non arrechi pregiudizio ai creditori e, anzi, che vi è un'alta probabilità che il prolungarsi dell'attività d'impresa determini un sensibile aumento dei crediti prededucibili”. 
[108] 
Binelli, op. cit., p. 7. Sul tema, l’autore evidenzia altresì che, a conferma di tale approdo possono pure richiamarsi alcune diversità letterali apportate all’art. 211 CCII rispetto al previgente art. 104, L. fall.: (i) l'eliminazione della necessità, al fine di disporre l'esercizio provvisorio, che l'interruzione dell'attività aziendale possa generare grave danno; (ii) la sostituzione delle parole “può disporre” con la meno discrezionale espressione “autorizza”; (iii) il nuovo e deciso incipit della norma dedicata all'esercizio provvisorio che ora esordisce affermando che “l’apertura della liquidazione giudiziale non determina la cessazione dell'attività di impresa”. Si tratta di elementi che inducono ad una lettura meno eccezionale dell’istituto dell’esercizio provvisorio e simile esegesi si concilia altresì con lo scopo, che ispira l’intera riforma, di favorire la precoce emersione della crisi d’impresa. 
[109] 
Trib. Siena, 30 giugno 2023 in Dirittodellacrisi.it, ove si legge che “il valore di liquidazione del patrimonio previsto quale contenuto del piano ai sensi dell’art. 87, comma 1, lett. c), CCII, si riferisce al valore dei rami d’azienda e non ai singoli beni considerati atomisticamente e che, dunque, il valore totale indicato nella proposta e nel piano deve intendersi come valore di cessione dell’azienda, frutto della somma del valore dei singoli rami d’azienda in esercizio risultante dall’abbattimento dovuto allo scenario liquidatorio”. 
Trib. Milano, 6 luglio 2023 in Dirittodellacrisi.it. In seguito ai rilevi evidenziati dal Tribunale, si legge nel provvedimento, che il debitore, anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 84, comma 6, CCII ha rideterminato il valore di liquidazione “in modo convincente” sulla base del “valore tratto dalla vendita dell’azienda e non il valore ritraibile dai beni atomisticamente considerati, come originariamente divisato”. 
Trib. Treviso, 10 luglio 2023 in Dirittodellacrisi.it. Nel caso di specie, pertanto, il debitore ha considerato l’opportunità di determinare il valore di liquidazione in ipotesi di esercizio provvisorio; tuttavia, ha ritenuto che tale evenienza fosse antieconomica per la curatela di una ipotetica liquidazione giudiziale e, conseguentemente, ha ritenuto opportuno fornire una valutazione atomistica dei beni nello scenario dell’apertura della procedura liquidatoria. Infatti, si legge nel provvedimento che la scelta di determinare il valore di liquidazione in un’ottica atomistica è stata giustificata con il fatto che “l’azienda non è stata stimata unitariamente perché non suscettibile di cessione da parte della Curatela, stante l’antieconomicità dell’esercizio provvisorio per lo specifico business della Società (che produce il 90% dei propri prodotti per conto terzi, con accordo di pagare le forniture all’odine, applica il metodo di fornitura just in time il cui presupposto è quello di consentire ai clienti di non avere un proprio magazzino ma di ricevere la forniture dopo pochi giorni dalla richiesta)”. 
Trib. Ferrara, 18 luglio 2023 in Dirittodellacrisi.it, ove i giudici di merito statuiscono chiaramente che tale nozione debba “assumere una natura dinamica”. In particolare, il Tribunale sancisce che il valore di liquidazione debba essere determinato “secondo la possibile declinazione della vendita della azienda aggregata da parte della liquidazione giudiziale, previa prosecuzione dell’affitto in corso”, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, che assume “come parametro solo la liquidazione dei beni aziendali disaggregati”. Infatti, nulla impedisce alla futura liquidazione giudiziale di non risolvere il contratto di affitto pendente e procedere alla vendita competitiva dell’azienda, non risultando che alcuna clausola contrattuale nel contratto di affitto osti a tale possibilità. Ciò, a maggior ragione, considerando che è ragionevole ipotizzare che l’affittuaria, la quale ha sostenuto ingenti investimenti per gestire l’azienda, sia disponibile ad acquistare il bene partecipando alla vendita competitiva in sede di liquidazione giudiziale. Inoltre, evidenziano i giudici di merito, il tempo del contratto di affitto, quantificato in tre anni, è ampiamente compatibile con la vendita dell’azienda aggregata in sede di liquidazione giudiziale. Diversamente, invece, la ricorrente prospetta la vendita dei beni disaggregati nell’ambito della liquidazione giudiziale, “senza tenere in nessun conto la possibilità, ed anzi doverosità per il curatore ex art. 215 CCII, di proseguire nel contratto di affitto per poi porre in vendita la azienda aggregata con forme ovviamente competitive”. 
Trib. Lucca, 25 luglio 2023 in Dirittodellacrisi.it. Preso atto che il Codice della crisi non ne fornisce una definizione, il Tribunale rileva che, in caso di liquidazione giudiziale un criterio è fissato dall’art. 214 CCII. Pertanto, “in caso di liquidazione giudiziale la vendita atomistica dei beni è possibile in quanto la vendita dell’azienda, di suoi rami o di rapporti giuridici in blocco non sia possibile o non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori”. Tale criterio nel concordato in continuità deve intendersi nel senso che il valore di liquidazione “vada individuato, anzitutto, come valore di cessione dell’azienda o di singoli rami, o in alternativa vadano spiegate in maniera analitica e completa le ragioni dell’impossibilità di cedere l’azienda nel suo complesso o per singoli rami”. 
Trib. Roma, 24 ottobre 2023 in Dirittodellacrisi.it, ove il Tribunale statuisce che “deve intendersi quale valore, alla data di deposito della domanda di concordato, che potrebbe trarsi dalla alienazione/realizzo in sede di liquidazione giudiziale dell’intero patrimonio della ricorrente”. Precisano i giudici di merito che “in relazione al valore dell’azienda, questo deve essere determinato con riferimento al presumibile realizzo in sede di esercizio provvisorio disposto dal Tribunale ovvero al valore di liquidazione dei singoli beni aziendali laddove si ravvisi come non prevedibile – perchè non conveniente – l’esercizio provvisorio rispetto alla cessazione dell’azienda e alla vendita atomistica dei suoi beni”. 
Trib. Roma, 20 dicembre 2023 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che “Non è stato stimato il valore dell’azienda in caso di esercizio provvisorio atteso che la proponente ha dedotto che la continuazione dell’attività di impresa depauperebbe l’attivo atteso che verrebbero meno le capacità relazionali derivanti dalla presenza della famiglia … e sarebbe persino complicato portare a compimento gli appalti in essere”. 
Trib. Spoleto, 29 dicembre 2023, in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che, ai fini della determinazione del valore di liquidazione in caso di apertura della liquidazione giudiziale, è corretto l’utilizzo del c.d. metodo patrimoniale puro, con esclusione del valore dell’avviamento, e la conseguente valorizzazione in ipotesi di cessione atomistica dei beni qualora la ricorrente dimostri esaustivamente, e il commissario giudiziale possa riscontrare e verificare, che esso rappresenta un metodo più adeguato rispetto all’ipotesi di una vendita quale complesso organizzato di beni. 
Trib. Napoli, 21 febbraio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che il valore di liquidazione comprende “il presumibile ricavato dell’esperimento delle azioni revocatorie, risarcitorie e recuperatorie, ivi incluse quelle esercitabili sono nel caso di liquidazione giudiziale”. 
Trib. Milano, 5 febbraio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince il valore di liquidazione può essere determinato avuto riguardo allo scenario della liquidazione atomistica, purché la ricorrente abbia adeguatamente motivato l’inverosimiglianza della prosecuzione dell’attività di impresa in ipotesi di liquidazione giudiziale con conseguente esclusione di ogni previsione di esercizio provvisorio ex art. 211 CCII. (Nel caso di specie i motivi sono collegati alla imprescindibilità della figura dell’imprenditore, tanto per la componente di continuità diretta che per la continuità indiretta. Per la continuità indiretta, a prescindere dalla volontà dall’affittuario di non proseguire nel contratto di affitto in caso di liquidazione giudiziale, ciò che oggettivamente acquisisce rilevanza riguarda la circostanza in base alla quale il ramo affittato è strettamente connesso alla attività svolta in continuità diretta dalla società, con la conseguenza che la probabile improseguibilità dell’attività di impresa in forma diretta in ipotesi di liquidazione giudiziale si rifletterebbe sull’attività svolta con riguardo al ramo in prosecuzione “indiretta”). 
In tema di concordato minore e liquidazione controllata si veda Trib. Ferrara, 21 febbraio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che il giudizio di convenienza – rectius di non deteriorità – deve essere condotto con riferimento “alla ipotesi di liquidazione controllata con prosecuzione dell’attività”. Infatti “non può affatto escludersi la possibilità di una liquidazione controllata in cui il debitore prosegua la attività, poiché proprio con la stessa egli può, sia pure parzialmente, pagare i propri creditori, spettando al liquidatore il controllo circa la redditività di tale attività, cui deve essere posto termine laddove essa non generi flussi positivi ma, anzi, generi ulteriori costi non pagati”. Si veda anche Trib. Ferrara, 11 marzo 2024 in Dirittodellacrisi.it ove si evince che “il valore di liquidazione consiste nel valore aritmetico corrispondente al ricavo della liquidazione dell’attivo nella procedura liquidatoria corrispondente, in questo caso la liquidazione controllata. …” e il valore di liquidazione deve comprendere anche “i ricavi, al netto di quanto necessario per il mantenimento, derivati dalla prosecuzione dell’attivitàalla luce del fatto che, anche se aperta la liquidazione controllata, non poteva escludersi che, sotto il periodico controllo del liquidatore, l’attività potesse proseguire salvo arrestarsi laddove inidonea a generare ricavi ma solo costi in prededuzione”. 
Trib. Verona, 13 marzo 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che il valore di liquidazione è stato “correttamente” calcolato tenuto conto della “valorizzazione economica degli asset secondo il valore atomistico, avendo motivatamente escluso che in caso di liquidazione giudiziale avrebbe potuto procedersi alla cessione dell’azienda ancora in funzionamento”. 
Trib. Roma, 11 aprile 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che per valore di liquidazione ai fini dell’art. 84, comma 5 e 6, CCII debba intendersi il valore alla data di deposito della domanda di concordato “che potrebbe trarsi dalla alienazione/realizzo in sede di liquidazione giudiziale dell’intero patrimonio della ricorrente (azienda, beni estranei al perimetro aziendale, crediti, liquidità, eventuali utilità ritraibili da azioni risarcitorie o revocatorie) calcolato, quanto all’azienda, con riferimento al valore derivante dalla vendita della stessa in sede di esercizio provvisorio …, ovvero al valore di liquidazione dei singoli beni aziendali laddove, (motivando) si ravvisi come non prevedibile – perché non conveniente – l’esercizio provvisorio rispetto alla cessazione dell’azienda ed alla vendita atomistica dei suoi beni”. Tale valore di realizzo, di cui all’art. 84, comma 5, CCII coincide con il valore di liquidazione cui fa riferimento il comma 6 della medesima disposizione a proposito della regola della RPR. Allo stesso modo Trib. Roma, 10 luglio 2024 in Dirittodellacrisi.it
Trib. Monza 18 luglio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che ai fini della stima del valore di liquidazione deve “aversi riguardo, anzitutto, al valore dell’azienda unitariamente compresa, considerato che ai sensi dell’art. 214, comma 1, CCII la liquidazione dei singoli beni deve essere disposta soltanto quando risulti prevedibile che la vendita dell’intero complesso aziendale non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori. La valutazione atomistica dei singoli beni componenti l’azienda sarà pertanto idonea a determinare correttamente il “valore di liquidazione” soltanto qualora risulti che, nell’ambito della liquidazione giudiziale, non potrà procedersi alla vendita dell’azienda (il che accade, ad esempio, qualora l’attività aziendale sia fortemente ricollegata all’apporto personale dato dall’amministratore, che verrebbe meno nell’ambito della liquidazione giudiziale)”. 
[110] 
Come osservato in giurisprudenza “nel concordato in continuità aziendale diretta, come è lecita la conservazione in capo al debitore della titolarità dell’azienda … allo stesso modo deve ritenersi lecito proporre ai creditori di non esercitare l’azione di responsabilità; naturalmente del valore che sarebbe stato ritraibile da tali azioni dovrà tenersi conto … ai fini della determinazione del valore di liquidazione da ripartirsi con la regola della absolute priority rule, e ciò comporta che non tutta l’eccedenza generata rispetto al valore di liquidazione può essere distribuita secondo la regola della relative priority rule ma sino alla concorrenza del valore di liquidazione dovrà essere utilizzata per pagare integralmente almeno una parte del ceto privilegiato”. Trib. Roma, 10 luglio 2024 in Dirittodellacrisi.it
[111] 
Sui valori ritraibili in uno scenario di liquidazione giudiziale in relazione alle azioni di responsabilità da esercitare a carico degli organi sociali da parte degli organi giudiziali alla luce delle novità introdotte dal CCII, è stato recentemente pubblicato in Dirittodellacrisi.it uno studio condotto da Jeantet, Midolo, Pollio, Vallino, Valore di realizzo dei diritti risarcitori nell’alternativo scenario della liquidazione giudiziale: il non semplice confronto tra stima e migliore soddisfazione dei creditori e le evidenze non proprio empiriche, 22 marzo 2024. 
[112] 
L’art. 87, comma 1, l.t h) dispone che il piano di concordato debba contenere anche l’indicazione delle “azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili nonché le azioni eventualmente proponibili solo nel caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale e le prospettive di realizzo”. 
[113] 
Trib. Santa Maria Capua Vetere, 13 febbraio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove viene richiamato il parere ex art. 47, comma 1, CCII del commissario giudiziale, Prof. Giacomo D’Attorre, che precisa che l’indicazione delle prospettive di realizzo delle azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili “contribuisce alla valutazione dei creditori ed eventualmente ove richiesto a seguito di opposizione, del Tribunale sulla cd. assenza di pregiudizio del trattamento offerto ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, consentendo di tenere conto anche di presumibili realizzi nel caso di apertura della procedura liquidatoria; in ciò, la previsione trova corrispondenza nella previsione di cui all’art. 87, comma 1, lett. c), CCII, in forza del quale il piano deve contenere l’indicazione del “valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale”. Sul tema Trib. Roma, 24 ottobre 2023 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che “sarebbe illogico attribuire al valore di liquidazione di cui all’art. 84, comma 6, un contenuto più ridotto di quello di cui all’art. 112 comma 3 (in sostanza, non computando le azioni revocatorie che presuppongono l’apertura della liquidazione giudiziale) perché si renderebbe legittima la presentazione di una proposta che verrebbe, poi, ad essere facilmente vanificata dall’opposizione del creditore sulla base della ricomprensione, nell’attivo a lui distribuibile ed ai fini del test di convenienza, anche dei proventi dell’azione revocatoria”. Trib. Monza, 11 maggio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che ai fini della stima del valore di liquidazione, il parametro di riferimento è “quello dell’attivo, comprensivo di tutti i beni, diritti ed azioni (incluse azioni di responsabilità e revocatorie) che si potrebbe avere in caso di liquidazione giudiziale”. Ancora, Trib. Monza, 18 luglio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si legge che ai fini della stima del valore di liquidazione “dovrà inoltre tenersi conto delle utilità derivanti dal positivo esperimento di azioni revocatorie e di responsabilità nei confronti degli amministratori”. 
[114] 
Quando una società di capitali viene ammessa alla procedura di concordato preventivo si pone il tema (i) se sia plausibile la conservazione in capo ai creditori sociali dell’azione di cui all’art. 2394 c.c., ovvero se tale azione sia assorbita dall’omologazione del concordato preventivo e (ii) se tale azione rimanga nella disponibilità dei creditori o se debba invece transitare nella disponibilità di un organo della procedura concordataria Inoltre, ci si interroga su quelle azioni per le quali ricorrano i presupposti ma che non vengono rappresentate nella proposta concordataria. In sintesi, si può concludere che (i) nel concordato preventivo (sia liquidatorio sia in continuità) i creditori conservano l’azione di cui all’art. 2394 c.c. anche dopo l’omologazione del concordato, senza che una contraria decisione della società possa limitarne il diritto (qualora la soluzione concordataria proposta dal debitore preveda di transigere la lite viene in rilievo il terzo comma dell’art. 2394 c.c. a tenore del quale “La rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi” e, pertanto, una volta stipulata la transazione, ove i creditori dovessero reputare che questo sia da configurare come atto in frode ai loro danni, avrebbero cinque anni di tempo per avviare l’azione ex art. 2901 c.c.); (ii) sino all’omologazione e nella fase esecutiva dei concordati con piani di continuità, la società può promuovere l’azione di responsabilità (sociale), secondo le ordinarie regole del Codice civile (artt. 2393 e 2394 c.c.); (iii) nel concordato con piano di continuità, la titolarità dell’azione resta prerogativa della società e specificatamente dell’assemblea, mentre, anche tenuto conto della previsione di cui all’art. 115 CCII, va confermata l’insostenibilità della tesi che vorrebbe attribuire la legittimazione all’azione al commissario giudiziale. Sul punto, v. M. Fabiani, Dalla meritevolezza al rapporto dialogico fra frode e responsabilità nel concordato preventivo, in Il Fallimento, 2015, p. 965. 
[115] 
Lamanna, “Valore di liquidazione” e “valori eccedenti” nel concordato preventivo: come calcolarli e distribuirli, op. cit., pp. 5-7. L’autore conclude evidenziando che il “valore di liquidazione, in altre parole, è, e non può che essere, solo quello afferente agli assets concordatari, non invece quello afferente all’utile esercizio di azioni che potrebbero proporsi solo nella liquidazione giudiziale”. Tale conclusione, a parere dell’autore, “sembra porsi in linea anche con la Direttiva Insolvency 1023/2019, visto che essa, indicando il contenuto minimale di un piano di ristrutturazione, prescrive – tra l’altro - che siano indicate “le attività e le passività del debitore al momento della presentazione del piano di ristrutturazione, compreso il valore delle attività …” (art. 8, par. 1, lett. b)”. 
[116] 
Binelli, op. cit., p. 6. L’autore giunge a tale conclusione evidenziando altresì che non pare costituire serio ostacolo il fatto che vengono formalmente distinte dal valore di liquidazione, menzionato alla lett. c), le azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, nonché le azioni eventualmente proponibili in caso di apertura della liquidazione giudiziale. Ciò in quanto ì la “distinzione di valore puramente classificatorio dell'art. 87 non è … in grado di superare il dato fondante (e scolpito nell'art. 84, comma 1) della necessità che ogni concordato assicuri un soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quello realizzabile in caso di liquidazione giudiziale, ipotesi nella quale tali potenziali attivi rappresentano spesso un elemento tutt'altro che trascurabile”.  D’Attorre, Relative priority rule(s), op. cit., p. 75 ritiene che nel valore di liquidazione si debba considerare anche “il presumibile ricavato dell’esperimento delle azioni revocatorie, risarcitorie e recuperatorie, ivi incluse quelle esercitabili solo nella liquidazione giudiziale”. 
[117] 
Trib. Verona, 10 luglio 2023 in Dirittodellacrisi.it, ove il professionista incaricato di redigere la relazione ex art. 87, comma 3, e 84, comma 5, CCII, ha precisato che “ai fini della verifica del limite di falcidiabilità dei creditori privilegiati e della determinazione del valore di liquidazione, non potrebbe tenersi conto delle utilità ritraibili nella liquidazione giudiziale a seguito del positivo esperimento di azioni revocatorie ex art. 166 CCII. Ciò in ragione del fatto che, a tali fini, dovrebbe considerarsi solo l’attivo ricavabile da azioni esperibili anche in ambito concordatario e quindi non anche quanto ricavabile da eventuali azioni revocatorie ex art. 166 CCII, in quanto proponibili solo dal curatore, dopo l’apertura della liquidazione giudiziale”. A tale affermazione il Tribunale ha statuito che “in caso di liquidazione giudiziale l’attivo potrebbe essere ricavato anche dall’esperimento di azioni revocatorie ex art. 166 CCII, sicché la relativa posta va considerata ai fini della determinazione del limite della soddisfazione (e quindi della falcidia) dei creditori privilegiati. D’altra parte, il testo dell’art. 84, c. 5 CCII ricalca quello del previgente art. 160, comma 2, L. fall., sicché anche in relazione alla nuova norma non può che valere quanto osservato dalla Suprema Corte”. Sul tema, v. anche Trib. Santa Maria Capua Vetere, 13 febbraio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che la previsione di cui all’art. 87, lett. h) CCII “è ampia, riferendosi a qualunque tipo di azione risarcitoria, ed è logica, dal momento che da tali azioni possono derivare future entrate di liquidità per la società che non sono rappresentate in poste contabili nei bilanci aziendali, consistendo in mere attività potenziali. Per cui è comprensibile che il piano di risanamento (concordatario o di altro tipo), mirante a prospettare le future risorse disponibili per la società affinché i creditori possano decidere se esprimere voto favorevole all’accordo, contenga tale descrizione. Peraltro, la coerenza della previsione si spiega con il fatto che il patrimonio del debitore include anche i proventi derivabili delle azioni risarcitorie, e che quindi questi debbano essere rappresentati nel piano per non integrare gli estremi dell’occultamento patrimoniale e per consentire ai creditori di esprimere un giudizio fondato, anche nell’ottica del miglior soddisfacimento rispetto alle alternative praticabili”. Si veda anche Trib. Milano, 6 luglio 2023; Trib. Roma, 24 ottobre 2023; Trib. Bologna, 5 dicembre 2023; Trib. Verona, 13 marzo 2024 tutte reperibili in Dirittodellacrisi.it .. Trib. Avellino, 26 marzo 2024 ove si evince che è “da ritenersi essenziale per la determinazione non solo delle prospettive alternative a quella concordataria …, ma anche ai fini della determinazione del c.d. valore di liquidazione (art. 84 comma 5) da attribuire ai creditori privilegiati” la possibilità di recupero “di ulteriori utilità derivanti dalle azioni di massa (art. 87 lett. h) CCII), nonché un’analisi sulla responsabilità degli organi amministrativi sulle cause del dissesto”. Di diverso avviso pare Trib. Siena, 30 giugno 2023 in Dirittodellacrisi.it, ove sembra che rilevino unicamente le “azioni risarcitorie e recuperatorie proponibili soltanto nel caso di apertura della procedura di liquidazione”. 
[118] 
Cass. Civ. 15 giugno 2023, n. 17016; Cass. Civ. 13 marzo 2015, n. 5107 entrambi in One Legale
[119] 
Cass. 8 giugno 2012, n. 9373, in Il Fallimento, 2012, pp. 1409 e ss. L’indirizzo è stato confermato in sede di legittimità a più riprese, Cass, sez. I, 14 maggio 2019, n. 12864, Cass., sez. I, 17 maggio 2019, n. 13391; Cass., sez. I, 8 giugno 2020, n. 10884. 
[120] 
Tipico apporto che non entra nel patrimonio del debitore e non aggrava il passivo di quest’ultimo è rappresentato dal pagamento dei creditori ad opera di un terzo, con o senza surrogazione. La soluzione frequentemente adottata è costituita dalla messa a disposizione di risorse da parte di un terzo finalizzata a soddisfare le esigenze concordatarie, individuando specificatamente la destinazione (rectius: i creditori o la classe di creditori da soddisfare) dell’apporto di risorse. 
[121] 
Pare molto chiarificatrice la distinzione esposta dal Trib. Massa, 16 gennaio 2024 in Dirittodellacrisi.it ove si evincono le seguenti definizioni: 
- Finanza nuova: “finanziamenti erogati da terzi al debitore in corso di procedura, con obbligo restitutorio in favore del terzo”; 
- Finanza esterna esogena: “dazione di beni (denaro o altri beni mobili e/o immobili) o comunque messa a disposizione di risorse in favore del debitore da parte di un socio o di altro soggetto terzo, nei confronti del quale i creditori non vantano alcun diritto, senza obblighi restitutori (ord. 8 giugno 2020, n. 10884)”; 
- Finanza endogena/surplus/plusvalore da continuità: “risorse generate dal patrimonio del debitore e utili generati dalla continuità aziendale, nei casi di concordati preventivi in continuità aziendale”. 
[122] 
Si precisa che, ai sensi dell’art. 87, comma 1, lett. g) CCII, il piano di concordato, di qualunque tipologia esso sia, deve indicare gli (eventuali) apporti di risorse esterne, con l’esposizione delle ragioni per cui sono necessari ai fini dell’attuazione del piano. 
[123] 
Lamanna, “Valore di liquidazione” e “valori eccedenti” nel concordato preventivo: come calcolarli e distribuirli, op. cit., pp. 10-11. 
[124] 
S. Leuzzi, Il giudizio di omologazione del concordato preventivo: oggetto, regole, controlli, in Dirittodellacrisi.it, 9 ottobre 2023, p. 36. 
[125] 
D’Attorre, Relative priority rule(s), op. cit., pp. 79-80. 
[126] 
Una lacuna normativa ricorre solo allorché per una data fattispecie non sia prevista alcuna conseguenza giuridica da alcuna norma appartenente al sistema e, quindi, ogni qualvolta un caso concreto non possa essere risolto sulla base delle norme preesistenti nel sistema stesso. Cass., 11 febbraio 2015, n. 2656; Cass., 12 novembre 2019, n. 29236; Cass., sez. lav., 6 luglio 2002, n. 9852. 
[127] 
Analogamente a quanto indicato al par. 5 con riferimento alla necessità di tenere ben distinti il valore eccedente quello di liquidazione con il ricavato della continuità aziendale, intendendo quest’ultimo come i flussi di cassa disponibili durante il piano per soddisfare i creditori concorsuali. 
[128] 
Riprendendo l’esempio di cui alla nt. 60, si formulano le seguenti ipotesi: (i) il patrimonio del debitore alla data della domanda di concordato (i.e. il valore di liquidazione) è pari a € 10 mln, di cui € 6 mln costituiti da beni e diritti non strategici e quindi destinati alla liquidazione ed € 4 mln costituiti da beni strategici e quindi non destinati alla liquidazione; (ii) i flussi disponibili nel piano ammontano ad € 3 mln e (iii) le risorse esterne ammontano ad € 2 mln. Sulla base di ciò, si rinviene che il valore messo a disposizione dei creditori nel piano è complessivamente pari a € 11 mln (di cui € 6 mln di beni e diritti non strategici, € 3 mln di flussi di cassa liberi ed € 2 mln di risorse esterne). Pertanto, a fronte di un valore di liquidazione pari ad € 10 mln e un valore messo a disposizione nel piano di € 11 mln, il valore eccedente quello di liquidazione ammonta ad € 1 mln. Pertanto, parte del valore delle risorse esterne (€ 1 mln) rientra nel valore di liquidazione ed altra parte (residuo € 1 mln) rientra nel valore eccedente quello di liquidazione. Tuttavia, ad avviso di chi scrive, nell’esempio sopra riportato, tenuto conto delle modifiche apportate dal recente decreto correttivo con riferimento alla precisazione della libera distribuibilità dell’apporto esterno anche nel concordato preventivo (v. infra nel presente paragrafo), si pone la questione se la differenza (di € 1 mln) tra il fabbisogno concordatario (pari ad € 11 mln) e il valore di liquidazione (pari ad € 10 mln) debba essere qualificata come valore eccedente (quindi distribuibile secondo la RPR) ovvero come apporto esterno (quindi distribuibile anche in deroga alla RPR). 
[129] 
Trib. Milano, 6 luglio 2023 e 20 luglio 2023 in Dirittodellacrisi.it. Trib. Verona, 21 luglio 2023 in Dirittodellacrisi.it, ove i giudici di merito concludono che “la finanza terza è distribuibile liberamente (quindi senza il rispetto dell’ordine delle prelazioni, neppure in modo attenuato secondo il criterio della relative priority rule) e potrebbe quindi essere destinata alla soddisfazione (addirittura integrale) dei creditori di grado più basso ed addirittura di rango chirografario, senza che i creditori di grado superiore soddisfatti in minor misura possano eccepire alcunché”. Trib. Mantova, 14 marzo 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che l’apporto di risorse in favore del debitore da parte di un soggetto terzo nei confronti del quale i creditori non vantano alcun diritto ed erogato senza obblighi restitutori non deve qualificarsi come valore eccedente quello di liquidazione bensì come finanza esterna e, come tale, liberamente distribuibile tra i creditori senza vincolo di rispetto né della absolute priority rule né della relative priority rule
[130] 
Così Trib. Treviso, 10 luglio 2023 in Dirittodellacrisi.it. I giudici di merito, pertanto, sposano la tesi per cui, nell’ambito del concordato in continuità aziendale, è indifferente ai fini della tenuta del piano la diversa qualificazione operata dalla ricorrente in termini di “finanza esterna” dell’apporto di capitale, poiché il dato scriminante della neutralità dell’apporto del terzo rispetto al patrimonio per distribuire la somma in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. rileva nel solo concordato liquidatorio. Conclude, infatti, il Tribunale precisando che “questa esegesi, che agevola la coesistenza di un soddisfacimento trasversale ancorché non integrale dei creditori privilegiati (nei limiti della capienza) e a cascata un soddisfacimento parziale dei chirografari ab origine o degradati, non solo a fronte di “finanza esterna”, ma anche di apporti che transitano per il patrimonio della società, è conforme alla ratio legis di favorire il ricorso a strumenti di regolazione della crisi volti a risanare l’impresa, oltre ad essere suffragata dalla lettera della disposizione (art. 84, comma 6, CCII) e dall’interpretazione logico-sistematica della norma, letta in relazione al comma 4 del medesimo articolo che regola l’apporto di risorse esterne nel concordato liquidatorio”. Allo stesso modo, e più specificatamente, sulla ammissibilità di considerare l’aumento di capitale sociale alla stregua del valore generato dalla continuità e quindi eccedente quello di liquidazione e quindi assoggettabile non alla APR ma alla RPR, si veda Trib. Lucca, 9 gennaio 2024 in Dirittodellacrisi.it; Alla medesima conclusione pare giunga Trib. Lucca, 25 luglio 2023 in Dirittodellacrisi.it e Trib. Avellino, 26 marzo 2024. Sul punto si veda anche Trib. Milano, 2 maggio 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove in sede di verifica della condizione di cui alla lettera b) del comma secondo dell’art. 112 CCII, il Tribunale statuisce che “è rispettato il principio di non discriminazione sancito dalla previsione normativa, posto che in relazione al valore eccedente quello di liquidazione – interamente derivante dall’aumento di capitale sociale a pagamento da eseguirsi entro 10 giorni dalla definitiva omologa della procedura …, lo stesso viene ripartito secondo la c.d. relative priority rule di cui al sesto comma dell’art. 84 CCII”. Nel senso di distribuire le risorse derivanti dall’aumento di capitale sociale nel rispetto della regola della priorità assoluta pare si sia espresso il Trib. Monza, 11 aprile 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che “l’importo di € a servizio dell’aumento del capitale sociale non è stato incluso nel valore di liquidazione tuttavia, a seguito dei rilievi effettuati dal Tribunale …, risulta correttamente distribuito secondo le regole dell’APR”. 
[131] 
Trib. Massa, 16 gennaio 2024 in Dirittodellacrisi.it
[132] 
Sui connotati delle procedure concorsuali v., Fabiani, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2017. 
[133] 
Pagni, Fabiani, Introduzione alla composizione negoziata, in Il Fallimento, 2021, p. 1480. 
[134] 
D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, op. cit., pp. 1224 ss. L’autore evidenzia le seguenti criticità: (i) conseguenze latu sensu distributive del trasferimento autorizzato dell’azienda o di un suo ramo nella composizione negoziata; (ii) possibile purgazione delle formalità pregiudizievoli iscritte sui beni inclusi nell’azienda o nel ramo trasferito. 
[135] 
Invero, come autorevolmente osservato, qualora l’imprenditore in composizione negoziata si trovi in uno stato di insolvenza, la gestione dell’impresa deve essere posta a tutela dei creditori e, conseguentemente, deve essere assicurato un “maggior realizzo rispetto a quanto ottenibile in sede di liquidazione giudiziale”; ciò evidentemente presuppone una stima del valore di liquidazione in tale scenario. Così Maffei Alberti, op. cit., p. 132. 
[136] 
Sulla necessità di conoscere il valore minimo da mettere a disposizione dei creditori al fine di avviare le trattative con gli stessi nell’ambito di ogni percorso di ristrutturazione, si veda, al di fuori del contesto nazionale, Engelberg, op. cit., p. 214, la quale evidenzia che “For drafting any restructuring programme, an administrator customarily first estimates the available funds for the distribution to creditors of a distressed company. This is done based on a valuation of the company”. 
[137] 
La necessità di conoscere in modo puntuale il valore che spetterebbe a ciascun creditore nell’ipotesi in cui le trattative dovessero fallire è altresì evidenziata nella dottrina europea. Sul punto, Mokal, The court’s discretion in relation to the Pt 26A cram down, in Journal of International Banking and Financial Law, 2021, p. 13, ove l’autore precisa che “APR is essential to enable parties to a restructuring negotiation to know with certainty the value of their entitlements in the event that negotiations fail, which in turn is necessary to efficient negotiations in the first place”. Prosegue l’autore “A negotiation goes better if all the parties can accurately ascertain what bargaining theorists call the parties’ “outside options”, which is the state that would obtain if the negotiations were to fail. In order rationally to stake a position in the negotiations and to decide whether and how much to “give” as part of the negotiation, each claimant must knowtheir outside option”. Si veda anche. Kokorin, Madaus, Mevorach, Global Competition in Cross-Border Restructuring and Recognition of Centralized Group Solutions, in Texas International Law Journal, 2021, p. 29, ove gli autori precisano che “It has also been pointed out that the APR encourages parties to reach an agreement, as cross-class cram down depends on full payment according to the pre-established distribution waterfall”. 
[138] 
Tra l’altro, non a caso ad avviso di chi scrive, il Decreto dedica una sezione di ben quattro ore del corso di formazione abilitante per l’attività di esperto proprio alla stima della liquidazione del patrimonio. 
[139] 
V. infra par. 8.2. 
[140] 
Trib. Ivrea 27 maggio 2022 in Dirittodellacrisi.it
[141] 
Pezzano, Ratti, Le regole di distribuzione, in Dirittodellacrisi.it
[142] 
Cassazione civile, sez. I, 25 gennaio 2018, n. 1895. 
[143] 
In ordine alla distribuzione del patrimonio, nel piano attestato manca qualsivoglia regola distributiva, poiché “indipendentemente dalla questione, ancora dibattuta, circa la necessità o meno di un accordo con i creditori ai fini della configurazione della fattispecie, nel piano attestato di risanamento non esistono regole che disciplinino il modo in cui il valore, nel senso sopra descritto, debba essere distribuito, e ciò vale sia nei confronti dei creditori c.d. aderenti, sia nei confronti non aderenti”. Così D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, op. cit., p. 1224. 
[144] 
In ordine alle regole di distribuzione, D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, op. cit., p. 1224, conclude ritenendo che “manchino specifiche regole di distribuzione del valore, applicandosi le ordinarie regole di distribuzione del valore operanti per tutti i debitori al di fuori del diritto della crisi e dell’insolvenza”. 
[145] 
In tema di regole distributive negli accordi agevolati, D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, op. cit., p. 1226, ritiene che vi sia una regola “ma di carattere minimale, perché non impone ai creditori vincoli inderogabili su come il valore debba essere distribuito tra essi sul piano “verticale” dei titolari di credito di rango diverso, come invece avviene nel concordato preventivo e nella liquidazione giudiziale, ma introduce solo dei vincoli su come il valore debba essere distribuito sul piano “orizzontale” dei titolari di credito di pari rango ed appartenenti alla medesima categoria; all’interno della categoria, infatti, l’estensione degli effetti dell’accordo ai creditori non aderenti impone, in modo implicito ma indiscutibile, il rispetto della parità di trattamento, nel senso che non possono prevedersi a carico dei non aderenti previsioni difformi rispetto a quelle dell’accordo stipulato dagli aderenti di categoria, fermo restando il requisito dell’assenza di pregiudizio rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale”. 
[146] 
Al creditore ipotecario può essere offerto un pagamento in misura inferiore a quella ricavabile dalla liquidazione, così come un creditore strategico chirografario può essere assegnatario di una percentuale migliore di quella che spetta ad un creditore privilegiato. Così Fabiani, Pagni, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Il Fallimento, n. 8/2022, pp. 1025 ss. 
[147] 
L’art. 64 bis, comma 1, CCII prevede espressamente che, al ricorrere di determinate condizioni, il “valore generato dal piano” possa anche essere distribuito in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. e alle disposizioni che regolano la graduazione delle cause legittime di prelazione. Sul concetto di “valore generato dal piano”, autorevole dottrina ritiene che tale espressione si riferisca solo al plusvalore da ristrutturazione e non anche al valore di liquidazione. Così Nigro, Il ruolo e la portata dell’art. 2740 Cod. Civ., in D. Vattermoli (a cura di) La questione distributiva nel diritto della crisi e dell’insolvenza, Pisa, 2023, p. 22. Tale conclusione evidenzia ulteriormente la rilevanza della stima del valore di liquidazione anche nell’ambito del piano omologato. Su tale concetto si è espresso anche M. Perrino, Relative priority rule e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 12 dicembre 2022, p. 3; l’autore ritiene che tale concetto sembri alludere ad un valore “non presente già nel piano del debitore, al tempo dell’accesso allo strumento di regolazione della crisi, ma scaturente dall’attività programmata in sede di ristrutturazione nell’ambito dello strumento adottato”. 
[148] 
Il valore di liquidazione si configura, quindi, come diritto individuale, mentre il valore eccedente si configura in termini di diritto collettivo, disponibile da parte della classe che vota a maggioranza. 
[149] 
In tema di regole distributive, D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, op. cit., p. 1227, evidenzia in conclusione che “nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione [opera] la minimale regola distribuzione del valore nei rapporti “orizzontali” tra creditori della medesima classe, dovendosi obbligatoriamente rispettare la parità di trattamento tra creditori inclusi nella medesima classe. Una volta selezionata, con la massima libertà, quale porzione del valore attribuire a ciascuna classe, le regole distributive interne alla classe sono rigidamente basate sul criterio di proporzionalità rispetto all’ammontare del credito incluso nella classe medesima e limitate dal rispetto del criterio dell’assenza di pregiudizio”. 
[150] 
Sul punto, come autorevolmente evidenziato da M. Perrino, op. cit., p. 19, espressione dell’indirizzo assunto dal legislatore europeo è l’ampia definizione di “parti interessate” (affected parties) contenuta all’art. 2, par. 1, n. 2 della Direttiva Insolvency, secondo cui si intendono per tali non soltanto “i creditori, compresi, se applicabile ai sensi del diritto nazionale, i lavoratori, o le classi di creditori”, bensì anche, “se applicabile ai sensi del diritto nazionale, i detentori di strumenti di capitale, sui cui rispettivi crediti o interessi incide direttamente il piano di ristrutturazione”. 
[151] 
M. Perrino, op. cit., p. 25. 
[152] 
Il tendenziale disinteresse del legislatore della legge fallimentare (ove si rinvengono soltanto le disposizioni dell’art. 152 sulla ripartizione tra soci ed amministratori della competenza decisionale in merito alla presentazione della domanda di concordato e dell’art. 184, in tema di effetti del concordato sui soci illimitatamente responsabili) ha probabilmente delle motivazioni anche “culturali” da individuare (i) nell’origine storica del concordato preventivo e nella sua originaria funzione di strumento di attuazione della garanzia patrimoniale attraverso lo schema della falcidia concordataria seguita dall’effetto esdebitatorio; (ii) nell’assunto della estraneità del diritto concorsuale rispetto alla struttura e alla forma di governo dell’impresa; (iii) nella tendenza a considerare “irrilevante” il peso e ruolo della compagine sociale là dove l’insolvenza abbia presuntivamente consumato, sino ad azzerarlo, il valore delle partecipazioni. Così G. Scognamiglio, Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa, XIII Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Professori Universitari di Diritto Commerciale “Orizzonti del Diritto Commerciale”, 27-28 maggio 2022. 
[153] 
Il termine “attribuzioni” richiamato dall’art. 120 quater CCII si riferisce alla possibilità dei soci di mantenere un interesse nella società risultante dalla ristrutturazione. Diverso invece è il soddisfacimento di possibili crediti eventualmente spettanti ai soci al di là del rapporto partecipativo in sé (ad es. crediti derivanti da finanziamenti o altri versamenti con obbligo di restituzione effettuati senza alcun nesso con la ristrutturazione); per questi dovrà applicarsi l’ordinaria disciplina del trattamento dei diritti dei creditori. Sul punto, v. M. Spadaro, Il concordato delle società, in Dirittodellacrisi.it, 13 ottobre 2022, pp. 19 e ss. 
[154] 
La nuova disciplina è stata inserita nella sezione del CCII intitolata alla generalità degli strumenti di regolazione, ma collocata con numerazione VI bis all’interno del Capo III (del Titolo IV del Codice) rivolto al solo concordato preventivo, suscitando dubbi sulla sua applicabilità anche ad altri strumenti. Sul tema, T. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, in Ristrutturazioni Aziendali, 11 ottobre 2022, p. 3, il quale alla luce del rinvio al nuovo art. 120 bis, contenuto nell’art. 40, comma 1, CCII (relativamente all’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza), ritiene che “è da ritenere che gli art. 120-bis ss. siano destinati a trovare applicazione solo agli strumenti specificamente contemplati appunto nell’art. 40, vale a dire il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione e il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione”. 
[155] 
La soluzione adottata dal legislatore appare coerente con l’impostazione di quella dottrina che, in passato, subordinava la possibilità di conservare la partecipazione sociale a una sorta di riacquisto a prezzo equo da parte del socio. Così Maffei Alberti, op. cit., p. 893. 
[156] 
È ragionevole ritenere che la norma in questione si applichi soltanto al concordato in continuità diretta, poiché è in tale fattispecie che potrebbe emergere la necessità di mantenere il valore in capo ai soci. Nel concordato in continuità indiretta generalmente (in modo non dissimile da quanto si verificherebbe in un concordato liquidatorio), invece, l’intero valore ricavato dal trasferimento dell’azienda è destinato ai creditori, senza che i soci possano trattenerne una quota. Si veda, tra gli altri, Cecchini, Il valore riservato ai soci nel concordato: una norma in bianco e nero da interpretare in grigio”, in IUS Crisi d’impresa, 21 febbraio 2024; l’autore precisa che “restano fuori dalla portata dell’art. 120-quater il concordato liquidatorio, che non può riservare nulla ai soci e, di fatto, anche quello in continuità indiretta, laddove una proposta che preveda un surplus a loro favore, ad esempio attraverso la ritenzione di cespiti o l’incameramento di fondi rischi non integralmente utilizzati, non reggerebbe il confronto di convenienza rispetto all'ipotesi liquidatoria”. 
[157] 
L’esplicita necessità di un nesso causale tra gli apporti dei soci e la ristrutturazione del debito comporta che possano essere certamente computati sia i conferimenti di capitale previsti dal piano ed effettuati in esecuzione del concordato, sia quelli eseguiti in corso di concordato, successivamente alla presentazione del ricorso ex art. 40 CCII. Più incerta è, invece, la possibilità di dedurre i conferimenti e i versamenti a fondo perduto effettuati prima della domanda di concordato. Sebbene la norma non preveda un criterio temporale per gli apporti dei soci, appare evidente, secondo quanto evidenziato da autorevole dottrina, come i conferimenti e i finanziamenti a fondo perduto effettuati molto tempo prima della presentazione del ricorso ex art. 40 potrebbero avere un debole legame funzionale, o non averlo affatto, con la ristrutturazione in corso. Cfr. Fabiani, Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, in Il Fallimento n. 5/2024. 
[158] 
In questa sede non si intende approfondire la nuova disciplina in commento e il diritto di voto dei soci. Sul tema si rimanda, tra gli altri, ai richiami contenuti nelle note del presente paragrafo. 
[159] 
Quanto esposto al presente paragrafo rileva indipendentemente dal fatto che i soci siano stati, o meno, inseriti in una o più classi ad hoc; tema, quest’ultimo, che non viene affrontato in questa sede. 
[160] 
Molto efficace l’immagine di “risalita del valore riservato ai soci a beneficio delle classi (non dissenzienti) di crediti di rango inferiore a quella opponente e di pari rango” utilizzata da Rossi, I soci nella regolazione della crisi, in Ristrutturazioni Aziendali, 22 settembre 2022, pp. 12 e ss. 
[161] 
Un esempio molto efficace è esposto da M. Perrino, op. cit., p. 29. Per semplicità, si ipotizza che vi siano solo classi di creditori di pari rango, alcune delle quali dissenzienti, e sia prevista una attribuzione di valore ai soci. Ai fini dell’omologazione, applicando la verifica richiesta dall’art. 120 quater CCII, sarà sufficiente che, ristorando ipoteticamente e figurativamente il valore riservato ai soci alle classi consenzienti, il trattamento di ciascuna classe dissenziente resti almeno altrettanto favorevole rispetto alle altre classi. Evidentemente, ciò sarà possibile solo se, nell’attuale proposta del debitore, le classi dissenzienti risultino invece trattate più favorevolmente delle altre (pur se di pari rango) in misura pari almeno al valore – ripartito fra le classi – destinato ai soci; soltanto in questo modo, infatti, facendo per ipotesi risalire detto valore alle consenzienti, potrà ipotizzarsi un trattamento rispetto a queste pur sempre “altrettanto favorevole” delle dissenzienti. Ciò comporterebbe, come opportunamente osservato dall’autore, una precisa e accorta strategia di organizzazione dei consensi, capace di prefigurare l’esistenza di eventuali classi dissenzienti al momento della votazione, al fine di prevedere per queste un trattamento nel piano che li tenga indenni dal sacrificio necessario ad includere i soci nel valore risultante a seguito della ristrutturazione. L’autore si domanda, pertanto, se sia legittimo prevedere nella proposta che siano le classi senior consenzienti a “staccare” dichiaratamente nel piano, da quanto loro astrattamente potrebbe spettare, secondo le regole della RPR unitamente alla regola del best interests of creditors test, il valore necessario da riservare ai soci. 
[162] 
 Trib. Verona, 21 luglio 23 in Dirittodellacrisi.it.
[163] 
Perrino, op. cit., p. 30. 
[164] 
Fabiani, Guiotto, op. cit., p. 6. 
[165] 
Trattasi di un tema di centrale rilevanza, tenuto conto che la sua sovrastima rischia di ostacolare significativamente l’approvazione del concordato preventivo in continuità aziendale diretta. 
[166] 
Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, in Dirittodellacrisi.it, 4 dicembre 2023, pp. 27-28. 
[167] 
A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, in Dirittodellacrisi.it, 13 aprile 2023, p. 7. 
[168] 
Cecchini, op. cit., p. 8. 
[169] 
Ad avviso di Guiotto, op. cit., p. 7, la metodologia di valutazione prescelta deve considerare, tra gli altri, anche un adeguato terminal value, che motivatamente rappresenti la capacità dell’azienda di generare flussi di cassa oltre il termine finale del piano concordatario. 
[170] 
R. Ranalli, Con il Codice della crisi il risanamento è con i creditori e non vi è più spazio per chi li pregiudica, in Dirittodellacrisi.it, 18 luglio 2023, pp. 5-6. L’autore precisa altresì che ai fini della determinazione del valore riservato ai soci occorre considerare anche l’eventuale premio di maggioranza che comporta il riconoscimento alle partecipazioni di controllo di un valore proporzionalmente maggiore. 
[171] 
Trib. Milano, 28 settembre 2023 in Dirittodellacrisi.it.
[172] 
Guiotto, op. cit., pp. 7-8. L’autore evidenzia altresì che, stante la complessità della valutazione e gli elementi di inevitabile soggettività che lo caratterizzano, sarebbe opportuno che tale stima sia affidata a un professionista indipendente, dotato di adeguata competenza e terzietà. Inoltre, considerando che tale stima verrà in rilievo in sede di omologazione e soltanto in caso di dissenso di una o più classi, ritiene che l’attestatore non sia chiamato ad esprimere alcun giudizio in merito. 
[173] 
Un primo argomento è ricavabile dall’art. 84, comma 6, CCII collocato in apertura della Sezione I del Capo III (concordato preventivo) del Titolo IV che potrebbe condurre a ritenere che la proposta concordataria debba essere confezionata nel rispetto del criterio distributivo indicato dalla norma, a prescindere dal voto delle classi. Tale circostanza potrebbe essere rafforzata da quanto previsto all’art. 106, comma 2, CCII che fa riferimento a quanto previsto dagli artt. 84 a 88 CCII in termini di “condizioni prescritte per l’apertura del concordato”. Infine, se si dovesse ritenere che le classi potrebbero accettare qualsiasi distribuzione in relazione al surplus, in quanto la verifica del criterio distributivo non costituirebbe una condizioni di ritualità/ammissibilità, significherebbe che nel concordato preventivo in continuità approvato all’unanimità le classi potrebbero accettare qualsiasi distribuzione: ciò potrebbe creare una sovrapposizione con l’istituto del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, ove la classe può accettare qualsiasi distribuzione, anche in deroga all’ordine di distribuzione del surplus (fermo restando che in caso di opposizione il giudice deve verificare che il credito risulta soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale). Sul punto, tuttavia, v. nota 181. 
[174] 
D’Attorre, Manuale di Diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2022, p. 120. B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 27 febbraio 2023, p. 23. 
[175] 
Con ciò il sistema delineato dal Codice della crisi si distanzia in modo netto da quello della legge fallimentare, dove il rispetto della regola distributiva di cui all’art. 160, comma 2, L. fall. (art. 84, comma 6, CCII) rappresentava una condizione di ammissibilità della proposta concordataria, la cui violazione determinava l’inammissibilità della domanda e che in quanto tale si sottraeva all’operatività del principio di maggioranza. Nel Codice della crisi, invece, se tutte le classi approvano la proposta, le regole distributive non si applicano e l’intero valore, sia quello di liquidazione sia quello eccedente, può essere distribuito liberamente, fermo il diritto di opposizione attribuito a ciascun creditore dissenziente per contestare il pregiudizio ad esso arrecato rispetto alla liquidazione giudiziale. Così, D’attorre, Relative priority rule(s), op. cit., pp. 82-83. Sul punto, Cecchini, op. cit., ritiene che a fronte del consenso unanime di tutte le classi “non ci sono praticamente limiti al valore (eccedente quello di liquidazione) che il debitore in concordato può trattenere per sé anziché distribuirlo ai creditori; non si tratta della stessa anarchia distributiva del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, ma le differenze sono sottili.”. Sul punto, si veda Trib. Larino, 19 marzo 2024 in Dirittodellacrisi.it, ove il giudice statuisce che “è eccentrico allo scrutinio del collegio un giudizio di convenienza economica della proposta di concordato rispetto all’alternativa liquidatoria, (posto che tale valutazione spetta ai creditori, mediante il loro voto) a meno che non sia stata proposta opposizione da parte di un creditore dissenziente ai sensi dell’art. 112, comma, 4 cci. Al di fuori di questa ipotesi, invero, il Tribunale è chiamato solo a verificare se sussistono congiuntamente le quattro condizioni richieste dal secondo comma dell’art. 112. CCII per l’omologazione eteronoma del concordato”. 
[176] 
Art. 14, comma 1. 
[177] 
Il fatto che il tribunale possa procedere alle complesse e costose stime del valore di liquidazione o del valore di continuità solo su richiesta della parte che abbia sollevato le correlate contestazioni di cui sopra, contribuisce a rendere la procedura concordataria più rapida, accessibile ed efficiente. Così, P. Vella, La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale, in Dirittodellacrisi.it, 18 febbraio 2022. 
[178] 
La circostanza per cui la proposta di concordato debba essere confezionata in modo tale da attribuire ai creditori privilegiati almeno il valore di liquidazione della pretesa, ai sensi dell’art. 84, comma 5, CCII, potrebbe rappresentare l’elemento che distingue il PRO dal concordato preventivo in continuità aziendale approvato da tutte le classi. In questo modo potrebbe essere superata l’ultima delle argomentazioni indicate supra alla nota 176. Pertanto, se sia nel PRO sia nel concordato in continuità aziendale approvato all’unanimità, la proposta può essere confezionata anche in deroga al criterio distributivo del surplus consentendo alle classi di accettare qualsiasi distribuzione in relazione a tale valore, nel concordato la proposta deve comunque essere confezionata (pena inammissibilità della stessa ex art. 47 CCII) in modo tale da attribuire ai creditori privilegiati almeno il valore di liquidazione della pretesa, ai sensi dell’art. 84, comma 5, CCII. Pare, infatti, che nel PRO manchi una norma analoga a quella di cui all’art. 84, comma 5, CCII dettata in materia di concordato prevenivo. Ne discende che, interpretando tale norma in termini di condizione di ritualità/ammissibilità della proposta, il ricorrente potrebbe proporre, ricorrendo al PRO, ad un creditore privilegiato, senza incorrere nel rischio di irritualità/inammissibilità, anche una soddisfazione inferiore rispetto a quella realizzabile in caso di liquidazione. Tuttavia, come detto, ciò non sottrae il creditore dalla possibilità di proporre opposizione per far valere la sua pretesa (individuale) sul valore di liquidazione. 
[179] 
Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, Torino, 2023, p. 133. Precisa l’autore che, a conferma di quanto sopra, la classe, esprimendosi (a maggioranza) a favore della proposta concordataria, può accettare anche una distribuzione in deroga al criterio distributivo del surplus, disponendo così del relativo diritto. Pertanto, nel concordato preventivo, il diritto al surplus assume, in netto contrasto con quanto sostenuto prima della riforma del CCII, una dimensione collettiva – e non più individuale – e disponibile attraverso l’espressione del voto. 
[180] 
Perrino, op. cit., pp. 30-31. 
[181] 
Trib. Bologna, 5 dicembre 2023 in Dirittodellacrisi.it
[182] 
D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, op. cit., p. 95. 
[183] 
La parte si definisce imparied quando “A plan may designate a separate class of claims consisting only of every unsecured claim that is less than or reduced to an amount that the court approves as reasonable and necessary for administrative convenience” (§ 1122(b) Chapter 11). In altre parole, si definisce impaired la classe di creditori “would be entitled to outside of the bankruptcy”. Così, GROHSGAL, How Absolute Is the Absolute Priority Rule in Bankruptcy? The Case for Structured Dismissals, in volume 8 William and Mary Business Law Review, 2017, p. 489. 
[184] 
A class of claims has accepted a plan if such plan has been accepted by creditors, other than any entity designated under subsection (e) of this section, that hold at least two-thirds in amount and more than one-half in number of the allowed claims of such class held by creditors, other than any entity designated under subsection (e) of this section, that have accepted or rejected such plan” (§ 1126(c) Chapter 11). 
[185] 
Si tratta del c.d. best interest test, di cui al § 1129(a)(7)(ii) Chpater 11, secondo cui il creditore dissenziente “will receive or retain under the plan on account of such claim or interest property of a value, as of the effective date of the plan, that is not less than the amount that such holder would so receive or retain if the debtor were liquidated under chapter 7 of this title on such date”. 
[186] 
Il rispetto di tali condizioni è definito, nell’ordinamento statunitense, cram down, di cui al § 1129(b) Chpater 11. 
[187] 
È stato osservato che la previsione nel diritto statunitense di una regola di non discriminazione fra classi evidenzia l’arretramento del principio della par condicio. Infatti, la regola di non discriminazione opera unicamente con riferimento alla classe dissenziente. Qualora, invece, la classe abbia votato favorevolmente, è lecito trattare i creditori in essa inseriti in modo diseguale e differenziato rispetto ad altri creditori dello stesso rango riuniti in una classe differente. In questa prospettiva, il principio della par condicio si trasforma da tecnica di tutela individuale a tecnica di tutela collettiva. Per maggiori approfondimenti sul tema della regola di non discriminazione del Chapter 11 si veda Ballerini, Le ricadute di diritto italiano della regola di non discriminazione nella Direttiva Insolvency, in Giurisprudenza Commerciale n. 5-2021, pp. 967 ss. 
[188] 
the plan does not discriminate unfairly” (§ 1129(b)(1) Chpater 11. La regola di non discriminazione trova le sue origini nel diritto statunitense (e, specificatamente, nella norma appena richiamata), e regola i rapporti orizzontali fra le classi. In particolare, tale regola prevede che le classi (dissenzienti) di un certo rango devono ricevere un trattamento almeno “equivalente” a quello delle altre classi dello stesso rango. In altri termini, in presenza di una o più classi di uno stesso rango (es. chirografario), l’autorità giudiziaria non può omologare il piano di ristrutturazione che preveda per esse un trattamento “differente” (più vantaggioso per alcune, meno per altre), a meno che le classi che ricevono un trattamento più vantaggioso acconsentano allo stesso, votando favorevolmente. 
[189] 
Skeel JR, The Empty Idea of “Equality of Creditors”, University of Pennsylvania Carey Law School, 2018, p. 713, ove si legge che “The unfair discrimination requirement has been consistently construed as concerned primarily with the treatment of classes of creditors with the same priority—that is, with horizontal equity, and as reflecting the equality of creditors principle”. 
[190] 
Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, op. cit., p. 115. 
[191] 
Skeel JR, op. cit., p. 711, evidenzia che il criterio in esame “required strict adherence to the absolute priority rule, which requires that higher priority creditors be paid in full before lower priority creditors or shareholders receive any recovery”. 
[192] 
the holder of any claim or interest that is junior to the claims of such class will not receive or retain under the plan on account of such junior claim or interest any property” (§ 1129(b)(2)(C) Chpater 11). 
[193] 
Grohsgal, op. cit., pp. 488 ss. il c.d. cramdown plan rappresenta un piano nel quale una o più classi di creditori impaired hanno votato negativamente, ma almeno una classe di creditori impaired ha votato favorevolmente. Tale plan si differenza dal c.d. consensual plan, ove tutte le classi impaired hanno votato favorevolmente. La principale differenza, per quanto rileva in questa sede, è rappresentata dal fatto che il cramdwon plan può essere confermato dalla court solo se la regola della APR è rispettata con riferimento alle classi dissenzienti. Pertanto, la APR non trova applicazione nel consensual plan o ai creditori dissenzienti appartenenti a una classe che ha votato favorevolmente.
[194] 
Molto pertinente l’esempio portato da Grohsgal, op. cit., p. 491, ove si legge “Consider a cramdown plan in which two classes of unsecured claims are impaired and entitled to vote. One unsecured class has accepted and the other unsecured class has rejected the plan. The plan violates the absolute priority rule because it will pay pennies on the dollar to the holders in each class of unsecured claims and the shareholders in the old company will own the reorganized company. The absolute priority rule applies, but only to the dissenting class because it “is impaired under, and has not accepted, the plan.”. Section 1129(b) does not require compliance with the rule with respect to holders in the accepting class, even if they dissented and voted against the plan”. 
[195] 
Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, op. cit., p. 116. 
[196] 
Lo Sbra non comporta alcuna alterazione con riguardo al trattamento dei creditori assistiti da garanzie reali (secured creditors). Sul punto, Janger, The U.S. Small Business Bankruptcy Amendments: A Global Model for Reform?, Brooklyn Law School, 2020, p. 260, ove si legge che “The cramdown standard for secured creditors is the same as that used under "regular" Chapter 11. The secured creditor is entitled to the "value of its collateral" on the effective date of the plan, but no more. Specifically, the creditor can insist that it be allowed to retain liens, stripped down to the value of the collateral, to secure payments with a present value also equal to the value of the collateral”. 
[197] 
La circostanza per cui il “projected disposable income” sia calcolato al netto del valore necessario per coprire i costi della continuità, come stimati nel plan del debitore, ha indotto parte della dottrina statunitense a ritenere che tale sistema fornisca un incentivo a calcolare i possibili ricavi “at the lowest possible level while maximizing projected expenses, thereby producing an artificially low disposable income to be paid to unsecured creditors”, incentivando così il rischio di comportamenti opportunistici del debitore a danno specialmente dei creditori unsecured. Così, Hall, A Creditor’s Kerfuffle: How the SBRA Harms Cr fuffle: How the SBRA Harms Creditors in Small ors in Small Business Cases, North Caroline Banking Institute, v. 25, 2021, p. 606. 
[198] 
Il § 1191(c)(2) individua l’arco di piano in 3 anni o al massimo 5 anni. 
[199] 
Per meglio comprenderne il funzionamento, si riporta di seguito un esempio tratto da Janger, op. cit., p. 261. “To illustrate how the SBRA approach might work, two examples might be useful, first for sole proprietors, and second for small corporates. 
For individuals, imagine a pizza shop, operated by an entrepreneur and her family. The business is sound, but due to a failed attempt to expand to a second location, the shop has more debt than it can handle. The entrepreneur owns the building but has a mortgage which is undersecured. The pizza ovens and fixtures are also encumbered by the mortgage lender. Trade creditors are current. Under section 1191, the entrepreneur could satisfy the liens on the encumbered assets by paying their current value over time. The deficiency would be addressed by paying the operating profit (‘disposable income’) of the business, minus a reasonable salary for the owner. 
If the pizza shop was incorporated, the analysis would be similar, except the ‘disposable income’ would be calculated by deducting ‘the ... expenditures necessary for the continuation, preservation, or operation of the business of the debtor.’. This too would include a reasonable salary for the debtor. 
In both cases, the debtor’s ‘sweat equity’ would be used to repurchase the business from its creditors”. 
[200] 
V. supra par. 5. 
[201] 
Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, op. cit., p. 121. 
[202] 
Tale meccanismo è denominato Obstruktionsverbot
[203] 
Condizione che pare non dissimile dal “best interest of creditors test” statunitense di cui al precedente paragrafo. 
[204] 
Sul punto, è stato osservato che, poiché in ogni caso ci deve essere il consenso di almeno la metà dei creditori di ciascuna classe e, allo stesso tempo, la somma dei crediti dei soggetti consenzienti deve essere superiore alla metà del passivo (§ 244 InsO), il sistema del Obstruktionsverbot pare molto lontano dal cross class cram down come previsto dalla Direttiva 2019/1023/UE. Così, Rinaldo, Il salvataggio delle imprese in crisi: l’attuazione della Direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza in Germania e in Olanda e prospettive per l’ordinamento italiano, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, n. 6, novembre 2020, pp. 1508 ss. 
[205] 
Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, op. cit., p. 123. 
[206] 
Kokorin, Madaus, Mevorach, Global Competition in Cross-Border Restructuring and Recognition of Centralized Group Solutions, in Texas International Law Journal, 2021, p. 17. 
[207] 
Paulus, European and Europe’s Efforts for Attractivity as a Restructuring Hub, in Texas International Law Journal, 2021, p. 7. 
[208] 
Kokorin, Madaus, Mevorach, op. cit., p. 30. Gli autori evidenziano che “The StaRUG adopts a “relaxed” absolute priority approach that permits deviations from the absolute priority where new value is created by the junior creditor to reorganization (“new value exception”) or where the preservation of debtor’s going concern value requires involvement of a shareholder class”. 
[209] 
Il legislatore precisa che l’eccezione non è appropriata se la classe che beneficia della esenzione dalla APR spetta più della metà dei diritti di voto dei creditori della classe interessata. 
[210] 
È stato osservato che lo scopo di questa regola, come anche quello di altre numerose disposizioni dello StaRUG, è quello di rafforzare l'opportunità di perseguire una ristrutturazione meramente finanziaria. A tal fine, infatti, potrebbe essere necessario modificare gli obblighi finanziari rispetto agli obblighi originariamente assunti dal debitore. Così, Pogoda, Thole, The new German Stabilisation and Restructuring Framework for Businesses, in European Insolvency and Restructuring Journal, 2021. 
[211] 
Kokorin, Madaus, Mevorach, op. cit., p. 30. 
[212] 
Precisa il legislatore che la partecipazione del debitore o del socio può basarsi solo su circostanze legate alla persona del debitore o del socio. Inoltre, la classe che beneficia della esenzione dalla APR deve impegnarsi a partecipare come richiesto e al trasferimento dei new value exception nel caso in cui la sua partecipazione termini per motivi imputabili a lui prima della scadenza di cinque anni o di un termine più breve previsto per l’esecuzione del piano. 
[213] 
Sul punto v. Paulus, op. cit., p. 12, il quale precisa che “If this majority is reached in each class, the plan is accepted upon the said court confirmation; in any other case, acceptance can still be achieved by means of a cross-class cram-down. Three requirements are needed: firstly, the members of the particular class are presumably in no worse condition by the plan than without any plan at all; secondly, the members of that particular class receive an adequate portion of the value which is supposed to be given to all affected creditors of the plan (the so-called plan value); and thirdly, a numeric majority of classes has voted in favor of the plan (when there are just two classes, it suffices that one class has given its consent)”. 
[214] 
Kokorin, Madaus, Mevorach, op. cit., p. 16. 
[215] 
The court may refuse to confirm the plan, at the request of one or more creditors or shareholders who rejected the plan or who were wrongly excluded from the vote, if there is prima facie evidence that these creditors or shareholders will be worse off under the plan than they would have been in a liquidation of the debtor’s assets in bankruptcy” (art. 384, comma 3). 
[216] 
Paulus, op. cit., p. 9. 
[217] 
L’art. 384, comma 4, lett. b) impedisce al tribunale di procedere con l’omologa del piano di ristrutturazione se “the distribution of the value realised with the plan deviates to the disadvantage of the class that did not accept the plan from the ranking that applies upon enforcement against the debtor’s assets under Book 3, Title 10 of the Dutch Civil Code, any other law or instrument based upon it or under a contractual arrangement, unless there are reasonable grounds for such deviation and the interests of the said creditors or shareholders are not prejudiced by it”. Una ulteriore condizione che impedirebbe l’omologa è rappresentata dal soddisfacimento nella misura di almeno il 20% nei confronti di piccoli fornitori (SMEs), come definiti dal legislatore olandese. 
[218] 
Volberda, Crises, Creditors and Cramdowns: An evaluation of the protection of minority creditors under the WHOA in light of Directive (EU) 2019/1023, in Utrecht Law Review, 2021, p. 72. 
[219] 
Volberda, op. cit., p. 72 con richiamo a Mennens, Sophie Moulen Janssen De positie van aandeelhouders bij preventieve herstructureringen, Wolters Kluwer 2020. 
[220] 
Ehmke, Gant, Boon, J.M.G.J., Langkjaer, Ghio, The European Union preventive restructuring framework: A hole in one?, in International Insolvency Review, gennaio 2019, p. 7. 
[221] 
Per una disamina della procedura e un raffronto con la composizione negoziata, si veda M. H. Rosano, A. Turchi, La prevenzione della crisi d’impresa nel sistema francese: la Procedure de Suavaguarde Acceleree (PSA), in Dirittodellacrisi.it, 10 maggio 2024. 
[222] 
Art. L. 620-1 ss, C. com. 
[223] 
Art. L. 631-1 ss, C. com. 
[224] 
Cfr. Mastrullo, Between modernity and prudence: the transposition into French law of Directive (EU) 2019/1023 of 20 June 2019 on restructuring and insolvency, in European Insolvency and Restructuring Journal Academic Article, 2022-4, p. 13. 
[225] 
Art. 626-31 C. com. “Lorsque le projet de plan a été adopté par chacune des classes conformément aux dispositions de l'article L. 626-30-2, le tribunal statue sur celui-ci selon les modalités prévues à la section 2 du présent chapitre et vérifie que les conditions suivantes sont réunies : Lorsque des parties affectées ont voté contre le projet de plan, aucune de ces parties affectées ne se trouve dans une situation moins favorable, du fait du plan, que celle qu'elle connaîtrait s'il était fait application soit de l'ordre de priorité pour la répartition des actifs en liquidation judiciaire ou du prix de cession de l'entreprise en application de l'article L. 642-1, soit d'une meilleure solution alternative si le plan n'était pas validé”. Tale disposizione è stata interpretata da Mastrullo, op. cit., p. 16, nel senso che il tribunale deve, tra gli altri, verificare che “where affected parties have voted against the draft plan, none of these parties is in a less favourable position, as a result of the plan, than they would be if either the order of priority for the distribution of assets or the sale price of the business in liquidation judiciaire were applied, or a better alternative solution were applied if the plan were not confirmed”. 
[226] 
Cfr. Damman, Gerrer, The transposition of the EU directive on early corporate restructuring and second chance into french law, in Revista General de Insolvencias & Reestructuraciones, n. 5/2022, p. 396. Concludono gli autori precisando che ““no creditor’s worse off” maxim only protects the individual rights of dissenting affected parties”. 
[227] 
Non è questa la sede per entrare nella questione circa il riferimento alla locuzione “in mancanza”, che, all’interno del contesto nazionale italiano, pare essere risolta dal recente decreto correttivo. Ad avviso di Damman, Gerrer, op. cit., p. 397 il riferimento è alla mancanza del raggiungimento della maggioranza. 
[228] 
 Sul punto, si riporta una chiara traduzione in inglese di Mastrullo, op. cit., p. 17, il quale precisa che “cross-class cram-down is only possible if the claims of affected creditors of a class that voted against the plan are satisfied in full by the same or equivalent means when a more junior class is entitled to a payment or retains an interest under the plan”. 
[229] 
Come osservato, la APR nell’ordinamento francese trova applicazione solo con riferimento alle parti interessate, ossia alle parti con le quali il debitore ha deciso di condurre le trattative nell’ambito del piano di ristrutturazione. Ne discende che, la deroga alla APR è possibile senza alcuna condizione nei confronti delle parti che sono al di fuori degli obiettivi del piano di ristrutturazione. Così, Damman, Gerrer, op. cit., p. 398. 
[230] 
Art. 626-32, II, C. com. “Sur demande du débiteur ou de l'administrateur judiciaire avec l'accord du débiteur, le tribunal peut décider de déroger au 3° du I, lorsque ces dérogations sont nécessaires afin d'atteindre les objectifs du plan et si le plan ne porte pas une atteinte excessive aux droits ou intérêts de parties affectées. Les créances des fournisseurs de biens ou de services du débiteur, les détenteurs de capital et les créances nées de la responsabilité délictuelle du débiteur, notamment, peuvent bénéficier d'un traitement particulier”. 
[231] 
Debeine, Rosier, La règle de prioritè asolue, in Revue Des Procèdures Collectives, n. 6, 2021, p. 12richiamato da Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, op. cit., p. 267. 
[232] 
In particolare, il riferimento è a “claims of suppliers of goods or services and claims arising from the debtor’s tortious liability, as well as equity holders”. Cfr. Mastrullo, op. cit., p. 17. 
[233] 
Debeine, Rosier, op. cit., p. 13. 
[234] 
Cfr. Mastrullo, op. cit., p. 17. 
[235] 
Mastrullo, op. cit., p. 18. 
[236] 
V. supra nota 94. 
[237] 
De Cesari, Al via in Spagna la nuova “reforma concursal”, in Il Fallimento, 2/2023, pp. 171 ss. 
[238] 
La moratorium produce due principali effetti: (i) lo stay, ossia il blocco delle azioni esecutive da parte dei creditori e (ii) la sospensione dei procedimenti per l’apertura della insolvenza. Durante il periodo di moratorium, il debitore mantiene la gestione dell’impresa e soltanto in taluni casi il legislatore richiede la nomina di un esperto di ristrutturazioni. Per beneficiare della moratorium il debitore dovrebbe trovarsi in una situazione di “likerly, imminent or current insolvency”. Tuttavia, non è previsto alcun controllo in sede di accesso alla procedura e, pertanto, gli effetti di cui sopra si producono automaticamente. La durata della moratorium è di tre mesi, prorogabili di ulteriori tre mesi in presenza del consenso della maggioranza dei creditori e se risulta necessaria per il buon esito delle negoziazioni. 
[239] 
Garcimartin, The Spanish Approach to Corporate Restructuring: A “Pre-packaged Chapter 11”, in European Insolvency and Restructuring Journal, 6/2022, p. 2. 
[240] 
Sebbene il controllo della correttezza della formazione delle classi avvenga in sede di omologazione, il legislatore spagnolo ha previsto che le parti interessate rappresentative di almeno il 50% delle passività oggetto di negoziazione all’interno del piano di ristrutturazione, possono chiedere al tribunale la conferma della correttezza delle classi prima di giungere alla omologa. 
[241] 
In Spagna il legislatore non ha regolamentato le procedure di votazione; conseguentemente, nella pratica la votazione viene organizzata e gestita direttamente dal consiglio di amministrazione del debitore unitamente ai creditori più rilevanti, costituiti spontaneamente in una sorta di committee
[242] 
Art. 654, comma 7, Ley Concorsual: “Que el plan no supere la prueba del interés superior de los acreedores. Se considerará que el plan no supera esta prueba cuando sus créditos se vean perjudicados por el plan de reestructuración en comparación con su situación en caso de liquidación concursal de los bienes del deudor, individualmente o como unidad productiva. A los efectos de comprobar la satisfacción de esta prueba, se comparará el valor de lo que reciban conforme al plan de reestructuración con el valor de lo que pueda razonablemente presumirse que hubiesen recibido en caso de liquidación concursal. Para calcular este último valor, se considerará que el pago de la cuota de liquidación tiene lugar a los dos años de la formalización del plan”. 
[243] 
Garcimartin, op. cit., p. 11. 
[244] 
V. supra nota 230. Ad avviso di Garcimartin, op. cit., p. 11, la locuzione “in mancanza” si riferisce alla maggioranza delle classi. 
[245] 
Come definite dall’art. 682 Ley Concorsual: (i) numero medio dei lavoratori occupati nell'anno precedente non superiore alle quarantanove unità e (ii) il fatturato annuo non superiore ai dieci milioni di euro. 
[246] 
Paterson, Judicial discretion in part 26A restructuring plan procedures, p 4. L’autore evidenzia che sia l’identificazione della alternativa rilevante sia la determinazione di quanto potrebbe ricevere la classe dissenziente in tale scenario, rappresentano compiti estremamente complessi. L’autore cita due casi: (i) Hurracane Energy, dove l’alternativa rilevante è stata identificata nella continuazione dell’attività per almeno un anno (“relevant alternative involved continuation of trading for at least a year”) e (ii) Virgin Active, ove la alternativa rilevante è stata identificata nella vendita dell’azienda e dei suoi beni da parte di un curatore (“a sale of the business and assets by an administrator in which unsecured creditors could anticipate only a slim distribution”). 
[247] 
Par. 15 “As is the case with Part 26 schemes, the court will always have absolute discretion over whether to sanction a restructuring plan. For example, even if the conditions of cross-class cram down are met, the court may refuse to sanction a restructuring plan on the basis it is not just and equitable”. Par. 202 ““Drawing on well-established principles in schemes of arrangement, the court has absolute discretion over whether to refuse to sanction a plan even though the necessary procedural requirements have been met. This may be, for example, because a plan is not just and equitable”. 
[248] 
Art. 901G(2): “If conditions A and B are met, the fact that the dissenting class has not agreed the compromise or arrangement does not prevent the court from sanctioning it under section 901F”. 
[249] 
Paterson, op. cit., p. 11. 
[250] 
Mokal, The court’s discretion in relation to the Pt 26A cram down, in Journal of International Banking and Financial Law, 2021, p. 12. 
[251] 
Mokal, op. cit., p. 15 riporta il seguente esempio. Si ipotizzi che una classe privilegiata (mezzanine) dissenziente riceverebbe 40 pence on the pound nel “relevant alternative”, mentre ai creditori di classe inferiore (junior) il debitore propone 20 pence on the pound. Questo rapporto 2:1, secondo l’autore, “provides a default approximation of the relative contribution to the restructuring surplus made by members of the two classes, since it is this proportion of value – and not the face value of the parties’ entitlements – which the parties would actually receive in the relevant alternative and from which the plan instead proposes to permit the debtor to continue to benefit. … Accordingly, this relative priority – rather than the APR – provides a more rational default basis for the just and equitable distribution of the restructuring surplus”. 
[252] 
Per le principali tematiche affrontate nei casi, in nota è indicato il riferimento al paragrafo del presente scritto che analizza tale aspetto. 
[253] 
La documentazione è stata fornita, previa sottoscrizione di un accordo di riservatezza, dagli avvocati Matteo Creazzo e Giovanni Trolese. 
[254] 
V. supra par. 8.1. 
[255] 
V. supra par. 2. 
[256] 
Il perito delle partecipazioni ha ritenuto che le attività delle società partecipate risultino direttamente collegata all’attività della società controllante, che, se in default, non riuscirà a far fronte al pagamento dei crediti vantati dalle società partecipate verso la controllante. In considerazione dello scenario di default della controllante, che si vedrebbe essere impossibilitata a far fronte alle obbligazioni verso le controllate, il perito ha ritenuto di adottare lo scenario per cui i crediti verso la controllante potranno essere corrisposti al soggetto controllato solo fino alla compensazione dei debiti verso la stessa, tale assunzione è stata poi riportata nelle valutazioni sottostanti. 
[257] 
Nella perizia delle partecipazioni si evince che, in sede di valutazione, nell’ottica di prevedere la possibilità del conseguimento di un ritorno dell’investimento inferiore a quello sperato in considerazione dell’ottica liquidatoria, il perito ha ritenuto corretto defalcare il valore ottenuto di un 10%. Ciò in quanto, ad avviso del perito, la logica della liquidazione impone che la partecipazione sia valutata al suo valore di realizzo per stralcio, secondo un’ottica maggiormente orientata alla prudenza valutativa, per evitare inopportune sopravvalutazioni di valori in sede di soddisfacimento dei creditori. 
[258] 
V. supra par. 1 e nota 9. 
[259] 
V. supra par. 8.2. 
[260] 
V. supra par. 11.3. 
[261] 
La ricorrente ha ritenuto di non adoperare la PFN in quanto si tratta di una società in concordato preventivo, il cui debito complessivo è rappresentato appunto dal fabbisogno concordatario e sottoposto all’alea della risoluzione in caso di mancato adempimento. 
[262] 
Ai fini dell’attualizzazione dei flussi reddituali è stato utilizzato il modello del CAPM. 
[263] 
V. supra par. 9.2. 
[264] 
La documentazione è stata fornita, previa sottoscrizione di un accordo di riservatezza, dal commissario giudiziale Dott. Marco Buongiorno. 
[265] 
V. supra par. 8.1. 
[266] 
V. supra par. 1 e nota 9. 
[267] 
V. supra par. 8.2. 
[268] 
La documentazione è stata fornita, previa sottoscrizione di un accordo di riservatezza, dagli avvocati. Salvatore De Vitis e Valentina Renna. 
[269] 
V. supra par. 6. 
[270] 
V. supra par. 8.1. 
[271] 
Si precisa che nel ricorso ex art. 40 CCII, il debitore aveva previsto che i canoni di affitto versati dall’affittuaria alla procedura dovessero essere detratti dal prezzo di cessione; tuttavia, a seguito delle richieste avanzate dal tribunale, nella proposta definitiva Coret si è impegnata a non detrarre dal prezzo di acquisto i canoni di affitto d’azienda medio tempore versati. 
[272] 
V. supra par. 5. 
[273] 
Nella relazione ex art. 84, comma 5, CCII non pare che tale valore sia stato considerato ai fini della stima del valore minimo da riconoscere ai creditori privilegiati. 
[274] 
V. supra par. 7. 
[275] 
La documentazione è stata fornita, previa sottoscrizione di un accordo di riservatezza, dall’avvocato Marco Scicolone.  
[276] 
V. supra par. 8.1. 
[277] 
V. supra par. 6. 
[278] 
V. supra par. 8.1. 
[279] 
V. supra par. 9.2. 
[280] 
V. supra par. 8.2. 
[281] 
La documentazione è stata fornita, previa sottoscrizione di un accordo di riservatezza, dall’avvocato Marco Scicolone.  
[282] 
V. supra par. 8.1. 
[283] 
V. supra par. 1 e nota 9. 
[284] 
V. supra par. 9.2. 
[285] 
V. supra par. 8.2. 
[286] 
La documentazione è stata fornita, previa sottoscrizione di un accordo di riservatezza, dall’avvocato Massimo Zappalà.  
[287] 
V. supra Trib. di Treviso del 3 ottobre 2023. 
[288] 
V. supra par. 6. 
[289] 
In particolare, il perito fa riferimento: 
o alla specifica natura del bene: quanto più specifico e particolare è il bene, tanto più alto sarà il deprezzamento da considerare e tanto più marcata sarà la probabilità che il ricavato in caso di liquidazione sia più basso del valore di mercato; 
o alla tipologia ed ampiezza della richiesta del mercato per beni similari, 
o alla possibilità di reimpiego/riutilizzo in altri ambiti, 
o ai costi relativi a smontaggio-rimontaggio, certificazioni, manutenzioni e affini, 
o all’eventuale vendita con i rischi impliciti nella condizione del “visto e piaciuto”. 
o alla particolare condizione di chi vende: quanto più “libero di contrarre” sarà il debitore tanto più basso sarà il coefficiente di deprezzamento da definire e tanto più limitata sarà la probabilità che il ricavato in caso di liquidazione sia più basso del valore di mercato. 
[290] 
Tenuto conto che gli impianti e attrezzature che esprimono le immobilizzazioni tecniche “mobili” costituiscono dei sistemi produttivi integrati e che la loro funzionalità è in ragione di principi di definizione di layout operativi e di organizzazione dei processi produttivi. 
[291] 
Più segnatamente, sono stati: 
o più che dimezzati i valori del portafoglio marchi, con una erosione pari al 54% rispetto al concordato; 
o compressi i valori dei beni mobili di uno dei rami aziendali nella misura del 45%; 
o falcidiati i valori delle rimanenze. 
[292] 
La documentazione è stata fornita, previa sottoscrizione di un accordo di riservatezza, dal Prov. Avv. Valerio Di Gravio e dall’avvocato Filippo De Luca.   
[293] 
V. supra par. 8.1. 
[294] 
V. supra par. 4-5. 
[295] 
La documentazione è stata fornita dal Prof. Massimo Fabiani.
[296] 
Si precisa che nell’ambito della relazione attestativa ex art. 87, comma 3, CCII il professionista indipendente in sede di espressione del giudizio di convenienza della proposta concordataria rispetto alla alternativa della liquidazione giudiziale, effettua una comparazione tra l’ipotesi di continuità aziendale alla base del piano e lo scenario alternativo di liquidazione, utilizzando come riferimento quanto risultante dalla relazione ex art. 84, comma 5, CCII redatta da altro professionista. 
[297] 
V. supra par. 8.1. 
[298] 
Nella stima dei flussi di cassa il perito ha altresì tenuto opportunamente conto di un determinato additional company risk al fine di tenere conto della particolare situazione che caratterizza Cimolai. V. supra par. 8.1, in tema di stima dell’haircut in caso di valutazione di aziende in crisi. 
[299] 
V. supra par. 2.1. 
[300] 
Al fine di rafforzare quanto indicato dal commissario giudiziale, lo stesso richiama le indicazioni contenute nella Direttiva Insolvency (art. 2, comma 1, n. 6), nonché della previsione di cui all’art. 214, comma 1, CCII. 
[301] 
Nella seconda integrazione alla relazione attestativa ex art. 87, comma 3, CCII, l’attestatore rileva che il perito ex art. 84, comma 5, CCII ha individuato, sulla base di determinati criteri, un ramo d’azienda potenzialmente in grado di operare in esercizio provvisorio e di garantire la prosecuzione di almeno parte delle attuali commesse di Cimolai; ciò naturalmente nell’ottica della sua successiva dismissione in favore di terzi. Il perito nella propria relazione ex art. 84, comma 5, CCII è addivenuto alla stima del valore realizzabile di detto ramo aziendale prendendo in esame i flussi finanziari derivanti dalle commesse, selezionate sulla base di precisi criteri e tenuto conto di talune precisazioni (es. eventuali penali conseguenti a ritardi nel completamento delle commesse), e mediante l’applicazione del metodo di stima basato sul c.d. “Discounted Cash Flow” (DCF). 
[302] 
V. supra par. 8.2. 
[303] 
Il professionista incaricato, al fine di determinare non già un astratto e teorico valore dei beni (dei soggetti indicati come responsabili del danno arrecato alla società) espropriabili, bensì un concreto valore di liquidazione realisticamente ipotizzabile in uno scenario fallimentare, ove  è elevata la disponibilità transattiva della procedura, parametrata tanto sul rischio di soccombenza, quanto sulle concrete difficoltà prevedibili nell’attuare eventuali titoli esecutivi, ha ritenuto opportuno apportare ai valori del patrimonio immobiliare delle percentuali di abbattimento che tengano conto non solo del livello di aleatorietà del relativo giudizio di responsabilità, ma anche delle difficoltà di sottoporre ad esecuzione i beni detenuti dai corresponsabili, in conseguenza, a titolo esemplificativo, dell’accertamento di asset in contitolarità indivisa, di fondi patrimoniali “consolidati” e di diritti reali parziari. 
[304] 
V. supra par. 11.3. 

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