La possibilità che ormai hanno tutte le categorie di imprenditori di individuare una soluzione normativa alla crisi o all’insolvenza attraverso diversi percorsi e strumenti di risanamento consente di raccogliere numerosi spunti di approfondimento e di riflessione, anche in chiave comparatistica con altri ordinamenti all’interno dell’Unione Europea. La progressiva attenzione del diritto nazionale per tali strumenti prende le mosse da una innegabile tendenza del legislatore italiano a tentare operazioni di mutuazione e adattamento di istituti già noti e collaudati da tempo in altri ordinamenti. Nel diritto francese, ad esempio, già dal 1985 sono stati introdotti strumenti negoziali a scopo preventivo, volti già noti nel sistema di “civil law” [1].
Il presente scritto si propone di analizzare l’esperienza della Francia per diversi motivi, di seguito introduttivamente esposti.
In primo luogo, la Direttiva (UE) 2019/1023 (nota come Direttiva Insolvency), che si è posta l’obiettivo di armonizzare le legislazioni e procedure nazionali in materia di ristrutturazione preventiva nell’ambito dell’Unione Europea, ha preso spunto proprio dalla più risalente procedura francese e questa rappresenta la chiave che permette di valutare in maniera completa il tentativo italiano di dare risposta alle direttive comunitarie per il tramite dell’esperienza maturata oltralpe.
In secondo luogo, perché in Francia, come in Italia, il tessuto imprenditoriale è costituito per la maggior parte da imprese medio-piccole, le quali con difficoltà accedono a soluzioni tempestive della crisi e in maniera frequente cadono nella morsa della liquidazione giudiziale [2].
In terzo luogo, perché l’approccio francese alla crisi di impresa smarca con particolare veemenza l’imprenditore - persona fisica - dal marchio infamante del fallimento [3].
Il sistema architettonico di prevenzione della crisi in Francia avviene attraverso una procedimentazione rigorosa caratterizzata dalla prévention (l’obiettivo) e dalla détection (lo strumento per conseguire l’obiettivo), da cui emerge la chiave di superamento della crisi in un momento precedente a quello esiziale dell’insolvenza. Nel crocevia (“carrefour”) d’interessi - ove si urtano gli interessi dell’impresa, dei soci, dei creditori, dei dipendenti, sociali, nazionali o regionali, etc [4] - si viene a valorizzare la via dell’autonomia contrattuale, quella che si avvale di negoziazioni, trattative, accordi di transazione, protocolli di accordo singoli o collettivi [5], dove per negoziazione si intende il “processo di discussione” governato da una nuova figura, il Conciliatore. Quest’ultimo (un maestro d’orchestra) coordina il debitore in difficoltà e i suoi creditori (i suoi musicisti), allo scopo di raggiungere un accordo diretto a porre rimedio alle difficoltà dell’impresa interessata. Il successo della conciliazione si fonda sul dialogo, sull’onestà e trasparenza del debitore ossia sui principi di fiducia, lealtà e buona fede che sono al centro del cosiddetto “movimento di contrattualizzazione del diritto” e tracciano la via maestra per il raggiungimento di un accordo contrattuale “su misura” tra un debitore e tutti o parte dei suoi creditori per far fronte alle difficoltà che incontra [6]. I creditori, infatti, ricercano la trasparenza e la veridicità delle informazioni al fine di forgiare la propria opinione sull’impresa e sulle sue sorti future, nonché sulle concrete prospettive di risanamento e sulla conseguente possibilità di vedere soddisfatte le proprie ragioni di credito.
Il successo si fonda altresì sull’esperienza e conoscenza da parte del Conciliatore del diritto, delle imprese e del mercato, ma anche e soprattutto sulle proprie capacità di costruire la fiducia tra gli interlocutori in modo da tessere congiuntamente la trama dell’accordo: occorre la capacità di mantenere la riservatezza, un grande senso della conciliazione, l’abilità nell’ascoltare e comprendere le soluzioni proposte dalle parti in gioco [7].
Il principio di correttezza, buona fede e riservatezza[8] è stato espressamente previsto anche dal legislatore del Codice della crisi[9]. Più specificatamente, il primo comma dell’art. 4 CCII, come modificato dal c.d. decreto Insolvency, prevede che nella composizione negoziata, nel corso delle trattative e dei procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, «debitore e creditori devono comportarsi secondo buona fede e correttezza». Viene così sancito, da uno degli articoli di apertura del nuovo corpus normativo della crisi d’impresa, il dovere delle parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza. Come precisato nella Relazione Illustrativa al d. lgs. n. 83/2022 e in risposta alle indicazioni pervenute dal Consiglio di Stato, il legislatore ha precisato che gli obblighi di correttezza e buona fede operano sia nella negoziazione in cui consiste la composizione negoziata sia nelle trattative che preludono all’utilizzo di altri strumenti di gestione della crisi e dell’insolvenza sia, infine, nell’ambito delle procedure e dei procedimenti prescelti. Quanto agli specifici doveri, da un lato, il debitore è tenuto ad assicurare la completezza e veridicità della propria situazione di difficoltà per la quale ritiene necessario ricorrere ad uno strumento di risanamento messo a disposizione dal legislatore, di adottare tempestivamente le iniziative idonee per superare tale situazione, nonché di gestire il patrimonio nell’interesse prioritario dei creditori. Dall’altro lato, il legislatore pone in capo ai creditori interessati dal percorso di risanamento il dovere di collaborazione leale con l’imprenditore in crisi e con gli organi di giustizia, nonché l’obbligo di riservatezza sulla delicata situazione in cui verte il debitore. Dunque, tutte le parti coinvolte, dall’imprenditore, all’esperto, ai creditori, fino alle altre parti interessate, sono tenute a non divulgare le notizie sull’impresa apprese nel corso delle trattative e a collaborare per assicurarne il regolare svolgimento. Si tratta di un dovere che non si traduce in un obbligo di accettare acriticamente ogni proposta di soluzione eventualmente prospettata dall’esperto nella composizione negoziata o dal debitore, ma che impone un dovere di serena valutazione, di motivazione e di tempestiva comunicazione delle scelte assunte[10].
Correttezza, buona fede e riservatezza rappresentano quindi i principi cardine nella gestione e risoluzione della crisi d’impresa anche nel contesto nazionale: il legislatore ha inteso offrire alle parti coinvolte nel risanamento la possibilità di individuare liberamente possibili soluzioni alla crisi d’impresa, senza il timore che eventuali aperture siano strumentalizzate dalle controparti e compromettano il buon esito delle trattative. Tra l’altro, nella Relazione Illustrativa al D.Lgs. n. 83/2022, il legislatore precisa che nella composizione negoziata l’osservanza dei doveri di riservatezza e di collaborazione, soprattutto da parte di alcuni creditori o di parti interessate, è particolarmente importante per il buon esito delle trattative e, quindi, per il perseguimento del risanamento aziendale.
Il legislatore nazionale, coerentemente con quello francese, evidenzia la centralità della partecipazione attiva dei creditori al percorso di risanamento avviato dall’imprenditore[11]. In particolare, il legislatore interno dispone, in via generale, il dovere dei creditori di collaborare lealmente con il debitore, con l’esperto nella composizione negoziata e con gli organi nominati dall’autorità giudiziaria e amministrativa. Inoltre, il legislatore interno, nell’ultimo periodo del quarto sesto comma dell’art. 16 del Codice, dispone espressamente il dovere delle parti interessate alle trattative di dare riscontro alle proposte e alle richieste che ricevono durante le trattative «con risposta tempestiva e motivata». Tale disposizione, come si evince dalla Relazione Illustrativa al D.L. n. 118/2021, è stata introdotta al fine di evitare situazioni di stallo delle trattative e quindi del percorso di risanamento avviato con la composizione negoziata.
In considerazione di quanto sopra, è ragionevole ritenere che il legislatore interno si attende un debitore estremamente collaborativo e disponibile, sempre recettivo, reattivo e trasparente alle richieste dell’esperto, dei creditori e degli altri soggetti coinvolti nelle trattative, mentre in relazione alla condotta dei creditori, il legislatore intende contrastare le strategie attendiste sovente poste in essere da alcuni di essi, attribuendo loro specifici doveri di collaborazione leale e di partecipazione attiva.
Si assiste dunque, tanto nel contesto nazionale quanto in quello francese, a una profonda modifica, quasi ad un ribaltamento, del metodo con cui si affronta la crisi dell’impresa: da un diritto imperativo, segnato dall’unilateralità dell’autorità, a un diritto di ispirazione pragmatica anglo-sassone e nordamericana della “nuova ripartenza”, la quale riconosce maggiore libertà e pieno coinvolgimento al debitore e ai suoi creditori. Questi ultimi, infatti, nelle procedure di sauvaguarde, partecipano attivamente nella redazione del piano di ristrutturazione e, in ogni caso, di verifica dei suoi contenuti - attribuendo loro un potere tanto nell’iniziativa quanto nello svolgimento dell’intera procedura - e di discussione pro-attiva con il debitore sotto la direzione e l’intervento del Conciliatore.
La partecipazione attiva dei creditori ha anche la funzione successiva di imporre, nel caso delle procedure collettive, i risultati della negoziazione ai creditori refrattari, embricando in questo caso procedura negoziale e giudiziale in una procedura ibrida di cui la negoziazione costituisce una fase imprescindibile. Il debitore è “l’artigiano della propria ristrutturazione” ma anche “il commerciante-negoziatore” con i propri creditori, la cui partecipazione resta volontaria: al tavolo delle trattative possono sedersi anche soltanto i creditori “strategici” o quelli “abituali” e gli accordi vengono presi liberamente tanto nella forma, quanto nei contenuti [12]. Le soluzioni negoziate sono più agevolmente comprese e accettate dalle parti perché sono condivise e non imposte: esse hanno un effetto “responsabilizzante” sul debitore e “mobilizzatore” sui creditori in quanto sono responsabili del loro ruolo attivo oppure del loro disinteressamento [13]. Come all’interno di un alveare, ciascun creditore è mosso da un interesse individuale ma al contempo, indirettamente, anche dal fine di costruire un alveare che costituisce il bene collettivo della comunità di api: una sorta di “armonia naturale di interessi divergenti”. La negoziazione rappresenta il perno di questo processo.
Un elemento, inoltre, di grande rilevanza adottato con la Legge del 26 luglio 2005 è quello della confidenzialità: si è provveduto ad eliminare la previsione della possibilità del Presidente del Tribunale di pronunziare la sospensione provvisoria delle azioni legali da parte dei creditori al fine di preservare la riservatezza delle trattative in corso. Non solo: la Legge n° 2016-1547 ha espressamente permesso al debitore di non informare dell’apertura della procedura del Mandat ad hoc il comitato aziendale o i delegati del personale. Ancora: l’ordinanza che constata il raggiungimento dell’accordo non segue alcuna formalità, diversamente dall’omologazione degli accordi di ristrutturazione che prevedono la pubblicazione sul Bollettino ufficiale degli annunci civili e commerciali (BODACC), su un giornale di annunci legali, nonché presso la Cancelleria del Tribunale. La riuscita della negoziazione è senz’altro condizionata al rispetto del principio di riservatezza anche al fine di evitare azioni individuali dei creditori che potrebbero ulteriormente aggravare le difficoltà dell’impresa. La riservatezza resta, dunque, alla base della negoziazione e ne rafforza le probabilità di successo.
Il sistema normativo francese consente, infine, una puntuale e tempestiva individuazione delle difficoltà finanziarie delle imprese attraverso la messa a punto di sistemi di rilevazione di segnali di criticità cosiddette procédures d’alerte, attraverso cui soggetti sia interni che esterni all’impresa in difficoltà vengono investiti del potere di segnalare agli organismi apicali dell’azienda le difficoltà e i pericoli per la sua sopravvivenza [14]. La scelta di individuare due classi di soggetti legittimati è presente tanto in Francia, come anche in Italia. Se l’allerta interna viene genericamente attivata da soggetti coinvolti direttamente nella gestione della procedura, le forme dell’allerta esterna sono in Francia tipizzate in due ipotesi: la prima connessa alla partecipazione dell’impresa a un groupement de prévention agréé, la seconda coincidente con l’attivazione della procedura da parte del Presidente del Tribunal de Commerce, il quale ha il potere di convocare innanzi a sé gli amministratori dell’impresa in crisi: pur essendo “il recinto della crisi” incentrato sulla libertà di scelte dell’imprenditore, esso risulta “piantonato” da un Giudice sin dalla prima fase [15]. Il cambio di mentalità risiede nel considerare gli organi di giustizia, in primis il Giudice, non soggetti repressivi e stigmatizzanti, ma ai quali il debitore può accordare la sua fiducia.
Anche nel contesto italiano, come noto, il legislatore ha posto massima attenzione alla tempestiva rilevazione della crisi d’impresa, in particolare, con l’introduzione del secondo comma dell’art. 2086 c.c. e dell’art. 3 CCII. Infatti, l'art. 375 CCII, modificando il secondo comma dell'art. 2086 c.c., dispone che "l'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale". A rimarcare l'importanza degli adeguati assetti organizzativi, il decreto legislativo recante modifiche al Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della Direttiva 2019/1023 è intervenuto sull'art. 3, dalla (nuova) rubrica "Adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi", fornendo indicazioni utili e necessarie per cogliere tempestivamente i primi segnali di difficoltà, anche prima che diventino vera e propria crisi e di attivarsi per risolvere le difficoltà insorte. Va notato che le disposizioni dettate dall'art. 2086, secondo comma, del Codice civile, già in vigore nell'ordinamento civilistico dal 16 marzo 2019, non sono indirizzate esclusivamente alle imprese in crisi, bensì a tutte, introducendo un principio di corretta e sana conduzione dell’impresa e costituendo un tassello essenziale nello sviluppo di una cultura imprenditoriale di più attenta gestione e di prevenzione delle possibili degenerazioni.