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Saggio

Valore di realizzo dei diritti risarcitori nell’alternativo scenario della liquidazione giudiziale: il non semplice confronto tra stima e migliore soddisfazione dei creditori e le evidenze non proprio empiriche

Luca Jeantet, Avvocato in Torino
Stefano Midolo, Presidente Commissione di studio “Aspetti tributari della crisi” del CNDCEC
Marcello Pollio, Presidente Commissione di studio “Crisi e risanamento d’impresa” del CNDCEC
Paola Vallino, Avvocato in Torino

22 Marzo 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il contributo si propone di rappresentare quali possano essere i valori ritraibili in uno scenario di liquidazione giudiziale in relazione alle azioni di responsabilità da esercitare a carico degli amministratori da parte degli organi giudiziali alla luce delle novità introdotte dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14. Il contributo riporta ed analizza considerazioni su dati raccolti attraverso un questionario sottoposto in un noto blog di concorsualisti, avviata in riferimento ad una ricerca svolta per l’aggiornamento dei documenti di studio che la Commissione crisi e risanamento d’impresa del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (CNDCEC) sta portando avanti. In particolare, si tratta del documento denominato “La relazione giurata estimativa del professionista nel concordato preventivo e nel concordato fallimentare la perizia stima”, riferita alle stime ex art. 124 e 160, comma 2, legge fallimentare. Stime che oggi il Codice della crisi d’imprese richiede in molti contesti e con riferimento alla comparazione degli scenari prospettabili, nonché alla convenienza delle proposte. 
Riproduzione riservata
1 . Premessa
Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (“CCII”), tra le sue principali direttrici innovative, richiede di comprendere quale sia il livello di ripagamento che una società sia in grado di esprimere nell’alternativa della liquidazione giudiziale, tale intendendosi non solo il valore di liquidazione degli attivi aziendali, ma anche il possibile ricavato di azioni di responsabilità e di azioni revocatorie / recuperatorie. 
Questo valore complessivo sarà il parametro di riferimento da rappresentare ai creditori come punto di caduta sulla base del quale valutare l’alternativa della proposta ristrutturativa. 
La componente più difficile da calcolare è, per esperienza, il ricavato di azioni di responsabilità. 
Al riguardo e come primo passo, va certamente preso il considerazione l’art. 2486, comma 3, c.c., con cui il legislatore ha inteso porre in essere un intervento risolutivo volto a sanare i contrasti interpretativi originatisi con riferimento ai criteri di liquidazione del danno risarcibile nell’azione di responsabilità promossa contro gli organi sociali. 
Che questo fosse l’intendimento del legislatore risulta chiaramente dal tenore della direttiva di cui all’art. 2, comma 1, lett. m, della legge n. 155/2017 (recante la delega “per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza”), che prevede la riformulazione delle “disposizioni che hanno originato contrasti interpretativi, al fine di favorirne il superamento, in coerenza con i principi stabiliti dalla presente legge”
Su questa base, è stato dunque previsto che “quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l'amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all'articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell'irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura”. 
Da tanto discende, una volta accertata la responsabilità degli organi sociali: 
(a). una presunzione dell’entità del danno nella misura della differenza tra i netti patrimoniali; 
(b). la possibilità di fornire la prova di un diverso ammontare del danno; 
(c). nel caso di azione esperita a seguito dell’apertura di una procedura concorsuale, la quantificazione del danno nella misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura qualora non sia possibile stabilire i netti patrimoniali per carenze documentali dipendente dalla colpevole o dolosa condotta degli organi sociali[1]. 
In altri termini, la nuova disposizione ha positivizzato il criterio dei netti patrimoniali e quello del deficit fallimentare, quali modalità di calcolo presuntivo del danno risarcibile. Il primo è stato assunto a metodo primario e diretto di liquidazione del danno. Il secondo è invece stato posto quale criterio sussidiario operante qualora le scritture contabili dell’impresa siano irregolari o manchino del tutto. 
Tutto questo salva la prova contraria, dunque con un’inversione dell’onere probatorio a carico del soggetto tratto a giudizio. 
Vediamo ora questi criteri nei loro tratti essenziali.
2 . Il criterio della differenza dei netti patrimoniali
Qualora sia stata accertata una responsabilità del convenuto e le scritture contabili siano state regolarmente tenute[2], trova applicazione una presunzione relativa di quantificazione del danno non subordinata alle condizioni di cui all’art. 1226 c.c.[3] Il danno risarcibile ammonta alla differenza tra il patrimonio netto al momento dell’effettivo verificarsi della causa di scioglimento della società di cui all’art. 2484 c.c. ed il patrimonio netto esistente al momento di cessazione dalla carica dell’amministratore o dell’inizio della procedura concorsuale. Sul punto deve rilevarsi che sarebbe stato preferibile fare riferimento non già alla data in cui si è verificata la causa di scioglimento della società, ma alla data in cui la stessa è divenuta percepibile, ovvero ragionevolmente accertabile[4],   da un amministratore che impieghi l’ordinaria diligenza richiesta dall’art. 2392 c.c.[5] Chiaramente, il ritardo colpevole dell’amministratore potrebbe poi essergli imputato.[6] 
La ratio della disciplina appena descritta deve essere rinvenuta nel fatto che l’aggravamento del dissesto conseguente alla prosecuzione dell’attività d’impresa non deriva da singoli atti, ma da una gestione da analizzarsi complessivamente. Come convincentemente rilevato da autorevole dottrina, un siffatto criterio evita l’applicazione dei principi di diritto comune in tema di illecito civile, i quali rischierebbero di rendere eccessivamente difficili le iniziative risarcitorie nei confronti degli amministratori delle società.[7] 
La norma in esame prevede che dal risultato ottenuto utilizzando il criterio dei netti patrimoniali debbano essere detratti “i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione”. Detto in altre parole, devono essere detratti i costi che sarebbero stati ragionevolmente sostenuti nel tempo necessario a liquidare una società avente oggetto e dimensioni analoghi a quelli della fallita. Parte della dottrina ritiene che debbano essere ricompresi anche i costi finalizzati a coltivare tentativi di risanamento, anche se questi ultimi hanno avuto esito negativo.[8] Un altro filone dottrinale, ancora, ritiene che dovrebbero essere conteggiate anche le perdite e le minusvalenze patrimoniali, che tecnicamente non sono “costi”, ma che incidono sul netto patrimoniale e che anche una gestione volta alla liquidazione non sarebbe stata in grado di evitare.[9]
3 . Il criterio residuale del deficit fallimentare
La seconda parte dell’art. 2486, comma 3 c.c., come anticipato, ha introdotto un criterio residuale o sussidiario di determinazione del danno risarcibile: il cd. criterio del deficit fallimentare. Applicando quest’ultimo, il danno risarcibile è liquidato in misura pari alla differenza tra l’attivo ed il passivo accertati nella procedura concorsuale. È possibile ricorrere a questo criterio soltanto qualora sia stata aperta una procedura concorsuale e manchino le scritture contabili o se a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possano essere determinati. 
Va sottolineata la perentorietà della regola in esame. A differenza di quanto accade con il criterio dei netti patrimoniali, in questo caso non sembrerebbe che vi sia spazio per una prova contraria da parte degli amministratori convenuti.[10] Parrebbe trattarsi di una scelta di politica legislativa, volta ad agevolare il compito di coloro che agiscono in giudizio in modo tale da rendere più semplice prevedere fin dall’inizio la misura del danno risarcibile e da alleggerire l’onere probatorio particolarmente gravoso in capo agli attori.[11] 
Svolte queste considerazioni, occorre rilevare come, ad un’attenta lettura, il nuovo terzo comma dell’art. 2486 c.c. si discosti dagli approdi cui erano giunte le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 9100 del 2015. Con detta sentenza i giudici di piazza Cavour avevano chiarito i seguenti principi: 
(a). la tenuta delle scritture contabili è uno dei doveri degli amministratori; 
(b). anche se l’assenza delle scritture contabili non consente di ricostruire con esattezza le circostanze che hanno portato all’insolvenza e quindi la stessa può essere ritenuta una causa di danno, ciò non consente di affermare che il pregiudizio provocato dalle condotte dei membri dell’organo amministrativo sia automaticamente pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nel corso della procedura concorsuale; 
(c). se l’assenza delle scritture contabili rende difficile, quando non impossibile, una quantificazione precisa del danno, l’attore potrà richiedere al giudice una liquidazione equitativa del danno ai sensi dell’art. 1226 c.c. A tal fine il giudice potrà tenere conto dello sbilancio patrimoniale della società accertato in corso di procedura. 
Quanto precede, quindi, porta a ritenere che, per effetto della riforma, il criterio del deficit fallimentare abbia cessato di essere un mero parametro per la determinazione del danno in via equitativa e sia divenuto un vero e proprio criterio di liquidazione.
4 . La quantificazione dell’importo effettivamente ricavabile da un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori
Svolte le considerazioni che precedono risulta opportuno interrogarsi sulla quantificazione dell’importo che può essere concretamente ricavato in seguito a un’azione di responsabilità esercitata nei confronti degli organi sociali, tenendo a mente che tale somma non potrà che essere fisiologicamente (anzi, necessariamente) inferiore al danno astrattamente azionabile in applicazione di quanto disposto dall’art. 2486 c.c. 
Ciò non solo e non tanto perché ogni numero azionabile va comparato con l’effettiva capacità patrimoniale dei soggetti tratti a giudizio, ma soprattutto perché è dato d’esperienza che le azioni di responsabilità difficilmente giungono a decisione, venendo rese oggetto di transazioni preventive, per molteplici ragioni oggettive e di opportunità. 
Ciò comporta che la domanda da porsi è quale sia la percentuale transattiva media, da porre a base del calcolo dei flussi ricavabili nell’alternativa liquidativa giudiziale per compararla, ai fini del giudizio di migliore soddisfazione dei creditori, con l’ammontare della proposta ristrutturativa di pagamento, tenendo a mente che ormai nessuna proposta vede il rimborso integrale del privilegio generale diverso da quello di cui all’art. 2751 bis c.c. e quindi impone una valutazione, anche protettiva, degli interessi dei creditori soggetti a stralcio. 
Il punto di caduta, sulla base delle considerazioni che saranno svolte nel prosieguo, viene convenzionalmente individuato in un ammontare che non superi il 30% del petitum astrattamente azionabile. 
Ma, la percentuale da sé sola non ha significato se non se ne riescono a spiegare i razionali. 
In primo luogo, è fondatamente considerare che una liquidatela attrice, di fronte ad una proposta transattiva in tali termini, sarebbe indotta a chiederne l’autorizzazione, alla luce delle considerazioni che seguono: 
(a).  l’alea del giudizio, il cui esito non può dirsi scontato, specie se in sede di consulenza tecnica d’ufficio venissero sottoposte a vaglio critico riclassificazioni bilancistiche e variabili straordinarie; 
(b). i tempi necessari per ottenere una sentenza anche solo provvisoriamente esecutiva; 
(c). la necessità di evitare il pagamento della tassa di registro dovuta sulla sentenza in ragione del vincolo solidale esistente nei confronti dell’Agenzia delle Entrate; 
(d). il rischio che, in caso di impugnazione della sentenza, la Corte d’Appello investita del procedimento renda un provvedimento di sospensione della provvisoria esecutorietà in attesa dell’esito del giudizio di secondo grado; 
(e). il fatto che dopo un’eventuale sentenza esecutiva di condanna a risarcimento del danno, il patrimonio immobiliare astrattamente aggredibile dei potenziali convenuti potrebbe richiedere azioni esecutive particolarmente complesse oltre, eventualmente, alla preventiva introduzione dell’azione revocatoria ordinaria volta ad ottenere la declaratoria di inefficacia dell’atto di costituzione di trusts (ovvero un fondo patrimoniale) in cui medio tempore potrebbero essere confluiti i beni degli amministratori-convenuti; azione quest’ultima che, in quanto costitutiva, non consente la retrocessione dei beni usciti dal patrimonio dei disponenti sino ad una sentenza passata in giudicato, dunque ad esito di tre gradi di giudizio, che, secondo le statistiche disponibili, hanno una durata complessiva tra 10 e 12 anni. 
Tanto non è ancora sufficiente e satisfattivo, essendo necessario ricercare dati di esperienza concreta. 
E, al riguardo, soccorre l’esito di una ricerca condotta tramite i professionisti partecipanti all’Osservatorio sulle Crisi di Impresa (OCI) con i quali ci si è confrontati al fine di comprendere quale sia stato il risultato delle iniziative di responsabilità promosse negli anni.[12] In particolare, sono stati posti i seguenti quesiti: 
(a).  In quanti casi nella vostra esperienza le azioni di responsabilità si chiudono in via transattiva? 
(b). Le transazioni proposte da parte dei responsabili citati dalla curatela a quanto ammontano mediamente secondo la tua esperienza professionale? 
(c). La definizione transattiva dell’azione a quanto è definita mediamente in relazione al primo petitum azionato in sede giudiziale? 
Le risposte ottenute sono state le seguenti: 
· “i convenuti invero sovente non sono "responsabili", ma nondimeno accettano di transare (talora a molto meno del 10%) considerando elementi convergenti quali il (remoto) rischio di condanna, il costo di una controversia che si protrarrebbe sino al giudizio di legittimità (costo quasi certo in quanto raramente, anche in caso di esito positivo per i convenuti, si assiste a una condanna della procedura attrice alle spese) e, ove presente, la disponibilità dell'assicurazione a coprire in buona parte l'importo oggetto di transazione. Provo a risponderti sulla base della esperienza dei miei 1023 fallimenti chiusi in 33 anni di curatele (vari curatori del mio studio) 
A) In quanti casi nella vostra esperienza le azioni di responsabilità si chiudono in via transattiva? 70% 
B) le transazioni proposte da parte dei responsabili citati dalla curatela a quanto ammontano mediamente secondo la tua esperienza professionale? importo simbolico rispetto al danno contestato 
C) la definizione transattiva dell’azione a quanto è definita mediamente in relazione al primo petitum azionato in sede giudiziale? inferiore al 10% del petitum”; 
· “l’azione di responsabilità nell’AS xxx (…) si è chiusa in primo grado con una condanna della procedura a 6/7 milioni di euro di spese di soccombenza; le assoluzioni in sede penale, dove i fallimenti erano costituiti parti civili, sono state molteplici, quasi sempre, nella mia esperienza di consulente delle difese; in un concordato dove ero liquidatore giudiziario, da poco chiuso, abbiamo speso 80mila euro e recuperato (non transato) 60mila; a fronte di una provvisionale di alcune decine di milioni; in Yyy siamo in attivo, tra speso e recuperato in transazioni, di 100mila euro a fronte di un’azione per 30milioni; in un mio piccolo fallimento sono al secondo giro in cassazione e le azioni esecutive comunque promosse non hanno fruttato nulla. Sono conscio che alla tua ricerca non siano affatto utili esperienze random come quelle che ti ho riferito, ma una cosa è certa nei miei 48 anni di professione: “non è tutto oro quello che luccica”, soprattutto quando le difese sono ben attrezzate a distinguere tra citazione e citazione”; 
· “condivido, altra variabile che non rende agevole oggettivare una media percentuale, specie in caso di insussistenza e/o contestazione di copertura assicurativa dei convenuti, è la loro consistenza e qualità patrimoniale. Variabile che caso per caso influisce sull'opportunità di pervenire alla transazione e sulla misura della stessa. Tanto più che anche in caso di successo da parte della curatela l'onere della tassazione della sentenza (seppur favorevole) ricadrebbe in solido”; 
· “apprezzabilissimo lavoro quello che si fondi su solide basi scientifiche e quindi anche su quelle statistiche ove tali, come mi pare Voi stiate cercando di fare (quantunque siano davvero tante le variabili, non solo oggettive, che entrano in gioco in ogni controversia, soprattutto ove così complesse come sono quelle di responsabilità, tanto sul piano del diritto sostanziale che processuale; a tal ultimo riguardo basti pensare alla problematica dell’onere della prova; si veda, ad es., Cass. 198/2022 in tema di prova del danno verificatosi post automatica messa in liquidazione oppure ci si interroghi se/quando la venuta meno della continuità aziendale sia anch’essa - o meno - una possibile causa di tal guisa o comunque una fonte generatrice di danni, ove non rilevata tempestivamente)”; 
· “quale commissario straordinario di Zzz  sto portando in autorizzazione un’offerta complessiva di tutti gli organi sociali pari ad € 1ML a fronte di un danno astrattamente azionabile pari ad € 8ML”; 
· “Per rispondere alle domande, e tenendo presente che molto dipende dalla disponibilità dele Assicurazioni a farsi carico di una parte del risarcimento: la percentuale delle cause che si chiudono in via transattiva è sull’80%; le percentuali di chiusura proposte dai convenuti in giudizio son tra il 10% e il 30% della richiesta; mi è capitato di assistere a transazioni pari al 50% del danno accertato in CTU. L’importo viene definito (i) sulla base del patrimonio aggredibile nei confronti di ciascun convenuto); (ii) sulla base di una graduazione delle responsabilità tra i soggetti attinti; il primo criterio è prevalente.”); 
· “A) in quanti casi nella vostra esperienza le azioni di responsabilità si chiudono in via transattiva? (Indicare una percentuale) 70/80%; 
B) le transazioni proposte da parte dei responsabili citati dalla curatela a quanto ammontano mediamente secondo la tua esperienza professionale? di solito si attestano intorno al 20%; 
C) la definizione transattiva dell’azione a quanto è definita mediamente in relazione al primo petitum azionato in sede giudiziale? la definizione si attesta su percentuali spesso irrisorie rispetto alla domanda giudiziale vuoi per l’incapienza o semi-incapienza patrimoniale, vuoi per i tempi assai lunghi che spesso occorrono per definire la lite.”; 
· A) in quanti casi nella vostra esperienza le azioni di responsabilità si chiudono in via transattiva? Direi almeno nel 75% dei casi. 
B) le transazioni proposte da parte dei responsabili citati dalla curatela a quanto ammontano mediamente secondo la tua esperienza professionale? I convenuti che non si sentono responsabili non formulano alcuna proposta, perché ritengono ingiusta la domanda o perché davvero sono “non responsabili”. In questi casi spesso l’assicurazione spinge in direzione di una transazione con un contributo alle spese legali. I convenuti astrattamente responsabili percepiscono un rischio reale dopo lo scambio di memorie e dopo la fase istruttoria (solo i convenuti la cui responsabilità appare davvero concreta dovrebbero essere citati in giudizio, sparare nel mucchio è sbagliato e deontologicamente scorretto): - offrono somme attorno al 10%, se non sono assistiti da una assicurazione; - offrono somme fino al 30%, se sono assistiti da una assicurazione (convenuta o meno in giudizio); - non offrono nulla se non hanno nulla da perdere. 
C) la definizione transattiva dell’azione a quanto è definita mediamente in relazione al primo petitum azionato in sede giudiziale? Di fronte alle offerte di cui sopra, raramente una Curatela rifiuta, con la conseguenza che il risultato finale non è dissimile da quello che emerge dallo schema delle proposte: - 10% + spese legali per convenuti non assistiti da assicurazione; - tra il 20% e il 30% + spese legali per convenuti assistiti da una assicurazione. Una nota importante: le somme di cui sopra sono quasi sempre da dividere per il numero dei convenuti, essendo quelle somme rappresentative del totale di ciò che emerge in sede transattiva.”; 
· “A) in quanti casi nella vostra esperienza le azioni di responsabilità si chiudono in via transattiva? Quando la curatela ha fondate ragioni per vincere le transazioni si concludono pressoché nel 75/90% dei casi. Non si chiudono solo se i convenuti non hanno niente da perdere. Quando invece la fondatezza dell'azione è dubbia quella percentuale scende al 20/30% (si risparmia sulle spese legali, di ctu e di registro). 
B) le transazioni proposte da parte dei responsabili citati dalla curatela a quanto ammontano mediamente secondo la tua esperienza professionale? Tra il 10% e il 30%, sempre che il petitum non sia esageratamente alto, nel qual caso la percentuale scende ben sotto il 10%. 
C) la definizione transattiva dell’azione a quanto è definita mediamente in relazione al primo petitum azionato in sede giudiziale? Vedi risposta precedente. La percentuale del 10%/30% è relativa al totale della domanda e non ad ogni convenuto. Il pericolo maggiore è comunque l'importo dell'imposta di registro, il cui onere è da definire attentamente nella transazione.” 
Tanto potrebbe però ancora non essere ritenuta esaustivo al fine di giustificare l’indicazione della percentuale del 30%. 
Ed allora, merita fare un ulteriore passo e verificare la durata media di un fallimento (oggi liquidazione giudiziale) e le percentuali di soddisfazione media dei relativi creditori, rapportati l’uno con l’altro, trovandosi conferma del fatto che azioni di responsabilità sulla carta multimilionarie non si concludono mai con incassi pari a quelli azionabili. 
In caso contrario, infatti, non si spiegherebbero gli elementi statistici descritti nel prosieguo. 
Nel corso del 2021 le procedure fallimentari chiuse sono state pari 14.545, in crescita del 14,9% rispetto al 2020. Nonostante l’aumento delle pratiche evase dai tribunali, le analisi condotte da Cerved sui dati del Registro delle Imprese indicano che nell’ultimo anno i tempi medi di chiusura si sono ridotti di circa 1 mese. Nel 2021 i creditori hanno dovuto, infatti, attendere in media 7 anni e 3 mesi per la chiusura di un fallimento, contro i 7 anni e 4 mesi del 2020. La durata media ha fatto registrare una leggera inversione di tendenza dopo tre anni consecutivi di crescita, riavvicinandosi ai livelli minimi osservati nel 2018.

Figura 1- La durata dei fallimenti chiusi
Fonte: Cerved

I dati relativi alla durata media delle procedure liquidatorie (ex fallimentari) evidenziano una notevole variabilità territoriale. Le regioni del Nord sono caratterizzate da performance migliori del Centro e del Sud. Anche nel 2021 il Mezzogiorno si conferma l’area geografica con i tempi di chiusura dei fallimenti più lunghi, con una durata media che sfiora i 10 anni (9,7 anni), seguito dal Centro (7,4 anni), dove si evidenziano tempistiche in crescita di 3 mesi rispetto al 2020. L’Italia Settentrionale fa registrare tempi di estinzione delle procedure nettamente più contenuti, con il Nord-Est che registra una media di 6,2 anni e il Nord-Ovest che si attesta a 5,7 anni. Analizzando la durata media delle procedure ad un maggior dettaglio territoriale, le differenze risultano ancora più consistenti. Nel 2021, le regioni più virtuose sono la Valle d’Aosta (5,3 anni), la Lombardia (5,6 anni) e il Friuli Venezia-Giulia (5,8 anni), mentre le regioni in cui le tempistiche di estinzione risultano più dilatate sono Puglia (10,9 anni), Sicilia (10,9 anni) e Calabria (10,4 anni). Nel Mezzogiorno si riscontra una maggiore polarizzazione nelle distribuzioni dei fallimenti chiusi, con durate mediamente più lunghe che si affiancano a quote più alte di pratiche smaltite nel giro di due anni dall’apertura. Le regioni più efficienti nello smaltimento dei carichi pendenti sono il Friuli Venezia-Giulia e il Piemonte, con quote di procedure pendenti inferiori al 40% dei fallimenti aperti negli ultimi dieci anni, mentre in Basilicata (62,7%) e Umbria (61,8%) l’incidenza delle procedure pendenti risulta particolarmente elevata. L’età media di queste ultime risulta più contenuta in Piemonte (4,0 anni) e Lombardia (4,1 anni), mentre i valori più elevati si riscontrano nelle Marche (5,2 anni).

Figura n. 2 – Durata dei fallimenti chiusi per area geografica
Fonte: Cerved

Figura n. 3 – Durata dei fallimenti chiusi per regione


Fonte: Cerved 

Considerato un tasso di recupero medio del 35,5%[13] dei crediti in imprese fallite e un tasso interno di rendimento pari al 15%[14], la figura n. 4 di seguito esposta evidenzia come cambia il valore di 100 euro di crediti deteriorati originati da imprese che risultano in fallimento in base ai tempi di estinzione della procedura. Prendendo in considerazione i tempi medi dei tribunali italiani (7 anni e 3 mesi), il valore di questo portafoglio è di 14,3 euro; se però, quei crediti fossero incagliati nei tribunali più rapidi, la sua consistenza crescerebbe del 38,5% portandosi a un valore di 19,8 euro (considerando i 3 anni e 4 mesi di Ferrara); viceversa, se i crediti fossero gestiti dai tribunali meno efficienti il valore attualizzato del portafoglio potrebbe ridursi fino a 8 euro (ipotizzando una durata media di 18 anni e 3 mesi del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto). 

Figura n. 4 – Valore di recupero di un portafogli di 100 euro di sofferenze incagliate in imprese in fallimento con tassi di recupero correlati alla durata 


Fonte: Cerved

Le considerazioni che precedono inducono a ritenere confermabile un ammontare non superiore al 30% del petitum astrattamente azionabile in un’azione di responsabilità quale risultato da porre a base del calcolo dei flussi ricavabili nell’alternativa liquidativa giudiziale per compararla, ai fini del giudizio di migliore soddisfazione dei creditori, con l’ammontare della proposta ristrutturativa di pagamento. 

Note:

[1] 
La necessità di accertare la colpevole e dolosa responsabilità degli organi sociali circa la carenza delle scritture contabili pone, tuttavia, un ulteriore problema che la norma non risolve, ovvero se la “sanzione” che porta all’accertamento del danno nella differenza tra attivo e passivo accertati sia applicabile anche ad organi sociali cessati prima del fallimento e che non abbiano concorso alla “carenza” delle scritture contabili. 
[2] 
F. Dimundo, Le azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali, 2019, p. 498.
[3] 
S. Mandolso, I criteri di quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità contro gli amministratori ex art. 2486 c.c., con uno sguardo al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Ricerche Giuridiche, 9(1), 2020, p. 144.
[4] 
Si pensi ad esempio al caso di un amministratore che pur avendo percepito la sussistenza di una causa di scioglimento abbia provveduto alla tempestiva attivazione dei rimedi previsti dalla legge, senza poi giungere ad una deliberazione di scioglimento e liquidazione della società. 
[5] 
R. Rordorf, Doveri e responsabilità degli organi di società alla luce del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Rivista delle società, 5, 2019, pp. 946-947.
[6] 
Ibid. 
[7] 
Ibid, Dimundo F., Le azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali, 2019, p. 497.
[8] 
N. Abriani, Rossi A., Nuova disciplina della crisi d'impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, Le Società, 4, 2019, p. 409.
[9] 
V. Calandra Buonaura, Amministratori e gestione dell’impresa nel codice della crisi, Giurisprudenza Commentata, 5, 2020, p. 16. 
[10] 
Corte d’Appello di Catania, 16/01/2020.
[11] 
R. Rordorf, Doveri e responsabilità degli organi di società alla luce del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Rivista delle società, 5, 2019, p. 944.
[12] 
Per ragioni di riservatezza non si riportano qui i nomi dei soggetti che hanno fornito risposta ai quesiti sopra indicati poiché per lo più le risposte sono state rese proprio con il vincolo di riservatezza.
[13] 
Banca d’Italia, I tassi di recupero delle sofferenze nel 2020, Note di stabilità finanziaria e vigilanza, N. 27, Novembre 2021. 
[14] 
Tale tasso di rendimento riflette i tassi di sconto utilizzati dagli investitori specializzati che generalmente acquistano crediti deteriorati dalle banche. 

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Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

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  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
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  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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