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Saggio

La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità*

Gian Paolo Macagno, Giudice della Corte d’Appello di Torino

6 Aprile 2022

*Lo scritto è destinato, con eventuali adattamenti e integrazioni, alla successiva pubblicazione nel Quaderno della Scuola Superiore della Magistratura, dal titolo provvisorio P22026 "Principi del codice della crisi e prospettive anche penalistiche".
Il saggio è stato altresì sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L'Autore affronta la tematica della absolute priority rule e della relative priority rule nel sistema concorsuale italiano, soffermandosi sugli attuali margini di distribuzione del cd plusvalore da continuità.
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1 . Introduzione. Priorità assoluta e relativa
Il tema delle regole che presiedono alla distribuzione del patrimonio del debitore nelle procedure concorsuali, oggetto negli anni di un profondo dibattito dottrinale con ampia eco anche nella giurisprudenza, deve confrontarsi con le recentissime novità di genesi eurounitaria.
In data 18 marzo 2022 è stato infatti approvato dal Consiglio dei ministri lo Schema di decreto legislativo che recepisce la Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la Direttiva (UE) 2017/1132 (Direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza).
La procedura fallimentare, e in modo analogo la liquidazione giudiziale del Codice della crisi di prossima vigenza, prevedono una rigida applicazione del principio dell’inviolabilità dell’ordine delle cause legittime di prelazione, che trova il suo fondamento nell’art. 2741 del codice civile, senza ammissibilità di alcuna eccezione
Il concordato preventivo, già a normativa vigente, ha dato al contrario origine a differenti ricostruzioni del sistema di trattamento dei creditori, che – in via sintetica – vengono ricondotte alle opposte regole della priorità assoluta (absolute priority rule - APR) e della priorità relativa (relative priority rule - RPR).
In estrema sintesi, la prima delle due regole impedisce la soddisfazione del creditore di grado successivo qualora non sia stato integralmente soddisfatto quello di grado precedente, salvo che siano utilizzate risorse finanziarie non provenienti dal patrimonio assoggettato al concorso e che costituiscano apporti "neutri" di terzi estranei.
La seconda regola consente invece il pagamento di creditori di rango inferiore anche in assenza di pagamento integrale dei creditori di rango superiore, a condizione che detto pagamento sia di misura inferiore, e che dunque il trattamento complessivo dei creditori appartenenti alle diverse classi rispetti comunque l’ordine delle prelazioni.
La questione che si pone è dunque se – e in quali limiti – sia ammissibile una qualche soddisfazione dei creditori appartenenti ad una classe di rango inferiore qualora i creditori di rango superiore non ottengano integrale soddisfazione[1].
Il tema delle regole di distribuzione è centrale con riguardo al concordato preventivo in continuità, rispetto al quale si confrontano opposte tesi in merito alla possibilità di distribuire liberamente le risorse prodotte dalla prosecuzione dell'attività aziendale e quindi di destinarle in modo non omogeneo ai creditori concorsuali, privilegiati e chirografari, o comunque senza il rispetto tassativo della regola della priorità assoluta [2].
2 . A sostegno della APR
Le posizioni che privilegiano la regola della priorità assoluta evidenziano che essa assicura una effettiva tutela dei diritti dei creditori appartenenti alle classi dissenzienti ad ottenere quanto loro spetta, mentre la regola della priorità relativa potrebbe favorire condotte abusive ed opportuniste nell’ambito della ristrutturazione dell’impresa in crisi.
Viene osservato, inoltre, che la regola della priorità relativa potrebbe rendere i finanziamenti alle imprese della UE meno attraenti per gli investitori, affievolendo la forza delle garanzie loro offerte. 
In aggiunta, la regola difetterebbe di una chiara giustificazione teoretica, essendo il portato, al contrario, di esigenze di natura empirica[3].
3 . A favore della RPR
Gli argomenti dei fautori della priorità relativa sono, per l’appunto, riconducibili alla funzione agevolatrice che la regola comporterebbe in termini di efficienza delle procedure di risanamento.
Sotto tale profilo, anche a diritto vigente, la RPR consentirebbe di ipotizzare l’ammissibilità di proposte di concordato preventivo che riservano al debitore, ed anche ai soci nel caso di impresa societaria, parte del patrimonio attuale o futuro: resterebbe comunque aperta, si osserva, la questione della compatibilità di una tale soluzione con il principio della responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c., ma anche tale principio è passibile di interpretazioni di minor o maggior rigore[4].
Si evidenzia che la possibilità di far partecipare il debitore ed i soci ai risultati utili del concordato preventivo sarebbe, a sua volta, funzionale ad incentivare i manager, fedeli all'azionista, a denunziare tempestivamente la crisi.
Inoltre, la regola della priorità relativa consentirebbe una maggiore flessibilità nella definizione del contenuto delle proposte di concordato, evitando che l'assorbimento dell'attivo in favore dei creditori muniti di privilegio generale sino all'integrale soddisfacimento degli stessi riduca, o azzeri, le somme a disposizione dei creditori di rango inferiore, con potenziale insuccesso della proposta per inammissibilità o, comunque, minore "appetibilità" della stessa.
In via generale, qualora ai privilegiati fosse attribuita una priorità relativa, si osserva, le risorse scarse – in particolare delle piccole-medie imprese - potrebbero essere oculatamente distribuite tra privilegiati e chirografari, con conservazione dei valori aziendali riconducibili ai c.d. stakeholders strategici, che ben di rado coincidono con i soggetti tutelati da cause di prelazione codificate.
Il tutto, si precisa, con la necessaria avvertenza che i privilegiati di rango superiore dovranno ottenere un grado di soddisfacimento maggiore rispetto ai privilegiati di grado (via via) inferiore, e questi ultimi rispetto ai chirografari ovvero, in caso di suddivisione dei creditori chirografari in classi, rispetto alla classe maggiormente soddisfatta[5].
4 . La normativa interna vigente
L’art. 160, secondo comma della vigente legge fallimentare ammette esplicitamente la possibilità di soddisfazione non integrale dei creditori privilegiati, ma a condizione che il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione dei beni oggetto della garanzia; ad argine di tale facoltà, richiama peraltro la regola generale dell’art. 2741 c.c. per cui "il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione".
Analogo è (o meglio sarebbe stato, in quanto in tale scrittura la norma appare destinata a non entrare mai in vigore) il dettato dell’art. 85 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza che, invertendo l’ordine, prima – al sesto comma - detta la regola generale del divieto di alterare l’ordine delle cause di prelazione e quindi – al settimo comma - introduce l’eccezione, con la precisazione che il valore di raffronto per la falcidia dei crediti privilegiati deve essere quello del “ricavato, in caso di liquidazione, dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, avuto riguardo al loro valore di mercato, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente”.
Come si può agevolmente notare, il Codice della crisi, oltre alla – utile - specificazione riguardante il necessario scomputo dal valore di raffronto delle prevedibili spese della procedura liquidatoria, aveva introdotto un parametro ulteriore, il “valore di mercato”, non più presente nel nuovo testo introdotto dallo schema di decreto legislativo.
Deve accogliersi con favore l’eliminazione di tale parametro, non privo di ambiguità: il “valore di mercato” richiama infatti una prospettiva di “vendita libera” che dovrebbe verosimilmente prescindere dal prevedibile risultato (al ribasso) della liquidazione fallimentare coattiva; più in generale, il “valore di mercato” di un bene destinato alla produzione è una grandezza che può variare sensibilmente a seconda che si adotti una prospettiva di continuazione dell'impresa o una prospettiva di liquidazione e cessazione.
5 . La Direttiva UE 2019/1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva
Negli anni recenti ha contribuito non poco a riaccendere il dibattito l’emanazione della Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza).
Le disposizioni della Direttiva devono essere recepite entro il termine del 17 luglio 2022 – così prorogato su richiesta inoltrata alla Commissione europea ai sensi dell’articolo 34, paragrafo 2, della medesima direttiva – come previsto dalla legge 22 aprile 2021, n. 53 (legge di delegazione europea 2019 – 2020): il recepimento, come si è visto, è – di fatto – avvenuto, ed ha reso necessario, non solo con riguardo al tema della distribuzione dei flussi del concordato, di dover porre nuovamente mano al testo del Codice della crisi.
In via generale, dichiarato obiettivo dei quadri di ristrutturazione preventiva unionali è quello di “consentire ai debitori in difficoltà finanziarie di continuare a operare, in tutto o in parte” (Cons. 2 Dir.), anche mediante la vendita di attività o parti dell’impresa o, se previsto dal diritto nazionale dell’intera impresa “in regime di continuità aziendale” (art. 2 n. 1 Dir.), al fine di risanare l’impresa, “o almeno salvarne le unità che sono ancora sane” (Cons. 4)[6].
In particolare, l’art. 11, par. 1, lett. c) della Direttiva prevede, come regola generale, in caso di ristrutturazione con più classi di creditori (c.d. ristrutturazione trasversale), quella della priorità relativa, secondo cui le classi di voto dissenzienti di creditori interessati ricevono “un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori".
È comunque consentito allo Stato Membro di esercitare l’opzione a favore della priorità assoluta, prevedendo “che i diritti dei creditori interessati di una classe di voto dissenziente siano pienamente soddisfatti con mezzi uguali o equivalenti se è previsto che una classe inferiore riceva pagamenti o mantenga interessi in base al piano di ristrutturazione” (art. 11, par. 2).
Quale peraltro siano le finalità perseguite dal legislatore eurounitario si può agevolmente cogliere dal Cons. 56, di cui l’art. 11 è espressione, che recita: “Gli Stati membri dovrebbero poter derogare alla regola della priorità assoluta, se ad esempio si consideri giusto che i detentori di strumenti di capitale mantengano determinati interessi ai sensi del piano, nonostante che una classe di rango superiore sia obbligata ad accettare una falcidia dei suoi crediti, o che i fornitori essenziali cui si applica la disposizione sulla sospensione delle azioni esecutive individuali siano pagati prima di classi di creditori di rango superiore. Gli Stati membri dovrebbero poter scegliere quale dei suddetti meccanismi di protezione predisporre”. 
È chiaramente evidenziata, dunque, con l’evidente fine di facilitare le ristrutturazioni delle imprese in crisi con salvezza della continuità aziendale, la possibilità di prevedere un trattamento di favore degli stakeholders essenziali, con deroga alla rigida regola delle prelazioni.
Va ancora ricordato che il rispetto della regola distributiva di cui all'art. 160, comma 2, l.fall. (e art. 85, comma 6, CCII), quale che sia il contenuto che le si voglia attribuire, rappresenta una condizione di ammissibilità della proposta di concordato, e che in quanto tale si sottrae all'operatività del principio di maggioranza[7], potendo essere derogata solo in forza di un consenso individuale dei singoli creditori privilegiati potenzialmente pregiudicati dall'inosservanza della stessa.
Nella prospettiva europea dell’art. 11 della Direttiva UE 1023/2019 (così come in quella statunitense del Chapter 11) la regola distributiva rappresenta invece una forma di tutela di classe collettiva, e costituisce un limite inderogabile solo nel caso in cui una classe di creditori non approvi il piano, così essendo disponibile da parte della maggioranza (nella forma dell'approvazione di tutte le classi interessate)[8].
In attuazione della Dir. UE 1023/2019, il legislatore italiano ha dovuto, quindi, non solo scegliere tra APR e RPR (optando a favore di quest’ultima) ma anche valutare se confermare la regola distributiva come condizione di ammissibilità della proposta o se modificarla in criterio soggetto alla decisione della maggioranza[9]: come si vedrà meglio più oltre, la – nuova – regola distributiva opera, in sede di omologa, analogamente a quanto previsto dall’art. 11 della Direttiva (nuovo art. 112 CCII), ma nel contempo pare mantenere la natura di condizione di ammissibilità (nuovo art. 84 comma 6 CCII).
Il legislatore interno non si è quindi avvalso della facoltà di deroga consentita dal secondo comma dell’art. 11 della Direttiva e ha sciolto quello che era un profondo elemento di ambiguità della normativa interna: anni di acceso dibattito – in dottrina e giurisprudenza - sono stati dunque cancellati con un tratto di penna.
Merita comunque riassumere i termini di tale dibattito, al fine di azzardare qualche prima osservazione sulla futura disciplina, come si verrà infine a configurare.
6 . Divieto di alterazione dell’ordine delle cause di prelazione, patrimonio statico e patrimonio dinamico
La considerazione da cui si devono necessariamente prendere le mosse è che la condizione che legittima la proposta di soddisfazione parziale dei creditori privilegiati è costituita dalla oggettiva incapienza del valore attribuito ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, attestata da un esperto qualificato, come previsto dall’art. 160, secondo comma l.fall.
La verifica di tale presupposto è oggi particolarmente problematica in relazione ai creditori con privilegio generale (sui mobili ed eventualmente sugli immobili). 
L’incapienza, in tale ipotesi, deve infatti essere riferita all’intero patrimonio mobiliare ed eventualmente immobiliare del debitore, dal quale, però, vanno sottratti quei beni o diritti che, secondo la gerarchia definita dalla legge, sono prioritariamente destinati alla soddisfazione di altri creditori ipotecari, pignoratizi o con privilegio speciale. 
La questione centrale è quale sia il patrimonio (o il valore del bene, nel corrispondente caso di creditore assistito da garanzia reale) cui il proponente deve agganciare la valutazione di capienza ai fini della verifica della falcidiabilità del credito privilegiato, se il patrimonio (o valore del bene) esistente e liquidabile al momento della domanda (c.d. patrimonio “statico” o valore "statico" del bene) o il patrimonio (o valore del bene) integrato delle voci attive che verranno ad esistenza nel corso del concordato, così come stimate e prospettate nel piano e oggetto di attestazione da parte del professionista (c.d. patrimonio “dinamico” o valore “dinamico” del bene, ossia quello integrato del surplus concordatario).
Nel caso – clinico – del concordato con continuità, il tema riguarda il surplus concordatario, che in sostanza viene a coincidere con i flussi di cassa prospettici, ma il dubbio si può porre con riguardo a tutte le fattispecie di concordato, anche quello liquidatorio, in quanto la liquidazione dei beni nel concordato potrebbe avere un esito più favorevole rispetto alla liquidazione fallimentare[10].
7 . La tesi di maggior rigore: falcidia dei creditori privilegiati nei limiti del valore dinamico del bene o del patrimonio oggetto della prelazione
La tesi più rigorosa, che corrisponde ad una interpretazione in senso "forte" dell'ordine delle cause di prelazione, afferma che la regola della graduazione sancita dall'art. 160, comma 2, l.fall. impedisce la soddisfazione del creditore di grado successivo qualora non sia stato integralmente soddisfatto quello di grado precedente, salvo che siano utilizzate risorse finanziarie non provenienti dal patrimonio assoggettato al concorso e che costituiscano apporti "neutri" di terzi estranei[11].
Secondo questa tesi, il patrimonio o valore del bene cui agganciare la valutazione di capienza ai fini della verifica della falcidiabilità del credito privilegiato è rappresentato non da quello "statico" ma da quello dinamico, e cioè quello integrato del surplus concordatario.
Il fondamento di questa imperativa modalità di distribuzione del patrimonio viene rinvenuto nella regola contenuta nello stesso art. 160, comma 2, l.fall., che consente di soddisfare in modo non integrale i creditori privilegiati solo in caso di incapienza dei beni sui quali sussiste la prelazione, che viene letta come rigida estensione al concordato della previsione di cui all’art. 111 l.fall., che disciplina la distribuzione nella liquidazione fallimentare secondo il rigido ordine delle prelazioni.
Se il privilegio è generale, si osserva[12], la soddisfazione non integrale sarebbe consentita solo laddove si attesti che l'intero patrimonio mobiliare non sia sufficiente al pagamento degli stessi; se il patrimonio non può soddisfare i creditori privilegiati, nulla potrebbe, allora, essere attribuito ai creditori chirografari (salvo l'ipotesi di utilizzo di finanza esterna).
Laddove ciò avvenisse, infatti, vorrebbe dire che una parte del patrimonio è stata sottratta alla prelazione dei creditori muniti di privilegio generale mobiliare ed attribuita ai chirografari; in tal caso, tuttavia, i creditori privilegiati riceverebbero un soddisfacimento inferiore rispetto a quello che potrebbero ottenere nella liquidazione fallimentare, ove l'intero patrimonio sarebbe ad essi destinato. 
Così argomentando, la previsione di un soddisfacimento in favore dei creditori chirografari, pur in mancanza dell'integrale pagamento dei creditori privilegiati, sembra risolversi, quindi, in una violazione non tanto dell'ordine delle prelazioni, quanto della regola, anch'essa posta dall'art. 160, secondo comma, l.fall. secondo cui il trattamento del creditore privilegiato non può essere inferiore rispetto a quello che potrebbe ottenere nel caso di liquidazione fallimentare e della correlata regola secondo cui, finché vi sono beni per soddisfare il credito di rango più elevato, non può scendersi al gradino inferiore.
Pertanto, l'ordine logico da seguire per la falcidiabilità dei creditori privilegiati sarebbe quello di applicare, prima, le regole imperative in materia di responsabilità patrimoniale del debitore ( artt. 2740 e 2741 c.c.), che impongono che il debitore risponda delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, nel rispetto della par condicio e dell'ordine delle cause legittime di prelazione; solo qualora i beni presenti e futuri (così come stimati) non siano sufficienti a soddisfare il creditore privilegiato in misura integrale, allora potrà scattare il meccanismo della falcidia di cui all'art. 160, secondo comma l. fall. (e art. 85, comma settimo, CCII ante ultima modifica), con il risultato che una parte del credito privilegiato (quella non coperta dalla garanzia) scadrà a chirografo, così perdendo il rango privilegiato.
La prelazione del creditore ipotecario si estenderà quindi ai frutti civili (stimati) dell'immobile lungo la durata del piano; il privilegio generale sui mobili ed eventualmente sugli immobili si estenderà ai flussi di cassa stimati (nel concordato con continuità), e dunque potrà essere falcidiato solo in presenza di un surplus del tutto esogeno rispetto all’azienda, sarà dunque “nuova finanza” liberamente distribuibile solamente quella costituita da un apporto neutro, proveniente dal terzo.
La tesi rigorosa ha trovato ampia diffusione negli orientamenti della giurisprudenza di merito, ove è comune affermazione che, al fine del rispetto del combinato disposto degli artt. 2740 e 2741 c.c., sia ammissibile la falcidia del debito privilegiato speciale o mobiliare solo qualora il patrimonio statico e dinamico del proponente non sia capiente [13]. 
Non sarà pertanto liberamente distribuibile nel concordato in continuità diretta il surplus generato dalla continuazione dell’attività aziendale, e nella ipotesi di continuità indiretta non lo saranno i canoni percepiti a titolo di affitto dell’azienda. 
Paradigmatiche sono due recenti pronunce: con la prima Tribunale di Monza[14], con riguardo ad un concordato preventivo con continuità aziendale diretta, ha affermato che “i flussi generati dalla prosecuzione dell'attività d'impresa successivamente al deposito della domanda di concordato non costituiscono finanza c.d. nuova o esterna rispetto all'attivo esistente a quel momento e devono, dunque, essere messi a disposizione del ceto creditorio nel rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione”, con la seconda il Tribunale Milano[15], con riguardo ad un concordato preventivo con continuità aziendale indiretta, ha osservato che “i canoni ricavati dall'affitto dell'azienda del debitore a un terzo, con contratto stipulato successivamente all'avvio della procedura e subordinato, nella sua efficacia, alla definitiva omologazione del concordato, non costituiscono finanza c.d. nuova o esterna rispetto all'attivo esistente al momento della domanda di concordato e non possono, quindi, essere messi a disposizione del ceto creditorio liberamente, senza il necessario rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione”.
E ancora è stata ritenuta inammissibile la proposta che destinava i canoni di locazione di un immobile alla copertura dei costi derivanti dall'espletamento dell'attività caratteristica dell'impresa invece che al pagamento del creditore che su suddetto immobile vantava ipoteca, in quanto contraria al principio del divieto di alterazione dell'ordine delle cause legittime di prelazione [16].
8 . Orientamento della Corte di Cassazione
La tesi rigorosa ha inoltre ottenuto ripetuti riscontri anche in sede di legittimità.
Già nel 2012 la Corte di cassazione aveva manifestato una chiara opzione per l’orientamento meno liberale, affermando che "nel concordato preventivo il principio del divieto di alterazione delle cause di prelazione nella proposta di pagamento formulata dal debitore può essere derogato in caso di risorse provenienti da terzi solo quando l'apporto risulti neutrale sia perché non comporti un diretto incremento dello stato patrimoniale dell'impresa, sia perché non determini un aggravio della massa passiva con il riconoscimento di un credito a favore del terzo[17]".
Più ambiguamente, nel 2019, trattando dei compiti dell’attestatore, la S.C. aveva affermato che: “al professionista, a ben vedere, è dunque richiesto di compiere una duplice verifica, rispettivamente sul piano e sulla proposta: che la continuità aziendale generi valore rispetto alla liquidazione, e che, secondo la proposta concretamente presentata dal debitore, almeno parte di tale valore venga messo a disposizione dei creditori”, senza però indicare le regole di identificazione di tale parte, questione estranea all’oggetto del giudizio[18].
Nel 2019 la Corte di cassazione, in linea con l’orientamento rigoroso, aveva ritenuto inammissibile, salvo che la proposta venga approvata dai creditori all'unanimità, la domanda di concordato preventivo che preveda il soddisfacimento in percentuale dei creditori postergati ex art. 2467 c.c., a dispetto del mancato pagamento integrale di tutti gli altri creditori, ivi compresi i creditori chirografari[19].
Infine, nel 2020[20], chiamata a rispondere alla specifica questione se l'attuale assetto normativo del concordato preventivo "imponga l'integrale pagamento del credito di rango superiore prima di soddisfare quello di grado inferiore o se, piuttosto, sia ammessa la falcidia del credito di grado poziore e il pagamento parziale del credito di rango più basso, a condizione che al primo sia assicurato un trattamento più favorevole rispetto a quello riservato al secondo, la Corte si è chiaramente espressa per la regola distributiva della priorità assoluta, osservando:
- che “la prima delle condizioni poste dall'art. 160, comma 2, implica che l'ammontare della somma ritraibile dalla liquidazione concorsuale segni il limite minimo di soddisfacimento dei creditori privilegiati: e da tale limite si desume che il creditore chirografario non possa vedere adempiuta, neanche parzialmente, la propria obbligazione se il presumibile valore di realizzo dei beni su cui insiste il diritto di prelazione non consenta di soddisfare i creditori privilegiati;
- che “ciò significa, in concreto, che, in presenza di un diritto di prelazione incidente su di un bene specifico (ipoteca, pegno, privilegio speciale) il credito che ne è assistito possa essere soddisfatto parzialmente, in concorso con i crediti in chirografo, se il valore del detto bene sia inferiore all'ammontare del credito”; 
- che ove, poi, venga in questione “un privilegio generale sui mobili e tali beni siano incapienti rispetto alle ragioni di credito dei titolari di tale diritto di prelazione, i crediti privilegiati non potranno essere ulteriormente falcidiati a beneficio di quelli chirografari: diversamente si ammetterebbe che, sulla medesima massa attiva, creditori di rango inferiore (quali sono quelli in chirografo) siano soddisfatti prima che lo siano, per l'intero, i creditori di rango poziore. E un tale risultato urterebbe, come è evidente, non solo col principio per cui il piano concordatario deve assicurare la soddisfazione dei creditori privilegiati in misura almeno pari a quella cui gli stessi potrebbero aspirare, in ragione della loro collocazione preferenziale, in caso di liquidazione, ma anche con la regola che vieta di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione”;
- che “ciò non esclude che i creditori chirografari possano essere soddisfatti pur in presenza di beni, oggetto del privilegio generale, che risultino essere insufficienti ad assicurare il soddisfacimento integrale dei creditori privilegiati”; 
- che ciò accadrà, in particolare, “ove essi abbiano la possibilità di concorrere su beni immobili”, (ovviamente per la parte che non è deputata a garantire i creditori che vantino un titolo di prelazione su di essi), oppure in presenza della c.d. finanza esterna.
Quindi, al fine di disegnare il perimetro dalla nozione di “finanza esterna” la Corte ha richiamato le “condizioni indicate da Cass. 8 giugno 2012, n. 9373”: e cioè allorché l'apporto del terzo risulti neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società, non comportando né un incremento dell'attivo patrimoniale della società debitrice, sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati secondo il loro grado, né un aggravio del passivo della medesima, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo, indipendentemente dalla circostanza che tale credito sia stato postergato o no”.
Secondo il principio affermato dalla Corte, “deve ritenersi che in tema di concordato preventivo, a norma dell'art. 160, comma 2, I. fati., il soddisfacimento parziale dei creditori muniti di privilegio generale possa trovare un fondamento giustificativo solo nell'incapienza del patrimonio mobiliare del debitore, sicché il soddisfacimento dei creditori chirografari non può che dipendere, in tal caso, dalla presenza di beni immobili (ovviamente per la parte che non è deputata a garantire i creditori che vantino un titolo di prelazione su di essi) o da liquidità estranee al patrimonio del debitore stesso”.
9 . Neutralità dell’apporto del terzo secondo la tesi rigorosa
A norme vigenti ed anche con riguardo al Codice della crisi (nella scrittura originaria), può ritenersi che la regola dominante, ma non esclusiva, sia quella della priorità assoluta, come si desume dalla natura eccezionale, nonché contornata da speciali cautele, della previsione di cui all’art. 160, secondo comma l.fall. (e all’art. 85, settimo comma del CCII – ante ultime modifiche): ne consegue che, con necessaria semplificazione, in tanto il privilegio generale sarà falcidiabile, in quanto sia configurabile un afflusso di risorse che si possano ritenere liberamente distribuibili ai creditori. 
Come si è visto, la S.C. ha stabilito che “l'apporto del terzo si sottrae al divieto di alterazione della graduazione dei crediti privilegiati solo allorché risulti neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società debitrice”.
Occorre dunque individuare quali apporti possano essere ritenuti “neutrali” secondo i parametri indicati dalla S.C[21].
In primo luogo il debitore, con il suo patrimonio non può alterare la graduazione dei crediti, ma lo può fare il terzo e con un apporto che non deve incrementare l'attivo e non deve aggravare il passivo del debitore. 
Il requisito del non incremento dell'attivo dovrebbe coincidere con la non entrata dell'apporto nel patrimonio del debitore, neppure in relazione ad apporti a titolo gratuito e senza corrispettivo: in caso contrario non sarebbe comunque finanza esterna, liberamente destinabile.
Inoltre, non è sufficiente che l'apporto non entri nel patrimonio attivo del debitore, ma occorre anche che non determini un aggravamento del passivo. 
Un tipico apporto che non entra nel patrimonio e non genera passività è il pagamento di creditori ad opera di terzi con o senza surrogazione. 
Anche quando il debitore contabilizzi un corrispettivo per l'apporto che il terzo effettua direttamente a favore di uno o più creditori, non si ha un aggravio del passivo, perché il debito assunto verso il terzo è compensato dalla scomparsa del credito tacitato dal terzo, ma nella prassi gli apporti neutrali del terzo consistono prevalentemente in apporti senza corrispettivo, almeno apparente, in quanto la finanza gratuita è spesso collegata ad operazioni più ampie ed eterogenee. 
La soluzione più frequente è quella della messa a disposizione da parte di un terzo di risorse per le esigenze concordatarie: occorre peraltro che il terzo imprima all'apporto una destinazione a questo o quel creditore o classe di creditori, indipendentemente dalla loro collocazione nella graduatoria dei privilegiati, dei chirografari o dei postergati. 
In caso contrario, gli organi della procedura, di fronte ad un generico apporto del terzo, non potrebbero fare altro che “coacervare” le nuove risorse a quelle del debitore, confondendole e destinandole ai creditori, nel rispetto della par condicio creditorum.
A tale riguardo è stata agitata anche la questione della eventuale sindacabilità dei rapporti sottostanti ad un apporto destinato — dal terzo e dallo stesso debitore — ad essere utilizzato in deroga alla gradazione delle cause di prelazione rispetto ai beni del debitore.
E’ stato osservato che l'apporto del terzo non è una iniziativa parallela ed autonoma rispetto a quella concordataria, il che tra l'altro dovrebbe da un lato spingere giurisprudenza e dottrina a ricostruire quali siano gli improbabili rapporti diretti e specifici tra il terzo e i creditori dell'imprenditore, Per queste ragioni, dall’altro far rimeditare la tesi secondo la quale l'apporto del terzo, che abbia le caratteristiche di neutralità indicate, possa essere destinato a pagamenti in violazione dell'ordine delle cause di prelazione e della parità di trattamento.
10 . Creditori e rapporto tra rischi e benefici della continuità
Una ulteriore obiezione sollevata a sostegno della tesi rigorosa, ravvisabile anche in alcune decisioni di merito[22], si fonda sulla considerazione che non devolvere tutto il surplus della continuità ai creditori secondo l'ordine dei privilegi sarebbe come imporre ai creditori privilegiati (non integralmente soddisfatti) una sorta di "patto leonino" a loro discapito.
Al fine di escludere l’equiparazione alla finanza esterna dei risultati della continuità si afferma che, nel caso di prosecuzione dell'attività aziendale non sarebbe concepibile l'idea di addossare ai creditori (specie se privilegiati) il rischio della continuità senza contestualmente beneficiarli attraverso l'attribuzione delle potenzialità reddituali da essa scaturenti, poiché ciò equivarrebbe ad imporre loro una sorta di inammissibile "patto leonino".
Se è evidente che le posizioni di creditore e socio del soggetto insolvente non sono equiparabili, essendo il primo titolare di una pretesa destinata a transitare tale quale nella fase espropriativa o concordataria, mentre il secondo può vantare esclusivamente un diritto residuale e postergato di restituzione della quota. 
È altrettanto vero, però, osservano i sostenitori della tesi, che se la pretesa del creditore viene traslata in sede di concordato negli stessi termini in cui si pone quando l'impresa debitrice è in bonis, non parrebbe possibile, in assenza di un suo esplicito consenso sul punto, accollare al creditore stesso l'alea della prosecuzione dell'attività (l'incommodum) espropriandolo al tempo stesso del commodum, ossia del surplus concordatario, tanto più ogniqualvolta i fruitori del patto leonino non sono soggetti portatori di interessi paritari rispetto al creditore privilegiato degradato (come accadrebbe tra soci o azionisti), ma altri creditori meno garantiti (i chirografari), i quali si vedrebbero attribuito un vantaggio ex post, a scapito di altri titolari di crediti e in assenza di qualunque regola prestabilita[23]. 
11 . La tesi liberale - Falcidia dei creditori privilegiati fino al valore statico del bene o patrimonio oggetto della prelazione
Un orientamento alternativo, anch’esso ampiamente riscontrabile nella giurisprudenza di merito, principalmente mosso dalla concreta necessità di agevolare la risoluzione della crisi o insolvenza attraverso l'istituto concordatario, afferma che il concetto di “finanza esterna” o “nuova finanza”, dovrebbe essere interpretato secondo un’accezione estensiva, così sostanzialmente ritenendo già operativa la regola della priorità relativa.
La norma di cui all'art. 160, comma secondo, prima parte, l. fall. (e all’art. 85, comma settimo, CCII) viene interpretata nel senso di prevedere la facoltà per il debitore/proponente di falcidiare i creditori privilegiati (anche assistiti da privilegio generale) fino al limite massimo rappresentato dal valore statico del bene (o del patrimonio) oggetto della prelazione (così come quantificato nella relazione del professionista), non rilevando le voci attive che verranno ad esistenza nel corso del concordato, così come stimate e prospettate nel piano e oggetto di attestazione da parte del professionista (c.d. patrimonio dinamico o valore dinamico del bene, ossia quello integrato del surplus concordatario).
Quindi, non sarebbe necessario destinare tutto il surplus concordatario nello stretto rispetto della gerarchia definita dalla legge.
12 . (segue) a) purché i creditori di rango potiore siano soddisfatti "meglio" dei titolari di pretese di rango inferiore o, quantomeno, "non peggio"
Da tali premesse una prima soluzione predicata è che il divieto di alterare l'ordine gerarchico delle prelazioni comporterebbe, quindi, esclusivamente che l'esito della procedura non si traduca in un trattamento "peggiore" del creditore di rango potiore rispetto a quello di rango inferiore. 
In questa prospettiva, sarebbe possibile falcidiare i creditori privilegiati anche oltre il valore dinamico del bene o patrimonio oggetto della prelazione (ma fino al limite massimo costituito dal valore statico) purché, però, essi ricevano un trattamento migliore[24].
Ai creditori privilegiati dovrebbe essere riservato quindi, oltre al valore di liquidazione (statico) del bene o patrimonio sul quale insiste la prelazione ai sensi dell'art. 160, comma secondo (e dell’art. 85, comma settimo, CCII), anche una quota – ma non tutto - il surplus concordatario, tale per cui i creditori di grado potiore risultino soddisfatti meglio (o non peggio), quanto meno nell'ipotesi in cui il valore statico del bene/del patrimonio oggetto della garanzia non consenta da solo di superare la percentuale attribuita ai creditori di rango inferiore.
Il surplus concordatario viene così distribuito seguendo non il rigido ordine gerarchico delle priorità legali, ma secondo uno schema più flessibile, con interpretazione debole dell'ordine delle cause legittime di prelazione ispirata alla regola della relative priority rule europea. Non va comunque trascurato che come già osservato, la versione domestica della regola di priorità relativa si risolveva sul piano della condizione di ammissibilità della proposta concordataria, mentre la RPR europea opera ex post (cioè dopo la votazione) in quanto requisito per l'omologazione della proposta a fronte del dissenso di una classe[25].
13 . (segue) b) con libera distribuzione del surplus concordatario
La tesi liberale viene in alternativa portata alle sue estreme conseguenze, affermandosi che tutto ciò che eccede il valore statico dei beni (o del patrimonio) oggetto della prelazione sarebbe surplus liberamente distribuibile anche ai creditori chirografari, e che dunque i creditori di rango inferiore potrebbero anche essere pagati meglio dei creditori di rango superiore, grazie all'attribuzione del surplus
Anche il divieto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione, si osserva, troverebbe applicazione solo nei limiti del valore statico del bene o del patrimonio oggetto della prelazione e non con riguardo a quello dinamico[26].
14 . Argomenti a sostegno della tesi liberale
A sostegno delle tesi liberali si adducono in primo luogo argomenti di carattere letterale: l’uso del verbo "alterare" contenuto nell'art. 160, comma 2°, ult. frase, l. fall. (art. 85, comma 6°, l. fall.), il quale, secondo questa ricostruzione, non starebbe a indicare il divieto assoluto di pagare il creditore junior se il creditore senior non è stato soddisfatto integralmente ma solamente la necessità di non sovvertire l'ordine di graduazione dei crediti[27]. 
Ancora, si invoca la natura negoziale del concordato, il quale rappresenterebbe una soluzione di stampo privatistico alla crisi e all'insolvenza radicalmente alternativa rispetto alla liquidazione fallimentare, sì che l'art. 160, comma secondo l. fall. non potrebbe interpretarsi con la “lente” dell'art. 111 l. fall. (e del corrispondente art. 221 CCII)[28]. 
Vengono inoltre frequentemente spesi argomenti di ordine teleologico, valorizzandosi il profilo di flessibilità e duttilità dello strumento concordatario, che consentirebbe, mediante il riconoscimento di una utilità ai soddisfazione dei creditori strategici, la soluzione negoziata di crisi destinate al fallimento / liquidazione giudiziale, con detrimento del migliore interesse dei creditori[29].
L’ammissibilità della deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. viene da alcuni commentatori fatta derivare direttamente dal principio del miglior soddisfacimento dei creditori[30], criterio interpretativo generale della disciplina sul concordato in continuità. La funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori potrebbe dunque giustificare l’alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione non solo nel caso di prestazioni essenziali alla prosecuzione dell’attività (come espressamente disposto dall’art. 182-quinquies, comma 4, l.fall.), ma anche in tutti i casi in cui il pagamento di un credito di rango inferiore comporti una soddisfazione migliore per tutti gli altri creditori, cosicché il mancato pagamento si tradurrebbe per questi in un pregiudizio. 
L’orientamento fa leva sul dato letterale ricavabile dall'art. 186 bis, comma primo, l. fall. e, in particolare, sulla previsione per la quale "il piano può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa" (riferimento letterale non riprodotto nel CCII, ma comunque desumibile dal sistema, da cui si ricava il principio per il quale, nell'ambito del concordato in continuità, è consentito al debitore di conservare parte dei beni dell'impresa (quelli, appunto, funzionali alla continuità aziendale) anche in assenza di una soddisfazione integrale dei creditori. 
Tale previsione, con un successivo passaggio logico, viene ritenuta indice del fatto che la fattispecie di concordato con continuità aziendale integrerebbe un'ipotesi di limitazione legale di responsabilità ai sensi dell’art. 2740, comma secondo, c.c.[31]. Sarebbe la stessa legge che, accordando al debitore/proponente la possibilità di non destinare ai creditori, nell'ambito del concordato con continuità, tutti i beni del debitore, avrebbe introdotto, per questa tipologia di concordato, una deroga al principio di universalità della responsabilità patrimoniale del debitore e dunque, ponendosi il concordato preventivo con continuità al di fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 2740 c.c., non si applicherebbe nemmeno il principio per il quale tutti i beni del debitore, sia quelli presenti, sia quelli futuri, devono essere destinati alla soddisfazione dei creditori secondo l'ordine delle cause legittime di prelazione.
Infine, la configurabilità di regimi ispirati alla RPR anche nel vigente ordinamento viene tratta dalla previsione dell’art. 182-ter, comma 1, l.f., ove si stabilisce che, “[s]e il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore”. Nella transazione fiscale in ambito concordatario, si osserva, non solo il credito privilegiato di rango superiore non va soddisfatto integralmente, prima di poter soddisfare il credito di rango inferiore, il che significa consentire la distribuzione dei flussi della continuità secondo la regola di priorità relativa, ma è sufficiente che sia soddisfatto nella stessa misura del creditore privilegiato di grado inferiore[32].
15 . La finanza esterna nella tesi liberale
Anche nella prospettiva “liberale” la funzionalità al miglior interesse dei creditori non può derogare al giudizio di comparazione tra il risanamento economico della proposta in continuità e quello derivante dallo scenario alternativo della liquidazione fallimentare, imposto dall’art. 160, secondo comma l.fall.
Comune alle tesi liberali è piuttosto l’accento che si pone sulla circostanza che tale valutazione comparativa debba essere effettuata al momento di apertura della procedura di concordato, e dunque tenendo conto della sola massa attiva esistente in quel momento.
È stato evidenziato a tale proposito che la garanzia patrimoniale prevista dall'art. 2740 c.c. si estende sul patrimonio del debitore solo nei limiti in cui esso sia concretamente (e forzosamente) liquidabile considerando, nella fattispecie del going concern, la valutazione dell'azienda a quella data. Può, pertanto, essere oggetto di garanzia a favore dei debitori il solo patrimonio liquidabile senza la volontà collaborativa del debitore mentre il surplus resterà[33] al debitore stesso, che potrà utilizzarlo anche distribuendolo discrezionalmente ai creditori[34].
Dalla premessa secondo cui il valore di realizzo dei beni costituiti in garanzia cambia significativamente a seconda che ci si collochi nell'ottica di una liquidazione fallimentare ovvero in quella di continuità aziendale", si fa discendere la conseguenza per cui ai creditori privilegiati debba essere riconosciuto solo il valore dei beni nella prospettiva della liquidazione fallimentare: il quid pluris realizzabile in caso di continuità viene considerato come sottratto al concorso e liberamente destinabile al ceto chirografario[35].
Una particolare figura di apporto del terzo è quella stata identificata dal Tribunale di Milano[36] in una peculiare fattispecie.
Pur muovendo considerazione per cui i flussi della continuità sono comunque generati dalla residua capacità patrimoniale del debitore, e dunque sono utilizzabili esclusivamente nel rispetto della regola dell’art. 2741 c.c., si è affermato che, al contrario, laddove tali flussi siano resi possibili da una prosecuzione aziendale resa a propria volta possibile unicamente dall’apporto di risorse esterne da parte di un terzo, allora essi, in quanto generati da una finanza esterna, ne erediterebbero i caratteri, e risulterebbe, quindi, liberamente distribuibili. 
Ciò in quanto in assenza dell’apporto del terzo, detti flussi non esisterebbero, e conseguentemente le cause di prelazione - in primis il privilegio generale mobiliare - non avrebbero oggetto alcuno su cui esercitarsi.
Unica obiezione a tale affermazione[37], che pure è di assoluta coerenza in punto teorico, è che nella pratica può essere molto complesso determinare se la prosecuzione dell'attività aziendale sia resa possibile esclusivamente da apporti esterni, o se invece gli apporti esterni la facilitino e la supportino, senza che una qualche prosecuzione possa essere tassativamente esclusa in loro assenza. Inoltre, pare anche piuttosto singolare che l’apporto del terzo possa produrre nell'arco del piano flussi di gran lunga superiori all'apporto stesso, da assimilare alla finanza esterna e quindi distribuibili discrezionalmente ai creditori e sottratti alla disciplina dell'art. 2741 c.c.
16 . Il Decreto legislativo di recepimento della Direttiva Insolvency
In data 18 marzo 2022 il Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo di recepimento della Direttiva (UE) 2019/1023, che ha apportato rilevanti modifiche (anche) alla disciplina del concordato preventivo in continuità aziendale, che offrono maggiore libertà di azione dell’imprenditore, valorizzano il consenso dei creditori e riducono, in un’ottica di efficienza e rapidità del processo di ristrutturazione, il ruolo del tribunale.
Tra le più rilevanti innovazioni vi è, per l’appunto, quella avente ad oggetto la distribuzione dell’attivo concordatario, con l’introduzione della regola della priorità relativa.
È sintomatico che il nuovo art. 47 del CCII, che disciplina l’apertura del concordato preventivo, distingua “per tipi di concordato” i criteri che devono ispirare il giudizio di ammissibilità.
Si prevede infatti che il tribunale verifichi (comma 1, lett. a), “in caso di concordato liquidatorio, l’ammissibilità della proposta e la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine del medesimo a raggiungere gli obiettivi prefissati e che (comma 1, lett. b) “in caso di concordato in continuità aziendale, la ritualità della proposta” con il limite che “La domanda di accesso al concordato in continuità aziendale è comunque inammissibile se il piano è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori, come proposta dal debitore, e alla conservazione dei valori
aziendali”.
Ancora, il nuovo comma 5-bis dell’art. 53 del Codice, in attuazione di quanto contemplato dall’art. 16 della direttiva, prevede che “In caso di accoglimento del reclamo proposto contro la sentenza di omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale, la corte d’appello, su richiesta delle parti, può confermare la sentenza di omologazione se l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante, riconoscendo a quest’ultimo il risarcimento del danno”.
Alla finalità della migliore soddisfazione dei creditori, considerata la stella polare del concordato preventivo, in consonanza con i principi che governano la direttiva, si affiancano con tutta evidenza, quali obiettivi di pari rango, la conservazione dell’azienda e l’interesse al mantenimento dei livelli occupazionali. 
D’altro canto l’art. 4, par. 1, della direttiva, nell’enunciare le finalità dell’accesso alla ristrutturazione preventiva, menziona solo quella di impedire l’insolvenza e assicurare la sostenibilità economica del debitore, che a sua volta consente anche di “tutelare i posti di lavoro e preservare l’attività imprenditoriale”, mentre difetta un esplicito riferimento al soddisfacimento dei creditori[38].
Non appare dunque indifferente che nel nuovo primo comma dell’art. 84 CCII il soddisfacimento dei creditori, pur permanendo quale principale finalità del concordato preventivo, venga garantito “in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale mediante la continuità aziendale”, con formula che anticipa la dirompente novità che segue. 
17 . Le nuove regole distributive: introduzione della RPR
L’articolo 19 del decreto legislativo modifica radicalmente la disciplina del concordato preventivo, al fine di armonizzarla con le disposizioni degli articoli 9, 10 e 11 della direttiva. 
L'articolo 84 del codice viene integralmente sostituito, nella rubrica (ora “Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano”) e nel contenuto. 
Come esplicato nella Relazione illustrativa, la norma modificata contiene al suo interno, innanzitutto, la descrizione della funzione del concordato preventivo, come “concordato che realizzi, sulla base di un piano avente il contenuto di cui all’articolo 87, il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale mediante la continuità aziendale, la liquidazione del patrimonio, l’attribuzione delle attività ad un assuntore o in qualsiasi altra forma”.
Vengono poi descritte le diverse forme di concordato utilizzabili partendo dal concordato in continuità aziendale (comma 2).
In particolare, sono analiticamente indicate le condizioni di soddisfazione dei creditori nel concordato in continuità, con eliminazione, ai fini qualificatori del tipo di concordato, del criterio della prevalenza quantitativa contenuto nell’attuale disciplina (comma 3).
Il comma 5, infine, riprende la disposizione vigente dell’art. 160, secondo comma, l.fall, sulla possibilità di pagamento non integrale dei creditori privilegiati e sul declassamento al chirografo della parte incapiente ed il comma 6 recepisce, per il concordato in continuità aziendale, la regola della priorità relativa sulla parte di valore del patrimonio generata dalla prosecuzione dell’attività con la quale è stato attuato l’articolo 11, paragrafo 1, lettera c) della direttiva. 
La Relazione illustrativa precisa che “la regola di distribuzione contenuta nel comma 6 dell’articolo 84 detta due principi distinti da osservare nella ripartizione dell’attivo concordatario e che dipendono dalla natura delle risorse distribuite. Essa prevede, in particolare, che il valore di liquidazione dell’impresa sia distribuito nel pieno rispetto delle cause legittime di prelazione e cioè secondo la regola della priorità assoluta (che impedisce la soddisfazione del creditore di rango inferiore se non vi è stata la piena soddisfazione del credito di grado superiore) mentre il valore ricavato dalla prosecuzione dell’impresa, il c.d. plusvalore da continuità, può essere distribuito osservando il criterio della priorità relativa (secondo il quale è sufficiente che i crediti di una classe siano pagati in ugual misura rispetto alle classi di pari grado e in misura maggiore rispetto alla classe di rango inferiore)”. 
Chiarisce infine la Relazione che “Nel recepire la regola della priorità relativa (c.d. RPR) non ci si è avvalsi della deroga consentita dal paragrafo 2 dell’articolo 11 della direttiva”.
Il testo dei nuovi commi richiamati dispone pertanto che “5. I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, possono essere soddisfatti anche non integralmente, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente. La quota residua del credito è trattata come credito chirografario”. e che “6. Nel concordato in continuità aziendale il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; per il valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore”.
Il nuovo settimo comma detta quindi disposizioni a tutela dei lavoratori in attuazione dell’articolo 13 della direttiva e della più generale “clausola di non regresso”, di matrice comunitaria, secondo la quale ogni intervento normativo che incide sui diritti dei lavoratori non può determinare una riduzione delle garanzie e dei diritti già garantiti dal singolo ordinamento nazionale. 
Pertanto, residua una isola di applicazione obbligatoria della regola della priorità assoluta, per cui ai crediti da lavoro subordinato privilegiati ai sensi dell’art. 2751-bis c.c. si applica la regola della priorità assoluta, sia sul valore di liquidazione, sia sul valore di continuità e fa salvi le prestazioni pensionistiche garantite dall’articolo 2116 del codice civile, in attuazione dell’articolo 1, paragrafo 6 della direttiva.
Va inoltre rilevato che il nuovo art. 85, terzo comma, del Codice della Crisi prevede che, nel concordato in continuità aziendale la suddivisione in classi è “in ogni caso obbligatoria” e, in particolare, dispone l’obbligatoria suddivisione in classi autonome dei creditori privilegiati quando il loro pagamento sia previsto oltre i termini indicati dal (nuovo) articolo 109, comma 5, del CCII, ipotesi in cui essi sono considerati sempre parti interessate, anche per la parte privilegiata.
Dispone la norma da ultimo richiamata che “I creditori muniti di diritto di prelazione non votano se soddisfatti in denaro, integralmente, entro centottanta giorni dall’omologazione, e purché la garanzia reale che assiste il credito ipotecario o pignoratizio resti ferma fino alla liquidazione, funzionale al loro pagamento, dei beni e diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Nel caso di crediti assistiti dal privilegio di cui all’articolo 2751-bis, n. 1, del codice civile, il termine di cui al quarto periodo è di trenta giorni. Se non ricorrono le condizioni di cui al primo e secondo periodo, i creditori muniti di diritto di prelazione votano e, per la parte incapiente, sono inseriti in una classe distinta”.
Si legge nella Relazione illustrativa che “La qualificazione dei creditori muniti di diritto di prelazione non integralmente soddisfatti quali parti interessate dal piano, con conseguente diritto di voto, rappresenta una regola innovativa per il nostro ordinamento, nel quale il creditore privilegiato non vota se non per la parte incapiente degradata al chirografo o alle condizioni previste in caso di moratoria dall’attuale articolo 86” e che la previsione è stata “introdotta in quanto strettamente funzionale alla piena attuazione delle regole della ristrutturazione trasversale previste nell’articolo 11 della direttiva ed in particolare della definizione di “parti interessate” di cui all’articolo 2, paragrafo 1 n. 2, e di quanto disposto dall’articolo 11, paragrafo 1, lettera a)”.
La scelta del legislatore delegato, si osserva nella Relazione, è ispirata dalla considerazione che “il considerare sempre i creditori privilegiati quali parti interessate aventi diritto di voto imporrebbe, nel concordato in continuità, in cui la formazione delle classi è obbligatoria, la predisposizione di classi distinte per ciascun grado di privilegio. Ciò significa che, considerato l’ingente numero delle cause legittime di prelazione esistenti nell’ordinamento nazionale, le proposte di concordato in continuità diverrebbero ancor più complesse da predisporre (per il debitore, o per i creditori ed i soci in caso di proposte concorrenti) e da verificare (per il commissario giudiziale e per il tribunale), rendendo la procedura più lunga e farraginosa. La disposizione in esame dunque propone una soluzione di compromesso che da un lato fa salvo il sistema attuale e, dall’altro, persegue gli obiettivi di agevolazione della ristrutturazione che ispirano e permeano di sé la direttiva”.
Infine, l’ultimo comma dell’articolo 85 riproduce il disposto dell’attuale comma 6 dello stesso articolo, per cui “il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione”, ma facendo salve le disposizioni dell’articolo 84 sulla regola di distribuzione della priorità relativa, che dunque viene – con rilevanza sistematica – qualificata esplicitamente come eccezione, nell’ambito del concordato in continuità aziendale, al principio di cui all’art. 2741 c.c.
Risolta così, con nitida chiarezza, la questione della distribuzione del plusvalore della continuità, ci si dovrà ancora chiedere se la “finanza esterna” c.d. pura, nella accezione di “apporto neutrale del terzo”, come delimitata dalla S.C. nelle pronunce ora richiamate, possa ritenersi di libera distribuzione (come parrebbe, a contrario, a prima lettura) ovvero se tali valori debbano comunque essere computati al fine di verificare il rispetto (complessivo) della regola di priorità relativa.
18 . Regola di priorità relativa e giudizio di omologazione: la ristrutturazione trasversale
L’articolo 24 del decreto legislativo modifica, per quanto qui rileva, l’articolo 112 del Codice della crisi, che detta la disciplina del giudizio di omologazione precisando il contenuto delle verifiche compiute dal tribunale - a seconda che il concordato sia in continuità aziendale o meno - (comma 1) e, in particolare, le regole della omologazione tramite ristrutturazione trasversale prevista dall’articolo 11, paragrafo 1, lettere a) e b) della direttiva (comma 2) e del giudizio di convenienza previsto dalla lettera c) del paragrafo 1 dell’articolo 11 citato (comma 3).
Viene dunque previsto che il tribunale in sede di omologa verifichi, in primo luogo la regolarità della procedura, l'esito della votazione, l'ammissibilità della proposta, la corretta formazione delle classi;
la parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe, e quindi (lett. f del primo comma dell’art. 112) “in caso di concordato in continuità aziendale, che tutte le classi abbiano votato favorevolmente, che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza e che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori” mentre “in ogni altro caso, la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati”.
La regola della priorità relativa trova la sua manifesta espressione nella applicazione del c.d. cross class cram-down: l’art. 112, comma secondo dispone che “Nel concordato in continuità aziendale, se una o più classi sono dissenzienti, il tribunale, su richiesta del debitore o con il consenso del debitore in caso di proposte concorrenti, omologa altresì se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; b) il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall’articolo 84, comma 7[39]; c) nessun creditore riceve più dell’importo del proprio credito; d) la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”: si tratta della classi cd. in the money, per tali intendendosi quelle che riceverebbero (o si può ragionevolmente presumere che riceverebbero) una qualche soddisfazione applicando l’ordinaria graduazione dei crediti al valore di continuità dell’impresa.
Da quanto ora rilevato – in risposta al quesito supra formulato - consegue che, secondo la RPR “all’italiana” la libera distribuzione del surplus nel concordato preventivo in continuità d’azienda non è assoluta, ma incontra comunque un limite nell’obbligo di assicurare alle classi di creditori potiori un trattamento – complessivamente – migliore.
La discrezionalità assoluta ha trovato invece spazio nel nuovo strumento del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione previsto dal – neo introdotto - articolo 64-bis del Codice (comma 1, lettera b), attuativo dell'articolo 11, paragrafo 1, della direttiva, che richiede la previsione di un quadro di ristrutturazione che può prescindere dalle regole distributive delle procedure concorsuali, ma che può essere omologato solo se approvato da tutte le parti interessate in ciascuna classe di voto: dispone infatti l’articolo richiamato che, nell’ipotesi di approvazione unanime delle classi, il ricavato del piano possa essere distribuito “anche in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile”, con una soluzione dal forte impatto anche in termini di principi generali delle obbligazioni.
19 . Distribuzione del plusvalore concordatario ai soci
Da ultimo, l’articolo 25 del decreto legislativo introduce nel Capo III, del Titolo IV della Parte Prima del Codice delle crisi la Sezione VI-bis che detta disposizioni specifiche sull’accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva da parte delle società, introducendo gli articoli da 120-bis a 120-quinquies, che recepiscono i principi dettati dall’articolo 12 della direttiva e che intendono favorire l’utilizzo delle procedure di ristrutturazione da parte della società quale forma più diffusa di impresa
interessata dalla ristrutturazione.
La maggiore redditività degli strumenti di ristrutturazione in continuità aziendale (specie se diretta) rispetto a quelli meramente liquidatori ha ispirato la concentrazione degli sforzi del legislatore europeo sui primi, che la direttiva mira ad incentivare anche attraverso un maggior coinvolgimento dei soci, stimolandoli ad investire nella prosecuzione dell’attività imprenditoriale in vista di una possibile partecipazione al valore della continuità, inteso come valore di lungo termine dell’impresa, che, come si legge nel Cons. 49, di norma è superiore al valore di liquidazione, “poiché si basa sull'ipotesi che l'impresa continua la sua attività con il minimo di perturbazioni, ha la fiducia dei creditori finanziari, degli azionisti e dei clienti, continua a generare reddito e limita l'impatto sui lavoratori”[40].
A tale fine l’articolo 120-quater integra la disciplina di distribuzione del plusvalore concordatario, prevedendo la possibilità di attribuzioni ai soci e dettando i principi applicabili in caso di omologazione del concordato se il piano prevede tale opzione. 
Le previsioni generali in materia di ristrutturazione trasversale vanno in tal caso integrate per regolare il modo in cui le regole sulla distribuzione del plusvalore da ristrutturazione debbano applicarsi rispetto ai soci.
In primo luogo, non è agevole individuare cosa costituisca trattamento più o meno favorevole rispetto a classi di creditori, non essendo i soci titolari di un diritto di credito. L’art. 120-quater, secondo comma, dispone a tale riguardo che “Per valore riservato ai soci si intende il valore effettivo, conseguente all’omologazione della proposta, delle loro partecipazioni e degli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle, dedotto il valore da essi eventualmente apportato ai fini della ristrutturazione in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto oppure, per le imprese minori, anche in altra forma”.
Tanto precisato, come evidenziato della Relazione illustrativa, “occorre dunque “misurare” il trattamento riservato ai soci, tenendo conto che l’obiettivo della normativa è quello di permettere che il tribunale possa omologare il quadro, nonostante il dissenso di una o più classi, se il valore di liquidazione del patrimonio è distribuito tra i creditori secondo la regola di priorità assoluta e il plusvalore da continuità è assegnato, ai creditori ed eventualmente ai soci, in una misura tale che il trattamento riservato a ciascuna delle classi dissenzienti sia almeno pari a quello delle classi di pari rango e più favorevole di quello riservato alle classi inferiori. 
Tale criterio risulta tuttavia inapplicabile in caso di dissenso dell’unica classe di creditori collocata al rango immediatamente superiore a quello dei soci; per tale ragione, nell’ultimo periodo del primo comma si prevede che, in questo solo caso, al fine di verificare il rispetto delle suddette regole, il valore assoluto destinato a tale classe debba essere superiore a quello riservato ai soci. 
Si riporta il testo del nuovo art. 120-quater, primo comma: “Fermo quanto previsto dall’articolo 112, se il piano prevede che il valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato anche ai soci anteriori alla presentazione della domanda, il concordato, in caso di dissenso di una o più classi di creditori, può essere omologato se il trattamento proposto a ciascuna delle classi dissenzienti sarebbe almeno altrettanto favorevole rispetto a quello proposto alle classi del medesimo rango e più favorevole di quello proposto alle classi di rango inferiore, anche se a tali classi venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci. Se non vi sono classi di creditori di rango pari o inferiore a quella dissenziente, il concordato può essere omologato solo quando il valore destinato al soddisfacimento dei creditori appartenenti alla classe dissenziente è superiore a quello complessivamente riservato ai soci”. 
Il secondo comma sottrae alle regole in materia di distribuzione del valore, e alle conseguenti limitazioni, il mantenimento di una partecipazione dei soci che sia conseguente a nuovi conferimenti e, solo nel caso di imprese minori, anche di nuovi apporti dei soci in forma diversa da quella del conferimento o del versamento a fondo perduto, come previsto dal Cons. 59 della direttiva. 
Il terzo comma attribuisce ai soci la tutela del c.d. “diritto di proprietà”, sotto forma di diritto al mantenimento dell’eventuale valore di liquidazione della partecipazione: è previsto infatti che essi possano opporsi all’omologazione del concordato al fine di far valere il pregiudizio subito rispetto all’alternativa liquidatoria.
Il comma 4 dà quindi attuazione all’articolo 2, par. 1, n. 9) della direttiva, che consente l’accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva a tutti gli “imprenditori”, per tali tuttavia intendendosi tutte le persone fisiche che esercitano “un'attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale”. La norma sulla distribuzione del valore ai soci trova dunque applicazione, seppur parziale e nei limiti della compatibilità, anche al valore riservato al debitore nella ristrutturazione di attività svolta da imprese non societarie.
Infine, va ricordato che l’articolo 120-ter prevede la possibilità del classamento dei soci, rendendolo obbligatorio nel caso in cui vengano incisi direttamente i loro diritti e in ogni caso per le grandi imprese e per le società a capitale diffuso: in presenza di diritti diversi riconosciuti ai soci dallo statuto originario o come modificato a seguito della ristrutturazione, il classamento richiede la formazione di una pluralità di classi corrispondenti. 
La formazione delle classi consente ai soci di esprimere il diritto di voto sulla proposta, in misura proporzionale alla partecipazione al capitale e indipendentemente dai diritti di voto loro riconosciuti dallo statuto. I soci votano secondo le regole previste per l’espressione del voto da parte dei creditori, con l’unica differenza che, con riguardo ai soci e in relazione al loro possibile e razionale disinteresse, opera un meccanismo di silenzio assenso.

Note:

[1] 
Per un quadro approfondito degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali si fa rinvio a G. D’Attorre, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, in Fallimento, 2020, 1071; G. Ballerini, Art. 160, comma 2°, l. fall. (art. 85 c.c.i.i.), surplus concordatario e soddisfazione dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2021, 625, e riferimenti ivi.
[2] 
Cfr. A. Guiotto, Destinazione dei flussi di cassa e gestione dei conflitti d'interessi nel concordato preventivo con continuità aziendale, in Fallimento, 2019, 1087.
[3] 
Così G. Ballerini, The priorities dilemma in the EU preventive restructuring directive: Absolute or relative priority rule?, in Insolvency Review, https://0-doi-org/10.1002/iir.1399, 2020, p. 1 ss.
[4] 
Esplorano la possibilità di superare l'art. 2740 c.c. quale ostacolo alle proposte di concordato con attribuzione di utilità al debitore G. Ferri jr., La struttura finanziaria della società in crisi, in Riv. dir. soc., 2012, 477 ss.; G. D'Attorre, Le utilità conseguite con l'esecuzione del concordato spettano solo ai creditori o anche al debitore?, in Fallimento, 2017, 316 ss.
[5] 
Così A. Guiotto, Destinazione dei flussi di cassa e gestione dei conflitti d'interessi nel concordato preventivo con continuità aziendale, cit., in Fallimento, 2019, 1087.
[6] 
Cfr. P. Vella, La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale, cit., in www.ilcaso.it, 1° gennaio 2022.
[7] 
V. A. Bassi, La «finanza esterna» nel concordato preventivo tra finanziamento del debitore e finanziamento della iniziativa, Giur. Comm., 2019, 181.
[8] 
Cfr. D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine, in Riv. Società, 2018, 858 ss.
[9] 
Cfr. D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine, in Riv. Società, 2018, 858 ss.
[10] 
Cfr. G. Ballerini, Art. 160, comma 2°, l. fall. (art. 85 c.c.i.i.), surplus concordatario e soddisfazione dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, cit., in Nuove Leggi Civ. Comm., 2021, 625.
[11] 
V. G. D’Attorre, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, cit., in Fallimento, 2020, 1071, e rif. ivi.
[12] 
La tesi è così esposta da M. Fabiani, Fallimento e concordato preventivo, II, Concordato preventivo, in Commentario Scialoja-Branca-Galgano, Bologna-Roma, 2014, 243 ss.
[13] 
Trib. Padova 24 gennaio 2019, in Dir. fall., 2020, 865; in termini analoghi v. ex multis Trib. Rimini 10 maggio 2018, in www.ilcaso.it; Trib. Milano 15 dicembre 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Belluno 17 febbraio 2017, in www.ilcaso.it; App. Venezia 12 maggio 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Bergamo 26 settembre 2013, in www.ilfallimentarista.it; Trib. Milano 4 ottobre 2012, consultabile al sito www.ilcaso.it.
[14] 
Trib. Monza, 23 settembre 2020, in Fallimento, 2021, 278.
[15] 
Trib. Milano, 22 dicembre 2020, in Fallimento, 2021, 279.
[16] 
Trib. Catania 24 luglio 2019, in www.DeJure.it.
[17] 
Cass. 8 giugno 2012, n. 9373, in Fallimento, 2012, 1409 cc., con nota di D. Bianchi, L'utilizzo della nuova finanza e il necessario rispetto dell'ordine legale delle prelazioni.
[18] 
Cfr. Cass. Civ. 19 novembre 2018, n. 29742, in Foro it., 2019, I, 145, al punto 3.3.3.
[19] 
Cass. 27 dicembre 2019, n. 34539, in Fallimento, 2020, 1425 con nota di M. Cataldo, Partecipazione dei soci postergati al concorso dei creditori e ammissibilità di una proposta di concordato preventivo che ne preveda il pagamento.
[20] 
Cass. 8 giugno 2020, n. 10884, in Fallimento, 2020, 1071, con nota di G. D’Attorre, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule.
[21] 
La ricostruzione è ampiamente tributaria dello studio di A. Bassi, La «finanza esterna» nel concordato preventivo tra finanziamento del debitore e finanziamento della iniziativa, cit., in Giur. Comm., 2019, 181.
[22] 
App. Torino, 31 agosto 2018 (decr.) in Fallimento, 2019, 377, con nota di M. Terenghi, "Finanza esterna", ordine delle cause di prelazione e flussi di cassa nel concordato con continuità; Trib. Milano 15 dicembre 2016, in www.ilcaso.it; v. anche G. Ballerini, Art. 160, comma 2°, l. fall. (art. 85 c.c.i.i.), surplus concordatario e soddisfazione dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, cit., in Nuove Leggi Civ. Comm., 2021, 62.5.
[23] 
Cfr. D. Vattermoli, Concordato con continuità aziendale. Absolute priority rule e new value exception, in Riv. dir. comm., 2014, 331 ss.
[24] 
Nel senso indicato v. App. Torino 14 ottobre 2010, in Fallimento, 2011, p. 349 ss.; Trib. Torre Annunziata 29 luglio 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Arezzo 17 settembre 2009, in www.DeJure.it; Trib. Rovereto 13 ottobre 2014 e Trib. Milano 8 novembre 2016, entrambe in www.ilcaso.it; di particolare interesse è App. Venezia, ord. 28 settembre 2020, n. 2576, in Fallimento, 2021, 995, con nota di G. Macagno, ove la qualificazione e la destinazione, nell’ambito del concordato in continuità aziendale, dei flussi di cassa generati dalla prosecuzione dell’attività aziendale, vengono trattati come “nuova finanza endogena” e quindi di libera destinazione, ma nelle pieghe della motivazione tale netta affermazione viene temperata dalla considerazione che, comunque, “la costruzione del concordato proposto (...) non esclude che i flussi della continuità siano comunque destinati ai creditori in funzione del soddisfacimento delle loro ragioni creditorie”: ciò al dichiarato fine di evitare un aperto contrasto con quanto affermato a tale riguardo dalla Suprema Corte.
[25] 
v. G. Ballerini, Art. 160, comma 2°, l. fall. (art. 85 c.c.i.i.), surplus concordatario e soddisfazione dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, cit., in Nuove Leggi Civ. Comm., 2021, 625.
[26] 
In questo senso v. App. Venezia 19 luglio 2019, in Dir. fall., 2020, II, 11,; Trib. Torino 25 gennaio 2017, in www.ilcaso.it (con riferimento a un concordato con continuità aziendale diretta); Trib. Milano 8 novembre 2016, in www.ilcaso.it (con riferimento a un concordato con continuità aziendale diretta); Trib. Treviso 13 novembre 2015, in www.ilcaso.it (con riferimento a un concordato con continuità aziendale indiretta); Trib. Treviso 25 marzo 2015, in www.ilcaso.it (con riferimento a un concordato liquidatorio); Trib. Rovereto 13 ottobre 2014, in www.ilcaso.it (in relazione a un concordato con continuità aziendale), per il quale va considerata "nuova finanza" tutto l'apporto finanziario che deriva dal concordato, quale che ne sia la fonte, diverso da quello ricavabile dalla liquidazione del patrimonio a valore di mercato […]. In tale ottica, va considerata nuova finanza anche l'utile che derivi dalla continuità aziendale"; di recente v. Trib. Verona, 22 gennaio 2021, in www.fallimentiesocietà.it.
[27] 
Cfr. Peracin, Concordato preventivo e cessio bonorum con classi: trattamento dei creditori privilegiati generali e inquadramento giuridico del «vantaggio differenziale», in Dir. fall., 2011, I, pp. 51 e 54, nt. 41.
[28] 
Trib. Torre Annunziata 29 luglio 2016, in www.ilcaso.it.
[29] 
Per Trib. Prato 8 ottobre 2015, in www.ilcaso.it, "l'utile generato dalla prosecuzione dell'attività di impresa costituisce un beneficio aggiuntivo che può essere liberamente distribuito ai creditori", in applicazione del "principio del miglior soddisfacimento dei creditori, che deve considerarsi il criterio interpretativo generale della nuova disciplina sul concordato in continuità”.
[30] 
Cfr. F. Rasile - C. Passerini, Destinazione dei flussi derivanti dalla continuità aziendale e dei frutti dell’immobile gravato da ipoteca, in www.ilfallimentarista.it, 12 agosto 2020.
[31] 
Così Trib. Firenze 2 novembre 2016, in Fall., 2017, 313; Trib. Massa 4 febbraio 2016, in www.ilcaso.it (con riferimento a un concordato con continuità diretta), secondo cui "le risorse liberate per mezzo dei ricavi generati dalla continuità aziendale non configurano attivo patrimoniale vincolato alla distribuzione secondo i principi di cui agli artt. 2740, 2741 c.c.".
[32] 
Cfr. A. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in www.dirittodellacrisi.it, 2022; G. Andreani – A. Tubelli, Transazione fiscale: natura e utilizzo dei flussi di cassa generati dalla continuità, in Fisco, 2021, 307.
[33] 
Cfr. M. Fabiani, La struttura finanziaria del concordato preventivo, Bologna, 2019, 218.
[34] 
V. A. Pezzano, M. Ratti, La finanza "terza" e "nuova" nella prospettiva riformatrice, in www.osservatoriooci.org, 13 dicembre 2017 17 ss.; F. Clemente - D. Donadoni, Concordato preventivo, pagamento parziale ai privilegiati e finanza esterna, in www.ilfallimentarista.it 2017, 5; G. D'Attorre, Le utilità conseguite con l'esecuzione del concordato in continuità spettano solo ai creditori o anche al debitore?, cit., in Fallimento, 2017, 325 ss.
[35] 
Così R. Ranalli, La soddisfazione parziale dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Fallimento, 2014, 1350.
[36] 
Cfr. Trib. Milano 5 dicembre 2018, in Fall., 2019, p. 1087 ss., spec. p. 1090 s.
[37] 
Cfr. A. Guiotto, Destinazione dei flussi di cassa e gestione dei conflitti d'interessi nel concordato preventivo con continuità aziendale, cit., in Fallimento, 2019, 1087.
[38] 
Cfr. P. Vella, La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale, cit., in www.ilcaso.it, 1° gennaio 2022.
[39] 
A tutela dei crediti da lavoro subordinato, v. supra.
[40] 
Cfr. P. Vella, La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale, cit. in www.ilcaso.it, 1° gennaio 2022.

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