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Saggio

L'omologazione del concordato in continuità non approvato*

Matteo Binelli, Avvocato in Mantova

27 Dicembre 2022

L'Autore analizza i presupposti per l'omologazione di un concordato che non abbia ottenuto il voto favorevole di tutte le classi dei creditori, esaminando l'art. 112, comma 2, CCII, soffermandosi sui riferimenti normativi al valore di liquidazione ed al valore eccedente quello di liquidazione ed alle molteplici criticità interpretative della norma.
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1 . Il concordato in continuità omologato ex art. 112, comma 2, CCII
Come è stato da più parti osservato il concordato preventivo in continuità è uno degli strumenti di regolazione della crisi d'impresa che il nuovo Codice della crisi si sforza di privilegiare attraverso una serie di disposizioni che ne rendono più agevole l'omologazione sia rispetto alle previsioni contenute nella legge fallimentare per l'omonimo istituto, sia rispetto a soluzioni alternative quali, ad esempio, il concordato liquidatorio o il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (art. 64 bis CCII)[1].
Una delle norme chiave per apprezzare tale favor legislativo[2] e prefigurare quali potranno essere gli obiettivi concreti delle proposte concordatarie è senza dubbio l'art. 112, comma 2[3], che disciplina i presupposti per ottenere l'omologa di una proposta di concordato in continuità che non abbia conseguito il voto favorevole di tutte le classi di creditori[4]. 
Ma l'ipotesi di un unanime voto favorevole delle classi, se non può considerarsi di scuola, di certo non sarà molto frequente e soprattutto non potrà considerarsi scontata in fase di prognosi, quando cioè l'imprenditore dovrà costruire la propria proposta concordataria e definire il classamento dei creditori. 
Tanto più che allorchè sia davvero verosimile prevedere un voto favorevole da parte di tutte le classi di creditori, l'imprenditore sarà più propenso ad optare per un piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) che presenta meno vincoli ed oneri rispetto ad un concordato in continuità e consente tra l'altro di distribuire il “valore generato dal piano” sia in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. che alle norme che regolano la graduazione delle cause legittime di prelazione[5].
Per queste ragioni è prevedibile che l'omologa conseguita dall'imprenditore ai sensi dell'art. 112, comma 2, costituirà per molte imprese l'obiettivo più realistico a cui tendere ed il modo più frequente per giungere all'omologazione di un concordato in continuità[6]. 
Chiarita la presumibile centralità che essa assumerà nel sistema è indispensabile aggiungere che si tratta di una norma in cui la complessità tecnica del diritto della crisi risalta in modo particolare[7], ponendo all'interprete una serie di questioni che avranno necessità di qualche tempo per essere assimilate e risolte in modo, si auspica, univoco e chiaro da parte della giurisprudenza.
2 . La mancata approvazione del concordato in continuità non ostacola l'omologazione
Il concordato in continuità – ormai superata, grazie a quanto previsto dall'art. 84, comma 2, ogni questione sulla natura diretta o indiretta, prevalente o meno della continuità[8] – si intende approvato quando sia stato votato favorevolmente da tutte le classi nelle quali il ceto creditorio è stato suddiviso. Con la particolarità che si considera favorevole il voto non solo quando vi sia l'assenso della maggioranza assoluta dei crediti aventi diritto, ma anche allorché abbia votato una quota pari ad almeno la metà dei crediti della classe (quorum partecipativo) ed il voto sia favorevole per almeno i due terzi dei crediti votanti (quorum deliberativo)[9].
In altre parole, affinché si consideri favorevole il voto di una classe può accadere che abbiano votato a favore i due terzi della metà dei crediti aventi diritto e quindi solo il 33% dei crediti che la compongono.
Se tale risultato minimo si ottiene in tutte le classi, il concordato si intende senz'altro approvato (art. 109, comma 5).
Ma quando a un simile risultato non si giunga, è comunque possibile per l'imprenditore chiedere l'omologazione sempre che ricorrano le condizioni di cui all'art. 112, comma 2.
Il legislatore però esclude che in assenza di consenso unanime delle classi il concordato possa ritenersi approvato[10] per cui si può certamente parlare dell'omologazione di un concordato in continuità non approvato[11]. Esito che allontana sempre di più questo strumento di risoluzione della crisi di impresa da un accordo tra l'imprenditore in difficoltà ed i creditori e quindi dalla possibilità di attribuirgli anche solo in senso lato una natura contrattuale[12].
Le condizioni imposte dal comma 2 dell'art. 112 per omologare un concordato in continuità non approvato (nell'accezione sopra richiamata) sono le seguenti:
a) rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione per la distribuzione del valore di liquidazione;
b) distribuzione del valore eccedente quello di liquidazione in modo che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari alle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto alle classi di grado inferiore;
c) divieto di soddisfazione di creditori in misura superiore al dovuto;
d) approvazione della proposta dalla maggioranza delle classi purché almeno una sia formata da creditori prelatizi
oppure
in mancanza, approvazione della proposta da una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.
E' utile operare un esame specifico delle varie condizioni la cui esatta comprensione non può certo reputarsi scontata, sia per il richiamo a concetti che il codice non definisce in termini espliciti, sia per la necessità di coordinare la disposizione con altre che il codice dedica al concordato.
Ma prima non è superfluo ricordare che anche in caso di omologa ai sensi dell'art. 112, comma 2, trovano applicazione i presupposti di cui al comma precedente la cui esistenza il tribunale è sempre chiamato a verificare e che (ad eccezione di quello di cui alla lettera f) si applicano a qualsiasi tipologia di concordato (liquidatorio, in continuità, con assuntore o di “altra forma”).
In particolare, il tribunale in sede di omologa dovrà sempre verificare:
- la regolarità della procedura,
- l'esito della votazione, 
- l'ammissibilità della proposta,
- la corretta formazione delle classi e la parità di trattamento all'interno delle classi,
- la sussistenza di ragionevoli prospettive di impedire o superare la crisi,
- la necessità che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l'attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori,
- la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine a perseguire gli obiettivi prefissati.  
Non è però obiettivo del presente scritto esaminare queste condizioni, sia perché esse non sono qualificanti del concordato in continuità omologato senza approvazione, sia perché si tratta di elementi che in larga misura non rappresentano novità, visto che simili verifiche dovevano già essere effettuate nella vigenza della legge fallimentare, anche se talvolta in sede di ammissione e non di omologazione.
3 . Il valore di liquidazione e il valore eccedente quello di liquidazione
Avviandosi ad analizzare il comma 2 dell'art. 112 è indispensabile affrontare due concetti che ne costituiscono il substrato e che compaiono peraltro anche in una disposizione di contenuto generale quale l'art. 84, il cui comma 6 distingue il valore di liquidazione dal valore eccedente quello di liquidazione, stabilendo per tali valori un trattamento differente sotto il profilo distributivo. 
Il primo (valore di liquidazione) deve essere distribuito ai creditori secondo la cosiddetta regola di priorità assoluta (RPA) e quindi nell'integrale rispetto della graduazione previste per le cause legittime di prelazione, mentre il secondo (valore eccedente quello di liquidazione) può essere destinato ai creditori secondo la regola di priorità relativa (RPR) e quindi in modo che i crediti inseriti in una classe ricevano un trattamento nel complesso pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto alle classi inferiori[13]. 
Fanno eccezione i soli crediti che si giovano del privilegio di cui all'art. 2751 bis n. 1 c.c. (lavoratori subordinati) per cui si impone comunque il rispetto della RPA.
Nonostante la rilevanza di questi concetti che sono tra l'altro, come si vedrà, interdipendenti tra loro, il legislatore non ne offre una definizione e lascia all'interprete l'onere di delimitarne il perimetro e stabilirne il significato[14].
La loro importanza avrebbe probabilmente dovuto indurre ad una scelta opposta[15], tanto più che l'utilizzo di espressione analoghe in altre disposizioni del codice genererà ulteriori dubbi ed incertezze applicative. 
Si pensi, ad esempio, al concetto di valore generato dal piano a cui fa riferimento l'art. 64 bis per i piani di ristrutturazione omologati[16] o al valore risultante dalla ristrutturazione menzionato nell'art. 120 quater in tema di trattamento delle partecipazioni dei soci anteriori al concordato[17]. 
Tutte queste espressioni, benché tra loro diverse, alludono a concetti parzialmente assimilabili o comunque collegati. Un migliore coordinamento tra questi principi sarebbe stato necessario ed è sin d'ora facile prevedere che le diverse espressioni usate finiranno con il creare opinioni divergenti[18].
Ad ogni modo, ai fini che qui interessano i temi che meritano di essere focalizzati sono soltanto il valore di liquidazione ed il valore eccedente la liquidazione.
Il primo costituisce un punto qualificante del piano di concordato come si apprende dall'art. 87 che impone al debitore che acceda allo strumento di presentare un piano che contenga tra l'altro “il valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale”.
L'espressione è differente rispetto a quella contenuta nell'art. 161 L. fall., ove si prevedeva il deposito di “uno stato analitico ed estimativo delle attività” ed appare chiaro che l'intento del legislatore sia quello di avere un immediato riscontro del realistico potenziale di realizzo degli attivi patrimoniali (immobili, beni strumentali, partecipazioni, crediti) in una prospettiva liquidatoria. Quindi obbligando il debitore a tenere conto in concreto della verosimile perdita di valore di tali attivi in caso di apertura della liquidazione giudiziale.  
Ne faranno parte i potenziali crediti da azioni di responsabilità, ma anche gli attivi che potranno derivare da azioni revocatorie, poiché l'art. 84, comma 1, chiarisce che con il concordato è necessario garantire il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale. Se la comparazione deve essere fatta con tale ipotesi, è pacifico che pure il ricavato dalle potenziali azioni di responsabilità o revocatorie dovrà essere incluso nel concetto di valore di liquidazione[19]. E del resto – per quello che può valere in un assetto normativo profondamente mutato – il principio costituiva ormai un solido approdo già nel vigore della legge fallimentare[20].
Né pare costituire serio ostacolo ad una simile conclusione quanto stabilito dall'art. 87 lett. h), ovvero il fatto che vengano formalmente distinte dal valore di liquidazione, menzionato alla lett. c), le azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, nonché le azioni eventualmente proponibili in caso di apertura della liquidazione giudiziale. 
La distinzione di valore puramente classificatorio dell'art. 87 non è, infatti, in grado di superare il dato fondante (e scolpito nell'art. 84, comma 1) della necessità che ogni concordato assicuri un soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quello realizzabile in caso di liquidazione giudiziale, ipotesi nella quale tali potenziali attivi rappresentano spesso un elemento tutt'altro che trascurabile. 
Questione più delicata è l'inclusione dei proventi che si potrebbero generare in caso di esercizio provvisorio. Vanno considerati nella stima del valore di liquidazione?
Alcuni dei primi commentatori lo escludono[21], notando che l'esercizio provvisorio è ipotesi rara e decisamente residuale che quindi non può essere considerata una fonte di attivo nemmeno potenziale nello scenario liquidatorio[22].
Ma l'argomento non pare decisivo.   
Intanto si deve considerare che, approcciandosi il debitore ad un concordato in continuità, si presume che questi abbia ancora a disposizione un'azienda o un ramo d'azienda in grado di funzionare e produrre valore. Diversamente non si comprenderebbe quali prospettive di continuità diretta o indiretta vi siano.
D'altra parte, l'esercizio provvisorio è istituto poco frequentato non solo per le condizioni di avanzata disgregazione dell'azienda al momento di apertura della liquidazione giudiziale, ma anche per la difficoltà da parte del tribunale e del curatore (ex comma 2 o 3 dell'art. 211) di valutare con l'indispensabile rapidità se vi siano i presupposti per darvi corso. 
Tuttavia, se alla liquidazione giudiziale si giunge in esito ad una proposta di concordato in continuità che non abbia avuto esito positivo, è evidente che simili difficoltà a valutare la produttività dell'azienda e le opzioni di prosecuzione anche solo parziale dell'attività saranno molto attenuate. Il tribunale, già con la sentenza che dichiara aperta la liquidazione giudiziale, e il curatore, nelle settimane immediatamente successive alla nomina, dovrebbero avere gli elementi per valutare se l'esercizio provvisorio anche solo di un ramo aziendale sia potenzialmente proficuo e comunque “non arrechi pregiudizio ai creditori”.
Di qui la conclusione che nel determinare il valore di liquidazione la possibilità di disporre l'esercizio provvisorio e gli introiti (o il minor deprezzamento degli assetti produttivi) che ne derivano debbono essere considerati[23], quanto meno in via potenziale, potendo essere esclusi solo se, con motivato e convincente assunto, si dimostri che l'esercizio provvisorio non potrà essere proficuamente attuato.
A conferma di tale approdo possono pure richiamarsi alcune diversità letterali apportate all'art. 211 rispetto al calco dell'art. 104 L. fall.: l'eliminazione della necessità al fine di disporre l'esercizio provvisorio che l'interruzione dell'attività aziendale possa generare grave danno, la sostituzione delle parole “può disporre” con la meno discrezionale espressione “autorizza”, il nuovo e deciso incipit della norma dedicata all'esercizio provvisorio che ora esordisce affermando che “l'apertura della liquidazione giudiziale non determina la cessazione dell'attività di impresa”. Non si tratta di elementi irrefutabili, è giusto riconoscerlo, ma certo essi inducono ad una lettura meno eccezionale dell'istituto dell'esercizio provvisorio e simile esegesi del resto si concilia con lo scopo, che ispira l'intera riforma, di favorire la precoce emersione della crisi di impresa.
Più sfuggente è il concetto di valore eccedente quello di liquidazione, talvolta definito anche come surplus o plusvalore concordatario.
Anche in questo caso il legislatore non ne offre un'esplicita definizione ed è quindi compito dell'interprete ricercarne l'esatto significato.
Il punto di riferimento è per certo il risultato dell'attività imprenditoriale dopo l'omologa del concordato e per la durata del piano concordatario, al netto degli oneri e costi inerenti a tale attività[24]. 
In sostanza si dovranno quindi considerare i flussi di cassa che derivano dalla prosecuzione dell'attività, sia che essa avvenga in via diretta, sia che avvenga in via parzialmente o totalmente indiretta. In quest'ultimo caso, ad esempio, gli stessi potranno consistere nei canoni percepiti per l'affitto dell'azienda, dedotti sempre i costi che continuano a gravare sulla società dopo l'affitto aziendale. 
Secondo i principi aziendalistici il flusso di cassa si ottiene aggiungendo all’utile o alla perdita d’esercizio i costi non monetari – gli ammortamenti di macchinari e impianti, gli accantonamenti per rischi futuri, i TFR o la svalutazione dei crediti – e sottraendo i ricavi non monetari, quali ad esempio le imposte anticipate o la rivalutazione delle partecipazioni. 
E' quindi inevitabile che i flussi di cassa, per la durata del concordato, vengano stimati attraverso un piano finanziario che l'imprenditore insieme ai suoi consulenti ed all'attestatore dovrà elaborare.
Tuttavia tali flussi non potranno per intero considerarsi valore eccedente la liquidazione, perché, a seconda di come sarà stata costruita la proposta concordataria, una quota più o meno rilevante dovrà essere messa a disposizione del valore di liquidazione
Un esempio potrà essere utile a comprendere meglio.
Ipotizziamo che il valore di liquidazione dell'impresa che accede al concordato in continuità sia stimato pari a 300 e che la proposta concordataria preveda di liquidare beni per un valore di 200 e di ottenere annuali flussi di cassa per la durata del piano di 70 per cinque anni, ovvero 350. In questo caso l'importo di 350 non potrà essere considerato per intero valore eccedente la liquidazione, dato che almeno 100 dovrà essere posto a disposizione del valore di liquidazione per colmare il divario tra il valore indicato in sede di proposta (300) e l'incasso previsto in esito alla liquidazione di alcuni beni aziendali (200). Esso ammonterà quindi a 250 (350 – 100).
Sulla base di esempio analogo, allorché la proposta non preveda di liquidare alcun bene aziendale o comunque non mettere alcuno dei valori che contribuiscono a formare il valore di liquidazione a soddisfo dei creditori, i flussi di cassa dovranno essere destinati prima a colmare il valore di liquidazione e solo successivamente a formare il valore eccedente quello di liquidazione.
La distinzione tra i due valori sarà fondamentale, posto che sino alla concorrenza del valore di liquidazione la distribuzione dovrà avvenire nel rispetto della RPA, mentre per l'eccedenza si potrà applicare la diversa e meno rigida RPR.
In estrema sintesi, quindi, volendo azzardare una definizione di valore eccedente la liquidazione così ci si potrebbe esprimere: 
i flussi di cassa conseguiti dall'imprenditore per la durata del piano concordatario, dedotta l'eventuale quota destinata, secondo la proposta concordataria, ad integrare il valore di liquidazione.
Come si vede, il concetto non può essere delineato in termini assoluti, essendo rimesso alla struttura che l'imprenditore attribuirà al piano di concordato.
Ma anche in questa prospettiva residuano dubbi di non agevole soluzione che qui si affrontano solo per cenni, meritando senza dubbio un maggior approfondimento.
Il primo è l'incidenza che può avere un realizzo superiore a quello ipotizzato degli attivi di cui il piano ipotizza la liquidazione. Se anziché incassare 100 si incassa 120 dalla liquidazione o dal recupero dei crediti, la maggior somma percepita (20) consente di liberare risorse provenienti dalla continuità ponendole a servizio del valore eccedente la liquidazione
Secondo alcuni no[25] e la soluzione appare convincente, perché più rispettosa del criterio generale di cui all'art. 2740 c.c. e della RPA che comunque si deve applicare ai beni che vanno liquidati. 
Il maggior ricavato degli attivi aziendali da liquidare dovrà quindi essere distribuito rispettando la graduazione legittima delle cause di prelazione. In modo che le aspettative dei creditori non subiscano un pregiudizio in conseguenza dell'omologa del concordato, perché ad una distribuzione integrale del ricavato avrebbero avuto diritto in caso di liquidazione giudiziale, la quale costituisce pur sempre il metro di comparazione della convenienza della proposta e della sua stessa ammissibilità.
Altro problema può essere posto da quanto potremmo definire l'ultra surplus concordatario. Se l'impresa in continuità presume di conseguire flussi di cassa di 50 per ciascuno dei cinque anni di durata del piano e ne consegue invece di maggiori, la differenza (c.d. ultra surplus) dovrà essere distribuita ai creditori? E in caso affermativo, rispettando la RPR?
Da un lato, è innegabile che l'imprenditore con la proposta concordataria non abbia assunto vincoli su tale valore e che la possibilità di conseguirlo e destinarlo liberamente sia un forte incentivo ad investire nell'azienda e conseguire un vero risanamento[26]. Dal che si dovrebbe dedurre che non è conveniente apporre un vincolo distributivo a quanto abbiamo definito ultra surplus.
D'altra parte, considerato che il debitore risponde anche con i beni futuri delle obbligazioni contratte, che i creditori già sopportano l'alea del mancato conseguimento del risultato ipotizzato con la proposta concordataria, che le norme non parlano di valore eccedente la liquidazione previsto nel piano, ma di valore eccedente la liquidazione tout court, vi sono elementi che possono orientare per la scelta opposta e quindi vincolare anche la destinazione di tale valore.
Il tema è poi ulteriormente complicato dalla circostanza che questo plusvalore, se non viene distribuito ai creditori, finisce quasi sempre con l'avvantaggiare i soci e quindi incrocia le disposizioni di cui all'art. 120 quater che detta i principi da applicare quando il valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato ai soci anteriori alla presentazione della domanda di concordato[27]. 
E' vero che tale norma regola le ipotesi in cui sia il piano concordatario a prevedere di riservare ai soci il valore risultante dalla ristrutturazione e, in questo caso, tale presupposto non si darebbe, poiché il valore non era in origine previsto. Però non si può escludere a priori - anche alla luce di quanto previsto dall'art. 2740 c.c.[28] - che i creditori anteriori al concordato non possano vantare pretese sulle maggiori ed impreviste disponibilità del proprio debitore che, in fondo, ha proseguito la propria attività anche grazie al parziale sacrificio delle ragioni creditorie. 
Se è dettata una disciplina specifica per il caso di una previsione di piano che attribuisca valore ai soci, resta insomma problematica la decisione di attribuire agli stessi un valore non pronosticato, ma comunque concretatosi nel corso del piano.
4 . Analisi delle quattro condizioni poste dall'art. 112, comma 2, per l'omologazione
Dopo aver cercato di delineare il significato dei concetti che costituiscono i principali riferimenti semantici della norma, è possibile esaminare nel dettaglio le condizioni poste dal comma 2 dell'art. 112.
4.1 . Sub a)
Quella iniziale consiste nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione in sede di distribuzione del valore di liquidazione (art. 112 co. 2, lett. a).
Ad una prima lettura la disposizione può apparire pleonastica, dato che già l'art. 84, comma 6, in termini generali e per così dire programmatici, prevede che il valore di liquidazione debba essere distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione ovvero secondo la RPA. 
Volendo quindi dare un significato che non svalorizzi la previsione, si attribuirà rilievo alla sua collocazione sistematica ovvero al mancato inserimento tra le condizioni che il tribunale è sempre chiamato a verificare in fase di omologa. Dovendolo fare solo in caso di concordato in continuità non approvato, si potrebbe dedurne che in caso di concordato in continuità approvato[29] il rispetto della RPA non sarebbe necessario.
Una simile soluzione avvicinerebbe molto il concordato in continuità approvato al piano di ristrutturazione omologato nel quale, come abbiamo visto, è concessa una analoga libertà distributiva all'imprenditore.
Restano però molti dubbi sulla correttezza di siffatta opzione che avrebbe effetti dirompenti sul concordato che abbia ottenuto il consenso unanime delle classi e si porrebbe in aperto contrasto, non soltanto con quanto stabilito dall'art. 84 co. 6, ma anche con il contenuto dell'art. 85, comma 4, ove si ribadisce, in tema di formazione delle classi, che il trattamento stabilito per le stesse non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione.
Per di più, valorizzare il silenzio del comma 1 dell'art. 112 in tema di rispetto della RPA, finirebbe con il far dubitare dell'applicazione della stessa regola per il concordato liquidatorio, sbilanciando in modo ancor più grave il sistema che ammette deroghe solo eccezionali al rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione.
Sicché la soluzione più convincente è probabilmente quella di considerare comunque necessario in caso di concordato in continuità (approvato o non approvato) il rispetto della RPA per il valore di liquidazione e quindi ritenere che la lettera a) dell'art. 112, comma 2, altro non faccia che ribadire un principio che già poteva considerarsi scontato.
Del resto, va sottolineato che, non potendo prevedere con certezza se la proposta di concordato otterrà il voto favorevole di tutte le classi, quando pure si voglia ammettere che in tale caso possa derogarsi alla RPA, ben difficilmente il proponente si orienterà per una scelta tanto rischiosa. Essa infatti, precluderebbe la possibilità di ottenere l'omologa ex comma 2 dell'art. 112 per la quale l'obbligo di osservare il principio è pacifico. 
Così che è facile prevedere che il rispetto della RPA resterà un punto fermo di tutte le proposte di concordato. Beninteso, lo si ripete, con mero riguardo al valore di liquidazione.
4.2 . Sub b)
La seconda condizione si occupa dei criteri distributivi del valore eccedente quello di liquidazione, prevedendo che per i crediti inclusi nelle classi dissenzienti debba essere applicata la RPR e quindi riservato un trattamento nel complesso pari ai creditori di egual grado e migliore di quello delle classi inferiori, con la nota eccezione dei creditori privilegiati ex art, 2751 bis n. 1 c.c. per cui si impone sempre il rispetto della RPA.
La formula adottata dal legislatore genera interrogativi analoghi a quelli affrontati nella lettura della lett. a), benché in questo caso le conclusioni siano più difficilmente eludibili.
Ed invero, il fatto che il rispetto della RPR sia previsto per le classi dissenzienti rende inevitabile che tale criterio sia suscettibile di deroga per le classi che abbiano votato favorevolmente alla proposta. Quindi, se l'imprenditore è in grado di pronosticare che il voto di una determinata classe di creditori sarà positivo, potrà anche attribuire a tale classe un trattamento pari o deteriore rispetto alle classi di grado inferiore.
Si tratta di una previsione che echeggia la regola di non discriminazione elaborata nel diritto statunitense (unfair discrimination rule[30]) secondo cui nessuna classe dissenziente può essere soddisfatta diversamente da una classe dello stesso rango in assenza di una ragionevole giustificazione.
Correttamente si nota a tale proposito che altro è il principio di parità di trattamento all'interno della classe che emerge con nettezza nell'art. 112, comma 1, lett. e) ed altro la regola di non discriminazione tra classi di pari grado che opera solo nei concordati in continuità aziendale e non obbliga ad un trattamento eguale, ma “complessivamente ... almeno pari”, attribuendo quindi una maggiore elasticità al proponente[31]. 
In questo caso l'espressa limitazione del principio alle classi dissenzienti consente di superare i dubbi di carattere sistematico e generale che derivano dagli art. 84, comma 6 e 85, comma 4.
Restano invece, intatte le perplessità concrete sulla scelta legislativa. Considerato che l'imprenditore si presume non sia (salvo casi davvero eccezionali) in grado di prevedere se una specifica classe voterà a favore, come può assumere il rischio di proporre un trattamento che deroghi alla RPR, visto che ciò può precludere l'omologazione?
E' ben difficile che questo avvenga ed è quindi verosimile che tutte le proposte di concordato in continuità – mettendo in conto l'eventualità di voto non favorevole – si atterranno con scrupolo alla RPR quanto al valore eccedente quello di liquidazione, al fine di soddisfare il requisito di cui alla lett. b) dell'art. 112, comma 2.
4.3 . Sub c)
La lettera c) vieta di attribuire ad un creditore un importo maggiore del proprio credito. 
Il significato della disposizione è chiaro e non rende necessari approfondimenti particolari, ma ci si potrebbe chiedere di nuovo perché sia stata collocata proprio nel contesto del concordato in continuità non approvato e non invece nel primo comma dell'art. 112. 
Per quanto sia difficile ipotizzare una simile evenienza nella pratica, se ne potrebbe dedurre che qualora il concordato venga approvato (ovvero votato favorevolmente da tutte le classi) un simile principio non varrebbe e si potrebbero ipotizzare premi o bonus per alcune categorie di creditori.
In realtà, per spiegare la disposizione è forse sufficiente richiamare lo scrupolo del legislatore in sede di recepimento della Direttiva UE n. 2019/1023 (c.d. Insolvency) e sottolineare che una previsione analoga è esplicitamente dettata all'art. 11, comma 1, lett. d) in tema di ristrutturazione trasversale dei debiti. 
L'intento era quindi quello di non scostarsi dalla previsione comunitaria.
4.4 . Sub d)
Si giunge così all'ultima condizione posta dalla legge per l'omologazione del concordato in continuità non approvato. Essa rappresenta, in considerazione della sostanziale superfluità o quanto meno relativa rilevanza delle altre condizioni sin qui esaminate, il vero snodo essenziale dell'istituto. 
La lettera d) formula due ipotesi tra loro alternative.
La prima consiste nell'approvazione della proposta da parte della maggioranza delle classi tra le quali almeno una deve essere formata da creditori titolari di un diritto di prelazione.
Si tratta di disposizione che richiama in qualche misura le previsioni di cui all'art. 177 L. fall. con la differenza che, non è necessario, come avveniva in passato, il conseguimento della maggioranza dei creditori ammessi al voto. La condizione è ora sostituita dalla qualificazione della maggioranza per effetto della presenza di creditori privilegiati in una delle classi che la compongono. 
In questa previsione emerge con nettezza il favor verso l'istituto di cui in precedenza si è accennato. 
Si profila però anche il rischio che nella formazione delle classi l'imprenditore sia orientato ad un classamento di comodo dei creditori, preordinato al conseguimento della necessaria maggioranza. Visto che non esiste un congegno che distingua le classi a seconda del peso che assumono rispetto alla platea dei creditori, sia la maggioranza delle classi, sia la classe qualificante tale maggioranza potrebbero in concreto essere poco rappresentative del ceto creditorio. Infatti, secondo la norma una classe costituita da pochi creditori finisce con l'avere la stessa importanza di una classe che abbia creditori numerosi o crediti molto rilevanti[32]. 
Di qui la necessità che la verifica che il tribunale è chiamato ad operare in merito alla corretta formazione delle classi (art. 112, comma 1, lett. d) sia attenta e penetrante.
Decisamente meno limpida nei suoi contorni è la seconda ipotesi dettata dalla lettera d) del comma 2 in via alternativa. 
Essa infatti, ritiene sufficiente per l'omologa che “in mancanza, la proposta [sia] ... approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”.
Diversi sono gli interrogativi che la formulazione della norma pone.
Innanzitutto, è sufficiente l'approvazione di una sola classe o è comunque necessario conseguire la maggioranza tra le classi del concordato?
L'alternativa esegetica dipende da quale riferimento si dia alla locuzione “in mancanza”
Se a mancare è l'approvazione da parte della maggioranza delle classi, allora sarà sufficiente il voto favorevole di una sola classe, per quanto con le caratteristiche indicate nel periodo finale del comma[33].
Se, invece, le parole “in mancanza” si riferiscono alla classe formata da creditori titolari di diritti di prelazione, allora il voto favorevole della maggioranza delle classi dovrà comunque essere conseguito[34].
Il tenore letterale della norma induce a privilegiare la prima ipotesi, dando però vita ad un sistema eccezionale, ovvero ad un concordato omologato grazie al voto favorevole di un gruppo di creditori davvero sparuto. Sistema tanto più sorprendente, ove si consideri che la classe favorevole potrebbe essere formata – come chiarito sopra – da creditori che per numero e qualità non sono significativi.
Per cui, secondo chi scrive, è più corretto privilegiare la soluzione che impone comunque il raggiungimento della maggioranza delle classi, anche nella seconda ipotesi formulata dalla lettera d). La scelta, se in qualche misura forza il testo normativo[35], ha il merito di evitare esiti poco equilibrati o addirittura paradossali. 
Anche più difficile è comprendere però le ulteriori prescrizioni imposte dalla norma che prende in considerazione il valore eccedente quello di liquidazione che, come visto, stando a quanto stabilisce l'art. 84, comma 6, può essere distribuito rispettando la RPR. 
Qui, discostandosi dal criterio generale, il legislatore pare imporre il rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione (RPA) anche sul valore eccedente quello di liquidazione[36]. 
Come si spiega una simile divergenza rispetto al principio dettato dall'art. 84?
Una possibile risposta consiste nell'attribuire all'imprenditore la facoltà di non valersi del criterio distributivo di priorità relativa sul valore eccedente la liquidazione proprio per non precludersi la possibilità che il concordato venga omologato, ai sensi del comma 2 dell'art. 112.  
Si tratta però di soluzione che limiterebbe di molto l'ambito applicativo della RPR (in cui il legislatore ha mostrato di credere), dato che è difficile pensare che il proponente si precluda a priori la possibilità di ottenere una omologazione, a maggior ragione se fosse sufficiente conseguire il voto favorevole di una sola classe e non della maggioranza delle stesse (vd. supra).
Quindi per salvare l'effettiva applicazione della RPR, si potrebbe ipotizzare che il proponente sia tenuto a formulare una ipotesi di distribuzione alternativa a quella della proposta concordataria, dimostrando che, anche in caso di applicazione del diverso criterio distributivo della RPA sul valore eccedente quello di liquidazione, vi sarebbe la possibilità di soddisfare almeno parzialmente la classe che si è espressa in senso favorevole. 
Tale ipotesi non sarebbe peraltro destinata ad avere concreta attuazione, ma sarebbe formulata alla stregua di una prova di resistenza, al solo scopo di non precludersi questa ulteriore chance di successo della proposta concordataria.
Va peraltro riconosciuto che anche questa soluzione, oltre ad apparire poco lineare e dagli scopi oscuri, comporta inconvenienti pratici non trascurabili, complicando ulteriormente la già non facile attività di verifica da parte del tribunale del rispetto delle condizioni poste dall'art. 112 ai fini della omologazione[37].
Tuttavia – almeno ad una prima lettura – l'insolito accostamento del criterio distributivo della RPA al valore eccedente quello di liquidazione non pare ammettere diverse spiegazioni.
5 . Considerazioni conclusive
Anche nel mutato quadro del Codice della crisi il concordato preventivo mantiene intatta la sua centralità tra gli strumenti di regolazione della crisi di impresa. 
In tale scenario la norma che è stata commentata acquisisce una rilevanza particolare, consentendo di ottenere l'omologazione della procedura nonostante le riserve del ceto creditorio e l'assenza di una maggioranza assoluta tra gli aventi diritto al voto.
Ciò non ostante, come visto, la disposizione è aperta a soluzioni interpretative tra loro molto divergenti che possono far divenire lo strumento qualcosa di ben diverso rispetto a quanto sperimentato nella vigenza della legge fallimentare.
Le maggiori perplessità derivano proprio dal radicale sganciamento rispetto al consenso dei creditori che rischia di sbilanciare l'istituto in modo eccessivo a favore della tutela della continuità aziendale[38].
Non si può infatti dimenticare che la necessità di conseguire una soddisfazione dei crediti in misura quanto meno non deteriore rispetto alla alternativa liquidatoria, resta un presupposto di fondo del concordato preventivo (art. 84, comma 1). 
Ma dato che simili valutazioni sono formulate in termini prospettici e su un arco temporale di medio periodo, esse comportano inevitabilmente un alto tasso di aleatorietà e di discrezionalità. Per questo le valutazioni e le scelte dei creditori, che sono pur sempre portatori di uno degli interessi più rilevanti in gioco (se non in assoluto il maggiormente rilevante), dovrebbero essere tenute in più alta considerazione.

Note:

[1] 
Tra i più recenti contributi sul concordato preventivo in continuità si segnalano S. Leuzzi, Il volto nuovo del concordato preventivo in continuità aziendale in Studi sull'avvio del Codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 12 settembre 2022; M. Greggio,  Finalità e tipologie di piano concordatario: prime osservazioni al 'nuovo' art. 84 del Codice della crisi in Dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2022.; E. Ricciardiello, Il nuovo concordato preventivo in 'pillole' in Quaderni di ristrutturazione aziendale, n. 2/2022, pag. 108 ss.; L. Panzani, Le finalità del concordato preventivo in Quaderni di ristrutturazione aziendale, n. 3/2022, pag. 21 ss.; S. Ambrosini, Brevi appunti sulla nuova “sintassi” del concordato preventivo in Ristrutturazioni aziendali; M. Spadaro, Il concordato delle società in Dirittodellacrisi.it, 13 ottobre 2022.  
[2] 
Si vedano M. Greggio, Finalità e tipologie di piano concordatario, op. cit; S. Ambrosini, Il Codice della crisi dopo il D. Lgs. n. 83 del 2022: la nozione di crisi, la gestione dell'impresa e il concordato preventivo in Dir. fall. e soc. comm., n. 5/2022; E. Ricciardiello, I lineamenti del nuovo concordato preventivo in Dir. fall. e soc. comm., n. 6/2022. 
[3] 
Tutti i riferimenti normativi del presente scritto si intendono fatti, ove non diversamente precisato, agli articoli del Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza.
[4] 
Nel concordato in continuità a differenza di quanto previsto per quello liquidatorio la suddivisione dei creditori in classi è sempre obbligatoria (art. 85, comma 3).
[5] 
Forse era sufficiente richiamare la possibilità di derogare agli artt. 2740 e 2741 c.c., ma l'intento del legislatore è chiarissimo nel consentire che il valore generato dal piano sia distribuito ai creditori al di fuori di ogni vincolo di graduazione prelatizia, fatti salvi i diritti dei lavoratori. Per alcune considerazioni al riguardo si veda S. Bonfatti, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione in Dirittodellacrisi.it, 15 agosto 2022, nonché G. Bozza, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione in Dirittodellacrisi.it, 7 giugno 2022; A. Nicotra e M. Pezzetta, Crediti prededucibili per il piano di ristrutturazione omologato in Eutekne.info.
[6] 
Condivisibile è quindi l'opinione di G. Bozza, Le maggioranze per l'approvazione della proposta concordataria in Dirittodellacrisi.it, 3 agosto 2022, secondo cui la possibilità di ottenere l'omologazione secondo le condizioni di cui all'art. 112, comma 2 “disincentiva chi presenta un concordato a formulare proposte che possano ottenere l'unanimità dei consensi in tutte le classi, sapendo che è sufficiente coagulare l'interesse della indicata minoranza per l'approvazione”
[7] 
Sul tema osserva giustamente A. Paluchowski nella Presentazione agli Studi sull'avvio del Codice della crisi, pag. 5 in Dirittodellacrisi.it che la complessità tecnica della disciplina del concordato preventivo è “divenuta veramente alta”.
[8] 
Residua per il vero qualche ulteriore difficoltà di inquadramento per il concordato con assuntore che, alla luce di quanto previsto dal comma 1 dell'art. 84, costituisce una specie a sé stante non assimilabile con certezza né al concordato liquidatorio, né a quello in continuità e per la quarta residuale tipologia delineata con vaghezza dall'art. 84, comma 1, tramite le parole “in qualsiasi altra forma”. Sulla difficoltà di inquadramento del concordato con assuntore e di quello residuale si veda L. Panzani, Le finalità del concordato, op. cit. pag. 32 che si interroga su come calare queste figure nel binomio concordato in continuità - concordato liquidatorio. Al fine di ricostruire il dibattito sul concetto di prevalenza necessaria a qualificare nella vigenza della legge fallimentare il concordato in continuità, si veda F. Marotta, Il concordato misto: prevalenza quantitativa o qualitativa? La soluzione legislativa e gli opposti orientamenti giurisprudenziali, in Ilcaso.it. La questione era poi approdata alla prinuncia di Cass., 15 gennaio 2020, n. 734 che aveva sancito il seguente principio: "il concordato preventivo in cui alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell'impresa si accompagni una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell'attività aziendale rimane regolato nella sua interezza, salvi i casi di abuso dello strumento, dalla disciplina speciale prevista dall'art. 186-bis l.fall., che al comma 1 espressamente contempla anche detta ipotesi fra quelle ricomprese nel suo ambito". 
[9] 
Il creditore contrario al concordato dovrà risolvere quello che potremmo definire il dilemma dell'oppositore: non votare per evitare il raggiungimento del quorum partecipativo oppure votare contro la proposta ed incrementare così la quota di voti necessaria per il raggiungimento del quorum deliberativo.
[10] 
L'art. 109, comma 5, in effetti, statuisce da un lato che il concordato è approvato se tutte le classi votano a favore e dall'altro che “in caso di mancata approvazione si applica l'art. 112 comma 2”.
[11] 
Con l'espressione concordato in continuità non approvato nel presente scritto si intendono tutte le proposte concordatarie che non abbiano conseguito il voto favorevole di tutte le classi in cui sono stati suddivisi i creditori.
[12] 
Il tema ha per lungo tempo appassionato la dottrina e si registrano molti contributi tra i quali si segnalano R. Provinciali voce Concordato preventivo, in Novissimo digesto italiano, III, Torino, 1957, 979 ss.; A. Maisano, voce Concordato preventivo, in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, 1 ss.; G. Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, Padova, 1994, 611 ss.; G. Fauceglia – N. Rocco di Torrepadula, Diritto dell’impresa in crisi, Bologna, 2010, 319-320.
[13] 
La norma ha il merito di consentire il superamento delle forti incertezze giurisprudenziali e dottrinali relative alle modalità di distribuzione del cosiddetto surplus concordatario al quale il valore eccedente la liquidazione può essere assimilato. Per una ricostruzione di tale dibattito e dello scenario antecedente al Codice della crisi si veda G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla distribuzione del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in Dirittodellacrisi.it, 25 febbraio 2022; M. Greggio, Finalità e tipologie di piano, op. cit.; G. D'Attorre, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, in Il Fall. 2020, pag. 1071, ss. 
Qui ci si limita a rammentare che si erano formati tre orientamenti. Il più rigoroso imponeva il rispetto della RPA anche in relazione a tale valore, facendo leva particolare sull'art. 160 L. fall. (Cass. 8 giugno 2020, n. 10884; Cass. 8 giugno 2012, n. 9373). Altro orientamento consentiva invece di applicare la RPR, benché la sua previsione nell'ordinamento fosse eccezionale (art. 182 ter L. fall.), si veda Trib. Torre Annunziata, 29 luglio 2016 in Ilcaso.it. Infine, l'orientamento più elastico ammetteva la massima libertà distributiva, assimilando il surplus concordatario alla finanza esterna e quindi escludendo l'obbligo di rispettare la graduazione delle cause legittime di prelazione (App. Venezia, 28 settembre 2020 in Ilcaso.it; App. Torino, 31 agosto 2018 in Leggi d'Italia; Trib. Como, 01 dicembre 2021 in Ilcaso.it). 
Sulla distinzione tra i due criteri distributivi si veda in giurisprudenza Cass. 26 maggio 2022 n. 17155 che si pronuncia sull'applicazione dell'art. 182 ter L. fall. disposizione che ammetteva la RPR per i crediti di natura tributaria e contributiva.
[14] 
G. D'Attorre, Le regole di distribuzione del valore in Il Fall., 2022, pag. 1223 sinteticamente considera il valore di liquidazione come “l'attivo ricavabile dalla liquidazione, atomistica o in blocco, del patrimonio del debitore” e definisce il plusvalore (o surplus) da continuità come “le risorse ricavabili dalla prosecuzione dell'attività nel periodo di piano”.
[15] 
Nell'esperienza americana un concetto per certi versi analogo, il disposable income (reddito disponibile), viene definito da varie sezioni del Chapter 11 dello U.S. Bankruptcy Code a seconda della tipologia di piano (vd., ad esempio, section 1129, 1191).
[16] 
Per un fugace accenno al tema, segnalando comunque la problematicità dell'espressione si veda L. Panzani, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, op. cit., pag. 152.
[17] 
Per una approfondita ed interessante analisi del ruolo dei soci nella distribuzione del valore risultante dal processo ristrutturativo del debito si veda in particolare A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice in Società, 2022, pag. 945 che affronta in particolare il tema del valore riservato ai soci, peraltro definito dall'art. 120 quater, comma 2, sottolineando che le attribuzioni ai soci “non corrispondono necessariamente ad un'estrazione di risorse dal patrimonio della società debitrice e a favore dei soci ma consistono anche soltanto nella conservazione, eventualmente parziale della partecipazione al capitale dei soci anteriori”. Al riguardo si cfr. anche E. Ricciardiello, Il nuovo concordato preventivo in ‘pillole’, op. cit., pag. 127.
[18] 
Per una analisi comparata dei principi di distribuzione del valore di liquidazione e del “plusvalore da continuità” nelle varie tipologie di strumento di regolazione della crisi si veda l'interessante e recente scritto di G. D'Attorre, Le regole di distribuzione, cit.
[19] 
In questo senso si vedano A. Pezzano – M. Ratti, Le regole di distribuzione in Dirittodellacrisi.it, 6 settembre 2022; G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità, op. cit., nota 17; L. Panzani, Le finalità del concordato preventivo, op. cit., pag. 29.
[20] 
In giurisprudenza si vedano Trib. Nola, 12 aprile 2022, in Leggi d’Italia; Trib. Rimini, 3 dicembre 2021, in Leggi d’Italia; Trib. Bologna, 5 luglio 2021, in Leggi d’Italia; Trib. Brescia, 8 aprile 2021, in Ilfallimentarista.it, 4 giugno 2021; Trib. Monza, 26 luglio 2019, in Leggi d’Italia; Trib. Rovigo, 2 maggio 2018, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20141 - pubb. 10/07/2018; Trib. Ravenna, 29 maggio 2020, in Leggi d’Italia.
[21] 
Si veda ad esempio G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità, op. cit., ma anche A. Pezzano – M. Ratti, Le regole di distribuzione, op. cit., considerando l'ipotesi “estremamente residuale”.
[22] 
Sull'esercizio provvisorio nel Codice della crisi si veda S. Leuzzi, L’esercizio (non più provvisorio) dell’impresa del debitore nel quadro del codice della crisi e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 31 marzo 2019.
[23] 
Nel medesimo senso anche A. Rossi, I soci nella regolazione, cit. che seppure nella prospettiva di valutare quale sia in concreto l'alternativa liquidatoria sottolinea che il valore della proposta concordataria deve essere confrontato con il “patrimonio aziendale (e sociale) valutato as a going concern, quindi in una prospettiva di continuità aziendale indiretta”.
[24] 
G.P. Macagno, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa in Dirittodellacrisi.it, 6 aprile 2022, identifica il valore eccedente la liquidazione nei “flussi di cassa prospettici”.
[25] 
A. Pezzano – M. RattiI, Le regole di distribuzione, op. cit., pag. 106.
[26] 
Assunto che peraltro non tutti considerano scontato. Si veda, ad esempio, M. Fabiani, L’avvio del codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 5 maggio 2022.
[27] 
Sull'istituto da ultimo si veda, oltre all'approfondita e già menzionata analisi di A. ROSSI, I soci nella regolazione, cit., anche L.A. Bottai – A. Pezzano – M. Ratti – M. Spadaro, Il concordato con attribuzioni ai soci: criticità e prospettive del nuovo art. 120 quater CCII in Dirittodellacrisi.it, 8 novembre 2022.
[28] 
Nella vigenza della legge fallimentare sulla tendenziale odiosità della conclusione che consente ai soci di conservare i lori diritti, a fronte di un sacrificio delle ragioni dei creditori si veda M. Fabiani, Appunti sulla responsabilità patrimoniale “dinamica” e sulla de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in Ambrosini (diretto da), Il Fall., Soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria, Zanichelli, Bologna, 2017, pp. 45 ss.
Nella giurisprudenza sulla necessità o meno di destinare tutti i flussi di cassa ai creditori si veda Trib. Firenze, 3 novembre 2016 in Il Fall., 2017, p. 313 ss.
[29] 
E quindi, lo si rammenta, votato favorevolmente da tutte le classi.
[30] 
Questo è il testo della norma del Chapter 11, § 1129(b)(1): “the court, on request of the proponent of the plan, shall confirm the plan ... if the plan does not discriminate unfairly, and is fair and equitable, with respect to each class of claims or interests that is impaired under, and has not accepted, the plan”. Per una analisi della trasposizione di tali principi nell'ambito del diritto italiano, G. Ballerini, Le ricadute di diritto italiano della regola di non discriminazione della Direttiva Restructuring in Giur. Comm., 2021, pag. 967.
[31] 
Si veda G. D'Attorre, Le regole di distribuzione, cit.
[32] 
Osserva A. Rossi, I soci nella regolazione, cit. che sarà forte la tentazione del debitore di formare classi allo scopo di “governare nella maniera (per lui) più conveniente possibile il procedimento di approvazione della proposta concordataria”.
[33] 
Ovvero tale da essere almeno parzialmente soddisfatta secondo la RPA sul valore eccedente quello di liquidazione.
[34] 
Nel senso della necessità di ottenere comunque una maggioranza tra le classi – se mal non si comprende – si veda G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale in Dirittodellacrisi.it, 1 novembre 2022, individuando l'alternativa tra le due ipotesi nell'esistenza o meno del voto favorevole di una classe di privilegiati. In senso chiaramente opposto, invece, G. Bozza, Le maggioranze per l'approvazione della proposta concordataria in Dirittodellacrisi.it, 3 agosto 2022, nonché F. Aliprandi – E. Monzeglio – A. Turchi, Voto e maggioranze nel nuovo concordato in continuità: una prima lettura con diversi punti interrogativi in Quaderno di ristrutturazioni aziendali, 3/2022, pag. 84 e A. Rossi, I soci nella regolazione, cit.
[35] 
La ripetizione delle parole “la proposta è approvata” nella seconda ipotesi indurrebbe a concludere – seguendo criteri di mera eleganza sintattica – che il voto favorevole non sia della maggioranza, ma della sola classe di creditori almeno parzialmente soddisfatta sul valore eccedente quello di liquidazione.
[36] 
Tra l'altro per una classe che non è dissenziente e che quindi, stando alla lettera b) potrebbe anche accettare una deroga alla RPR.
[37] 
Nota in effetti A. Rossi, I soci nella regolazione, cit. che molteplici sono i “giudizi ipotetici cui sarà chiamato il tribunale in sede di omologazione”.
[38] 
Per una valutazione dei rapporti tra continuità aziendale e salvaguardia dei diritti dei creditori nel nuovo concordato preventivo si veda S. Leuzzi, Il volto nuovo del concordato preventivo, op. cit., pag. 12 ss.

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