Saggio
Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale*
Alberto Guiotto, Dottore commercialista in Parma
13 Aprile 2023
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Sommario:
Innanzi tutto, va evidenziato come la norma contenuta nell’art. 120 quater riguardi solo ed esclusivamente la fattispecie in cui il piano preveda che il valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato anche ai soci anteriori alla presentazione della domanda.
Questa circostanza, solo apparentemente tranquillizzante, merita sin da subito un approfondimento.
Appare indubitabile, dalla lettera della legge e dalla sua interpretazione logica, che la disciplina sia riferita ai soci originari, possessori di una quota di capitale al momento della presentazione della domanda di concordato, mentre la regola non si applica a coloro che divengano soci in esecuzione del concordato, in occasione della sua omologazione o successivamente ad essa. Si tratta, questa, di una conseguenza coerente con la finalità della norma, che ha comunque momenti di incertezza che dipendono dalla sua concreta applicazione pratica. Se, ad esempio, non pare sussistano dubbi sull’ingresso di nuovi soci attraverso aumenti di capitale in denaro o in natura, merita una riflessione supplementare la possibilità che i nuovi soci subentrino ai soci originari (sia attraverso un aumento di capitale, sia) attraverso l’acquisto delle loro partecipazioni. Per quest’ultima fattispecie, ancorché la partecipazione originaria sia trasferita in conformità al piano e in esecuzione del concordato, ritengo che la disciplina dell’art. 120 quater si applichi pienamente, per le ragioni e con gli effetti di cui si dirà in seguito.
Per quanto riguarda le modalità con cui una parte del valore risultante dalla liquidazione venga riservato ai soci, è importante rilevare come non sia affatto necessaria una distribuzione di riserve o, più in generale, un trasferimento di valore ai soci ma, piuttosto, sia sufficiente la conservazione in capo ai soci stessi di un apprezzabile valore delle loro partecipazioni a seguito dell’omologazione del concordato[11].
Questo assunto, che a mio parere è il punto focale dell’intera disciplina, porta con sé due corollari di grande importanza.
Il primo riguarda l’applicazione dell’art. 120 quater al solo concordato in continuità diretta, giacché è solo in questa fattispecie che è normale e prevedibile, a seguito dell’omologazione del concordato, il mantenimento di valore in capo ai soci identificato con la persistenza di un patrimonio netto positivo e di un capitale sociale superiore ai limiti di legge: anche il Codice della crisi, infatti, recepisce nell’art. 89 la norma precedentemente racchiusa nell’art. 182 sexies L. fall. che prevede e limita la sospensione dell’obbligo di ricapitalizzazione a seguito dell’erosione per perdite del capitale sociale soltanto fino all’omologazione del concordato. Al momento dell’omologazione, anche grazie alle sopravvenienze da esdebitazione concordataria, il capitale sociale dovrà quindi ritornare necessariamente sopra i limiti di legge, quale inderogabile requisito del going concern del business.
Di converso, è connaturata nel concordato liquidatorio l’intera devoluzione del valore aziendale ai creditori concorsuali attraverso il rispetto della Absolute Priority Rule, salvo il sostenimento delle spese di procedura e dei costi prededucibili, senza che possa essere riservato ai soci parte del plusvalore concordatario[12]. Analoga considerazione è riferibile, a mio parere, al concordato in continuità aziendale indiretta, giacché anche in questa fattispecie è di norma destinato ai creditori l’intero valore ricavato dal trasferimento dell’azienda in funzionamento, senza che i soci possano trattenerne una quota. Nei casi, che si considerano marginali e di nessuna rilevanza pratica, in cui la proposta di concordato in continuità indiretta preveda l’attribuzione di valore ai soci, potrebbe astrattamente essere applicabile la norma indicata dall’art. 120 quater. Nel prosieguo della trattazione, in ogni caso, sarà considerata la sola fattispecie dei concordati in continuità diretta.
Un secondo corollario dell’equivalenza tra mantenimento del valore da parte dei soci originari e “riserva” del valore in capo ai medesimi, in parte collegato al precedente, consiste nella considerazione che nel concordato in continuità diretta è sempre previsto un patrimonio netto positivo al momento della sua omologazione e che pertanto, salvo il calcolo algebrico proposto dal terzo comma dell’art. 120 quater, ci cui ci occuperemo tra breve, nel concordato preventivo in continuità diretta ci sarà sempre e comunque un valore risultante dalla ristrutturazione da riservare ai soci.
Questo concetto riveste notevole importanza sia per la sua portata di carattere generale, sia perché evidenzia l’irrilevanza di una specifica previsione di piano in merito alla destinazione del valore di ristrutturazione.
Va, naturalmente, riconosciuto come un’autorevole dottrina ritenga di limitare l’applicazione dell’art. 120 quater al solo caso in cui il piano concordatario preveda espressamente di riservare ai soci una quota del valore di ristrutturazione[13]. A me pare, invece, che la presenza di un patrimonio netto positivo (e, nelle società di capitali, un capitale sociale superiore al limite di legge) sia un requisito inderogabile di qualsiasi piano di concordato in continuità diretta, indipendentemente dalle previsioni del piano.
È ben vero che il tenore letterale della norma (“se il piano prevede che …”) fa riferimento a previsioni di piano ma, a mio parere, si tratta di un’indicazione generica e finanche imprecisa, posto che la distribuzione del valore ai creditori è disciplinata non dal piano ma dalla proposta concordataria, dove invece il piano rappresenta il programma organizzativo, di natura economica, patrimoniale e finanziaria, delle azioni che l’imprenditore intende adottare al fine di perseguire il risanamento aziendale e a consentire l’adempimento della proposta[14].
In altri termini, e senza volere indulgere troppo su sottigliezze terminologiche, a me pare che il concordato in continuità diretta abbia sempre e comunque l’obiettivo di generare valore per l’impresa e, indirettamente, per i suoi creditori attraverso l’operatività aziendale, la gestione degli investimenti e disinvestimenti, l’attività finanziaria e le operazioni sul capitale. Il piano, nella sua espressione numerica, darà evidenza dei flussi economici e finanziari che l’impresa potrà produrre nel suo orizzonte temporale: quanta parte di questo valore sia attribuita ai debiti concorsuali e quanta ai debiti successivi, scaturenti dall’attività d’impresa, dipenderà dalla proposta concordataria.
Ciò premesso, mi pare che sia invece ammissibile un ragionamento a contrario: se nel concordato preventivo in continuità diretta la soluzione di default è quella che una quota del valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato ai soci, potrebbe essere invece ipotizzabile che il piano riduca o annulli questo valore consentendo una proposta che lo assegni, attraverso opportune modifiche statutarie, a specifiche classi di creditori in forma di strumenti finanziari partecipativi o di quote di capitale, anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione dei soci esistenti.
Questa possibilità, promossa dagli amministratori e pacificamente ammessa e prevista dal secondo comma dell’art. 120 bis, potrebbe giungere persino a pregiudicare i diritti dei soci originari attribuendo loro un’utilità inferiore a quella ricavabile dall’alternativa liquidatoria. Unicamente in questo caso risulterebbe rilevante, in questo ambito, la disciplina del terzo comma dell’art. 120 quater, collocata eccentricamente in questa norma del Codice, che prevede la possibilità di opposizione all’omologazione da parte dei soci in questo modo danneggiati[15].
Per “valore riservato ai soci”, ai fini dell’applicazione dell’art. 120 quater, si intende il valore effettivo delle loro partecipazioni e degli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle, quali strumenti finanziari partecipativi e warrant, conseguente all’omologazione della proposta, dedotto il valore da essi eventualmente apportato ai fini della ristrutturazione in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto[16].
Per conoscere il valore effettivo delle singole partecipazioni è preliminarmente necessario determinare il valore effettivo risultante dalla ristrutturazione, che coincide a sua volta con il valore del capitale economico dell’azienda al momento dell’omologazione.
Il valore risultante dalla ristrutturazione potrà così essere determinato in base alle metodologie di valutazione conosciute e comunemente predicate dalla dottrina aziendalistica che meglio si attaglino alla struttura aziendale e al business di riferimento e che tengano conto delle passività aziendali e dei flussi finanziari destinati al loro servizio[17].
Non appare possibile, né utile, individuare a priori un metodo valutativo universalmente riconosciuto come adeguato alla determinazione del valore risultante dalla ristrutturazione. È comunque necessario che il metodo prescelto consideri quali criteri-base di valutazione, perlomeno: (a) quale termine di riferimento della valutazione, la (presumibile) data di omologazione del concordato; (b) quali flussi economici e finanziari di riferimento, quelli previsti dal piano di concordato; (c) un adeguato terminal value, definito come il valore finale che, sinteticamente, rappresenti la capacità dell'azienda di generare flussi di cassa oltre il termine finale del piano.
Dal valore del capitale economico dell’azienda potrà quindi ricavarsi il valore riservato ai soci attraverso la sottrazione algebrica del valore da essi eventualmente apportato ai fini della ristrutturazione, in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto.
L’esplicita necessità di un nesso teleologico tra gli apporti dei soci e la ristrutturazione del debito comporta che, a questi fini, possano essere sicuramente computati i conferimenti di capitale previsti dal piano ed effettuati in esecuzione del concordato, nonché quelli eseguiti in corso di concordato, successivamente alla presentazione del ricorso ex art. 40. Incerta è, invece, la possibilità di computare in diminuzione del valore riservato ai soci i conferimenti e i versamenti a fondo perduto effettuati anteriormente alla domanda di concordato. Sebbene la norma non imponga un criterio temporale agli apporti dei soci, appare evidente come conferimenti e finanziamenti a fondo perduto effettuati in un tempo remoto rispetto alla presentazione del ricorso ex art. 40 potrebbero avere un debole legame funzionale, o non averlo affatto, con la ristrutturazione in corso.
Per quanto concerne la quantificazione del valore del conferimento, nulla quaestio se esso avvenga in denaro al momento dell’omologazione del concordato. Per i conferimenti in natura sarà necessario un esame critico della perizia di conferimento (se esistente) al fine di determinarne il corretto valore. Maggiore complessità avranno i conferimenti da eseguirsi, in esecuzione del concordato, in periodi successivi: per essi potrà essere necessaria, oltre alla determinazione del loro valore nominale, anche un adeguato processo di attualizzazione secondo le regole della matematica finanziaria.
Parte della dottrina si è interrogata sulla necessità di un classamento dei soci nell’ipotesi in cui ad essi sia attribuito parte del valore risultante dalla liquidazione[18]. A questo proposito, a me pare che la disciplina del classamento dei soci, regolata dall’art. 120 ter, abbia presupposti, ambito e finalità del tutto differenti e indipendenti dalla disciplina qui esaminata.
Non è, ovviamente, questa la sede per ripercorrere la disciplina e i presupposti del classamento dei soci e dei titolari di strumenti finanziari, per i quali si rimanda alla dottrina che se n’è approfonditamente occupata[19]. Mi sembra sufficiente, qui, evidenziare come nessuna espressone di volontà da parte dei soci è prevista né richiesta dalla norma contenuta dall’art. 120 quater, e neppure un trattamento differenziato tra essi. In assenza di diritti differenziati tra i soci, previsti dallo statuto anche a seguito delle sue modifiche previste dal piano, ritengo che il classamento dei soci stessi non solo non sia necessario, ma neppure legittimo[20].
Ciò premesso, è possibile comunque chiedersi che disciplina adottare in caso di conferimenti e finanziamenti a fondo perduto effettuati, o da effettuare, dai soci in misura non proporzionale alle quote da essi possedute. Sul punto, la lettera della norma non è d’aiuto posto che il riferimento è sempre rivolto alla generalità dei soci e non alle singole partecipazioni sociali. Pur con le incertezze che possano derivare da questa impostazione, ritengo che l’ambito di applicazione della norma consenta di considerare l’intero insieme dei conferimenti e dei finanziamenti a fondo perduto quale sottraendo del valore risultante dalla ristrutturazione, indipendentemente dalla loro riferibilità ai singoli soci.
Quale considerazione finale, ritengo opportuno evidenziare come il valore riservato ai soci potrebbe essere nullo o negativo quando gli apporti siano stati maggiori del valore economico del capitale sociale, oppure positivo se gli apporti dei soci siano stati minori o non ci siano stati. Resta da stabilire a chi spetti la valutazione del valore riservato ai soci qualora esso assuma rilevanza, come vedremo, a causa del dissenso di una o più classi di creditori.
A me pare evidente che sia compito del debitore fornire adeguata evidenza del valore risultante dalla ristrutturazione e del valore riservato ai soci. Considerata la complessità della valutazione e gli elementi di inevitabile soggettività che lo caratterizzano[21], mi pare senz’altro opportuno che tale stima di valore sia affidata a un professionista indipendente, dotato di adeguata competenza e terzietà. Considerando che la determinazione del valore riservato ai soci potrà rileverà in sede di giudizio di omologazione, e nel solo caso di dissenso di una o più classi di creditori, ritengo invece che non sia richiesto alcun giudizio in merito al professionista indipendente chiamato ad attestare la veridicità dei dati di partenza e la fattibilità del piano concordatario, la cui attività sarà focalizzata sul piano e si esaurirà con il rilascio della sua relazione di attestazione, anteriormente alla presentazione della proposta concordataria e del decreto di apertura del concordato ex art. 47.
Può chiedersi, al proposito, se la determinazione, anche attraverso una stima indipendente, del valore riservato ai soci debba essere già allegata alla domanda di concordato o possa essere prodotta successivamente. A me pare che nulla osti a una sua produzione successiva al decreto ex art. 47, purché ciò avvenga anteriormente alla votazione dei creditori al fine di consentire loro un’espressione informata di voto. A ben riflettere, la quantificazione del valore riservato ai soci non rappresenta un requisito né della domanda di concordato né, in assenza di dissenso da parte di classi di creditori, un fattore ostativo alla sua omologazione. L’incertezza sull’atteggiamento dei creditori rappresenta, però, un fattore di rischio che dovrà essere valutato dal debitore e sul quale si tornerà tra breve.
Note: