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Saggio

Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale*

Alberto Guiotto, Dottore commercialista in Parma

13 Aprile 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
La possibilità di riservare ai soci una parte del valore risultante dalla ristrutturazione è ora regolata dal Codice della crisi con specifico riferimento al concordato preventivo.
L’Autore formula, in questo contributo, alcune considerazioni sull’ambito di applicazione e sulla portata dell’art. 120 quater, evidenziando la grande rilevanza pratica della nuova disciplina e il suo impatto sull’impostazione e sulla struttura di tutti i concordati preventivi in continuità diretta.
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1 . La distribuzione del valore nel concordato preventivo: una premessa
Si è dibattuto per molto tempo sulla legittimità di una soluzione concordataria, tipicamente in continuità aziendale, che consenta all’imprenditore di mantenere la proprietà dell’azienda dopo una ristrutturazione del debito che preveda la soddisfazione solo parziale dei creditori aziendali.
La questione, com’è noto, verte sull’applicabilità alla fattispecie del concordato in continuità aziendale dei principi contenuti sia nell’art. 2740 del Codice civile, secondo il quale il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri, mentre limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge, sia nel successivo art. 2741 c.c., che regola il concorso dei creditori alla soddisfazione sul patrimonio del debitore. Per gran parte della dottrina e della giurisprudenza recente la disciplina fallimentare derogava a questo principio[1], anche se non mancavano voci discordanti, che ritenevano che l’imprenditore dovesse in qualche modo supportare la proposta concordataria con utilità diverse dai flussi futuri generati dalla continuità aziendale, da destinare ai creditori[2].
Superata qualche iniziale perplessità, nel vigore della legge fallimentare era considerato ormai pacifico che i concordati con continuità aziendale diretta potessero assicurare, nella normalità dei casi, il mantenimento della proprietà dell’azienda in capo all’imprenditore e quindi, indirettamente, la partecipazione nel capitale sociale in capo ai soci indipendentemente dal loro apporto di risorse nuove. 
Si trattava, ovviamente, di una soluzione particolarmente gradita ai soci, che nella realtà italiana sono spesso portatori di interessi analoghi o coincidenti con quello degli amministratori. È innegabile, d’altro canto, che nel concordato in continuità diretta il peso del risanamento gravasse principalmente, quando non unicamente, sui creditori sociali limitando il sacrificio dei soci alla sola indisponibilità dei flussi finanziari destinati all’adempimento della proposta concordataria: sacrificio, questo, comunque ben inferiore a quanto sarebbe stato loro richiesto in assenza di soluzioni concorsuali per l’integrale e regolare pagamento dei creditori aziendali. 
Il rango creditorio di gran lunga più penalizzato nell’ambito dei concordati in continuità aziendale, peraltro, era rappresentato dai creditori postergati, regolarmente esclusi da ogni possibilità di riparto nonostante fossero (rectius: avrebbero dovuto essere), pur sempre, antergati ai soci nell’ordine di distribuzione del valore.
Il contesto normativo qui ricordato ha subito una profonda trasformazione con l’entrata in vigore del Codice della crisi e, più specificamente, a seguito dell’art. 25 del D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 che ha introdotto un’intera sezione del Codice dedicata agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società[3].
In particolare, alla possibilità di attribuire anche ai soci una parte del valore risultante dalla ristrutturazione è dedicata la specifica disciplina contenuta nei commi 1, 2 e 4 dell’art. 120 quater CCII[4], la cui non immediata comprensione e applicazione pratica è oggetto del presente contributo.
Una premessa di carattere metodologico è necessaria, prima di proseguire nella trattazione.
Innanzi tutto, va considerato come le considerazioni che saranno qui formulate scontano inevitabilmente un qualche grado di incertezza dovuto alla novità della norma, alla sua innovatività, all’assenza – finora – di pronunce giurisprudenziali e ai limitati, ancorché autorevoli, contributi dottrinali sull’argomento[5].
In secondo luogo, va evidenziato come il concetto di “valore risultante dalla ristrutturazione” utilizzato dal legislatore nell’ambito dell’art. 120 quater sia una grandezza di natura aziendalistica non coincidente con altre espressioni di valore utilizzate nell’ambito del diritto della crisi. 
Il valore risultante dalla ristrutturazione, infatti, è una grandezza assoluta che corrisponde al valore dell’azienda al momento dell’omologazione del concordato, al netto dell’indebitamento concorsuale e operativo. Questo valore non coincide, a mio parere, con quello di “valore eccedente il valore di liquidazione”[6] assoggettabile alla Relative Priority Rule ai sensi dell’art. 84, comma 6, che è invece una grandezza differenziale, calcolata come differenza tra (a) i flussi finanziarti netti prodotti dalla gestione nell’arco di piano, a servizio dell’indebitamento concorsuale, e (b) il valore di liquidazione. Quest’ultimo, com’è noto, è rappresentato dal valore astrattamente disponibile per i creditori concorsuali in caso di liquidazione giudiziale[7] e costituisce il punto di riferimento per la soddisfazione dei creditori in base all’Absolute Priority Rule[8].
È ben vero, al proposito, che solo il valore eccedente quello di liquidazione potrà essere destinato ai creditori e ai soci in deroga agli stretti criteri dell’Absolute Priority Rule, ed è altrettanto vero che in nessun caso potrà essere attribuito ai soci il valore di liquidazione[9]: ciò non toglie che “valore risultante dalla ristrutturazione” e “valore eccedente il valore di liquidazione” siano due grandezze concettualmente diverse e come tali debbano essere considerate[10]. In particolare, la distinzione è rilevante, nei ragionamenti che seguono, per i differenti criteri di valutazione che li caratterizzano: come si dirà nel prosieguo, l’individuazione del valore risultante dalla ristrutturazione è un elemento fondamentale ai fini del giudizio di omologazione del (solo) concordato preventivo in continuità diretta nel (solo) caso di dissenso da parte di una o più classi di creditori.
2 . Continuità diretta e conservazione del valore da parte dei soci
Considerata la portata innovativa della disciplina e la sua complessità appare opportuno adottare, almeno inizialmente, un approccio schematico alla sua interpretazione.
Innanzi tutto, va evidenziato come la norma contenuta nell’art. 120 quater riguardi solo ed esclusivamente la fattispecie in cui il piano preveda che il valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato anche ai soci anteriori alla presentazione della domanda.
Questa circostanza, solo apparentemente tranquillizzante, merita sin da subito un approfondimento.
Appare indubitabile, dalla lettera della legge e dalla sua interpretazione logica, che la disciplina sia riferita ai soci originari, possessori di una quota di capitale al momento della presentazione della domanda di concordato, mentre la regola non si applica a coloro che divengano soci in esecuzione del concordato, in occasione della sua omologazione o successivamente ad essa. Si tratta, questa, di una conseguenza coerente con la finalità della norma, che ha comunque momenti di incertezza che dipendono dalla sua concreta applicazione pratica. Se, ad esempio, non pare sussistano dubbi sull’ingresso di nuovi soci attraverso aumenti di capitale in denaro o in natura, merita una riflessione supplementare la possibilità che i nuovi soci subentrino ai soci originari (sia attraverso un aumento di capitale, sia) attraverso l’acquisto delle loro partecipazioni. Per quest’ultima fattispecie, ancorché la partecipazione originaria sia trasferita in conformità al piano e in esecuzione del concordato, ritengo che la disciplina dell’art. 120 quater si applichi pienamente, per le ragioni e con gli effetti di cui si dirà in seguito.
Per quanto riguarda le modalità con cui una parte del valore risultante dalla liquidazione venga riservato ai soci, è importante rilevare come non sia affatto necessaria una distribuzione di riserve o, più in generale, un trasferimento di valore ai soci ma, piuttosto, sia sufficiente la conservazione in capo ai soci stessi di un apprezzabile valore delle loro partecipazioni a seguito dell’omologazione del concordato[11].
Questo assunto, che a mio parere è il punto focale dell’intera disciplina, porta con sé due corollari di grande importanza.
Il primo riguarda l’applicazione dell’art. 120 quater al solo concordato in continuità diretta, giacché è solo in questa fattispecie che è normale e prevedibile, a seguito dell’omologazione del concordato, il mantenimento di valore in capo ai soci identificato con la persistenza di un patrimonio netto positivo e di un capitale sociale superiore ai limiti di legge: anche il Codice della crisi, infatti, recepisce nell’art. 89 la norma precedentemente racchiusa nell’art. 182 sexies L. fall. che prevede e limita la sospensione dell’obbligo di ricapitalizzazione a seguito dell’erosione per perdite del capitale sociale soltanto fino all’omologazione del concordato. Al momento dell’omologazione, anche grazie alle sopravvenienze da esdebitazione concordataria, il capitale sociale dovrà quindi ritornare necessariamente sopra i limiti di legge, quale inderogabile requisito del going concern del business.
Di converso, è connaturata nel concordato liquidatorio l’intera devoluzione del valore aziendale ai creditori concorsuali attraverso il rispetto della Absolute Priority Rule, salvo il sostenimento delle spese di procedura e dei costi prededucibili, senza che possa essere riservato ai soci parte del plusvalore concordatario[12]. Analoga considerazione è riferibile, a mio parere, al concordato in continuità aziendale indiretta, giacché anche in questa fattispecie è di norma destinato ai creditori l’intero valore ricavato dal trasferimento dell’azienda in funzionamento, senza che i soci possano trattenerne una quota. Nei casi, che si considerano marginali e di nessuna rilevanza pratica, in cui la proposta di concordato in continuità indiretta preveda l’attribuzione di valore ai soci, potrebbe astrattamente essere applicabile la norma indicata dall’art. 120 quater. Nel prosieguo della trattazione, in ogni caso, sarà considerata la sola fattispecie dei concordati in continuità diretta.
Un secondo corollario dell’equivalenza tra mantenimento del valore da parte dei soci originari e “riserva” del valore in capo ai medesimi, in parte collegato al precedente, consiste nella considerazione che nel concordato in continuità diretta è sempre previsto un patrimonio netto positivo al momento della sua omologazione e che pertanto, salvo il calcolo algebrico proposto dal terzo comma dell’art. 120 quater, ci cui ci occuperemo tra breve, nel concordato preventivo in continuità diretta ci sarà sempre e comunque un valore risultante dalla ristrutturazione da riservare ai soci.
Questo concetto riveste notevole importanza sia per la sua portata di carattere generale, sia perché evidenzia l’irrilevanza di una specifica previsione di piano in merito alla destinazione del valore di ristrutturazione.
Va, naturalmente, riconosciuto come un’autorevole dottrina ritenga di limitare l’applicazione dell’art. 120 quater al solo caso in cui il piano concordatario preveda espressamente di riservare ai soci una quota del valore di ristrutturazione[13]. A me pare, invece, che la presenza di un patrimonio netto positivo (e, nelle società di capitali, un capitale sociale superiore al limite di legge) sia un requisito inderogabile di qualsiasi piano di concordato in continuità diretta, indipendentemente dalle previsioni del piano.
È ben vero che il tenore letterale della norma (“se il piano prevede che …”) fa riferimento a previsioni di piano ma, a mio parere, si tratta di un’indicazione generica e finanche imprecisa, posto che la distribuzione del valore ai creditori è disciplinata non dal piano ma dalla proposta concordataria, dove invece il piano rappresenta il programma organizzativo, di natura economica, patrimoniale e finanziaria, delle azioni che l’imprenditore intende adottare al fine di perseguire il risanamento aziendale e a consentire l’adempimento della proposta[14].
In altri termini, e senza volere indulgere troppo su sottigliezze terminologiche, a me pare che il concordato in continuità diretta abbia sempre e comunque l’obiettivo di generare valore per l’impresa e, indirettamente, per i suoi creditori attraverso l’operatività aziendale, la gestione degli investimenti e disinvestimenti, l’attività finanziaria e le operazioni sul capitale. Il piano, nella sua espressione numerica, darà evidenza dei flussi economici e finanziari che l’impresa potrà produrre nel suo orizzonte temporale: quanta parte di questo valore sia attribuita ai debiti concorsuali e quanta ai debiti successivi, scaturenti dall’attività d’impresa, dipenderà dalla proposta concordataria.
Ciò premesso, mi pare che sia invece ammissibile un ragionamento a contrario: se nel concordato preventivo in continuità diretta la soluzione di default è quella che una quota del valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato ai soci, potrebbe essere invece ipotizzabile che il piano riduca o annulli questo valore consentendo una proposta che lo assegni, attraverso opportune modifiche statutarie, a specifiche classi di creditori in forma di strumenti finanziari partecipativi o di quote di capitale, anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione dei soci esistenti.
Questa possibilità, promossa dagli amministratori e pacificamente ammessa e prevista dal secondo comma dell’art. 120 bis, potrebbe giungere persino a pregiudicare i diritti dei soci originari attribuendo loro un’utilità inferiore a quella ricavabile dall’alternativa liquidatoria. Unicamente in questo caso risulterebbe rilevante, in questo ambito, la disciplina del terzo comma dell’art. 120 quater, collocata eccentricamente in questa norma del Codice, che prevede la possibilità di opposizione all’omologazione da parte dei soci in questo modo danneggiati[15].
3 . L’attribuzione di valore ai soci
Il terzo comma dell’art. 120 quater introduce la definizione convenzionale di “valore riservato ai soci”, che non trova spazio nella dottrina aziendalistica e che è il risultato di un’operazione algebrica su grandezze di carattere patrimoniale.
Per “valore riservato ai soci”, ai fini dell’applicazione dell’art. 120 quater, si intende il valore effettivo delle loro partecipazioni e degli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle, quali strumenti finanziari partecipativi e warrant, conseguente all’omologazione della proposta, dedotto il valore da essi eventualmente apportato ai fini della ristrutturazione in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto[16].
Per conoscere il valore effettivo delle singole partecipazioni è preliminarmente necessario determinare il valore effettivo risultante dalla ristrutturazione, che coincide a sua volta con il valore del capitale economico dell’azienda al momento dell’omologazione.
Il valore risultante dalla ristrutturazione potrà così essere determinato in base alle metodologie di valutazione conosciute e comunemente predicate dalla dottrina aziendalistica che meglio si attaglino alla struttura aziendale e al business di riferimento e che tengano conto delle passività aziendali e dei flussi finanziari destinati al loro servizio[17].
Non appare possibile, né utile, individuare a priori un metodo valutativo universalmente riconosciuto come adeguato alla determinazione del valore risultante dalla ristrutturazione. È comunque necessario che il metodo prescelto consideri quali criteri-base di valutazione, perlomeno: (a) quale termine di riferimento della valutazione, la (presumibile) data di omologazione del concordato; (b) quali flussi economici e finanziari di riferimento, quelli previsti dal piano di concordato; (c) un adeguato terminal value, definito come il valore finale che, sinteticamente, rappresenti la capacità dell'azienda di generare flussi di cassa oltre il termine finale del piano.
Dal valore del capitale economico dell’azienda potrà quindi ricavarsi il valore riservato ai soci attraverso la sottrazione algebrica del valore da essi eventualmente apportato ai fini della ristrutturazione, in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto.
L’esplicita necessità di un nesso teleologico tra gli apporti dei soci e la ristrutturazione del debito comporta che, a questi fini, possano essere sicuramente computati i conferimenti di capitale previsti dal piano ed effettuati in esecuzione del concordato, nonché quelli eseguiti in corso di concordato, successivamente alla presentazione del ricorso ex art. 40. Incerta è, invece, la possibilità di computare in diminuzione del valore riservato ai soci i conferimenti e i versamenti a fondo perduto effettuati anteriormente alla domanda di concordato. Sebbene la norma non imponga un criterio temporale agli apporti dei soci, appare evidente come conferimenti e finanziamenti a fondo perduto effettuati in un tempo remoto rispetto alla presentazione del ricorso ex art. 40 potrebbero avere un debole legame funzionale, o non averlo affatto, con la ristrutturazione in corso.
Per quanto concerne la quantificazione del valore del conferimento, nulla quaestio se esso avvenga in denaro al momento dell’omologazione del concordato. Per i conferimenti in natura sarà necessario un esame critico della perizia di conferimento (se esistente) al fine di determinarne il corretto valore. Maggiore complessità avranno i conferimenti da eseguirsi, in esecuzione del concordato, in periodi successivi: per essi potrà essere necessaria, oltre alla determinazione del loro valore nominale, anche un adeguato processo di attualizzazione secondo le regole della matematica finanziaria.
Parte della dottrina si è interrogata sulla necessità di un classamento dei soci nell’ipotesi in cui ad essi sia attribuito parte del valore risultante dalla liquidazione[18]. A questo proposito, a me pare che la disciplina del classamento dei soci, regolata dall’art. 120 ter, abbia presupposti, ambito e finalità del tutto differenti e indipendenti dalla disciplina qui esaminata.
Non è, ovviamente, questa la sede per ripercorrere la disciplina e i presupposti del classamento dei soci e dei titolari di strumenti finanziari, per i quali si rimanda alla dottrina che se n’è approfonditamente occupata[19]. Mi sembra sufficiente, qui, evidenziare come nessuna espressone di volontà da parte dei soci è prevista né richiesta dalla norma contenuta dall’art. 120 quater, e neppure un trattamento differenziato tra essi. In assenza di diritti differenziati tra i soci, previsti dallo statuto anche a seguito delle sue modifiche previste dal piano, ritengo che il classamento dei soci stessi non solo non sia necessario, ma neppure legittimo[20].
Ciò premesso, è possibile comunque chiedersi che disciplina adottare in caso di conferimenti e finanziamenti a fondo perduto effettuati, o da effettuare, dai soci in misura non proporzionale alle quote da essi possedute. Sul punto, la lettera della norma non è d’aiuto posto che il riferimento è sempre rivolto alla generalità dei soci e non alle singole partecipazioni sociali. Pur con le incertezze che possano derivare da questa impostazione, ritengo che l’ambito di applicazione della norma consenta di considerare l’intero insieme dei conferimenti e dei finanziamenti a fondo perduto quale sottraendo del valore risultante dalla ristrutturazione, indipendentemente dalla loro riferibilità ai singoli soci.
Quale considerazione finale, ritengo opportuno evidenziare come il valore riservato ai soci potrebbe essere nullo o negativo quando gli apporti siano stati maggiori del valore economico del capitale sociale, oppure positivo se gli apporti dei soci siano stati minori o non ci siano stati. Resta da stabilire a chi spetti la valutazione del valore riservato ai soci qualora esso assuma rilevanza, come vedremo, a causa del dissenso di una o più classi di creditori.
A me pare evidente che sia compito del debitore fornire adeguata evidenza del valore risultante dalla ristrutturazione e del valore riservato ai soci. Considerata la complessità della valutazione e gli elementi di inevitabile soggettività che lo caratterizzano[21], mi pare senz’altro opportuno che tale stima di valore sia affidata a un professionista indipendente, dotato di adeguata competenza e terzietà. Considerando che la determinazione del valore riservato ai soci potrà rileverà in sede di giudizio di omologazione, e nel solo caso di dissenso di una o più classi di creditori, ritengo invece che non sia richiesto alcun giudizio in merito al professionista indipendente chiamato ad attestare la veridicità dei dati di partenza e la fattibilità del piano concordatario, la cui attività sarà focalizzata sul piano e si esaurirà con il rilascio della sua relazione di attestazione, anteriormente alla presentazione della proposta concordataria e del decreto di apertura del concordato ex art. 47.
Può chiedersi, al proposito, se la determinazione, anche attraverso una stima indipendente, del valore riservato ai soci debba essere già allegata alla domanda di concordato o possa essere prodotta successivamente. A me pare che nulla osti a una sua produzione successiva al decreto ex art. 47, purché ciò avvenga anteriormente alla votazione dei creditori al fine di consentire loro un’espressione informata di voto. A ben riflettere, la quantificazione del valore riservato ai soci non rappresenta un requisito né della domanda di concordato né, in assenza di dissenso da parte di classi di creditori, un fattore ostativo alla sua omologazione. L’incertezza sull’atteggiamento dei creditori rappresenta, però, un fattore di rischio che dovrà essere valutato dal debitore e sul quale si tornerà tra breve.
4 . Il dissenso dei creditori e il ricalcolo del loro grado di soddisfacimento
L’intera disciplina dell’art. 120 quater su cui stiamo ragionando assume rilievo nel solo caso in cui vi sia il dissenso di una o più classi di creditori, mentre invece non si applicherà qualora il concordato sia approvato dalla totalità delle classi.
La disciplina non può applicarsi pertanto, neppure in via analogica, agli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 57, neppure nella loro declinazione ad efficacia estesa ex art. 61, non solo perché in questo istituto non sono previste classi di creditori, ma eventualmente loro categorie, ma soprattutto perché in questo strumento la distribuzione del valore è libera e non può essere applicata la Relative Priority Rule, che rappresenta il presupposto logico dell’art. 120 quater. Analogamente, la disciplina fin qui esaminata non è riferibile neppure al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) regolato dall’art. art. 64 bis che, peraltro, presuppone la sua approvazione da parte di tutte le classi dei creditori. 
Per le ragioni precedentemente esposte, ritengo che la norma racchiusa nell’art. 120 quater si applichi sempre e soltanto al concordato in continuità aziendale[22].
Ciò premesso, una volta determinato il valore riservato ai soci, e una volta verificatasi la circostanza del dissenso di almeno una classe dei creditori, il concordato in continuità può essere omologato solo se supera una sorta di prova di resistenza basata su un articolato meccanismo di calcolo che distingue il caso in cui (a) la classe dissenziente trovi altre classi di creditori consenzienti di rango inferiore dal diverso caso in cui (b) la classe dissenziente sia di infimo rango, non essendovi altri creditori di rango pari o inferiore.
Nel primo caso, il concordato potrà essere omologato se il grado di soddisfacimento in termini percentuali proposto a ciascuna delle classi dissenzienti sia almeno altrettanto favorevole rispetto a quello proposto, sempre in termini percentuali, alle classi del medesimo rango e più favorevole di quello proposto alle classi di rango inferiore, anche qualora a tali classi venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci.
Il meccanismo del calcolo che dovrà essere effettuato può essere impostato, in modo schematico, come segue: (1) si prenda a riferimento la classe dissenziente; (2) si verifichi se vi siano classi consenzienti del medesimo rango; (3) si ricalcoli il loro grado di soddisfacimento percentuale nell’ipotesi in cui, oltre ai flussi già previsti dalla proposta, fosse loro destinato il valore complessivamente destinato ai soci; (4) si verifichi che questo nuovo grado di soddisfacimento (percentuale) non sia superiore a quello della classe dissenziente. 
La stessa procedura di calcolo va eseguita con le classi di rango inferiore, per le quali andrà verificato che il nuovo e ricalcolato grado di soddisfacimento percentuale sia inferiore a quello della classe dissenziente.
È importante ribadire che, in questo caso, il confronto avviene tra gradi di soddisfacimento espresso in grandezze percentuali.
Il livello di complessità del calcolo aumenta in caso di pluralità di classi consenzienti di grado analogo a quello della classe dissenziente: in questo caso, il valore riservato ai soci dovrebbe essere ripartito proporzionalmente tra loro, in base alla consistenza numerica di ciascuna di esse. Analoga ripartizione andrà eseguita in caso di pluralità di classi consenzienti di grado inferiore alla classe dissenziente.
Quando le classi dissenzienti siano più di una il ricalcolo sopra descritto va reiterato per ciascuna di esse, il che rende esponenzialmente più complessa la verifica.
Nei casi qui esaminati il grado di soddisfazione, così ricalcolato, dei creditori appartenenti alle classi consenzienti di grado identico o inferiore alla classe dissenziente dipenderà sia dal grado di soddisfazione inizialmente proposto, sia dalla loro consistenza numerica: ciò potrebbe comportare articolate simulazioni di calcolo nei casi in vi siano, ad esempio, una molteplicità di classi di grado pari o inferiore rispetto alla classe dissenziente la cui consistenza numerica sia molto piccola e per le quali un’astratta attribuzione del valore riservato ai soci potrebbe comportare un soddisfacimento percentuale molto elevato.
Si consideri al proposito il seguente esempio numerico, necessariamente semplificato.
Qualora la proposta concordataria prevedesse, per una classe di creditori di rango pari a quello della classe dissenziente, una soddisfazione percentuale dell’1% e qualora l’ammontare complessivo dei crediti appartenenti a quella classe fosse di 10.000 euro, il valore originariamente destinato a quella classe dalla proposta concordataria sarebbe di 100 euro. Se il valore riservato ai soci ammontasse a 90 euro, a seguito del ricalcolo di cui al primo comma dell’art. 120 quater questa classe otterrebbe un grado di soddisfacimento teorico percentuale pari all’1,9%, calcolato in base alla proporzione (100+90)/10.000. Qualora invece la classe di pari rango fosse composta da creditori per un ammontare complessivo pari a 100 euro, il valore originariamente destinato a quella classe sarebbe pari all’1% di 100 euro, e quindi a 1 euro. Attribuendo a quella classe, in base al ricalcolo previsti dalla medesima norma, il valore riservato ai soci pari a 90 euro, il grado di soddisfazione teorico percentuale di quella classe sarebbe pari al 91%, calcolato in base alla proporzione (1+90)/100. È di facile comprensione, quindi, come la consistenza numerica della singola classe possa influenzare, anche in modo decisivo, il superamento di questa prova di resistenza e la stessa possibilità di omologazione del concordato.
Nel caso in cui, invece, non vi siano classi di creditori di rango pari o inferiore a quella dissenziente, come nell’ipotesi in cui la classe dissenziente sia composta da creditori postergati, il concordato potrà essere omologato solo quando il valore, in termini assoluti, destinato al soddisfacimento dei creditori appartenenti alla classe dissenziente sia superiore a quello complessivamente riservato ai soci. In quest’ultimo caso, rispetto a quelli finora esaminati, si dovranno pertanto comparare tra loro valori assoluti, e non percentuali.
A differenza dell’esempio precedentemente proposto, in questo caso il superamento della prova di resistenza dipenderà esclusivamente dalle dimensioni relative di questa classe di creditori rispetto al valore riservato ai soci, senza alcuna considerazione del grado di soddisfazione riservato ai creditori appartenenti a quella classe.
5 . Considerazioni conclusive
Attraverso questo contributo ho cercato di affrontare, con le inevitabili incertezze che derivano dalla sua novità e innovatività e dall’assenza di pronunce giurisprudenziali, la disciplina inerente all’attribuzione ai soci di parte del valore risultante dalla ristrutturazione, così come regolata dall’art. 120 quater.
Si tratta, a mio avviso, di una disciplina di enorme impatto sullo strumento concordatario e sulle consuetudini operative che hanno accompagnato finora la risoluzione della crisi attraverso il ricorso al concordato preventivo in continuità aziendale soggettiva.
Considerato che le regole qui esaminate trovano, quale innesco, il dissenso di almeno una classe di creditori può sorgere il dubbio che sia sempre necessario determinare, prima di suddividere i creditori in classi e formulare la proposta concordataria, il valore riservato ai soci nel concordato in continuità diretta. 
Sul punto, la mia opinione è in senso affermativo, posto che molto raramente accade che vi sia a priori la certezza assoluta di ottenere il voto favorevole di tutte le classi. D’altronde, quando grazie a inusuali capacità divinatorie, o più prosaicamente a trattative collaterali coi principali creditori, questa certezza vi sia, il debitore e i suoi consulenti potrebbero più utilmente ed efficacemente fare ricorso a un piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), che appare uno strumento molto più flessibile per quanto riguarda la distribuzione del valore.
Volendo formulare alcune schematiche e non definitive conclusioni su questa innovativa disciplina, ritengo che la formulazione dell’art. 120 quater imponga, già nella fase di predisposizione del piano e della proposta di concordato preventivo in continuità aziendale, alcune cautele e comportamenti che nel vigore della legge fallimentare non rivestivano analoga rilevanza.
In primo luogo, appare necessaria la valutazione del capitale economico aziendale risultante dall’omologazione del concordato, preferibilmente da parte di un perito indipendente, al fine di consentire ai creditori un’espressione di voto informata e al tribunale un giudizio di omologazione fondato su un solido supporto documentale.
In secondo luogo, andrà eseguito un accurato classamento dei creditori, che sia resistente ai meccanismi di ricalcolo descritti in precedenza.
In ultimo luogo, ma non in ordine di importanza, andrà sempre considerata la richiesta di nuovi apporti ai soci, a titolo di conferimento o di versamento a fondo perduto, che possano sostenere il piano di concordato e diminuire o azzerare il valore a loro riservato.
Il fatto che la nuova normativa incentivi fortemente l’intervento dei soci a supporto del piano concordatario mi sembra la caratteristica più significativa e, a mio parere, più apprezzabile di questa nuova disciplina.

Note:

[1] 
Cfr., tra i contributi più recenti, G. D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, in Il Fall., 10/2022, 1228 ss. e A. Pezzano, M. Ratti, Le regole di distribuzione, in Dirittodellacrisi.it, 6 settembre 2022, 5. 
[2] 
Così, ad esempio, D. Vattermoli, Concordato in continuità aziendale, Absolute Priority Rule e New Value Exception, in Riv. dir. Comm., 2014, I, 352 ss. Le posizioni dottrinali in merito sono ben delineate da M. Arato, Il confine dell’utilità economicamente rilevante: l’attribuzione di azioni e strumenti finanziari partecipativi, in Dirittodellacrisi.it, 7 ottobre 2022, 6.
[3] 
Ci si riferisce, ovviamente, all’introduzione della sezione VI bis nel Capo II, del Titolo IV della parte Prima del Codice della crisi, composta dagli articoli da 120 bis a 120 quinquies del nuovo codice.
[4] 
Ci si permette, in questa sede, di evidenziare en passant come il terzo comma dell’art. 120 quater abbia, di norma, poco a che fare con l’argomento in discussione, essendo invece riferibile alla diversa disciplina della tutela dei soci contro il pregiudizio che possano patire da iniziative concorsuali degli amministratori a loro danno. Sull’eccentricità della posizione di questa norma, cfr. A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in Ristrutturazioni Aziendali, 22 settembre 2022, 16.
Sulla rara applicabilità di questa norma alla disciplina in esame, v. però infra nel testo e alla nota 15.
[5] 
Tra i principali contributi in tema di attribuzione ai soci del valore risultante dalla ristrutturazione si segnalano R. Brogi, I soci e gli strumenti di regolazione della crisi, in Fall., 10/2022, 1290 ss.; B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 27 febbraio 2023, 35 ss.; L.A. Bottai, A. Pezzano, M. Ratti, M. Spadaro, Il concordato con attribuzione ai soci: criticità e prospettive del nuovo art. 120 quater CCII, in Dirittodellacrisi.it, 8 novembre 2022, 4 ss.; M. Arato, Il confine dell’utilità economicamente rilevante: l’attribuzione di azioni e strumenti finanziari partecipativi, cit., 5 ss.; A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 8 ss. 
Utili riflessioni sul tema sono svolte anche da M. Spadaro, Il concordato delle società, in Dirittodellacrisi.it, 13 ottobre 2022, 18 ss.; M. Fabiani, Un affresco sulle nuove “milestones” del concordato preventivo, in Dirittodellacrisi.it, 6 ottobre 2022, 51 ss.; G. D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, cit., 1223 ss.; M. Spiotta, Ruolo dei creditori nella composizione negoziata e negli strumenti di regolazione della crisi / insolvenza, in Il Fall., 10/2022, 1276 ss.; A. Pezzano, M. Ratti, Le regole di distribuzione, cit., 12 ss.; M. Arato, Il ruolo di soci e amministratori nei quadri di ristrutturazione preventiva, in Dirittodellacrisi.it, 10 maggio 2022, 4 ss.
[6] 
Propende, invece, per l’equivalenza tra le due grandezze M. Arato, Il ruolo di soci e amministratori nei quadri di ristrutturazione preventiva, in Dirittodellacrisi.it, 10 maggio 2022, 4. La medesima posizione è ribadita, dallo stesso Autore, anche in Il confine dell’utilità economicamente rilevante: l’attribuzione di azioni e strumenti finanziari partecipativi, in Dirittodellacrisi.it, 7 ottobre 2022, 5.
[7] 
Per un maggiore approfondimento sulla determinazione del valore di liquidazione quale patrimonio aziendale valutato, quando possibile, as a going concern, cfr. A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 18. 
[8] 
Cfr. G. D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, cit., 1229.
[9] 
È questo il significato, a mio parere, da attribuire alle indicazioni della Relazione illustrativa dello schema di D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 ove precisa che «Occorre dunque “misurare” il trattamento riservato ai soci, tenendo conto che l’obiettivo della normativa è quello di permettere che il tribunale possa omologare lo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, nonostante il dissenso di una o più classi, se il valore di liquidazione del patrimonio è distribuito tra i creditori secondo la regola di priorità assoluta e il plusvalore da continuità è assegnato, ai creditori ed eventualmente ai soci, in una misura tale che il trattamento riservato a ciascuna delle classi dissenzienti sia almeno pari a quello delle classi di pari rango e più favorevole di quello riservato alle classi inferiori».
Fa eccezione il caso, scolastico, in cui il valore di liquidazione sia più che sufficiente a soddisfare integralmente tutti i creditori aziendali.
[10] 
Cfr., sul punto, B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, cit., 35 ss.
[11] 
Così cfr. A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in Ristrutturazioni Aziendali, 22 settembre 2022, 10.
[12] 
Così, con sicurezza, G. D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, cit., 1229.
[13] 
Cfr. L. Bottai, A. Pezzano, M. Ratti, M. Spadaro, Il concordato preventivo con attribuzione ai soci: criticità e prospettive nel nuovo art. 120 quater CCII, cit., 9.
[14] 
In questi termini M. Fabiani, Un affresco sulle nuove “milestones” del concordato preventivo, cit., 20.
[15] 
Sull’insolita collocazione della norma in questo contesto, v. retro, nota 4.
In merito alla possibilità di opposizione all’omologazione da parte dei soci cfr. le riflessioni di L. Bottai, A. Pezzano, M. Ratti, M. Spadaro, Il concordato preventivo con attribuzione ai soci: criticità e prospettive nel nuovo art. 120 quater CCII, cit., 7.
[16] 
Cfr. M. Fabiani, Un affresco sulle nuove “milestones” del concordato preventivo, cit., 22.
[17] 
Potranno così essere utilizzati, a seconda della natura del business, i metodi ritenuti idonei al contesto specifico quali, ad esempio, un metodo reddituale, o un metodo patrimoniale, o un metodo misto reddituale-patrimoniale, ovvero ancora il metodo dei Discounted Cash Flows (DCF).
[18] 
Cfr. R. Brogi, I soci e gli strumenti di regolazione della crisi, cit., 1301 e M. Arato, Il confine dell’utilità economicamente rilevante: l’attribuzione di azioni e strumenti finanziari partecipativi, cit., 5.
[19] 
Cfr. M. Fabiani, Un affresco sulle nuove “milestones” del concordato preventivo, cit., 51; M. Spadaro, Il concordato delle società, cit., 26; A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 20 ss.
[20] 
Così A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 22.
[21] 
Si pensi, ad esempio, all’identificazione di adeguati tassi di attualizzazione o alla quantificazione del WACC in caso di utilizzo del metodo dei Discounted Cash Flows.
[22] 
Cfr. B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, cit., 35 ss.

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