In mancanza di contestazioni, al tribunale è inibito valutare d’ufficio la bontà o dannosità della proposta concordataria, essendo la gestione della crisi rimessa ai creditori.
In ambedue le tipologie principali di concordato, in continuità e liquidatorio, è l’opposizione ad attrarre nell’area del vaglio giudiziale la convenienza.
Il tribunale omologa il concordato soltanto se accerta che secondo la proposta e il piano il credito dell'opponente appare soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale. Quello del giudice è, dunque, un controllo sull’assenza di pregiudizio per il creditore.
Il sindacato sulla convenienza è limitato soggettivamente, dacché calibrato sulla posizione del singolo opponente, non dell’intero parterre dei creditori; è anche circoscritto oggettivamente, giacché il trattamento offerto è raffrontato unicamente con quello conseguibile nel contesto della liquidazione giudiziale.
L’idea di fondo è che a seguito dell’approvazione del concordato ai sensi dell’art. 109 CCII il principio di maggioranza e l’“autodeterminazione” dei creditori debba far premio sulle recriminazioni del singolo rispetto al trattamento riservatogli[112]. Perciò solo a certe condizioni il creditore scontento può reagire, provando a porsi al riparo dalla pretermissione.
Viene in rilievo una distinzione di disciplina fra concordato in continuità e concordato liquidatorio.
Nel primo caso, a poter eccepire il difetto di convenienza è ogni creditore “dissenziente”, quale che sia il voto espresso a maggioranza dalla sua e dalle altre classi. Il tribunale, per accertare il valore di liquidazione funzionale all’accertamento della corretta graduazione dei crediti, può procedere all’effettuazione della stima del complesso aziendale, e pronuncia l’omologa solo se il credito del dissenziente è soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale[113], secondo il cd. best interests of creditors test di matrice unionale[114].
Nell’alveo della continuità la legittimazione spetta, dunque, a ciascun creditore in disaccordo, indipendentemente dall'ammontare del suo credito e dalla classe di appartenenza (art. 112, comma 3). Il diritto di contestazione del deficit di convenienza è un diritto individuale. Si tratta, da un lato, di un contrappeso rispetto alla maggiore flessibilità riconosciuta al debitore nella distribuzione dei valori del patrimonio; dall’altro di un contrappunto alle regole per l'approvazione dello strumento, che ora consentono l’omologazione finanche di proposte votate da una minoranza di creditori o da un’unica classe (v. § 6).
Nel diverso caso del concordato di liquidazione – così come, residualmente, in “qualsiasi altra forma di concordato”–vale una ben più rigida condizione dell’azione. A poter insorgere è soltanto “il creditore dissenziente appartenente ad una classe dissenziente”. Se il concordato non prevede classi, il creditore ostile è costretto a far gruppo con gli altri dissenzienti tanto da sommare sulla carta, in condominio con loro, almeno “il 20 per cento dei crediti ammessi al voto”. In definitiva, solo il suo è un dissenso che si accompagna a quello classe di appartenenza, il creditore può contrastare il concordato anche sul piano della convenienza; in caso contrario egli viene zittito dal voto maggioritario, dovendo, per reagire, radunare gli altri delusi fino a raggiungere una percentuale importante, la sola che vale a giustificare, a fronte di uno strumento approvato dai più, il ricorso al best interests of creditors test.
In entrambe le situazioni contemplate dai commi 3 e 5 dell’art. 112 il concordato verrà, ad ogni buon conto, varato con l’omologa sempreché il credito dell’opponente o dell’aggregazione degli opponenti non scenda al di sotto della soglia rappresentata dalla soddisfazione virtualmente conseguibile in moneta liquidatoria-giudiziale.
Viene ammainata la bandiera del miglior soddisfacimento dei creditori e la sola precauzione imposta all’imprenditore è quella di porre i titolari delle pretese al riparo dal maggior danno. La proposta può essere finanche a “somma zero” rispetto all’ipotesi liquidatoria, non essendo necessario che la posizione dei creditori migliori col concordato. Lo strumento è omologabile a patto che non rappresenti, rispetto alla liquidazione giudiziale, un rimedio peggiore del male[115].
La distribuzione del valore liquidation value (v. § 4) sulla scorta del test di convenienza segue la traccia della previsione di cui all'art. 10, par. 2, lett. d), della Direttiva 1023/2019, a tenore del quale il creditore discorde riceve almeno il valore che otterrebbe "in caso di liquidazione, se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale", a prescindere da quale sia la classe di appartenenza e dalla circostanza che essa si sia espressa favorevolmente o negativamente rispetto al piano.
Il test in parola implica una ponderazione non più riferita a tutto il ceto creditorio, ma unicamente al singolo creditore opponente.
Nel concordato i creditori consentono la liberazione dell'impresa da una frazione dei debiti, il debitore si obbliga a far conseguire a ciascuno un determinato risultato, al tribunale spetta acclarare che quel risultato, benché non il migliore possibile, sia non deteriore rispetto a quello conseguibile nell’alternativa per così dire “fallimentare”[116]. L’attribuzione al tribunale della prerogativa di sovrapporre il proprio metro di giudizio rispetto a quello della maggioranza dei creditori è il bilanciamento eteronomo immaginato dal legislatore in relazione ad un processo, quello di concordato, che si connota come luogo di composizione transattiva del conflitto multiforme innescato dalla crisi.
Nulla di stridente, a ben guardare, con le categorie usuali del sistema. Pure in rapporto al concordato la garanzia generica dell’art. 2740 c.c. e la possibile sua attuazione vengono, in tal modo, elevati a termine di paragone per l’apprezzamento della convenienza della proposta ogni qual volta il debitore proponga di mantenere in tutto o in parte la titolarità dei beni per proseguire, anche mediatamente, l’attività produttiva o per liquidarla in una sede alternativa rispetto a quella ablatoria.
Il raffronto tra misura del soddisfacimento ritraibile in ragione del risanamento economico concordatario e quella della gratificazione ricavabile nello sfondo liquidatorio va collegato al momento di apertura del procedimento di concordato.
Esso valorizza l’aspetto temporale, le prospettive concrete di recupero di crediti, le utilità sulla carta già individuabili, le garanzie che vengono in rilievo nel perimetro concordatario e in quello underground della liquidazione giudiziale.
Va verificata, anche al netto delle spese di procedura, la maggiore o minore ampiezza virtuale dell'attivo liquidabile e del passivo presumibile, dovendosi stimare, sotto il primo aspetto, le azioni promuovibili nel quadro della liquidazione giudiziale, sotto il secondo, le eccezioni revocatorie sollevabili[117].
Il principio dell’assenza di pregiudizio che pervade il test di convenienza implica l’identificazione certa del plusvalore concordatario. Occorre appurare quale sia il ricavato prodotto dalla continuità aziendale, cioè la ricchezza aggiuntiva correlabile allo strumento di risanamento, che non si genererebbe nel caso di apertura di procedura liquidatoria.
All’interno della liquidazione giudiziale, salvo il caso di specie non deponga per qualche ragione in senso contrario, ben si può ipotizzare che venga operato il trasferimento in blocco dell'azienda o di suoi rami. Bisogna attribuire rilevanza allo scenario di continuazione dell'impresa, quando questo non si mostri di fatto improbabile. Pure nel plesso liquidatorio-giudiziale non è detto che i beni vengano immediatamente dismessi alla stregua di macchine spente o opifici chiusi. Qualora sia possibile a livello di dati contabili e finanziari dell’impresa, la monetizzazione del compendio produttivo va ponderata in una prospettiva che tenga conto del valore dinamico e aggregato dei beni, apprezzando le possibilità di utilizzo degli stessi nel terreno liquidatorio in funzione generativa di flussi. Anche in un ambito dismissivo, la ricollocazione competitiva sul mercato del valore dell’impresa avviene in linea di principio per blocchi operativi di beni, venendo in rilievo istituti di presidio del going concern come l’affitto e l’esercizio dell’impresa del debitore; l’art. 211 CCII prevede, d’altronde, che l’apertura della liquidazione giudiziale non determina la cessazione dell’attività d’impresa quando la sua prosecuzione non arreca pregiudizio ai creditori. Tenuto conto che i crediti pregressi sono cristallizzati e concorsualizzati, il business, se è sostenibile, non cessa con l’apertura della liquidazione, ma va ripianificato ove possibile.
Una valutazione di convenienza del tribunale è necessaria anche quando il concordato non è approvato a causa della mancanza di adesione è determinante dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie. In tal caso, il tribunale può omologare il concordato quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente, ossia non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria (art. 88, comma 2 bis). Anche in quest’ipotesi la convenienza, alias assenza di pregiudizio, deve stimarsi con riferimento esclusivo al trattamento offerto dall'amministrazione finanziaria o dagli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatoria, non anche con riferimento al soddisfacimento offerto complessivamente alla massa dei creditori.