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Saggio

Il giudizio di omologazione del concordato preventivo: oggetto, regole, controlli*

Salvo Leuzzi, Magistrato addetto al Massimario della Suprema Corte di Cassazione

9 Ottobre 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L'A. affronta funditus il tema delle regole processuali e sostanziali dell'omologazione del concordato preventivo.
Riproduzione riservata
1 . Oggetto del giudizio
Secondo aggiornata e autorevole letteratura, nel giudizio di omologazione il tribunale verifica “per l’ultima volta i presupposti di ammissibilità della domanda di concordato e la conformità a legge del piano concordatario”[1], focalizzando il controllo di legittimità sui “tre formanti del concordato”: domanda, piano, proposta[2]. 
L’oggetto del giudizio è composito. La sua complessità è accentuata dalla morfologia del concordato, che è strumento di regolazione della crisi[3] e procedura concorsuale[4], ma, nel suo nucleo, è essenzialmente un contratto sul quomodo della regolazione della crisi, suscettibile di perfezionarsi nel processo e di conseguire al suo esito l’attitudine a ridefinire, in senso novativo e vincolante per tutti, le obbligazioni dell’impresa[5].
Certo, il contratto concordatario è tendenzialmente un contratto senza accordo[6], e celebra il declino dell’idea tradizionale che individua nel consenso delle parti attraverso l’incontro delle dichiarazioni, gli elementi ontologici del contratto stesso[7]. In realtà, la formazione di quest’ultimo, a maggior ragione ove contenga impegni unilaterali, ben può coincidere con un’intesa prevalente, non ingiusta e comunque tacitamente sopportata[8].  
È anche nel quadro di quest’apparente suggestione che deve scrutarsi la sostanza del sindacato giudiziale omologatorio, di fronte al quale si staglia il diritto soggettivo dell’impresa a negoziare il dissesto e a governarlo in base a regole di distribuzione alternative a quelle proprie del perimetro liquidatorio-giudiziale, e sulla scorta di modalità adempitive tendenzialmente libere, perché pianificate in un atto di autonomia privata indirizzato ai creditori e da questi avvalorato col voto[9].  La verifica concerne, dunque, innanzitutto, proprio la sussistenza del diritto a fronteggiare la crisi secondo lo schema del c.d. “concorso concordatario”[10]. 
L’oggetto del controllo pertiene anche alla correttezza e regolarità dei passaggi formali e procedimentalizzati, che a salvaguardia delle posizioni dei creditori di quel diritto scandiscono l’esercizio[11]. Sotto questo aspetto, il concordato "va letto, anche, come processo perchè all'interno del processo che si forma la volontà delle parti ed è all'esito del giudizio di omologazione che la volontà delle parti produce effetti vincolanti"[12]. 
La fase dell’omologa ci consegna la centralità del ruolo del giudice. Il consenso si forma in costanza di una procedura perché la regolazione della crisi è fatto che interessa una comunità di soggetti economici, il che reclama uno spazio in cui convogliare le questioni che possono profilarsi in ordine alla legittimità del procedimento e alla vantaggiosità della proposta negoziale. 
L'attribuzione al giudice della responsabilità di varare o respingere il concordato è il mezzo per garantire una supervisione sul processo di creazione di un vincolo contrattuale[13]. 
La valutazione positiva veicolata in omologa è certificazione di rispetto di regole processuali e sostanziali e di consequenziale idoneità del concordato a produrre effetti caratteristici ed eterogenei[14]. L'autonomia delle parti non è in grado di generarli ex se, postulando come imprescindibile l'introduzione di un controllo esterno su un regolamento dei rapporti fra imprenditore e creditori commerciali destinato a soppiantare quello civilistico di diritto comune[15]. 
Naturalmente il tribunale è deputato a tornare – sulla base delle conoscenze acquisite attraverso la lente del commissario giudiziale e il coacervo dei punti di vista espressi dai creditori – sui presupposti di accesso allo strumento: qualità di imprenditore sopra-soglia del soggetto istante, fondatezza del denunciato stato di crisi o insolvenza, misura delle pretese creditorie, congruenza dell’inquadramento del concordato come in continuità anziché liquidatorio, correttezza della formazione delle classi, adeguatezza dell’attestazione. Oltre ai presupposti in parola, vengono considerati in fase di omologa gli ulteriori aspetti indicati nell'art. 112 CCII, sui quali in dettaglio pure ci si concentrerà.
2 . Assetto delle regole
Il Codice della crisi ripartisce le regole sull’omologazione del concordato in due plessi distinti. Il palinsesto processuale è tratteggiato dall’art. 48 nella cornice del procedimento unitario. 
Il contenuto del giudizio di omologazione è, invece, disciplinato dall'art. 112 nel contesto delle disposizioni partitamente dedicate all’istituto concordatario.
Le regole, sia sostanziali che procedimentali, sono disposte in modo non rettilineo, né sequenziale. È il portato della volontà legislativa di disciplinare in maniera uniforme, indipendentemente dalle peculiarità del debitore, le situazioni di crisi e insolvenza.  Le motivazioni della dislocazione si collegano, allora, ad una scelta di campo precisa, che va nel senso di un modello processuale omogeneo e onnicomprensivo, deputato ad ospitare ogni approccio concorsuale agli squilibri dell’impresa, quale che sia lo strumento di regolazione o di liquidazione per contingenza prescelto[16]. 
Il corridoio d’ingresso agli strumenti ex art. 2, comma 2, lett. m) bis e alla liquidazione giudiziale è identico ed è delimitato dagli artt. 37-55 CCII. Convergono in esso richieste di accesso, fasi di omologazione e appendici impugnatorie, relative a tutti gli istituti finalizzati ad amministrare la crisi nel concorso fra i creditori. Il tragitto condiviso è, poi, destinato a disegnare contorni variabili, che sono il corollario delle diversità strutturali e funzionali dei singoli mezzi di affronto degli squilibri[17]. 
La configurazione del procedimento unitario si adatta, infatti, al veicolo prescelto, poiché a regole generali se ne affiancano altre caratteristiche dello strumento, in punto di legittimazione ad agire, documentazione a supporto del ricorso, natura e contenuto dei provvedimenti adottabili ex latere judicis[18]. 
È l’abbondanza di mezzi, perciò, a spiegare la suddivisione della disciplina degli strumenti in due blocchi normativi distinti. Per le singole procedure, l’aggregato delle norme in tema di accesso, omologazione e impugnazioni, è separato dall’insieme di regole riguardanti i presupposti, gli organi, gli effetti delle procedure stesse. 
Nelle pagine seguenti, esamineremo prima le disposizioni procedurali della fase di omologazione del concordato, analizzando come questa si inserisca nella cornice del procedimento unitario. Successivamente, ci concentreremo sugli aspetti sostanziali del vaglio giudiziale. La sentenza d’omologa chiuderà la trattazione in un’ideale prospettiva circolare di sintesi.
3 . Procedimento di omologazione
L’iter processuale per l’omologa è disciplinato dall’art. 48 CCII[19]. Coerentemente alla sua declinazione procedurale, quest’ultimo è ora rubricato “Procedimento di omologazione” e depurato dei primigeni profili sostanziali, razionalmente riportati nell’alveo dell’art. 112 CCII sul “Giudizio di omologazione”[20]. 
Il procedimento si apre di norma senza istanza, al verificarsi della condizione rappresentata dalla relazione commissariale favorevole al debitore sull’esito delle votazioni. È l’ipotesi della cd. cross class cram down (o ristrutturazione trasversale) a far fulcro, invece, su un’apposita richiesta del debitore, che conduce alla verifica dei requisiti contemplati dall’art. 112, comma 2, CCII (v. § 6.). 
La fase omologatoria è collegata da un cordone ombelicale all’iniziale domanda ex art. 40 CCII. Figlia di quella, viene alla luce come variabile insita ad un procedimento che il D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 ha reso davvero unitario[21], attraverso alcuni solidi addentellati[22]. 
Naturale che quello unitario sia un sistema che, senza cessare di essere univoco, è suscettibile di diventare ibrido. Include precetti uniformi, ai quali abbina per necessità precetti adatti al tipo di soluzione prescelta per comporre lo squilibrio. In questa prospettiva, la fase dell’omologa, muovendo dalla domanda di accesso, procede secondo una fisiologia di regole sue proprie. 
3.1 . Natura del processo
Prima facie emerge un processo d’impianto contenzioso. La crisi, nella varietà dei suoi accenti, suscita un contrasto. Da una parte, la platea dei creditori delusi che reclama una soddisfazione non svilente delle proprie ragioni; dall’altra, l’imprenditore in affanno, che offre quanto può, contrapponendo il diritto a contrattare l’uscita dallo squilibrio, attraverso uno strumento che vive di precetti orientati a ridargli ossigeno nel medio-lungo periodo, senza disarcionarlo dall’azienda nell’immediato.
La questione ontologica si complica se si guarda alle posizioni dei titolari delle pretese economiche. I crediti – pure quelli in capo ad estranei o dissenzienti – non sono in sede d’omologa oggetto di accertamento neanche mediato. Vengono esaminati, ma incidenter tantum, alla stregua di questioni pregiudiziali rispetto a quelli che rimangono i temi cruciali, ossia il corretto funzionamento del meccanismo concordatario e la verifica della legittimità dello strumento, quindi della sua rispondenza agli obiettivi cui è deputato[23]. 
Con l'omologazione non si decide sui diritti dei creditori, ma su regolarità e adeguatezza dell'accordo loro proposto[24], bastando sincerarsi che questo onori i requisiti di legge necessari per produrre effetti legali e proiettarli ex art. 117 CCII anche verso i terzi. Pure la novazione dei crediti che gemma dall'omologazione è aspetto secondario del processo, non argomento posto al centro dell'azione giuridica. 
Sul piano teleologico il concordato ambisce a garantire la soddisfazione dei creditori, ma quest’obiettivo non esprime in toto la funzione dello strumento.
L'adozione del modello omologatorio, in luogo di uno schema ipoteticamente incentrato sul "visto giudiziale", si giustifica anche per la capacità del concordato di radunare una pluralità di interessi. Il conflitto di posizioni debitore-creditori è una porzione del segmento dell’omologa, la cui restante sezione non è occupata da una contesa, ma dal default dell’impresa, che ostende un ventaglio di interessi, dettando l’esigenza di bilanciarli e presidiarli. 
La domanda ex art. 40 CCII, nel mentre invoca una diversa regolazione dei rapporti credito-debito, dà vita in automatico, e in termini più generali, ad un processo che verte sul dissesto dell’impresa. Esso va amministrato affinché consegua un risultato compatibile con le regole del concorso, ma – al fondo – anche con gli altri interessi esposti dal mercato. Sembra ricorrere in una certa misura un processo a contenuto oggettivo, nel quale si attua anche una quota di finalità generali senza decidere su conflitti o accertare diritti[25].
Il giudice dell’omologa non si limita a statuire su una domanda di regolazione negoziale della crisi secondo determinati criteri di distribuzione del valore; il suo è un controllo sia di conformità alla legge, sia di corretta gestione della crisi alla luce dei valori in gioco. Si tratta di stabilire a fine corsa se lo squilibrio dell’impresa può essere guidato al modo concordatario anziché rovesciato nel recinto liquidativo-ablatorio, e che il correlato diritto del debitore merita tutela ancorché ne derivino conseguenze che trascendono le posizioni dei creditori anteriori: esenzione dalle azioni revocatorie (art. 166, comma 3, lett. e); esimente dal reato di bancarotta (art. 324 CCII).
La presenza nel teatro della crisi di interessi altri rispetto a quelli dei creditori si scorge plasticamente, d’altronde, nell'attribuzione al pubblico ministero, non solo ex art. 38,  comma 1, della legittimazione a richiedere l'apertura della liquidazione giudiziale, ma anche, in forza del successivo comma 3, della facoltà di intervenire in ogni procedimento aperto ai sensi degli artt. 40 e 44 CCII. 
Se si osservano in filigrana i narrati aspetti si coglie la difficoltà di incasellare il procedimento di omologa in una delle categorie consuete e ci si persuade dell’opportunità di catalogarlo come tipo affrancato e autonomo, che funziona con regole proprie e che difficilmente si concede a principi d’importazione, come quello della domanda o quello dispositivo, perlomeno nella loro dimensione concettuale e interpretativa più rigorosa e ordinaria. È in questo quadro che si apprezza come imprescindibile il senso della presenza penetrante del giudice e dell’ampiezza d’indagine affidatagli[26].    
3.2 . Cameralità
Il procedimento di omologazione è retto da norme appositamente coniate. Ciò espelle la necessità di classificarlo nei termini del giudizio camerale. L’etichetta non rivela, a fronte della natura di “contenitore neutro” di quest’ultimo[27] e della connotazione autarchica delle regole che disciplinano l’omologa, una reale utilità.
Ancorché il comma 1 dell’art. 48 faccia riferimento alla convocazione di un'udienza in camera di consiglio, la fase processuale è sufficientemente delineata nelle sue coordinate strutturali riguardo all'instaurazione del contraddittorio, all'istruttoria e all’epilogo provvedimentale. 
Le regole semplificate e scheletriche giovano alla rapidità del giudizio, esigenza immanente alla regolazione della crisi. Nell’architettura della fase omologatoria si rimettono alla discrezionalità del giudice tempi e modi ulteriori del processo. Il tribunale modellerà quest’ultimo volta per volta, a seconda della piega assunta dal contraddittorio, che qualora eccitato da eventuali opposizioni potrà richiedere un’udienza supplementare o un termine a difesa in più.
L’incremento del grado di compattezza del procedimento unitario – ora imperniato sulla tecnica della domanda riconvenzionale e sulla residualità della riunione delle domande (artt. 40, comma 9 e comma 10) – traspare, se si guarda all’omologa, nella scelta dell’archetipo, che è quello della liquidazione giudiziale, con la salvaguardia, pertanto, di un contraddittorio completo e tempestivo tra le parti coinvolte[28]. In particolare, il legislatore ha disegnato un procedimento camerale permeato dall’iniziativa istruttoria officiosa del giudice, con vistose analogie con il collaudatissimo procedimento prefallimentare ex art. 15 L. fall. Spicca l’idea di riproporre, ammodernandolo, quel modulo operativo, nel quale egregiamente si intonavano celerità e pienezza delle garanzie.
Osservata dal punto di vista delle parti potenziali, la fase dell’omologazione concordataria si compendierà, allora, in un “giusto processo”, che fa mostra delle garanzie dell’art. 111 Cost., a partire dal diritto alla prova. È con quel corredo che ciascuna parte potrà mettere in discussione a trecentosessanta gradi gli aspetti di rito e di merito che ineriscono l’ipotesi concordataria prospettata. 
Riguardata dallo scranno del giudice, l’omologazione è fase successiva all'approvazione del concordato, in cui si addensa l’ultimo controllo su procedura, piano e proposta[29]. 
All’intervento del tribunale è consustanziale, per quanto s’è detto (v. § 3.1.), un compito di tutela delle ragioni e degli interessi di tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nella definizione concordataria della crisi, a partire dai creditori dissenzienti, proseguendo coi terzi interessati e finendo con lo stesso debitore. 
La fase omologatoria codicistica non marca un divario forte rispetto alla falsariga dell’art. 180 L. fall. 
Se il concordato è stato approvato dai creditori ex art. 109 CCII, il commissario giudiziale predispone la propria relazione sull'esito del voto ed il giudice delegato ne riferisce al collegio, che fissa l'udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale (art. 48, comma 1, CCII). 
Vale naturalmente anche per questa fase l’obbligatorietà della difesa tecnica. Intanto, perché la fase s’aggancia alla domanda originaria; inoltre, perché non vengono in apice eccezioni all’art. 9, comma 2, il quale prevede fra i principi generali che “salvi i casi in cui non sia previsto altrimenti, nelle procedure disciplinate dal … codice, il patrocinio del difensore è obbligatorio”.
Tenuto conto che, in costanza di opposizioni, il tribunale, pur senza accertare diritti di credito, si esprime su pretese contrapposte, le spese sembrano regolabili secondo il criterio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c. 
3.3 . Contraddittorio
Per garantire la massima trasparenza e assicurare la partecipazione di ciascun possibile interessato all’udienza camerale, il decreto del giudice va iscritto presso l'ufficio del registro delle imprese dove l'imprenditore ha la sede legale e, se questa differisce dalla sede effettiva, anche presso l'ufficio del luogo in cui la procedura è stata aperta. 
Il provvedimento va, inoltre, notificato, a cura del debitore, ad alcuni soggetti sicuramente interessati al giudizio di omologazione, dunque al commissario giudiziale ai creditori dissenzienti. Qualora la notifica manchi, se ne ordinerà la rinnovazione e qualora anche quest’ultima rimanga inadempiuta, la domanda di concordato dovrà essere dichiarata improcedibile[30]. Naturale che la costituzione in giudizio abbia effetto sanante. 
Non è stabilito un termine minimo per la calendarizzazione dell'udienza, salvo che in ipotesi di piano concordatario prevedente operazioni societarie straordinarie di trasformazione, fusione e scissione, nel qual caso ex art. 116, comma 2, CCII, tra la pubblicazione del decreto di fissazione e la data d’udienza è indispensabile intercorrano almeno trenta giorni[31]. A tenore del comma 1 della norma richiamata, se il piano contempla il compimento, in costanza di procedura o a valle dell’omologa, di operazioni straordinarie sul capitale della società debitrice, le contestazioni dei creditori in punto di validità delle stesse sono formulabili solo mediante l’opposizione ed è a tal fine che il tribunale, nel decreto di fissazione dell'udienza in camera di consiglio, dispone la pubblicazione del piano nel registro delle imprese del luogo in cui hanno sede le società interessate dalle operazioni di trasformazione, fusione o scissione. 
Nel confronto con la disciplina dell’art. 180 L. fall., il contraddittorio è stato razionalizzato. All’udienza in camera di consiglio si approda in esito ad una ben assettata sequenza di termini[32]. 
I creditori dissenzienti e “qualsiasi interessato” possono, con memoria depositata nel termine perentorio di almeno dieci giorni prima dell'udienza stessa, proporre opposizione, con la quale sottopongono al tribunale le ragioni per cui la proposta non deve essere a loro avviso omologata. 
La locuzione “qualsiasi interessato” è tanto estesa da abbracciare, oltre ai soggetti diversi dai creditori, anche i creditori non dissenzienti, in quanto rimasti, fino a quel momento, inerti, vuoi per scelta astensionistica, vuoi perché non avvertiti dell’ipotesi concordataria o esclusi dal voto[33].
Il discrimen è sempre e solo l’interesse[34]. Non ci pare che l’espressione di un voto in dissenso assurga a condizione necessaria a formulare in sede di opposizione contestazioni incentrate sul profilo della convenienza[35]. Il voto, d’altronde, non consentirebbe al creditore scettico di argomentare alcunché. Del tutto legittimamente egli può rimanersene in disparte nella fase delle votazioni, per poi reagire a ragion veduta col mezzo oppositivo.
Il commissario giudiziale deve depositare il proprio motivato parere almeno cinque giorni prima dell'udienza. 
Il debitore può depositare memorie fino a due giorni prima dell'udienza, il che gli consente di valorizzare o avversare il contenuto del parere commissariale.
L’omologazione poggia ora sul modello “generalista” della domanda di accesso ex art. 40 CCII. È proprio in quest’ottica che deve leggersi il riferimento memorie, tecnicamente delle vere e proprie comparse di costituzione, per il cui tramite i creditori avanzano difese entro un procedimento già incardinato.
La mera eventualità della formulazione di opposizioni all’omologa implica che la mancata previsione di conseguenze specifiche per l’ipotesi di non comparizione all’udienza camerale congegna la fase dell’omologa alla stregua di procedimento “senza parti”, il cui solo litisconsorte necessario è il debitore, al quale indefettibilmente si appaia il soggetto che dovesse aver formulato la proposta concorrente approvata dai creditori. I creditori sono liberi di costituirsi nella fase in parola oppure disinteressarsene. Il commissario partecipa come parte solo formale, in quanto ausiliario del giudice[36]. È un litisconsorte senza oneri[37]. È emancipato dalla rituale costituzione, la sua unica incombenza è il parere[38].
Rispetto all’assetto dell’art. 180 L. fall. la progressione dei termini favorisce l’esercizio del diritto di difesa. Vi è infatti un contraddittorio che nasce avveduto dacché le parti giungono davanti al giudice edotte sulle rispettive posizioni.
Il termine per l’opposizione è letteralmente perentorio, gli altri due termini indicati dalla norma, in assenza di indicazioni esplicite, vanno ritenuti a tenore dell’art. 152 c.p.c. ordinatori. 
Il mancato deposito del parere commissariale condiziona la trasparenza della procedura, in quanto limita il “contraddittorio informato”. Non è una mera irregolarità, ma un deficit cui il giudice deve curarsi di ovviare, compulsando il commissario riluttante, quindi se del caso rimettendo in termini il debitore ai fini dell’esposizione delle proprie difese.
Il tardivo deposito della memoria del debitore non importa decadenza, piuttosto dischiude la possibilità per l’opponente di ottenere un rinvio d’udienza o un termine a difesa.
I termini esposti non sono soggetti a sospensione feriale. Vale, infatti, la regola generale dell’art. 9, comma 1, CCII, in forza del quale la sospensione non si applica – sul presupposto della loro urgenza – ai procedimenti disciplinati dal Codice della crisi, salvo che non sia questo a disporre diversamente.
Sul piano del contenuto, il parere del commissario non si sofferma sulle posizioni processuali espresse dal debitore e dai creditori, rispetto alle quali egli non ne detiene una autonoma, men che meno contrapposta. Piuttosto, l’organo concorsuale si limita ad una relazione dettagliata sullo stato del procedimento, sugli sviluppi successivi all’espressione dei voti e sull’omologabilità della proposta alla luce delle censure agitate nell’opposizione.
Il giudizio di omologa assume gli stilemi della cognizione piena ed esauriente[39], dipanandosi in un contraddittorio a tutto tondo, sia a livello di possibile dialettica in udienza fra il debitore e i creditori; sia sul piano delle opportunità di allegazione di mezzi di prova, partecipazione alla loro assunzione, facoltà di contraddire sugli esiti di questa attività; sia in ambito di difese cartolari, essendo nel potere ordinatorio del giudice accordare termini per nuove memorie, a maggior ragione ove si sia dato corso ad attività istruttoria.
L’intervento del pubblico ministero non è obbligatorio, ma potenziale.
In un precetto collocato altrove, è previsto che qualora il commissario giudiziale rilevi dopo l'approvazione il mutamento delle condizioni di fattibilità del piano, debba darne avviso ai creditori, che possono costituirsi fino all'udienza in camera di consiglio per l’omologazione al fine di modificare il voto (art. 110, comma 3, CCII). In tal caso, i titolari delle pretese, anziché formulare un'opposizione in senso tecnico, possono eccezionalmente limitarsi a revocare il voto favorevole, in ragione del peggioramento delle condizioni di fattibilità sulla cui base si sono in precedenza determinati.
L'art. 40, comma 9, CCII, prevede che la domanda concorrente di apertura della liquidazione possa essere proposta nel medesimo procedimento di accesso al concordato preventivo (o ad altro strumento di regolazione) "fino alla rimessione al collegio". Lo spartiacque preclusivo ci sembra collimare proprio con l’udienza di comparizione in camera di consiglio fissata per l’omologa[40].
3.4 . Istruttoria
Nell’architettura dell’art. 180 L. fall. lo svolgimento di attività istruttoria era condizionato all’avvenuta presentazione di opposizioni[41]. Ora non più. A tenore del comma 3 dell’art. 48 CCII, il tribunale può assumere su istanza di parte o motu proprio i mezzi istruttori che ritiene conducenti, anche delegando uno dei componenti del collegio. 
Nel versante codicistico viene esaltato, dunque, l’impulso ufficioso del giudice, nell’ottica di una cognizione quanto più possibile esauriente. 
L’evocato comma 3 dell’art. 48 va coordinato con l’art. 112, comma 4, CCII, ai sensi del quale, nel caso di concordato in continuità, ove un creditore dissenziente avanzi opposizione, il giudice dispone la stima del complesso aziendale del debitore sempreché ad essere eccepite siano la violazione della convenienza rispetto all’orizzonte della liquidazione giudiziale oppure il mancato rispetto delle condizioni per la ristrutturazione trasversale.
Gli atti d’istruzione non sono regolati specificamente. Tendenzialmente si risolveranno in consulenze tecniche o interrogatori liberi delle parti diverse dal commissario, che in forza dell’art. 48, comma 4, va comunque necessariamente “sentito” in funzione dell’omologa.
È nella facoltà del tribunale ascoltare informatori, effettuare ispezioni avvalendosi del commissario e di consulenti specialistici, richiedere informazioni alle pubbliche autorità
Le prove costituende non costituiscono, sul piano empirico, ipotesi ricorrenti. Il trend è probabilmente destinato ad accrescersi in relazione al panorama articolato delle verifiche previste dall’art. 112 CCII quale oggetto del giudizio di omologazione[42].
3.5 . Allegazioni, eccezioni e oneri probatori
La fase dell’omologa è contrassegnata dalla regola dell’onere della prova ex art. 2697 c.c. La dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto a negoziare il dissesto e a disciplinarlo secondo le regole del cd. “concorso concordatario” incombe sul debitore; specularmente, quella dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi spetta alle parti che chiedono il rigetto della domanda concordataria. 
I fatti costitutivi sono essenzialmente la qualità di imprenditore commerciale, la sussistenza di uno stato di crisi o insolvenza, la correttezza del classamento dei creditori, la ricorrenza di un’utilità i capo ai creditori, in generale l’intero arco dei presupposti previsti dalla legge ai fini dell’ammissibilità del concordato.
Rispetto ai fatti in parola i creditori possono interporre altrettante eccezioni. 
Sono eccezioni in senso lato, perciò rilevabili anche d'ufficio tutte le contestazioni che investono la regolarità del rito, la progressione della procedura concordataria secondo l’ordine definito dalla legge.
Sono rilevabili d’ufficio anche le censure che confutano il raggiungimento delle maggioranze per l'approvazione dello strumento, negando la genuinità del voto o la correttezza del computo, quindi mirando ad invalidare la deliberazione.
Sono eccezioni rilevabili ex officio quelle che riguardano la fattibilità del piano concordatario o la sua non attitudine ad impedire o superare l’insolvenza.
Sono, invece, eccezioni in senso stretto quelle che attengono alla convenienza del concordato, quindi alla vantaggiosità o all’assenza di pregiudizio rispetto all’alternativa liquidatoria praticabile. Del resto, la convenienza è profilo strettamente rimesso al creditore e sindacabile solo in quanto con l’opposizione all’omologa ne sia stato adombrato il difetto. È in quest’ipotesi soltanto che i commi 3 e 5 – rispettivamente per il concordato in continuità e per quello di liquidazione – ammettono un’indagine sulla misura della soddisfazione, pretendendola “non inferiore” rispetto alla liquidazione giudiziale.
Vi sono poi eccezioni che si collocano in una zona grigia, che ne rende sfocata la natura. Il novero comprende esemplificativamente la maturazione di una decadenza, il decorso di una prescrizione, l’esistenza di un vizio del consenso nell’espressione di un voto determinante, la patologia di un contratto su cui poggia un credito ammesso al voto. Si tratta, in queste come in altre ipotizzabili situazioni, di doglianze che si collegano alla posizione del singolo, ma che ridondano sulla correttezza del procedimento nella misura in cui ne pongono in discussione l’esito. Se si considerano il carnet ampio dei controlli affidati al tribunale dall’art. 112 CCII, la latitudine estesa e pervasiva delle sue prerogative istruttorie, la natura meta-individuale della crisi e la correlata necessità di assicurare a quest’ultima un “buon governo”, si può ragionevolmente ritenere che pure queste eccezioni incerte siano rilevabili d’ufficio. 
3.6 . Opposizione all’omologa
Abbiamo già verificato che la legittimazione all’opposizione all’omologa è attribuita ex art. 48, comma 4, CCII, ai creditori e a “qualsiasi interessato” (v. § 3.3). Il precetto deve leggersi, però, in coordinato disposto con l’art. 112, commi 3 e 5, che stringe il cerchio dei legittimati ogni qualvolta l’opposizione prenda a bersaglio la convenienza (v. § 7).
L’opposizione non è un’impugnazione in senso tecnico. È solo un mezzo processuale di contrasto dello strumento di regolazione, che dà vita ad una parentesi dialettica racchiusa nel medesimo procedimento di omologa, del quale rappresenta una mera evenienza. 
Le difese articolate con l’opposizione sono sussumibili entro la categoria delle eccezioni, e non delle domande[43].
Perciò esse non estendono l'oggetto della cognizione del giudice, che seguita a coincidere con la domanda di regolazione della crisi secondo determinate regole di distribuzione del valore in luogo di altre[44]. Il petitum della domanda concordataria è cristallizzato e si risolve nella richiesta di conferire efficacia ad un accordo contrattuale coi creditori in funzione regolatoria della crisi o dell’insolvenza[45].
Non vengono introdotti aspetti di disamina ulteriori e il sindacato continua a confrontarsi con il coacervo di presupposti e requisiti che condizionano ab initio l’ammissibilità, legittimità, fattibilità del concordato preventivo. La fase omologatoria rimane espressione dell’impianto negoziale del concordato. Non vi è, infatti, una decisione su una controversia fra parti contrapposte nel cui ambito ciascuna tenda all’accertamento di un proprio diritto soggettivo nei riguardi dell’altra. 
Il tribunale è chiamato a prendere atto che vi è una soluzione negoziale non peregrina, che ruota su mezzi regolari e si piega ai limiti contemplati dall’ordinamento. 
La fisionomia del giudizio di omologa rimane ancorata all’accertamento della praticabilità in rito e nel merito della soluzione concordataria che è in potere del debitore sottoporre all’approvazione dei creditori. 
L’opposizione non si presta, pertanto, alla presentazione di domande riconvenzionali finalizzate all’accertamento di diritti. Chi invoca il rifiuto dell'omologazione non fa valere una propria propria situazione giuridica soggettiva incompatibile con la proposta di concordato; si pregia, piuttosto, di addurre circostanze passibili di condurre il giudice alla convinzione che l'obiettivo della regolazione della crisi non sia suscettibile d’essere adeguatamente conseguito mediante la proposta di concordato oggetto di discussione.
Il mezzo oppositivo non serve ad estendere un thema decidendum che nasce bloccato, né consente al giudice di cimentarsi strada facendo con accertamenti inediti. 
L’opposizione, piuttosto, ingrandisce la visuale del giudice sui dettagli sotto plurimi aspetti. Può colpire, infatti, i vizi del procedimento; vibrare censure sulla correttezza dell’espressione del voto in funzione del calcolo delle maggioranze; revocare in dubbio la fattibilità del piano concordatario o l’attitudine dello strumento a raggiungere gli obiettivi programmati; lamentare l’ingiustizia del pregiudizio rispetto alla liquidazione giudiziale; far venire a galla fatti di frode o altre circostanze suscettibili di comportare la revoca del concordato ex art. 106 CCII[46]. 
4 . Giudizio di omologazione
L’idea invalsa è che il mercato autoregolamenti in misura appagante gli interessi attinti dal default dell’impresa[47]. La negozialità non è scevra, tuttavia, da rischi di compressione dei diritti. All'autonomia privata deve accostarsi un sistema strutturato di controlli, orientato a far sintesi fra contrapposti interessi: in esso si risolve, sul piano sostanziale, il giudizio di omologa[48]. Quale che sia l’intensità del controllo attribuitogli un giudice non può mancare[49]. 
Il taccuino delle verifiche è fitto[50]. I controlli sono in parte comuni ai tipi di concordato; in parte differenziati in ragione della categoria entro cui l’accordo si iscrive. 
Sono omogenee le verifiche declinate al comma 1 dell’art. 112 CCII, rubricato “Giudizio di omologazione”: a) regolarità della procedura; b) esito della votazione; c) ammissibilità della proposta; d) corretta formazione delle classi; e) parità di trattamento dei creditori all'interno di ciascuna classe.
Le verifiche differenziate sono allocate alle lett. f) e g) dell’art. 112, comma 1. Per il concordato liquidatorio il tribunale si limita ex lett. g) ad appurare la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati; per quello in continuità deve verificare ex lett. f) che tutte le classi abbiano votato favorevolmente, che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l'insolvenza e che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l'attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori.
4.1 . Catalogo e declinazione delle verifiche
Nel solco della Direttiva (UE) 2019/1023, la scelta del legislatore è di restrizione dei confini del vaglio del tribunale in sede di ammissione del concordato. 
La valutazione del tribunale viene disancorata dai parametri sciorinati dagli artt. 160 e 161 L. fall., incentrandosi ora sul ridotto binomio “ritualità della proposta” e non manifesta inidoneità/inattitudine dello strumento ad assolvere agli scopi di regolazione della crisi[51]. 
Il filtro a maglie strette sulla soluzione concordataria è differito al frangente dell'omologa[52]. 
Innanzitutto, il tribunale deve appurare la “regolarità della procedura” (comma 1, lett. a), anche tornando sui passi precedenti e riesaminando quanto provvisoriamente delibato in fase d’apertura[53]. Vanno presi in considerazione anche gli eventuali atti di frode ex art. 106 CCII emersi a processo in corso con l’ausilio commissariale.
In secondo luogo, il tribunale accerta “l'esito della votazione” (comma 1, lett. b). Va certificata l’effettività delle maggioranze, scrutinando la correttezza delle ammissioni al voto.
Ancora, il tribunale si sofferma sull’ “ammissibilità giuridica della proposta” (comma 1, lett. c).
Il giudice indugia sulla “corretta formazione delle classi” (comma 1, lett. d) e sull’effettivo rispetto della “parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe” (comma 1, lett. e).
In ipotesi di continuità aziendale, l’ufficio verifica che “tutte le classi abbiano votato favorevolmente e che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza”, parallelamente sincerandosi che “eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori” (comma 1, lett. f). In ogni altra fattispecie concordataria, il tribunale accerta “la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati” (comma 1, lett. g).
Dal complesso codicistico rileva l’assegnazione al tribunale di un ruolo di controllore non ingerente della correttezza dello svolgimento del processo e – al suo interno – della formazione regolare del consenso, suffragata da un’informazione esaustiva e dall’assenza di fattori di inquinamento della dinamica negoziale. 
La latitudine estesa dei controlli suggerisce al giudice di procedere anche al riesame delle questioni considerate in fase introduttiva. Ancorché non vengano proposte opposizioni si ricontrolla la “ritualità della proposta”, quindi l’osservanza delle norme formali e sostanziali che permettono di negoziare un accordo nel processo.
Al tribunale rimane interdetto il merito della proposta, rimesso ai soli creditori quali destinatari elettivi. È l’autonomia negoziale che individua la soluzione più idonea ad affrontare la situazione di squilibrio, senza che il giudice debba addentrarsi nelle scelte di gestione della crisi condivise fra debitore e creditori. 
Il perimetro d’intervento giudiziale si accresce solo in via di eccezione, sull’onda del rimedio oppositivo[54]. Le opposizioni arricchiscono i temi d’indagine, rivelando potenzialità variegate, in grado di investire – come si è veduto (§§ 3.5. e 3.6.) – i vizi del procedimento, la genuinità della prestazione dei consensi, la sussistenza di fatti rilevanti ai sensi dell'art. 106 CCII che, se conosciuti, avrebbero condotto alla revoca del concordato, la fattibilità del piano concordatario sub specie di manifesta inattitudine al raggiungimento dei prestabiliti obiettivi di regolazione della crisi, il profilo della convenienza dello strumento per il singolo creditore in rapporto all’alternativa liquidatoria giudiziale. È poi possibile contestare con l’opposizione l’attrito fra il concordato e le riplasmate regole di distribuzione (v. partitamente § 5.).
4.2 . Qualificazione dello strumento
La circostanza che l’asse del sindacato iniziale sia orientato a sanzionare violazioni e inammissibilità palesi (v. § 4.1.) comporta che in fase di omologazione il tribunale debba riguardare l’apparato concordatario con un quid pluris di attenzione. 
Il giudice deve constatare che, al di là del nomen juris impiegato dalle parti, lo strumento prescelto possegga un tratto reale di prosecuzione dell'attività economica, tale da consentirne la riconduzione all'archetipo del concordato in continuità. L’art. 84, comma 2, CCII traccia ora didascalicamente la distinzione fra continuità diretta e indiretta, sul perno del discrimen rappresentato dal ruolo attribuito al debitore nella prosecuzione dell’impresa[55]. 
La verifica del giudice si sostanzia nell’effettuazione di un vero e proprio saggio di continuità, dovendo quest’ultima rivelarsi non figurativa[56]. Quale che sia il protagonista designato della prosecuzione dell’attività economica, la persistenza dell’esercizio d’impresa s’innalza necessariamente ad elemento strategico della regolazione della crisi. 
Nel quadro della continuità indiretta (che alternativamente può consistere nella “gestione dell’azienda in esercizio” o nella “ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso dal debitore”) quello del giudice è un controllo di rispondenza del mezzo utilizzato per il cambio gestorio (affitto o titolo tipico o atipico) all’obiettivo di evitare una perdita d’efficienza della realtà produttiva o di preservarne al massimo grado il valore intrinseco, nella prospettiva di un definitivo passaggio a terzi o della retrocessione in capo all’imprenditore. 
Il vaglio del tribunale attiene, in particolare, all’esistenza del presupposto dello svolgimento dell’attività d’impresa ad opera del terzo, in forza di negozio stipulato, anche anteriormente alla presentazione del ricorso per l’ammissione al concordato, ma rigorosamente in funzione di essa. Si tratta, ex latere judicis, di eseguire un esame sulla declinazione strumentale del titolo rispetto al deposito della domanda di accesso al concordato, in ciò risolvendosi la stipula del primo “in funzione” della seconda[57]. 
Non vi è un numerus clausus di strumenti negoziali adoperabili per la continuità indiretta[58], rilevando l’accertamento dell’intima preordinazione del passaggio di mano dell’azienda rispetto all’adottanda soluzione concordataria. Anche alla luce dell’attività commissariale e del contraddittorio fra i creditori, il tribunale è in questa fase maggiormente edotto, tanto da poter assodare l’esistenza di un collegamento logico e cronologico fra trasferimento titolato del compendio produttivo e accesso alla procedura di concorso[59].
4.3 . Regolarità della procedura
Come già previsto nel vecchio ordinamento dall’art. 180, comma 3, L. fall.[60], il vaglio omologatorio investe ex lett. a) dell’art. 112, comma 1, innanzitutto la “regolarità della procedura”, formula ellittica di scomoda esegesi, per la mancanza di specificazioni ulteriori. 
La verifica certamente riguarda il rispetto delle norme di rito che disciplinano lo svolgimento del processo di concordato, dal deposito della domanda e fino all'omologazione. L'iter concordatario dev'essere avvenuto in ossequio alle norme di procedura e aver coinvolto tutti i creditori anteriori alla presentazione della domanda.
Nell’alveo del controllo ricade anche l’accertamento di atti di frode ex art. 106 in precedenza segnalati o comunque non apprezzati[61].
La regolarità sembra concetto riferibile per ampiezza all’osservanza di anche di tutte le norme di legge sostanziali (oltre che processuali)[62].
La verifica implica naturalmente anche un riscontro di persistenza delle condizioni di ammissibilità riscontrate in fase d’apertura. Il ricontrollo riguarda essenzialmente la legittimazione ad accedere allo strumento e la competenza dell’ufficio adito.
Vi è in capo al giudice la prerogativa di rilevare eventuali aspetti di illiceità in precedenza sfuggiti.
Regolarità del procedimento vuol dire anche trasparenza delle informazioni[63]. Il controllo si appunta sulla completezza del deposito della documentazione prevista dall’art. 39 CCII per l’accesso agli strumenti. La verifica attiene, più in generale, alla integralità e correttezza dei dati forniti ai creditori ai fini della libera e consapevole espressione del voto[64]. In tanto la volontà dei creditori può genuinamente maturare, in quanto sia nitidamente definito l’oggetto complessivo su cui deve esprimersi. Sotto questo aspetto proposta e piano devono rivelarsi puntuali, esaustivi e comprensibili. 
La locuzione “regolarità della procedura” è tanto dilatata da intercettare ogni vicenda anomala del processo e qualsiasi inottemperanza del debitore, oltre che alla regola scritta, a quanto appare obiettivamente necessario a garantire un consenso consapevole dei suoi interlocutori. 
Il giudizio di regolarità presuppone anche un riscontro di adeguatezza della relazione[65]. Sebbene la valutazione dell’alea economico-finanziaria del piano sia rimessa ai creditori, ad assecondarla dev’essere una documentazione immune da vizi in grado di demolirne la funzione. L’attestazione è corretta se completa e intellegibile a livello di dati esposti, criteri asseverativi adoperati, congruenza fra i primi e i secondi. 
Il tribunale non si spinge a sindacare in via diretta la regolarità ed attendibilità delle scritture contabili[66]. Non viene in rilievo un controllo del merito, ma di metodo, che guarda all’attendibilità del modus operandi seguito dal professionista. Se la relazione non è accurata, a livello di chiarezza dei criteri usati, è il procedimento a venirne inficiato. 
Una parte del formante nomofilattico sembra insistere, peraltro, su un affilato controllo giudiziale di veridicità delle informazioni[67]. 
La garanzia dell’informazione è il maggior contrappeso allo spazio lasciato all’autonomia privata. Il giudice vigila che le parti del processo si cimentino con una realtà esplicativa dell’attualità dell’impresa e della dimensione reale della sua crisi. Pertanto, ogni qualvolta sia tradita la finalità informativa, a venire in rilievo è un vizio del processo rilevabile dal tribunale, anche in difetto di opposizioni, sempreché emergente dagli atti.
4.4 . Esito della votazione
Il secondo dei controlli esplicitati dall’art. 112, comma 1, verte ex lett. b) sull’“esito della votazione”. Sulla proposta dev’essersi realizzata, a giudizio del tribunale, l'adesione dei creditori, se del caso nelle singole classi al cui interno siano stati suddivisi.
Il sindacato in parola implica il riesame delle determinazioni del giudice delegato in punto di ammissione provvisoria dei creditori al voto e comporta il ricomputo delle maggioranze qualora, in virtù della segnalazione del commissario giudiziale sul mutamento delle condizioni di fattibilità del piano, uno o più creditori abbiano revocato ex art. 110, comma 1, CCII, il voto favorevole in prima battuta accordato (v. sulla modifica del voto come “alternativa” all’opposizione all’omologa anche § 3.3.).
La verifica è coerente con lo schema descritto dall’art. 48, comma 1, CCII, a tenore del quale “se il concordato è approvato dai creditori ai sensi dell’art. 109, il tribunale fissa l’udienza in camera di consiglio” ai fini dell’omologazione. Il vaglio del giudice è ritagliato tendenzialmente sulle contestazioni mosse con l’opposizione dal dissenziente (o altro interessato), alle quali deve calibrarsi la risposta del tribunale, chiamato in linea di principio a controllare la linearità del percorso processuale e – ancora una volta – la formazione non alterata del consenso. 
La dimensione privatistica dell’istituto concordatario si scorge nell'attribuzione ai creditori della decisione sulla proposta attraverso il voto. Il contratto di concordato si perfeziona per la manifestazione della volontà del gruppo (e dei “sotto gruppi”, ossia delle classi), che equivale ad accettazione di una proposta negoziale. L'atto di volontà è la sintesi dei voti espressi, formalizzata nel verbale di approvazione della proposta[68]. Ben si comprende quanto sia essenziale che quella volontà si sia formata senza vizio alcuno. 
Il controllo sulla votazione non si ridurrà, in tal senso, ad una verifica in somma algebrica. Occorrerà appurare che il voto sia stato validamente espresso secondo le modalità indicate dal tribunale ex art. 47, comma 2, lett. c), nel decreto di apertura del concordato, modalità che devono essere (rectius, essersi rivelate) “idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione”, quand’anche abbiano fatto ricorso a strutture informatiche messe a disposizione da terzi. Il sistema telematico deve aver funzionato. 
Alla luce del contraddittorio fra i titolari delle pretese, sarà indispensabile riscontrare che i soggetti che hanno votato siano stati ammessi a farlo nella misura corretta e secondo il grado d’appartenenza del credito. Il giudice si spinge d’ufficio nel merito di ogni singola ragione creditoria, rappresentando quella dell’entità e del rango del credito ai fini dell’ammissione al voto una questione procedurale da cui dipende la regolarità del rito. 
Vanno valorizzate nel computo delle maggioranze le rinunce sopravvenute, anche parziali, ai crediti che abbiano ristretto la misura effettiva delle singole ragioni rispetto a quella tenuta in conto in sede d’ammissione al voto.
Le vicende inerenti all’invalidità del voto vanno, tra l’altro, sempre mediate con il principio della prova di resistenza, per verificare la persistente tenuta dell'approvazione al netto dei voti viziati[69]. 
Può accadere che i conteggi delle maggioranze non siano pacifici. Non è escluso che la relazione che il commissario giudiziale è tenuto a redigere sulle operazioni di voto non sia persuasiva per il debitore. Il che può accadere in diverse situazioni: si pensi ad un dissidio sulla tempestività del voto inviato a mezzo pec; ad una perplessità su una sopravvenuta revoca del consenso; al voto espresso da un soggetto identificabile per il tramite di un soggetto che in apparenza non lo è; al consenso manifestato da un istituto bancario cessionario di un credito prima del perfezionarsi del negozio di cessione o specularmente al consenso formulato dal cedente dopo la stipula del negozio stesso.   
 In questi casi, è ipotizzabile che la fase di omologazione sia suscettibile d’essere comunque aperta su istanza del debitore, affinché si possa decidere al lume del contraddittorio fra le parti se una maggioranza sia stata raggiunta o meno.
Concorrono per questa opzione operativa alcune ragioni. La prima coincide con la regola evincibile dall’art. 111 CCII, che nel prescrivere al giudice delegato di riferire “immediatamente al tribunale” sul mancato raggiungimento delle maggioranze, attribuisce al collegio la decisione sullo strumento, quindi a monte pure sul voto. La seconda attiene all’esigenza di assicurare al debitore, sul voto, una forma di tutela equipollente e speculare a quella garantita ai creditori e agli altri interessati attraverso il rimedio dell’opposizione ex art. 48, comma 2, CCII. La terza inerisce l’opportunità di non vulnerare il contraddittorio su un aspetto cruciale come le votazioni.
4.5 . Ammissibilità della proposta
In ambito di apertura del concordato, l’art. 47, comma 1, CCII, prevede che l’ammissibilità della proposta sia valutata in rapporto al concordato liquidatorio, adoperando, invece, con riferimento al concordato in continuità il più scivoloso riferimento alla “ritualità della proposta”. 
Ammissibilità e ritualità appaiono nozioni affini, se non interamente sovrapponibili[70]. Non solo perché ambedue sembrano investire “la conformità a diritto della proposta”[71]. Nell’ambito amministrativistico, dove la ritualità è concetto più familiare, la categoria postula proprio un controllo sui presupposti di ammissione ad un procedimento di matrice selettiva. Inoltre, nel lemma ritualità risuona l’eco dell’art. 125 L. fall. in tema di concordato fallimentare, norma riprodotta pedissequamente nell’art. 241 CCII sul concordato nella liquidazione giudiziale, ponendo sulla scrivania del giudice la legittimità, sia formale che sostanziale, della domanda. Il riferimento, poi, all’elemento negoziale rappresentato dalla proposta non è privo di sporgenza, perché implica che la proposta debba presentare gli elementi indispensabili a mostrarsi come manifestazione di autonomia privata, non solo non irragionevole, ma anche completa e di senso compiuto, in quanto tale valutabile da parte del creditore e suscettibile di approvazione o disapprovazione. 
Il controllo di ammissibilità della proposta ex art. 112, comma 1, lett. c), si spalma su piani distinti.
Esibisce, innanzitutto, aspetti convergenti, se non assimilabili alla verifica di “regolarità della procedura” di cui alla lett. a), intercettando i profili della legittimazione del debitore alla presentazione della domanda e della competenza dell’ufficio adito. 
In ipotesi di concordato di società, è imprescindibile che il tribunale constati se la proposta sia stata o meno sottoscritta da quanti abbiano la rappresentanza sociale dell’ente (art. 120 bis, comma 1, CCII). 
Il controllo d’ammissibilità comporta poi l’accertamento officioso dell’assenza di contrasto fra la proposta e le norme imperative dell’ordinamento. Sotto questo aspetto il vaglio si sofferma sulla conformità della proposta ai limiti posti dalla legge in tema di trattamento dei creditori. Le modalità di soddisfazione non devono risultare incompatibili con precetti inderogabili dell’ordinamento.
Il controllo non assume una dimensione meramente esteriore. Esso guarda, infatti, alla legittimità sostanziale della proposta, che deve rispondere ad uno schema minimo e imprescindibile dato dal rispetto dell’ordine delle prelazioni, dalla suddivisione in classi per posizioni giuridiche ed interessi economici omogenei, dall’assicurazione a ciascuno della guarentigia di un’utilità economicamente rilevante. Il giudizio di legittimità della proposta in sede di omologa investe, in tal senso, pure la corretta formazione delle classi e la parità di trattamento dei creditori all'interno di ciascuna classe, aspetti tra l’altro pleonasticamente annoverati a parte nelle lett. d) ed f)[72], oltre che il rispetto delle regole distributive ora fissate dall'art. 84 CCII, commi 5, 6 e 7.
La proposta è, poi, ammissibile se finanziariamente e operativamente supportata. In tal senso, i beni e i flussi ipotizzati devono apparire sufficienti a colmare le percentuali satisfattive pensate per i creditori. 
Inoltre, il debitore deve aver adempiuto al versamento tempestivo del fondo spese previsto nel decreto di apertura del concordato ex art. 47, comma 1, lett. d).
Nell’economia del controllo rientra, infine, una verifica di validità delle garanzie che dovessero accompagnare la proposta.
4.6 . Corretta formazione delle classi
L’art. 9, par. 4, dalla Direttiva 1023/2019 (cd. Insolvency) comanda agli Stati membri di provvedere affinché le parti siano raggruppate in classi idonee a rispecchiare una sufficiente comunanza di interessi, fondata su criteri verificabili, a norma del diritto nazionale, con la collocazione necessaria in classi distinte di creditori garantiti e creditori chirografari. È in questo solco, che la lett. d) dell’art. 112 commissiona al tribunale una verifica di osservanza del requisito della cd. “doppia omogeneità”, giuridica ed economica, alla cui stregua le classi vanno confezionate secondo criteri non incongrui, conglobando crediti non eccentrici per situazione giuridica soggettiva e interesse sotteso. 
La classificazione, come tecnica di strutturazione della proposta[73], esce rafforzata nel ceppo codicistico[74]. 
Ciò non è solo l’effetto di trascinamento determinato da una scelta ideologica di implementazione della flessibilità dello strumento[75], è anche la presa d’atto della sagoma frastagliata del ceto creditorio. I titolari delle pretese sono portatori, in uno con l’aspirazione generica a massimizzare il valore del patrimonio del debitore, di interessi peculiari, correlati alla qualità delle proprie pretese e condizioni soggettive[76]. 
I principi in tema di tutela del credito e di relatività degli effetti del contratto che impregnano l’ordinamento, in tanto sono salvaguardati, in quanto sul diritto del singolo faccia premio, in luogo della volontà di una comunità disgregata, una deliberazione collettiva espressiva di un interesse di gruppo. Il sacrificio del singolo creditore rispetto al dominio della maggioranza è tollerabile nella misura in cui sia il prodotto di una valutazione maturata dentro un sistema di posizioni assimilabili.
Al giudice spetta allora accertare che le classi assicurino una maggiore adeguatezza distributiva in presenza di affinità elettive fra i creditori, connotandosi come ingranaggi funzionali ad una maggiore efficienza del congegno maggioritario, reso più idoneo ad affermare l’interesse della categoria, sterilizzando le resistenze egocentriche dei singoli. 
L’art. 2, lett. r), CCII, descrive, infatti, la nozione di classe come l’“insieme di creditori che hanno posizione giuridica e interessi economici omogenei”, senza chiarire il significato delle locuzioni. 
Di certo occorre che i due parametri ricorrano congiuntamente. Il classamento dev’essere servito a differenziare la distribuzione fra categorie delle utilità economicamente rilevanti in relazione ad aspettative divaricate su ambedue i piani. 
Non è scolpita una regola precisa, perciò quello del giudice s’atteggia a sindacato di razionalità e coerenza di scelte discrezionali del debitore. Ad agevolare il tribunale sono parametri ormai collaudati dall’esperienza.
L’omogeneità giuridica si collega alla causa genetica dell’obbligazione, che può attecchire in ambito contrattuale o extracontrattuale; quella economica attiene al diverso segmento di mercato nel quale l’obbligazione può essere stata contratta (ambito creditizio, settore delle forniture o dei servizi, mercato del lavoro).
Si tratta di apprezzare le ragioni che hanno indotto l'imprenditore a classificare in un certo modo anziché negli altri possibili i suoi creditori. A tal fine il giudice deve muovere dalle spiegazioni esposte dal debitore nel piano concordatario, ove ex art. 87, lett. m), devono ora essere riportati “i criteri di formazione”, il “valore dei rispettivi crediti” e, infine, gli “interessi di ciascuna classe
L’indagine giudiziale attiene alla logica dei criteri. Se non sono bizzarri o discriminatori, il merito delle ragioni giustificatrici della costruzione di una classe e la diversificazione di trattamento rimane fuori dallo steccato di controllo del tribunale.
Il parametro della posizione giuridica riprende il discrimen tra creditori privilegiati e creditori chirografari e l'ordine delle prelazioni, rimandando al grado di protezione del credito e all'aspettativa spendibile nell’evenienza dell’esecuzione liquidatoria-coattiva. Il tribunale è tenuto a guardare alla qualità intrinseca dei crediti appostati nella classe, sincerandosi che essi presentino un titolo di egual natura, un grado di privilegio analogo, una solidità non dissimile. La posizione è data, infatti, anche dallo stato del credito, che qualora condizionale o contestato è meno robusto che in ipotesi in cui a sorreggerlo sia un titolo esecutivo.
Il parametro dell’interesse economico attiene, come si è accennato al mercato in cui nasce l’obbligazione, ma inerisce anche alle caratteristiche strutturali del credito. Il giudice deve guardare alla fonte delle pretese creditizie allocate nella classe, posto che quelle nascenti da rapporti di una certa tipologia tendono a caratterizzarsi rispetto a quelli di diversa indole[77]. 
Sul piano dell’interesse non sono immaginabili tassonomie risolutive, ma solo esemplificazioni ricorrenti. Vengono in rilievo sia il momento d’origine che la scadenza del credito, sia il ruolo eventualmente attribuito al suo titolare nel progetto di ristrutturazione aziendale che l’ammontare della ragione creditoria rispetto all'indebitamento globale, sia le eventuali garanzie collaterali disponibili che l’attività esercitata dal creditore[78]. Il tribunale deve indugiare su tali aspetti in quanto forniscono il metro della coloritura socio-economica dei rapporti giuridico-negoziali tra debitore e creditori, segnalando la chiave d’approccio che gli appartenenti al sottogruppo sono sospinti ad adottare rispetto alla regolazione della crisi. 
La rispondenza della classe alla sua funzione è preservata dal tribunale, nella misura in cui la classe dia modo di offrire un trattamento differenziato ai creditori, ma consentendo loro di esprimersi secondo meccanismi maggioritari correttamente articolati. Il che significa che la composizione della classe può essere censurata dal giudice in sede di omologa ogni qualvolta sia valsa a costruire raggruppamenti artificiosi, volti solo a sterilizzare il dissenso dei creditori riottosi isolandoli in categorie selettive e disomogenee.
Le classi giovano a scomporre il ceto creditorio, ma solo al fine di salvaguardarne gli interessi complessivi, assicurando una forma di eguaglianza sostanziale fra i creditori. In linea generale, il giudice deve perciò verificare che ognuna delle classi enucleate sia stata adoperata, non per adulterare la formazione dei consensi, ma per far funzionare il principio di maggioranza all'interno di una comunità, quella dei creditori, che è tendenzialmente frantumata. 
In simmetria con l’impellenza del debitore di ampliare la platea del consenso attorno all’ipotesi concordataria si colloca il diritto del creditore a partecipare all’adozione della scelta sulla soluzione della crisi. La capacità di incidere del singolo può abbassarsi di tono in quanto la maggioranza sia rappresentativa di interessi reali[79]. L’omogeneità non è coincidenza, eppure è sempre necessario riscontrare nella classe una preponderanza quantitativa e qualitativa di tratti comuni fra i crediti rispetto agli elementi differenziali[80]. 
Naturalmente, il limite ultimo nella strutturazione delle classi alligna nel divieto di alterazione delle cause di prelazione e nella regola dell'obbligatorio pagamento integrale del credito privilegiato, qualora risulti la capienza rispetto al bene su cui grava (art. 85, comma 6, CCII). Il giudice deve verificare che il debitore non abbia confezionato più classi con riferimento ad una posizione giuridica omogenea, in tal guisa ledendo le cause di prelazione previste dalla legge e l'ordine di collocazione dettata dal codice civile.
4.7 . Parità di trattamento fra i creditori all’interno di ciascuna classe
Meno disagevole la ricostruzione del controllo di parità di trattamento all’interno della singola classe, previsto dalla lett. e) dell’art. 112. La regola della par condicio torna ad operare dentro le specifiche classi regolarmente costruite, non essendo permesso un trattamento differenziato tra gli appartenenti ad una stessa categoria. Il giudice è tenuto a verificare che l’utilità riservata ai diversi creditori sia di consistenza e quantità identiche. Non sono tollerate sperequazioni a livello di soddisfazione promessa e garantita.
4.8 . Voto favorevole di tutte le classi, ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza e necessità non pregiudizievole di nuovi finanziamenti
In tema di concordato in continuità la lett. f) assegna al tribunale una verifica poliedrica, che tiene insieme unanimità del voto, prospettive minimali di buon esito dello strumento e imprescindibilità non deleteria dei finanziamenti contratti a sostegno dell’ipotesi ristrutturatoria.
Il giudice controlla, innanzitutto, se il concordato abbia o meno guadagnato il voto favorevole di tutte le classi. Al fondo vi è l’esigenza che il concordato ottenga tendenzialmente un placet corale e che l’approvazione a maggioranza ovvero la cd. “ristrutturazione trasversale”, possano assurgere a presupposto alternativo di omologabilità, a rigorose condizioni.
La lett. f) dell’art. 112, comma 1, prevede, poi, che il giudice appuri che il piano “non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza”. Si tratta di un remake del controllo già svolto in fase d’apertura, ma che qui viene riproposto con la garanzia del contraddittorio. Già in avvio il tribunale si era peritato di verificare che il piano non fosse “manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori” e “alla conservazione dei valori aziendali”. In apertura il giudice sanziona le ipotesi palesemente peregrine, nel passaggio conclusivo ragiona, con un filtro a maglie più strette, ma secondo un’impostazione tendenzialmente analoga, che comporta il battesimo finale dello strumento ogni qualvolta a sorreggerlo sia una valutazione “non negativa”. Il giudice è pertanto, tenuto a consentire la ristrutturazione pianificata ogni qualvolta la ritenga tecnicamente non ineseguibile, sempre che – qualora un creditore dissenziente eccepisca il difetto di convenienza della proposta (art. 112, comma 3) – il concordato contempli un soddisfacimento quantitativamente non inferiore a quello realizzabile attraverso la procedura paradigmatica della liquidazione giudiziale[81].
Lo scenario abbozzato dal debitore e supportato dall'attestatore deve mostrare un grado minimale di plausibilità, bastando per il suggello giudiziale che l’ipotesi concordataria sia operativamente percorribile. 
Viene in evidenza, in definitiva, una fattispecie di inammissibilità della domanda per irragionevolezza della continuità ipotizzata, sia in funzione del soddisfacimento dei creditori, sia nell’ottica del perseguimento dell’obiettivo – eletto come parallelo, non più rigidamente gregario – della conservazione dei valori aziendali[82]. La valutazione non si estende oltre i limiti del riscontro di una lampante inagibilità del piano. 
Perché possa essere disapprovata dal giudice, la programmazione deve palesarsi, sulla base della scienza e della tecnica, apertamente inadatta a pervenire agli obiettivi predeterminati. Il concordato guadagna, infatti, l’avallo dell’omologa, non più sulla scorta di una prognosi fausta, ma sulla base di una valutazione non negativa, meritandosi la promozione, non in quanto presumibilmente idoneo ad assorbire la crisi, ma in quanto non palesemente inidoneo a regolarla, quindi non irrazionale, né implausibile[83]. Alteris verbis, le prospettive di realizzo non debbono presentarsi come realistiche, ma come tecnicamente non irragionevoli. Il vaglio del giudice non insegue certezze o alte probabilità, ma condanna palesi impossibilità. Al sindacato sono sottratti, tanto la stima delle potenzialità del piano, quanto il calcolo delle percentuali di successo dell’ipotesi concordataria. Non si congettura sul buon esito della soluzione, ma ci si concentra sulla praticabilità complessiva del suo corso. Esclusivamente la connotazione peregrina dell’ipotesi di contrasto della crisi, evincibile da assunti fallaci o assiomatici, o da tempi di recupero impronosticabili, oppure da un’attestazione carente o discordante, rende il concordato privo di ragionevoli prospettive e, come tale, non omologabile[84]. 
Legittima, attestabile, quindi omologabile diviene la mera chance, che pur soggetta ad un folto numero di variabili, alimenta un piano che ictu oculi non è utopistico e inverosimile dal punto di vista dei mezzi impiegati e dei numeri esposti. 
L’impresa forse è più morta che viva, eppure conserva tecnicamente una speranza e – come taluno ha osservato a suo tempo – “non ha senso sopprimere il malato solo perché non si sa se guarirà”[85]. Non si stacca la spina, la terapia prosegue ad oltranza.
Il parametro di nuovo conio stabilito dalla lett. f) sembra disvelare un collegamento sistematico con l'art. 10, par. 3, della Direttiva 2023/2019, ove si fa carico agli Stati membri di assicurare la facoltà dell'autorità amministrativa o giudiziaria di rifiutare l’omologazione del piano di ristrutturazione qualora privo della prospettiva ragionevole di impedire l'insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell'impresa[86]. Nell’ottica eurounitaria la partecipazione dell'autorità giudiziaria nei processi di ristrutturazione è d’altronde limitata ai casi in cui si mostra necessaria ed è, comunque, anche in dette ipotesi sempre proporzionata. 
In questo cono visivo, ogni qualvolta venga in ballo un giudizio prognostico, che fisiologicamente presenta margini di opinabilità e possibilità di errore, del rischio devono farsi esclusivo carico i creditori. Se costoro non s'oppongono all'omologazione, il tribunale non può negarla, sol perché ritiene che una procedura di liquidazione del patrimonio del debitore avrebbe portato a risultati migliori per la massa. I creditori, purché destinatari di un’efficace informazione, possono decidere finanche di investire su una proposta aleatoria, ma conveniente.
La lett. f) fissa un ulteriore, presupposto sdrucciolevole di omologabilità, declinandolo nella connotazione non ingiustamente pregiudizievole per i creditori dei finanziamenti stipulati a sostegno della continuità. L’idea è quella di evitare ingenti ricadute di prededuzioni bancarie sulle aspettative reali di soddisfazione dei creditori concordatari. La continuità non è opzione omologabile “ad ogni costo”, ma nella sola misura in cui il ricorso al finanziamento dell’impresa in concordato e la somma conseguente delle prededuzioni non integrino un rischio tanto elevato da potersi tradurre in una sostanziale ablazione delle posizioni di credito attuali. 
Viene mutuata nel sistema concorsuale una clausola generale di non agevole trapianto qual è quella dell’ingiustizia del danno per i creditori concorsuali. La clausola diviene mezzo di controllo addizionale della soluzione concordataria. Nella comparazione reciproca che il giudice è chiamato ad operare tra il diritto dei titolari delle pretese a veder preservate in misura ragionevole le proprie aspettative e quello del debitore alla regolazione negoziale della crisi, il primo non può subire sacrifici irrazionali per far spazio alla realizzazione del secondo. Non può, cioè, scontare uno squilibrio fra il “prezzo” complessivo della provvista funzionale alla continuità e la misura della falcidia che i creditori sarebbero costretti conseguentemente a subire. 
La comparazione non va condotta dal giudice su base discrezionale, ma alla stregua del diritto positivo, che ora pone la continuità aziendale e la tutela del credito su un piano di tendenziale parallelismo valoriale, nel cui quadro l’una e l’altra devono tendere ad amalgamarsi[87].
4.9 . Fattibilità del piano
La categoria della fattibilità viene ora evocata con riferimento ad ogni concordato “altro” rispetto a quello in continuità. Il riferimento corre naturalmente al concordato liquidatorio, ma ingloba tutti i concordati non riconducibili entro il diagramma della continuità.
Pure il sindacato sulla fattibilità si comprime, risolvendosi in una valutazione non negativa. Vi è piena identità fra questa verifica e quella che l’art. 47, comma 1, CCII, prevede in fase d’apertura, quando oggetto di riscontro è la “fattibilità intesa come non manifesta inattitudine del medesimo a raggiungere gli obiettivi prefissati”. 
L’esigenza della duplicazione del controllo si spiega con la volubilità del fenomeno-impresa, che non può essere immortalato ora e per sempre all’esordio del procedimento, essendo condizionato, nel suo divenire, da elementi che emergono in costanza di questo.
In termini concettuali, la fattibilità è una prognosi di conseguibilità del risultato ipotizzato dall'imprenditore, favorevolmente attestata dal professionista, alla luce dell'alea connaturata ad ogni intrapresa economica[88].
Il pronostico sulle modalità realizzative della proposta, ergo sull’adempimento delle obbligazioni concordatarie, è riservato in linea di principio ai creditori, legittimati d’altronde, diversamente dal giudice, a promuovere la risoluzione del concordato. 
Il compito del tribunale è quello di vigilare a che la determinazione dei creditori sia espressa correttamente e su basi reali, quindi sulla scorta di una puntuale informazione; non gli è più riconosciuto, di contro, il potere di preconizzare se ed in quale misura o percentuale le promesse del debitore si realizzeranno.
Sebbene il controllo di fattibilità non scompaia, in definitiva, dal radar del sindacato, esso si affievolisce in una verifica di non manifesta inattitudine del piano al conseguimento degli obiettivi prestabiliti. La pietra d’inciampo dell’omologazione combacia, in sostanza, con l’inidoneità eclatante. 
Il contenuto del vaglio del giudice non sembra, peraltro, allontanarsi troppo dal terreno dissodato di quella parte del formante nomofilattico, che si è curata di recingere il sindacato di fattibilità economica proprio ad una verifica di manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli scopi programmati[89].
Sul piano sistematico la fattibilità codicisticamente rilevante coincide ora con una vera e propria impossibilità dell'oggetto, riscontrabile quando la proposta concordataria sia priva di alcuna probabilità giuridica o materiale d’essere adempiuta. Il sindacato giudiziale al quale allude la lett. g) dell’art. 112, comma 1, in un’ideale filo rosso con gli artt. 7 e 47 CCII, è orientato a stigmatizzare, attraverso la constatazione di totale e solare inadeguatezza del piano, una nullità negoziale.
La soglia minimale sotto la quale il concordato non deve scendere per conquistare l’omologa è quella della non manifesta inadeguatezza, usuale in ambito di valutazioni tecniche extragiuridiche. Torna essenziale l’esame della relazione attestativa, sotto i profili della idoneità della motivazione, della compiuta illustrazione della metodologia seguita e degli approfondimenti effettuati, della rispondenza a principi di coerenza, accuratezza, completezza asseverativa. 
Il controllo si risolve in una verifica esterna di razionalità dell’orizzonte prospettato dal debitore (e del giudizio certificato dall'esperto) scevra da valutazioni di merito. 
Si fa tesoro delle acquisizioni delle scienze aziendalistiche, perciò è irragionevole ciò che contrasta con le regole espresse da tali discipline. 
La fattibilità presuppone analisi di mercato che in quanto proiettate nel futuro sono sempre soggettive e controvertibili. Il sindacato sulla manifesta inattitudine va esercitato con estrema prudenza stigmatizzando le sole situazioni nel cui quadro l'irrealizzabilità del piano dipenda da fattori assodati e non opinabili. Le valutazioni predittive vanno rimesse alle determinazioni dei soggetti economici[90].
In questa prospettiva, la relazione del commissario giudiziale costituisce una sorta di consulenza tecnica dalla quale il tribunale può discostarsi solo motivando le ragioni del perché ritiene non condivisibili le considerazioni dell'organo della procedura[91].
Il D.Lgs. n. 83/2022, nel riplasmare l’art. 112, ha ricucito i non pochi strappi fra l’ordinamento interno e quello unionale anche sul fronte del riassetto dei poteri d’intervento del giudice. Quest’ultimo, quale tecnico del diritto, smetterà di avanzare diagnosi sull’effettiva realizzabilità economico-finanziaria dei piani concordatari, per essere riportato al ruolo di vigilante non ingerente dei processi di ristrutturazione[92]. Tutto ciò sottende la convinzione che la crisi del debitore imponga essenzialmente un coinvolgimento dei creditori nelle decisioni sulla sorte del patrimonio dell’impresa e che la regolazione della crisi sia questione da decidersi fra il primo e i secondi nella pienezza della trasparenza e del contraddittorio, dovendosi conservare in capo al tribunale l’ufficio di controllore della legalità, sia pure in un’accezione pure sostanziale.
4.10 . Sostenibilità dell’impresa
L’art. 112, comma 1, non contiene riferimenti alla sostenibilità dell’impresa, cioè alla capacità di quest’ultima di svilupparsi come complesso economico funzionante, destinato ragionevolmente a produrre reddito nell’arco di durata del piano di ristrutturazione. 
La viability è oggetto di verifica in sede di omologazione in virtù dell’art. 87, comma 3, CCII[93], a tenore del quale l'attestazione del concordato in continuità va riferita, oltre che alla veridicità dei dati aziendali, alla fattibilità del piano e alla sua attitudine a impedire o superare l'insolvenza, anche alla sostenibilità economica dell'impresa, che va specificamente garantita al pari di un trattamento non deteriore, per ciascuno dei creditori, rispetto a quanto sarebbe ritraibile in ipotesi di liquidazione giudiziale[94]. 
Le norme codicistiche vanno, del resto, interpretate alla luce del diritto unionale e l’art. 10, comma 3, della Direttiva 1023/2019 (cd. Insolvency) pretende appunto che il piano non sia privo della prospettiva ragionevole di garantire la sostenibilità economica dell'impresa. Il concetto è menzionato in altre disposizioni del testo eurounitario, a cominciare dall’art. 1, lett. a), che lega teleologicamente i quadri di ristrutturazione preventiva all’obiettivo di impedire l'insolvenza e di assicurare la viability
Quest’ultima si eleva a vera e propria clausola generale, tanto da potersi riempire di senso compiuto attraverso il richiamo ai principi di attestazione e, in particolare, al principio OIC 11, che avuto riguardo all’interpretazione dell’art. 2423 bis c.c. (e alla valutazione delle voci di bilancio nella prospettiva della continuazione dell'attività) valorizza la capacità dell'azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito per un prevedibile orizzonte futuro.
4.11 . Tempi di esecuzione del concordato
Le disposizioni sul concordato preventivo non forniscono un criterio di valutazione della ragionevolezza del tempo di esecuzione dello strumento. Il solo addentellato utile si rintraccia nell'art. 87, comma 1, lett. e), ove è preteso che il piano contenga la descrizione delle "modalità e dei tempi di adempimento della proposta"[95].
La durata dell’adempimento della proposta è aspetto fisiologicamente collegato alla sua convenienza e come tale è ascrivibile alla valutazione esclusiva dei creditori. Tuttavia, il tempo necessario incrocia i già illustrati limiti della ragionevole prospettiva e della fattibilità (v. §§ 4.8. e 4.9.).
La criticità concerne il parametro utile a valutare la non irragionevolezza della durata adempitiva ipotizzata.
Un riferimento di massima è rintracciabile nella L. 24 marzo 2001, n. 89, nota come “Legge Pinto”, ove all’art. 2, comma 2 bis è stabilito che la procedura concorsuale non debba eccedere i 6 anni. Tuttavia, la previsione non è direttamente applicabile al concordato, il cui adempimento comincia quando la procedura propriamente detta ha già registrato il proprio epilogo con l’omologa.
Quella sui tempi è, in realtà, una valutazione di fattibilità del piano quindi di non manifesta inattitudine del concordato a cogliere nel segno dei suoi obiettivi sulla base di un programma di marcia suscettibile di realizzazione entro un lasso temporale fisiologicamente variabile, ma prospetticamente e aziendalisticamente leggibile.
4.12 . Causa concreta e oggetto del concordato
Ancorché il vincolo negoziale si formi attraverso il processo in forza dell’omologa, il concordato rimane, come si è fin dall’inizio osservato, un contratto (v. §. 1). Ciò comporta l’applicabilità delle regole e dei principi del diritto dei contratti ogni qualvolta si approccino i profili negoziali dello strumento.
Su questo crinale, non può negarsi un controllo sulla causa del concordato e del suo oggetto.
La proposta emerge quale atto negoziale suscettibile di verifica nei suoi elementi essenziali ai sensi degli 1324 e 1325 c.c. 
Se si guarda al contenuto dell’art. 2 lett. m bis) si trova conferma del fatto che la causa astratta dell'accordo si sostanzia nella regolazione della crisi o dell’insolvenza con l’impiego del meccanismo maggioritario e in funzione esdebitatoria, secondo le regole del c.d. “concorso concordatario”. La causa concreta del concordato coincide, invece, col superamento della crisi attraverso l’attribuzione ai creditori di un’utilità economicamente valutabile e sulla base di uno specifico piano di ristrutturazione rimesso ai creditori unitamente alla proposta[96]. 
Ogni qualvolta l’opzione negoziale appaia in concreto geneticamente inadeguata a raggiungere i suoi obiettivi di regolazione della crisi (anche) attraverso la soddisfazione dei creditori, secondo le modalità programmate, si è al cospetto di un’ipotesi di irrealizzabilità della causa concordataria, suscettibile di integrare un requisito ostativo all’omologa[97]. 
I parametri della valutazione della causa concreta sono, peraltro, rappresentati dalla ragionevole prospettiva e dalla fattibilità, sub specie di non manifesta inattitudine in rapporto agli scopi pratici perseguiti[98]. In questo senso, la bussola privatistica finisce per coincidere con quella processuale fissata alle lett. f) e g) dell’art. 112, comma 1.
Sempre in uno scorcio contrattualistico, nulla impedisce al giudice di rilevare anche ex officio le nullità del concordato, fra le quali spiccano le eventuali fattispecie di illiceità o impossibilità dell'oggetto di cui agli artt. 1346 e 1418 c.c. (viene esemplificativamente in evidenza l’ipotesi dell’incommerciabilità dei beni o delle prestazioni pianificate; v. anche § 4.9.). A prescindere dai margini del controllo di fattibilità, il tribunale deve intervenire pure in difetto di opposizione ogni qualvolta ravvisi un vizio invalidante del patto concordatario, non sanabile mediante il consenso dei creditori.
5 . Distribuzione del valore di liquidazione e del plusvalore da continuità
In sede di omologa il giudice può rilevare d’ufficio o su opposizione di parte la violazione delle riscritte regole di distribuzione del valore.
Nell’ottica della continuità il CCII ha ridisegnato vistosamente le regole in materia di trattamento dei creditori[99]. 
Nell’ordinamento interno ha operato fino allo scorso 15 luglio 2022, la c.d. absolute priority rule[100], che ha tratto linfa dal caposaldo della non alterazione dell’ordine delle cause di prelazione di cui all’art. 160, comma 2, L. fall. [101].
Il D.Lgs. n. 83/2022 ha riplasmato il sistema, incastonando nell’ordito originario del CCII due disposizioni convergenti.
Intanto, è stato introdotto un sesto comma nell’art. 84 CCII., a tenore del quale, sulla ribadita premessa per cui “nel concordato in continuità aziendale il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione”, si puntualizza che “per il valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore”.
Inoltre, è stato inserito nell’art. 112 CCII un nuovo secondo comma in base al quale nel concordato in continuità aziendale, se una o più classi sono dissenzienti, il tribunale comunque omologa se è rispettata la “graduazione delle cause legittime di prelazione” (lett. a) e se il valore eccedente quello di liquidazione (il c.d. “surplus concordatario”) è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore.
Si tratta della positivizzazione della relative priority rule, che in attuazione dell’art. 11, par. 1, lett. c), Dir. UE 1023/2019, attribuisce all’imprenditore un ben più esteso margine di manovra rispetto a quello abituale. Benché la direttiva consentisse agli Stati membri di derogare alla regola tratteggiata il legislatore italiano ha ritenuto di mutuarla.
La nuova regola di distribuzione è rispettosa del principio di non alterabilità delle cause di prelazione. Solo il valore di liquidazione dell'impresa, c.d. liquidation value, continua a dover essere distribuito in ossequio alla graduazione delle prelazioni, soggiacendo quindi alla absolute priority rule. La distribuzione del ricavato delle dismissioni deve compiersi secondo il canone classico, in base al quale in caso di soddisfacimento non integrale dei crediti di una classe, niente è distribuibile in favore dei crediti di rango inferiore. Ciascun creditore ha diritto ad ottenere d’essere soddisfatto almeno alla stregua del valore di liquidazione della sua pretesa (ovvero al migliore scenario alternativo possibile) seguendo l'ordine delle priorità legali. 
Ad essere liberato, ma non del tutto, è il solo plusvalore da continuità, ossia il maggior valore prodotto dalla prosecuzione dell'impresa, ossia quello che l'art. 2, par. 1, n. 6, Dir., definisce reorganization value (RV), facendolo coincidere con il valore complessivo ricavabile dall'accordo di ristrutturazione[102].
Col surplus è ora possibile pagare i creditori appartenenti alle classi di rango inferiore anche in assenza di soddisfazione integrale di creditori di rango superiore, a condizione che detto pagamento non sia globalmente più vantaggioso di quello riservato a questi ultimi. In altri termini, lo svincolo del plusvalore non è incondizionato, dovendo muovere dalla garanzia di un trattamento non inferiore ad appannaggio dei creditori poziori[103]. 
La regola di priorità relativa conferisce maggior plasticità alle proposte di concordato, scongiurando che le risorse siano interamente drenate a vantaggio dei creditori prelatizi, con la vanificazione pressoché endemica di ogni ragionevole inventivo per i creditori di grado inferiore.
La regola di priorità relativa diviene meccanismo di ricerca efficace del consenso; essa dovrebbe, infatti, facilitare il buon esito delle ipotesi ristrutturatorie nella misura in cui permette al debitore una gestione discrezionale e tattica dei flussi della continuità, una parte dei quali può essere dirottata in favore di categorie di creditori non provviste di prelazioni e come tali per definizione refrattarie verso una soluzione concordataria che li vedrebbe spettatori.
Il comma 7 dell’art. 84 CCII detta un solo esonero dall’ambito di applicazione della relative priority rule, facendo salva per i diritti dei lavoratori l’indiscriminata applicazione della absolute priority rule, in linea con l’art. 13, Dir. UE 1023/2019, a tenore del quale nessun nuovo intervento normativo su detti diritti può comportare una riduzione delle garanzie e del livello di tutela già in essere nel singolo ordinamento interno. 
I flussi prodotti da una prosecuzione aziendale propiziata dall’apporto di risorse da parte di un terzo ereditano i caratteri della finanza esterna, e risultano, quindi, liberamente distribuibili. Il principio dell’intangibilità dell’ordine delle cause di prelazione non vieta all’estraneo di condizionare il proprio sostegno finanziario alla soddisfazione preferenziale di crediti posposti. Ciò purché l’intervento non comporti alcuna variazione dello stato patrimoniale del debitore, né all’attivo – giacché in tal caso i creditori non potrebbero essere privati dei diritti che in base alla legge essi vantano sul patrimonio del debitore – e neppure al passivo, con la creazione di poste debitorie per il rimborso del finanziamento, sia pure postergato e con esclusione del voto[104].
Nessun creditore può in ogni caso arricchirsi alla borsa del riparto concordatario, dacché la lett. c del comma 2 dell’art. 112 fissa il limite esterno per cui i titolari delle pretese non possono ricevere “più dell’importo del proprio credito”. La disposizione interna riprende la sostanza della c.d. “no more than 100% rule”, regola prevista dall’art. 11, par. 1, lett. d), Direttiva Insolvency, in base alla quale nessun interessato può ricevere più di quanto non abbia richiesto.
6 . Ristrutturazione trasversale
La priorità della Direttiva è l’approvazione del piano ristrutturatorio ad opera di tutte le classi. L’art. 112, comma 1, lett. f), affida al giudice il compito di controllare, in fase di omologa, se ciò sia avvenuto. Qualora l’unanimità non si sia concretizzata, l’omologazione potrà compiersi attraverso il c.d. meccanismo del cross-class cram-down o ristrutturazione trasversale, che consente di imporre alle classi di creditori dissenzienti la ristrutturazione da esse respinta[105].
Il concordato in continuità, che abbia scontato, la contrarietà di una o più classi, poggia su un giudizio di omologazione incardinato su una richiesta ad hoc del debitore.
È solo ad istanza di quest’ultimo – e non sul solo presupposto dell’originaria domanda – che il tribunale può ovviare alla contrarietà in parola, omologando lo strumento ove accerti il concorso contestuale di talune specifiche condizioni delineate all’art. 112, comma 2. 
Occorre, infatti, che: (i) il valore di liquidazione sia distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione (lett. a); (ii) il plusvalore da continuità sia distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall’articolo 84, comma 7, per i crediti da lavoro (lett. b); (iii) nessun creditore riceva più dell’importo del proprio credito (lett. c); infine (iv) la proposta risulti comunque approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, sia approvata anche solo da una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti sulla base della graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione[106]. 
Il concordato, in definitiva, va in porto, vuoi in ragione di una maggioranza delle classi rafforzata dalla presenza di una categoria di prelatizi favorevoli, vuoi in virtù dell’approvazione da parte di una classe di creditori c.d. in the money, tale intendendosi quella che presumibilmente riceverebbe qualche soddisfazione secondo l’ordinaria graduazione dei crediti ipoteticamente applicata (anche) al valore di continuità dell’impresa. 
Il concordato, in altri termini, passa il filtro dell’omologa se è favorevolmente accolto da una classe di creditori in esso “maltrattati”, in quanto titolari di una aspettativa virtuale di miglior soddisfazione alla stregua del proprio rango creditorio[107]. Detta classe è composta in effetti da creditori a cui viene proposto di rinunciare ad una parte dell’attivo eccedente il valore di liquidazione in deroga alle regole civilistiche sulla graduazione delle cause di prelazione[108]. 
Il voto favorevole dei creditori in parola consente di guardare alla soluzione concordataria come ad una ipotesi ragionevole, idonea a far premio sulla tutela dell’interesse egoistico del creditore[109].
L’essenza della regola innestata nella lett. d) dell’art. 112, comma 2, CCII è nitida: anche il concordato disapprovato dai più è ciononostante suscettibile di superare il filtro dell’omologa se è favorevolmente accolto da una classe di creditori d’alto bordo ciononostante incisi.
Quella che prima facie sembra una regola bizzarra trova a stretto giro la sua giustificazione. Se una classe di creditori robusti è svantaggiata rispetto all’alternativa liquidatoria che la premierebbe, eppure vota a favore, ciò testimonia della correttezza della negoziazione. Tanto deve bastare, in un quadro di bilanciamento degli interessi complessivi (tutela del credito e viability) – sempre che il giudice ritenga rispettate le altre prescrizioni ed escluda che vi siano state dinamiche di mercanteggiamento collaterale e indebito – a consentire il varo dello strumento (quindi del tentativo) ristrutturatorio[110]. In definitiva, se una classe scientemente svantaggiata decide di sopportare lo strumento fino a sostenerlo col voto, ancorché fosse la prima a potersi mettere di traverso, visto che avrebbe lucrato qualcosa sul valore da continuità nel perimetro liquidatorio, è plausibile che allo strumento venga concessa una chance[111].
7 . Valutazione sulla convenienza e paradigma della liquidazione giudiziale
In mancanza di contestazioni, al tribunale è inibito valutare d’ufficio la bontà o dannosità della proposta concordataria, essendo la gestione della crisi rimessa ai creditori. 
In ambedue le tipologie principali di concordato, in continuità e liquidatorio, è l’opposizione ad attrarre nell’area del vaglio giudiziale la convenienza. 
Il tribunale omologa il concordato soltanto se accerta che secondo la proposta e il piano il credito dell'opponente appare soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale. Quello del giudice è, dunque, un controllo sull’assenza di pregiudizio per il creditore. 
Il sindacato sulla convenienza è limitato soggettivamente, dacché calibrato sulla posizione del singolo opponente, non dell’intero parterre dei creditori; è anche circoscritto oggettivamente, giacché il trattamento offerto è raffrontato unicamente con quello conseguibile nel contesto della liquidazione giudiziale. 
L’idea di fondo è che a seguito dell’approvazione del concordato ai sensi dell’art. 109 CCII il principio di maggioranza e l’“autodeterminazione” dei creditori debba far premio sulle recriminazioni del singolo rispetto al trattamento riservatogli[112]. Perciò solo a certe condizioni il creditore scontento può reagire, provando a porsi al riparo dalla pretermissione.
Viene in rilievo una distinzione di disciplina fra concordato in continuità e concordato liquidatorio.
Nel primo caso, a poter eccepire il difetto di convenienza è ogni creditore “dissenziente”, quale che sia il voto espresso a maggioranza dalla sua e dalle altre classi. Il tribunale, per accertare il valore di liquidazione funzionale all’accertamento della corretta graduazione dei crediti, può procedere all’effettuazione della stima del complesso aziendale, e pronuncia l’omologa solo se il credito del dissenziente è soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale[113], secondo il cd. best interests of creditors test di matrice unionale[114]. 
Nell’alveo della continuità la legittimazione spetta, dunque, a ciascun creditore in disaccordo, indipendentemente dall'ammontare del suo credito e dalla classe di appartenenza (art. 112, comma 3). Il diritto di contestazione del deficit di convenienza è un diritto individuale. Si tratta, da un lato, di un contrappeso rispetto alla maggiore flessibilità riconosciuta al debitore nella distribuzione dei valori del patrimonio; dall’altro di un contrappunto alle regole per l'approvazione dello strumento, che ora consentono l’omologazione finanche di proposte votate da una minoranza di creditori o da un’unica classe (v. § 6).
Nel diverso caso del concordato di liquidazione – così come, residualmente, in “qualsiasi altra forma di concordato”– vale una ben più rigida condizione dell’azione. A poter insorgere è soltanto “il creditore dissenziente appartenente ad una classe dissenziente”. Se il concordato non prevede classi, il creditore ostile è costretto a far gruppo con gli altri dissenzienti tanto da sommare sulla carta, in condominio con loro, almeno “il 20 per cento dei crediti ammessi al voto”. In definitiva, solo il suo è un dissenso che si accompagna a quello della classe di appartenenza, il creditore può contrastare il concordato anche sul piano della convenienza; in caso contrario egli viene zittito dal voto maggioritario, dovendo, per reagire, radunare gli altri delusi fino a raggiungere una percentuale importante, la sola che vale a giustificare, a fronte di uno strumento approvato dai più, il ricorso al best interests of creditors test
In entrambe le situazioni contemplate dai commi 3 e 5 dell’art. 112 il concordato verrà, ad ogni buon conto, varato con l’omologa sempreché il credito dell’opponente o dell’aggregazione degli opponenti non scenda al di sotto della soglia rappresentata dalla soddisfazione virtualmente conseguibile in moneta liquidatoria-giudiziale.  
Viene ammainata la bandiera del miglior soddisfacimento dei creditori e la sola precauzione imposta all’imprenditore è quella di porre i titolari delle pretese al riparo dal maggior danno. La proposta può essere finanche a “somma zero” rispetto all’ipotesi liquidatoria, non essendo necessario che la posizione dei creditori migliori col concordato. Lo strumento è omologabile a patto che non rappresenti, rispetto alla liquidazione giudiziale, un rimedio peggiore del male[115]. 
La distribuzione del valore liquidation value (v. § 4) sulla scorta del test di convenienza segue la traccia della previsione di cui all'art. 10, par. 2, lett. d), della Direttiva 1023/2019, a tenore del quale il creditore discorde riceve almeno il valore che otterrebbe "in caso di liquidazione, se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale", a prescindere da quale sia la classe di appartenenza e dalla circostanza che essa si sia espressa favorevolmente o negativamente rispetto al piano.
Il test in parola implica una ponderazione non più riferita a tutto il ceto creditorio, ma unicamente al singolo creditore opponente. 
Nel concordato i creditori consentono la liberazione dell'impresa da una frazione dei debiti, il debitore si obbliga a far conseguire a ciascuno un determinato risultato, al tribunale spetta acclarare che quel risultato, benché non il migliore possibile, sia non deteriore rispetto a quello conseguibile nell’alternativa per così dire “fallimentare”[116]. L’attribuzione al tribunale della prerogativa di sovrapporre il proprio metro di giudizio rispetto a quello della maggioranza dei creditori è il bilanciamento eteronomo immaginato dal legislatore in relazione ad un processo, quello di concordato, che si connota come luogo di composizione transattiva del conflitto multiforme innescato dalla crisi.
Nulla di stridente, a ben guardare, con le categorie usuali del sistema. Pure in rapporto al concordato la garanzia generica dell’art. 2740 c.c. e la possibile sua attuazione vengono, in tal modo, elevati a termine di paragone per l’apprezzamento della convenienza della proposta ogni qual volta il debitore proponga di mantenere in tutto o in parte la titolarità dei beni per proseguire, anche mediatamente, l’attività produttiva o per liquidarla in una sede alternativa rispetto a quella ablatoria. 
Il raffronto tra misura del soddisfacimento ritraibile in ragione del risanamento economico concordatario e quella della gratificazione ricavabile nello sfondo liquidatorio va collegato al momento di apertura del procedimento di concordato. 
Esso valorizza l’aspetto temporale, le prospettive concrete di recupero di crediti, le utilità sulla carta già individuabili, le garanzie che vengono in rilievo nel perimetro concordatario e in quello underground della liquidazione giudiziale.
Va verificata, anche al netto delle spese di procedura, la maggiore o minore ampiezza virtuale dell'attivo liquidabile e del passivo presumibile, dovendosi stimare, sotto il primo aspetto, le azioni promuovibili nel quadro della liquidazione giudiziale, sotto il secondo, le eccezioni revocatorie sollevabili[117]. 
Il principio dell’assenza di pregiudizio che pervade il test di convenienza implica l’identificazione certa del plusvalore concordatario. Occorre appurare quale sia il ricavato prodotto dalla continuità aziendale, cioè la ricchezza aggiuntiva correlabile allo strumento di risanamento, che non si genererebbe nel caso di apertura di procedura liquidatoria. 
All’interno della liquidazione giudiziale, salvo il caso di specie non deponga per qualche ragione in senso contrario, ben si può ipotizzare che venga operato il trasferimento in blocco dell'azienda o di suoi rami. Bisogna attribuire rilevanza allo scenario di continuazione dell'impresa, quando questo non si mostri di fatto improbabile. Pure nel plesso liquidatorio-giudiziale non è detto che i beni vengano immediatamente dismessi alla stregua di macchine spente o opifici chiusi. Qualora sia possibile a livello di dati contabili e finanziari dell’impresa, la monetizzazione del compendio produttivo va ponderata in una prospettiva che tenga conto del valore dinamico e aggregato dei beni, apprezzando le possibilità di utilizzo degli stessi nel terreno liquidatorio in funzione generativa di flussi. Anche in un ambito dismissivo, la ricollocazione competitiva sul mercato del valore dell’impresa avviene in linea di principio per blocchi operativi di beni, venendo in rilievo istituti di presidio del going concern come l’affitto e l’esercizio dell’impresa del debitore; l’art. 211 CCII prevede, d’altronde, che l’apertura della liquidazione giudiziale non determina la cessazione dell’attività d’impresa quando la sua prosecuzione non arreca pregiudizio ai creditori. Tenuto conto che i crediti pregressi sono cristallizzati e concorsualizzati, il business, se è sostenibile, non cessa con l’apertura della liquidazione, ma va ripianificato ove possibile.
Una valutazione di convenienza del tribunale è necessaria anche quando il concordato non è approvato a causa della mancanza di adesione è determinante dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie. In tal caso, il tribunale può omologare il concordato quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente, ossia non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria (art. 88, comma 2 bis). Anche in quest’ipotesi la convenienza, alias assenza di pregiudizio, deve stimarsi con riferimento esclusivo al trattamento offerto dall'amministrazione finanziaria o dagli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatoria, non anche con riferimento al soddisfacimento offerto complessivamente alla massa dei creditori.
8 . Utilità economicamente valutabile
Il CCII non contiene alcuna previsione sul quantum minimo da assicurare ai creditori nel concordato in continuità. A questi ultimi non va, d’altronde, necessariamente promessa una soddisfazione monetaria, men che meno una gratificazione legata al successivo andamento dell'impresa e alimentata dall'attribuzione di una fetta di utili futuri o di quote di capitale o strumenti finanziari partecipativi. 
L’art. 84, comma 3, penultimo periodo, riprendendo una puntualizzazione già espressa nell’art. 161, comma 2, lett. 2, L. fall., comanda soltanto che a ciascun creditore sia assicurata un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile. 
Nella precisazione vi è l’esigenza di escludere il deposito di proposte inclini a lasciare all’indeterminatezza e all’aleatorietà il conseguimento di qualsivoglia beneficio effettivo da parte dei creditori. 
Viene definita in termini inediti la fisionomia dell’utilità, che ora “può anche essere rappresentata dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa”. Significa che nella categoria della continuità rientra adesso anche l’ipotesi della reiterazione della relazione negoziale col singolo, senza che sia più richiesto in suo favore. La soddisfazione del creditore non consiste più immancabilmente nell’ottenimento di una somma, potendosi ridurre al mero prosieguo di un rapporto giuridico, con l’effetto di una larvata ablazione di fatto della ragione di credito monetaria e di una sua coercitiva sostituzione con il vantaggio compensativo dell’ulteriore corso della relazione negoziale. Rebus sic stantibus parrebbe, dunque, sufficiente mantenere in essere i rapporti di fornitura, di somministrazione, estimatori o di finanziamento per integrare la condizione di ammissibilità, quindi di omologabilità, dello strumento secondo la formula riportata. 
Naturalmente, una proposta che si limitasse a rappresentare sommariamente in favore dei creditori l’intenzione di proseguire il rapporto non coglierebbe nel segno. La valutabilità economica dell’utilità presuppone che siano argomentati gli aspetti che sorreggono la maggiore affidabilità e solidità del nuovo corso del rapporto, rispetto al precedente periodo, nel quale il creditore ha addirittura dovuto subire un totale inadempimento. Il tribunale deve verificare anche a valle del procedimento che l’utilità sia tangibile in quanto circostanziata[118]. Può farlo, tuttavia, solo in virtù di un’opposizione, contraddistinguendosi la doglianza sull’insussistenza dell’utilità in parola come eccezione in senso stretto.
9 . Sentenza di omologazione
Assicurato il contraddittorio, svolta qualora occorra l'attività istruttoria, si perviene senza steps intermedi alla fase decisoria. 
La fase di omologa può concludersi in due soli modi antitetici, con l’omologa o con il rigetto della domanda. 
L’atto finale è, in ogni caso, una sentenza, che si erge a condicio iuris dell’accordo stesso. 
Qualora il complesso delle verifiche in cui si compendia il giudizio di omologazione abbia esito positivo (§ 4 ss.), il tribunale omologa il concordato (artt. 113, comma 1, e 48, comma 3, CCII). In tal caso, l’omologa prevale sulla domanda di apertura della liquidazione parallelamente promossa, di fatto assorbendola.
Diversamente, se uno dei controlli previsti si rivela negativo il giudice non omologa e la sentenza che rigetta la domanda può eventualmente contenere anche la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, sempre che vi sia stata richiesta da parte di uno dei soggetti legittimati e ne ricorrano i presupposti (art. 48, comma 6). 
La sentenza favorevole attribuisce all’accordo fra le parti un’efficacia piena che si proietta verso i creditori dissenzienti, quelli estranei e i terzi.
Essa accerta che il debitore è tenuto ad adempiere le obbligazioni verso i suoi creditori secondo i meccanismi del concorso concordatario.
La scelta della sentenza, in luogo del decreto che veniva emesso sotto il vigore della legge fallimentare, origina dalla necessità di predisporre un unico modello di provvedimento in consonanza con la previsione di un procedimento unitario nel quale confluiscono le opposte domande di regolazione della crisi o dell’insolvenza[119]. 
La sentenza che decide l'omologazione deve intervenire entro dodici mesi dalla presentazione della domanda di accesso allo strumento, e determina la chiusura del procedimento (art. 113, comma 2). La tempestività della chiusura non è elevata a requisito di validità o di efficacia della sentenza, rileva, pertanto, solo sul piano delle condotte e delle responsabilità.
La sentenza è immediatamente produttiva di effetti a far data dalla sua pubblicazione, non occorrendo attendere il decorso del termine per il reclamo o l’esaurimento delle impugnazioni. Per i terzi gli effetti si realizzano dall’iscrizione nel registro delle imprese (art. 48, comma 5).
L’effetto precipuo dell’omologa alligna nell’obbligatorietà dello strumento per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso (art. 117). Per effetto del concordato le obbligazioni vengono novate e le pretese creditorie riconfigurate secondo i termini e le condizioni previste nella proposta, estinguendosi per il residuo, con conseguente liberazione del debitore. 
L’effetto esdebitatorio si determina anche nei riguardi dei creditori che abbiano votato in senso contrario alla proposta di concordato o che non siano stati neppure ricompresi nell'elenco verificato dal commissario giudiziale[120]. 
Il secondo effetto dell'omologazione risiede nella separazione patrimoniale, con la coerente limitazione del principio di universalità della responsabilità patrimoniale. L'omologazione del concordato preventivo comporta la formazione di due distinti patrimoni: l’uno vincolato al soddisfacimento dei soli creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso, ma insensibile alle pretese di creditori posteriori; l’altro destinato esclusivamente ai creditori posteriori. Sono le previsioni della proposta che ha guadagnato la promozione a stabilire quale complesso di beni sia destinato ai creditori anteriori e quale ai creditori posteriori. 
Questo distacco patrimoniale non va apprezzato in termini assoluti. Esso non sembra operare nei concordati in continuità aziendale diretta rispetto ai flussi finanziari derivanti dalla prosecuzione dell'attività di impresa, i quali pur destinati ai creditori anteriori nella misura prevista dalla proposta, non sono nel contempo impermeabili alle pretese dei creditori posteriori, né refrattari alla facoltà di costoro di agire esecutivamente su di essi. 
Il terzo effetto dell’omologa è nel venir meno dello spossessamento attenuato. Il debitore riacquista il pieno potere di amministrazione e disposizione con riferimento ai beni che vi ricadono e che non siano stati oggetto di cessione ai creditori né di attribuzione al liquidatore giudiziale. 
Quando il debitore è una società con soci illimitatamente responsabili, il concordato della società, salvo patto contrario efficace nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, ex art. 117, comma 2, produce effetti esdebitatori in favore di questi ultimi. I creditori sociali non potranno agire nei confronti del socio per la parte di credito sociale oggetto della falcidia concordataria. 
Il quarto effetto dell’omologa riguarda atti, pagamenti e garanzie sui beni del debitore. Se posti in essere in esecuzione del concordato preventivo ed indicati nel piano, essi sono esenti da revocatoria ex art. 166, comma 3. Vale in tal senso un regime di salvaguardia delle azioni esecutive del piano concordatario.
La sentenza di omologa, emessa in ordine ad un procedimento di matrice camerale, non è idonea al passaggio in giudicato. Se oggetto del processo è l'accertamento del diritto alla negoziazione finalizzata alla regolazione convenzionale del dissesto, nulla esclude che il medesimo proponente possa riaffacciarsi davanti al giudice del concorso con una proposta diversamente modulata. La sentenza in parola è comunque assistita da una forma di stabilità. Non sarà più possibile discutere di crisi e soluzioni al modo in cui ciò è avvenuto nel contesto del procedimento definito. In un processo nel quale il presupposto è un dissesto, cui sono connaturati i contraccolpi sulle relazioni economiche, ben s’intende che non possa esservi spazio per ripensamenti, ossia per la revoca del provvedimento[121].

Note:

[1] 
F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, 2023, 573.
[2] 
M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, 2023, 251.
[3] 
Il concordato si iscrive fra gli strumenti definiti dall’art. 2, comma 1, lett. m) bis in quanto procedura volta al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività e del capitale, oppure mirata alla liquidazione del patrimonio o delle attività, passando, se del caso, dalla composizione negoziata della crisi. 
[4] 
La nozione di “procedura concorsuale”, ancorché recessiva e priva di una definizione positiva, è annoverata negli artt. 6, 288 e 360 CCII e tutt’oggi descrive un novero di connotati comuni a taluni strumenti: l’intervento di un’autorità pubblica (giudiziaria o amministrativa); l’imposizione di un vincolo di varia intensità sul patrimonio di un debitore finalizzato alla composizione coattiva dei suoi rapporti con i creditori, con la conseguente sostituzione della tutela collettiva di questi ultimi in luogo della tutela individuale delle pretese di ciascuno; l’universalità oggettiva, rappresentata dal coinvolgimento tendenziale dell’intero patrimonio del debitore; l’universalità soggettiva, consistente nell’inclusione di tutti i creditori esistenti al momento della sua apertura. 
[5] 
Parla di contratto speciale di diritto concorsuale in quanto destinato ad inserirsi nel procedimento, A. Azzaro, Le funzioni del concordato preventivo tra crisi e insolvenza, in Il Fall., 2007, 745.
[6] 
Quest’affermazione è corroborata all’attualità dal calo ponderale dell’importanza del voto dei creditori in funzione del buon esito del concordato, con il calcolo di maggioranze divenute più abbordabili (art. 109 CCII).
[7] 
Sul tramonto di quest’idea prevalente, in quanto affermata agli artt. 1321 e 1325, comma 1, c.c., v. F. Di Marzio, La ricerca del diritto, Bari-Roma, 2021, 165 ss.
[8] 
Su quella che si può definire come affrancazione del contratto dal consenso e dalla concordanza delle dichiarazioni delle parti v. R. Sacco, in R. Sacco, G. De Nova, II Contratto, Torino, 1993, che riporta come esempio saliente quello del contratto con obbligazioni a carico del solo proponente ex art. 1333 c.c. Non ci pare che da quell’archetipo il concordato preventivo sia molto lontano. 
[9] 
La nozione di diritto soggettivo è accolta qui in un’accezione larga, lasciandosi apprezzare “dovunque al singolo è riconosciuto direttamente un potere per la realizzazione di un suo interesse”: F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1983, 71.
[10] 
Dette regole sono incentrate su specifiche dinamiche di distribuzione del valore (artt. 84 e 112 CCII), tese a tutelare l'interesse dei creditori entro il limite del risultato perlomeno equipollente rispetto all’alternativa liquidatoria giudiziale.  Sul tema, sotto l’egida della Legge fallimentare, M. Fabiani, Causa del concordato e oggetto dell’omologazione, in Nuove leggi civili commentate, 2014, 549.
[11] 
M. Fabiani, L’omologazione del nuovo concordato preventivo, in Il Fall., 2020, 10, 1314.
[12] 
M. Fabiani, Il diritto della crisi e dell'insolvenza, Bologna, 2017, 473.
[13] 
Al tribunale è affidato l’uffizio di sovrintendere all’iter di formazione della volontà delle parti e per quel tramite del vincolo negoziale. In tema v. I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore e A. Bassi, 2010, 562. Più recentemente v. G. Carmellino, I giudizi di omologazione tra degiurisdizionalizzazione e contratto, Napoli, 2018.
[14] 
Gli effetti attengono, oltre all’obbligatorietà dello strumento “per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso” e per i soci illimitatamente responsabili dell’ente debitore (art. 117 CCII), all’esenzione dalle azioni revocatorie c.d. “fallimentari” (art. 166 CCII), all’esimente dal delitto di bancarotta (art. 324 CCII).
[15] 
C. Balbi, I creditori con diritto di prelazione nel concordato preventivo con cessione dei beni, in Riv. Dir. Proc., 1989, 440.
[16] 
M. Fabiani – I. Pagni, L’omologazione del concordato preventivo e gli eventuali reclami, in Il concordato preventivo, a cura di A. Jorio e M. Spiotta, di prossima pubblicazione, quindi consultato in bozza per gentile condivisione da parte dei due Autori, costoro osservano: “poiché il procedimento è unico, attrae ogni richiesta di apertura di uno dei quattro strumenti giudiziali di regolazione della crisi (accordi di ristrutturazione, piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, concordato preventivo e liquidazione giudiziale, messe in disparte le procedure “amministrative”), e il procedimento si può sviluppare in direzioni diverse, era logico che le regole processuali della fase dell’omologazione fossero anticipate rispetto a quelle del contenuto del giudizio del tribunale e contemplate all’interno della disciplina del procedimento unitario”. Sulla genesi del procedimento unitario v. invece I. Pagni, L’accesso alle procedure di regolazione nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in Il Fall., 2019, 551. 
[17] 
I. Pagni, L’entrata in vigore del Codice della crisi: le nuove regole di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Esecuzione forzata, 2022, 3, 625.
[18] 
Pur a fronte di regole processuali che si diversificano in virtù della soluzione operativa selezionata, l’unitarietà del procedimento assicura il coordinamento delle domande di regolazione della crisi o dell’insolvenza. Queste possono parallelamente esser più d’una, nel qual caso è essenziale siano esaminate contemporaneamente (art. 7, comma 1), in base a un criterio di priorità di trattazione di quella tesa a risolvere lo squilibrio mediante uno strumento diverso dalla liquidazione giudiziale (art. 7, comma 2). Ciò naturalmente a condizione che siano soddisfatti determinati requisiti: a) la domanda non sia manifestamente inammissibile; b) il piano non sia manifestamente inadeguato a raggiungere gli obiettivi prefissati; c) nella proposta siano espressamente indicate la convenienza per i creditori o, in caso di concordato in continuità aziendale, le ragioni dell'assenza di pregiudizio per i creditori.
[19] 
La disciplina dei primi tre commi dell’art. 48 è richiamata dall’art. 64 bis per il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, che soggiace, pertanto, in tema di omologa a regole identiche rispetto al concordato preventivo. 
[20] 
La modifica è tra le più significative apportate dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83.
[21] 
In tema v. I. Pagni, L'alternativa tra la liquidazione giudiziale e gli strumenti di regolazione della crisi, in Il Fall., 2022, 1195; I. Pagni - M. Fabiani, I giudizi di omologazione, cit.; M. Montanari, Il cosiddetto procedimento unitario per l'accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza, in Il Fall., 2019, 563; M. Montanari, Il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: profili generali e processuali, in Riv. dir. proc., 2020, 1, 270; F. De Santis, Il processo c.d. unitario per la regolazione della crisi o dell'insolvenza, effetti virtuosi ed aporie sistematiche, in Fallimento, 2020, 2, 157; G. Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell'insolvenza, Torino, 2019, 24 ss.; F. Tommaseo, Alcuni profili processuali della gestione dell’impresa in crisi, in Riv. Dir. Proc., 2020, 670.
[22] 
In origine, sebbene la Legge-delega n. 155/2017 orientasse il legislatore delegato verso un unico modello processuale per l’accertamento dei dissesti, facevano difetto i meccanismi di raccordo fra il procedimento diretto all’apertura della liquidazione giudiziale e quelli relativi ad accesso e omologazione degli strumenti alternativi di regolazione della crisi. Il decreto di recepimento della Direttiva 2019/1023 (cd. Direttiva Insolvency), mediante la riscrittura dei commi 9 e 10 dell'art. 40, implica adesso che le diverse richieste volte a risolvere la crisi o l’insolvenza confluiscano – attraverso la proposizione di domande riconvenzionali o di interventi – in un procedimento, non più concepito come un contenitore di cause diverse, ma come uno schema processuale univoco, all’esito del quale il giudice emette una decisione sola, in forma di sentenza, riguardante le varie domande introdotte nel giudizio. L’edificio processuale è unitario perché poggia su un contesto esclusivo e uniforme di trattazione, istruttoria, decisione delle domande di composizione dello squilibrio o dissesto dell’impresa. Allo stato l’unicità è puntellata sotto diversi profili. Non solo, infatti, l’atto introduttivo è sempre un ricorso e il tribunale collegiale competente è invariabilmente quello identificabile con il criterio di collegamento del COMI ex art. 27 CCII, ma anche perché la presentazione di più domande anche contrapposte postula il loro convogliamento nel medesimo processo e, in ogni caso, la loro riunione ex artt. 7 e 40 CCII. Inoltre, vi è, ex art. 7, un preciso ordine di esame delle domande stabilita dalla legge. Vi è, poi, identità sia di modello provvedimentale finale (la sentenza), sia di impugnazioni (i mezzi sono sempre quelli degli artt. 51 e 53 CCII), sia di paradigma cautelare e protettivo. 
[23] 
Su questa scia Trib. Reggio Emilia, 6 aprile 2023, in Dirittodellacrisi.it “Nell’ambito del procedimento di concordato preventivo, l’opponente è legittimato a contestare la natura privilegiata o meno di un credito o la sua eventuale collocazione in un’autonoma classe, solo in funzione dell’eventuale ricaduta che ciò potrebbe avere sulla formazione delle maggioranze prescritte per l’approvazione del concordato e sulla fattibilità economica del piano”.
[24] 
I. Pagni, L’accesso alle procedure di regolazione nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in Il Fall., 2019, 5, 549
[25] 
Sui processi a contenuto oggettivo v. C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Padova 2008, 239; F. Tommaseo, Appunti di diritto processuale civile, Torino 2000, 144.
[26] 
La forza penetrativa del ruolo del giudice nel compimento delle verifiche è filo conduttore presente da sempre nella nomofilachia: v. in luogo di altre Cass. 23 febbraio 2000, n. 2056, in Italgiure: “In tema di procedura concorsuali, il carattere officioso del giudizio di omologazione del concordato preventivo implica il potere dovere del giudice procedente di accertarne d'ufficio le condizioni”.
[27] 
Nella prospettiva nomofilattica la giurisdizione camerale, inizialmente considerata una forma di amministrazione del diritto affidata ad organi giurisdizionali, caratterizzata, sotto il profilo strutturale, dalla revocabilità e dalla modificabilità, e, sotto il profilo funzionale, dal fatto di non incidere su diritti, è diventata una sorta di “contenitore neutro”, destinato ad ospitare anche controversie sui diritti e idoneo ad attuare sia una tutela autorizzativa-omologatoria, sia una tutela risolutiva di conflitti: v Cass. 28 luglio 2004, n. 14200 e Cass. 22 ottobre 1997, n. 10377, entrambe in Italgiure. Per una diversa prospettiva v. A. Proto Pisani, Il nuovo art. 111 Cost e il giusto processo civile, in Foro it., 2000, V, 241.
[28] 
Si rinviene “nell'art. 7 un preciso riferimento agli artt. 40 e 41 CCII e dunque alle forme dell'apertura della liquidazione quale ambiente processuale tendenzialmente applicabile”: così P. Rana, Le regole del procedimento unitario della crisi d’impresa dopo il D.Lgs. n. 83/2022, in Il Fall., 2023, 2, 154.
[29] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2022, 151 ss.
[30] 
M. Fabiani - I. Pagni, I giudizi di omologazione nel codice della crisi, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi cit., 163. 
[31] 
Ad avviso di G. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, in Il Fall., 2022, 10, 1235, detto termine minimo “può ritenersi applicabile in tutte le ipotesi di fissazione dell'udienza”.
[32] 
L’art. 180, comma 2, L. fall. organizzava il contraddittorio su un termine unico: “Il debitore, il commissario giudiziale, gli eventuali creditori dissenzienti e qualsiasi interessato devono costituirsi almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata. Nel medesimo termine il commissario giudiziale deve depositare il proprio motivato parere”.
[33] 
Nel vigore della legge fallimentare v. in tal senso Cass. 26 luglio 2012, n. 13284, in Italgiure: “In tema di legittimazione alla opposizione nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, la locuzione "qualunque interessato", prevista dall'art. 180, comma 2, L. fall., non è necessariamente riferibile soltanto a soggetti diversi dai creditori, essendo invece suscettibile di comprendere i creditori non dissenzienti, quali coloro che non abbiano votato favorevolmente alla proposta per non aver preso parte all'adunanza fissata per il voto, o perché non convocati o, ancora, perché non ammessi al voto o, infine, perché astenuti; tali soggetti, infatti, prospettano l'interesse diretto e attuale al giudizio per contrastare l'omologazione, in riferimento al trattamento loro riservato, al di là e in aggiunta a chiunque altro, a qualunque titolo, abbia interesse ad opporsi all'omologazione. (Fattispecie relativa ai creditori fiscali astenuti all'adunanza dei creditori e successivamente autori di dichiarazione contraria alla transazione fiscale)”. Sul medesimo indirizzo interpretativo v. Cass. 29 febbraio 2016, n. 3954, in Italgiure.
[34] 
Trib. Ravenna, 29 maggio 2020, in Dirittodellacrisi.it: “Ancorché l’art. 180 L. fall. riconosca la legittimazione a proporre opposizione non solo ai creditori dissenzienti, bensì a “qualunque interessato”, tale posizione ulteriore va circoscritta a quella di un soggetto che sia titolare di un interesse attuale e concreto perché in qualche modo direttamente inciso dalla omologazione cui presta opposizione. Tale legittimazione non può perciò essere riconosciuta al soggetto che si affermi titolare di un credito contestato nei confronti di una società “in bonis” controllata da quella in concordato e che si limiti a dedurre l’esistenza di circostanze tali da diminuire la propria garanzia patrimoniale verso la contestata creditrice, diversa da quella in concordato, sulle quali non incide la presente omologazione”.
[35] 
Cass. 30 gennaio 2017, n. 2227, in Italgiure: “In tema di legittimazione alla opposizione nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, la locuzione «qualunque interessato», prevista dall'art. 180, comma 2, L. fall., non è riferibile soltanto a soggetti diversi dai creditori, essendo invece idonea a comprendere anche i creditori che, nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale, abbiano espresso il proprio dissenso. Questi ultimi, pertanto, sono legittimati ad opporsi all’omologazione al fine di provocare il controllo da parte del tribunale sulla regolarità della procedura e la permanente sussistenza dei suoi presupposti di ammissibilità, ma non anche sulla convenienza, singolare o collettiva, della proposta, la cui contestazione, infatti, richiede la tempestiva espressione di un voto di dissenso in una classe a sua volta dissenziente”. La posizione nomofilattica è mutuata, con varietà di accenti, da Trib. Parma, 4 novembre 2021, in Dirittodellacrisi.it.
[36] 
M. Fabiani, L'omologazione del nuovo concordato preventivo, cit. 1314; Cass. 16 settembre 2011, n. 18987, in Italgiure.
[37] 
Nel sistema della legge fallimentare v. Cass. 16 dicembre 2021, n. 40483, in Italgiure: “Nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, il commissario giudiziale, pur dovendo partecipare al procedimento (attraverso la comparizione all'udienza camerale, la costituzione in giudizio e il deposito di un parere motivato) e pur essendo destinatario della comunicazione del decreto conclusivo (perché possa darne notizia ai creditori), conserva la posizione giuridica di ausiliario del giudice e non diviene parte in senso sostanziale, non essendo portatore di specifici interessi da far valere, in sede giurisdizionale, in nome proprio o in veste di sostituto processuale della massa dei creditori, con la conseguenza che non è abilitato all'esercizio di azioni ed è privo della legittimazione a proporre ricorso o a presentare controricorso davanti alla Corte di cassazione”.
[38] 
Sotto l’egida della legge fallimentare v. Cass. 16 settembre 2011, n. 18987: “In tema di giudizio di omologazione del concordato preventivo, il commissario giudiziale assume la veste di parte del relativo procedimento, solo in quanto provveda alla propria formale costituzione, munendosi, ex art. 82, comma 3, c.p.c. della rappresentanza tecnica, nonché al deposito di memoria, con cui manifesti la volontà di opporsi all'omologa; pertanto, la costituzione del commissario giudiziale, al solo fine di depositare il proprio parere motivato, nel quale lo stesso si limiti ad illustrare le carenze della previsione di realizzo del concordato, non ha la funzione tipica dell'opposizione all'omologazione”. Cfr. anche Cass. 11 giugno 2021, n. 16562, in Italgiure: “Il commissario giudiziale, pur dovendo partecipare necessariamente al giudizio di omologazione del concordato preventivo ex art. 180 L. fall. - attraverso la comparizione all'udienza in camera di consiglio (comma 1), la costituzione in giudizio e il deposito di un parere motivato (comma 2) - e pur essendo destinatario della comunicazione del decreto conclusivo del tribunale, al fine di darne notizia ai creditori (comma 5), non diviene parte in senso sostanziale del giudizio medesimo, ma conserva la posizione giuridica di organo ausiliario del giudice, non essendo portatore di specifici interessi da far valere in sede giurisdizionale, né in nome proprio, né in veste di sostituto processuale; di conseguenza, egli non è abilitato all'esercizio di azioni ed è privo anche della legittimazione a proporre ricorso per cassazione”.
[39] 
F.G. Del Rosso – G. Trisorio Liuzzi, Il concordato preventivo, in Diritto della crisi d’impresa, a cura di G. Trisorio Liuzzi, Bari, 2023, 288.
[40] 
In tal senso anche P. Rana, Le regole del procedimento unitario cit., 154.
[41] 
Recitava l’incipit delcomma4 dell’art. 180 L. fall.: “Se sono state proposte opposizioni, il Tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio”.
[42] 
A sottolinearlo è G. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, cit., 1236.
[43] 
I Pagni, L’entrata in vigore del Codice della crisi, cit., 625.
[44] 
M. Fabiani, Causa del concordato e oggetto dell’omologazione, cit., 579
[45] 
La causa petendi combacia con la volontà del debitore di vedere applicate le regole del “concorso concordatario”.
[46] 
M. Fabiani - I. Pagni, I giudizi di omologazione nel codice della crisi, in Studi sull’avvio del codice della crisi, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, cit., 161.
[47] 
I. Pagni, Contratto e processo, cit., 56.
[48] 
Il vaglio giudiziale è un contrappeso alle compressioni imposte ai diritti dei singoli creditori, inibiti dal divieto di azioni esecutive in costanza di procedura, esposti all’incidenza del flusso delle prededuzioni, infine destinati a soggiacere alle determinazioni della maggioranza in ordine alla ristrutturazione dell’indebitamento dell’impresa.
[49] 
F. Carnelutti, Sui poteri del tribunale in sede di omologazione del concordato preventivo, in Riv. dir. proc., 1924, I, 65, con riferimento agli effetti obbligatori anche per i creditori dissenzienti sottolineava che la legge non vuole che codesti effetti si dispieghino “se alcuni requisiti non siano stati controllati dal Tribunale".
[50] 
L’analisi che segue costituisce un successivo, ulteriore sviluppo dello studio svolto, agli albori del nuovo Codice, in S. Leuzzi, L’omologazione del concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, alla cui lettura ci si permette di rimandare.
[51] 
Gli scopi in ipotesi di concordato in continuità consistono nella soddisfazione dei creditori e nella conservazione dei valori aziendali, nel liquidatorio sono genericamente gli “obiettivi prefissati” (art. 47, comma 1).
[52] 
A tal fine, l’art. 24 del D.Lgs. n. 83/2022 ha modificato la Parte Prima, Titolo IV, Capo III, Sezione VI del Codice. Il comma 1 della norma, in particolare, ha riscritto l’art. 112, puntualizzando il contenuto delle verifiche commissionate al tribunale, a seconda della tipologia di concordato prescelta. Rispetto al tenore conciso dell’art. 180 L. fall., l’art. 112 CCII precisa la sequenza dei controlli.
[53] 
G.B. Nardecchia, Il nuovo codice della crisi e dell'insolvenza, Molfetta, 2019, 297.
[54] 
F. Carboni, Il processo di omologazione del concordato preventivo, Padova, 1994, 127; F. Cordopatri, Il processo di concordato preventivo, in Riv. dir. proc., 2014, 359.
[55] 
La continuità è diretta ogni qualvolta sia pianificato l’ulteriore corso dell’attività economica ad opera dell’imprenditore che si affaccia al concordato. Tale è quindi, non soltanto la continuità che lascia al suo posto il titolare dell’azienda, ma anche quella che pone di fianco ad esso nuovi soggetti, mediante una conversione dei crediti in capitale sociale in esito all'omologazione del concordato, con un'esecuzione impostata su una datio in solutum di azioni di nuova emissione. Sul tema della distinzione v., tra gli altri, S. Ambrosini, Concordato preventivo: finalità e presupposti, in La Riforma del Fallimento, Suppl. a Italia Oggi, a cura di M. Pollio, 23 gennaio 2019; G. Fichera, Il concordato in continuità, In Commento al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Quaderni di In executivis, a cura di C. D’Arrigo, F. Di Marzio, L. De Simone, S. Leuzzi, Perugia, 2019.
[56] 
A tal fine è essenziale che, al netto delle apparenze programmatiche, il concordato non celi un itinerario meramente dismissivo-liquidatorio.
[57] 
La continuità indiretta ruota sempre su un piano che affida la gestione dell'attività produttiva ad un soggetto diverso dal debitore, tuttavia vi è un restringimento del suo terreno di coltura, rispetto a quello ipotizzato sotto l’egida della L. fall. e dell’originaria formulazione del CCII. Lo svolgimento dell’attività d’impresa da parte dell’extraneus deve avvenire in forza di cessione, usufrutto, conferimento e l’affitto, oggetto di stipula anche anteriore alla presentazione del ricorso per l’ammissione alla procedura concorsuale, ma strumentale alla domanda concordataria, o “a qualsiasi altro titolo”. In tema v. di recente P.F. Censoni, Il contratto di affitto di azienda nel nuovo concordato preventivo, in Il Fall., 2022, 8-9, 1049.
[58] 
La continuità può non avvalersi delle fattispecie espressamente menzionate della cessione del complesso aziendale in esercizio, del conferimento in una newco, dell’usufrutto o dell’affitto; essa può infatti ricorrere all’impiego di altri mezzi, tra cui – esemplificativamente – l’attribuzione del ramo d’azienda mediante scissione o fusione. Può registrarsi anche una fusione (diretta o inversa) tra affittante e affittuario, nel cui quadro mediante l’affitto ad una propria controllata, il debitore potrebbe mirare alla ristrutturazione dell’indebitamento che lo affligge senza condizionare il proprio business, che proseguirebbe – seppure temporaneamente – in capo alla società creata ad hoc per la gestione di questa fase. In tema v. M. Arato, Il concordato con continuità nel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Il Fall., 2019, 855.
[59] 
Il tribunale appurerà che il titolo sia stato stipulato nell’imminenza della presentazione del ricorso per l’accesso al concordato, rivelandosi in tal guisa teleologicamente correlato al piano di ristrutturazione, tanto da rappresentare un capitolo della strategia di esso.
[60] 
G. Bozza, L’omologazione della proposta (i limiti alle valutazioni del giudice), in Il Fall., 2006, 9, 1067.
[61] 
Sotto la vigenza della legge fallimentare v. Cass. 30 gennaio 2017, n. 2234, in Italgiure: “Nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, il controllo della regolarità della procedura impone al tribunale la verifica della persistenza sino a quel momento delle stesse condizioni di ammissibilità della procedura già scrutinate nella fase iniziale, dell'assenza di atti o fatti di frode ed, infine, in caso di riscontro positivo di tali condizioni, del rispetto delle regole che impongono che la formazione del consenso dei creditori sulla proposta concordataria sia stata improntata alla più consapevole ed adeguata informazione. Ne consegue che, a fronte di atti o di fatti rilevanti ai fini previsti dall'art. 173 l.fall., o comunque ad essi equiparabili "quoad effectum" (come, nella specie, il tardivo deposito delle spese necessarie alla procedura), il tribunale deve respingere la domanda di omologazione nonostante la mancata apertura del relativo procedimento ovvero il suo esaurimento in modo difforme rispetto all’esito dell'accertamento più completo espletato solo nel giudizio di omologazione”. Nella giurisprudenza di merito sulla stessa lunghezza d’onda v. Trib. Milano, Sez. II, 10 novembre 2016, in Dejure: “I fatti di frode (che avrebbero dovuto condurre all'apertura di un procedimento ex art. 173 l. fall. ad iniziativa del commissario giudiziale) portati all'attenzione dell'ufficio da un creditore o da un interessato opponente in sede di giudizio di omologa del concordato, costituiscono circostanze ostative all'omologa medesima”.
[62] 
Così nella vigenza dell’art. 180 L. fall. F. Filocamo, in La legge fallimentare, Commentario Teorico-pratico, a cura di M. Ferro, 2014.
[63] 
S. Ambrosini, L'omologazione del concordato, in Dir. fall., 2014, I, 507.
[64] 
Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521 (con nota di M. Fabiani, La questione "fattibilità" del concordato preventivo e la lettura delle Sezioni Unite, in Fallimento, 2013, 149, nonché di F. De Santis, Le sezioni Unite ed il giudizio di fattibilità della proposta di concordato preventivo: vecchi principi e nuove frontiere, in Società, 2013, 442).
[65] 
Cass. 9 marzo 2018, n. 5825 e Cass 4 maggio 2018, n. 10752, entrambe in Italgiure.
[66] 
Cass. 26 febbraio 2019, n. 5653, in Italgiure.
[67] 
La giurisprudenza di legittimità, benché escluda il controllo sull’attendibilità delle scritture contabili, finisce per delineare un sindacato mediato addirittura più penetrante, facendo salvo in capo al giudice uno scrutinio di veridicità delle informazioni esposte nei documenti prodotti unitamente al ricorso (tra cui la relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa e lo stato particolareggiato ed estimativo delle attività), sotto il profilo della loro effettiva consistenza materiale e giuridica: v. Cass. 28 marzo 2017, n. 7975; Cass. 31 gennaio 2014, n. 2130; Cass. 4 giugno 2014, n. 12549 tutte in Italgiure. In dottrina, sulla relazione attestativa v. tra gli altri L.A. Bottai, Opportune precisazioni sull’attestazione ex 161 L. fall. e sul controllo di fattibilità, in Il Fall., 2018, 8-9, 972.
[68] 
Sulla formazione di un accordo con la maggioranza dei creditori v. A. Gentili, Autonomia assistita ed effetti ultra vires nell'accettazione del concordato, in Giur. comm., 2007, II, p. 350.
[69] 
G.B. Nardecchia, La verifica del voto in sede di omologa e la prova di resistenza, in Il Fall., 2018, 703.
[70] 
Sembra muoversi in quest’ordine di idee, pur con varietà di accenti, G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale, in Studi sull’avvio del Codice della crisi, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, cit., 149.
[71] 
F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., 551. 
[72] 
V. Lenoci, Sub art. 112, in Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Di Marzio, 2022, 511.
[73] 
Le classi hanno debuttato nel nostro ordinamento concorsuale in occasione della riforma dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, attuata con la L. 18 febbraio 2004, n. 39 (c.d. “Legge Marzano”, di conversione del D.L. 23 dicembre 2003, n. 34); l’istituto è a stretto giro transitato nella Legge fallimentare con la novellazione degli artt. 124 e 160 L. fall. V., anche per gli ulteriori riferimenti, G. Lo Cascio, Concordati, classi di creditori ed incertezze interpretative, in Il Fall., 2009, 10, 1129.
[74] 
La regola generale continua ad essere quella del classamento facoltativo (art. 86, comma 1). Il classamento diventa obbligatorio qualora il concordato sia in continuità (art. 85, comma 5). La classificazione è un atto dovuto per alcune cerchie di creditori che godono di una protezione speciale o sono influenzati da interessi o fattori esterni rispetto alla proposta (art. 85, comma 2): titolari di crediti tributari o previdenziali dei quali non sia previsto l’integrale pagamento; creditori garantiti da terzi; creditori soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro; creditori proponenti e parti ad essi correlate; soci ex art. 120 ter semprechè il piano preveda modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione e, in ogni caso, società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
[75] 
Le situazioni di crisi aziendale, la distinzione delle posizioni creditorie agevoli la migliore allocazione delle risorse dell’impresa, permettendo il più adeguato soddisfacimento dei titolari delle pretese, attraverso una differenziazione dei relativi trattamenti. L’autonomia del creditore si esprime allora nella prerogativa di modulare la proposta suddividendo i creditori per categorie, differenziandone i trattamenti. La flessibilità dello strumento di regolazione si ritrova nella sua attitudine a derogare parzialmente al principio di eguaglianza formale cui all’art. 2741 c.c. e a disancorarsi dal principio della par condicio, offrendo una soddisfazione asimmetrica a creditori che avrebbero astrattamente ragione di pretenderne una equiordinata.
[76] 
Sul tema delle classi v. F. Rolfi, Sui criteri di formazione delle classi nel concordato preventivo, in Il Fall., 2018, 12, 1415.
[77] 
I crediti degli istituti bancari recano obiettivi e prospettive solitamente divaricate rispetto a quelle scaturenti, in ipotesi, da un contratto di somministrazione o da un rapporto di lavoro.
[78] 
Un fornitore occasionale di prestazioni mira a recuperare il credito ed è meno disposto a scendere a patti di un fornitore strategico collocato nell’indotto dell’impresa, quindi propenso a guardare ai rapporti con essa in una prospettiva looking forward.
[79] 
M. Sciuto, La classificazione dei creditori nel concordato preventivo (un’analisi comparatistica), in Giur. comm., 2007, 569.
[80] 
M. Arato, Il concordato preventivo, in O. Cagnasso - L. Panzani (diretto da), Crisi d'impresa e procedure concorsuali, III, Milano, 2016, 3499.
[81] 
Parla di un “alleggerimento” delle verifiche in sede di apertura del procedimento di concordato in continuità aziendale, in linea con quanto previsto dalla Direttiva, I. Pagni, L’entrata in vigore del Codice della crisi cit., 625.
[82] 
L’idea che passa è quella di programmare il superamento dello squilibrio o della difficoltà sulla base di un binomio ormai inscindibile di elementi paritari: la tutela del credito e la salvaguardia dell’attività produttiva. La combinazione equilibrata fra tutela del credito e continuità aziendale emerge anche in altre norme del nuovo CCII, tra cui significativamente nell’art. 52 che in ipotesi, tra l’altro, di opposizione avverso l’omologazione del concordato attribuisce alla Corte d’Appello la prerogativa di “disporre le opportune tutele per i creditori e per la continuità aziendale”.
[83] 
Ricostruisce pionieristicamente nei termini della non implausibilità la valutazione giudiziale in relazione alla fase di ammissione Trib. Udine, Sez. II Civ., 27 gennaio 2020, in Dirittodellacrisi.it: “In tema di concordato preventivo, il giudizio che il tribunale è chiamato a rendere sulla fattibilità economica, in sede di ammissione, è limitato, in negativo, all’apprezzamento della “non implausibilità” delle previsioni del piano, essendo riservato ai creditori scegliere, in positivo, il grado di ragionevole certezza delle previsioni sulla base del quale sono disposti a dare fiducia al piano”.
[84] 
L'art. 8, par. 1, lett. h) della Direttiva prevede che al piano debba essere allegata un'attestazione del debitore, eventualmente convalidata da un esperto esterno o da un professionista nel campo della ristrutturazione, che conferma la sussistenza di questo requisito.
[85] 
Così L. Stanghellini, La legislazione d’emergenza in materia di crisi d’impresa, in Riv. soc., 2-3, 2020, 62.
[86] 
L. Panzani, L’assetto degli organi nella liquidazione giudiziale e nelle altre procedure di regolazione della crisi, in Il Fall., 2022, 10, 1263.
[87] 
Sottolinea V. Zanichelli, Il giudice nella ristrutturazione, in Studi sull’avvio del Codice della crisi, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, cit., 197: “il legislatore, dopo aver degradato l’interesse dei creditori al miglior trattamento rispetto all’alternativa liquidatoria all’interesse ad un trattamento solo non deteriore, ha compiuto un nuovo passo verso l’equiparazione dell’interesse pubblico alla continuazione dell’attività di impresa”.
[88] 
Le arcinote Sezioni Unite del 2013 (Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521 cit.) avevano distillato dentro a questa prognosi la fattibilità giuridica da quella economica, la prima concernente la compatibilità tra modalità attuative del concordato e norme inderogabili dell’ordinamento, la seconda concernente la concreta realizzabilità del piano. In dottrina si era evidenziato la debolezza dell’impostazione, non potendo essere feasibility per il diritto ciò che è ineseguibile o di platonica concludenza economica: v. B. Conca, Dalla fattibilità giuridica alla realizzabilità economica del concordato: il nuovo ruolo del tribunale, Relazione tenuta al XXX Convegno di studio su "Le procedure concorsuali verso la riforma tra diritto italiano e diritto europeo", Courmayeur, 23-24 settembre 2016, in www.fondazionecourmayeur.it.
[89] 
Cass. 23 settembre 2018, n. 23315, Cass. 7 aprile 2017, n. 9061, Cass. 23 maggio 2014, n. 11497, tutte in Italgiure.it.; v. anche Cass. 6 novembre 2013, n. 24970, in Giur. comm., 2015, II, 53, con nota G. Ciervo, Ancora sul giudizio di fattibilità del piano di concordato preventivo.
[90] 
Ciò vale soprattutto nei contesti segnati da peculiari tensioni causate da congiunture emergenziali, nel quadro delle quali le informazioni economiche sono meno precise e soprattutto meno consolidate.
[91] 
Così V. Zanichelli, La nuova disciplina del concordato preventivo, 2019, 161.
[92] 
Il destino del concordato non dovrà essere deciso dalla "tesi aziendalistica" del giudice: così F. Di Marzio, La riforma delle discipline della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Milano, 2018, 2.
[93] 
R. Brogi, Clausole generali e diritto concorsuale, in Fallimento, 2022, 881.
[94] 
Sul trattamento non deteriore v. S. Ambrosini, Brevi appunti sulla nuova “sintassi” del concordato preventivo, in Ristrutturazioni aziendali, 9 giugno 2022, 4.
[95] 
V. Zanichelli, Sindacato del tribunale sui tempi di esecuzione del concordato preventivo, in Fallimento, 2015, 7, 823 nota a Trib. Palermo 31 ottobre 2014. 
[96] 
In questo solco Trib. Milano, 4 novembre 2021, in Dirittodellacrisi.it: “Il positivo giudizio di omologazione, quale condicio iuris della vincolatività della proposta concordataria nei confronti di tutti i creditori, deve essere negato allorquando il Tribunale constati – nell’ambito del controllo di legittimità a questo riservato – essere venuta meno la causa concreta del concordato, intesa come idoneità dello stesso ad assicurare sia il superamento della situazione di crisi dell’imprenditore, sia il soddisfacimento dei creditori in tempi ragionevoli”.
[97] 
Non vi è una distanza siderale rispetto al principio affermato da Cass. 23 maggio 2014, n. 11497, Cass. 1 marzo 2018, n. 4790, entrambe in Italgiure.it.
[98] 
Cass. 27 febbraio 2017, n. 4915, in Italgiure parla di "assoluta, manifesta inettitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obbiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi”.
[99] 
Di recente v. sulla questione P. Bortoluzzi e A. Gallotta, Il trattamento dei creditori privilegiati nel concordato preventivo e la ricerca di soluzioni flessibili, in Dirittodellacrisi.it, 16 settembre 2021.
[100] 
Per una sintesi ragionata delle problematiche e delle implicazioni, rispettivamente, della absolute priority rule e della relative priority rule v. G. D’Attorre, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, in Il Fall., 2020, 1072.
[101] 
Utili per l’approccio al tema le considerazioni di M. Fabiani, Appunti sulla responsabilità patrimoniale “dinamica” e sulla de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in Il Fall., soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria diretto da S. Ambrosini, Bologna, 2017, 51 ss.
[102] 
Il plusvalore da continuità è rappresentato dalla differenza algebrica fra il reorganization value e il liquidation value. Ad avviso di Trib. Treviso, 10 luglio 2023, in Dirittodellacrisi.it “ai sensi della norma contenuta nell’art. 84, comma 6, CCII, è consentita la distribuzione della c.d. “finanza endogena” secondo la Relative Priority Rule”. 
[103] 
G. Macagno, La distribuzione del valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, in Dirittodellacrisi.it, 6 aprile 2022.
[104] 
Cass. 8 giugno 2012, n. 9373, in Il Fall., 2012, 1409, con nota di D. Bianchi.
[105] 
In tema v. G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in Dirittodellacrisi.it, 25 Febbraio 2022.
[106] 
In tema, recentemente, v. M. Binelli, L'omologazione del concordato in continuità non approvato, in Dirittodellacrisi.it, 27 Dicembre 2022; G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale, in Studi sull’avvio del Codice della crisi, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, cit. 148; Zanichelli, Commento a prima lettura del decreto legislativo 17 giugno 2022, n. 83, pubblicato in G.U. il 1 luglio 2022, in Dirittodellacrisi.it; S. Ambrosini, Brevi appunti sulla nuova "sintassi" del concordato preventivo, in Ristrutturazioniaziendali.it.
[107] 
In giurisprudenza v. Trib. Bergamo, 11 aprile 2023, in Dirittodellacrisi.it: “In tema di concordato preventivo in continuità aziendale, in mancanza di approvazione dei creditori, il Tribunale può omologare lo strumento solo in quanto appuri il ricorso congiunto delle quattro condizioni declinate dall’art. 112, comma 2, CCII. In particolare la condizione di cui alla lettera d) della norma sussiste, secondo una lettura conforme al diritto unionale (art. 11 Dir. EU 2019/1023), qualora il concordato sia stato approvato dalla maggioranza delle classi, oppure, alternativamente, abbia conseguito il voto favorevole pure di una sola classe di voto che nel concordato medesimo riceva però un trattamento meno vantaggioso, quindi peggiorativo, rispetto a quello che otterrebbe nel contesto eventuale della liquidazione giudiziale”. Sulla ristrutturazione trasversale fra i primi arresti è da annoverare anche Trib. Lucca, 18 luglio 2023, in Dirittodellacrisi.it, ad avviso del quale “In tema di concordato preventivo in continuità aziendale, il c.d. cram-down fiscale (disciplinato dall’art. 88, comma 2 bis CCII) non può essere adoperato per realizzare le condizioni per l’applicazione dell’art. 112, comma 2, lett. d) CCII in materia di ristrutturazione trasversale dei debiti. Militano nel senso di questa interpretazione: il criterio storico (per cui il cram-down fiscale e previdenziale è stato pensato nel nostro ordinamento in un contesto in cui non esisteva la regola della relative priority rule, ma solo quella della absolute priority rule), il criterio sistematico (per cui anche negli accordi di ristrutturazione, ove il cram-down è pure previsto, questo viene in rilievo soltanto quando l’adesione dei creditori pubblici è necessaria per raggiungere le maggioranze richieste dagli artt. 57, comma 1 e 60, comma 1 ma non anche quando vengano in rilievo le maggioranze dell’art. 61, comma 2, lett. c) CCII per gli accordi ad efficacia estesa) e il criterio logico (per cui la direttiva c.d. Insolvency – nel dettare le condizioni per la ristrutturazione trasversale dei debiti – non fa mai riferimento alla possibilità di considerare un voto non espresso da un creditore o da una classe come un voto di adesione alla proposta per effetto di una fictio iuris, ma richiede che la proposta sia espressamente approvata)”.
[108] 
Così F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., 577.
[109] 
Di recente si è affacciata in dottrina una diversa tesi, definita del “sostegno minimo”, secondo la quale, in assenza di menzioni esplicite, va esclusa la rilevanza del pregiudizio in capo alla classe dei creditori favorevoli, giacché la mancanza di una qualsiasi classe di creditori interessati, purché in the money, potrebbe assicurare la sponda sufficiente al concordato, avallandone l’esito favorevole: G. D’Attorre, Classi “interessate” e classi “maltrattate” nella ristrutturazione trasversale, in Dirittodellacrisi.it, 26 maggio 2023; I. Donati, Il requisito del “sostegno minimo” dei creditori per l’omologazione del concordato in continuità: una prima (errata) applicazione dell’art. 112, comma 2, lett. D), CCII , in Il Fall., 2023, 6, 791, nota a Trib. Bergamo, 11 aprile 2023 (anche in Dirittodellacrisi.it).
[110] 
La motivazione al fondo della regola sulla ristrutturazione trasversale - che cerca di tenere insieme paesi di tradizione divaricata, se non antitetica - sta in ciò, che, se una classe colpita in negativo dal concordato approva comunque lo strumento, ciò, per un verso, è una spia verde della correttezza della negoziazione sugli interessi, che adesso – non lo si trascuri – avviene addirittura anche dentro al processo ex art. 92, comma 3, mediante la figura di quello che chiameremo il commissario-negoziatore; per altro verso, accende un faro sulla rispondenza della distribuzione del valore al migliore interesse dei creditori, letto in una chiave necessaria di sintesi fra le posizioni dei creditori stessi.
[111] 
L’opportunità sottesa ad un meccanismo nel cui campo la voce di una minoranza isolata fa premio sul coro delle aggregazioni dei creditori, è corroborata dall’urgenza di sterilizzare gli ostruzionismi e i dissensi opportunistici, perché gli uni e gli altri non rispondono a nessuna delle finalità dei processi di ristrutturazione. In questo quadro, quand’anche il piano prospettato non abbia radunato sufficienti consensi, ove integri, a dispetto del voto, gli altri requisiti che il legislatore ha enucleato come necessari, si presta ad essere omologato tramite l'impiego del cross-class cram-down, sempreché il giudice ne verifichi nulla più che quella che altrove chiamerebbero fairness, ossia l’equità del trattamento comunque assicurato alle classi ostili.
[112] 
S. Ambrosini, Il concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, IV, Torino, 2014, 362.
[113] 
L’art. 180, comma 6, L. fall., prevedeva in ipotesi di concordato con classi il creditore appartenente ad una classe dissenziente e in ipotesi di concordato senza classi i creditori dissenzienti rappresentativi del 20% dei crediti ammessi al voto, potessero contestare la convenienza della proposta e il tribunale fosse abilitato a omologarlo comunque ove avesse ritenuto che il credito o i crediti fossero suscettibili di risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili. Nel nuovo regime codicistico va segnalato che Il D.Lgs. n. 83/2022, intervenendo sul comma 3 dell’art. 112 CCII ha eliminato il periodo che stabiliva a carico del creditore che non avesse contestato la convenienza del piano nelle osservazioni di cui all’articolo 107, comma 4, una decadenza avvertita come troppo breve, quindi pregiudizievole per le ragioni dei creditori e lesiva del loro diritto di difesa.
[114] 
Si attua nell’ordinamento interno il cram down of dissenting creditors di cui all’art. 10, par. 2, lett. d).
[115] 
Nel solco unionale si assicura che i diritti dei creditori dissenzienti non siano limitati in misura superiore rispetto a quanto questi potrebbero ragionevolmente prevedere in assenza di ristrutturazione se l'impresa del debitore fosse liquidata (c.d. cram-down of dissenting creditors).
[116] 
M. Fabiani, Causa del concordato e oggetto dell’omologazione cit., 579.
[117] 
Lo spazio angusto delle revocatorie e l’esito non sempre fruttuoso delle azioni di responsabilità rendono la liquidazione giudiziale non sempre allettante.
[118] 
Ciò implica esemplificativamente che sia fatta consistere nel conferimento di un’esclusiva al creditore sulle forniture successive, o nell’impegno a praticare prezzi predeterminati per un certo segmento temporale oppure ad acquistare un determinato contingente di beni o prestazioni con cadenze predefinite, o nel riconoscimento di alcune royalties o di alcuni incentivi al raggiungimento di specifici obiettivi o, ancora, nel rilascio di garanzie anche per mano di terzi. Il creditore può anche avvantaggiarsi dal poter portare in detrazione fiscale il suo credito insoddisfatto senza dover attendere la chiusura della liquidazione giudiziale. Un’utilità è rappresentata anche dalla franchigia rispetto al rischio di una azione revocatoria fallimentare per un pagamento ricevuto nel periodo sospetto.
[119] 
Ancora M. Fabiani - I. Pagni, I giudizi di omologazione nel codice della crisi, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi cit., 159.
[120] 
Viceversa, nei confronti dei coobbligati, dei fideiussori e degli obbligati in via di regresso del debitore invece i creditori conservano impregiudicati i propri diritti ex art. 117. Pertanto, i creditori possono pretendere nei loro confronti l'adempimento per intero del debito senza falcidia concordataria. Il terzo, dopo aver pagato il debito, avrà diritto di regresso nei confronti del debitore nei limiti della percentuale concordataria. L’effetto esdebitatorio non si produce naturalmente nemmeno nei confronti dei creditori posteriori, ossia dei creditori per titolo causa posteriore alla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, fra i quali si annoverano i titolari di diritti che sorgono tra la pubblicazione del ricorso e l'omologazione e i titolari di crediti che nascono dopo l'omologazione.
[121] 
I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare, cit., 604, ritiene che si possa, al più, discutere di stabilità della decisione.

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