In relazione al primo problema (maggioranza o minoranza di classi) esistono due orientamenti.
Secondo un orientamento, per addivenire all’omologazione sarebbe sempre necessario che la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure da creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause di legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione[1].
Secondo un diverso orientamento, per giungere all’omologazione sarebbe sufficiente anche il voto favorevole di una sola classe o comunque di una minoranza di classi, purché si tratti di classe formata da creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause di legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione[2].
Ho già esposto in altro scritto gli argomenti che univocamente e concordemente depongono nel senso di ritenere sufficiente il voto favorevole di una sola classe o comunque di una minoranza di classi[3].
La locuzione “in mancanza”, che nell’art. 112, comma 2, lett. d, CCII precede il riferimento all’approvazione da almeno una classe di creditori, va riferita non già alla presenza di una classe favorevole formata da creditori titolari di diritti di prelazione, bensì alla “maggioranza delle classi”. In questo modo, poiché l’approvazione da parte di almeno una classe di creditori è alternativa rispetto all’approvazione da parte della “maggioranza delle classi” (in mancanza, appunto), ne consegue che sarà sufficiente anche una minoranza di classi, e finanche una sola classe, per passare alla fase dell’omologazione.
Questa opzione ermeneutica, già dotata di maggiore persuasività sulla base della sola lettura della norma, si impone con ancora maggiore evidenza se si tiene conto che l’art. 112, comma 2, lett. d), CCII costituisce attuazione della Direttiva UE 1023/2019, e precisamente dell’art. 11, comma 1, lett. b), Direttiva UE 1023/2019. Quest’ultima norma dispone che, ai fini della ristrutturazione trasversale sia necessario che il piano sia stato approvato “i) dalla maggioranza delle classi di voto di parti interessate, ..; oppure, in mancanza, ii) da almeno una delle classi di voto di parti interessate ..”. Qui, l’uso del punto e virgola prima della locuzione “in mancanza” rende certo ed inconfutabile che la previsione di cui al romanino (ii) (ossia, approvazione di almeno una classe) sia alternativa rispetto alla previsione di cui all’intero romanino (i) (ossia, approvazione da parte della maggioranza delle classi), come peraltro esplicitato anche dal considerando n. 54. Anche senza voler richiamare il canone ermeneutico dell’obbligo di interpretazione conforme al diritto UE, che già di per sé sarebbe dirimente, la chiara similitudine tra la struttura ed il testo dell’art. 112, comma 2, lett. d), CCII (“la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi …, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe …”) e quella dell’art. 11, comma 1, lett. b), Direttiva UE 1023/2019 (“è stato approvato i) dalla maggioranza delle classi di voto di parti interessate, ..; oppure, in mancanza, ii) da almeno una delle classi di voto di parti interessate ..”) impone un analogo approdo interpretativo, che non può che essere quello della possibilità di approvare la proposta anche con il voto favorevole di una sola classe, o comunque di una minoranza di classi.
D’altra parte, quando i legislatori nazionali hanno utilizzato la facoltà concessa dalla medesima Direttiva UE 1023/2019 di prevedere una regola più rigida attraverso l’introduzione dell’obbligo dell’approvazione da parte della maggioranza delle classi[4], lo hanno fatto in modo chiaro, come dimostra l’esempio dello StaRUG in Germania, dove, senza incertezze o subordinate, si pone la necessità del voto favorevole della maggioranza (“Mehrheit”) delle classi (art. 26 Abs. 1 Nr. 3. StaRUG). Se davvero il legislatore italiano avesse voluto discostarsi dalla regola base prevista dalla Direttiva UE 1023/2019, lo avrebbe dovuto fare in modo inequivocabile, così che anche laddove si ritengano plausibili opposte interpretazioni del dato letterale, la prevalenza deve andare verso l’opzione conforme alla soluzione base prevista dal diritto UE[5].
A definitiva conferma della conclusione raggiunta si pone un ulteriore e non superabile argomento. La Direttiva UE 1023/2019 consente agli Stati membri di “poter aumentare il numero delle classi necessarie per l'approvazione del piano”, ma pone un limite a questo incremento. Infatti, nel Considerando n. 54 si precisa che “gli Stati membri non dovrebbero esigere il consenso di tutte le classi. Conseguentemente, qualora vi siano solo due classi di creditori, il consenso di almeno una classe dovrebbe essere ritenuto sufficiente, se sono soddisfatte le altre condizioni per l'applicazione del meccanismo di ristrutturazione trasversale dei debiti”. Proprio in applicazione di questo limite, lo StaRUG tedesco, pur ribadendo la regola della maggioranza delle classi, stabilisce espressamente che, laddove vi siano solo due classi, è sufficiente l’approvazione di una sola classe, a condizione che non sia formata da soci o da creditori postergati (§ 26 Abs. 1 Nr. 3 StaRUG). Ora, laddove si aderisca per ipotesi alla tesi secondo cui la formulazione letterale dell’art. 112, comma 2, lett. d), CCII impone sempre l’approvazione della maggioranza delle classi, si dovrebbe coerentemente affermare la vigenza di questa regola anche nell’ipotesi in cui vi siano due sole classi di votanti, con la conseguenza per cui sarebbe in tale ipotesi richiesta l’unanimità delle classi votanti; il che non è in alcun modo consentito dalla Direttiva UE 1023/2019, che non permette agli Stati membri di esigere il consenso di tutte le classi.
Tutti i canoni ermeneutici convergono, quindi, nel confermare l’interpretazione secondo cui nel concordato in continuità aziendale per giungere all’omologazione non è necessario il voto favorevole della maggioranza delle classi, ma è sufficiente il voto favorevole di una sola classe o comunque di una minoranza di classi, purché si tratti di classe formata da creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause di legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.
La soluzione esposta deve, però superare la possibile obiezione che si potrebbe appuntare sulla difficoltà di trovare un fondamento a questo inedito “principio di minoranza”. Se è già difficile giustificare il principio di maggioranza, ancora più arduo è rinvenire la giustificazione della lesione che il principio di minoranza infligge al principio dell’autonomia privata in negativo dei creditori dissenzienti, che subiscono una modifica della percentuale o delle modalità di soddisfazione del proprio credito anche contro e indipendentemente la propria volontà.
Accantonata la suggestiva, ma fallace equiparazione di ogni voto contrario in un voto abusivo per violazione di un presunto obbligo di voto positivo, con conseguente trasformazione dei voti contrari “abusivi” in voti favorevoli, la giustificazione del principio di minoranza può rinvenirsi nella diversa e rinnovata funzione che la votazione dei creditori assume nel concordato in continuità aziendale.
Proprio la possibilità che sia omologato un concordato che abbia ricevuto l’approvazione solo di una classe, o comunque di una minoranza di classi, dimostra che il voto dei creditori non è più volto all’approvazione del concordato, ma svolge la diversa funzione, da un lato, di verifica dell’eventuale presenza di un veto insuperabile dei creditori rispetto alla soluzione concordataria, dall’altro lato, di disposizione del diritto individuale (del singolo creditore) o del diritto collettivo (della classe) rispetto alla distribuzione del valore del patrimonio del debitore[6].
Sotto il primo profilo, solo se la proposta abbia ricevuto il voto contrario unanime di tutte le classi è impedito al debitore di chiedere l’omologazione. Unicamente se i creditori esprimono il veto all’unanimità (delle classi), la proposta non può essere sottoposta al vaglio di omologazione del tribunale. A ben vedere, quindi, è richiesta una maggioranza, anzi l’unanimità, per “bloccare” il passaggio all’omologazione, non per consentire il passaggio all’omologazione. Il principio di maggioranza delle classi può in questo modo essere recuperato, se si guarda alla votazione in termini di possibile espressione del veto dei creditori, piuttosto che di approvazione della proposta. Il diritto di voto dei creditori è diventato - a ben vedere - un diritto di veto, che però richiede maggioranze qualificate per il suo esercizio.
Sotto il secondo profilo, il voto consente di qualificare il singolo creditore e la singola classe come consenziente o dissenziente, legittimando il creditore dissenziente all’opposizione all’omologazione per contestare il difetto di convenienza e la classe dissenziente al rispetto delle regole di distribuzione orizzontale e verticale del patrimonio, rappresentate dal principio di non discriminazione e dalle regole di priorità.
In questa nuova prospettiva, il voto dei singoli creditori ed il voto delle classi non sono più funzionali all’approvazione o meno della proposta, ma svolgono la diversa funzione di consentire l’esercizio o meno del diritto di veto dei creditori rispetto all’omologazione e, allo stesso tempo, di consentire ai creditori ed alle classi, attraverso il loro dissenso, di beneficiare delle maggiori tutele individuali e collettive riservate ai dissenzienti.