Le operazioni di WBO sono strutturalmente incardinate nel contesto cooperativo, e ciò non solo in relazione alla adattabilità dello strumento societario alla interlocuzione con i futuri soci (fino a quel tempo solo lavoratori dipendenti), quanto, anche, ad un chiaro, ancorché non totalmente organico, indirizzo del Legislatore, sin dall’articolo 45 della Costituzione.
Le motivazioni profonde che sottendono alla nascita di operazioni di WBO trovano dunque linfa nella struttura giuridica della società cooperativa e, conseguentemente, nei caratteri fondativi dell’istituto[123].
L’Alleanza Cooperativa Internazionale (fondata nel 1895 a Londra) ha così definito la società cooperativa nel proprio congresso di Manchester del 1995: “una cooperativa è un’associazione autonoma di persone unite volontariamente per soddisfare le loro aspirazioni e bisogni economici, sociali e culturali comuni attraverso la creazione di un’impresa di proprietà comune e democraticamente controllata”[124].
Lo scopo della cooperativa, dunque, è rappresentato non già dalla remunerazione del capitale ma dallo scambio mutualistico, inteso come scambio economico instaurato con i soci alle migliori condizioni possibili[125].
Autorevole dottrina[126] ha evidenziato come il contenuto democratico della società cooperativa, ulteriore cardine distintivo, sia rinvenibile nella centralità della regola del voto capitario, nel contesto assembleare nel quale tale regola si realizza nonché nelle modalità con cui il legislatore sostanzia il principio di autogoverno, di autonomia e di indipendenza dei soci cooperatori.
Tali principi sono strutturalmente supportati dall’ulteriore valore fondativo rappresentato dall’indivisibilità degli utili e delle riserve che si traduce in una conseguente “mutualità intergenerazionale”. Le strutture patrimoniali ed il valore creato nell’azienda rappresentano il principale strumento di tutela della continuità aziendale in favore di obiettivi di medio e lungo termine[127].
I patrimoni ed i valori sono nella disponibilità delle società cooperative a mutualità prevalente (ulteriormente supportati dalla legislazione fiscale di favore che, seppur ridottasi nel corso degli ultimi decenni, garantisce ancora oggi risorse aggiuntive), e consentono ai soci lavoratori di affrontare, con maggior serenità, le sfide (e, se del caso, le crisi) del futuro grazie ad un processo naturale (e legale) di capitalizzazione. La prospettiva di continuità aziendale (e correlata prospettiva di continuità lavorativa) è dunque rappresentata da tale processo che, a tutti gli effetti, rappresenta un meccanismo “autogenerante” di politiche attive del lavoro, avulso da sostegni statali, capace oggi di leggere in anticipo i temi, sempre più attuali, di responsabilità sociale delle imprese e sostenibilità[128].
Il concetto di “mutualità intergenerazionale” è altresì valorizzato dal ruolo dei Fondi Mutualistici costituiti ai sensi dell’art. 11 della Legge 59/1992. È stato autorevolmente sottolineato[129] come “le caratteristiche costitutive dei Fondi Mutualistici e le finalità attribuite dalla Legge a tali soggetti, unite all’obbligo posto a carico della generalità delle imprese cooperative ‘di destinare alla costituzione e all'incremento di ciascun fondo costituito dalle associazioni cui aderiscono una quota degli utili annuali pari al 3 per cento’, hanno determinato la nascita di investitori istituzionali votati ‘per natura e per missione’ all’investimento di capitali di rischio (o in strumenti di ‘quasi capitale’) nelle imprese cooperative e provvisti delle necessarie risorse finanziarie per farlo.
Questa innovazione legislativa ha consentito alla mutualità intra-cooperativa di generare - anno dopo anno - risorse finanziarie rilevanti che, grazie al sapiente utilizzo che ne hanno saputo fare le Associazioni cooperative promotrici e gestrici dei Fondi Mutualistici, ha compensato una capacità di ‘accesso al mercato dei capitali’ sostanzialmente nulla rispetto a quella consentita alle imprese lucrative loro concorrenti.”
È stato correttamente sostenuto[130] come le operazioni di WBO possano essere l’occasione, unitamente alla riforma degli strumenti di regolazione della crisi, per un ripensamento dell’impresa rispetto agli interessi dei propri stakeholders, anche nell’ottica di una maggior democratizzazione del lavoro.
Lo strumento cooperativo, non a caso, è stato in più occasioni oggetto di sostegno da parte delle Istituzioni Europee. Su tutti si segnala l’intervento della Commissione Europea[131] che ha ribadito il “ruolo sempre più importante e positivo delle cooperative in quanto messo per realizzare molti degli obiettivi comunitari in settori quali la politica dell’occupazione, l’integrazione sociale …”.
Il Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE – 2012/C 191/05) ha avuto modo di sottolineare il potenziale interesse dei lavoratori alla sopravvivenza della propria impresa anche fuori da contesti di crisi, invitando gli stati membri a sviluppare politiche e norme che delineino “un quadro per i trasferimenti delle imprese ai dipendenti basato sulle migliori pratiche al fine di evitare le chiusure: ne sono un esempio […] la legge Marcora in Italia”[132]. Il CESE, nel citato documento, pone inoltre l’accento sulla resistenza delle cooperative alle “turbolenze della crisi rispetto alle imprese convenzionali”, ciò anche in relazione alla preminenza della remunerazione dei fattori produttivi rappresentati dal capitale umano nonché degli investimenti, sacrificando se necessario la remunerazione del capitale[133].
La Risoluzione del Parlamento europeo del 2 luglio 2013, intervenendo sul contributo delle cooperative al superamento della crisi, sottolinea come il modello cooperativo “promuova l’esistenza di cooperative caratterizzate da un approccio intergenerazionale a lungo termine e radicate nell’economica locale, che aiutino lo sviluppo sostenibile locale ed evitino le delocalizzazioni”[134]. A tal fine la citata Risoluzione promuove il sostegno alle cooperative di lavoro e ai WBO, prevedendo specifiche linee di bilancio dell’UE da destinare ad opportuni strumenti finanziari e alla creazione (con la partecipazione della Banca europea per gli investimenti - BEI, delle parti sociali e degli stakeholder del movimento cooperativo) di un meccanismo europeo volto a promuovere lo sviluppo delle cooperative e, in particolare, le riconversioni di imprese in cooperative anche, ad esempio, attraverso lo strumento dei fondi mutualistici.
Questa forma di soluzione alle crisi (e di soluzione alla successione intergenerazionale) si inserisce in una nuova cultura di gestione sostenibile dell’impresa che richiede formazione specifica nei professionisti, politiche che agevolino le iniziative dei dipendenti per la partecipazione al capitale e agli utili delle loro imprese ed adeguato sostegno ai fondi strutturali già presenti.
I WBO conducono, come detto, a riflessioni più ampie, che toccano i meccanismi più profondi dei quali è permeata la struttura economica ed imprenditoriale moderna e, più specificatamente, italiana[135].
Nel Rapporto 2021 “The Politics to Come” di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli si sottolinea come sia già in corso un processo di passaggio ad un’economica di mercato caratterizzata da processi di democratizzazione economica, capace di superare vecchie divisioni e schemi, rivitalizzando le relazioni economiche legate ai territori e alle comunità locali. In tale contesto i WBO sono individuati come veicoli in grado di perseguire questi obiettivi economico-sociali senza ostacolare l’impresa privata. Il sostegno economico ai WBO, si sostiene nel citato Rapporto, rappresenta una tipologia di intervento pubblico avulso dalle logiche assistenzialiste, in grado di porsi in sintonia con l’ecosistema imprenditoriale.
I WBO, e con loro le strutture cooperative, si fondano su un profondo radicamento con il territorio nel quale operano. Tale radicamento preserva dal rischio di desertificazione economica di zone rurali o comunque distanti dai grandi centri produttivi, limita la mobilità interterritoriale pur preservando la continuità.
Tali caratteristiche socio-economiche sono dimostrate anche dai più recenti dati empirici[136]. I WBO tendono ad emergere in settori ad alta intensità di manodopera, con prevalenza di lavoratori altamente qualificati rispetto a settori ad alta intensità di capitale con una forza lavoro poco qualificata. La nascita di WBO è frequentemente correlata alla presenza di intensità di manodopera specializzata, con lavoratori dedicati a specifiche attività e dotati di competenze specifiche non facilmente trasferibili; i lavoratori dei WBO provengono da esperienze lavorative di lunga data, integrati territorialmente e socialmente, con una bassa propensione alla mobilità e forte legame con le reti sociali esistenti. Gli stessi legami sociali interni all’azienda di provenienza possono favorire processi di solidarietà interna sul posto di lavoro ed essere di stimolo alla creazione di cooperative per la realizzazione dei processi di WBO.
Le evidenze empiriche dimostrano che le aziende, benché ristrutturate o ristrutturabili, possono risultare comunque non appetibili a terzi investitori, siano essi finanziari o industriali.
Non adeguati rendimenti richiesti (“di mercato”) per il capitale investito si traducono, in casi tutt’altro che infrequenti, in disimpegno di detti investitori pur in contesti aziendali caratterizzati (alternativamente e/o cumulativamente) da:
- qualità di prodotto/know how;
- professionalità delle maestranze;
- mercato di riferimento ancora attivo;
- margini operativi lordi e, in taluni casi, financo redditi operativi non negativi.
Manca, in estrema sintesi, un sistema in grado di misurare un’ulteriore categoria di rendimento, che si potrebbe definire “socio-economico”, non intrappolato nella rigidità del ROI ma connesso alla valorizzazione del capitale professionale, umano, territoriale e distrettuale[137], capitale che rappresenta l’ulteriore intangible che, in assenza di risorse esterne, può essere valorizzato esclusivamente dai lavoratori e dagli altri attori istituzionali.
Un rendimento da comporre nelle sue differenti variabili e calcolare non già in termini esclusivamente aziendalistici (una delle variabili), ma da costruire avendo riguardo al mantenimento di strutture produttive in determinati territori (con correlati effetti sull’indotto locale), alla sostenibilità dei livelli occupazionali, ai conseguenti effetti sulla finanza pubblica.
Un rendimento che può essere definito “tasso di rendimento socio-economico”[138].
Si tratta di un rendimento che ha un peso specifico differente in rapporto ai dati di bilancio e che garantisce ritorni non solo agli investitori diretti (i soci lavoratori[139] ed i soci finanziatori[140]), ma anche a favore dell’intero sistema Paese.
Ed in effetti, è possibile affermare che in contesti nei quali il rendimento calcolato dal potenziale partner industriale o finanziario terzo è tale da farlo desistere dall’intervento, il più elevato “tasso di rendimento socio-economico” consente ai lavoratori dell’impresa in crisi, a CFI ed ai Fondi Mutualistici, di valutare quell’investimento “redditizio” in quanto in grado, comunque, di rigenerare l’azienda in crisi e ridare continuità.
Vieppiù: si è dimostrato come esista un ulteriore rendimento sociale, inteso nella sua accezione di rendimento per la collettività, rappresentato da:
a) gettito erariale (Irpef, Ires ed IRAP);
b) gettito previdenziale (i contributi sui rapporti di lavoro),
per non dire della contribuzione al sostegno della domanda interna rappresentato dai redditi erogati ai soci lavoratori (e conseguente ulteriore gettito derivante dalle imposte sui consumi)[141].
Numerose realtà sostenute da CFI (frequentemente in assenza di potenziali alternative quali, appunto, partner finanziari o industriali esterni) hanno dimostrato di poter garantire, completata la fase di risanamento, adeguati rendimenti ai propri soci finanziatori, del tutto invidiabili anche in contesti “profit”.
Queste aziende (poco appetibili al “mercato”), sul mercato e nel mercato ritornano, producono, sviluppano fatturato ed occupazione, erogano dividendi ai propri soci finanziatori, pagano, in taluni casi, stipendi maggiori grazie all’istituto dei ristorni.
L’intero impianto del D.Lgs. n. 14 del 2019 verte sulla messa a disposizione di strumenti finalizzati a privilegiare, partendo dalla preventiva emersione della crisi, la continuità aziendale. Significativa a riguardo la definizione di continuità aziendale data dal legislatore in relazione all’istituto del concordato preventivo già precedentemente menzionata.
Infine, l’evoluzione del contesto imprenditoriale nella direzione di incrementare il peso specifico di tematiche globali (ambiente, strutture sociali, governance partecipate) sembrerebbe porre il sistema cooperativo in una condizione avvantaggiata rispetto alle altre strutture societarie, ciò anche nei contesti di ristrutturazione[142].
***
Ciò nonostante, le operazioni di WBO rappresentano ancora una minima parte dei veicoli che complessivamente sono utilizzati per risolvere contesti di criticità, il più delle volte attuati solo perché non vi è stata la possibilità di utilizzare strutture più “classiche”.
Nonostante le specifiche agevolazioni destinate alle operazioni di WBO dalla normativa speciale, le stesse soffrono, endemicamente, della sindrome da “second best”.
Secondo il rapporto “Business Dynamics” e CECOP-CICOPA[143] (in Vieta, Depedri, Carrano, EURICSE, 2017), “gli ostacoli specifici a una diffusione più capillare dei trasferimenti di imprese da parte di lavoratori e imprenditori in tutta Europa includono: una mancanza di “consapevolezza” del quadro normativo già esistente “favorevole al trasferimento”, scarsità di “monitoraggio sistematico dei trasferimenti d'impresa”, carenza di sistemi di supporto sufficientemente adeguati per creare consapevolezza sui trasferimenti d'impresa, “tabù della transizione” tra imprenditori e lavoratori, “complessità procedurale” e “ostacoli legali e fiscali”” (CECOP-CICOPA, 2013, p. 9[144]).
Il Parlamento Europeo, con la propria Risoluzione 2 luglio 2013 (2012/2321) ha così osservato: “Il Parlamento europeo […] 28. osserva che molto spesso il problema riscontrato nei trasferimenti di imprese ai dipendenti non riguarda solo la durata dei relativi iter ma anche e soprattutto la scarsa conoscenza di tale scenario aziendale tra i professionisti del settore (per esempio avvocati e commercialisti) e nel mondo legale e scolastico; sottolinea che la formazione e la sensibilizzazione di tutti gli attori coinvolti nella creazione o nel trasferimento della proprietà delle imprese ai dipendenti contribuirebbero in modo significativo alla promozione di tale pratica; raccomanda pertanto che la forma cooperativa d'impresa sia definitivamente ricompresa nei curriculum delle università e delle scuole di management”.
Permangono, quindi, plurime criticità che impediscono alle operazioni di WBO di marcare le proprie specificità ed inserirsi in misura più incisiva nei contesti di risanamento.
Circa il 33 percento delle analisi Swot eseguite da CFI nell’ambito delle proprie istruttorie evidenzia un “rischio WBO”. Si tratta del rischio connesso alla difficoltà di accompagnare i lavoratori in un percorso di autoimprenditorialità, correlato alla necessità di assumere impegni economici, gestionali, nonché ad acquisire, nel tempo, ulteriori competenze gestionali ed amministrative. Non a caso, sempre nell’ambito delle menzionate analisi Swot, CFI ha rilevato preventivamente su circa un terzo delle operazioni analizzate elementi di debolezza negli assetti amministrativi, solo per meno della metà supportati da competenze tecniche di Temporary Manager (per lo più provenienti da esperienze gestionali nell’ambito della struttura associativa di riferimento). Tali problematiche si sommano a quelle che, di consueto, qualunque advisor si trova a dover affrontare negli ordinari processi di ristrutturazione aziendale.
Nel contempo il processo di autoimprenditorialità porta con sé la valorizzazione del gruppo; tra i principali punti di forza vi sono la motivazione e coesione dei soci nonché la loro esperienza e know how.
Come autorevoli autori hanno sottolineato[145], “le operazioni di WBO restano, in ogni caso, un fenomeno circoscritto alle realtà imprenditoriali di piccole dimensioni e con alcune rigidità della forma cooperativa che lo rendono molto efficace in alcune circostanze e molto meno in altre (forte insediamento sul territorio, presenza del rapporto mutualistico con i soci cooperatori, stretta partecipazione dei soci cooperatori e quindi maggiore complessità dei processi decisionali e di governance)”. Gli stessi autori ritengono che per sostenere e sviluppare le operazioni di WBO, anche al fine di sottrarle al confine nel quale si ritiene siano oggi relegate, è necessario operare profondi interventi sulla governance cooperativa, anche coinvolgendo le organizzazioni di rappresentanza e le istituzioni governative deputate a seguire le politiche industriali nonché, non ultime per importanza, le istituzioni locali.
L’Accordo del 21 gennaio 2021 sottoscritto tra le associazioni datoriali e le organizzazioni sindacali dei lavoratori “per la promozione e lo sviluppo dei workers buyout” stenta, in molteplici territori, ad esplicare i suoi auspicati benefici effetti, riscontrandosi ancora in diversi casi una non conoscenza (e in certi contesti addirittura riottosità) dei rappresentanti sindacali locali nel promuovere (o quanto meno sondare) tali opportunità di risanamento anche di fronte a situazioni di crisi che, non risolte secondo “canali ordinari”, sono inesorabilmente destinate a definitive procedure liquidatorie. Tale condizione acuisce le problematiche relazionali con e tra i lavoratori, che frequentemente giungono ad affrontare il tema di una possibile operazione di WBO al termine di lunghi (ed alle volte estenuanti) percorsi di ristrutturazione, sfiduciati e, spesso, diffidenti.
Il rilevante ruolo del sistema associativo a supporto di tali operazioni non deve dunque lasciare sottotraccia la necessità di implementare sempre e più elevate competenze tecniche nell’ambito della ristrutturazione di impresa, da coniugare con le già presenti competenze specialistiche in ordine al funzionamento dello strumento cooperativo, rinnovando e promuovendo collaborazioni con il mondo professionale ed accademico.
Nel contempo sarebbe auspicabile un intervento di adeguato coordinamento normativo, anche al fine di consentire a CFI di poter impiegare le risorse della Legge Marcora nell’ambito di operazioni di risanamento più articolate, financo finanziando l’acquisto di crediti per sostenere la presentazione di proposte concorrenti ex art. 90 CCII, strumento giuridico nella prassi ancora molto poco utilizzato ma che potrebbe rappresentare un adeguato veicolo per “trasformare” i concordati subiti dai lavoratori in concordati promossi dai lavoratori.
Il nuovo CCII rappresenta, in tal senso, una opportunità di rilancio delle operazioni di WBO, consentendo, verificate le necessarie condizioni, di rendere disponibile una ulteriore e valida opportunità di risanamento, “socialmente orientata” e capace, quindi, di fare propri, secondo un processo naturale e fisiologico, anche i nuovi paradigmi che si è soliti riassumere nei parametri ESG.
Divulgare la conoscenza di tali specifici strumenti di risanamento nell’ambito professionale ed accademico, pur caratterizzati da peculiari problematicità, potrebbe quindi contribuire concretamente a rimettere sul mercato aziende destinate all’oblio per la sola incapacità di poter garantire repentini ed adeguati rendimenti di mercato meramente finanziari, pur essendo dette aziende a tutti gli effetti ristrutturabili ed in grado di garantire adeguati tassi di rendimento socio-economici.