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Lo schema di decreto correttivo del codice della crisi. Prime considerazioni*

Luciano Panzani, già Presidente della Corte d’Appello di Roma

17 Luglio 2024

*Il presente lavoro costituisce rielaborazione di un nostro scritto sullo stesso tema destinato alla pubblicazione per i tipi dell’Editore Cacucci nell’ambito della pubblicazione degli Atti del Convegno di Alba 24-25 novembre 2023 Crisi, imprenditori e responsabilità: il codice della crisi tra vecchi e nuovi problemi.
L’A. si sofferma trasversalmente sulle modifiche contenute nel nuovo Decreto correttivo, illustrandone punto per punto i contenuti.
Riproduzione riservata

Sommario:

1 . Premessa

2 . Inquadramento generale

3 . Transazione fiscale

3.1 . Composizione negoziata

3.2 . Concordato preventivo

3.3 . Accordi di ristrutturazione

3.4 . Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO)

3.5 . Concordato nella liquidazione giudiziale

3.6 . Concordato di gruppo

4 . Ambito di applicazione. L’amministrazione straordinaria

5 . Definizioni

5.1 . La nozione di consumatore

5.2 . Albo dei gestori della crisi

5.3 . Professionista indipendente

5.4 . Procedure concorsuali e strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza

5.5 . Misure protettive e cautelari

6 . Assetti adeguati

7 . Doveri delle parti

8 . Test pratico e lista di controllo

9 . Crediti prededucibili

10 . Composizione negoziata

11 . Domanda con riserva. Modifiche dell’art. 44 CCII

12 . Il contenuto del piano e il regime di trasferimento dei beni nel caso di cessione d’azienda

13.1 . Concordato preventivo. Omologazione e ruolo del giudice

13.2 . Trasformazione, fusione, scissione

13.3 . Trattamento dei soci

13.4 . L’esecuzione del piano. Le modificazioni

13.5 . Modificazioni del piano dopo l’omologazione

13.7 . Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione

14 . Misure protettive e cautelari

14.1 . Composizione negoziata

14.2 . Misure protettive e cautelari nell’accesso alle procedure

15 . Sovraindebitamento

15.1 . Profili generali

15.2 . Procedure familiari

15.3 . Ristrutturazione dei debiti del consumatore

15.4 . Concordato minore

16 . Liquidazione giudiziale e controllata

16.1 . Liquidazione giudiziale - Generalità. Domicilio digitale e comunicazioni. Organi

16.2 . Stato passivo. Programma di liquidazione. Vendite e Riparto. Chiusura

16.3 . Revocatorie. Contratti pendenti

16.4 . Rapporti di lavoro. Trasferimento di azienda

17 . Concordato nella liquidazione giudiziale

18 . Liquidazione controllata

19 . Esdebitazione

20 . Gruppi

1 . Premessa
Lo schema di decreto legislativo recante disposizioni modificative ed integrative del codice della crisi e dell’insolvenza, rectius del D.Lgs. 19 gennaio 2019, n. 14 e successive modificazioni, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 10 giugno 2024, è stato finalmente “bollinato” dalla Ragioneria Generale dello Stato, dopo un’attesa inusuale. E’ il caso di ricordare, posto che l’esigenza della bollinatura, espressione gergale in uso nei Ministeri, è poco conosciuta fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori, che ai sensi dell’art. 11 ter della legge 5 agosto 1978, n. 468, che i disegni di legge, gli schemi di decreto legislativo ed i regolamenti di iniziativa governativa che comportano ricadute finanziarie, devono essere corredati di una relazione tecnica, ovvero di una nota in appendice allo schema di provvedimento in cui, oltre a quantificare l'onere " autorizzato" e " coperto" dal medesimo, si puntualizzi nel dettaglio le singole voci di spesa. La verifica di tale relazione viene effettuata dalla Ragioneria generale dello Stato, la quale, una volta riscontrata la corretta quantificazione dell'onere recato dal provvedimento nonché l'idoneità della relativa copertura finanziaria appone, tramite la bollinatura posta dal Ragioniere generale dello Stato, il proprio visto di conformità senza il quale il provvedimento non può essere controfirmato dal Presidente della Repubblica e trasmesso alle Camere. La relazione sarà poi oggetto di controllo da parte delle competenti Commissioni Bilancio delle Camere in sede di redazione del parere obbligatorio sullo schema di decreto legislativo. 
L’approvazione dello schema di decreto legislativo da parte del Consiglio dei Ministri è stata preceduta da un dibattito, interno al Governo, che ha mostrato l’esistenza di visioni diverse all’interno dei Ministeri interessati sulle scelte relative alla disciplina della transazione fiscale, soprattutto con riguardo alla composizione negoziata. 
Non si può escludere che la discussione sulle scelte in parola si rinnovi in sede di elaborazione da parte delle Camere dei pareri obbligatori loro rimessi, oltre che di redazione del parere del Consiglio di Stato. Non è quindi impossibile che i pareri delle Camere possano suggerire modifiche e che il testo definitivo del decreto correttivo possa divergere in qualche misura da quello ora licenziato dal Governo. 
Il commento a cui ci siamo accinti ha pertanto caratteristiche di necessaria provvisorietà. Rappresenta comunque una prima lettura, certamente incompleta e non esaustiva, che offriamo come contributo al dibattito, in attesa di riflessioni più ampie. Aggiungiamo che le considerazioni che seguono riguardano il decreto correttivo, le norme da esso modificate. Non rappresentano quindi un commento complessivo alla disciplina del codice della crisi. 
2 . Inquadramento generale
Il Correttivo rappresenta l’ultima chance a disposizione del legislatore per completare il disegno complessivo riformatore della nostra legislazione concorsuale, intrapreso con la c.d. riforma Rordorf, dapprima con la legge delega 155/2017, e proseguito con il decreto delegato 14/2019, successivamente integrato dal primo decreto correttivo 147/2020 e dal secondo decreto 83/2022, che oltre a modificare alcune disposizioni del codice, ha anche costituito attuazione della direttiva Insolvency. 
Le precedenti modifiche apportate al testo originario del codice della crisi hanno migliorato in parte il testo, ma hanno anche rappresentato interventi caratterizzati da visioni in parte diverse da quelle che avevano guidato i redattori originari della riforma. Il primo decreto correttivo 147/2020, oltre ad una meritoria revisione di numerose aporie, si era in qualche misura preoccupato di riaffermare il ruolo preminente delle scelte del giudice rispetto ad un’impostazione che privilegiava maggiormente l’autonomia delle parti. Il decreto 83/2022 aveva introdotto la composizione negoziata, oggi vera chiave di volta della riforma, ripudiano la disciplina delle misure di allerta che era stata universalmente criticata da dottrina, giudici e politica per l’eccessiva rigidità. Aveva inoltre aggiornato il codice alle nuove esigenze di armonizzazione imposte dalla Direttiva Insolvency nel frattempo approvata dal legislatore europeo. 
E’ presto per individuare le caratteristiche preminenti del nuovo Correttivo. Si può peraltro dire che, complessivamente il Governo ha svolto un rilevante lavoro di wording, migliorando il testo di moltissime norme e meglio coordinando la disciplina processuale, che ora è per lo più meglio separata dalle norme di carattere sostanziale che riguardano i vari istituti. 
Il Governo è intervenuto con modifiche di rilievo sulla composizione negoziata, sulle misure cautelari e protettive, sul regime della domanda con riserva quando ad essa possa seguire la presentazione della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione o del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), sulla disciplina del concordato in continuità, soprattutto per quanto concerne il caso che la proposta del debitore sia approvata da una sola classe, sull’applicazione della relative priority rule rispetto al trattamento riservato ai soci. Anche la disciplina della trasformazione, fusione e scissione prevista dal piano di concordato e dagli accordi di ristrutturazione è stata meglio coordinata con la normativa societaria, fermo il principio che l’opposizione si propone in sede di omologazione del concordato. Modifiche sensibili riguardano il regime della liquidazione nel caso tanto di concordato liquidatorio che di concordato in continuità ove il piano preveda la liquidazione del patrimonio o la cessione d’azienda. 
Interventi significativi riguardano anche la parte generale del codice, con riferimento ai doveri delle parti, al regime della prededuzione, al ritocco di alcune definizioni generali contenute nell’art. 2 del codice. 
3 . Transazione fiscale
Anche se un’ordinata trattazione delle diverse materie contenute nel Correttivo richiederebbe di lasciare le innovazioni alla disciplina della transazione fiscale per ultime o di inserirle nella trattazione dei singoli istituti in cui esse trovano applicazione, ci pare opportuno seguire un criterio opposto, stante la rilevanza del tema che, come si è accennato, ha sollevato accese discussioni sino all’ultimo tra coloro che si sono occupati della riforma. 
La disciplina della transazione fiscale e del cram down che può essere disposto dal Tribunale in sede di omologazione degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza è stata modificata nello schema di decreto correttivo. Come si è anticipato, le modifiche sono il risultato di una faticosa trattativa tra orientamenti diversi all’interno del Governo e non è detto che prima della definitiva approvazione del Correttivo non possano emergere ulteriori modifiche. 
Il commento alla normativa sarà pertanto limitato alle considerazioni essenziali. 
Il legislatore ha ritenuto di suddividere gli interventi seminando articoli separati in ogni istituto preso in considerazione e quindi nella composizione negoziata, negli accordi di ristrutturazione, nel concordato preventivo e nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, nel concordato all’esito della liquidazione giudiziale. 
3.1 . Composizione negoziata
È stato aggiunto all’art. 23 un comma 2 bis che regola la possibilità per l’imprenditore di formulare, nel corso delle trattative, proposta di accordo transattivo alle agenzie fiscali e all’Agenzia delle entrate-Riscossione che preveda il pagamento, parziale o dilazionato, del debito e dei relativi accessori. 
Non si fa menzione, con riguardo alla composizione negoziata, dei crediti degli istituti previdenziali e tale mancanza rappresenta certamente un limite rilevante per il buon fine di questo procedimento. 
Va osservato che la sedes materiae non è particolarmente felice perché l’art. 23 riguarda la conclusione delle trattative, anche se ora l’ultimo comma della norma (comma 2 ter) prevede che le soluzioni previste dall’art. 23 possano intervenire a conclusione della composizione negoziata o durante le trattative, che in tale ipotesi continueranno anche dopo il raggiungimento di un accordo, la stipulazione del contratto o l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. 
Si stabilisce che la proposta non può essere formulata in relazione ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, rinverdendosi in tal modo la tesi dell’indisponibilità da parte dello Stato di tali tributi. Va sottolineato che questo limite viene introdotto espressamente soltanto per la composizione negoziata. 
Alla proposta è allegata la relazione di un professionista indipendente che ne attesta la convenienza per il creditore pubblico rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale e una relazione sulla completezza e veridicità dei dati aziendali redatta dal soggetto incaricato della revisione legale, se esistente, o da un revisore legale iscritto nell’apposito registro a tal fine designato. 
Va sottolineato che in tal modo si incrementano gli oneri per l’imprenditore che, oltre ad incaricare un professionista per redigere il progetto di piano per l’accesso alla composizione negoziata, dovrà farsi assistere dalle figure ora indicate. E’ da ritenere che il soggetto incaricato della revisione legale non possa svolgere le funzioni di professionista indipendente, anche quando ne abbia i requisiti, non tanto perché privo dei requisiti di indipendenza, ma perché componente di un organo di controllo e come tale soggetto ad un divieto di carattere generale. 
L’accordo è sottoscritto dalle parti e comunicato all’esperto e produce effetti con il suo deposito presso il tribunale competente ai sensi dell’art. 27 del codice. Giova ricordare che la composizione negoziata non richiede necessariamente il coinvolgimento del tribunale, quando non siano richieste misure protettive o cautelari o autorizzazioni. Per questo motivo la norma fa riferimento all’art. 27 per individuare il tribunale competente. Il criterio adottato è peraltro conforme a quanto previsto per gli altri interventi del tribunale durante la composizione negoziata. 
La Relazione illustrativa osserva che “La previsione del mero deposito in tribunale dell’accordo, analogamente a quanto avviene con i verbali di conciliazione nell’ambito del processo civile, consente di fornire all’accordo stesso una natura più formale senza ricorrere ad un ulteriore procedimento giurisdizionale per sostituire il consenso del fisco, procedimento che determinerebbe l’aumento dei costi di ristrutturazione per l’impresa”[2]. Ed ancora che “appare prioritario l’obiettivo di non compromettere la natura della composizione negoziata. Tale istituto, per essere efficace e mantenere la sua vocazione di percorso stragiudiziale (in ossequio a quanto richiesto dalla direttiva Insolvency), non va complicato tramite la previsione di ulteriori percorsi giurisdizionali che ne andrebbero a condizionare il regolare e rapido svolgimento”. 
Pur comprendendo e condividendo le preoccupazioni del Governo, occorre sottolineare che non si comprende la necessità dell’autorizzazione del giudice all’esecuzione dell’accordo raggiunto con il Fisco, certamente non necessaria ai fini della certificazione dell’esito della composizione negoziata e di cui avrebbe potuto dar agevolmente conto l’esperto nella sua relazione finale. Si tratta, ci pare, di un compromesso con l’esigenza dell’Amministrazione finanziaria di una sanzione, almeno formale, della regolarità dell’accordo raggiunto. 
In caso di mancato raggiungimento dell’accordo l’imprenditore, conclude la Relazione, potrà ugualmente perseguire il risanamento dell’impresa ricorrendo ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza ed ottenendo dal giudice in tale sede il cram down
Sono indicati gli Uffici competenti a provvedere, distinti per Amministrazione[3]. 
Il giudice, verificata la regolarità della documentazione allegata e dell’accordo, ne autorizza l’esecuzione con decreto o, in alternativa, dichiara che l’accordo è privo di effetti. Nonostante la norma faccia riferimento al giudice e non al tribunale, è da ritenere che la competenza sia sempre dell’organo collegiale. Il controllo richiesto pare essere un controllo sul rispetto delle condizioni di legge, a cominciare dalla regolarità della documentazione e delle attestazioni richieste oltre che della sussistenza delle approvazioni degli organi dell’Amministrazione finanziaria indicati dalla norma. 
Non pare che al Tribunale sia richiesto un controllo sulla fattibilità dell’accordo[4]. 
L’accordo si risolve di diritto in caso di apertura della liquidazione giudiziale o della liquidazione controllata o di accertamento dello stato di insolvenza oppure se l’imprenditore non esegue integralmente, entro sessanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti.
3.2 . Concordato preventivo
Lo schema di decreto correttivo ha rivisto sensibilmente la disciplina dettata dal precedente testo dell’art. 88, aggiungendo ulteriori commi ad una regolamentazione che era già piuttosto complessa e coordinandola con la disciplina del concordato in continuità. Essa indubbiamente ha caratteristiche di maggior completezza rispetto alla soluzione prevista per la composizione negoziata. 
La proposta del debitore può essere presentata soltanto nelle forme previste dall’art. 86 del codice, così come riscritto dallo schema di Correttivo. Ne deriva che la domanda, pur facendo parte in senso tecnico della proposta e del piano di concordato, che in qualche modo la presuppongono non potendo evidentemente prescindere dal suo risultato, ha però un iter separato e non potrà essere utilmente sottoposta al Tribunale ove non vengano rispettati gli step procedurali previsti dall’art. 86. 
Il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali nonché dei contributi e premi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazioni obbligatorie e dei relativi accessori. Come si è accennato, non sono menzionati divieti per quando riguarda i tributi propri dell’Unione Europea, ma non è da dubitare che l’espressa previsione in tal senso in tema di composizione negoziata darà argomenti ai fautori dell’illegittimità della transazione su tali tributi. 
Nel concordato, come negli altri strumenti di regolazione, compare quindi la possibilità di giungere ad un accordo anche per la definizione dei crediti contributivi e previdenziali. 
Il piano deve prevedere la soddisfazione dei crediti tributari e contributivi in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione giudiziale, avuto riguardo al valore attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione di un professionista indipendente. È stata espunta l’indicazione del valore “di mercato” con riferimento al valore dei beni che sarebbe stato incoerente con il riferimento alla liquidazione giudiziale e non ad una liquidazione in sede negoziale[5]. 
Resta fermo per il concordato in continuità aziendale il rispetto dell’articolo 84, commi 6 e 7, per quel che riguarda la distribuzione del valore di liquidazione in conformità alla regola di priorità assoluta e dell’intero valore dell’attivo secondo tale regola per i crediti di lavoro. Tanto premesso, se il credito tributario e contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti di cui al primo periodo. 
Se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, anche a seguito di degradazione per incapienza, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri crediti chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei crediti rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole. 
Si tratta di regole che sono pienamente conformi al sistema delineato dal codice della crisi dove, ove non si applichi come nel concordato liquidatorio, la regola della priorità assoluta, la priorità relativa non consente di trattare i creditori appartenenti ad una classe in modo meno favorevole dei creditori di altra classe che abbiano il medesimo grado. La differenza sta nel fatto che qui il rispetto della regola non è rimesso all’opposizione del creditore dissenziente. 
Di conseguenza l’art. 86, comma 2, precisa che l'attestazione del professionista indipendente, in questo caso deve riguardare anche: 
- nel concordato liquidatorio, la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale; 
- nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore dei medesimi crediti rispetto alla liquidazione giudiziale. 
Il procedimento prevede che copia della proposta e della relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il tribunale, sia presentata agli uffici competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del debitore[6]. La documentazione deve comprendere copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l’esito dei controlli automatici e delle dichiarazioni integrative presentate fino alla data di presentazione della domanda di transazione fiscale. 
Lo schema di correttivo regola anche il caso in cui non intervenga l’adesione degli Uffici competenti. 
La mancanza di adesione comprende anche il voto contrario, questione sulla quale in passato si era affannata la giurisprudenza. 
Nel concordato liquidatorio il tribunale omologa il concordato anche in mancanza di adesione, quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze richieste dall’art. 109, comma 1. Occorre, tuttavia, che, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di transazione fiscale sia conveniente rispetto alla liquidazione giudiziale. 
Nel concordato in continuità aziendale, ferme restando le altre condizioni previste per l’omologazione dall'art. 112, comma 2, in ordine alla distribuzione del valore di liquidazione e del valore eccedente quello di liquidazione, il tribunale omologa il concordato anche in mancanza di adesione, se la proposta di soddisfacimento non è deteriore rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale. 
Occorre però che l’adesione sia determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza delle classi prevista dal primo periodo dell’art. 112, comma 2, lett. d), oppure che la stessa maggioranza sia raggiunta escludendo dal computo le classi dei creditori di cui al comma 1 dell’art. 86, e quindi i creditori che hanno un grado di privilegio inferiore e quelli che hanno posizione giuridica ed interessi economici omogenei rispetto alle agenzie e agli enti previdenziali. 
In ogni caso, ai fini della condizione prevista dall’articolo 112, comma 2, lettera d), seconda parte, cioè nel caso di approvazione con il consenso di un numero di classi inferiore alla maggioranza e al limite di una sola classe, l’adesione dei creditori pubblici deve essere espressa[7].
3.3 . Accordi di ristrutturazione
La disciplina della transazione fiscale è stata mantenuta dallo schema di Correttivo, che ha profondamente modificato il precedente testo dell’art. 63. La modifica tiene conto della disciplina emergenziale introdotta dal decreto-legge n. 69 del 2023 che ha sospeso l’efficacia del previgente testo dell’art. 63, e dell’articolo 4-quinquies del decreto-legge n. 145 del 2023 con cui sono state dettate disposizioni relative alla presentazione della proposta di transazione, alla documentazione da allegare e all’individuazione degli uffici competenti ad esprimere o meno l’adesione alla proposta. 
Come in passato, l’art. 63 prevede che il debitore possa proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi e premi amministrati dagli enti previdenziali, sorti sino alla data di presentazione della proposta di transazione. 
L'attestazione del professionista indipendente, oltre alla veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, come previsto dall’art. 57, deve riguardare per i crediti fiscali, previdenziali e assicurativi, anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale, se gli accordi hanno carattere liquidatorio, e la sussistenza di un trattamento non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziale, quando è prevista la continuità dell’impresa. 
Il procedimento prevede che la proposta sia depositata presso le stesse Agenzie tributarie ed uffici previdenziali indicati dall’art. 88, comma 5, per il concordato preventivo[8]. 
Alla proposta di transazione è allegata la dichiarazione sostitutiva, resa dal debitore o dal suo legale rappresentante ai sensi dell'articolo 47 del d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445, che la documentazione rappresenta fedelmente e integralmente la situazione dell'impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio. Poiché vi è già l’attestazione di veridicità dei dati aziendali da parte del professionista indipendente ci pare che questo requisito potesse essere soppresso. 
Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 88, comma 5, terzo e quarto periodo, con la conseguenza che l'agente della riscossione, non oltre trenta giorni dalla data della presentazione, deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l'entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso. Gli altri uffici nello stesso termine, devono procedere alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni e alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità, di accertamento, di liquidazione e di addebito, unitamente a una certificazione attestante l'entità del debito derivante da atti di accertamento, ancorché non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché dai ruoli vistati, ma non ancora consegnati all'agente della riscossione. 
L'adesione alla proposta è espressa con la sottoscrizione dell'atto negoziale[9]. 
Come in passato, la domanda di omologazione è proposta dopo che è intervenuta l’adesione. 
Tale adesione deve intervenire entro novanta giorni dal deposito della proposta di transazione. Se la proposta di transazione è modificata, il termine è aumentato di sessanta giorni decorrenti dal deposito della modifica della proposta presso gli uffici. Nei casi in cui la modifica contiene una nuova proposta, il termine è aumentato di ulteriori novanta giorni. Questa disposizione, osserva la Relazione illustrativa[10], pone rimedio al disallineamento tra il termine concesso dal tribunale a seguito della presentazione di domanda di accesso con riserva ai sensi dell’art. 44 ed il termine entro il quale i creditori pubblici possono aderire. 
Se non interviene adesione, la domanda di omologazione deve essere presentata decorsi i termini stabiliti a tal fine a carico degli Uffici. 
Il debitore avvisa dell'iscrizione della domanda nel registro delle imprese l'amministrazione finanziaria e gli enti previdenziali mediante comunicazione inviata a mezzo PEC alle sedi territoriali e regionali competenti sulla base dell'ultimo domicilio fiscale dell'istante, come già prevedeva l’art. 1-bis, comma 4, del d.l. n. 69 del 2023, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 103 del 2023. 
Per l'amministrazione finanziaria e gli enti previdenziali il termine per l’opposizione all’omologazione previsto dall’art. 48, comma 4, decorre dalla ricezione dell'avviso. 
Come per il concordato, anche per gli accordi il tribunale può omologare anche in mancanza di adesione, che comprende il voto contrario. 
Occorre a tal fine che, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, l’adesione sia determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze. 
Debbono inoltre ricorrere, congiuntamente ulteriori condizioni, che il tribunale deve specificamente valutare e quindi anche d’ufficio. In sintesi occorre che: 
a) l’accordo non abbia carattere liquidatorio; 
b) il credito complessivo vantato dagli altri creditori aderenti agli accordi di ristrutturazione sia pari ad almeno un quarto dell'importo complessivo dei crediti; 
c) il soddisfacimento dell'amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali non sia deteriore rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale alla data della proposta; 
d) il soddisfacimento dei crediti dell'amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali sia almeno pari al 60% dell'ammontare dei crediti di ciascun ente creditore, esclusi sanzioni e interessi, fermo restando il pagamento degli interessi di dilazione al tasso legale vigente nel corso di tale periodo. 
Se l'ammontare complessivo dei crediti vantati dagli altri creditori aderenti è inferiore a un quarto dell'importo complessivo dei crediti, oppure non vi sono altri creditori aderenti, occorre che la percentuale di soddisfacimento dei crediti dell'amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali sia almeno pari al 70%, esclusi sanzioni e interessi, e la dilazione di pagamento richiesta non ecceda i dieci anni, fermo restando il pagamento dei relativi interessi di dilazione al tasso legale vigente nel corso di tale periodo. 
Lo schema di correttivo ha previsto numerosi casi in cui il regime dell’omologazione forzosa non può trovare applicazione, allo scopo di scoraggiare talune prassi non virtuose da parte dei contribuenti. 
Non si fa luogo al cram down
a) se, fatta salva la rinegoziazione o la modifica dell’accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art. 58, nei cinque anni precedenti il deposito della proposta il debitore ha concluso una transazione nell’ambito degli accordi di ristrutturazione avente a oggetto debiti della stessa natura, risolta di diritto. Tale condizione si verifica anche quando il proponente ha proseguito, ancorché solo parzialmente, a seguito di fusione o scissione, cessione di azienda, anche di fatto, conferimento o affitto di azienda ovvero a seguito di atti produttivi di effetti analoghi, l’attività esercitata da un soggetto che, nel corso dei cinque anni precedenti il deposito della proposta, ha concluso una transazione risolta di diritto ovvero risponde a qualsiasi titolo di debiti tributari o contributivi del debitore originario. 
b) se il debito nei confronti dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali alla data della domanda è pari o superiore allo 80% dell’importo complessivo dei debiti maturati dall’impresa alla medesima data, e il debito, tributario o previdenziale, deriva prevalentemente da omessi versamenti, anche solo parziali, di imposte dichiarate o contributi nel corso di almeno cinque periodi d’imposta, anche non consecutivi, oppure deriva, per almeno un terzo del complessivo debito oggetto di transazione con i creditori pubblici dall’accertamento di violazioni realizzate mediante l’utilizzo di documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente. 
In sostanza il legislatore vuole evitare che si avvalga dell’omologazione forzosa, obbligatoria in caso di convenienza della proposta, quando vi è stato inadempimento di una precedente transazione fiscale, risolta di diritto per inadempimento. E vuole ottenere lo stesso risultato quando il debito fiscale o contributivo è pari ad almeno l’80% del debito complessivo e deriva da omessi versamenti nell’arco di un quinquennio ovvero da accertamenti di violazioni realizzate con atti fraudolenti di vario tipo. 
Lo scopo perseguito pare condivisibile, anche se le possibilità di aggirare taluno di questi divieti sono rilevanti, perché è ad esempio sufficiente proporre la transazione fiscale dopo quattro anni di mancati versamenti. Anche la preclusione relativa a precedente transazione fiscale risolta di diritto non esclude la pianificazione di transazioni a catena quando il contribuente abbia invece adempiuto regolarmente la precedente transazione. 
La transazione conclusa nell'ambito degli accordi di ristrutturazione è risolta di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro sessanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza assistenza e assicurazioni obbligatorie. 
3.4 . Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO)
La disciplina della transazione fiscale è stata estesa al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione con l’inserimento nell’art. 64-bis di un apposito comma 1 bis. Nella sostanza il debitore può proporre il pagamento parziale e/o dilazionato di tributi e contributi previdenziali e delle relative sanzioni ed interessi. La domanda va proposta agli uffici territorialmente competenti, che sono quelli indicati dall’art. 86 per il concordato preventivo[11]. Alla proposta va allegata la relazione del professionista indipendente che attesta la veridicità dei dati aziendali e la sussistenza di un trattamento non deteriore di questi crediti rispetto alla liquidazione giudiziale. Come nel concordato preventivo il rispetto di questa condizione può essere rilevato d’ufficio dal Tribunale e non soltanto su opposizione all’omologazione da parte dei creditori dissenzienti come previsto dall’art. 64 bis, comma 8. 
Il procedimento è regolato con rinvio alla disciplina dettata dall’art. 88. Il termine per l’adesione degli Uffici è indicato in 90 giorni, con alcune possibilità di proroga nel caso di modifica della proposta. La domanda di omologazione può essere presentata dopo la scadenza del termine. 
Nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione non è prevista la possibilità di cram down fiscale, in ragione del fatto che questa procedura richiede il voto favorevole di tutte le classi[12]. 
3.5 . Concordato nella liquidazione giudiziale
Come si è già ricordato, la disciplina dell’omologazione del concordato nella liquidazione giudiziale è stata in parte riscritta. Nel regolare il cram down già previsto dal comma 5 della norma, lo schema di Correttivo ha stabilito che nel caso in cui un creditore appartenente ad una classe dissenziente contesti la convenienza, il tribunale omologa quando ritiene che il credito possa essere soddisfatto in misura non inferiore a quanto potrebbe ottenere nel caso in cui la liquidazione giudiziale proseguisse. 
Anche con riferimento ai crediti tributari e previdenziali si stabilisce che in caso di voto contrario, determinante per il raggiungimento delle maggioranze, il tribunale omologa quando la proposta è conveniente rispetto alla prosecuzione della liquidazione giudiziale. Il tribunale decide anche in base alla relazione del professionista indipendente che deve rendere l’attestazione sulla convenienza del trattamento previsto per i creditori privilegiati che non vengono soddisfatti integralmente (art. 240, comma 4). 
3.6 . Concordato di gruppo
Il nuovo art. 284 bis prevede che le imprese che possono proporre il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione e il piano soggetto ad omologazione di gruppo possono presentare unitariamente le domande disciplinate dagli artt. 88, 63 e 64 bis, e quindi le domande di transazione fiscale disciplinate da tali norme. Il quarto comma dell’art. 284 bis stabilisce che rimane ferma l’autonomia delle masse attive e passive, anche per quanto concerne i crediti tributari. 
La proposta unitaria deve recare in allegato, oltre ai documenti indicati dai ricordati artt. 88, 63 e 64 bis, i documenti previsti dall’art. 284, comma 4, che sono richiesti per la domanda di gruppo, e le informazioni richieste a medesimo fine dai commi 5 e 6 dell’art. 284. 
La domanda va presentata, nel caso in cui le imprese del gruppo abbiano un diverso domicilio fiscale da cui segua la competenza a riceverla di differenti uffici delle agenzie fiscali e degli enti di previdenza ed assistenza, è competente l’ufficio che è competente in relazione al domicilio fiscale della società, ente o persona fisica che esercita l’attività di direzione e coordinamento in base alla pubblicità prevista dall’art. 2497 bis c.c. In mancanza è competente l’ufficio che sarebbe competente per l’impresa che, alla data di presentazione della proposta unitaria, presenta la maggiore esposizione debitoria di ciascuno degli uffici delle agenzie fiscali o degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria. Tale ultima indicazione pare introdurre con l’aggettivo ciascuna una competenza separata per ognuna delle diverse agenzie fiscali o dei diversi enti previdenziali. 
4 . Ambito di applicazione. L’amministrazione straordinaria
Non vi sono novità sull’ambito di applicazione della disciplina del codice, che non tocca le procedure concorsuali speciali, dettando pochissime norme sulla liquidazione coatta amministrativa e non intervenendo sull’amministrazione straordinaria, di cui il codice della crisi non si occupa, se non marginalmente. La legge delega 155/2017 non regola infatti questa procedura che è rimasta fuori dell’ambito di applicazione del codice, come recita l’art. 1, comma 2, CCII. 
Le versioni del decreto correttivo divulgate prima dell’approvazione ufficiale da parte del Governo modificavano questa norma, cancellando il secondo periodo della lett. a) del comma 2. Spariva l’indicazione che per le imprese la cui crisi o insolvenza non sono disciplinate in via esclusiva, restano applicabili anche le procedure ordinarie regolate dal codice. Ci si poteva chiedere se il nuovo legislatore intendesse escludere le imprese che hanno i requisiti dimensionali per l’accesso alle procedure di amministrazione straordinaria disciplinate dal D.Lgs. n. 270/1999 e dal D.L. n. 347/2003 e successive modificazioni, dalla possibilità di accedere agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in particolare al piano attestato, agli accordi di ristrutturazione e al concordato preventivo. In passato è accaduto frequentemente che imprese suscettibili di approdare all’amministrazione straordinaria ricorressero con successo al concordato preventivo, per la maggior flessibilità dello strumento e la possibilità per gli amministratori di mantenere la gestione dell’impresa. 
Il testo approvato dal Governo non contiene più questa modificazione. Il testo è quindi rimasto quello già noto. 
5 . Definizioni
Alcune delle definizioni contenute nell’art. 2 CCII sono state modificate. Non sono state tuttavia colte tutte le occasioni d’intervento astrattamente possibili. Era stato del resto sottolineato dai primi commentatori del codice della crisi che le definizioni offerte dall’art. 2 non comprendevano tutte le possibili nozioni di carattere generale cui fa riferimento il codice ed erano il frutto di scelte in parte discrezionali. Va sottolineato che lo schema di decreto non ha modificato la nozione di classe di creditori dettata dalla lett. r) dell’art. 2, che essendo limitata a questi ultimi, non tiene conto del fatto che le classi possono riguardare anche i soci. Si è evidentemente tenuto conto del fatto che i soci vengono in considerazione come residual claimants, per il credito relativo al capitale investito nell’impresa. 
5.1 . La nozione di consumatore
La nozione di consumatore non ha subito variazioni sostanziali. Lo schema di decreto ha tuttavia variato la formulazione della norma precisando che il socio illimitatamente responsabile di società di persone o capitali accede agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza per i debiti contratti in “tale qualità”, vale a dire estranei a quelli sociali. La cancellazione di quest’ultima espressione va intesa come riferita anche alla prima parte della definizione di consumatore, inteso come “persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta”. Ne deriva che il consumatore, sia egli o meno socio illimitatamente responsabile, accede alle procedure per debiti contratti in tale qualità, di consumatore appunto e non altrimenti. La Relazione governativa chiarisce che l’intervento è stato reso necessario per chiarire i dubbi interpretativi ancora esistenti sulla natura dei debiti che consentono l’accesso alla procedura del “piano del consumatore”. Ciò perché tale procedura prevede un regime particolarmente favorevole per il debitore perché non richiede il voto favorevole dei creditori. 
5.2 . Albo dei gestori della crisi
Alla lettera n) dell’art. 2, come in diverse altre norme del codice della crisi, il riferimento all’albo dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese è stato sostituito con il richiamo dell’elenco di tali gestori. Il legislatore ha infatti inteso escludere che dovesse farsi luogo alla costituzione di un albo vero e proprio, albo che avrebbe creato problemi di rapporti tra l’iscrizione all’albo in parola e gli albi professionali già esistenti per i professionisti che sono legittimati a ricevere gli incarichi previsti per i gestori della crisi. Nello stesso modo sono stati modificati gli artt. 357 e 358 CCII. Quest’ultima norma reca ora l’importante precisazione nel testo del comma 1 che possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore, commissario giudiziale e liquidatore i professionisti ed i c.d. manager, cioè coloro che hanno svolto funzioni di direzione e controllo in società, indicati dalla norma, se iscritti nell’elenco. Il terzo comma dell’art. 358 chiarisce che il curatore, il commissario giudiziale e il liquidatore possono essere nominati dal giudice “anche al di fuori del circondario cui appartiene il singolo ufficio giudiziario”. Si tratta chiaramente di una facoltà, non di un obbligo con la conseguenza che le prassi codificate da diversi tribunali, di nomina di professionisti iscritti negli albi locali continueranno di regola ad avere applicazione. 
Le modifiche dell’art. 358 consentono ora (comma 3, lett. a) di tener conto in sede di nomina dell’attività pregressa svolta dal professionista o manager “alla luce dei rapporti riepilogativi”. 
5.3 . Professionista indipendente
Anche la nozione di professionista indipendente, incaricato dal debitore di svolgere le funzioni di attestatore nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, è stata migliorata. Si conferma anzitutto la necessità di iscrizione all’elenco dei gestori della crisi e di revisore legale con la conseguente qualità di iscritto all’albo degli avvocati, dei dottori commercialisti ed esperti contabili, dei consulenti del lavoro (o di società o studi associati tra professionisti dei medesimi ordini). Al di là di quest’indicazione che non modifica in nulla la precedente formulazione della norma, salvo la sostituzione del riferimento all’albo dei gestori della crisi con il riferimento all’elenco, lo schema di decreto precisa al n. 3 della lett. o) che il divieto di rapporti di carattere personale o professionale con l’impresa o altre parti interessate non è assoluto, ma deve essere tale da non compromettere l’indipendenza di giudizio. Rimane per contro fermo il divieto di aver prestato lavoro subordinato o autonomo negli ultimi cinque anni e di esser stato componente degli organi di amministrazione e controllo dell’impresa o di aver posseduto partecipazioni in essa. 
Si apre quindi la strada alla possibilità di nomina di attestatori che abbiano svolto per l’impresa attività marginali o del tutto occasionali, fermo restando che esse non debbono essersi tradotte nello svolgimento di prestazioni di lavoro subordinato o autonomo negli ultimi cinque anni e negli altri rapporti vietati. 
5.4 . Procedure concorsuali e strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza
Il codice della crisi aveva evitato di offrire una definizione di procedure concorsuali e il Correttivo ha perpetuato questa scelta. Va sottolineato che dall’esame del testo delle modifiche introdotte, emerge come si sia voluto espungere ogni riferimento delle norme del codice alla nozione di procedura concorsuale. È stata chiara intenzione del Governo evitare che tale definizione potesse essere mutuata dalla disciplina legislativa, lasciando ogni rilievo in proposito all’interprete. Si vedano in proposito l’art. 170, dove il riferimento alla procedura concorsuale che precede la liquidazione giudiziale ai fini del computo dei termini di decadenza per l’esperimento delle azioni revocatorie e di inefficacia, è sostituito dal richiamo agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza; l’art. 6, lett. d) dove il riferimento ai crediti legalmente sorti durante le procedure concorsuali, ai fini del riconoscimento della prededuzione, è sostituito con la menzione delle procedure di liquidazione giudiziale o controllata e della domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, anche con riserva di presentazione della proposta, del piano e degli accordi. Ancora nel testo dell’art. 215 la previsione che il curatore possa cedere le azioni revocatorie concorsuali è modificata con la soppressione dell’aggettivo, oltre che con l’indicazione anche delle azioni risarcitorie o recuperatorie. In questo modo la formula adottata dal legislatore è più precisa perché la cessione potrà riguardare anche l’azione revocatoria ordinaria, se esperita dal curatore 
Il Correttivo ha invece introdotto modifiche e precisazioni alla nozione di strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, contenuta nell’art. 2, lett. m) bis
Lo schema di decreto legislativo modifica la nozione di strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza contenuta nell’art. 2 lett. m bis precisando che con tale nozione si fa riferimento alle misure, agli accordi e alle procedure nei termini già indicati nel par. 2, esclusi la liquidazione giudiziale e la liquidazione controllata. Il legislatore ha quindi sciolto l’ambiguità dell’originaria versione della definizione che, come si era sottolineato nel par. 2, in alcune parti del codice veniva abbinata al richiamo espresso della liquidazione giudiziale ed in altri no. 
La maggior precisione nella definizione della categoria degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza corrisponde anche alla correzione di alcune rubriche in cui l’impiego del termine “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” era improprio. Così il Titolo III che già aveva tale intitolazione è stato rinominato “Procedimento per la regolazione giudiziale della crisi e dell'insolvenza”, più aderente al carattere processuale della disciplina dettata dagli artt. 27-55. 
La rubrica del Titolo IV che impropriamente si riferiva ai soli “Strumenti di regolazione della crisi” è stata ora corretta in “Strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, definizione appropriata perché il Titolo IV comprende la disciplina di quasi tutti gli strumenti in parola, comprendendo i piani attestati, gli accordi di ristrutturazione, il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, la convenzione di moratoria, il concordato preventivo. Rimane regolato altrove il solo concordato liquidatorio semplificato. Merita di essere sottolineata anche la modifica della rubrica della ex Sezione VI bis del Titolo IV, che diventa il Capo III bis. Tale capo comprende gli artt. 120 bis e ss. ed è opportunamente intitolato “Strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società”, chiarendo la portata generale delle norme in materia di disciplina societaria della crisi. 
La nozione di strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza assume quindi una maggior valenza sistematica e può consentire di elaborare, in sede di interpretazione, la ricostruzione dei caratteri comuni agli strumenti in parola, una volta che sul punto si sia formato un valido supporto giurisprudenziale. Merita di essere sottolineato che l’art. 3 del codice nel regolare i doveri delle parti considera anche, come soggetti obbligati, “tutti i soggetti interessati alla regolazione della crisi e dell’insolvenza” (art. 3, comma 4 e, in parte, comma 1). La regolazione in sé comprende anche, per espressa indicazione della norma, la composizione negoziata, le trattative, i procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, che rappresentano quindi un insieme più ristretto, coincidente in sostanza con le procedure, diverse dalla liquidazione giudiziale e dalla liquidazione controllata, dirette alla ristrutturazione o alla liquidazione. 
5.5 . Misure protettive e cautelari
Lo schema di decreto è intervenuto anche sulla definizione di misure protettive e di misure cautelari. Per le prime si precisa che esse comprendono le misure temporanee richieste dal debitore per evitare che non soltanto determinate azioni dei creditori, ma anche più genericamente condotte di questi ultimi, che non hanno dimensione processuale, possano pregiudicare il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza. La Relazione illustrativa precisa che tali condotte possono assumere anche carattere omissivo. 
Per le seconde si estende la nozione anche ai provvedimenti del giudice anticipatori non soltanto degli effetti degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, ma anche dell’attuazione delle relative decisioni. La Relazione illustrativa sottolinea che la formulazione della norma è ricalcata sul disposto dell’art. 700 c.p.c. che parla, com’è noto, di “assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione”. La diversa formulazione ora adottata dallo schema di decreto tiene conto del fatto che il provvedimento non può essere anticipatorio in senso stretto, perché non si guarda al contenuto della decisione, ma alla sua attuazione in concreto. Tuttavia la disciplina delle misure cautelari nella composizione negoziata sembra avere un ambito più ampio, come testimonia una parte della giurisprudenza che si è formata sull’argomento. 
Sul tema si ritornerà con riferimento alle ulteriori modifiche apportate dallo schema di decreto alla disciplina delle misure protettive. 
6 . Assetti adeguati
Lo schema di decreto è intervenuto in un unico punto sulla disciplina degli assetti adeguati dettata dall’art. 3 CCII, modificando il primo periodo del comma 4 relativo ai segnali della crisi. Si è sostituita la formula premessa all’elencazione dei segnali per la previsione della crisi o dell’insolvenza con l’indicazione che i segnali elencati agevolano tale previsione “anche prima dell’emersione della crisi o dell’insolvenza”. 
La precisazione non modifica sostanzialmente la disciplina di legge, ma accentua il contrasto, da tempo rilevato dalla dottrina, tra la funzione di questi segnali, diretti appunto alla previsione anticipata della crisi o dell’insolvenza, ed il fatto che alcune almeno delle situazioni descritte nelle lettere da a) a d) del comma 4 ( retribuzioni non pagate, insoluti verso i fornitori, esposizioni verso banche e altri intermediari finanziari, ecc.) per l’entità dei debiti considerati indicano situazioni di vera e propria insolvenza in atto. 
La Relazione illustrativa afferma a questo proposito che “non sono segnali di allarme per una situazione già compromessa, ma vogliono fornire indicazioni in chiave prospettica e preventiva. Il che spiega anche le soglie particolarmente basse dell’art. 25 novies e il fatto che nel comma 3 di quella disposizione l’invito alla presentazione dell’istanza di accesso alla composizione negoziata dev’essere formulato soltanto “se ne ricorrono i presupposti”. 
Se è vero che le soglie indicate dall’art. 25 novies sono in molti casi basse, non ci pare dubbio che i segnali considerati dall’art. 3, comma 4, sono per lo più veri e propri indicatori di insolvenza in atto, mentre quelli considerati dall’art. 25 novies sono in parecchi casi sostanzialmente irrilevanti. 
7 . Doveri delle parti
Le modifiche apportate all’art. 4 non cambiano la sostanza della disciplina della norma che, com’è noto, detta alcuni principi cardine nei rapporti tra le parti nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, tanto da far ritenere che si tratti di una vera e propria norma di sistema, che innerva tutta la disciplina delle procedure e delle trattative disciplinate dal codice. 
Si è però introdotta una precisazione di notevole rilievo affermando al primo comma che il dovere di buona fede e correttezza non riguarda, nelle trattative e nei procedimenti di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, soltanto il debitore e i creditori, ma anche ogni altro soggetto interessato. La formula si riferisce non tanto e non solo a chi vanta diritti reali o restitutori su beni in possesso del debitore, posizione questa che già in precedenza poteva essere assimilata a quella dei creditori, ma i terzi acquirenti o affittuari dei beni oggetto di liquidazione, anche in regime di continuità indiretta, gli offerenti che non si rendano aggiudicatari di tali beni, i terzi garanti, i coobbligati del debitore, le parti correlate di quest’ultimo, i soci. Lo spazio di elezione nell’applicazione della norma riguarda senz’altro la fase delle trattative, ma potrebbe estendersi anche all’obbligo di denuncia di situazioni di conflitto d’interessi. 
La Relazione illustrativa considera tra i terzi interessati anche le rappresentanze sindacali. 
Va sottolineato che oltre all’obbligo di correttezza e buona fede i soggetti interessati sono tenuti agli stessi doveri previsti per i creditori e quindi collaborare lealmente con il debitore, con l’esperto nella composizione negoziata, con gli organi nominati dall’autorità giudiziaria o amministrativa, oltre che di rispettare l’obbligo di riservatezza previsto per i creditori. 
Va sottolineato che le modifiche introdotte nell’art. 4 CCII influiscono anche sulla lettura dell’art. 16, relativo alle trattative nella composizione negoziata, perché l’ultimo comma dell’art. 16 che prevede l’obbligo di tutte le parti coinvolte nelle trattative di collaborare lealmente con l’imprenditore e con l’esperto e di rispettare l’obbligo di riservatezza andrà letto come riferito anche ai soggetti interessati diversi dal debitore e dai creditori. 
8 . Test pratico e lista di controllo
L’art. 5 bis del codice viene modificato dallo schema di decreto per precisare che la lista di controllo per la redazione dei piani di risanamento, disponibile nei siti istituzionali del Ministero della Giustizia e dello Sviluppo Economico, in realtà dal 2022 Ministero per le imprese e il Made in Italy, è utilizzabile non soltanto nell’ambito della composizione negoziata, come già si ricavava dall’art. 13 del codice, ma anche degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. La norma precisa che a tale funzione è predisposto il test pratico, menzionato dal già richiamato art. 13, che anch’esso potrà essere utilizzato in ambito più ampio della composizione negoziata. 
In questo modo si è raccordata la disciplina dettata dall’art. 13 e dal decreto dirigenziale previsto da quest’ultima norma, che già normava espressamente sia il contenuto del test pratico che quello della lista di controllo, disciplina limitata alla composizione negoziata, con le esigenze relative all’accesso a tutti gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. 
9 . Crediti prededucibili
La disciplina dei crediti prededucibili subisce alcune modificazioni di rilevante importanza. 
La prima correzione riguarda la lett. a) del primo comma dell’art. 6 del codice. Si precisa infatti che la prededuzione non riguarda soltanto i crediti per spese e compensi per le prestazioni rese dall’OCC nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento, così come si ricavava dal testo originario del codice, ma più in generale i crediti per prestazioni rese nelle funzioni rientranti nella competenza dell’OCC. Vi sono infatti casi in cui la nomina per funzioni ordinariamente svolte dall’OCC viene effettuata in favore di soggetto diverso. Così, ad esempio, nel caso del concordato minore l’art. 76 CCII prevede che la domanda sia formulata dal debitore per il tramite di un OCC. Tuttavia se nel circondario del tribunale competente non vi è un OCC, i compiti e le funzioni allo stesso attribuiti sono svolti da un professionista o da una società tra professionisti in possesso dei requisiti di cui all'articolo 358, nominati dal presidente del tribunale competente o da un giudice da lui delegato, individuati, ove possibile, tra gli iscritti nel registro degli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento. 
Lo schema ha anche modificato il testo del comma 1 lett. d) dell’art. 6 per precisare che la prededuzione anziché i crediti legalmente sorti per la gestione del patrimonio del debitore e la continuazione dell’esercizio dell’impresa, il compenso degli organi preposti e le prestazioni professionali richieste dagli organi medesimi, così come si esprimeva il testo originario della norma,  riguarda i crediti legalmente sorti, “durante la procedura di liquidazione giudiziale o controllata oppure successivamente alla domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza”. 
La ragione sta nell’esigenza di considerare i crediti che sorgono a seguito della presentazione della domanda con riserva ai sensi dell’art. 44 CCII, crediti per i quali si imponeva il riconoscimento della prededuzione, ad esempio relativamente al compenso spettante al commissario giudiziale nominato nel caso in cui si proponga la domanda con riserva con la finalità di presentare successivamente domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione, ipotesi questa in cui la nomina del commissario da parte del Tribunale è atto dovuto. 
Si pone anche il quesito della definizione di atto legalmente compiuto dal debitore nell’ipotesi di domanda con riserva, posto che in tal caso sia nel caso della domanda presentata con la prospettazione di una successiva presentazione della proposta e del piano di concordato che della domanda cui si accompagni la prospettazione di una successiva domanda di omologa di accordo di ristrutturazione, gli atti di straordinaria amministrazione sono soggetti ad autorizzazione del Tribunale. Fermo restando che tali atti, se autorizzati, sono certamente legalmente compiuti e danno diritto a prededuzione, si pone il quesito se la prededuzione spetti anche per gli atti di ordinaria amministrazione, che non sono soggetti ad autorizzazione. 
A nostro avviso la risposta è affermativa. Non si può infatti affermare che gli atti di ordinaria amministrazione non siano atti legalmente compiuti, anche se il legislatore ha manifestato chiaramente nelle intenzioni di limitare l’ambito dei crediti prededucibili. 
Lo schema di decreto ha anche modificato il comma 2 dell’art. 6, affermando anzitutto che la prededuzione opera in caso di apertura del concorso. Tale formula può essere intesa nel senso che di per se stessa, strutturalmente, la prededuzione presuppone il concorso, sì che il suo riconoscimento nella composizione negoziata, che non è una procedura concorsuale, comporta che essa possa esser fatta valere nelle procedure successivamente aperte. Può aggiungersi che se la prededuzione opera in caso di apertura del concorso, essa non può prescindere dalle norme che per ciascun strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza la regolano. 
L’art. 6 aggiunge che la prededucibilità permane anche quando si susseguono più procedure esecutive o concorsuali. La Relazione illustrativa chiarisce che si è modificato il testo originario della norma per chiarire che le eventuali soluzioni di continuità non impediscono la configurabilità della prededuzione. 
Nella composizione negoziata la prededuzione è prevista dall’art. 22 quando il tribunale autorizza l’imprenditore a contrarre finanziamenti in qualsiasi forma. Rinviamo alla trattazione della liquidazione controllata il commento alla disciplina della prededuzione in quella procedura. 
10 . Composizione negoziata
L’art. 12 inserendo l’espressione “anche soltanto” prima della formula “in condizioni di squilibrio economico-patrimoniale o economico-finanziario” ha inteso affermare in modo inequivocabile che la domanda di composizione negoziata può essere proposta anche da un’impresa che si trovi già in stato di insolvenza al momento della proposizione della domanda. In realtà la giurisprudenza prevalente aveva già chiarito che le cose stavano così, anche se dal punto di vista tecnico la contraria interpretazione era tecnicamente possibile. 
Il ruolo del debitore e soprattutto i suoi doveri sono in parte modificati. 
L’art. 21, comma 1, mantiene infatti la precedente disciplina per quanto concerne l’ipotesi che l’imprenditore sia soltanto in stato di crisi. Quando invece sussista insolvenza, ma vi siano concrete prospettive di risanamento, egli deve non soltanto gestire l’impresa nel prevalente interesse dei creditori, ma anche individuare la soluzione per il superamento dell’insolvenza in tale prospettiva. 
Quanto all’oggetto dell’attività dell’esperto l’art. 17, comma 6, consente all’imprenditore e a due o più parti interessate di formulare osservazioni sull’operato dell’esperto con la conseguenza che la Commissione che l’ha nominato deve valutare se sussistano le condizioni per un’eventuale sostituzione. Anche la prosecuzione dell’incarico oltre il termine di 180 giorni può avvenire a condizioni in parte diverse rispetto al passato. Si prevedono più casi: anzitutto se lo richiedono non tutte le parti, ma le parti con le quali sono in corso le trattative a condizione naturalmente che l’esperto vi acconsenta (rimane l’ipotesi che lo chieda l’imprenditore). 
La modifica del comma 5 dell’art. 17 consente espressamente che l’imprenditore conduca trattative senza la presenza dell’esperto codificando la prassi seguita da taluni esperti. Si tratta di un’innovazione che non è positiva perché, anche se si afferma che l’esperto debba essere informato dall’imprenditore dell’esito di tali trattative, si toglie all’esperto l’effettiva conoscenza e controllo della negoziazione. 
Si prevede che la relazione finale dell’esperto debba avere il contenuto previsto dal decreto dirigenziale e che debba essere comunicata anche alle parti che hanno partecipato alle trattative. 
Si regolano più in dettaglio i casi in cui la composizione negoziata può proseguire oltre il termine di 180 giorni, menzionando espressamente i casi in cui sono pendenti le misure protettive o cautelari o è necessario attuare il provvedimento di autorizzazione concesso dal tribunale. Tali ipotesi sono espressamente considerate separatamente al caso che pendano istanze del debitore in tal senso. 
Si chiarisce all’art. 19, comma 4, che l’esperto quando compare davanti al tribunale in sede di conferma delle misure protettive, nel suo parere sull’idoneità delle misure ad assicurare il buon esito delle trattative, deve indicare l’attività che intende svolgere per agevolarne il buon fine. Anch’egli pertanto in qualche modo è sottoposto a maggior controllo. La stessa indicazione l’esperto la deve fornire quando esprime il suo parere sull’istanza di proroga delle misure che può provenire dal debitore e dalle parti interessate all’operazione di risanamento, che non sono soltanto i creditori, ma anche i terzi potenziali acquirenti. 
La norma va letta congiuntamente a quanto previsto dal nuovo comma 5 dell’art. 16. Tale norma prevede anzitutto che la notizia dell’accesso alla composizione negoziata della crisi e il coinvolgimento nelle trattative non costituiscono di per sé causa di sospensione e di revoca delle linee di credito concesse all'imprenditore né ragione di una diversa classificazione del credito. Nel corso della composizione negoziata la classificazione del credito viene determinata tenuto conto di quanto previsto dal progetto di piano rappresentato ai creditori e della disciplina di vigilanza prudenziale, senza che rilevi il solo fatto che l’imprenditore abbia fatto accesso alla composizione negoziata. 
La Relazione illustrativa precisa che si è inteso tener conto del rapporto tra accesso alle trattative e normativa prudenziale bancaria – al fine di tutelare gli istituti di credito rispetto agli obblighi europei cui sono soggetti al fine di tutelare la propria integrità patrimoniale -, stabilendo espressamente che l’accesso alla composizione di per sé non porta ad una diversa classificazione del credito. Si aggiunge che “In tal modo si sottolinea la necessità che gli istituti bancari valutino, di volta in volta, se l’impresa che apre le trattative si trovi effettivamente in una situazione di difficoltà tale da determinare l’applicazione della normativa prudenziale, tenuto conto delle sue condizioni ma anche e soprattutto del progetto di piano che viene depositato e quindi delle concrete prospettive di risanamento”[13] Si osserva infine che “In tal modo si sottolinea la necessità che gli istituti bancari valutino, di volta in volta, se l’impresa che apre le trattative si trovi effettivamente in una situazione di difficoltà tale da determinare l’applicazione della normativa prudenziale, tenuto conto delle sue condizioni ma anche e soprattutto del progetto di piano che viene depositato e quindi delle concrete prospettive di risanamento. Del resto, la composizione negoziata è, come si è detto, uno strumento utilizzabile anche in una situazione di pre-crisi e comunque solo nei casi in cui sia effettivamente possibile il pieno recupero dell’equilibrio economico-patrimoniale dell’attività imprenditoriale, con la conseguenza che l’impresa che lo utilizza va valutata attentamente considerando tali prospettive”. Aggiungiamo noi che proprio l’esigenza di valutazione del piano può portare alla revoca degli affidamenti ove la valutazione della banca sulle prospettive di recupero del credito, condotta secondo le regole di vigilanza prudenziale, sia negativa. Da questo punto di vista sarà fondamentale la valutazione della ricorrenza di uno stato di crisi o di insolvenza ed il trattamento previsto per il credito già maturato della banca, anche in relazione alle previsioni sull’esito della composizione negoziata secondo le prospettive indicate dall’art. 23 CCII, come modificato dal Correttivo. 
Il comma 5 dell’art. 16 dispone inoltre che l’eventuale sospensione o revoca delle linee di credito determinate dalla applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale deve essere comunicata agli organi di amministrazione e controllo dell’impresa, dando conto delle ragioni specifiche della decisione assunta. 
La Relazione illustrativa sottolinea le ragioni di quest’ultima norma, che intende rendere coerente l’eventuale decisione di sospensione o revoca delle linee di credito con le segnalazioni poste a carico degli stessi istituti di credito. In questo modo gli amministratori ed i sindaci della società in composizione negoziata potranno assumere le opportune iniziative. 
La disciplina dettata dall’art. 16, comma 5, va coordinata con le regole contenute nell’art. 18, commi 5 e 5 bis, che sono state riviste rispetto al testo previgente. 
I creditori nei cui confronti sono disposte le misure protettive non possono unilateralmente rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti, provocarne la risoluzione, anticiparne la scadenza, modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza di accesso alla composizione negoziata. Questa regola, già contenuta nel testo oggi vigente del codice della crisi, e che costituisce attuazione dell’art. 7, comma 5, della Direttiva Insolvency, è stata estesa espressamente alle banche, agli intermediari finanziari, ai mandatari e cessionari dei loro crediti, figura quest’ultima che ha avuto sviluppo rilevante negli ultimi anni in ragione della politica degli istituti bancari diretta alla cessione di interi portafogli clienti, soprattutto nell’ambito degli NPL. 
La sospensione dei contratti pendenti era peraltro possibile secondo il precedente testo dell’art. 18, comma 5, fino alla conferma delle misure protettive richieste. Lo schema di correttivo mantiene ferma la sospensione e la revoca delle linee di credito disposta per effetto dell’applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale, aggiungendo che la prosecuzione del rapporto non è di per sé motivo di responsabilità per la banca o per l’intermediario finanziario. 
Le banche e gli altri soggetti obbligati dal momento della conferma delle misure protettive non possono mantenere la sospensione delle linee di credito in essere al momento dell’accesso alla composizione negoziata se non dimostrano che la sospensione è determinata dall’applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale. 
L’estensione alla sospensione e revoca delle linee di credito in pendenza della composizione negoziata della disciplina dei rapporti pendenti prevista dalla Direttiva non desta particolari difficoltà, rappresentando un’applicazione, forse imprevista di tale disciplina. Essa mostra una certa discontinuità con il regime degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e della convenzione di moratoria, che escludono espressamente che l’estensione del piano ai creditori non aderenti possa tradursi in nuova erogazione di credito. 
La prosecuzione automatica delle linee di credito è mitigata dalla possibilità di mantenere la sospensione sino alla conferma delle misure protettive da parte del giudice. E’ importante sottolineare che la sospensione e la revoca per ragioni di vigilanza prudenziale sono escluse dal regime di prosecuzione automatica, salvo l’inversione dell’onere probatorio a carico della banca che deve dimostrare, nel caso di conferma della misura, che la sospensione è determinata da ragioni di vigilanza prudenziale. L’inversione è giustificata dal principio di vicinanza della prova posto che la banca è in grado di fornire, più facilmente dell’imprenditore, le ragioni e la documentazione che giustificano la sospensione. 
Si aggiunge che la prosecuzione del rapporto non è di per sé fonte di responsabilità per la banca, circostanza questa che non pare confliggere con gli obblighi della banca nei confronti dei soggetti che esercitano la vigilanza sulla banca stessa, perché tali obblighi non riguardano singoli casi, ma la gestione del credito in generale e perché l’interruzione per ragioni di vigilanza prudenziale, intendendo questa espressione come riferita al venir meno delle condizioni per l’erogazione del credito in relazione alle condizioni del debitore, non prende in considerazione la prosecuzione del rapporto in sé, ma le ulteriori circostanze che imporrebbero la revoca. 
Il regime delle misure protettive è in parte modificato. Rinviamo in proposito al paragrafo 14. 
Quanto al contenuto della domanda il legislatore ha risolto una questione che può avere importanti risvolti pratici, vale a dire ha chiarito che la domanda può essere presentata anche allegando soltanto il progetto di bilancio relativo agli ultimi tre anni, purché accompagnato da una situazione economico-patrimoniale e finanziaria aggiornata a non oltre 60 giorni prima della presentazione dell’istanza. In questo modo si evita che l’eventuale stato di disordine nella redazione dei bilanci, dovuto a pregressa cattiva gestione, possa precludere l’accesso al procedimento o che un eventuale atteggiamento della minoranza azionaria contrario all’approvazione del bilancio possa impedire l’accesso. 
Inoltre la modifica della lett. d) del comma 3 dell’art. 17 chiarisce che la domanda di accesso alla liquidazione giudiziale proposta da un creditore non preclude l’accesso alla composizione negoziata, ma soltanto la domanda del debitore. Anche la domanda di concordato minore preclude ora expressis verbis l’accesso. Si ammette ora espressamente che le certificazioni tributarie, quelle relative al DURC e alla Centrale rischi possono essere sostituite temporaneamente da autocertificazione. 
Lo schema di decreto correttivo ha anche rivisto, in parte, la disciplina dei finanziamenti che possono essere autorizzati in pendenza della composizione negoziata. A tale proposito, come si è già accennato, l’art. 22, comma 1 bis, reca ora un’importante precisazione perché spiega che l’attuazione del provvedimento di autorizzazione del finanziamento disposta dal tribunale può avvenire prima o dopo la chiusura della composizione negoziata, quando ciò sia previsto dal tribunale o indicato nella relazione dell’esperto. 
Questa indicazione, unita al carattere prededucibile del credito, destinato ad essere fatto valere quando si apre il concorso, nell’ambito di eventuali future procedure esecutive o concorsuali ( così la Relazione illustrativa) consente di negoziare durante la composizione negoziata finanziamenti da utilizzare per l’attuazione del piano relativo allo strumento di composizione della crisi che verrà utilizzato all’esito della composizione stessa. Si tratta di un importante novità che agevolerà l’esito positivo delle trattative nell’ambito di una delle ipotesi di conclusione della composizione negoziata previste dall’art. 23.
11 . Domanda con riserva. Modifiche dell’art. 44 CCII
Lo schema di D.Lgs. incide sulla disciplina della domanda con riserva perché, se già il codice prevedeva come obbligatoria la nomina del commissario giudiziale anche nel caso in cui la procedura oggetto della domanda non lo richiedesse come atto necessario (accordi di ristrutturazione), a tale disciplina ora lo schema di D.Lgs. aggiunge la previsione che si applica l’art. 46, norma originariamente dettata per il solo concordato preventivo. Il risultato è che gli atti di straordinaria amministrazione debbono essere autorizzati e che il compimento di tali atti senza autorizzazione comporterebbe l’applicazione dell’art. 106, comma 2, e la revoca dell’ammissione alla procedura, se non fosse che tale conseguenza è ora espressamente affermata dall’art. 44, comma 1 ter, che precisa anche che gli atti non autorizzati sono inefficaci. Va poi aggiunto che gli artt. 99 e 100 prevedono lo stesso regime anche per i finanziamenti richiesti con la domanda con riserva o successivamente o per il pagamento di debiti pregressi. 
In forza del comma 1 quater dell’art. 44, il debitore può chiedere di giovarsi del regime dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza di cui intende avvalersi se, unitamente alla domanda con riserva o anche successivamente, deposita un progetto di regolazione della crisi e dell’insolvenza redatto in conformità alle disposizioni che disciplinano lo strumento prescelto. 
Il favor per la presentazione del progetto di regolazione della crisi o dell’insolvenza comporta che soltanto in questo modo il debitore può ottenere la proroga dell’originario termine per il deposito della proposta e del piano di ulteriori sessanta giorni. La norma parla peraltro di giustificati motivi comprovati dalla presentazione del progetto. Sparisce invece l’impossibilità di ottenere la proroga nel caso di pendenza di domande di liquidazione giudiziale, ritenuta ipotesi troppo vessatoria perché non distingue il caso in cui tale domanda abbia carattere pretestuoso o sia comunque manifestamente infondata. Va però ricordato che 
Gli effetti di cui all’art. 46 e quindi la necessità dell’autorizzazione del tribunale per gli atti di straordinaria amministrazione è riferita al termine di cui al comma 1, lett. a) dell’art. 44. Si pone il quesito se si tratti del termine iniziale, non prorogato, o se il regime di autorizzazione riguardi anche i casi di proroga. La lettera della norma che fa riferimento al “termine” e non ai “termini” e la ratio farebbero pensare soltanto al primo termine. 
Depositato il progetto di regolazione della crisi e dell’insolvenza, non vi dovrebbe essere ragione per imporre un regime autorizzatorio particolare[14]. 
Va invece aggiunto che la disciplina modificata dell’art. 44 comporta anche che non si applicano le norme relative alla garanzia di mantenimento del capitale sociale (artt. 2446, 2447, 2482 bis, ecc.). 
Occorrerà distinguere tra le idonee informazioni sul contenuto del piano che debbono essere presentate ai sensi dell’art. 46, comma 2, insieme alla domanda di autorizzazione degli atti di straordinaria amministrazione, anche nel caso della domanda con riserva che precede una domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione e il progetto di regolazione della crisi e dell’insolvenza che permette di non sottostare al regime dettato dall’art. 46. Il progetto dovrebbe contenere una disciplina che riguarda sia la proposta che il piano, mentre le idonee informazioni dovrebbero avere un contenuto più ridotto, strumentale alla domanda di autorizzazione. Il legislatore utilizza una formula ancora diversa nell’art. 19, comma 2, lett. d) con riguardo alla domanda di accesso alla composizione negoziata, cui deve essere allegato “un progetto di piano di risanamento” redatto secondo le indicazioni della lista di controllo. 
E’ di notevole importanza la modifica dell’art. 96 per cui, per quanto riguarda il concordato preventivo ( ma analoga disposizione è dettata dall’art. 64 bis per il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione) gli artt. 145 e da 153 a 162, vale a dire la cristallizzazione della massa passiva, la sospensione del corso degli interessi, la disciplina della compensazione e l’inopponibilità delle formalità successive si producono a far tempo dalla presentazione della domanda soltanto se accompagnata dal deposito della proposta, del piano e della documentazione che a tali atti deve essere allegata. 
In pratica, tali effetti non si producono nel caso della domanda di concordato con riserva e ciò non può non incidere sulla decisione se ricorrere a questo istituto. Questa novità va vista insieme alle modifiche introdotte nella composizione negoziata nell’art. 23, di cui abbiamo già fatto cenno, per quanto concerne la possibilità che le trattative vengano indirizzate verso lo sbocco in uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. In luogo di avvalersi della domanda con riserva, ai sensi dell’art. 44, l’imprenditore potrebbe essere più propenso a ricorrere alla composizione negoziata per poi presentare una domanda di concordato corredata dalla proposta e dal piano, sempre naturalmente che il rispetto dell’istituzione di assetti adeguati consenta la tempestiva redazione di un progetto di piano. 
12 . Il contenuto del piano e il regime di trasferimento dei beni nel caso di cessione d’azienda
Lo schema di D.Lgs. modifica in alcune parti la disciplina del piano secondo l’art. 87. Le più significative tra tali modifiche riguardano la lett. f) della norma e l’inserimento di una lettera p-bis[15]. La prima modifica riguarda la necessità di prevedere un piano dei costi e ricavi derivanti dall’attività d’impresa non soltanto nel caso di concordato in continuità diretta, ma anche quando nella continuità indiretta le risorse per i creditori sono realizzate attraverso la prosecuzione dell’attività da parte del terzo. Si noti che la formula usata dalla norma ( “ove sia prevista la prosecuzione dell’attività d’impresa …in tutti i casi …”) è sufficientemente ampia da ritenere che possa essere applicata anche al di fuori del concordato in continuità, nell’ipotesi ad esempio del concordato con assuntore, ove naturalmente ricorrano le condizioni enunciate dalla norma. 
La fattispecie considerata dalla lett. p-bis ha ad oggetto l’indicazione, laddove necessario, di fondi rischi, con specifico riferimento, per il caso di finanziamenti garantiti da misure di sostegno pubblico, a quanto necessario al pagamento dei relativi crediti nell’ipotesi di escussione della garanzia e nei limiti delle previsioni di soddisfacimento del credito. Si vuole cioè evitare che l’eventuale mancato soddisfacimento del credito della banca comporti la sostituzione a quest’ultima del credito del garante di ultima istanza, che, com’è noto, è assistito da garanzia ipotecaria, con conseguente effetto dirompente sulla capacità del debitore concordatario di adempiere al piano di concordato. 
Lo schema di D.Lgs. non ha modificato la disciplina dell’art. 91 CCII in tema di offerte concorrenti. Vi sono tuttavia stati alcuni spostamenti di norme che nel codice della crisi stavano nei commi 8 e 9 dell’art. 84, ora soppressi. Si tratta di norme che sono state collocate in altra parte della disciplina del concordato per ragioni di miglior coerenza sistematica. 
L’art. 94 la cui rubrica recita ora “Amministrazione dei beni durante la procedura di concordato preventivo e alienazioni”, prevede un comma 6 bis che riprende il comma 9 dell’art. 84 e stabilisce che “Quando il piano prevede l'offerta da parte di un soggetto individuato, avente ad oggetto l'affitto o il trasferimento in suo favore dell'azienda o di uno o più rami d'azienda, si applica l'articolo 91”, vale a dire si applica il regime delle offerte concorrenti regolato da tale ultima norma. Si osserva nella Relazione introduttiva[16] che in questo modo sono richiamati, anche nell’ambito della norma generale sulla gestione in pendenza di procedura, i meccanismi che garantiscono la trasparenza, competitività ed efficienza delle vendite concordatarie. 
Il testo modificato dell’art. 114 sostituisce il comma 8 dell’art. 84. Per il concordato liquidatorio con cessione dei beni dispone che, quando il piano prevede offerte irrevocabili da parte di un soggetto individuato, il tribunale determina le modalità attraverso le quali il liquidatore dà idonea pubblicità delle offerte al fine di acquisire offerte concorrenti. Si stabilisce che, quando il piano prevede l'offerta da parte di un soggetto individuato, avente ad oggetto l'affitto o il trasferimento in suo favore dell'azienda o di uno o più rami d'azienda, il tribunale, invece di disporre la pubblicità di cui all’articolo 490 c.p.c., determina le modalità con cui il liquidatore dà idonea pubblicità dell’offerta al fine di acquisire offerte concorrenti[17]. 
Nell’ipotesi di concordato in continuità il nuovo art. 114 bis, comma 2, detta la medesima regola. La Relazione, tuttavia, avverte che la disciplina delle offerte concorrenti riguarda una fase antecedente all’omologazione, trovando applicazione durante la procedura con lo scopo di reperire eventuali ulteriori offerte alternative a quella individuata con la proposta[18] 
In conclusione, il regime della cessione o affitto d’azienda nel concordato è sempre quello previsto dall’art. 91, senza che si possa far luogo alle forme accelerate previste invece nel concordato semplificato dall’art. 25 septies CCII. Le deroghe sono molto limitate e riguardano soltanto la pubblicità ai fini dell’acquisizione di offerte concorrenti. Il nuovo comma 6 bis dell’art. 94 non pare aver altro scopo che ribadire che il regime delle offerte concorrenti riguarda anche la fase del concordato anteriore all’omologazione. 
Cambia invece sensibilmente la disciplina del trasferimento di azienda e della cessione dei beni che il codice della crisi affidava all’art. 114, già parzialmente modificato rispetto al vecchio art. 182 l.fall. La norma ora è sdoppiata in due, regolando l’art. 114 soltanto la cessione con nomina dei liquidatori nel caso di concordato liquidatorio ed essendo stato invece introdotto un ulteriore art. 114 bis per il concordato in continuità. 
Il confronto tra la disciplina del 114 e del 114 bis consente di rilevare che nel caso del concordato in continuità non è previsto il rinvio alle norme in tema di vendita nella liquidazione giudiziale in quanto compatibili. Il 114 bis prevede la possibilità di nomina del liquidatore giudiziale anche nel concordato in continuità che preveda la vendita di parte del patrimonio dell’impresa o dell’azienda in esercizio senza aver individuato un offerente. Se nel piano omologato l’offerente non è ancora individuato, il liquidatore, anche avvalendosi di soggetti specializzati, compie le operazioni di liquidazione assicurandone l'efficienza e la celerità nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza. Se invece il piano prevede l'offerta da parte di un soggetto individuato, il tribunale dispone che dell’offerta sia data idonea pubblicità al fine di acquisire offerte concorrenti. 
Il liquidatore gestisce le operazioni di liquidazione secondo i principi di pubblicità e trasparenza propri delle vendite concorsuali. Sono in ogni caso richiamati gli artt. da 2919 a 2929 c.c. e quindi si tratta di vendita forzata. E’ espressamente stabilita la purgazione dei beni oggetto di vendita da ogni formalità pregiudizievole su di essi gravante. 
La disciplina come emendata è molto chiara nello stabilire che la vendita in sede concordataria è sempre una vendita forzata. 
13.1 . Concordato preventivo. Omologazione e ruolo del giudice
Il tribunale dopo la presentazione della domanda, se si tratta di domanda con riserva ex art. 44 adotta i provvedimenti indicati dalla norma. Quando invece sono stati presentati la proposta ed il piano procede ai controlli di ammissibilità ai fini della pronuncia del decreto di apertura della procedura, sia nel caso che proposta e piano siano stati presentati ab initio che a seguito della domanda con riserva. 
Ferma la verifica della corretta formazione delle classi che il correttivo menziona espressamente ai sensi dell’art. 47, comma 1, il tribunale effettua controlli diversi nel caso di concordato liquidatorio e di concordato in continuità. 
Nel primo si parla di ammissibilità della proposta, da intendersi come sussistenza dei requisiti di legittimazione, di rispetto della disciplina processuale e della completezza della documentazione, e di fattibilità del piano, che viene individuata nella non manifesta inattitudine, in corrispondenza con la disciplina della Direttiva, a raggiungere gli obiettivi prefissati. Naturalmente questi controlli vanno visti alla luce del disposto dell’art. 7, comma 2, che, sia pur ai fini della sola trattazione in via anticipata della domanda diretta a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale, richiede che la domanda non sia manifestamente inammissibile; che il piano non sia manifestamente inadeguato, ipotesi questa sovrapponibile alla non manifesta inattitudine; che nella proposta sia indicata la convenienza per i creditori. 
Nel caso del concordato in continuità il Tribunale deve soltanto guardare alla ritualità della proposta. Si precisa tuttavia che il piano deve non essere manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali, ipotesi queste che non sono esattamente sovrapponibili, soprattutto la seconda, a quanto previsto dall’art. 7. 
Va sottolineato che la giurisprudenza, anche con riferimento al concordato semplificato, dove lo schema di D.Lgs. ha eliminato con riguardo alla ritualità l’aggettivo mera, tende a sovrapporre il controllo di ritualità al controllo di ammissibilità, consentendo un sindacato più approfondito. 
Il giudizio di omologazione del concordato è regolato dall’art. 48. Esso presuppone l’approvazione della proposta da parte dei creditori ai sensi dell’art. 109 ovvero che, nel solo concordato in continuità, non essendo stata raggiunta l’unanimità delle classi, il debitore richieda l’omologazione o presti il consenso quando si tratti di proposta concorrente. 
Il codice della crisi, come rivisto dallo schema di D.Lgs. mantiene la previsione per cui i creditori privilegiati, ipotecari e pignoratizi sono degradati a chirografari per la parte non capiente del credito. Afferma che i creditori vanno soddisfatti secondo l’ordine delle cause di prelazione, salvo applicazione della relative priority rule, nel solo concordato in continuità. Precisa all’art. 85, comma 3, che la suddivisione dei creditori in classi è obbligatoria nel caso di concordato in continuità. Anche i creditori privilegiati vanno suddivisi in classi, salvo il caso che essi possano esser soddisfatti in denaro entro 180 gg. ( 30 per i crediti di lavoro). E’ prevista una classe obbligatoria di creditori chirografari che siano fornitori di beni e servizi e che siano piccole imprese secondo la disciplina europea[19]. 
Il legislatore mantiene la distinzione, nel caso di concordato in continuità tra valore di liquidazione e valore eccedente quello di liquidazione. 
Lo schema di D.Lgs. ha introdotto alcune modifiche meglio precisando la nozione di valore di liquidazione e di valore eccedente quello di liquidazione, nozioni che sono essenziali per verificare il rispetto delle regole di distribuzione dell’attivo nel concordato in continuità. L’art. 87, comma 1, lett. c), precisa che il valore di liquidazione corrisponde al valore realizzabile dalla liquidazione dei beni in sede di liquidazione giudiziale. Tale valore è comprensivo del maggior valore realizzabile dalla cessione dell’azienda in esercizio in sede di liquidazione giudiziale, ipotesi non frequente, ma possibile. Ne deriva che il best interest creditors’ test non riguarda soltanto la liquidazione atomistica dei beni, ma anche la cessione d’azienda in pendenza di liquidazione giudiziale. Si deve poi tener conto del maggior realizzo dalle azioni esperibili in caso di liquidazione giudiziale al netto delle spese, considerando quindi le azioni revocatorie e le azioni di responsabilità. A tal proposito, come già ricordato, va rammentato che lo schema di D.Lgs. prevede un nuovo art. 114 bis che regola la nomina del liquidatore nel concordato in continuità nei casi in cui il piano preveda la liquidazione di una parte del patrimonio o la cessione d’azienda. I poteri del liquidatore sono regolati dall’art. 115 sia nel caso di concordato liquidatorio che di concordato in continuità. Il comma 2 prevede che il liquidatore esercita l’azione sociale di responsabilità, ma non l’azione spettante ai creditori sociali, che è invece nella competenza del curatore nella liquidazione giudiziale secondo la previsione dell’art. 2394 bis c.c. 
L’art. 84, comma 6, è stato tuttavia parzialmente modificato. Si continua ad affermare che il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto dell’absolute priority rule, mentre il valore eccedente quello di liquidazione, eccezion fatta per i crediti di lavoro, può essere distribuito in modo tale da assicurare che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, precisandosi tuttavia che le risorse esterne non debbono seguire questo principio. La regola è ripetuta nell’art. 112, comma 2, che afferma che in sede di omologazione, quando vi sia il dissenso di una o più classi, il tribunale omologa quando la regola ora enunciata è rispettata con riferimento alle classi in cui vi sono creditori dissenzienti. 
Si pone il problema, che in realtà esisteva già nel testo vigente del codice della crisi, se il principio enunciato dal legislatore imponga di prevedere ugual trattamento per tutte le classi di creditori chirografari, o se, in conformità alla ratio stessa che presiede alla formazione delle classi, che raggruppano crediti similari per natura giuridica o per interessi economici tutelati, sia possibile un trattamento differenziato di queste classi. 
Dal combinato disposto degli artt. 84 e 112 si ricava comunque che il controllo del Tribunale sul rispetto della parità di trattamento di classi pari ordinate va attuato soltanto quando vi siano classi dissenzienti e quindi la proposta sia approvata a maggioranza o anche con il voto favorevole di una sola classe. 
Va ricordato che l’art. 11, par. 1, lett. c) della Direttiva Insolvency, nel prevedere l’introduzione nel diritto unionale della relative priority rule dispone che il piano assicura che le classi di voto dissenzienti di creditori interessati ricevano un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori. 
Si è affermato che sarebbe, tuttavia, possibile un trattamento differenziato delle classi chirografarie. Oltre alla ratio legis della formazione delle classi, che sarebbe altrimenti priva di senso fondandosi sull’uguale trattamento dei crediti all’interno della singola classe che raggruppa crediti similari, si è invocata la considerazione che il termine “grado” usato dal legislatore nell’art. 112, comma 2, lett. b) e nell’art. 84, comma 6, non è impiegato dal legislatore nel codice civile in termini rigorosi, almeno per quanto concerne i creditori chirografari. Va aggiunto che l’art. 85, comma 3, prevede che i crediti delle imprese fornitrici di beni o servizi che non hanno superato, nell’ultimo esercizio, almeno due dei seguenti requisiti: un attivo fino a euro cinque milioni, ricavi netti delle vendite e delle prestazioni fino a euro dieci milioni e un numero medio di dipendenti pari a cinquanta, siano inseriti in classi separate. Trattandosi di crediti chirografari se il principio di parità di trattamento dovesse estendersi a tutte le classi di creditori di questa categoria, la previsione di una classe separata inciderebbe soltanto sul voto e non sul trattamento del credito. 
Lo schema di decreto correttivo ha dettato norme dirette a meglio precisare il contenuto della nozione di valore di liquidazione e a prevedere che il piano debba precisare quale sia il valore di liquidazione, facendo riferimento sia alla cessione atomistica dei beni che alla cessione dell’azienda in attività nell’ambito della liquidazione giudiziale. Si deve tener conto anche del risultato delle azioni esperibili in sede di liquidazione giudiziale, soprattutto con riferimento alle azioni revocatorie e alle azioni di responsabilità. 
Va poi sottolineato che il professionista indipendente deve attestare non soltanto la fattibilità del piano, ma anche la veridicità dei dati aziendali. Nel caso di concordato in continuità il piano deve essere anche idoneo a superare o impedire l’insolvenza del debitore, a garantire la sostenibilità economica dell’impresa, a riconoscere a ciascun creditore un trattamento non deteriore a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale. 
Va rilevato che l’art. 92, comma 3, prevede ora che il commissario giudiziale possa affiancare i creditori e il debitore nella negoziazione di modifiche del piano o della proposta sino a venti giorni prima della data stabilita per il voto dei creditori. Tale previsione si aggiunge a quella, preesistente, per cui nel concordato in continuità aziendale, nel termine concesso ai sensi dell'articolo 44, comma 1, lettera a), il commissario giudiziale, se richiesto o in caso di concessione delle misure protettive di cui all'articolo 54, comma 2, affianca il debitore e i creditori nella negoziazione del piano formulando, ove occorra, suggerimenti per la sua redazione. 
Sempre con riferimento alla figura del commissario, ma anche del liquidatore, il nuovo art. 93 bis prevede che gli atti e le omissioni del commissario giudiziale e del liquidatore sono reclamabili ai sensi dell’art. 133 davanti al giudice delegato, fatta salva l’impugnazione del provvedimento di quest’ultimo davanti al tribunale. 
L’art. 112 regola il giudizio di omologazione. Va tuttavia sottolineato che ai sensi dell’art. 106 il tribunale revoca il decreto di apertura quando risultano commessi atti in frode ai creditori o nelle altre ipotesi originariamente previste dall’art. 173 L. fall. Il comma 2 dell’art. 106 ha mantenuto la previsione della revoca nel caso di compimento di atti non autorizzati o quando, in qualsiasi momento, risulta che manchino le condizioni prescritte per l’apertura del concordato secondo gli artt. 84-88. Il Tribunale è quindi in grado di interrompere l’iter processuale aperto dalla presentazione della domanda di concordato quando si verifichi uno di questi fenomeni. 
Per quanto concerne il giudizio di omologazione l’art. 112 è stato parzialmente riscritto dallo schema di D.Lgs. Va sottolineato che il tribunale deve in ogni caso, e quindi tanto nell’ipotesi del concordato in continuità che del concordato liquidatorio, verificare: 
a) la regolarità della procedura, formula questa assai ampia, e l’ammissibilità della proposta, nella sostanza consentendo di ripetere i controlli che vanno effettuati in sede di pronuncia del decreto di apertura; 
b) l’esito della votazione che è diversamente regolato dall’art. 109 con riguardo al concordato liquidatorio e al concordato in continuità. Nel primo caso il concordato è approvato dalla maggioranza dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Si ricorre al voto per teste quando un unico creditore sia titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi. In caso di formazione delle classi occorre inoltre la maggioranza delle classi. 
c) la corretta formazione delle classi, anche qui con rinnovazione del giudizio che deve essere effettuato al momento della ammissione alla procedura ai sensi dell’art. 47, primo comma nel testo modificato dal D.Lgs. 
d) la parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe; 
e) per il concordato che non sia in continuità la fattibilità che è definita, come già si è accennato, come la non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati. 
f) per il concordato in continuità che tutte le classi abbiano votato favorevolmente. A tale ipotesi si sostituisce la diversa disciplina prevista nel caso in cui vi sia stata approvazione da parte di alcune classi di creditori soltanto, anche senza raggiungere la maggioranza delle classi in parola. 
Oltre a ciò il tribunale nel concordato in continuità deve verificare che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l'insolvenza e che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l'attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori. 
Per questa parte l’art. 112 non ha modificato la disciplina dettata dal codice. Tale disciplina aveva dato attuazione all’art. 10 della Direttiva prevedendo sempre il controllo del Tribunale, mentre tale norma al comma 1 consentiva di limitare tale controllo a tre casi: 1) piani che incidono sui diritti delle parti interessate dissenzienti, che sono quelle il cui soddisfacimento è inciso dal piano, non quelle che in ogni caso non percepirebbero nulla, come chiarisce l’art. 2, n. 2 della Direttiva; 2) piani che prevedono nuovi finanziamenti; 3) piani che comportano la perdita di più del 25% della forza lavoro. 
Il tribunale non ha il potere di verificare d’ufficio il difetto di convenienza della proposta perché per il concordato in continuità l’art. 112, comma 3, richiede che uno o più creditori dissenzienti abbiano proposto opposizione formulando tale eccezione. In tale ipotesi, peraltro, il tribunale può applicare il cram down se i creditori risultano soddisfatti in misura non inferiore rispetto al valore di liquidazione, secondo la nozione che ne dà ora l’art. 87, comma 1, lett. c) tenendo conto quindi anche della possibilità di vendita dell’azienda in blocco in attività e del risultato delle azioni esperibili in sede di liquidazione giudiziale. Va ricordato che la stima del complesso aziendale, in conformità alla Direttiva, è ammessa da parte del Tribunale soltanto quando sia eccepito il difetto di convenienza o, nel caso di concordato in continuità, in ipotesi di violazione delle regole proprie della ristrutturazione trasversale (cross class cram down). 
La ristrutturazione trasversale può essere attuata, e quindi il tribunale omologa, quando sussistono le condizioni previste dall’art. 112, comma 2, che richiedono il voto favorevole della maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, ovvero nel caso in cui non si raggiunga la maggioranza, quando vi sia l’approvazione di almeno una classe a condizione che i creditori di tale classe sia offerto un importo non integrale del credito e siano almeno parzialmente soddisfatti anche sul valore eccedente quello di liquidazione quando si applicasse la regola della priorità assoluta[20]. 
Oltre a ciò il tribunale deve verificare che i creditori siano soddisfatti secondo la regola della priorità assoluta sul valore di liquidazione e quindi nel rispetto delle cause legittime di prelazione, e secondo la regola della priorità relativa per i soli creditori inclusi nelle classi dissenzienti. Ne deriva che i creditori inclusi nelle classi che hanno espresso consenso non possono opporsi all’omologazione per violazione delle regole proprie della priorità relativa. Nessun creditore inoltre deve ricevere più dell’importo integrale del credito.
13.2 . Trasformazione, fusione, scissione
La disciplina dettata dall’art. 116 è stata modificata e razionalizzata dallo schema di D.Lgs. per meglio coordinarla con la preesistente regolazione del codice civile e con le norme dettate dagli artt. 120 bis e ss. del codice della crisi, che si riferiscono ora a tutti gli strumenti di regolazione della crisi[21] e dell’insolvenza delle società ed hanno pertanto assunto una valenza di carattere generale, non più limitata al concordato preventivo. 
L’art. 116 era originariamente dettato soltanto per il concordato preventivo, ma era richiamato dall’art. 64 bis per il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. Ora è richiamato anche dall’art. 57, comma 2, con riguardo agli accordi di ristrutturazione. 
Va sottolineato che l’art. 120 quinquies, ora significativamente rubricato come “esecuzione delle operazioni societarie” riguarda per tutti gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza le operazioni di trasformazione, fusione e scissione. 
L’art. 120 bis prevede che gli amministratori e liquidatori decidono l’accesso allo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, anche nel caso di domanda con riserva, e determinano il contenuto del piano che, ai sensi del comma 2 dell’art. 120 bis, contiene anche le modificazioni dello statuto sociale, ivi comprese le operazioni straordinarie di fusione, scissione e trasformazione. L’art. 120 quinquies inoltre, nel testo modificato dallo schema di D.Lgs. prevede che con riguardo alla società debitrice la sentenza di omologazione determina qualsiasi modificazione dello statuto sociale prevista dal piano che incida direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, indicando espressamente gli aumenti e le riduzioni di capitale anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione. La sentenza inoltre tiene luogo delle deliberazioni delle operazioni di trasformazione, fusione e scissione. 
Il tribunale demanda agli amministratori l’adozione degli atti esecutivi eventualmente necessari e in caso di inerzia può nominare un amministratore giudiziario, disponendo la revoca per giusta causa degli amministratori inerti, attribuendogli i poteri necessari. 
L’opposizione dei creditori ai sensi dell’art. 116 va proposta nelle forme di cui all’art. 48 e quindi con l’opposizione all’omologazione. 
L’art. 48 prevede che l’opposizione dei creditori e di ogni altro interessato debba essere proposta nel termine di dieci giorni prima dell’udienza fissata dal tribunale non prima che sia decorso il termine di sette giorni previsto dall’art. 111 per il caso che la proposta non sia stata approvata da tutte le classi e il debitore chieda ugualmente l’omologazione o presti consenso nel caso di proposta concorrente quando si tratti di impresa minore ex art. 85, comma 3, secondo periodo. Va tuttavia ricordato che, ai sensi dell’art. 116, comma 2, l’udienza fissata dal tribunale deve rispettare il termine di 45 giorni dall’ultima iscrizione del piano che prevede la trasformazione, fusione o scissione unitamente al progetto di fusione o scissione e agli altri documenti obbligatori per legge nel registro delle imprese. Nella specie l’iscrizione va effettuata nel registro del luogo in cui hanno sede la società debitrice e le altre società partecipanti. 
In caso di trasformazione, fusione e scissione tra la data dell’ultima iscrizione nel registro delle imprese del piano di concordato e del progetto e l’udienza deve decorrere il termine dilatorio di 45 giorni. Va sottolineato che per espressa previsione dell’art. 116, comma 2, questa disciplina si applica anche ai creditori delle altre società partecipanti alla fusione o scissione, che sono quindi assoggettati al giudice del concordato. 
Come si è accennato, la disciplina ora vista trova applicazione anche al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione perché l’art. 116 fa parte della Sezione VI del capo III che è richiamata dall’art. 64 bis, comma 9. 
Nel caso degli accordi di ristrutturazione, come si è detto, si applica l’art. 116, e l’art. 48, comma 4, che prevede che l’opposizione vada proposta entro trenta giorni dall’iscrizione della domanda di omologazione degli accordi nel registro delle imprese. 
L’art. 116, comma 3, prevede che l’operazione non possa essere attuata fino a quando il concordato non è stato omologato, anche con sentenza non passata in giudicato. Se richiesto, il tribunale, sentito il commissario giudiziale, può autorizzare l’attuazione anticipata, se ritiene che l’attuazione successiva all’omologazione pregiudicherebbe l’interesse dei creditori della società debitrice e a condizione che risulti il consenso di tutti i creditori delle altre società partecipanti o le stesse provvedano al pagamento a favore di coloro che non hanno dato il consenso oppure depositino le somme corrispondenti presso una banca. La disciplina prevista per la fusione dall’art. 2503 c.c., richiamato per la scissione dall’art. 2506 ter, è così adattata alla fattispecie degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Tuttavia l’art. 116 non prevede la possibilità che l’assenza di garanzie a tutela dei creditori sia asseverata da una società di revisione o altrimenti. Va sottolineato che il consenso dei creditori o il loro pagamento riguarda le altre società partecipanti, non quella in concordato, perché i creditori della stessa vanno soddisfatti secondo quanto previsto dal piano. 
Nell’art. 116 il legislatore non si occupa della posizione dei soci della società concordataria. L’art. 120 quater, co. 3, non modificato dallo schema di D.Lgs. prevede che i soci possono opporsi all’omologazione del concordato per far valere il pregiudizio subito rispetto all’alternativa liquidatoria. In altri termini i soci sono trattati esclusivamente come residual claimants. Non è previsto che essi possano dolersi che la proposta ed il piano possano essere lesivi dei loro diritti in sede societaria e che la decisione degli amministratori possa avere carattere fraudolento. 
L’art. 116, comma 4, ribadisce il principio dell’irretrattabilità delle deliberazioni di trasformazione, fusione, scissione previste dal piano di concordato, una volta intervenuta la sentenza di omologazione anche non passata in giudicato. L’impiego dell’espressione “deliberazioni” va intesa alla luce del disposto dell’art. 120 quinquies, comma 1, che afferma che “con riguardo alla società debitrice la sentenza “tiene luogo delle deliberazioni delle operazioni di trasformazione, fusione e scissione”. Ne deriva che soltanto per le altre società, diverse dalla società concordataria, si tratterà di deliberazioni secondo la disciplina del codice civile. La norma aggiunge che gli effetti delle operazioni sono irreversibili. E’ fatto salvo il risarcimento del danno con la precisazione che il credito è prededucibile. Lo schema di D.Lgs. attua in questo modo il principio sancito dall’art. 2504 quater c.c.. L’art. 116 non menziona i terzi danneggiati dalla fusione che potrebbero invocare il risarcimento dei danni a mente dell’art. 2504 quater, ma pare preferibile ritenere applicabile l’art. 116 anche in questo caso, anche per la precisazione che si tratta di credito prededucibile. La stessa disciplina si applica ai sensi dell’art. 116, comma 5, in caso di risoluzione, annullamento, revoca del concordato. Con tale ultima espressione si fa riferimento all’ipotesi che sia stato accolto il reclamo contro la sentenza di omologazione, dalla cui pronuncia deriva l’irretrattabilità dell’operazione straordinaria anche quando non sia passata in giudicato, 
In questo caso con il termine revoca non si fa riferimento alla fattispecie già disciplinata dall’art. 173 L. fall. ed ora dall’art. 106, che presuppone che non sia intervenuta la sentenza di omologazione. 
Il testo ora modificato dell’art.116, ultimo comma, disponeva che il recesso dei soci fosse sospeso sino all’attuazione del piano. Il principio, è stato modificato dallo schema di D.Lgs. affermando che il recesso è sospeso sino all’attuazione delle operazioni indicate dal primo comma dello stesso art. 116, e quindi della trasformazione, fusione o scissione. Ne deriva che il socio recedente non beneficia o non è danneggiato dall’esecuzione del piano per la parte che non riguarda l’operazione straordinaria. 
Tornando alla sentenza di omologazione, si è già osservato che il tribunale demanda agli amministratori l’adozione degli atti esecutivi eventualmente necessari (art.120 quinquies, comma 1) ferma restando la possibilità di nominare un amministratore giudiziario e disporre la revoca per giusta causa degli amministratori inerti. 
L’art. 120 quinquies, comma 2, prevede che il notaio incaricato della redazione degli atti esecutivi delle operazioni indicate dal primo comma della norma, indica agli amministratori se non sono adempiute le condizioni previste dalla legge. In tal caso gli amministratori possono ricorrere per i provvedimenti necessari al tribunale che ha omologato lo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza. 
Gli atti esecutivi della fusione e scissione vanno individuati tenendo conto che l’art. 120 quinquies, comma 1, stabilisce che la sentenza di omologazione determina la modificazione dello statuto e tiene luogo delle deliberazioni di trasformazione, fusione, scissione. Si pone pertanto il quesito se come atto esecutivo possa intendersi l’atto di fusione o scissione previsto dall’art. 2504 c.c. In proposito va osservato che la disciplina dell’irretrattabilità delle deliberazioni prevista dal comma 4 dell’art. 116, sembra essere in questo senso, a differenza di quanto previsto dall’art. 2504 quater c.c. che fa riferimento all’invalidità dell’atto di fusione, mentre l’art. 116 riguarda con formulazione molto più ampia le deliberazioni previste dal piano di concordato, aventi ad oggetto le operazioni di cui al comma 1 della stessa norma e quindi la fusione, scissione e trasformazione.
13.3 . Trattamento dei soci
Si è già osservato che la disciplina dettata dagli artt. 120 bis e ss. è ora estesa dallo schema di D.Lgs. a tutte gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza grazie alla trasformazione della sezione VI bis del capo III del codice della crisi in un autonomo Capo III bis, denominato “Strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società”. 
Si è anche rilevato che l’art. 120 bis, comma 1, si riferisce ora anche alla domanda di accesso alle procedure proposta ai sensi dell’art. 44. La competenza spetta in via esclusiva agli amministratori e ai liquidatori, ove la società si trovi già in stato di liquidazione. Le relative decisioni debbono risultare da verbale redatto da notaio e sono pertanto soggette al controllo di legalità di quest’ultimo. Vanno inoltre depositate ed iscritte nel registro delle imprese. Il secondo comma dell’art. 120 bis prevede, come già nel testo del codice in vigore, la possibilità che la delibera degli amministratori abbia qualsiasi contenuto, anche la modificazione dello statuto sociale e le operazioni straordinarie, ivi compreso l’aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione e le altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti dei soci, oltre alle già ricordate fusioni, trasformazioni e scissioni. 
Tali deliberazioni di amministratori e liquidatori si riferiscono ora al piano anche in caso di modificazione nel corso della procedura di ristrutturazione, prima della pronuncia del tribunale sull’omologazione. 
Rimane fermo il dovere degli amministratori e liquidatori di informare i soci dopo l’assunzione della delibera e il diritto di questi ultimi di presentare proposte concorrenti ai sensi dell’art. 90, purché rappresentino almeno il 10% del capitale. E’ rimasta immutata la disciplina della ripartizione del valore risultante dalla ristrutturazione ai soci già prevista dall’art. 120 quater, salvo la sostituzione della parola “rango” con “grado” per indicare l’ordine di soddisfacimento delle classi di creditori. Invece è significativa la previsione del secondo comma della norma che stabilisce ora che nel calcolo del valore effettivo riservato ai soci si tiene conto del c.d. terminal value, vale a dire di tutto ciò che è destinato a questi ultimi secondo il calcolo del valore d’uso secondo i principi contabili, sulla base del valore attuale dei flussi finanziari futuri. Dal valore riservato ai soci viene sottratto quanto da essi eventualmente apportato ai fini della ristrutturazione, com’era già previsto dal codice, ma si aggiunge che nel caso di imprese minori (cfr. art. 85, co. 3) non si calcolano soltanto i conferimenti o i versamenti a fondo perduto, ma anche apporti in altra forma, ad esempio in termini di prestazioni personali dei soci stessi.
Maggiori innovazioni sono state previste dall’art. 120 quinquies, che si è già citato con riferimento alle operazioni di trasformazione, fusione e scissione. Non si tratta tanto di modifiche della disciplina sostanziale, quanto di un più preciso chiarimento del suo contenuto. È la sentenza di omologazione che determina le modificazioni dello statuto previste dal piano, compresi gli aumenti e le riduzioni di capitale, e le ulteriori modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, oltre a tener luogo delle delibere di trasformazione, fusione e scissione. L’adozione degli atti esecutivi necessari è demandata dal tribunale agli amministratori o liquidatori con la conseguente possibilità che il notaio incaricato della redazione di tali atti, ove non ritenga adempiute le condizioni stabilite dalla legge, ne dia notizia agli amministratori, che potranno ricorrere per i provvedimenti necessari al tribunale. 
Lo schema di D.Lgs. ha anche meglio chiarito le situazioni in cui il tribunale può nominare un amministratore giudiziario che provveda in luogo degli amministratori al compimento degli atti esecutivi della sentenza, che il tribunale contestualmente revoca per giusta causa. 
È quindi fondamentale chiarire la nozione di atti esecutivi. 
13.4 . L’esecuzione del piano. Le modificazioni
Le modifiche dello schema di Correttivo riguardano in primo luogo i poteri dell’amministratore giudiziario che venga nominato dal Tribunale a seguito del ricorso del soggetto che ha presentato la proposta di concordato approvata dai creditori e omologata, in caso di omissione o ritardo del debitore, ai sensi dell’art. 118, comma 5. Il comma 6 prevede infatti che il Tribunale attribuisce all’amministratore i poteri necessari per dare esecuzione alla proposta omologata, ivi comprese le deliberazioni di competenza dell’assemblea dei soci, la convocazione dell’assemblea avente ad oggetto tali deliberazioni e l’esercizio del diritto di voto nelle stessa. Tali compiti possono essere attribuiti anche al liquidatore. 
Rispetto al testo preesistente della norma lo schema di Correttivo prevede ora la cancellazione della formula, pleonastica, in cui veniva menzionato espressamente il caso in cui la proposta prevedesse un aumento del capitale sociale della società debitrice, contemplata insieme alle “altre” deliberazioni di competenza dell’assemblea. Viene anche cancellata l’indicazione che l’esercizio del diritto di voto da parte dell’amministratore giudiziario fosse limitato alle azioni o quote facenti capo al socio o ai soci di maggioranza. 
Va considerato che l’art. 118 va letto congiuntamente alle disposizioni dell’art. 120 quinquies, comma 1, che abbiamo già considerato nel paragrafo precedente. La norma dispone che, con riguardo alla società debitrice, il provvedimento di omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza determina qualsiasi modificazione dello statuto prevista dal piano, ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale, anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione, e altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, e tiene luogo delle deliberazioni delle operazioni di trasformazione, fusione e scissione. 
Ancora l’art. 120 quinquies, comma 2, prevede che se il notaio incaricato della redazione di atti esecutivi delle operazioni di cui al comma 1, ritiene non adempiute le condizioni stabilite dalla legge, ne dà comunicazione tempestivamente, e comunque non oltre il termine di trenta giorni, agli amministratori. Gli amministratori, nei trenta giorni successivi, possono ricorrere, per i provvedimenti necessari, al tribunale che ha omologato lo strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza. 
Va sottolineato che, anche nell’ipotesi in cui la proposta non promani dalla società debitrice, ma sia una proposta concorrente presentata dai creditori o dai soci, ugualmente le modificazioni statutarie sono determinate dal provvedimento di omologazione se previste dal piano e le deliberazioni delle operazioni di fusione, scissione e trasformazione sono sostituite da tale provvedimento. 
Il testo, ora modificato dell’art. 120 quinquies, prevedeva che il Tribunale con il provvedimento di omologazione autorizzasse gli amministratori a porre in essere, nei successivi trenta giorni o nel diverso termine previsto dal piano, le ulteriori modificazioni statutarie programmate dal piano stesso. 
Questa disposizione non compare più nel testo del Correttivo. Se ne può forse ricavare, con tutte le cautele del caso, che in tali ipotesi la competenza ritorna all’assemblea. Nel caso di nomina dell’amministratore giudiziario questi dovrà convocare l’assemblea. Il testo sostituito dell’art. 118 limitava il potere di voto dell’amministratore giudiziario alle sole azioni o quote dei soci di maggioranza. La soppressione di questa disposizione dovrebbe significare che l’amministratore giudiziario esercita il diritto di voto per conto di tutti i soci, perché egli è nominato per reagire all’ostruzionismo della società debitrice, chiunque siano i soggetti che determinano tale comportamento ostruzionistico. La norma è infatti chiara nello stabilire, prima ancora di prevedere l’ipotesi della convocazione dell’assemblea, che all’amministratore giudiziario sono attribuiti direttamente “i poteri necessari per dare esecuzione alla proposta omologata” e quindi anche i poteri deliberativi dell’assemblea. 
La circostanza che nella specie lo schema di Correttivo non preveda una disposizione analoga al disposto dell’art. 120 quinquies, comma 2, con la possibilità di ritorno al Tribunale per decidere eventuali difficoltà o contestazioni, dovrebbe essere letta nel senso che la delibera dell’assemblea sarà impugnabile con il ricorso ai rimedi ordinari. 
13.5 . Modificazioni del piano dopo l’omologazione
Lo schema di Correttivo introduce un nuovo art. 118 bis che prevede la possibilità di modificazioni del piano dopo l’omologazione del concordato preventivo in continuità qualora si rendano necessarie modifiche sostanziali per l’adempimento della proposta. La norma estende al concordato in continuità una previsione già contenuta nell’art. 58, comma 2, del codice per gli accordi di ristrutturazione. L’art. 58 fa riferimento a modifiche sostanziali rese necessarie per assicurare l’esecuzione degli accordi. L’art. 118 bis considera modifiche sostanziali rese necessarie per l’adempimento della proposta. 
Il contenuto della proposta, pertanto, rimane immutato. Ciò che muta è il come si perviene al risultato promesso[22]. Ne deriva che quando non siano rispettate le condizioni previste nella proposta si può dar luogo ad inadempimento e quindi a risoluzione del concordato ai sensi dell’art. 119 CCII. ovvero anche ad apertura della liquidazione giudiziale secondo i principi affermati dalla Cassazione ove all’inadempimento si accompagni anche lo stato di insolvenza[23]. Il piano modificato deve essere oggetto di nuova attestazione del professionista indipendente e va comunicato al commissario giudiziale che riferisce al Tribunale. Il Tribunale verifica che si tratti di modificazioni sostanziali, dispone la pubblicazione del piano modificato sul registro delle imprese e la comunicazione ai creditori da parte del commissario giudiziale. I creditori possono proporre opposizione entro trenta giorni nelle forme previste dall’art. 48 CCII, cioè con il rito previsto per il giudizio di omologazione, con ricorso. Il procedimento è regolato dalla norma ora citata e il tribunale decide con decreto motivato. 
Va sottolineato che l’opposizione e il rito previsto dall’art. 48 si applicano anche alle modifiche del piano in sede di accordi di ristrutturazione.
13.7 . Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione
Lo schema di decreto correttivo non ha sostanzialmente modificato la disciplina del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (P.R.O.). Le modifiche più rilevanti, a parte l’inserimento della transazione fiscale nel comma 1 bis dell’art. 64 bis, su cui ci siamo già soffermati, riguardano: 
- la previsione che il best interest creditors’ test, cioè la verifica che il trattamento previsto per i creditori non sia meno favorevole di quanto essi potrebbero percepire in caso di liquidazione giudiziale vada effettuato con riferimento alla data della domanda di omologazione. Tale regola si applica anche al concordato preventivo (art. 87, comma 1, lett. c) e art. 112, comma 2, lett. a) e agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61, comma 2, lett. d), mentre nel caso della convenzione di moratoria si guarda alla data della convenzione (art. 62). 
- la previsione, contenuta nell’art. 64 bis, comma 9, che dalla presentazione della domanda unitamente alla proposta, al piano e alla documentazione prevista dall’articolo 39, comma 3, si applicano le disposizioni degli articoli 145 e da 154 a 162. L’apertura del concorso dei creditori, la cristallizzazione del passivo, la sospensione del decorso degli interessi, il regime concorsuale della compensazione e l’inopponibilità delle formalità successivamente iscritte decorrono quindi da tale data, come avviene anche nel concordato preventivo e come già si è sottolineato per quanto concerne la disciplina della domanda con riserva. Si noti che il richiamo delle norme ora ricordate sostituisce il rinvio all’art. 90 che era contenuto nel testo previgente. La ragione di questa diversa disciplina sta nel fatto che in questo modo il correttivo non richiama l’art. 153, e quindi la disciplina del concorso dei creditori sul patrimonio dell'impresa, con tutti i vincoli ivi presenti, collegati al necessario rispetto della par condicio creditorumi, che è regola assolutamente estranea al P.R.O[24]. 
- infine, il comma 9 bis dell’art. 64 bis prevede che in pendenza della procedura, anche prima dell’omologazione, il tribunale possa autorizzare il trasferimento a qualunque titolo dell’azienda o di uno o più rami su richiesta dell'imprenditore, purché ciò sia previsto dal piano. 
Il regime autorizzatorio è semplificato rispetto alla disciplina del concordato preventivo perché non sono richiamate le regole dettate per quest’ultima procedura. 
Il tribunale deve verificare la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori. Il trasferimento può avvenire in qualsiasi forma senza gli effetti di cui all'articolo 2560, comma 2, c.c. e quindi senza responsabilità dell’acquirente per i debiti pregressi, eccezion fatta per i crediti di lavoro. 
Il tribunale deve però verificare il rispetto del principio di competitività nella selezione dell’acquirente, senza tuttavia che siano dettate in proposito regole particolari e che sia espressamente richiesta la stima preventiva del valore dei beni, sul presupposto evidentemente che essa sia già stata effettuata in occasione della redazione del piano e dell’attestazione del professionista indipendente. 
14.1 . Composizione negoziata
Lo schema di decreto correttivo ha rivisto in misura sensibile la disciplina delle misure protettive e delle misure cautelari sia per quanto concerne gli artt. 18 e 19 che si riferiscono alla composizione negoziata sia con riguardo agli artt. 54 e 55, che disciplinano entrambi questi istituti relativamente agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Tanto con riferimento ai provvedimenti che possono essere adottati nella composizione negoziata che alla disciplina dettata per gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza dagli artt. 54 e 55, rilevano le nozioni di misure protettive e cautelari offerte dall’art. 2 del codice, sulle quali ci siamo già soffermati. 
L’art. 18 nel regolare le misure protettive prevede che l’imprenditore le possa richiedere sia con l’istanza di accesso alla composizione negoziata e di nomina dell’esperto sia successivamente, in pendenza del procedimento. I destinatari, se tutti o alcuni soltanto tra i creditori, vengono decisi dall’imprenditore con la sua istanza. Ricorre in questo caso una situazione di selettività soggettiva dei destinatari delle misure da parte dell’imprenditore. Questi, infatti, in base al disposto dell’art. 18, comma 1, può individuare sin dal principio i destinatari della misura o può chiedere una misura riferita all’intero ceto creditorio, per poi ridurla successivamente, in sede di conferma da parte del giudice, limitandola ad alcuni di essi. Con l’art. 18, comma 1, si precisa che l’iniziativa essere limitata a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori. 
Va sottolineato che queste caratteristiche delle misure sono conformi a quanto la Direttiva Insolvency (art. 6, §§. 3-4) consente agli Stati membri di disporre. 
È stato mantenuto il divieto di applicazione delle misure protettive ai lavoratori, in conformità a quanto previsto dalla Direttiva UE (art. 6, par. 5). 
Il nuovo comma 3 dell’art. 18 dispone che dal giorno della pubblicazione dell’istanza, i creditori interessati non possono acquisire diritti di prelazione se non concordati con l'imprenditore né possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l'attività d'impresa. Dalla stessa data le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano. Non sono inibiti i pagamenti. 
Il legislatore ha qui riprodotto parte dell’originario contenuto del primo comma dell’art. 18. L’esclusione delle prescrizioni e delle decadenze non figurava in questo primo comma e il suo inserimento rimedia alla precedente omissione. Si tratta peraltro di disposizione che era stata prevista già dal D.L. n. 118/2021 con il quale la composizione negoziata era stata introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento. Il decreto legge richiamava infatti l’art. 168 L. fall. che prevedeva queste regole. 
Lo schema di correttivo ha riformulato il comma 4 dell’art. 54. La norma dispone che prima del deposito della domanda di cui all’art. 40, diretta all’apertura di uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza, anche nel caso in cui si tratti di domanda con riserva, le misure protettive possono essere chieste dall’imprenditore con la domanda di cui agli artt. 17 e 18. Il legislatore fa riferimento alle misure previste sia dal primo che dal secondo periodo del comma 2 dell’art. 54, comprendendo anche la sospensione delle prescrizioni e l’interdizione delle decadenze. 
È stato mantenuto immutato il comma 4 dell’art. 18. Pertanto fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di accesso al procedimento la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere emessa, salvo revoca delle misure. Rimangono valide le misure cautelari già concesse ai sensi dell’art. 54, comma 1, perché tali misure possono venir disposte anche dopo la pubblicazione dell’istanza di accesso alla composizione negoziata, tenuto conto dello stato delle trattative e delle misure protettive già concesse. 
Il legislatore non ha modificato l’art. 19 nei commi 4, che indica che l’esperto deve rendere il proprio parere sulla funzionalità delle misure richieste ad assicurare il buon esito delle trattative, e 6, che prevede che il tribunale in qualsiasi momento possa revocare le misure se non soddisfano l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiano sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti. Le finalità delle misure non sono pertanto mutate. Va inoltre sottolineato che l’art. 19, comma 4, prevede ora che l’esperto debba, nel rendere il proprio parere, rappresentare l’attività che intende svolgere ai fini dell’individuazione di una soluzione alla crisi d’impresa (la norma rinvia all’art. 12, comma 2). In questo modo il Tribunale può valutare adeguatamente le possibilità di realizzazione di questo obiettivo e l’idoneità delle misure protettive ad assicurare il buon esito delle trattative. 
Si è ormai formata, peraltro, un’ampia giurisprudenza di merito sui limiti che la concessione delle misure incontra. 
Il legislatore ha modificato in alcuni punti la disciplina del procedimento per quanto riguarda la presentazione della domanda e la notifica del provvedimento di fissazione dell’udienza di conferma delle misure ai creditori. Nulla è mutato in ordine alla competenza. Il ricorso va presentato al tribunale competente ai sensi dell’art. 27, che sarà ordinariamente il tribunale nel cui circondario il debitore ha il COMI, salvo i casi in cui è competente il tribunale sede della sezione specializzata dell’impresa e salvo i casi di composizione negoziata di gruppo (art. 25, comma 4). 
Nel termine, ora ridotto a venti giorni, dalla pubblicazione dell’istanza di concessione delle misure protettive e dell’accettazione dell’esperto nel registro delle imprese l’imprenditore deve chiedere la pubblicazione nel registro stesso del numero di ruolo generale del procedimento instaurato, al fine di garantire ai creditori la possibilità di opporsi alla conferma delle misure. L’omessa richiesta di pubblicazione del numero di ruolo è causa di cancellazione dell’istanza dal registro delle imprese, mentre la mancata richiesta di conferma è causa di inefficacia delle misure. L’unica modifica di questo regime, come si è detto, è rappresentata dalla riduzione del termine da trenta a venti giorni. 
I creditori sono ulteriormente garantiti dalla revisione della disciplina in ordine alla pubblicità del decreto di fissazione dell’udienza. L’art. 19, comma 3, prevede ora che entro il giorno successivo al suo deposito il decreto di fissazione dell’udienza sia trasmesso per estratto a cura del cancelliere all’ufficio del registro delle imprese ai fini della sua iscrizione da effettuarsi entro il giorno successivo. Tale formalità si aggiunge alla notifica a cura dell’imprenditore ai creditori. Il tribunale può prescrivere ulteriori forme di notifica ai sensi dell’art. 151 c.p.c. Il nuovo testo dell’art. 19, comma 3, rende tale provvedimento facoltativo. Quando l’adotta il Tribunale deve anche indicare i destinatari delle forme di notificazione che abbia ritenuto opportune. Può inoltre prevedere ulteriori disposizioni ritenute utili per la conoscenza del procedimento. 
È rimasta immutata la disciplina prevista in ordine alla cessazione degli effetti protettivi nel caso in cui il giudice non abbia fissato l’udienza ed ai limitati casi in cui l’istanza può essere riproposta. 
Unitamente al ricorso per la fissazione dell’udienza il ricorrente deve produrre i bilanci approvati degli ultimi tre anni e, in caso di mancata approvazione, i progetti di bilanci e la situazione economico-patrimoniale e finanziaria redatta non oltre i sessanta giorni anteriori alla presentazione della domanda. Va sottolineato che la previsione che i bilanci approvati possano essere sostituiti dai progetti di bilancio e dalla situazione economico-patrimoniale e finanziaria è figlia dell’analoga disposizione inserita nell’art. 17 con riguardo ai documenti che debbono essere allegati alla domanda di accesso alla composizione negoziata. In tal modo si pone rimedio al caso, che già si era verificato nella pratica, di impossibilità di approvazione dei bilanci per le ragioni più varie, ad esempio per dissenso tra i soci. Per i soggetti non tenuti alla redazione del bilancio è sufficiente la dichiarazione dei redditi e dell’Iva degli ultimi tre periodi di imposta. 
È stato anche modificato l’ultimo comma dell’art. 17, prevedendo che l’archiviazione del procedimento di composizione negoziata sia iscritto nel registro delle imprese in presenza di un’istanza di applicazione delle misure protettive e cautelari pubblicata sul medesimo registro. 
Quanto alla disciplina della proroga il comma 5 dell’art. 19 prevede ora che l’istanza possa essere presentata dal debitore e dalle parti interessate all’operazione di risanamento. Rispetto alla precedente formulazione, che faceva genericamente riferimento all’istanza delle parti, si è inteso chiarire che la legittimazione appartiene anche al solo debitore, come precisa la Relazione illustrativa[25]. La nuova formulazione sembrerebbe sul piano letterale attribuire legittimazione anche a tutti i soggetti coinvolti nell’operazione di risanamento, a cominciare dai terzi potenziali acquirenti dell’azienda. Questa lettura potrebbe essere suggerita, oltre che dal tenore letterale della norma, dalla revisione che lo schema di decreto correttivo ha operato dell’art. 4 in ordine ai doveri delle parti, chiarendo che i doveri di correttezza e buona fede si applicano oltre che al debitore e alle parti, a tutti i soggetti interessati, e che l’obbligo di leale collaborazione e l’obbligo di riservatezza si estendono a tutti i soggetti interessati alla regolazione della crisi e dell’insolvenza. 
Tuttavia occorre sottolineare che la composizione negoziata si avvia su impulso del debitore e non può proseguire nel caso in cui questi vi rinunci. Non pare quindi che vi possa essere legittimazione di soggetti terzi, per quanto interessati al buon fine delle trattative. Il riferimento alle parti interessate non può che riguardare la richiesta congiunta di debitore e creditori. Non è necessario ovviamente che si tratti di tutti i creditori, ma di quelli soltanto che sono interessati all’operazione di risanamento. 
Anche nel procedimento di proroga il parere dell’esperto deve ora indicare le future attività che egli porrà in essere ai fini del buon fine della negoziazione. 
Lo schema di correttivo ha precisato che la revoca delle misure protettive e cautelari può avvenire anche nel caso in cui è stata concessa la proroga. Il comma 6 dell’art. 19 prevede infatti ora il richiamo non soltanto del comma 4, ma anche del comma 5 relativo alla proroga. Si tratta peraltro di una correzione formale perché non si dubitava che la revoca potesse avvenire anche in questo caso. 
Il contenuto delle misure protettive nella composizione negoziata è definito dalla relativa nozione contenuta ora nell’art. 18, comma 3, e dalla definizione che di esse dà l’art. 2 CCII. I destinatari possono essere soltanto i creditori. Non vi è nella disciplina dettata dagli artt. 18 e 19 la previsione di misure protettive atipiche. 
Per quanto concerne invece le misure cautelari lo schema di decreto correttivo ha lasciato immutato l’art.19, comma 1, in forza del quale la richiesta delle misure cautelari, necessarie per condurre a termine le trattative, può avvenire soltanto con ricorso al Tribunale che può essere presentato congiuntamente alla richiesta di conferma delle misure protettive. Per quanto la norma non lo dica espressamente, pare evidente che le misure cautelari possono essere richieste anche successivamente, nel corso della composizione negoziata. 
L’art. 19 prevede quale soggetto legittimato alla richiesta delle misure cautelari soltanto l’imprenditore. Tuttavia lo schema di decreto correttivo lascia immutata l’ultima parte dell’art. 54, comma 1, che precisa che le misure cautelari possono essere richieste anche dopo la pubblicazione dell’istanza di composizione negoziata, ai sensi dell’art. 18, tenuto conto dello stato delle trattative e delle misure già concesse o confermate ai sensi dell’art. 19, siano esse misure cautelari richieste dall’imprenditore o protettive. 
Ne deriva che la legittimazione a chiedere le misure cautelari spetta anche ai creditori – l’art. 54, comma 1, fa riferimento all’istanza di parte. 
Dottrina e giurisprudenza hanno svolto un ampio lavoro di ricostruzione del possibile contenuto delle misure cautelari e delle misure protettive nella composizione negoziata. Si è osservato che le misure cautelari sono costruite secondo lo schema dell’art. 700 c.p.c. e quindi come provvedimenti anticipatori degli effetti del provvedimento di merito, nella specie gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e le procedure di insolvenza. L’art. 54, comma 1, amplia tuttavia, tale nozione alla “attuazione delle relative decisioni”. 
Il limite, di conseguenza, delle misure cautelari è rappresentato dall’impossibilità di imporre ai creditori o ai terzi, che pure possono essere destinatari della misura cautelare, un comportamento che esula da questi limiti e che potrebbe discendere da decisioni assunte soltanto sul piano negoziale. 
Per quel che riguarda l’imprenditore va però sottolineato che l’art. 19 si esprime diversamente dall’art. 54, comma 1. L’imprenditore infatti chiede l’adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative. Anche la definizione contenuta nell’art. 2, lett. q) considera, oltre agli effetti degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, delle procedure di insolvenza, l’attuazione delle relative decisioni, il buon esito delle trattative[26]. 
Vi è quindi spazio per un’interpretazione più ampia della nozione di misura cautelare, quando tale misura è disposta nell’ambito della composizione negoziata su istanza dell’imprenditore. Rimane ovviamente ferma la necessità che sussistano sia il fumus boni iuris che il periculum in mora secondo i principi generali, da valutare con riferimento all’obiettivo del buon esito delle trattative.
14.2 . Misure protettive e cautelari nell’accesso alle procedure
Gli articoli 54 e 55 sono stati in parte riscritti dallo schema di decreto correttivo. L’art. 54, comma 1, prevede che i provvedimenti cautelari possano essere richiesti in pendenza del procedimento per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, contemplando espressamente le ipotesi di domanda con riserva, regolata dall’art. 44, e di concordato liquidatorio semplificato, regolato dall’art. 25 sexies. L’istanza può essere presentata dalla parte e quindi anche dal debitore. È discusso in questo caso se la misura cautelare possa avere ad oggetto il divieto di azioni esecutive quando sia decorso il termine di dodici mesi previsto dall’art. 8 CCII su conforme limite stabilito dalla Direttiva Insolvency
La domanda può essere presentata anche in caso di domanda di accesso alla liquidazione giudiziale. E può essere presentata anche dopo la pubblicazione dell’istanza di misure protettive nella composizione negoziata da parte dell’imprenditore, in questo caso verosimilmente a richiesta del creditore, tenuto conto dello stato delle trattative e delle misure protettive già concesse o confermate. 
Anche la domanda di misure protettive può essere presentata nel caso di domanda di accesso al concordato semplificato liquidatorio. Il comma 2 dell’art. 54 fa ora, infatti, espresso riferimento all’art. 25 sexies
Le misure protettive possono essere richieste anche in caso di domanda con riserva. Il comma 2 dell’art. 54 per questa parte è rimasto immutato e indica genericamente la domanda ex art. 40, senza rinviare all’art. 44, come invece fa con riguardo alle misure cautelari il primo comma dell’art. 54. Tuttavia non vi sono ragioni per ritenere che il legislatore abbia inteso far luogo ad una disciplina più rigorosa, perché altrimenti sarebbe privo di senso quanto stabilito dal comma 5 dell’art. 54 in ordine alla conservazione delle misure protettive nel caso di mutamento dello strumento di regolazione oggetto della domanda con riserva, quando il debitore sin dall’inizio abbia indicato a quale tipo di strumento intendesse finalizzare tale domanda, mutando successivamente avviso[27]. 
Il contenuto tipico della misura protettiva rimane quello indicato dalla seconda parte del primo periodo dell’art. 54 e quindi la sospensione delle azioni esecutive e cautelari sul patrimonio e sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa (anche nella titolarità di terzi), con conseguente sospensione delle prescrizioni e impedimento delle decadenze. Ne segue anche il divieto di pronuncia della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza. 
Muta invece il momento a far tempo dal quale possono essere richieste le misure protettive atipiche, disciplinate dal secondo comma, ultima parte, dell’art. 54. In questo caso, infatti, come nella disciplina sin qui vigente tali misure rimangono dirette ad evitare che determinate azioni o condotte di uno o più creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell'insolvenza. Tuttavia, occorre che esse siano presentate dopo il deposito della proposta, del piano o degli accordi, unitamente alla documentazione prevista dall’art. 39. La richiesta delle misure atipiche non può quindi accompagnarsi ad una domanda con riserva. La ragione di tale innovazione è evidente: consentire al tribunale di verificare che la misura richiesta sia coerente con la proposta o con il piano. 
È rimasta immutata la disciplina del terzo comma dell’art. 54 che regola la presentazione della domanda di misure protettive nel caso del pre-accordo di ristrutturazione. 
Va registrata anche la modifica del sesto comma dell’art. 54, che riguarda la domanda presentata dall’amministratore di una procedura di insolvenza transfrontaliera. Non viene cambiata la disciplina, ma viene eliminato il riferimento, all’indicazione nella domanda del carattere concorsuale della procedura unionale rispetto alla quale l’amministratore garantisce l’effettivo e imminente soddisfacimento non discriminatorio di tutti i creditori. Si è infatti cancellato l’aggettivo non tanto in ossequio al criterio seguito dal legislatore del Correttivo di non fornire alcun indizio in ordine alla natura, concorsuale o meno, delle procedure, ma perché, come osserva la Relazione illustrativa, non è detto che tutte le procedure aperte negli Stati membri e riconosciute in Italia in forza del Regolamento 848/2015 abbiano carattere concorsuale[28]. 
Le modifiche al rito, contenute nell’art. 55, sono limitate. 
Si è precisato nel primo comma che preferibilmente le udienze di conferma delle misure si svolgono davanti al giudice relatore in videoconferenza. Ciò dovrebbe favorire la partecipazione di un maggior numero di creditori. 
Nel secondo comma che regola il procedimento per cui la misura può essere disposta con decreto e confermata nell’udienza di comparizione delle parti, si è aggiunto che questa disciplina si applica nel solo caso in cui si tratti di misure atipiche. La ragione sta nel fatto che per le misure protettive tipiche, richieste con l’istanza ex art. 40 CCII, siano esse contestuali o meno all’istanza, il terzo comma dell’art. 55, rimasto immutato, prevede che il giudice, assunte se del caso sommarie informazioni, conferma o revoca la misura entro trenta giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese con decreto nei cui confronti è previsto il reclamo disciplinato dall’art. 669 terdecies c.p.c. Il terzo comma in questione, tuttavia, continua a riferirsi al primo e secondo periodo del comma 2 dell’art. 54, mentre in realtà, come rileva correttamente il comma 2 dell’art. 55, si tratta ormai del primo e del terzo periodo dell’ora menzionato comma 2 dell’art. 54. 
Per il resto le ulteriori regole contenute nell’art. 55 non sono state oggetto di modificazioni.
15.1 . Profili generali
Il regime del sovraindebitamento non ha subito modificazioni nel suo impianto generale da parte dello schema di decreto correttivo, ad eccezione dell’espressa previsione, contenuta nell’art. 65, comma 2, che per quanto non espressamente previsto dalle norme in tema di concordato minore e di procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore, richiama la disciplina del titolo III del codice relativa al procedimento unitario, salvo però l’art. 44 e quindi la domanda con riserva. È importante sottolineare che il procedimento unitario si applica anche alle procedure in materia di sovraindebitamento. 
Il mancato richiamo dell’art. 44 non significa che la procedura con riserva non si applichi alle procedure in materia di sovraindebitamento. Occorre però guardare ad una diversa sedes materiae e quindi all’art. 271, che regola il concorso tra le procedure di sovraindebitamento. Si prevede che il debitore, ove il creditore abbia presentato istanza di liquidazione controllata, può presentare entro la prima udienza una domanda di accesso ad una procedura di cui al capo II del Titolo IV, quindi ristrutturazione dei debiti del consumatore o concordato minore, o chiedere un termine per presentarla. Il termine non può essere superiore a sessanta giorni, prorogabile su istanza del debitore e per giustificati motivi per ulteriori sessanta. 
Nelle more non può essere aperta la liquidazione controllata ed il giudice, ad istanza del debitore, può concedere le misure protettive previste dagli artt. 70, comma 4, e 78, comma 2, rispettivamente per la ristrutturazione dei debiti del consumatore e per il concordato minore. Se il termine concesso dal Tribunale scade senza che la domanda sia stata presentata dal debitore, oppure quando la procedura conservativa non viene aperta o cessa, il Tribunale provvede sulla domanda di liquidazione controllata avanzata dal creditore. 
La Relazione illustrativa[30] spiega perché nell’art. 271 sia stato soppresso il richiamo agli articoli da 51 a 55 con riferimento alla pronuncia della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. È infatti ivi richiamato l’art. 65 e il rinvio ivi contenuto alla disciplina del titolo III che in via generale stabiliscono l’applicabilità del procedimento unitario. L’art. 270 nel regolare il procedimento per l’apertura della liquidazione controllata a sua volta richiama espressamente le sezioni II e III del Titolo III e quindi gli articoli da 51 a 55. 
Per il concordato minore rimane la previsione dell’art. 74, comma 4, che stabilisce che per quanto non previsto dalla disciplina specifica dettata per tale procedura si applicano le norme del capo III del Titolo IV in quanto compatibili e quindi, la disciplina del concordato preventivo. 
Va poi ricordato che per le start up innovative diverse dalle imprese minori l’art. 37 consente l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e l’apertura della liquidazione giudiziale, ma soltanto su istanza del debitore. La Relazione illustrativa rileva che la possibilità di accedere volontariamente ad uno degli strumenti previsti per le imprese c.d. “non minori”, se ritenuti più efficaci per la risoluzione della crisi è volta ad agevolare ed aumentare i possibili percorsi di risanamento di imprese che, pur essendo nelle fasi iniziali dell’attività svolta, possono essere di dimensioni o rilevanza tali da richiedere l’utilizzo di procedure maggiormente strutturate. 
Sempre tra le norme di carattere generale, che riguardano tutte le procedure di sovraindebitamento, va ricordata la facoltà, attribuita agli OCC, al fine della redazione delle relazioni da accompagnare alla domanda di accesso del debitore, di accedere ai dati contenuti nell'anagrafe tributaria, compresa la sezione prevista dall'art. 7, sesto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605, nei sistemi di informazioni creditizie, nelle centrali rischi e nelle altre banche dati pubbliche, ivi compreso l'archivio centrale informatizzato di cui all'articolo 30 ter, comma 2, del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141[31]. 
La norma reintroduce, aggiornandola, la previsione già contenuta nell’art. 15, comma 10, della legge 3/2012 sull’accesso alle banche dati, non inserita nel codice della crisi. 
L’accesso è necessario all’OCC per attestare la completezza e veridicità della documentazione allegata alla domanda e garantire il buon esito della procedura[32].
15.2 . Procedure familiari
Lo schema di correttivo ha riscritto il primo comma dell’art. 66 usando una terminologia più precisa dal punto di vista processuale. In luogo dell’unico progetto di risoluzione della crisi da sovraindebitamento presentato dai membri della stessa famiglia se conviventi o quando il sovraindebitamento ha un’origine comune, si fa riferimento all’unica domanda di accesso alle procedure previste dall’art. 65, comma 1, ferme restando le condizioni già ricordate. 
Il secondo periodo del comma 1 dell’art. 66 dispone, in coerenza, secondo la Relazione illustrativa[33], con la natura e funzione della procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore - disciplinata dalla Sezione II dello stesso Capo -, che se uno dei debitori appartenenti alla stessa famiglia non è un consumatore tale procedura non può essere utilizzata. 
Il testo precedente della norma stabiliva che al progetto unitario dovesse applicarsi la sezione III del Capo II e quindi la disciplina del concordato minore. Non pare che le modificazioni intervenute portino a diverse conclusioni. È tuttavia richiamato il solo art. comma 5 dell’art. 67, in ordine al subentro nei mutui ipotecari sull’abitazione principale se non vi sono rate non pagate o se vi è autorizzazione del giudice. 
Viene inoltre stabilito, con l'inserimento di un ultimo periodo al primo comma dell’art. 66, che è possibile per i membri della stessa famiglia accedere alla liquidazione controllata anche se uno o più componenti si trovano nelle condizioni di incapienza previste dall'art. 283 ai fini dell’esdebitazione del sovraindebitato incapiente. 
Quest’ultima modifica va letta congiuntamente alla previsione dell’art. 268, comma 3, di consentire l’apertura della liquidazione controllata su istanza del creditore nei confronti del debitore incapiente soltanto quando questi non sollevi la relativa eccezione entro la prima udienza, e di legare l’apertura della liquidazione in caso di istanza del debitore all’attestazione dell’OCC che è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori, anche mediante esercizio di azioni giudiziarie. 
L’art. 66 richiama l’art. 268, comma 3, quarto periodo e pertanto l’istanza di accesso da parte dei membri della stessa famiglia è possibile, anche nel caso in cui alcuni di essi siano incapienti, quando per almeno uno di essi l’OCC attesta nella sua relazione che è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori, anche mediante esercizio di azioni giudiziarie.
15.3 . Ristrutturazione dei debiti del consumatore
Lo schema di decreto correttivo ha introdotto modificazioni soprattutto di carattere processuale, riscrivendo integralmente alcuni commi degli artt. 69 e ss. per consentirne una miglior lettura. Vi sono anche modifiche di carattere sostanziale che tuttavia non alterano in modo particolare le caratteristiche della procedura riservata al consumatore. 
Prescindendo dalle rettifiche di carattere formale, vanno ricordati: 
- l’allineamento della disciplina delle comunicazioni ai creditori che sono ora regolate con rinvio all’art. 10 del codice, e quindi alla norma generale sulle comunicazioni. 
- la possibilità di concessione al debitore del termine di quindici giorni per apportare integrazioni al piano depositato e produrre nuovi documenti (art. 70, comma 1); 
- la previsione espressa che, nel caso di crediti privilegiati o garantiti, la proposta possa prevedere una moratoria fino a due anni per il pagamento, con riconoscimento degli interessi legali (art. 67, comma 4). La moratoria era prevista dalla legge 3/2012 sino ad un anno e non era stata ripresa nel codice. 
- la regolazione dell’impugnazione del decreto di inammissibilità pronunciato dal giudice monocratico per mezzo del reclamo al tribunale e il chiarimento della competenza del tribunale, che in caso di accoglimento dovrà rimettere gli atti al giudice monocratico per l’adozione dei provvedimenti conseguenti (art. 70, comma 1). 
Per evitare che il tribunale provveda su materie di competenza del giudice monocratico si dispone che nel giudizio di reclamo la proposta e il piano non possono essere modificati e che il procedimento è regolato dagli artt. 737 e ss. c.p.c. 
- la revisione del meccanismo di liquidazione del compenso all’OCC con rinvio al d.m. Giustizia 24.9.2014, n. 202 e la previsione, prima mancante, della possibilità di acconti sul compenso, soltanto in caso di esecuzione di un progetto di riparto parziale (art. 71, comma 4). Si è aggiunta la previsione che, quando il piano non è stato interamente e correttamente eseguito, il compenso dell’OCC è liquidato in base all’attività svolta (art. 71, comma 5). 
- è diversamente regolato rispetto alla disciplina previgente il passaggio dalla procedura di ristrutturazione alla liquidazione controllata. La revoca della sentenza di omologazione può avvenire anche su istanza dell’OCC, oltre che di un creditore, del PM o di qualsiasi altro interessato. È stata soppressa la previsione che la revoca potesse essere disposta d’ufficio. Si trattava infatti di norma non in linea con l’avvenuta soppressione nel codice del potere di iniziativa d’ufficio del giudice. 
È stata anche soppressa la previsione che l’OCC dovesse segnalare al giudice ogni fatto rilevante ai fini della revoca (art. 72, comma 3) perché non in linea con l’abrogazione del potere d’iniziativa d’ufficio e con l’attribuzione all’OCC del potere di chiedere la revoca. 
L’apertura della liquidazione controllata segue alla revoca soltanto su domanda dei soggetti legittimati, come già prevedeva l’art. 73, ma il relativo potere di iniziativa è riconosciuto ai creditori, anche al di fuori dei casi di frode o inadempimento. In tali ultime ipotesi all’iniziativa del debitore e dei creditori si aggiunge quella del PM. Ci pare peraltro che il potere di iniziativa del PM in caso di inadempimento sia norma sovrabbondante non essendovi un interesse pubblico da tutelare al di fuori dei casi di frode. 
Va sottolineato, come rileva la Relazione illustrativa, che la chiara distinzione tra il procedimento di revoca dell’omologazione e l’apertura della liquidazione controllata risolve il problema della competenza a provvedere, posto che la revoca è di competenza del giudice monocratico, mentre la liquidazione controllata è di competenza del tribunale in composizione collegiale. 
15.4 . Concordato minore
Nel definire le condizioni di accesso alla procedura ed i presupposti sostanziali l’art. 74 chiarisce che nel caso di concordato liquidatorio esso è ammissibile quando le risorse esterne aumentano in misura apprezzabile l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda, chiarendo il concetto di apprezzabile soddisfacimento dei creditori prima contenuto nella norma. 
Nel comma 3 dell’art. 74 viene eliminata l’affermazione di carattere generale del contenuto libero della proposta, riportando le condizioni, senza mutamenti di carattere sostanziale, al linguaggio utilizzato dal legislatore nel concordato preventivo. Si richiede pertanto il soddisfacimento parziale dei crediti in qualsiasi forma e si precisa che la proposta indica in modo specifico le modalità ed i tempi di adempimento. 
Si chiarisce inoltre che l’unico caso di classi obbligatorie, restando altrimenti la loro formazione facoltativa, è nell’ipotesi di creditori titolari di garanzie nei confronti dei terzi. 
Quanto alla prosecuzione dei contratti di mutuo in corso al momento della presentazione della domanda il comma 2 bis dell’art. 75 consente al debitore persona fisica di essere autorizzato dal giudice a proseguire nel pagamento del mutuo con garanzia reale gravante sull’abitazione principale, analogamente a quanto avviene nella ristrutturazione dei debiti del consumatore. La disposizione intende così consentire il salvataggio dell'abitazione principale anche nel concordato minore eliminando una ingiustificata disparità di trattamento con la procedura riservata al consumatore. 
È stato ritoccato anche il comma 3 dell’art. 75 nel caso di mutuo con garanzia gravante su beni strumentali, eliminando il riferimento con riguardo alla continuazione dell’attività al fatto che si trattasse di attività aziendale, e precisando invece che i beni oggetto della garanzia possono essere strumentali oltre che all’esercizio dell’impresa all’esercizio dell’attività professionale. Si è in sostanza precisato il contenuto della norma per eliminare un’evidente disparità di trattamento nel caso di prosecuzione dell’attività professionale, disparità che avrebbe peraltro potuto essere superata anche sul piano interpretativo. 
La disciplina della presentazione della domanda e, soprattutto, dell’attività dell’OCC è stata ritoccata. Nel primo comma dell’art. 76 si è rimediato all’erroneo rinvio per quanto concerne i soggetti legittimati, in alternativa all’OCC, a presentare la domanda di concordato minore, ai gestori della crisi anziché agli iscritti nel registro degli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento istituito dal D.M. 202/2014. Si trattava peraltro di errore evidente, posto che il D.M. era già citato nel testo ora corretto. 
Nella relazione particolareggiata dell’OCC debbono essere ora indicati anche gli atti in frode eventualmente compiuti dal debitore. La modifica va letta in relazione alla previsione dell’art. 77 che il Tribunale dichiari inammissibile la domanda, tra le altre ipotesi, quando risultano commessi atti in frode, circostanza di cui altrimenti il giudice non potrebbe avere agevole cognizione. 
È poi previsto che l’OCC si pronunci anche sulla fattibilità del piano, rendendo in tal modo questa disciplina più completa ed analoga a quanto previsto per la relazione del professionista indipendente nel concordato preventivo (art. 87, comma 3). 
La relazione dell’OCC non deve più indicare la percentuale, le modalità e i tempi di soddisfacimento dei creditori e i criteri adottati nella formazione delle classi, perché tali requisiti sono ora previsti, più propriamente, nel contenuto della domanda. 
Come nel procedimento riservato al consumatore, anche nel concordato minore si è previsto (art. 78) che il tribunale possa concedere al debitore un termine non superiore a 15 giorni per portare modificazioni al piano e produrre documenti. Si è inoltre regolata la pronuncia di inammissibilità della domanda sulla quale il giudice provvede con decreto reclamabile avanti al tribunale. Anche in questo caso si precisa che nel giudizio di reclamo la proposta e il piano non possono essere modificati e che il procedimento è regolato dagli artt. 737-738 c.p.c. In caso di accoglimento del reclamo il tribunale gli atti al giudice per i provvedimenti conseguenti. La Relazione governativa osserva che in questo modo si chiarisce la competenza del giudice monocratico sull’apertura della procedura e si evitano interpretazioni che onerano il giudice del reclamo dell’adozione di misure e di decisioni che non sono sue proprie, in contrasto con i criteri di efficienza che devono ispirare le procedure in esame[34]. 
Come si è già osservato con riferimento alla ristrutturazione dei debiti del consumatore la ragione principale di queste modifiche sta nella necessità di evitare che il tribunale provveda su materie di competenza del giudice monocratico. 
La previsione dell’art. 78 in ordine all’adozione da parte del giudice di misure protettive in sede di ammissione del debitore alla procedura è stata meglio regolata, con la riscrittura della lettera d) del comma 2 della norma, che ora precisa che le prescrizioni rimangono sospese, le decadenze non si verificano e non può essere pronunciata la sentenza di apertura della liquidazione controllata. La disciplina è quindi del tutto analoga quanto agli effetti della misura protettiva a quella prevista dagli artt. 54-55 del codice. La norma considera espressamente anche le procedure cautelari, oltre a quelle esecutive, che prima non erano menzionate. La Relazione illustrativa[35] avverte che è stato soppresso il richiamo alla nullità delle azioni promosse o proseguite, prevista dal vecchio testo. Il silenzio della norma consente quindi di ritenere che le azioni promosse nonostante il divieto siano inammissibili e quelle proseguite improcedibili. 
Anche nel concordato minore, come nella procedura di ristrutturazione del consumatore, si rinvia per le comunicazioni ai creditori alla disciplina dettata dall’art. 10 del codice in generale. 
Come già nella procedura riservata al consumatore nell’art. 80 sparisce nella disciplina del giudizio di omologazione il riferimento al controllo della fattibilità giuridica. Il controllo, come in tutte le altre sedi in cui è demandato al tribunale, è sulla fattibilità senza ulteriori limitazioni. 
Nel giudizio di revoca della sentenza di omologazione la riscrittura dell’art. 82 ha inteso, come nella procedura riservata al consumatore, eliminare la revoca d’ufficio, attribuire la legittimazione all’OCC, che non è più tenuto a segnalare al giudice ogni fatto rilevante ai fini della revoca, essendo già titolare in proprio della legittimazione a proporre il giudizio. 
L’espunzione dal primo comma dell’art. 82 al fatto che il giudice provvede nel contraddittorio delle parti discende dalla superfluità della norma, essendo il contraddittorio imposto in via generale dall’art. 24 Cost. e dal rischio che se ne potessero ricavare a contrario[36] conclusioni abnormi per altri casi. È stato anche eliminato il riferimento allo scambio di memorie, essendo stabilito che il giudice provvede sentite le parti. 
L’apertura della liquidazione controllata dopo la revoca della sentenza di omologazione è regolato dall’art. 83 secondo criteri identici a quelli adottati per la procedura di ristrutturazione del consumatore: separare il giudizio di revoca, di competenza del giudice monocratico, dall’apertura della liquidazione controllata, prevedere la legittimazione a chiederne l’apertura in capo al creditore secondo i principi generali dettati per tale ultima procedura, non limitandola ai casi di frode o inadempimento. Il testo modificato dell’art. 83 elimina ovviamente il riferimento ad una procedura di conversione del concordato minore in liquidazione controllata, posto che tale regime, che era previsto dalla legge 3/2012 e che aveva in parte carattere sanzionatorio, è stato abolito e sostituito dal meccanismo revoca e successiva apertura, su istanza dei soli soggetti legittimati, della liquidazione controllata.
16.1 . Liquidazione giudiziale - Generalità. Domicilio digitale e comunicazioni. Organi
Le modificazioni della disciplina della liquidazione giudiziale sono più limitate di quanto ha riguardato gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Lo schema di decreto legislativo, come già si è detto, ha modificato la rubrica del Titolo V che nel capo XI contiene anche la disciplina della liquidazione controllata. La rubrica riguarda ora sia la liquidazione giudiziale che la liquidazione controllata e da questa modifica si potranno trarre argomenti, in sede interpretativa, per inferirne una visione coordinata dei due istituti. 
Non vi sono mutamenti per quel che concerne i presupposti di accesso alla procedura di liquidazione giudiziale e le varie fasi in cui essa si articola. Per quanto riguarda gli organi va rilevato che è stato precisato (art. 126) che il curatore al momento dell’accettazione dell’incarico deve verificare la disponibilità di tempo e di risorse professionali e organizzative adeguate al tempestivo svolgimento di tutti i compiti connessi all’espletamento della funzione, dandone atto nell’accettazione. La mancata attestazione in tal senso è causa di revoca immediata dall’incarico al pari della mancata tempestiva accettazione nel termine di due giorni dalla comunicazione. L’espressa previsione dell’obbligo di un’adeguata organizzazione allo svolgimento dell’incarico potrà costituire un elemento di valutazione delle eventuali responsabilità del curatore in caso di ritardi o inadempimenti. 
Nella disciplina della responsabilità del curatore, regolata dall’art. 136, è stato eliminato il riferimento all’art. 233, comma 2, in luogo dell’art. 234 trattandosi dell’obbligo di rendere il conto della gestione al termine dei giudizi e delle altre operazioni che non impediscono la chiusura. Nello stesso modo è stato modificato l’art. 137, sempre rinviando all’art. 234, nel caso di compenso integrativo per l’attività successiva alla chiusura della liquidazione giudiziale. 
Il curatore deve anche comunicare telematicamente alla cancelleria e all’ufficio del registro delle imprese il domicilio digitale della procedura. Va infatti tenuto conto che l’art. 199 è stato modificato, sempre dallo schema di Correttivo, ed è venuta meno l’assegnazione del domicilio digitale della procedura da parte della cancelleria. È stata confermata la disciplina che era stata introdotta dall’art. 38, comma 4, del D.L. n. 13 del 2023 convertito con modificazioni, dalla legge n. 41 del 2023. 
L’art. 126, comma 2, prevede ora che, intervenuta l’accettazione, il curatore comunica telematicamente alla cancelleria e al registro delle imprese il domicilio digitale della procedura da lui attivato. 
Come si è accennato, con la modifica dell’art. 10 è venuta meno anche l’attivazione del domicilio digitale dei creditori da parte degli organi della procedura. Le comunicazioni cui tali organi sono tenuti sono effettuate al domicilio digitale risultante dagli elenchi ufficiali (cfr. art. 10). I creditori e i titolari di diritti sui beni, che non abbiano la disponibilità del domicilio digitale hanno l’onere di comunicare agli organi della procedura l’indirizzo PEC al quale intendono ricevere le comunicazioni. 
Tutte le comunicazioni tra organi della procedura, creditori e titolari di diritti sui beni avvengono ormai in questo modo. 
A tale proposito l’art. 200, relativo all’avviso ai creditori e agli altri soggetti interessati della data fissata per l’esame dello stato passivo e delle altre informazioni relative, precisa che la comunicazione è effettuata al domicilio digitale per i soggetti che ne sono muniti e, altrimenti, mediante lettera raccomandata alla residenza o al domicilio del destinatario. È stato precisato che per i creditori con sede o residenza in uno Stato dell’UE la comunicazione contiene le informazioni richieste dall’art. 54 del Regolamento 848/2015 in materia di insolvenza transfrontaliera e include la copia del modulo uniforme per i crediti, previsto da detto regolamento. 
Anche per la domanda di insinuazione l’art. 201 prevede che si applica l’art. 10, comma 3, per le comunicazioni. La mancata indicazione dell’indirizzo PEC o della sua variazione comporta il deposito di ogni atto destinato al creditore nel fascicolo informatico. 
Si è precisato che il ricorso deve contenere, se del caso, oltre che la menzione dei crediti garantiti da ipoteca, anche di quelli garantiti da pegno, ipotesi che era stata oggetto di omissione nel testo precedente. 
In conformità a quanto si è osservato in ordine all’abolizione del deposito degli atti in cancelleria anche l’art. 203 è stato modificato sopprimendo il riferimento al deposito del progetto di stato passivo in cancelleria. Ora avverrà mediante inserimento nel fascicolo telematico. Uguale modifica riguarda lo stato passivo definitivo (art. 204). 
Anche il debitore persona fisica e gli amministratori e liquidatori della società o ente in liquidazione giudiziale debbono comunicare il proprio indirizzo PEC. Diversamente tutte le comunicazioni sono effettuate mediante deposito nel fascicolo informatico. Questo regime vale anche per le variazioni del domicilio. 
Gli obblighi di comunicazione per gli amministratori e liquidatori erano previsti dall’art. 149 e sono ora inseriti nella norma generale di cui all’art. 10. L’art. 149 continua, tuttavia, a prevedere che il debitore persona fisica, gli amministratori e liquidatori siano tenuti a indicare al curatore la residenza ovvero il domicilio e ogni cambiamento dello stesso. 
Sempre per quanto riguarda gli adeguamenti alle concrete funzionalità del processo civile telematico è stato modificato l’art. 131. Il mandato di pagamento, emesso dal giudice, non deve essere sottoscritto anche dal cancelliere. I mandati sono infatti atti nativi digitali sottoscritti digitalmente dal giudice delegato e depositati nel fascicolo informatico la cui integrità a provenienza è assicurata senza che vi sia la necessità della firma digitale del cancelliere. 
Tornando agli organi della procedura, per quanto concerne il comitato dei creditori è stato introdotto l’istituto del silenzio assenso per i pareri non vincolanti. Il parere s’intende favorevole se non viene comunicato entro 15 giorni dal pervenimento della richiesta al suo presidente o dal termine più breve assegnato dal curatore in caso di urgenza. Permane la possibilità che, al di fuori delle ipotesi di silenzio-assenso, il giudice delegato possa sostituirsi al comitato nei casi espressamente considerati dalla norma (art. 140, comma 4). 
16.2 . Stato passivo. Programma di liquidazione. Vendite e Riparto. Chiusura
Oltre a quanto si è già osservato con riguardo alle comunicazioni ai creditori, vanno indicate alcune modifiche di rilievo. Si afferma anzitutto il diritto del debitore di intervenire nel procedimento di accertamento del passivo quando abbia ad oggetto domande di rivendicazione e restituzione. A tale diritto corrisponde anche il potere di impugnazione (art. 206, comma 5). 
Per quanto concerne le impugnazioni la fissazione dell’udienza può avvenire con decreto del giudice delegato alla trattazione, al fine di semplificare gli adempimenti (art. 207, comma 3). Si è previsto, con il comma 11 bis, che il giudice esercita tutti i poteri intesi al più leale e sollecito svolgimento del procedimento, concedendo tuttavia, se necessario, termini per il deposito di note difensive. Si è inoltre regolata l’ipotesi della transazione sul credito oggetto di impugnazione, sinora oggetto di prassi, stabilendo che in caso di transazione autorizzata il Collegio dispone la modifica dello stato passivo in conformità (art. 207, comma 13) e, ancora, all’esito dell’impugnazione il curatore provvede alla conforme modifica dello stato passivo nei trenta giorni successivi alla comunicazione del provvedimento. Con tale ultima disposizione si intende incoraggiare la curatela ad aggiornare lo stato passivo tempestivamente rispetto alla definizione dell’impugnazione[37]. 
L’adozione del provvedimento che, in caso di previsione di insufficiente realizzo, dispone che non si faccia luogo all’accertamento del passivo, è stata modificata affidando il relativo provvedimento al giudice delegato in luogo del Tribunale e prevedendo che il reclamo sia conseguentemente proposto al Tribunale medesimo in formazione collegiale anziché alla Corte di appello. 
Le modifiche al programma di liquidazione (art. 213) evidenziano nel primo comma quanto era già previsto dal comma 7 e cioè che il programma debba essere trasmesso dal curatore al giudice delegato perché questi ne autorizzi la presentazione al comitato dei creditori per l’approvazione. Si precisa anche che il comitato dei creditori può proporre modifiche al programma presentato. È stato modificato il comma 2 dell’art. 213 lasciando in questa norma soltanto la previsione del potere del curatore di rinunciare, previa autorizzazione del comitato dei creditori, a liquidare uno o più beni, se la liquidazione appare manifestamente non conveniente. La rinuncia all’acquisizione di beni rimane regolata dal solo art. 142, comma 3, richiamato dall’art. 213, senza però che a questa ripartizione della disciplina conseguano modifiche di carattere sostanziale dei poteri del curatore e del regime autorizzatorio. La ragione della disciplina differenziata sta nel fatto che la decisione di non acquisire beni costituisce esercizio di una facoltà generale che può dipendere da esigenze che possono sorgere anche in un momento diverso da quello della redazione del programma di liquidazione[38]. 
Il testo dell’art. 213 è stato inoltre modificato per chiarire meglio la disciplina della durata massima della liquidazione che viene fissata in cinque anni ed è stabilita dalla legge, sì che non dipende dalle modalità del programma di liquidazione. Di conseguenza il mancato rispetto di tale termine massimo non viene valutato ai fini della revoca del curatore perché le attività di liquidazione possono essere ostacolate da molteplici fattori, alcuni dei quali non dipendono dalla diligenza del curatore. Il termine di cinque anni può essere differito dal giudice delegato in caso di particolare complessità o difficoltà delle vendite. Quando il curatore ha rispettato il termine originario o differito nel calcolo della durata del procedimento ai fini del giusto processo, secondo la legge Pinto (legge 89/2001), non si tiene conto del termine originario di cinque anni o di quello differito. 
La modifica dell’art. 215 esplicita che il curatore può cedere, oltre alle azioni revocatorie, le azioni risarcitorie e le azioni recuperatorie. Come si è già osservato in precedenza, la norma è stata modificata anche per cancellare la precisazione del testo preesistente che indicava che le azioni revocatorie erano le azioni revocatorie concorsuali, posto che il curatore può esperire anche l’azione revocatoria ordinaria. 
La disciplina delle vendite è stata modificata correggendo l’art. 213 dove prevedeva che per i beni immobili il curatore dovesse porre in essere almeno tre esperimenti di vendita all’anno. La norma è stata giudicata troppo rigorosa e foriera di provocare non la tempestiva liquidazione degli immobili, ma la loro svendita. Si stabilisce quindi che si ponga in essere almeno un esperimento di vendita il primo anno e due per gli anni successivi. 
Lo schema di correttivo ha ritoccato l’art. 227 relativo alle ripartizioni parziali escludendo che si debbano effettuare accantonamenti relativi alle ammissioni provvisorie (nel linguaggio del vecchio testo della norma misure cautelari) che sono istituto non più previsto nel codice. 
È stato corretto l’art. 231 laddove prevedeva il deposito del rendiconto del curatore in cancelleria anziché l’inserimento, secondo la disciplina generale, nel fascicolo della procedura. 
La prosecuzione della procedura dopo la chiusura è ora consentita, grazie alla modifica dell’art. 234, comma 1, dall’esistenza di crediti nei confronti di altre procedure per i quali si è in attesa del riparto. È stata apportata una modificazione anche all’art. 235 per chiarire che il rapporto riepilogativo finale del curatore, redatto ai fini della chiusura ed allegato alla relativa iRelstanza è strumentale anche all’accertamento da svolgersi in sede di esdebitazione. L’art. 236 è stato opportunamente modificato per chiarire che gli effetti della liquidazione giudiziale cessano con la chiusura, eccezion fatta per quanto previsto per le ipotesi in cui l’art. 234 consente la prosecuzione. Rimane quindi ancor più evidenziata la natura del tutto particolare del provvedimento di chiusura, che non ha realmente carattere conclusivo e rappresenta, a nostro avviso, soprattutto uno strumento per evitare che si verifichino gli effetti propri della violazione del termine di ragionevole durata del procedimento. 
L’art. 234, comma 4, prevede ora che non soltanto la sentenza con cui il credito è stato ammesso allo stato passivo, sentenza che è dotata di efficacia soltanto endofallimentare, costituisca prova scritta per l’emanazione del decreto ingiuntivo dopo la chiusura della liquidazione giudiziale, ma che uguale efficacia debba essere riconosciuta anche al decreto emesso nel giudizio di impugnazione dello stato passivo pendente al momento dell’omologazione del concordato nella liquidazione giudiziale. L’art. 246 prevede infatti che il giudizio di opposizione si interrompa con l’omologazione del concordato e debba essere riassunto nei confronti del debitore per concludersi nelle forme del giudizio ex art. 207 CCII.
16.3 . Revocatorie. Contratti pendenti
La disciplina delle azioni revocatorie subisce con lo schema di decreto correttivo un’unica rilevante modificazione che riguarda le ipotesi di esenzione. È stato infatti modificato l’art. 166, comma 3, lett. e) che riguarda ora gli atti, i pagamenti e le garanzie sui beni del debitore posti in essere anche in esecuzione oltre che del concordato preventivo, degli accordi di ristrutturazione e del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, anche i medesimi atti posti in essere in esecuzione del concordato liquidatorio semplificato disciplinato dall’art. 25 sexies del codice. Anche in questo caso l’atto dovrà essere indicato dal piano. Non si è previsto invece che l’esenzione operi anche per gli atti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda, come invece avviene nel caso del concordato preventivo e degli accordi. 
È stato modificato anche il secondo comma dell’art. 170 che stabilisce i limiti temporali alle azioni revocatorie e d’inefficacia. La previsione che i termini regolati dagli artt. 163, 164 e 166, commi 1 e 2, e 169 (periodo sospetto) decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di accesso non viene più riferita genericamente alla proposizione di una procedura concorsuale, ma alla domanda di accesso ad uno strumento di composizione della crisi e dell’insolvenza, anche con riserva di deposito della proposta, del piano e degli accordi. 
Nella disciplina dei contratti pendenti vi è un’innovazione di qualche rilievo. 
La tutela del promissario acquirente nel contratto di vendita di immobili da costruire è stata ampliata con significative modifiche dell’art. 173. Lo schema di Correttivo ne chiarisce l’ambito applicativo assicurando idonea protezione al promissario acquirente di immobile ad uso abitativo o di immobile destinato a sede principale della attività di impresa nell’ottica di un bilanciamento con i contrapposti interessi dei creditori che hanno finanziato l’impresa costruttrice. 
La prima e più significativa modifica è rappresentata dal riconoscimento dell’opponibilità ai creditori di tutte le somme versate al debitore prima dell’apertura della procedura (e non più soltanto della metà dell’importo). Tale agevolazione è bilanciata, a tutela degli interessi dei creditori, dalla condizione che i pagamenti degli acconti siano avvenuti con mezzi pienamente tracciabili. 
Nel comma 4 si chiarisce, infatti, che quando il curatore subentra gli acconti sul prezzo sono opponibili ai creditori solo se corrisposti con mezzi tracciabili e si migliora la disposizione che prevede la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli presenti sul bene prevedendo espressamente che il giudice delegato, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, ordina con decreto la cancellazione dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo nonché delle ipoteche iscritte sull’immobile, così superando la dibattuta questione sulla natura della vendita, se negoziale o forzata. 
È stato inoltre chiarito che il promissario acquirente chiede l’esecuzione del contratto nelle forme dell’insinuazione al passivo. L’espressa indicazione che ciò avviene nei termini e non nel termine previsto per l’insinuazione al passivo comporta che la domanda del promissario possa essere proposta anche in via tardiva. Con l’accoglimento della domanda il curatore subentra nel contratto. Diversamente il contratto si scioglie e il bene può essere liquidato in sede di procedura. 
Per evitare abusi ai danni dei creditori ipotecari, che a seguito del subentro del curatore, possono realizzare la propria garanzia limitatamente alla parte di prezzo non versata, è loro consentito di contestare la congruità del prezzo di vendita stabilito nel contratto sottoscritto con il debitore purché dimostrino una sproporzione di almeno un quarto tra il prezzo in parola ed il valore del bene alla data del contratto. Lo strumento per proporre tale contestazione è quello delle opposizioni al passivo, considerato che il creditore ipotecario deve ottenere un accertamento che richiede un’attività istruttoria non compatibile con la fase di verifica dei crediti innanzi al giudice delegato. 
Se la sproporzione è dimostrata nel corso dell’impugnazione, il contratto di scioglie ed il bene verrà liquidato dal curatore, a meno che il promissario acquirente non lo impedisca offrendo la differenza di valore accertata. 
16.4 . Rapporti di lavoro. Trasferimento di azienda
L’art. 189 che regola le sorti dei rapporti di lavoro è stato integralmente riscritto, tenendo conto dell’esigenza di tutelare i lavoratori dipendenti e delle peculiarità della liquidazione concorsuale dove l’impresa è insolvente e l’attività non può continuare se non nelle forme dell’esercizio c.d. provvisorio, vale a dire con l’autorizzazione del giudice. È necessario che la doverosa tutela dei rapporti di lavoro non vada a discapito dei diritti dei creditori determinando oneri per l’impresa non utili ai fini dell’effettiva continuazione dell’attività. 
Rispetto al testo originario dell’art. 189 è stata semplificata sia la procedura di recesso del curatore dai rapporti di lavoro sia quella di subentro. Sono state eliminate le comunicazioni dei nominativi dei dipendenti all’Ispettorato del Lavoro e gli adempimenti rimessi a tale organo. 
I rapporti di lavoro sono dunque sospesi dalla sentenza di apertura della liquidazione giudiziale sino a quando il curatore comunica il recesso o il subentro. Il recesso ha effetto dalla data di apertura della procedura. Il subentro decorre invece dalla data di comunicazione ai lavoratori. 
Il curatore recede con comunicazione scritta ai lavoratori quando non è disposta o autorizzata la prosecuzione dell’esercizio dell’impresa e quando non è possibile il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo. In entrambe le ipotesi, infatti, non vi è modo di avvalersi delle prestazioni dei lavoratori. La comunicazione del recesso avviene per iscritto. 
In ogni caso i rapporti di lavoro cessano se entro quattro mesi dall’apertura della procedura il curatore non ha comunicato il subentro. Tuttavia il curatore può chiedere al giudice delegato l’autorizzazione alla proroga del termine in questione se sussistono elementi concreti per la prosecuzione dell’esercizio o per la cessione dell’azienda. L’istanza può essere formulata anche dai lavoratori, anche per il tramite di difensore munito di procura. 
Sull’istanza il giudice delegato può assegnare al curatore un termine non superiore ad otto mesi che decorre dalla data di deposito del provvedimento che va comunicato al curatore e agli altri istanti. Se il curatore non procede al subentro o al recesso il rapporto di lavoro si risolve a far tempo dalla data di apertura della procedura. 
I lavoratori non sono tenuti a restituire le somme che abbiano eventualmente ricevuto nel periodo di sospensione a titolo previdenziale o assistenziale. 
Le eventuali dimissioni del lavoratore nel periodo di sospensione si intendono rassegnate per giusta causa con effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale, salvo che il lavoratore abbia beneficiato delle prestazioni di integrazione salariale o a carico dei Fondi di solidarietà (D.Lgs. 148/2015). 
Quando è autorizzata o disposta la prosecuzione dell’esercizio dell’impresa, i rapporti di lavoro proseguono fatta salva la facoltà del curatore di sospenderli o di procedere al licenziamento. In tali ipotesi trova nuovamente applicazione la disciplina speciale dettata dall’art. 189. 
In caso di cessazione del rapporto al lavoratore a tempo indeterminato spetta l’indennità di mancato preavviso che è considerata, come anche l’indennità di fine rapporto, come credito anteriore alla procedura. Anche il credito relativo al trattamento ASpI ai sensi dell’art. 2, comma 31, legge 92/2012 è trattato come credito anteriore. 
La disciplina dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale è regolata dal comma 6 dell’art. 189, in deroga all’ art. 1, commi da 224 a 238, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, per le imprese con più di 50 dipendenti. La previsione è in linea con la deroga già prevista dal comma 226 della stessa legge n. 234 del 2021 rispetto ai datori di lavoro che si trovano in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza in caso di accesso alla composizione negoziata. 
Senza soffermarci in dettaglio sulle disposizioni del comma 6 dell’art. 189 è qui sufficiente ricordare che il curatore deve dare avviso alle OO.SS. che possono chiedere entro sette giorni dalla comunicazione l’esame congiunto. Tale esame ha ad oggetto le cause della riduzione di personale e la possibilità di impiego di una parte almeno dei lavoratori, anche per il tramite di contratti di solidarietà o forme flessibili di gestione del tempo del lavoro. Possono essere previste anche misure sociali di accompagnamento per facilitare la riqualificazione e riconversione dei lavoratori. La procedura è esaurita quando non sia stato raggiunto un accordo entro dieci giorni o nel diverso maggior termine autorizzato dal giudice. 
È stato chiarito con l’aggiunta di un comma all’art. 190 che i termini per la presentazione della domanda di NASpI, di cui all’articolo 6 del D.L. n. 22/2015 decorrono dalla comunicazione della cessazione da parte del curatore o delle dimissioni del lavoratore[39]. 
Infine va registrato il lavoro di wording effettuato sull’art. 191 per chiarire che il trasferimento di azienda disposto nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, o della liquidazione giudiziale e controllata, è soggetto alla disciplina delle leggi che regolano in via generale questa fattispecie nella materia lavoristica, a cominciare dall’art. 47 legge 428/90 e dall’art. 11 D.L. n. 145/2013 come convertito.
17 . Concordato nella liquidazione giudiziale
Sono numerose le modifiche apportate dallo schema di decreto correttivo all’istituto in esame. Si tratta infatti di una procedura che non era stata coordinata in modo efficace con la disciplina degli altri tipi di concordato. 
È stato introdotto per la prima volta il concordato di gruppo che può far seguito all’apertura di una liquidazione giudiziale unitaria ai sensi dell’art. 287 CCII. Si precisa che la proposta può essere presentata con unica domanda, con domande tra loro coordinate o con domanda autonoma. La procedura di gruppo si apre soltanto nel caso di domanda unica o di domande coordinate, in perfetta corrispondenza con quanto dispone l’art. 287 per le ipotesi analoghe di domanda di liquidazione giudiziale. Si ribadisce che rimane ferma l’autonomia delle rispettive masse attive e passive. Si stabilisce che la domanda unica o le domande coordinate debbono indicare le ragioni di maggior convenienza, in funzione del miglior soddisfacimento dei creditori delle singole imprese, della scelta di presentare una domanda che non sia autonoma. La norma è del tutto analoga a quanto prevede l’art. 284, comma 4, in tema di concordato preventivo di gruppo. La circostanza che si provenga da una liquidazione giudiziale di gruppo non è sufficiente perché l’art. 287 non richiede lo stesso requisito, essendo sufficiente per l’apertura della procedura liquidatoria di gruppo che risultino opportune forme di coordinamento nella liquidazione degli attivi. 
Sono richiamati i commi 5, 6 e 8 dell’art. 286 che regola il procedimento di concordato preventivo di gruppo. Ne deriva che i creditori di ciascuna delle imprese votano in maniera contestuale e separata, suddivisi per classi ove ciò sia stato previsto. Il concordato è approvato quando ciascuna proposta è approvata dalla maggioranza prevista dall’art. 109. 
Lo schema di correttivo ha richiamato le maggioranze previste per il concordato preventivo in generale, senza apparentemente considerare che l’art. 244 regola l’approvazione del concordato nella liquidazione giudiziale e che le due norme non sono del tutto sovrapponibili. 
Non votano le imprese del gruppo che sono creditrici delle imprese ammesse alla procedura. Il concordato non può essere revocato, risolto o annullato quando i presupposti della revoca, risoluzione o annullamento si verificano soltanto con riferimento ad una o ad alcune imprese del gruppo, a meno che per tutte risulti seriamente compromessa l’attuazione del piano. 
Un’altra modifica significativa, che riguarda non più il concordato di gruppo, ma il concordato nella liquidazione giudiziale in generale, ha ad oggetto la previsione che nel caso di presentazione di più proposte di concordato, tutte siano sottoposte all'approvazione dei creditori, non solo quella scelta dal comitato dei creditori, com’era previsto dal testo sinora vigente. La modifica sottopone alla valutazione dei creditori tutte le possibilità di ristrutturazione del debito dell'impresa contenute nelle diverse proposte pervenute. Tuttavia, si aggiunge che il curatore ed il comitato dei creditori, congiuntamente, possono individuare una o più proposte che ritengono maggiormente convenienti. Tale precisazione riduce di molto la portata dell’innovazione. La Relazione illustrativa spiega che si sono volute salvaguardare le esigenze di speditezza processuale[40]. 
L’art. 243, comma 5, regola l’ipotesi di votazione di più proposte. Si considera approvata quella tra esse che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto, migliorando la generica indicazione del maggior numero di consensi che figurava nel vecchio testo della norma, e, in caso di parità, la proposta presentata per prima. 
La disciplina del procedimento di omologazione e della relativa decisione è stata riscritta per rendere il testo dell’art. 244 più chiaro. Va segnalato che nel regolare il cram down già previsto dal comma 5 della norma, lo schema di Correttivo ha stabilito che nel caso in cui un creditore appartenente ad una classe dissenziente contesti la convenienza, il tribunale omologa quando ritiene che il credito possa essere soddisfatto in misura non inferiore a quanto potrebbe ottenere nel caso in cui la liquidazione giudiziale proseguisse. La formula è più precisa del generico riferimento alle alternative concretamente praticabili previste dal vecchio testo. 
Anche con riferimento ai crediti tributari e previdenziali si stabilisce che in caso di voto contrario, determinante per il raggiungimento delle maggioranze, il tribunale omologa quando la proposta è conveniente rispetto alla prosecuzione della liquidazione giudiziale. Il tribunale decide anche in base alla relazione del professionista indipendente che deve rendere l’attestazione sulla convenienza del trattamento previsto per i creditori privilegiati che non vengono soddisfatti integralmente (art. 240, comma 4). 
Semplificando la relativa disciplina l’art. 246 stabilisce che il decreto di omologazione produce effetti dalla data di pubblicazione, collegando gli effetti della proposta di concordato a tale data. 
Il reclamo contro il decreto di omologazione è immediatamente efficace (art. 248), tuttavia la corte di appello può sospendere, su istanza di parte o del curatore, la liquidazione dell’attivo o inibire in tutto o in parte l’attuazione del piano o dei pagamenti. Con riferimento all’esecuzione del concordato sono fatti salvi gli atti legalmente compiuti in esecuzione del concordato ed i provvedimenti ad esso collegati, in caso di riforma o cassazione del decreto di omologazione. 
Si è prevista espressamente la possibilità di cancellazione delle iscrizioni pregiudizievoli in ipotesi di cessione dei beni.
18 . Liquidazione controllata
La liquidazione controllata ha subito una rilevante modifica perché è stata esclusa, per il debitore persona fisica, la possibilità di accesso alla procedura quando non sia possibile acquisire attivo a favore dei creditori neppure mediante azioni giudiziarie. A tal fine l’OCC attesta ( art. 268, comma 3, ultimo periodo) che ricorre tale possibilità su richiesta del debitore che intenda presentare istanza di apertura della procedura. Il debitore nei cui confronti sia proposta la domanda da parte del creditore eccepisce il difetto della condizione in parola entro la prima udienza, allegando i documenti previsti dall’art. 283 al diverso fine di documentare il reddito per beneficiare dell’esdebitazione dell’incapiente. 
Non pare del tutto risolta la questione sollevata in dottrina da chi osservava, vigente il testo ora emendato dallo schema di Correttivo, che vi erano situazioni in cui il debitore persona fisica non poteva accedere all’esdebitazione dell’incapiente e aveva interesse a richiedere la liquidazione giudiziale, pur in assenza di attivo, per poi domandare l’esdebitazione. Vi possono essere infatti casi, in concreto, in cui il debitore non è in condizioni di dimostrare il mancato superamento delle soglie di reddito previste per l’esdebitazione dell’incapiente e tuttavia non può farsi luogo alla liquidazione controllata perché non vi sono beni e non è previsto che si possa acquisire attivo a favore dei creditori in misura significativa. La Relazione illustrativa sembra affermare tuttavia il contrario[41]. 
Se il debitore dimostra di aver presentato all’OCC la richiesta dell’attestazione in ordine alla possibilità di distribuire attivo ai creditori, ma l’attestazione non è stata ancora rilasciata, il giudice gli concede un termine non superiore a sessanta giorni per il relativo deposito (art. 268, comma 3). 
Se la domanda di liquidazione controllata è presentata dal debitore persona fisica questi deve provare, con apposita attestazione dell’OCC, che è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori, anche mediante esercizio di azioni giudiziali. 
In conclusione la ricorrenza della condizione che lega l’apertura della procedura alla possibilità di acquisire attivo che consenta il soddisfacimento anche parziale dei creditori è rimessa alla volontà del debitore, che deve attivare l’OCC. Non pare che l’insussistenza della condizione possa essere rilevata d’ufficio, ove il debitore rinunci a difendersi. Tuttavia la questione è teorica perché l’art. 269, comma 2, prevede che alla domanda del debitore debba essere allegata la relazione dell’OCC che, oltre a riferire sulle cause dell’indebitamento e sulla diligenza impiegata dal debitore nell’assumere le obbligazioni, deve anche contenere l’attestazione sulla possibilità di acquisire attivo. 
Va ricordato, per miglior comprensione della disciplina, che il debitore può chiedere la liquidazione controllata quando si trova in stato di sovraindebitamento e quindi anche soltanto in stato di crisi, mentre il creditore deve dimostrare la ricorrenza dello stato di insolvenza. Non si fa inoltre luogo all’apertura della procedura su istanza del creditore se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati è inferiore ad euro 50.000. 
Con la sentenza il Tribunale nomina il liquidatore e conferma a tal fine, in caso di domanda presentata dal debitore, l’OCC ovvero lo sceglie nel registro degli organismi di composizione della crisi. È stato soppresso il riferimento che figurava nel vecchio testo ai gestori della crisi. È stato anche ampliato l’ambito territoriale di riferimento, che è quello del distretto di corte di appello e non più del circondario del Tribunale. La scelta in questo ambito non è tuttavia tassativa. L'eventuale deroga deve essere espressamente motivata e comunicata al presidente del tribunale. 
Il termine per la presentazione delle domande di insinuazione è stato ampliato a 90 giorni per dare maggior tempo ai creditori in ragione del fatto che non vi è possibilità di presentare domande di insinuazione tardiva, se non nel caso in cui il creditore prova che il ritardo non è dipeso da causa a lui imputabile (art. 273, comma 5). L’art. 270, comma 2, lett. e) specifica che l’ordine di consegna o rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione contenuto nella sentenza è titolo esecutivo ed è posto in esecuzione secondo il disposto dell’art. 216, comma 2. Sono quindi richiamate, attraverso il rinvio all’art. 216, le norme della liquidazione giudiziale, per chiarire all’interprete che esse sono anche in questo caso applicabili. Il nuovo comma 5 dell’art. 270 contiene, in modo più completo ed esaustivo, il riferimento alle disposizioni sullo spossessamento, rendendo applicabili alla liquidazione controllata le disposizioni sugli effetti della liquidazione giudiziale, in quanto compatibili, chiarendo il riferimento al procedimento unitario con il puntuale richiamo alle sezioni II e III del titolo III del codice della crisi. 
Si è già osservato in precedenza che l’art. 271 ha rivisto la disciplina del concorso tra procedure di sovraindebitamento secondo il principio mutuato dall’art. 7 del codice per cui ha la precedenza la procedura di carattere conservativo. 
Si è introdotta, in analogia alla disciplina dettata per la liquidazione giudiziale ed al fine di garantire l’efficienza della procedura, l’espressa previsione del termine di deposito del programma della liquidazione controllata e la possibilità di rinunciare alla liquidazione di beni se non conveniente (art. 272). Viene eliminato il riferimento al deposito del programma “in cancelleria”, non più coerente con il generalizzato obbligo di deposito telematico di atti e documenti. 
È stata reintrodotta, con la modificazione dell’art. 272, comma 3, la durata minima della procedura non inferiore a tre anni, anche dopo la completa esecuzione delle operazioni di liquidazione, riprendendo quanto precedentemente previsto dalla legge n. 3 del 2012 e con i tempi dell’esdebitazione, ammettendo altresì la possibilità di chiusura prima del termine minimo nei casi in cui non vi sia attivo da acquisire. 
Avevamo lamentato, commentando la legge 3/2012, l’assoluta inopportunità della previsione di una durata minima, che vincola gli organi della procedura ad un’attesa che è sostanzialmente inutile tanto che è prevista la chiusura anticipata prima di tale data se non può essere acquisito ulteriore attivo. 
Si è coerentemente previsto, chiarendo un ulteriore dubbio interpretativo emerso in sede di prima applicazione del codice, che per tutta la durata della procedura sono ricompresi nella liquidazione anche gli ulteriori beni che pervengono al debitore dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi. 
Per quanto concerne l’accertamento del passivo lo schema di decreto delegato ha optato per il modello, proprio della liquidazione coatta amministrativa, in cui il liquidatore forma lo stato passivo nei confronti del quale sono ammesse le impugnazioni davanti al giudice. 
Di conseguenza l’art. 273 è stato riscritto articolando i seguenti principi: 
- il progetto di stato passivo viene inserito nel fascicolo telematico; 
- entro quindici giorni possono essere proposte osservazioni, nelle forme disciplinate dall’art. 201, comma 2; 
- viene riscritto il procedimento di formazione dello stato passivo, la sua comunicazione ai creditori e l’esecutività. Si stabilisce che il liquidatore, esaminate le osservazioni, forma lo stato passivo, lo deposita nel fascicolo informatico e lo comunica ai creditori. Con il deposito nel fascicolo lo stato passivo diventa esecutivo; 
- Le opposizioni e le impugnazioni allo stato passivo si propongono con reclamo al giudice delegato ai sensi dell’art. 133. Il decreto che decide sull’impugnazione è comunicato dalla cancelleria alle parti che, nei successivi trenta giorni, possono proporre ricorso per cassazione; 
- le domande tardive, come già nel testo sinora vigente, sono consentite nel solo caso di mancato rispetto del termine delle tempestive per causa non imputabile al creditore, richiamando lo stesso procedimento stabilito per le domande tempestive. 
Tralasciamo alcune modifiche di minor rilevanza in ordine alla liquidazione del compenso degli ausiliari del liquidatore da parte del giudice e di revoca degli incarichi e di liquidazione del compenso all’OCC o al liquidatore se diverso dall’OCC. 
Per quanto concerne la ripartizione dell’attivo sono state espressamente richiamate le norme in tema di liquidazione giudiziale allo scopo di sciogliere i dubbi interpretativi sulla loro applicabilità. 
Più rilevante è l’introduzione di una disciplina specifica in materia di crediti prededucibili (art. 275 bis). Sono norme mutuate dalla disciplina del corrispondente art. 222 in tema di liquidazione giudiziale, del tutto ovvie. 
In sintesi: 
- i crediti prededucibili sono accertati con le modalità di cui all’art. 273, vale a dire nelle forme dell’accertamento del passivo, con esclusione di quelli non contestati e di quelli sorti a seguito di provvedimenti di liquidazione di compensi dei soggetti nominati nel corso della procedura, con la precisazione che in questo ultimo caso, se i crediti vengono contestati, devono essere comunque accertati con le modalità di cui all’art. 273; 
- i crediti prededucibili sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno e ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti. Si applica l’art. 223, comma 3, sui conti autonomi da tenere in caso di liquidazione di beni sottoposti a garanzia reale; 
- i crediti prededucibili sorti nel corso della procedura che sono liquidi, esigibili e non contestati per collocazione e per ammontare, possono essere soddisfatti al di fuori del procedimento di riparto se l'attivo è sufficiente a soddisfare tutti i titolari di tali crediti; il pagamento è autorizzato dal giudice delegato; 
- se l'attivo è insufficiente, la distribuzione deve avvenire secondo i criteri della graduazione e della proporzionalità, conformemente all'ordine assegnato dalla legge. 
La disciplina della chiusura della procedura, regolata dall’art. 276, è stata completata con l’individuazione dei soggetti legittimati a chiederla, in analogia a quanto previsto dall’art. 235 per la liquidazione giudiziale, e prevedendo il deposito di una relazione finale da parte del liquidatore contenente ogni fatto rilevante ai fini della esdebitazione per agevolare il relativo procedimento. 
Va ricordato che l’art. 6 è stato modificato con menzione espressa dei crediti legalmente sorti durante la liquidazione controllata tra quelli assistiti dalla prededuzione. Di conseguenza è stato abrogato l’art. 277, comma 2, anche se la nozione di crediti legalmente sorti, cui fa riferimento l’art. 6, non corrisponde a quella di crediti sorti in occasione o in funzione della procedura, che è nozione che il legislatore pare aver abbandonato.
19 . Esdebitazione
Anche la disciplina dell’esdebitazione è stata riorganizzata dallo schema di decreto correttivo, con la previsione di norme di carattere generale che si riferiscono tanto alla liquidazione giudiziale che alla liquidazione controllata e due successive sezioni dedicate rispettivamente la prima alla liquidazione giudiziale e la seconda alla liquidazione controllata. 
L’art. 279 mantiene il principio di carattere generale per cui il debitore ha diritto di conseguire l’esdebitazione dopo tre anni dall’apertura della procedura di liquidazione o al momento della chiusura della procedura, se antecedente. Si precisa tuttavia che sono fatte salve le eccezioni previste dall’art. 280 e dall’art. 282, rispettivamente per la liquidazione giudiziale e per quella controllata. In realtà l’art. 282 rinvia al 280 che, nel caso in cui sia pendente procedimento penale nei confronti del debitore per uno dei reati ostativi o in caso di applicazione di una misura di prevenzione di cui al D.Lgs. n. 159/2011, prevede che il tribunale rinvii il procedimento sino alla definizione del giudizio. 
Per quanto riguarda l’esdebitazione dopo la liquidazione giudiziale lo schema di decreto correttivo ha modificato l’art. 281 prevedendo che la pronuncia del tribunale avviene su istanza del debitore al momento della chiusura salvo che sia in corso uno dei procedimenti penali ostativi. L’istanza del debitore è comunicata a cura del curatore ai creditori, i quali possono presentare osservazioni nel termine di quindici giorni. La previsione dell’istanza del debitore nell’ipotesi di esdebitazione pronunciata dopo tre anni dall’apertura della procedura è stata eliminata. Per quanto l’incipit del comma 2 dell’art. 281 (“allo stesso modo”) sembri creare un’uniformità di rito con l’ipotesi del decorso del triennio, va invece sottolineato che si è inteso sopprimere il requisito dell’istanza del debitore. La modifica è in linea con i principi dettati dalla Direttiva Insolvency sulla garanzia di una celere e pronta esdebitazione, ed è funzionale, osserva la Relazione illustrativa[42], a garantire la liberazione del debitore dai debiti nel termine massimo previsto dalla legge senza che sia necessario un suo atto di impulso. 
È stato meglio precisato il contenuto del comma 3 dell’art. 281 in modo da chiarire che il rapporto riepilogativo del curatore che deve dar conto dei fatti rilevanti compiuti dal debitore per la concessione o il diniego dell’esdebitazione è il rapporto redatto ai sensi dell’art. 235 in caso di chiusura. Nell’ipotesi di decorso del triennio il curatore non deve redigere alcun rapporto riepilogativo e quindi tale ipotesi, disciplinata dal comma 2 dell’art. 281, non è richiamata. 
L’esdebitazione nel caso di liquidazione controllata viene ridisciplinata nell’art. 282 secondo i seguenti principi: 
- è stato eliminato il riferimento all’esdebitazione di diritto, poco compatibile con l’esistenza di un procedimento dettato per la sua concessione, prevedendo la segnalazione del liquidatore (che corrisponde all’OCC o al diverso professionista nominato dal tribunale) rispetto alla richiesta di concessione del beneficio. 
- in caso di richiesta di esdebitazione prima della chiusura della procedura nella segnalazione l’OCC deve dare atto dei fatti rilevanti per la concessione o meno dello stesso beneficio. 
- l’istanza del debitore deve essere comunicata ai creditori per la presentazione di eventuali osservazioni entro quindici giorni. 
- sono stabilite nel comma 2 dell’art. 282 le condizioni impeditive per l’accesso al beneficio specifiche della liquidazione controllata. 
- si chiarisce espressamente, risolvendo un punto interpretativo controverso, che l’esdebitazione non produce effetti sui giudizi in corso e sulla liquidazione se ancora pendente; 
- l’obbligo di comunicazione del provvedimento di esdebitazione e del provvedimento con cui il tribunale rileva l’esistenza di preclusioni, al pubblico ministero è eliminato; 
- è riformulata in maniera più chiara la facoltà di proporre reclamo avverso il provvedimento di esdebitazione. 
Per quanto riguarda l’esdebitazione dell’incapiente lo schema di decreto correttivo ha modificato l’art. 283. 
Viene mantenuto il principio per cui debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può accedere all'esdebitazione solo per una volta. 
Resta ferma l’esigibilità del debito se entro tre anni dal decreto del giudice sopravvengano utilità ulteriori che consentano l’utile soddisfacimento dei creditori. Tale nozione di utile soddisfacimento sostituisce la percentuale del 10% cui faceva riferimento il testo previgente. 
Le condizioni di reddito cui è commisurato l’accesso al beneficio sono stabilite dal comma 2 dell’art. 283, che è stato riformulato, senza che il contenuto dispositivo sia stato modificato. Rimane infatti il parametro all'assegno sociale aumentato della metà moltiplicato per un parametro corrispondente al numero dei componenti il nucleo familiare della scala di equivalenza dell'ISEE. 
Si è previsto che la domanda debba contenere l’elenco di tutti i creditori, come era già stabilito, accompagnato però dagli indirizzi PEC disponibili o, altrimenti, degli indirizzi di posta elettronica ordinaria per i quali sia verificata o verificabile la titolarità della singola casella. Non pare agevole fornire tale ultima certificazione. 
Contro il decreto di esdebitazione è previsto reclamo, anziché opposizione, nelle forme di cui all’art. 124. 
Il termine per il quale l’OCC deve vigilare sulla sopravvenienza di utilità ulteriori è ridotto da quattro a tre anni. L'OCC, nei tre anni successivi al deposito del decreto che concede l'esdebitazione, vigila sulla tempestività del deposito della dichiarazione del debitore sull’eventuale sopravvenienza di utilità ulteriori. Compie anche le verifiche necessarie per accertarne l'esistenza. In caso affermativo l’OCC, previa autorizzazione del giudice, lo comunica ai creditori i quali possono iniziare azioni esecutive e cautelari sulle predette utilità. La Relazione illustrativa afferma che spetta al giudice valutare l’opportunità di ammettere o meno le azioni dei creditori, tenendo fermo l’effetto esdebitatorio una volta che l’esecuzione sulle medesime utilità sarà terminata[43].
20 . Gruppi
La disciplina del concordato preventivo di gruppo è stata rivista dallo schema di decreto correttivo in misura limitata. Si è sostituito con riguardo all’ipotesi, parallela a quella della domanda assistita da un piano unitario, di piani reciprocamente collegati e interferenti, tale ultimo aggettivo con il termine “coordinati”, perché “interferenti”, secondo la Relazione illustrativa evoca la presenza di un conflitto e non la sinergia presupposta dalla ratio della norma. 
Si è modificato l’art. 285 per affermare che la disciplina del concordato in continuità si applica non soltanto nel caso in cui i flussi complessivi derivanti dalla continuazione dell’attività sono superiori, a livello di gruppo, ai flussi complessivi derivanti dalla liquidazione, ma anche quando i creditori delle imprese del gruppo sono soddisfatti in misura non prevalente dal ricavato dalla continuità aziendale. Si è così allineata la disciplina del concordato di gruppo a quella del concordato di una singola impresa, come prevede l’art. 84, comma 3. 
Nella disciplina del procedimento relativo al concordato di gruppo si è introdotto nell’art. 286 un comma 6 bis per affermare che per l’omologazione del concordato di gruppo devono sussistere, per ciascuna impresa, i requisiti previsti agli articoli 48 e 112. Precisa quindi, condivisibilmente, la Relazione illustrativa[44] che se i requisiti non sussistono per un’impresa, cade tutto il concordato di gruppo. 
Anche il comma 8 dell’art. 286 è stato corretto per precisare che il principio per cui di regola il concordato di gruppo non può essere risolto o annullato quando i presupposti per la risoluzione o l’annullamento si verificano soltanto per una o più imprese del gruppo, si applica anche in caso di revoca dell’omologazione. 
Le modifiche alla disciplina della liquidazione giudiziale di gruppo riguardano alcuni punti soltanto: 
- si introduce una disciplina specifica sulla separazione delle procedure. Sul piano processuale si stabilisce che il tribunale possa disporre la separazione dell’unica procedura nell’ipotesi di conflitto di interessi tra le diverse imprese del gruppo, ovvero tra i rispettivi creditori, e che tale separazione debba sempre essere disposta nell’ipotesi di cui all’art. 291, comma 1, ultimo periodo, quando cioè il curatore intenda esercitare l’azione di responsabilità nei confronti delle imprese del gruppo. Dall’esercizio di azioni di responsabilità possono derivare conflitti di interessi tra le imprese del gruppo e quindi tra le ragioni dei creditori della singola società del gruppo, non facilmente gestibili all’interno di una procedura unitaria perché la nomina di un curatore speciale ai sensi dell’art. 78 c.p.c. sarebbe strumento insufficiente. 
- con riguardo alla disciplina della postergazione dei finanziamenti infragruppo, regolata dall’art. 292, si è eliminata la previsione di postergazione dei finanziamenti delle imprese sottoposte a direzione e coordinamento nei confronti del soggetto che esercita l’attività di direzione o coordinamento. La postergazione dei finanziamenti erogati dall’impresa controllata o diretta si pone infatti, secondo la Relazione illustrativa, in diretto contrato con l’esigenza primaria dalla quale sorge il principio stesso della postergazione nei gruppi, vale a dire la tutela dei creditori della società eterodiretta[45]. 
Si potrebbe obiettare che anche i creditori della capogruppo possono meritare di essere tutelati. Il rinvio all’art. 164 per la disciplina della restituzione dei finanziamenti già erogati nell’anno anteriore alla domanda apparentemente non considera che tale norma riguarda anche il rimborso dei finanziamenti erogati alla capogruppo. Tuttavia, si potrebbe obiettare che l’Incipit dell’ultimo periodo del primo comma dell’art. 292 con la formula “tali crediti” intenda riferirsi alla prima parte dell’art. 292, comma 1, e quindi soltanto ai crediti da finanziamenti erogati dalla capogruppo. 
Si è già ricordato, con riferimento alla disciplina della liquidazione giudiziale, che lo schema di correttivo ha introdotto nell’ambito del concordato durante la liquidazione giudiziale la disciplina del concordato di gruppo.

Note:

[2] 
Relazione, p. 20. 
[3] 
Per i tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate, l’accordo è sottoscritto dal Direttore dell’ufficio su parere conforme della competente Direzione regionale. Per i tributi amministrati dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli l’accordo è sottoscritto dal Direttore delle Direzioni territoriali, dal Direttore della Direzione territoriale interprovinciale e, per gli atti impositivi emessi dagli uffici delle Direzioni centrali, dal Direttore delle medesime Direzioni centrali. 
[4] 
La Relazione illustrativa, p. 20, indica un controllo sulla regolarità formale e menziona espressamente la ricorrenza della sottoscrizione da tutti i soggetti legittimati per l’impresa e per i creditori pubblici e dall’esperto. 
[5] 
Relazione illustrativa, p. 58. 
[6] 
La domanda va presentata, per l’Agenzia delle entrate, alla competente Direzione provinciale o regionale, per l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, alle competenti Direzioni territoriali e alla competente Direzione territoriale interprovinciale, ovvero alla Direzione centrale per gli atti impositivi direttamente emessi e, infine, per gli enti previdenziali e assicurativi, alla competente Direzione provinciale. L'agente della riscossione, non oltre trenta giorni dalla data della presentazione, deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l'entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso. Gli altri uffici, nello stesso termine, devono procedere alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni e alla notifica. 
[7] 
Conviene riportare un passaggio della Relazione illustrativa, p. 59: “…l’omologazione può avvenire se il dissenso dei creditori pubblici è ostativo al raggiungimento della maggioranza che consente la ristrutturazione trasversale ma non se il creditore pubblico diventa, a seguito dello stesso cram-down, l’unica classe interessata consenziente. In altre parole si può superare il dissenso del fisco o degli enti previdenziali per giungere alla ristrutturazione trasversale se non per giungere al requisito del voto favorevole della maggioranza delle classi (maggioranza che si può raggiungere anche non computando il voto sfavorevole o l’assenza di voto del creditore pubblico)”. 
[8] 
Cfr. nota 6. 
[9] 
La norma elenca minuziosamente gli Uffici competenti. da parte del Direttore della competente Direzione dell’Agenzia delle entrate e, ove sia competente una Direzione provinciale, su parere conforme della relativa Direzione regionale. Quando la proposta ha oggetto tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate e prevede una falcidia del debito originario, comprensivo dei relativi accessori, superiore alla percentuale e all’importo definiti con apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, il parere conforme è espresso dalla struttura centrale individuata con il medesimo provvedimento. 
Per i tributi amministrati dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli l’adesione alla proposta è espressa dalle competenti Direzioni territoriali, dalla competente Direzione territoriale interprovinciale ovvero da ciascuna Direzione centrale per gli atti impositivi direttamente emessi. 
Per i contributi previdenziali amministrati dall’INPS l'adesione è espressa con la sottoscrizione dell'atto negoziale da parte del Direttore dell’ufficio territoriale competente su decisione del Direttore regionale. 
L’atto è sottoscritto anche dall’agente della riscossione in ordine al trattamento degli oneri di riscossione di cui all’art. 17 del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112. È confermato che l’adesione espressa sulla proposta di transazione equivale a sottoscrizione dell’accordo di ristrutturazione. 
[10] 
Relazione, p. 40. 
[11] 
Cfr. nota 4. 
[12] 
Relazione illustrativa, p. 42. 
[13] 
Relazione, p. 11. Si citano anche le norme che secondo i compilatori del Correttivo integrano quella che l’art. 16 definisce come “disciplina di vigilanza prudenziale”: “…L’atto di riferimento per la "disciplina di vigilanza prudenziale" è rappresentato dal Regolamento (UE) 2013/575 CRR - Capital Requirement Regulation e dalle disposizioni attuative emanate dall'Autorità Bancaria Europea (EBA) a mezzo di apposite linee guida. Tra queste vanno considerate, in particolare, le Guidelines EBA/GL/2017/01 sull'applicazione della nuova definizione di default ai sensi dell'art. 178 del Regolamento (UE) 575/2013; le Guidelines EBA/GL/2020/06 in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti; le Guidelines EBA/GL//2018/10 sulle posizioni non performing e oggetto di misure di concessione. A livello nazionale, vanno considerate le Disposizioni di Vigilanza emanate dalla Banca d'Italia con le proprie Circolari ed in particolare la Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013, recante Disposizioni di Vigilanza per le Banche, che raccoglie le disposizioni di vigilanza prudenziale applicabili alle banche e ai gruppi bancari italiani, riviste e aggiornate per adeguare la normativa interna alle novità intervenute nel quadro regolamentare internazionale con particolare riguardo al nuovo assetto normativo e istituzionale della vigilanza bancaria dell’Unione europea, nonché per tener conto delle esigenze emerse nell’esercizio della vigilanza sulle banche e su altri intermediari”. 
[14] 
La Relazione illustrativa, p. 30, così si esprime: “È fatto salvo il riferimento al comma 1-ter per permettere all’impresa di avvalersi comunque, al momento della domanda prenotativa, del regime dello strumento che vuole utilizzare. In tal caso è richiesto però il deposito di un progetto di piano di regolazione della crisi e dell’insolvenza redatto in conformità allo strumento prescelto. Il medesimo progetto di piano (in linea con la prassi in uso presso molti uffici, volta a evitare il rischio di istanze di proroga meramente dilatorie) è divenuto requisito per ottenere la proroga del termine fissato dal tribunale..”. La Relazione sottolinea che la soluzione adottata era stata applicata nella pratica da diversi Tribunali. 
[15] 
L’art. 87 è modificato anche nella lett. c) con riferimento alla nozione di valore di liquidazione, che pure deve risultare dal piano. Si veda in proposito il paragrafo successivo. 
[16] 
Relazione, p. 62.
[17] 
Relazione, p. 69.
[18] 
Relazione, p. 69. 
[19] 
L’art. 85, comma 3, indica le imprese che non hanno superato, nell’ultimo esercizio, almeno due dei seguenti requisiti: un attivo fino a euro cinque milioni, ricavi netti delle vendite e delle prestazioni fino a euro dieci milioni e un numero medio di dipendenti pari a cinquanta. Secondo la Raccomandazione 2003/361 della Commissione Europea un’impresa di piccole dimensioni ha fino a 50 dipendenti e un fatturato o un totale di bilancio fino a 10 milioni di euro. La nozione di piccola impresa a livello unionale è stata aggiornata nel 2023, adeguando le soglie di cui all’art. 3, par. 1-7 della Direttiva 2013/34/UE, aumentandole del 25% e arrotondandole per approssimazione. Di conseguenza le soglie aggiornate sono le seguenti: totale attivo: 5.000.000 euro (era 4.000.000): totale ricavi: 10.000.000 euro (era 8.000.000); numero medio dei dipendenti: rimane 50. 
[20] 
In questo modo lo schema di correttivo sembra aver abbandonato la tesi, sostenuta da una parte della dottrina, che la classe o le classi che votano a favore debbano essere composte da creditori svantaggiati, cioè che traggono dalla proposta concordataria un soddisfacimento inferiore a quello che potrebbero ottenere in caso di liquidazione giudiziale e di applicazione dell’absolute priority rule. La Relazione governativa, p. 61, osserva “In altre parole, il creditore in questione, che vede il proprio credito decurtato dalla proposta di concordato, deve aver votato favorevolmente nonostante avesse interesse alla completa applicazione della priorità assoluta. Non può invece rilevare il voto favorevole del creditore che sì viene pagato parzialmente dalla proposta in continuità ma che ha interesse a che il relativo piano sia omologato solo perché non riceverebbe nulla in caso di pagamento secondo le regole della APR. L’assenso della prima tipologia di classe ha quindi un peso decisivo nelle intenzioni del legislatore europeo proprio perché ha appoggiato un piano in continuità pur avendo comunque interesse all’applicazione dell’APR”. In realtà il testo normativo si limita a richiedere che i creditori appartenenti alla classe che vota a favore siano nelle condizioni di venir soddisfatti in tutto o in parte anche in caso di applicazione dell’absolute priority rule. 
[21] 
È stata variata la rubrica della sezione VI bis del Titolo IV, che diventa il Capo III – bis. La rubrica è denominata “Strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società”. Le norme che seguono, articoli 120 bis e seguenti, si riferiscono pertanto a tutti gli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza in relazione alla disciplina societaria. 
[22] 
Così anche la Relazione governativa, p. 72. Va peraltro osservato che la prima giurisprudenza sull’art. 58 CCII sembra considerare ammissibili modifiche al contenuto della proposta quando si tratti del semplice differimento del termine di adempimento, reso necessario da eventi sopravvenuti, nella specie dal protrarsi del giudizio di omologazione. Cfr. Trib. Bologna 30 gennaio 2024, in Dirittodellacrisi.it
[23] 
Cass. S.U., 14 febbraio 2022, n. 4696, in Dirittodellacrisi.it. Cfr. anche Trib. Milano, 17 novembre 2022, ivi, che aveva ritenuto che in tema di esecuzione di concordato omologato, secondo la disciplina della legge fallimentare ratione temporis applicabile, il termine di pagamento ai creditori concorsuali della utilità loro spettante in base a piano e proposta approvati costituisce elemento sostanziale dell’esatto adempimento delle corrispondenti obbligazioni assunte dal concordante e rese definitive dall’omologa giudiziale. Ne consegue che la modifica del suddetto termine, sub specie di dilazione temporale biennale, integra modifica del piano e della proposta, inammissibile ad omologa avvenuta, non essendo previsto un meccanismo di raccordo con la volontà dei creditori ed essendo la risoluzione del concordato l’unico rimedio previsto dalla legge per il caso di inadempimento del debitore verificatosi in fase esecutiva. Parimenti, al fine di ottenere la proroga richiesta, non possono trovare applicazione le clausole generali sull’impossibilità temporanea e sull’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, posto che l’obbligazione della concordante è un’obbligazione generica di pagamento, rispetto alla quale il rischio dell’approvvigionamento grava sul debitore, in ossequio al principio per cui genus numquam perit
[24] 
Così la Relazione governativa, p. 43. 
[25] 
Relazione, p. 17. 
[26] 
È utile il richiamo alla giurisprudenza di merito sin qui formatasi. Trib. Milano, 12 maggio 2024, in Ilcaso.it con riguardo all’attivazione da parte della banca finanziatrice della garanzia del prestatore di ultima istanza, da cui sarebbe derivata potenzialmente la trasformazione del credito da chirografario in privilegiato, tramite la sostituzione del garante al creditore originario. Contra Trib. Gorizia, 19 marzo 2024, in Dirittodellacrisi.it, che ha ritenuto che la durata del contratto di garanzia, di cui nella specie si chiedeva la proroga tramite provvedimento del giudice, è elemento rimesso al libero esercizio della volontà contrattuale. 
Trib. Parma, 26 maggio 2024, in Dirittodellacrisi.it, ha invece ritenuto ammissibile la cautela con riferimento all’inibitoria alla banca di procedere alla compensazione. Conforme Trib. Modena, 26 dicembre 2022, in Dirittodellacrisi.it, con riferimento all’imposizione di proseguire un contratto pendente oltre la sua naturale scadenza, in quanto provvedimento che esula dal divieto di interruzione dei rapporti pendenti e che riguarda la sfera della libera volontà negoziale. 
[27] 
Si ricava anche dal diverso regime previsto per le misure atipiche, che è possibile richiedere soltanto nel caso di domanda piena. Cfr. anche la Relazione governativa, p. 36. 
[28] 
Cfr. Relazione, p. 36. Sul punto va ricordato che non è tanto questione che tali procedure rispettino i parametri previsti dal Regolamento 848/2015, ma che rientrino nella previsione espressa dell’Allegato A al Regolamento, che viene periodicamente emendato per adeguarlo alle novità della legislazione degli Stati membri. 
[29] 
Per una prima lettura delle norme in materia di sovraindebitamento rinvio a L. Nannipieri, Schema di correttivo e accesso alle procedure di sovraindebitamento: note critiche a prima lettura, in questa Dirittodellacrisi.it. 
[30] 
Relazione, p. 92. 
[31] 
Nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e del codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti, approvato dal Garante per la protezione dei dati personali ai sensi dell’articolo 20 del D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101. 
[32] 
Relazione, p. 45. 
[33] 
Relazione, p. 45. 
[34] 
Cfr. Relazione, p. 52. 
[35] 
Relazione, p. 53. 
[36] 
Relazione, p. 54. 
[37] 
Relazione governativa, p. 84. 
[38] 
Relazione governativa, p. 85. 
[39] 
La Relazione governativa, p. 36, avverte che la modifica si limita a recepire normativamente l’orientamento di prassi assunto dall’INPS in materia di accesso alla prestazione di disoccupazione NASpI in caso di cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni per giusta causa, recesso del curatore o risoluzione di diritto durante la procedura di liquidazione giudiziale. Nella circolare attuativa n. 21/2023, l’INPS precisa, infatti, che il termine di 68 giorni legislativamente previsto, a pena di decadenza, per la presentazione della domanda di NASpI, decorre dalla data in cui il lavoratore rassegna le proprie dimissioni o, in caso di recesso da parte del curatore, dalla data in cui la comunicazione effettuata dal curatore medesimo è pervenuta a conoscenza del lavoratore. 
[40] 
Relazione, p. 41.
[41] 
Relazione, p. 44. 
[42] 
Relazione, p. 48. 
[43] 
Relazione, p. 49. 
[44] 
Relazione, p. 50. 
[45] 
Relazione, p. 52. 

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  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

Il TITOLARE

del trattamento dei dati personali

Società per lo studio del diritto della crisi

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