Il tribunale dopo la presentazione della domanda, se si tratta di domanda con riserva ex art. 44 adotta i provvedimenti indicati dalla norma. Quando invece sono stati presentati la proposta ed il piano procede ai controlli di ammissibilità ai fini della pronuncia del decreto di apertura della procedura, sia nel caso che proposta e piano siano stati presentati ab initio che a seguito della domanda con riserva.
Ferma la verifica della corretta formazione delle classi che il correttivo menziona espressamente ai sensi dell’art. 47, comma 1, il tribunale effettua controlli diversi nel caso di concordato liquidatorio e di concordato in continuità.
Nel primo si parla di ammissibilità della proposta, da intendersi come sussistenza dei requisiti di legittimazione, di rispetto della disciplina processuale e della completezza della documentazione, e di fattibilità del piano, che viene individuata nella non manifesta inattitudine, in corrispondenza con la disciplina della Direttiva, a raggiungere gli obiettivi prefissati. Naturalmente questi controlli vanno visti alla luce del disposto dell’art. 7, comma 2, che, sia pur ai fini della sola trattazione in via anticipata della domanda diretta a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale, richiede che la domanda non sia manifestamente inammissibile; che il piano non sia manifestamente inadeguato, ipotesi questa sovrapponibile alla non manifesta inattitudine; che nella proposta sia indicata la convenienza per i creditori.
Nel caso del concordato in continuità il Tribunale deve soltanto guardare alla ritualità della proposta. Si precisa tuttavia che il piano deve non essere manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali, ipotesi queste che non sono esattamente sovrapponibili, soprattutto la seconda, a quanto previsto dall’art. 7.
Va sottolineato che la giurisprudenza, anche con riferimento al concordato semplificato, dove lo schema di D.Lgs. ha eliminato con riguardo alla ritualità l’aggettivo mera, tende a sovrapporre il controllo di ritualità al controllo di ammissibilità, consentendo un sindacato più approfondito.
Il giudizio di omologazione del concordato è regolato dall’art. 48. Esso presuppone l’approvazione della proposta da parte dei creditori ai sensi dell’art. 109 ovvero che, nel solo concordato in continuità, non essendo stata raggiunta l’unanimità delle classi, il debitore richieda l’omologazione o presti il consenso quando si tratti di proposta concorrente.
Il codice della crisi, come rivisto dallo schema di D.Lgs. mantiene la previsione per cui i creditori privilegiati, ipotecari e pignoratizi sono degradati a chirografari per la parte non capiente del credito. Afferma che i creditori vanno soddisfatti secondo l’ordine delle cause di prelazione, salvo applicazione della relative priority rule, nel solo concordato in continuità. Precisa all’art. 85, comma 3, che la suddivisione dei creditori in classi è obbligatoria nel caso di concordato in continuità. Anche i creditori privilegiati vanno suddivisi in classi, salvo il caso che essi possano esser soddisfatti in denaro entro 180 gg. ( 30 per i crediti di lavoro). E’ prevista una classe obbligatoria di creditori chirografari che siano fornitori di beni e servizi e che siano piccole imprese secondo la disciplina europea[19].
Il legislatore mantiene la distinzione, nel caso di concordato in continuità tra valore di liquidazione e valore eccedente quello di liquidazione.
Lo schema di D.Lgs. ha introdotto alcune modifiche meglio precisando la nozione di valore di liquidazione e di valore eccedente quello di liquidazione, nozioni che sono essenziali per verificare il rispetto delle regole di distribuzione dell’attivo nel concordato in continuità. L’art. 87, comma 1, lett. c), precisa che il valore di liquidazione corrisponde al valore realizzabile dalla liquidazione dei beni in sede di liquidazione giudiziale. Tale valore è comprensivo del maggior valore realizzabile dalla cessione dell’azienda in esercizio in sede di liquidazione giudiziale, ipotesi non frequente, ma possibile. Ne deriva che il best interest creditors’ test non riguarda soltanto la liquidazione atomistica dei beni, ma anche la cessione d’azienda in pendenza di liquidazione giudiziale. Si deve poi tener conto del maggior realizzo dalle azioni esperibili in caso di liquidazione giudiziale al netto delle spese, considerando quindi le azioni revocatorie e le azioni di responsabilità. A tal proposito, come già ricordato, va rammentato che lo schema di D.Lgs. prevede un nuovo art. 114 bis che regola la nomina del liquidatore nel concordato in continuità nei casi in cui il piano preveda la liquidazione di una parte del patrimonio o la cessione d’azienda. I poteri del liquidatore sono regolati dall’art. 115 sia nel caso di concordato liquidatorio che di concordato in continuità. Il comma 2 prevede che il liquidatore esercita l’azione sociale di responsabilità, ma non l’azione spettante ai creditori sociali, che è invece nella competenza del curatore nella liquidazione giudiziale secondo la previsione dell’art. 2394 bis c.c.
L’art. 84, comma 6, è stato tuttavia parzialmente modificato. Si continua ad affermare che il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto dell’absolute priority rule, mentre il valore eccedente quello di liquidazione, eccezion fatta per i crediti di lavoro, può essere distribuito in modo tale da assicurare che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, precisandosi tuttavia che le risorse esterne non debbono seguire questo principio. La regola è ripetuta nell’art. 112, comma 2, che afferma che in sede di omologazione, quando vi sia il dissenso di una o più classi, il tribunale omologa quando la regola ora enunciata è rispettata con riferimento alle classi in cui vi sono creditori dissenzienti.
Si pone il problema, che in realtà esisteva già nel testo vigente del codice della crisi, se il principio enunciato dal legislatore imponga di prevedere ugual trattamento per tutte le classi di creditori chirografari, o se, in conformità alla ratio stessa che presiede alla formazione delle classi, che raggruppano crediti similari per natura giuridica o per interessi economici tutelati, sia possibile un trattamento differenziato di queste classi.
Dal combinato disposto degli artt. 84 e 112 si ricava comunque che il controllo del Tribunale sul rispetto della parità di trattamento di classi pari ordinate va attuato soltanto quando vi siano classi dissenzienti e quindi la proposta sia approvata a maggioranza o anche con il voto favorevole di una sola classe.
Va ricordato che l’art. 11, par. 1, lett. c) della Direttiva Insolvency, nel prevedere l’introduzione nel diritto unionale della relative priority rule dispone che il piano assicura che le classi di voto dissenzienti di creditori interessati ricevano un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori.
Si è affermato che sarebbe, tuttavia, possibile un trattamento differenziato delle classi chirografarie. Oltre alla ratio legis della formazione delle classi, che sarebbe altrimenti priva di senso fondandosi sull’uguale trattamento dei crediti all’interno della singola classe che raggruppa crediti similari, si è invocata la considerazione che il termine “grado” usato dal legislatore nell’art. 112, comma 2, lett. b) e nell’art. 84, comma 6, non è impiegato dal legislatore nel codice civile in termini rigorosi, almeno per quanto concerne i creditori chirografari. Va aggiunto che l’art. 85, comma 3, prevede che i crediti delle imprese fornitrici di beni o servizi che non hanno superato, nell’ultimo esercizio, almeno due dei seguenti requisiti: un attivo fino a euro cinque milioni, ricavi netti delle vendite e delle prestazioni fino a euro dieci milioni e un numero medio di dipendenti pari a cinquanta, siano inseriti in classi separate. Trattandosi di crediti chirografari se il principio di parità di trattamento dovesse estendersi a tutte le classi di creditori di questa categoria, la previsione di una classe separata inciderebbe soltanto sul voto e non sul trattamento del credito.
Lo schema di decreto correttivo ha dettato norme dirette a meglio precisare il contenuto della nozione di valore di liquidazione e a prevedere che il piano debba precisare quale sia il valore di liquidazione, facendo riferimento sia alla cessione atomistica dei beni che alla cessione dell’azienda in attività nell’ambito della liquidazione giudiziale. Si deve tener conto anche del risultato delle azioni esperibili in sede di liquidazione giudiziale, soprattutto con riferimento alle azioni revocatorie e alle azioni di responsabilità.
Va poi sottolineato che il professionista indipendente deve attestare non soltanto la fattibilità del piano, ma anche la veridicità dei dati aziendali. Nel caso di concordato in continuità il piano deve essere anche idoneo a superare o impedire l’insolvenza del debitore, a garantire la sostenibilità economica dell’impresa, a riconoscere a ciascun creditore un trattamento non deteriore a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale.
Va rilevato che l’art. 92, comma 3, prevede ora che il commissario giudiziale possa affiancare i creditori e il debitore nella negoziazione di modifiche del piano o della proposta sino a venti giorni prima della data stabilita per il voto dei creditori. Tale previsione si aggiunge a quella, preesistente, per cui nel concordato in continuità aziendale, nel termine concesso ai sensi dell'articolo 44, comma 1, lettera a), il commissario giudiziale, se richiesto o in caso di concessione delle misure protettive di cui all'articolo 54, comma 2, affianca il debitore e i creditori nella negoziazione del piano formulando, ove occorra, suggerimenti per la sua redazione.
Sempre con riferimento alla figura del commissario, ma anche del liquidatore, il nuovo art. 93 bis prevede che gli atti e le omissioni del commissario giudiziale e del liquidatore sono reclamabili ai sensi dell’art. 133 davanti al giudice delegato, fatta salva l’impugnazione del provvedimento di quest’ultimo davanti al tribunale.
L’art. 112 regola il giudizio di omologazione. Va tuttavia sottolineato che ai sensi dell’art. 106 il tribunale revoca il decreto di apertura quando risultano commessi atti in frode ai creditori o nelle altre ipotesi originariamente previste dall’art. 173 L. fall. Il comma 2 dell’art. 106 ha mantenuto la previsione della revoca nel caso di compimento di atti non autorizzati o quando, in qualsiasi momento, risulta che manchino le condizioni prescritte per l’apertura del concordato secondo gli artt. 84-88. Il Tribunale è quindi in grado di interrompere l’iter processuale aperto dalla presentazione della domanda di concordato quando si verifichi uno di questi fenomeni.
Per quanto concerne il giudizio di omologazione l’art. 112 è stato parzialmente riscritto dallo schema di D.Lgs. Va sottolineato che il tribunale deve in ogni caso, e quindi tanto nell’ipotesi del concordato in continuità che del concordato liquidatorio, verificare:
a) la regolarità della procedura, formula questa assai ampia, e l’ammissibilità della proposta, nella sostanza consentendo di ripetere i controlli che vanno effettuati in sede di pronuncia del decreto di apertura;
b) l’esito della votazione che è diversamente regolato dall’art. 109 con riguardo al concordato liquidatorio e al concordato in continuità. Nel primo caso il concordato è approvato dalla maggioranza dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Si ricorre al voto per teste quando un unico creditore sia titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi. In caso di formazione delle classi occorre inoltre la maggioranza delle classi.
c) la corretta formazione delle classi, anche qui con rinnovazione del giudizio che deve essere effettuato al momento della ammissione alla procedura ai sensi dell’art. 47, primo comma nel testo modificato dal D.Lgs.
d) la parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe;
e) per il concordato che non sia in continuità la fattibilità che è definita, come già si è accennato, come la non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati.
f) per il concordato in continuità che tutte le classi abbiano votato favorevolmente. A tale ipotesi si sostituisce la diversa disciplina prevista nel caso in cui vi sia stata approvazione da parte di alcune classi di creditori soltanto, anche senza raggiungere la maggioranza delle classi in parola.
Oltre a ciò il tribunale nel concordato in continuità deve verificare che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l'insolvenza e che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l'attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori.
Per questa parte l’art. 112 non ha modificato la disciplina dettata dal codice. Tale disciplina aveva dato attuazione all’art. 10 della Direttiva prevedendo sempre il controllo del Tribunale, mentre tale norma al comma 1 consentiva di limitare tale controllo a tre casi: 1) piani che incidono sui diritti delle parti interessate dissenzienti, che sono quelle il cui soddisfacimento è inciso dal piano, non quelle che in ogni caso non percepirebbero nulla, come chiarisce l’art. 2, n. 2 della Direttiva; 2) piani che prevedono nuovi finanziamenti; 3) piani che comportano la perdita di più del 25% della forza lavoro.
Il tribunale non ha il potere di verificare d’ufficio il difetto di convenienza della proposta perché per il concordato in continuità l’art. 112, comma 3, richiede che uno o più creditori dissenzienti abbiano proposto opposizione formulando tale eccezione. In tale ipotesi, peraltro, il tribunale può applicare il cram down se i creditori risultano soddisfatti in misura non inferiore rispetto al valore di liquidazione, secondo la nozione che ne dà ora l’art. 87, comma 1, lett. c) tenendo conto quindi anche della possibilità di vendita dell’azienda in blocco in attività e del risultato delle azioni esperibili in sede di liquidazione giudiziale. Va ricordato che la stima del complesso aziendale, in conformità alla Direttiva, è ammessa da parte del Tribunale soltanto quando sia eccepito il difetto di convenienza o, nel caso di concordato in continuità, in ipotesi di violazione delle regole proprie della ristrutturazione trasversale (cross class cram down).
La ristrutturazione trasversale può essere attuata, e quindi il tribunale omologa, quando sussistono le condizioni previste dall’art. 112, comma 2, che richiedono il voto favorevole della maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, ovvero nel caso in cui non si raggiunga la maggioranza, quando vi sia l’approvazione di almeno una classe a condizione che i creditori di tale classe sia offerto un importo non integrale del credito e siano almeno parzialmente soddisfatti anche sul valore eccedente quello di liquidazione quando si applicasse la regola della priorità assoluta[20].
Oltre a ciò il tribunale deve verificare che i creditori siano soddisfatti secondo la regola della priorità assoluta sul valore di liquidazione e quindi nel rispetto delle cause legittime di prelazione, e secondo la regola della priorità relativa per i soli creditori inclusi nelle classi dissenzienti. Ne deriva che i creditori inclusi nelle classi che hanno espresso consenso non possono opporsi all’omologazione per violazione delle regole proprie della priorità relativa. Nessun creditore inoltre deve ricevere più dell’importo integrale del credito.