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Saggio

Concordato minore e concordato preventivo*

Alberto Crivelli, Consigliere della Corte di Cassazione

21 Dicembre 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’articolo affronta le principali caratteristiche del nuovo istituto del concordato minore, previsto dal Codice della crisi per professionisti e piccoli imprenditori, in raffronto alla corrispondente disciplina del concordato preventivo. Viene in particolare affrontato il tema della compatibilità della disciplina prevista per tale ultimo istituto, in quanto richiamata dall’art. 74, comma 4, CCII.
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1 . Accordo di composizione e concordato minore
Il concordato minore è la denominazione utilizzata dal C.C.I. per indicare la nuova procedura concorsuale prevista per il soggetto non fallibile, ma la cui insolvenza non è neppure caratterizzata da obbligazioni sorte al di fuori di un’attività imprenditoriale o professionale. Si tratta di un istituto che si distacca notevolmente dal suo immediato precedente contenuto nell’originaria L. n. 3/2012. Non solo, infatti, non è più prevista l’universalità soggettiva dell’istituto, non più utilizzabile dal consumatore, ma soprattutto ne è stata modulata la disciplina, anche se fino a un certo punto, sulla falsariga di procedure “maggiori” contemplate dal codice.
La prima versione della L. n. 3/2012 prevedeva un accordo di composizione della crisi, concepito sulla falsariga dell’art. 182 bis L. fall. Ne era evidente il carattere negoziale, posto che i creditori
avrebbero potuto aderire alla proposta del debitore, ma, in difetto, avrebbero dovuto essere integralmente soddisfatti.
Con le modifiche di cui al D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 – successivamente convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 – il regime dell’accordo è stato omologato a quello di una procedura concordataria in senso proprio.
Il C.C.I. ha voluto completare il processo evolutivo dell’istituto, anche dal punto di vista nominalistico, intanto eliminando la possibilità di accedervi al consumatore, in vista del fatto che l’istituto si presta maggiormente a situazioni di sovraindebitamento più complesse, caratterizzate in particolare dallo svolgimento di un’attività produttiva (imprenditoriale o professionale) [1].
Non può peraltro sottacersi che, prevedendo l’art. 25 quater, CCII, non solo la possibilità in generale per il piccolo imprenditore e per quello agricolo di accesso alla composizione negoziata, ma al comma 4, lett. e), ed al comma 5 altresì l’applicabilità all’imprenditore sotto-soglia – in caso di fallimento delle trattative - dell’art. 25 sexies, CCII, in tali ipotesi sarà concorrente la possibilità di accedere sia al concordato minore sia a quello semplificato, appunto disciplinato da tale ultima norma.
2 . I soggetti
La prima questione che si pone è proprio inerente all’aspetto soggettivo, laddove ci si domanda se, oltre al professionista ed all’imprenditore minore, possa estendersi il ricorso all’istituto anche di altri soggetti, diversi ovviamente dal consumatore, espressamente escluso.
In effetti, avuto riguardo al testo dell’art. 74, CCII, che fa riferimento espresso all’art.2, lett. c), CCII, sembrerebbe di sì.
Ma va subito notato come il soggetto non imprenditore, che più di ogni altro potrebbe ricorrere all’istituto in parola, cioè l’imprenditore cessato da oltre un anno, per espressa disposizione dell’art. 33, comma 4, CCII, è escluso dal novero di coloro i quali possono ricorrere allo stesso.
Orbene se è così, cioè se un’insolvenza caratterizzata in gran parte o addirittura in toto da obbligazioni inerenti a un’impresa non può ricorrere al concordato minore, risulta difficile ammettere che invece vi possa ricorrere, ad esempio, un fideiussore, la cui crisi od insolvenza, è caratterizzata anche da obbligazioni inerenti all’altrui impresa, sempre ovviamente che la garanzia sia stata prestata per ragioni economiche e non, ad esempio, di solidarietà familiare [2].
D’altronde anche l’altra categoria di soggetti che astrattamente potrebbero ricorrere al concordato minore, cioè associazioni e comitati, in realtà vedono già disciplinati, in base a norme specifiche contenute nel codice civile, apposite procedure liquidatorie, e l’art. 2, lett. c), CCII, esclude espressamente dalla disciplina del sovraindebitamento quei soggetti per i quali il codice civile prevede apposite procedure liquidative. Il che fra l’altro, porta a concludere nel senso che potrebbe perfino dubitarsi della ricorso all’istituto in commento anche relativamente al patrimonio di soggetti defunti, rispetto alla cui eredità sia stata esercitata la facoltà d’accettazione beneficiata, o le quali siano giacenti, co nomina di apposito curatore, posto che l’art. 501, cod. civ., prevede in proposito un’apposita procedura liquidatoria (il dubbio peraltro sorgendo dal fatto che alla stessa è alternativa il pagamento ai creditori a misura che si presentano).
Al postutto la possibilità per non imprenditori e professionisti di ricorrere al concordato minore, appare piuttosto residuale, ma ciò non deve stupire.
Come si vedrà, scopo primario del concordato minore è preservare la continuità, rimanendo il concordato minore liquidatorio, come pure vedremo, sullo sfondo. Orbene un soggetto non imprenditore e non professionista giammai potrebbe presentare una proposta di continuità, ma semmai meramente liquidatoria, e ciò peraltro gli preclude di dedurre dall’attivo qualsiasi componente del proprio patrimonio.
Conseguentemente il fatto di riconoscere a tali soggetti solo la possibilità di ricorrere alla liquidazione controllata non pare poi così preclusivo per loro, tanto più che anche a seguito di questa procedura si potrà ottenere il beneficio dell’esdebitazione, anche in caso di mancato reperimento di alcun attivo.
Va comunque notato che espressamente al concordato minore potrà ricorrere l’imprenditore agricolo di qualsiasi dimensione, così come la start up innovativa, sempre secondo le espresse previsioni di cui all’art. 2, lett. c), CCII.
L’imprenditore che chieda di accedere al concordato minore dovrà provare la sussistenza dei requisiti che caratterizzano i soggetti legittimati, e quindi rispettivamente il mancato superamento delle soglie di cui all’art. 2, lett. d), CCII; il carattere agricolo dell’attività; la persistenza (da riguardarsi al momento della domanda) dei caratteri di innovatività della start-up, ed in ogni caso il mancato superamento del termine di sessanta mesi di cui all’art. 25 D.L. n. 179/2012.
Circa i professionisti, essi non devono essere necessariamente quelli collegiati, cioè appartenenti ad un ordine o ad un collegio professionale.
3 . Forme e caratteri del soddisfacimento
Scopo delle procedure concorsuali, cui non si sottrae di certo il concordato minore, è costituito dal soddisfacimento dei creditori. La proposta in proposito potrà far riferimento ad un soddisfacimento, anche parziale, dei crediti. Ciò significa che il soddisfacimento in parola dovrà essere necessariamente di natura pecuniaria, perché da un lato esso può essere appunto “parziale”, volendosi alludere ad una percentuale o a una parte del credito, il che non può che essere ricollegato ad un concetto quantitativo e dunque pecuniario (o almeno quantificabile in termini di pecunia); dall’altro v’è un espresso riferimento al soddisfacimento dei crediti, e non dei creditori, com’è proprio quando invece si fa riferimento al soddisfacimento tramite utilità diverse.
Con questo non è detto che utilità diverse non possano essere oggetto di soddisfacimento.
Quel che la norma vincola è il soddisfacimento minimo, concetto immanente ad ogni proposta concordataria che abbia una causa in concreto, come prevede l’ordinamento. Per soddisfacimento minimo, in base al consolidato orientamento della giurisprudenza, si deve intendere quello non irrisorio, economicamente apprezzabile. Pertanto, entro tali limiti il soddisfacimento dovrà essere pecuniario, mentre la porzione ulteriore potrà avvenire anche a mezzo di utilità diverse, e ciò anche con riferimento, come visto sopra, per quanto si riferisce la finanza esterna (in questo caso a differenza di quanto deve concludersi in tema di concordato preventivo in tema di concordato liquidatorio).
Naturalmente il riferimento alla possibilità di prevedere il soddisfacimento, anche parziale, dei crediti (“può prevedere”), allude al fatto che il piano potrebbe anche essere meramente dilatorio.
Chiaramente sia la forma di dilazione che la percentuale di soddisfacimento, o nei limiti che si sono visti, le utilità diverse, debbono essere oggetto di una specifica obbligazione assunta dal debitore, e per quanto riguarda la finanza esterna dal terzo, come deve ritenersi con riguardo al concordato preventivo, in base al meccanismo di rimando di cui all’art. 74, comma 4, CCII. Quanto alla disciplina del concordato preventivo la natura obbligatoria discende dal riferirsi il soddisfacimento a quanto “prevede” la proposta, che dunque non ha un contenuto meramente indicativo.
La caratterizzazione dell’obbligazione in parola, rispetto alla proposta, entra quindi nel giudizio di ammissibilità di quest’ultima.
La disciplina del concordato minore si muove su tre direttrici fondamentalmente, che sono il richiamo della disciplina del concordato preventivo; il mantenimento di una disciplina peculiare dettata dall’esigenza di tutelare le particolarità dell’imprenditore minore e del professionista rispetto all’imprenditore più grande; la spiccata preferenza per la continuità, quest’ultima del resto caratterizzante anche il concordato preventivo. Tale caratteristica però non toglie che la finalità essenziale del concordato minore, come d’altronde di quello preventivo, resta il soddisfacimento dei creditori, come dimostrano numerosi rimandi ad esso da parte della disciplina in esame (artt. 74, commi 1 e 2, 76, comma 2, lett. d).
Ciò non significa che si debba avere un miglior soddisfacimento, perché così non si ricava dalla disciplina specifica del nostro istituto, mentre in base al rinvio a quella del concordato preventivo, di cui all’art. 74, ult. comma, CCII, si applica il disposto di cui all’art. 84, comma 1, CCII, secondo cui occorre che il soddisfacimento sia non inferiore a quello realizzabile in caso di liquidazione giudiziale. Quindi l’espressione di cui all’art. 76, comma 1, lett. d), CCII secondo cui la relazione particolareggiata dell’OCC deve tra l’altro contenere la valutazione di convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria, va letta come una direttiva all’OCC di valutazione comparativistica del soddisfacimento nelle due procedure, e delle ragioni di preferibilità (non necessariamente in termini quantitativi) del concordato, proprio nel senso fatto proprio in materia di concordato preventivo dall’87, comma 2, CCII. 
Il miglior soddisfacimento è ormai confinato dunque alle considerazioni in sede di voto, e d’altronde proprio all’esercizio di tale diritto è preposta la relazione di cui s’è detto.
4 . Tipologie. Il C.M. liquidatorio e altre forme
Con riferimento alle forme concordatarie, ormai riferite essenzialmente alla caratterizzazione del piano (essendo evidente che le distinzioni tipologiche che seguono si basano proprio sulle forme di attuazione della proposta) la disciplina in parola prende espressamente in esame solo il concordato in continuità, qui aziendale o professionale (quest’ultima un’autentica novità rispetto anche a quanto prevedeva l’accordo di cui alla L. n. 3/2012), lasciando per il resto un’ampia libertà al debitore. Il ché è anche quanto accade in tema di concordato preventivo, ma con significative differenze.
Infatti, l’art. 84, CCII, disciplina piuttosto dettagliatamente l’ipotesi del concordato liquidatorio, determinando in proposito la percentuale minima di soddisfacimento dei creditori e l’obbligo di finanza esterna, anche qui quantificandola.
Nel caso del concordato minore invece, oltre a non esservi cenno alla modalità liquidatoria pura, si prevede più genericamente un aumento del soddisfacimento derivante dall’attivo con finanza esterna in misura a p p r e z z a b i l e.
Ciò significa anzitutto che la finanza esterna non deve assicurare, a differenza dell’ipotesi del concordato preventivo, un’aggiunta pari almeno al dieci per cento rispetto all’attivo, ma appunto deve trattarsi di un contributo sicuramente consistente, come suggerisce l’aggettivo utilizzato, che ridonda, rafforzandolo, il concetto di non irrisorietà del soddisfacimento aggiuntivo, e cioè di un soddisfacimento economicamente valutabile in termini tali da differenziare il trattamento che sarebbe risultato dal mero attivo. Inoltre, il generico ma significativo riferimento porta alla conclusione per cui tale apporto non deve necessariamente avere natura pecuniaria, non facendo riferimento ad una percentuale, ma potrebbe anche essere costituito da utilità diverse (concetto proprio della disciplina del concordato preventivo), e in ciò vi è una ulteriore differenza rispetto al concordato preventivo.
Ma la differenza fondamentale sta anche in ciò, che mentre le previsioni di necessaria “aggiunta” dalla finanza esterna (oltre alla non ripetuta soglia minima del soddisfacimento stesso) è ricollegata in materia di concordato preventivo all’ipotesi liquidatoria pura (cfr. art. 84, comma 4, CCII; qui siffatta aggiunta si riferisce a qualsiasi altra forma di concordato diversa dalla continuità, come reso palese dall’incipit dell’art. 74, comma 2, CCII (“fuori dei casi previsti dal comma 1…”). il che ad esempio significa che in caso di concordato con assunzione, l’assuntore offra – rispetto al valore dell’attivo che acquisisce – una apprezzabile aggiunta.
Quanto poi al concetto stesso di “finanza esterna”, si deve far pieno riferimento a quanto stabilito in proposito dall’art. 84, CCII, in base al quale si considerano risorse esterne gli apporti dei soci a vantaggio dei creditori, senza corrispettivo. Come deve ritenersi in caso di concordato preventivo, anche qui il riferimento ai soci non è preclusivo di apporto da parte di terzi estranei, e però include quello di eventuali soci illimitatamente responsabili, il che consente di ottenere il risultato di escludere dalla responsabilità (come ammette il riferimento dell’art. 84, comma 4, CCII, all’art. 2741, cod. civ.) parte del patrimonio di questi ultimi rispetto al concordato della società di persone. Ma in proposito occorre precisare: deve sempre sussistere la condizione non deteriore, per i creditori, rispetto all’alternativa liquidatoria, in cui quel patrimonio è completamente coinvolto, sebbene a mezzo dell’estensione (che però deve essere esaminato in sede di valutazione).
Il riferimento all’assenza di corrispettivo poi, porta ad escludere che un amministratore possa condizionare l’apporto di finanza personale alla rinuncia all’esercizio di azioni di responsabilità.
Come s’è premesso, accanto alle usuali forme di concordato, si potrebbe avere anche quello per assunzione. In tal caso, oltre a doversi ritenere necessario il versamento di un surplus rispetto al valore dell’attivo, il che conferma anche per tale ipotesi la natura di procedura oggettivamente universale anche di tale forma (oltre che di quella liquidatoria pura, posto che non si può pensare ad un surplus se già non è contemplato l’intero attivo), si pone il problema della competitività, perché in fondo quel che propone l’assuntore è la cessione (a sé) dell’intero attivo.
Ma a ben vedere, come già chiarito dalla giurisprudenza nella vigenza della legge fallimentare, tale cessione caratterizza l’essenza stessa della proposta, e quindi è quest’ultima a dover essere posta in “competizione”, il che si concretizza nella disciplina delle proposte concorrenti, prevista in generale per il concordato preventivo dall’art. 90, CCII e, almeno in passato, ritenuta incompatibile con le forme più semplici dell’accordo di cui alla L. n. 3/2012. 
Ora tale giudizio va sostanzialmente confermato anche a proposito del concordato minore, sia perché la disciplina delle proposte concorrenti presuppone una classazione non obbligatoria per il concordato minore, sia perché essa è limitata al proponente creditore nella misura del dieci per cento del passivo (perplessità peraltro comune alla ritenuta applicabilità di siffatta disciplina anche in caso di concordato preventivo con assunzione), sia infine perché le relative modifiche si riferiscono ad un termine anteriore alle operazioni di voto, quando l’espressione di questo nel concordato minore è ben diversamente disciplinato (non vi è in particolare una data iniziale per l’espressione dello stesso).
Tuttavia, la libertà delle forme concordatarie dovrebbe far ritenere la possibilità di proporre un concordato con assunzione, ed allora la competitività dovrebbe essere assicurata tramite la sottoposizione al mercato della proposta, prevedendosi adeguate forme pubblicitarie, da indicarsi partitamente nel piano, il tutto conciliandosi con la maggior semplicità che dovrebbe caratterizzare il concordato minore.
5 . C.M. in continuità
Va però a questo punto rammentato che il ricorso al concordato minore è previsto, in via principale e proprio dall’art. 74, comma 1, CCII, come preferibilmente caratterizzato dalla continuità, in termini però non perfettamente coincidenti con quella propria del concordato preventivo.
Intanto, e lo si è già sottolineato, qui si parla di continuità sia aziendale che professionale. La seconda tipologia richiede non pochi adattamenti rispetto alla prima, comune invece al concordato preventivo.
Inoltre, qui il riferimento è solo alla “prosecuzione” e non contempla invece la “ripresa” dell’attività. Forse però, sotto questo profilo, il dato esegetico potrebbe essere superato dalla finalità prevalente, e dall’impronta caratterizzante del codice, volta a privilegiare ove possibile ogni forma di continuità.
Certamente tale ultima finalità, ricollegata alla tutela della continuità dell’azienda come valore dissociato rispetto all’imprenditore, unitamente all’assenza di indicazioni contrarie e al rinvio operato dall’art. 74, u.c., CCII, porta a ritenere che senz’altro anche nel caso che ci occupa si possa far riferimento alla continuità indiretta, nel senso di applicarsi anche in tal caso, per i cui presupposti si deve far rinvio alla normativa del concordato preventivo, la disciplina propria della continuità. Con un limite però, che consiste nell’impossibilità di configurare la continuità indiretta in caso di attività professionale, per essere quest’ultima strettamente connessa alla persona del professionista.
In proposito della continuità, interrogativo rilevante è anche quello della possibile applicabilità della disciplina relativa anche ove il soddisfacimento non discenda direttamente dalla continuità stessa, avendo l’art. 84, CCII; abbandonato il concetto di prevalenza. In altri termini ci si chiede se si sia in presenza di concordato in continuità, anche se la maggior parte del soddisfacimento avvenga tramite la liquidazione di beni.
Orbene, essendo tale scelta strumentale a favorire in ogni modo la continuità, eventualmente anche riconnessa a preservare una pur minima (ma non apparente, sussistendo pur sempre il limite del divieto abuso dello strumento concordatario) azienda, non v’è ragione di escludere l’applicabilità dell’indicata disposizione (art. 84, comma 3, CCII), sempre per il tramite dell’art. 74, u.c., CCII.
Ma non tutta la disciplina che il concordato preventivo dedica alla continuità può essere traslata al concordato minore.
Anzitutto, come si vedrà, mentre l’art. 84, comma 8, CCII, detta un’apposita disciplina della competitività delle cessioni per la porzione liquidativa del concordato in continuità, invece l’art. 81, CCII, non distingue affatto, per cui la norma si applicherà tanto al concordato liquidatorio come a quello in continuità.
Ci si deve peraltro domandare se sia applicabile anche l’art. 84, comma 6, CCII, in tema di facoltà di soddisfacimento dei creditori secondo l’absolute priority rule (soddisfacimento integrale del creditore poziore prima di passare a quello successivo) quanto al ricavato della liquidazione, ma del relative priority rule (pagamento del creditore di grado inferiore purché quello poziore sia soddisfatto in maniera più importante, anche se non totale) per quanto si riferisce invece al ricavato della continuità (flussi della continuità diretta, o prezzo della cessione o dell’affitto d’azienda, nella continuità indiretta).
Anche qui nessun ostacolo sembra frapporsi all’estensione di tale disposizione, ma addirittura si ha qui una conferma diretta, data dal fatto che, in base all’art. 78, comma 2 bis, CCII, si deve procedere alla nomina del commissario giudiziale, fra l’altro, allorché sussista la condizione di cui all’art.112, comma 2, lett. b), che appunto fa riferimento al caso in cui sia osservato per tutto l’attivo il criterio dell’absolute priority rule, ammettendo così l’ipotesi inversa.
Altre particolarità verranno affrontate in corso di trattazione.
Come per l’art. 100, CCII, in tema di concordato preventivo, anche l’art. 74, comma 3, CCII, prevede la possibilità - per l’ipotesi di continuità aziendale, non in quella del professionista -di tener fuori dall’attivo i beni strumentali, stabilendo in ispecie che si possa prevedere di continuare il pagamento integrale delle rate dei mutui assistiti da garanzia su tali beni, addirittura anche quando alcune d’esse siano rimaste inadempiute, purché il giudice autorizzi il pagamento del pregresso.
Tale previsione va accompagnata da un’attestazione dell’OCC che indichi come tale debito sarebbe egualmente pagato anche in caso di liquidazione e che tale modalità non lede gli altri creditori (ciò a tutela dei creditori chirografari, cui dunque si assicura che nessuna parte dell’attivo loro destinato sia stornato a vantaggio del privilegiato suddetto). Norma poi che indirettamente conferma come, aldilà dell’ipotesi ivi contemplata, non si può escludere un bene dal piano concordatario, per l’ostacolo che ne deriva dall’art. 2740, c.c., oltre che dall’applicabilità dell’art. 154, CCII, per il tramite dell’art. 96, CCII, che dunque determina lo scadere di tutte le obbligazioni con il decreto d’ammissione alla procedura [3].
La modalità suddetta risulta così alternativa rispetto al ricorso alla moratoria, disciplinata dall’art. 86, CCII, in tema di concordato preventivo, da ritenersi applicabile (2) perché nulla vi si oppone, e addirittura unica modalità a tutela della continuità per i professionisti, col che, ritenendo non estensibile siffatta disciplina, la continuità per questi ultimi sarebbe davvero una chimera.
6 . Disciplina delle classi
Per quanto si riferisce alle classi, anche qui la disciplina del concordato preventivo diverge sensibilmente da quella in esame.
Anzitutto non può dirsi applicabile il principio dell’obbligatorietà della classazione, previsto in caso di continuità dall’art. 85, comma 3, CC, posto che in assenza di una norma similare, ed a fronte della previsione della continuità appunto come normale, l’art. 74, comma 3, CCII prevede la classazione come meramente “eventuale”.
L’assenza dell’obbligo di classazione, peraltro, si pone in perfetta sintonia con l’autonoma disciplina del voto, che esclude dunque la necessità di unanimità del consenso (almeno in via generale) delle classi nella continuità, come stabilita dall’art. 112, CCII.
Ciò non significa che anche nel concordato minore non esistano singole classi obbligatorie, anch’esse però non coincidenti con quelle previste dalla disciplina del concordato preventivo, come discende dall’autonomia della relativa disciplina.
Infatti, l’art. 74, comma 3, CCII, prevede l’obbligatorietà solo della classe dei creditori muniti di garanzia personale di terzi. Ad essa peraltro può aggiungersi l’ipotesi del creditore privilegiato degradato (peraltro, in base alla giurisprudenza anteriore, ciò può ritenersi anche in caso di concordato preventivo, malgrado il silenzio sul puto dell’art. 84, comma 5, CCII); ma non quella dei creditori soddisfatti con utilità diverse, perché nel concordato minore ciò può avvenire solo per la porzione ulteriore rispetto alla minima. Più in generale altra categoria sarà quella dell’assuntore (indipendentemente dal fatto che sia o meno creditore, l’art. 85 CCII invece alludendo al, qui non applicabile come visto, art. 90, CCII). Deve invece ritenersi l’obbligatorietà della classe dei creditori erariali non interamente soddisfatti, ma non per l’applicabilità diretta dell’art. 85 CCII, bensì in virtù di quella dell’art. 88, CCII, da cui discende comunque la necessità di formare una classe autonoma.
V’è poi nel nostro caso una classe obbligatoria ulteriore, costituita dal creditore professionale che non abbia verificato correttamente il merito creditizio. Per tale categoria l’art. 80, comma 4, esclude il potere di opporsi all’omologazione (per difetto di convenienza), pur ovviamente non negando che egli può opporsi allegando l’assenza di condizioni di ammissibilità; avrà diritto al voto e ad un soddisfacimento pur minimo (cioè, al solito, non irrisorio, anche se ben diverso da quello di altri creditori e non conveniente come l’alternativa liquidatoria).
Infatti, a controbilanciare un trattamento deteriore, appunto rispetto anche alla liquidazione, e comunque differenziato (altrimenti poco senso avrebbe valorizzare il dato della violazione) rispetto agli altri chirografari (sia chiaro che il trattamento non potrà pregiudicare eventuali diritti di prelazione, altrimenti si tradurrebbe nella violazione di norme previste a pena di ammissibilità della proposta), deve prevedersi la formazione di un’apposita classe.
Una volta poi formate le classi, il che deve anche qui avvenire in osservanza del disposto di cui all’art. 2, lett. p), CCII, il giudice dovrà verificarne la correttezza, attesa ormai la rilevanza ai fini del voto, tanto più che i criteri devono essere specificati nella relazione particolareggiata (art.76, comma 2, lett. g).
7 . La domanda. Gli atti urgenti
La domanda di concordato minore, in forma di ricorso, va formulata dall’OCC, ma ovviamente firmata anche dal debitore e con l’assistenza di un difensore, non essendo sul punto la regola generale derogata [5]. Essa andrà accompagnata, oltre che dalla relazione particolareggiata dell’OCC, il cui contenuto è specificamente disciplinato dall’art. 76, comma 2, CCII, così escludendosi l’estensione delle previsioni di cui all’art.87, comma 3, CCII. Il contenuto di tale relazione appare più ampio di quello della relazione del commissario in tema di concordato preventivo, ma ciò deriva dal fatto che concretamente l’OCC avrà collaborato alla redazione della domanda e di fatto, la relazione contiene elementi indispensabili per il piano stesso, come percentuali, modalità e tempi di soddisfacimento (art. 76, comma 2, lett. f). Essa poi s’incentra su elementi attinenti cause dell’indebitamento e ragioni dell’incapacità a far fronte allo stesso, oltre che (come nel caso della relazione commissariale) sulla veridicità dei dati e sul confronto con l’alternativa liquidatoria, di cui s’è già detto).
Nessuna norma consente l’integrazione della documentazione, ma per il mezzo dell’art.65, CCII; può ritenersi applicabile l’art. 47, comma 4, secondo periodo, in tema di facoltà per l’autorità giudiziaria, di concedere un termine per l’integrazione [4].
Da notare che qui non è prevista alcuna forma di domanda prenotativa o “in bianco”: A rimediare non vale il richiamo al procedimento unitario di cui all’art.65, CCII: la domanda prenotativa in generale, cioè quella domanda priva di contenuto (e in particolare di piano e di proposta), è prevista in generale dall’art. 44, CCII. Ma in tema di concordato minore l’unica domanda possibile è disciplinata dall’art. 76, CCII, che appunto – ai fini della relativa ammissibilità – richiede la presenza di piano e proposta, e di tutta la documentazione ivi prevista.
L’unica ipotesi di domanda prenotativa possibile è quella che discende dall’art.271, comma 1, CCII: se un creditore cioè, avrà presentata domanda di liquidazione controllata, al debitore sarà concessa facoltà di chiedere al giudice un termine per presentare una domanda di composizione della crisi da sovraindebitamento. Ma, come subito vedremo, la concessione del termine non potrà essere accompagnata da alcuna misura protettiva.
Nelle more della procedura, fra il deposito della domanda e l’omologazione, si pongono le necessità inerenti alle misure protettive ed all’adozione di atti urgenti.
Sotto il primo profilo, in particolare lo stay, è qui automaticamente accordato (cioè non vi è nessun vaglio entro trenta giorni da parte dell’autorità giudiziaria) su domanda del debitore, ma esso è previsto solo come adottato col decreto di “ammissione” di cui all’art. 78, CCII, senza che sia previsto alcunché per il periodo anteriore (cioè dalla domanda all’adozione del decreto suddetto). Inoltre, non è prevista l’adozione di misure cautelari, mentre quelle che si possono inibire sono solo i sequestri conservativi, che però, se già eseguiti, rimangono.
Quanto all’altra esigenza, quella degli atti urgenti, che cioè non possono attendere l’omologazione, vale l’obbligo di autorizzazione (art.78, comma 5, CCII), a pena d’inefficacia degli stessi, ma le forme sono quelle di cui all’art. 94, CCII, anche se l’anteriorità è ragguagliata non alla domanda di concordato, ma alla pubblicità del decreto d’apertura, il che farebbe pensare ad una libera effettuazione degli atti di cui all’art. 94, comma 2, CCII fino a quella data.
Il ricorso alla competitività nelle cessioni autorizzate per questa fase è certamente disciplinato dall’art. 94, comma 5, CCII, ma il richiamo va ragguagliato al disposto dell’art. 81, CCII, e non all’art. 114, CCII.
Ricorrendone la necessità, sarà applicabile anche la disposizione di cui all’art. 94, comma 6, CII, in tema di vendite urgenti senza forme competitive.
Tutte le autorizzazioni di cui si è fin qui discorso vanno rese sulla base di un controllo non solo di mera legittimità, ma anche di merito, poiché esse vengono adottate per controbilanciare una parziale esecuzione del piano prima che i creditori si siano espressi col voto.
8 . Il ruolo dell’OCC
Resta centrale, nella disciplina del concordato minore, il ruolo dell’OCC. Egli anzitutto presenta col debitore la domanda, e dunque collabora alla sua stessa stesura. Soprattutto riveste nella fase preliminare un ruolo determinante che è di ausilio allo stesso giudice, laddove stende la relazione particolareggiata di cui all’art. 76 CCII, dalla quale lo stesso essenzialmente trarrà elementi in ordine alla fattibilità del piano, ma anche dei criteri di classazione e del giudizio di valutazione del merito creditizio in capo al creditore che si assume dalla proposta lo abbia violato. Sempre l’OCC dovrà attestare l’incapienza dei beni su cui alcuni creditori esercitano la prelazione, a garantire l’integrità del relativo soddisfacimento, così consentendo il loro parziale degrado. Fondamentale appare poi la funzione dell’OCC anche in sede di omologazione, in relazione come si vedrà alle conseguenze di “contestazioni” di merito dei creditori, e infine assolutamente determinante il ruolo dello stesso in sede di esecuzione del concordato, al qual proposito rinvio al relativo paragrafo.
9 . Giudizio di fattibilità
Anche il concordato minore presuppone ovviamente la “fattibilità” del relativo piano, consistente come noto nella possibilità che la proposta possa ragionevolmente dallo stesso essere attuata, anche in termini economici. Ciò significa che le previsioni di piano (in termini di realizzo, di valutazione dei beni destinati allo stesso o, in caso di continuità, di previsione di flussi), siano in grado di consentire nei termini anche temporali del piano, di assicurare il raggiungimento delle percentuali promesse, cosa ben diversa ovviamente dal giudizio di convenienza, che attiene invece alla vantaggiosità del grado di soddisfacimento promesso rispetto alle aspettative provenienti dall’alternativa liquidatoria [6].
Stranamente non si fa cenno, a proposito della relazione particolareggiata (a differenza dell’art. 87 cit.) al giudizio di fattibilità.
Ciò che non significa che l’OCC non debba valutare tale aspetto, perché la relazione in parola costituisce elemento fondamentale tanto per la valutazione del giudice, quanto per quella che dovranno fare i creditori proprio in relazione agli aspetti economici della fattibilità. D’altronde, se si richiede di indicare le modalità di esecuzione, come succede per la relazione stessa da parte dell’art. 76, comma 2, lett. f, non si può ritenere che ciò non implichi un esame della fattibilità [7].
Quanto a quest’ultimo, di competenza del giudice, va detto che esso appartiene già alla fase dell’ammissione, come discende dal richiamo che l’art.65, CCII, fa delle disposizioni fra cui l’art. 47, CCII. Dopodiché, in sede di omologazione, indipendentemente da come si voglia interpretare l’art.112, comma 1, lett. g), CCII, tale ultima norma è certamente inapplicabile al concordato minore in continuità, atteso il meccanismo di voto – ben diverso – che vale qui [8].
10 . Decreto ex art. 78 CCII
Se la proposta sia ammissibile, in base a quanto fin qui osservato, e se ricorrano anche le condizioni soggettive di cui all’art. 77, CCII, del tutto specifiche alla disciplina del sovraindebitamento (assenza di precedente esdebitazione negli ultimi cinque anni, e di due esdebitazioni in assoluto, qui da intendersi come esdebitazioni sia pronunciate a seguito di liquidazione controllata, sia ai sensi dell’art. 283, CCII, che infine come conseguenza di una procedura di composizione della crisi; assenza di atti in frode, sia in corso di procedura, sia precedentemente, come emerge dal contenuto della relazione particolareggiata, che altrimenti sul punto non avrebbe senso) e se il debitore, essendo imprenditore commerciale, abbia provato di essere “sotto soglia” (prova positiva, perché qui, mancando il contraddittorio, non può farsi ricorso al principio di non contestazione di cui all’art. 115, c.p.c.), viene disposta con decreto la pubblicazione dello stesso, la sua trascrizione e l’assegnazione di un termine per far pervenire le adesioni, le mancate adesioni o le contestazioni all’OCC (oltre che disporsi le misure protettive nei termini che si sono visti).
11 . Il Commissario giudiziale
Sempre il decreto, ricorrendo le ipotesi previste dall’art. 78, comma 2 bis, CCII, prevede la nomina del commissario giudiziale. In questo caso la figura dell’OCC viene assorbita da quella del commissario.
Al commissario evidentemente si applicano le disposizioni previste dall’art. 92, CCII: egli sarà quindi pubblico ufficiale, ha compiti di informazione per i creditori, obblighi di comunicazione all’autorità penale, ma ovviamente non gli si applica l’innovativa previsione dell’art. 92, comma 3, ultimo periodo, propria infatti della fase “prenotativa”: anche nelle limitate ipotesi in cui la stessa vi sia nel concordato minore, la nomina del commissario infatti viene qui prevista solo col decreto di ammissione.
Quest’ultima osservazione consente di affrontare il tema della ragione stessa della previsione: il legislatore ha forse voluto dare alla procedura un professionista più “strutturato” di quanto non sia l’OCC, nei casi considerati più complessi, in cui siano state richieste le misure protettive (probabilmente il fatto che si aggiunga ove “la nomina appare necessaria per tutelare gli interessi delle parti” vuole alludere ai casi in cui in concreto vi siano delle esecuzioni in corso), vi sia richiesta del debitore o ricorrano le ipotesi di cui all’art. 112, comma 2, CCII: cioè allorché vi siano classi dissenzienti. Se però è così, allora le vere difficoltà sono nell’elaborazione del piano e della proposta, ma la nomina del commissario interviene appunto dopo tale momento.
Senza contare che, poiché una volta nominato il commissario sostituisce in tutto l’OCC, e poiché come si vedrà quest’ultimo dovrebbe collaborare col debitore alle vendite competitive, ne deriva allora che al commissario vengono attribuiti poteri gestori. Senza contare che talora il piano prevede la nomina di un liquidatore, ed allora la figura del commissario risulta anche sotto tal profilo superflua.
12 . Revoca
Ci si deve domandare a questo punto se sia applicabile l’art. 106, CCII, in tema di revoca in corso di procedura, o in generale se vi sia uno strumento per giungere ad un risultato analogo, soprattutto in caso di scoperta di comportamento fraudolento da parte del debitore.
Invero la disposizione richiamata non pare compatibile, ma occorre considerare che la disciplina del concordato minore appare tutt’altro che indifferente ad atti in frode da parte del debitore, come ben dimostra l’art. 82, CCII, che prevede in tale caso addirittura la revoca dell’omologazione.
Dunque, proprio la disposizione di cui all’art. 77, CCII, in tema di ostatività degli atti fraudolenti all’ammissione, giustifica il decreto di inammissibilità, da pronunciarsi anche d’ufficio [9] e le conseguenti istanze di apertura di liquidazione controllata [10].
Altrettanto, e più esplicitamente, ove la frode (sempre intesa anche come atti descritti dall’art. 82, comma 1, CCII: aumento dell’attivo o diminuzione del passivo dolosi o gravemente colposi, sottrazione o dissimulazione dell’attivo o di parte di esso, dolosa simulazione di attivo o altri atti fraudolenti) sia avvenuta o scoperta fra l’ammissione e l’omologazione, il giudice rigetterà la domanda e, come previsto dall’art. 80, comma 6, CCII, creditori o P.M. potranno chiedere l’apertura della liquidazione controllata. 
13 . Il voto
Venendo ora alla disciplina del voto, va osservato che v’è qui una disciplina speciale, mediante la quale, senza distinzioni fra liquidatorio e continuità, si stabilisce che il concordato è approvato dai creditori che rappresentino la maggioranza, col solito criterio della maggioranza anche di “teste” se la maggior parte die crediti sia detenuto da uno solo, e sempre che si raggiunga anche la maggioranza delle classi.
Qui sorge un problema di coordinamento fra norme, perché stando all’art. 79, CCII, appunto si fa capo al mero criterio maggioritario, come per il concordato preventivo disciplinato dalla legge fallimentare.
Tuttavia, come ricordato, l’art. 78, comma 2 bis, CCII, in tema di nomina del commissario, fa riferimento, tra l’altro, alla “domanda di concordato in continuità aziendale, con omologazione da pronunciarsi ai sensi dell’articolo 112, comma 2”, il che farebbe pensare all’estensione anche al concordato minore della regola dell’unanimità delle classi, salvo l’eccezione (piuttosto ampia, invero) del citato art. 112, comma 2.
Solo che tale norma, in sé, è del tutto incompatibile col concordato minore, che come qui va precisato, prevede la regola del c.d. silenzio-assenso, non sovrapponibile al complicato meccanismo previsto per il concordato preventivo in continuità senza unanimità delle classi.
E soprattutto si deve tener conto del fatto che la specifica norma di cui all’art. 79, CCII, sancisce l’approvazione con la maggioranza delle classi. Ciò significa allora che il rinvio di cui all’art.78, comma 2 bis, CCII, non è indice di estensione della regola ivi contenuta per l’approvazione del concordato, ma semmai per le ipotesi ivi contemplate, intese in sé, in presenza delle quali va nominato il commissario.
Il concordato poi s’intenderà approvato anche ove si abbia il diniego (qui non v’è alcun dubbio sul significato del termine “mancanza di adesione”, visto che il silenzio vale consenso, come s’è detto) del creditore erariale (e previdenziale), sol che il giudice in sede di omologazione possa stabilire che egli verrebbe soddisfatto più convenientemente che rispetto all’alternativa liquidatoria. Il che non solo trasforma il concordato (come anche quello preventivo, in base all’analoga norma) in una forma di concordato coattivo, ma di fatto rende lecita una sorta di condono fiscale ad personam.
Va poi risposto affermativamente circa la possibilità di modificare la proposta fino all’udienza: qui non si ha, come per il concordato preventivo, una data di inizio per l’esercizio di tale diritto stabilita dal decreto d’ammissione, bensì i creditori votano entro trenta giorni da quando ricevono la comunicazione dall’OCC (termine di necessità “mobile”) del decreto d’ammissione, quindi, è inapplicabile il termine stabilito dall’art. 91, comma 8, CCII.
In caso di modifica, che tanto più si renderà necessaria od opportuna all’esito di eventuali osservazioni che giungano dai creditori, le operazioni di voto saranno sospese. 
14 . Il giudizio di omologazione
L’omologa, che non necessita di apposita istanza, visto che la stessa è insista nella domanda di cui all’art. 76, CCII, calcolata la maggioranza, conseguirà ad un ulteriore controllo di ammissibilità e di fattibilità, risolvendosi al contempo le contestazioni dei creditori, sia in ordine al primo aspetto che a quello della convenienza, in questo secondo caso ricorrendo al solito giudizio di cram down.
La fase oppositiva, per la proposizione della quale non è richiesta l’assistenza di un legale, tanto che può essere trasmessa via pec, si celebrerà nel contraddittorio fra creditori opponenti e debitore.
Nulla stabiliscono le norme sulle forme di questo contraddittorio, stabilendosi solo che debbono essere “sentiti” il debitore e l’OCC.
Certo, dunque, non si applicano ex art. 65, CCII le disposizioni di cui all’art. 48, CCII, ma l’assunzione di mezzi istruttori, anche d’ufficio, e d’altronde anche la fissazione di un’udienza in camera di consiglio sono del tutto compatibili, benché quest’ultima possa essere sostituita da un contraddittorio cartolare.
Se il decreto che nega l’omologazione, e a cui può conseguire la richiesta di apertura della liquidazione controllata anche da parte del PM (essendo ricollegata quest’iniziativa alla frode), per espressa disposizione (art. 80, comma 7, CCII) è reclamabile ai sensi dell’art. 50, CCII (mentre in caso di diniego di omologazione del concordato preventivo va pronunciata sentenza reclamabile ai sensi dell’art. 51, CCII), nulla è stabilito per il reclamo della sentenza di omologazione, la quale dunque, in conformità al rinvio generale stabilito dall’art. 65, CCII; in tema di norme di procedura, sarà soggetta a reclamo ai sensi dell’appena citato art. 51, CCII. Pare in proposito poi pienamente applicabile, per analoga ragione, la disposizione di cui all’art. 53, comma 5 bis, CCII, in base alla quale l’accoglimento del reclamo avverso la sentenza di omologazione del concordato in continuità non determini la revoca se l’interesse generale dei creditori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante, purché a quest’ultimo sia riconosciuto il risarcimento del danno.
15 . Scioglimento dei contratti in corso
Si pone altresì il problema dell’applicabilità dell’art. 97, CCII, in tema di scioglimento dei contratti pendenti.
Pare evidente in proposito che la riuscita di un concordato in continuità per un’impresa minore non possa che presupporre la possibilità di sciogliersi da contratti pendenti, non potendo essa – ancora meno che un’impresa più grande – soggiacere ai rigori della disciplina dell’inadempimento o del recesso per mutuo consenso.
Pare dunque potersi affermare l’applicabilità della disposizione, anche sotto il profilo delle disposizioni procedurali in essa contenute, sebbene rimanga un dubbio soprattutto in tema di sospensione per la fase anteriore all’ammissione, come visto caratterizzata dall’esclusione di misure protettive, dopodiché anche la sospensione dovrebbe essere ammessa senza riserve ulteriori.
Invece la restrittiva disciplina delle misure protettive, propria del concordato minore, dovrebbe portare ad ammettere l’applicazione dell’art. 94 bis, CCII, ma sempre con esclusivo riferimento ai casi delle misure possibili per questa procedura. Tuttavia, per come strutturata la norma, essa dovrebbe attenere solo alla continuità aziendale, non a quella del professionista.
16 . Applicabilità dell’art. 96 CCII
Applicabile appare poi l’art. 96, CCII, che a sua volta estenderà al concordato minore le norme di cui agli articoli da 153 a 162, CCII.
Vanno fatti però due chiarimenti: il richiamo, ivi contenuto, all’art. 145, CCII, va inteso che per le formalità ivi contemplate vanno riferite al decreto d’ammissione, non dalla domanda. Inoltre, a mezzo dell’estensione del disposto di cui all’art. 153, CCII, i creditori privilegiati “incapienti” indipendentemente dalla percentuale promessa, avranno diritto ad essere soddisfatti per l’intero ricavato dalle vendite dei beni su cui esercitano la prelazione, anche se maggiore rispetto alle previsioni.
Si è già detto degli effetti dell’applicabilità dell’art. 154 CCII.
17 . Esecuzione del C.M.
Venendo infine all’esecuzione, essa è autonomamente disciplinata dall’art. 81, CCII, sicché non risultano applicabili gli artt. 84, comma 8, e da 114 a 118, CCII [11].
A differenza, dunque, di quanto prevede la disciplina del concordato preventivo, sia l’esecuzione del concordato liquidatorio, che quella della porzione liquidativa di quello in continuità, continuano ad essere affidate all’imprenditore (o al professionista), a meno che, ovviamente, il piano non preveda la nomina dell’OCC qual liquidatore.
Peraltro, si prevede che l’OCC vigili su tale esecuzione, e che – dovendosi procedere a cessioni, per le quali si prescrive il ricorso a procedure competitive, quest’ultimo altresì “collabori” con il debitore, per curare evidentemente gli aspetti tecnici qui preminenti.
La competitività, prevista come indispensabile, dovrà formare oggetto di specifica disciplina da parte del piano, eventualmente integrato dalla sentenza di omologazione, nel rispetto dei tre cardini della competitività stessa (pubblicità adeguata, stima da parte di un esperto e scelta del contraente in base a criteri predeterminati e trasparenti).
La distribuzione avviene ad esito di uno svincolo ad opera del giudice, delle somme ricavate, che dovrà essere richiesto sulla base di una sorta di piano di riparto, pur non supportato da un accertamento del passivo, e quindi l’esclusione dal quale comporterà l’onere, da parte del creditore, di promuovere apposita azione giudiziaria di cognizione.
La previsione dell’ordine di cancellazione delle formalità ad opera del giudice, presuppone che, analogamente a quanto accade in caso di cessioni nell’ambito di un concordato preventivo secondo forme competitive a schema libero, il trasferimento avvenga tramite rogito notarile (se tale forma sia richiesta dalla natura del bene) e comunque a mezzo di atto negoziale.
Tutto ciò, peraltro, e proprio in forza della natura procedimentalizzata delle cessioni come sopra disciplinate, non toglie che le stesse abbiano natura coattiva (con conseguente applicabilità degli artt. 2919-2929, c.c.).
Al solito, le cessioni fatte senza l’osservanza di tali disposizioni (in particolare il rispetto delle forme competitive concretamente declinate dal piano e recepite dalla sentenza di omologazione) determinerà l’inefficacia degli atti di trasferimento (art. 81, comma 3, CCII), sorte che tocca anche ai pagamenti effettuati senza l’osservanza del decreto di svincolo del giudice.
Non si applica poi neanche la previsione inerente i poteri surrogatori del commissario in caso di inadempienze del debitore in sede esecutiva, come previsto invece dall’art.118, comma 4, CCII, perché è prevista invece una procedura alternativa: l’art. 81, comma 5, CCII infatti prevede che se non è integralmente o correttamente eseguito il piano, il giudice indichi gli atti necessari ed assegni un termine, per cui ove lo stesso non venga rispettato si procederà alla revoca dell’omologazione, anche d’ufficio (come si ricava dal rinvio all’art. 82, CCII). Un sistema piuttosto inefficiente, che invece avrebbe ben potuto mutuare dal concordato preventivo l’alternativa ivi prevista, ben più valida.

Note:

[1] 
F. Rolfi, Il concordato minore, in AA.VV., Il nuovo sovraindebitamento, 2019.
[2] 
Pare concludere difformemente, nel senso del ricorso al procedimento in questione da parte di chiunque non sia qualificabile come consumatore, N. Soldati, Il concordato minore nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza quale evoluzione dell’accordo con i creditori, in Dirittodellacrisi.it, 5 novembre 2021.
[3] 
D. Vattermoli, Il concordato minore, aspetti sostanziali, in Fall., 2020, 441.
[4] 
P. Farina, La nuova disciplina del concordato minore, tra semplificazione e complicazione, in Dir. Fall., 2019, 1364 
[5] 
F. Rolfi, op. cit.
[6] 
Contra P. Farina, op. cit.
[7] 
In tal senso I. Pagni, Procedimenti e provvedimenti cautelari ed esecutivi, in Fall., 2012, 1064 ; A. Patti, La fattibilità del piano nel concordato preventivo, tra attestazione dell’esperto e sindacato del tribunale, in Fall., 2012, 46.
[8] 
in argomento, si vis, A. Crivelli, Sub art. 76, in Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, diretto da Di Marzio, 2022.
[9] 
F. Rolfi, op. cit.
[10] 
Si vis, A. Crivelli, op. cit., sub art. 82.
[11] 
Si vis, A. Crivelli, Le procedure liquidatorie negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Il Fallimentarista, 19 settembre 2022.

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