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Saggio

Il controllo giudiziale nei concordati – La ristrutturazione trasversale*

Massimo Fabiani, Ordinario di diritto commerciale nell’Università del Molise
Salvo Leuzzi, Consigliere della Suprema Corte di Cassazione

18 Dicembre 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee. Lo scritto confluirà, con i dovuti adattamenti, nel Trattato delle procedure concorsuali, a cura di M. Arato, G. D’Attorre e M. Fabiani, di prossima pubblicazione per Giappichelli.
Nella condivisione dell’intero contributo i §§ 1-6.1, 6.3-7.2, 11, 12 e 13 sono stati redatti da Massimo Fabiani e i §§ 8-10 da Salvo Leuzzi; il § 6.2. e le conclusioni sono comuni agli Autori. Alcune delle considerazioni svolte nel testo (in particolare i §§ 4 e 5) sono comuni a I. Pagni-M. Fabiani, I giudizi di omologazione nel Codice della Crisi, in Dirittodellacrisi.it.
Gli Autori affrontano in modo sistematico il procedimento di omologazione del concordato preventivo e i controlli che competono al tribunale.
Riproduzione riservata
1 . Rapporto tra omologazione processuale e omologazione sostanziale
L’organizzazione del procedimento di concordato preventivo nella tessitura della legge fallimentare presentava molteplici profili di criticità ma si caratterizzava, anche, per una evidente semplicità nella sequenza degli adempimenti che conducevano alla definizione del procedimento. Le disposizioni rilevanti erano, infatti, allocate negli artt. 174 ss. L. fall. Ciò significa che prima si incontrava la disciplina dell’approvazione e poi quella dell’omologazione. 
Ora, invece, nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) le norme sulla omologazione vengono in parte prima e in parte dopo quelle sulla votazione e sono dislocate in due diverse partizioni che debbono essere adeguatamente ben distinte[1]: (i) il procedimento di omologazione, pur posteriore al procedimento deliberativo, è disciplinato prima (artt. 48, 51, 52 e 53 CCII con un richiamo, poi, nell’art. 112); (ii) il procedimento deliberativo è collocato dopo (artt. 107-111 CCII). Si tratta di una scelta che si potrebbe definire disarmonica in quanto spezza il procedimento concordatario in due plessi normativi, ma non asistematica, perché l’opzione si regge sul teorema del procedimento unitario. 
Così, la legge delega n. 155/2017 all’art. 2 ha immaginato la realizzazione di un percorso processuale unitario per l’accertamento dei presupposti per l’apertura di una procedura concorsuale (qui da intendersi in senso non squisitamente tecnico stante la nota opinabilità della nozione di procedura concorsuale)[2] e di riflesso il legislatore delegato con il D.Lgs. n. 14/2019 ha disegnato un procedimento di apertura (artt. 40 e 41 CCII) ed un procedimento di definizione sulla domanda formulata (artt. 48, 49 e 50 CCII) distinguendo le possibili domande e i possibili esiti ma concentrando le varie attività nella cornice di un procedimento per molti aspetti unitario.[3] 
Una volta operata questa scelta si è predisposto all’interno del Titolo III un Capo IV che disciplina il procedimento lasciando, però, ai singoli strumenti di regolazione della crisi e alla partizione dedicata alla liquidazione giudiziale il compito di descrivere l’oggetto di tali procedimenti (art. 112 CCII). Orbene, con specifico riferimento al concordato preventivo, in questa sede ci occuperemo soltanto della fase di omologazione ma trattando simultaneamente (i) i profili che attengono alle regole del decidere e i (i) profili che attengono all’oggetto della decisione. 
Rispetto al passato, l’interprete deve continuamente passeggiare tra l’art. 48 e l’art. 112 per comprendere esattamente quali sono i ruoli delle parti e quali i poteri del giudice nel contesto della fase di omologazione del concordato preventivo[4]. 
L’art. 84 CCII scolpisce diversi modelli tipici di concordato preventivo (con continuità, di liquidazione, con assuntore) ma ciò non esclude che il tipo possa anche essere diverso[5] il che pone il tema di quale disciplina debba, poi, applicarsi al concordato atipico e già la stessa figura del concordato con assunzione riceve (solo) una disciplina imperfetta. Sempre dalla lettura dell’art. 84 si ricava che i concordati in continuità e con liquidazione offrono regimi disciplinari largamente diversi, tanto è vero che talora si postula che non vi sia, più, una nozione unitaria di concordato preventivo[6]. Questo aspetto non è affatto estraneo al giudizio di omologazione perché l’ambito dei controlli è diverso e, con un po’ di azzardo, si potrebbe dire che lo stesso oggetto dell’omologazione sia differente. Ma se il contenuto dei controlli è disomogeneo, maggiore uniformità sussiste per ciò che attiene alle modalità con cui i controlli debbono essere esercitati.
2 . L’avvio dell’omologazione
Quando le maggioranze sono raggiunte e il concordato è stato approvato – oppure, anche in assenza di approvazione ma quando nel concordato con piano di continuità possono sussistere le condizioni di cui all’art. 112 CCII -, una volta acquisita la relazione del commissario resa ai sensi dell’art. 110 CCII (che costituisce un documento informativo diretto al tribunale), viene fissata dal tribunale l’udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale. Non si tratta di una iniziativa officiosa perché tutto il procedimento è retto dalla domanda ex art. 40 CCII. Questo significa che la domanda proposta ai sensi dell’art. 40 CCII contiene, già, anche la richiesta di omologazione, ma questa non può essere esaminata sino a quando non si esaurisce il processo di approvazione della proposta. In sostanza, il giudice attende a fissare l’udienza di omologazione per verificare che tutte le fasi intermedie del procedimento si siano (esattamente) svolte. 
Il tribunale[7] (o giudice delegato su delega del presidente) forma il decreto di fissazione dell’udienza che va iscritto presso l’ufficio del registro delle imprese dove l’imprenditore ha la sede legale (e se questa differisce dalla sede effettiva anche presso l’ufficio del luogo in cui la procedura è stata aperta) affinché qualunque interessato ne prenda atto e possa presentare opposizione; invece, al commissario giudiziale e ai soggetti che appaiono come i più probabili interessati a partecipare al giudizio di omologazione (gli eventuali creditori dissenzienti), il decreto deve essere notificato a cura del debitore[8]. 
Se la notificazione non avviene, si deve ritenere che il tribunale debba ordinarne la rinnovazione[9]; se la rinnovazione non viene effettuata il procedimento non può proseguire, e la domanda di concordato diviene improcedibile. 
Nel fissare l’udienza il giudice che vi provvede deve considerare che va assicurato ai potenziali opponenti (ma anche a coloro che volessero spiegare un intervento adesivo a favore del debitore) un adeguato spatium deliberandi per valutare se proporre (o no) l’opposizione. 
Nel caso in cui la proposta di concordato preveda operazioni societarie straordinarie di trasformazione, fusione e scissione (tra. 116 CCII) il decreto di fissazione dell’udienza deve disporre che il piano sia pubblicato anche nel registro delle imprese del luogo ove hanno sede le società interessate dalle operazioni di trasformazione, fusione o scissione e tra la data della pubblicazione e l'udienza devono intercorrere almeno quarantacinque giorni. Diversamente, questo termine minimo non è incluso nell’art. 48 CCII là dove si prevede (solo) il termine a ritroso per la proposizione di opposizioni, sì che occorre tenere conto delle esigenze di difesa. Il termine fissato nell’art. 116 si giustifica per il fatto che i soggetti coinvolti e incisi dalla omologazione possono essere i creditori delle società terze, ed allora in tutti gli altri casi un termine minimo per un corretto esercizio del diritto di difesa si può individuare tra i venti[10] e i trenta giorni, preferibilmente trenta perché è una misura di tempo che ricorre in altre partizioni del codice[11]. 
Occorre, ora, selezionare quali sono le parti del giudizio di omologazione e quali i soggetti che vi devono partecipare. Traendo spunto dalle categorie del diritto processuale civile possiamo identificare quali litisconsorti necessari il debitore (e il terzo che ha presentato la proposta concorrente là dove questa sia stata approvata) e la collettività dei creditori come contraddittore in senso formale. La posizione del commissario giudiziale è particolare perché partecipa al procedimento non come parte (neppure in senso formale) ma come organo della procedura[12], per cui la sua partecipazione al processo è necessaria, nel senso che deve essere messo nelle condizioni di svolgere il proprio ruolo. Accanto ai litisconsorti necessari, possono assumere la posizione di parte (litisconsorti facoltativi) il pubblico ministero (che ha facoltà di intervento ogni volta che ravvisi un pubblico interesse), i singoli creditori che si oppongono o che intervengono e i terzi che manifestano un interesse contrario all’omologazione, nonché quei creditori che si costituiscono ai sensi dell’art. 110 CCII al solo scopo di far risultare la volontà di modificare la propria adesione in voto contrario a seguito del mutamento delle circostanze in punto di fattibilità del piano di concordato[13]; possono, però, intervenire anche i creditori assenzienti quando vogliono spiegare un intervento adesivo a favore del debitore. 
Sono legittimati a proporre opposizione i creditori dissenzienti per espressa previsione di legge, ma anche ogni altro possibile interessato[14], inclusi i creditori privilegiati non votanti, i soggetti che neppure rivestono la qualifica di creditori (purché titolari di un interesse giuridico) od ancora coloro che assumono di essere tali ma le cui pretese sono state contestate. Il ventaglio dei (potenziali) partecipanti è ampio, fermo restando che si deve trattare di soggetti che vedono la loro sfera giuridica incisa dalla omologazione o dal rigetto della omologazione, come accade per i soci quando il piano ne prevede un trattamento[15]. 
Il procedimento di omologazione vede, dunque, da una parte il debitore (e/o il terzo proponente) e dall’altra parte la massa (o la comunità) dei creditori, non i creditori uti singuli che divengono parti del giudizio solo quando si oppongono o si costituiscono. Questa circostanza assume un rilievo particolare perché segna, al contempo, un limite alla legittimazione per la proposizione del reclamo di cui all’art. 51 CCII.[16] 
Coloro che intendono opporsi alla omologazione (art. 48 CCII) devono costituirsi nel termine perentorio[17] – non soggetto a sospensione feriale – di almeno dieci giorni prima dell’udienza. Le opposizioni sono sempre contenute in comparse di costituzione con le quali i creditori sollevano difese che appartengono al novero delle eccezioni, e non delle domande perché la domanda è unica: quella di omologazione avanzata dal debitore (o dal proponente concorrente). 
Poiché si parla di costituzione in giudizio e in assonanza a quanto previsto nell’art. 9 comma 2 CCII è obbligatoria la difesa tecnica[18]. 
Come sopra enunciato, il commissario giudiziale partecipa necessariamente al procedimento ma come organo della procedura e non come parte titolare di una posizione giuridica autonoma, ed in tal senso non deve costituirsi nel giudizio; gli si chiede perciò il deposito di una relazione conclusiva, contenente un motivato parere, col quale deve prendere posizione anche sulle eventuali opposizioni, nel termine di cinque giorni prima dell’udienza. In astratto, qualora nel giudizio di omologazione venga dedotta una circostanza che possa incidere su un diretto interesse giuridico del commissario giudiziale, si dovrebbe immaginare che questi sia legittimato a costituirsi così acquisendo la posizione di parte in senso processuale. 
Per agevolare una più compiuta organizzazione del contraddittorio, al debitore (o al proponente) è assegnato un ulteriore termine fino a due giorni prima dell’udienza per depositare memorie[19]. 
Il contraddittorio tra le parti è così organizzato in modo più efficiente rispetto al passato[20], con la previsione di termini sfalsati per le opposizioni e per la memoria del debitore o del proponente, che, avendo a disposizione un termine più ampio, potranno replicare ad esse e tener conto anche del parere del commissario giudiziale. 
Una volta depositate le memorie difensive le modalità di prosecuzione del processo sono lasciate alla discrezionalità del collegio (salva la delega al relatore)[21] che dovrà calibrarle in relazione alla complessità delle posizioni, alla opportunità che l’esito del processo avvenga celermente, alla eventuale necessità di dare ingresso all’espletamento di attività istruttoria (v., infra, prossimo §).
3 . L'eventuale attività istruttoria
Ancor prima di prendere in esame quale può essere l’oggetto del giudizio di omologazione, composto da domanda e opposizioni (eccezioni), giova chiarire il perimetro dell’attività istruttoria che può essere compiuta nel giudizio di omologazione. 
Nel regime della legge fallimentare il compimento dell’attività istruttoria era riservato alle sole ipotesi in cui fossero state proposte opposizioni. In verità, la lettura corrente era nel senso che l’attività istruttoria prescindesse dalla presenza di opposizioni[22], sul presupposto che nei procedimenti a forma camerale l’attività istruttoria è rimessa alla iniziativa officiosa del giudice, che può assumere informazioni. In tal senso si era, dunque, opinato che una attività istruttoria potesse essere svolta in ogni ipotesi. 
Ora l’art. 48, comma 3, CCII regola in modo autosufficiente la fase dell’omologazione e stabilisce che in ogni caso (quando ve ne sia bisogno) il tribunale procede all’istruttoria, assunti i mezzi di prova richiesti dalle parti o disposti d’ufficio[23]. La scelta, coerente con il fatto che la presenza o meno delle opposizioni non muta la natura del giudizio[24], è stata quella di abbandonare il percorso binario, derivante dall’essere state, o meno, presentate opposizioni, uniformando la disciplina sul modello della legge più prossimo possibile alla cognizione piena ed esauriente[25]. Anche in assenza di opposizioni, infatti, ci sono questioni rilevabili d’ufficio che ostano all’omologazione e per i cui fatti sottostanti il tribunale può avere necessità di assumere la prova, a patto che le circostanze di fatto su cui basa il proprio giudizio risultino in qualche modo dagli atti di causa, non potendosi superare il divieto di cui all’art. 97 disp. att. c.p.c. Al fondo, non è certo la diversità dell’oggetto del processo che ne trasfigura la struttura, visto che il modello processuale, da questa angolatura, non segna frizioni. 
L’attività istruttoria che può essere svolta nel corso del giudizio di omologazione è quella tipica dei giudizi in camera di consiglio ‘potenziati’, là dove all’esercizio di poteri istruttori officiosi si giustappongono i poteri parte. Non esiste alcuna limitazione sulla tipologia di mezzi di prova che le parti possano dedurre se non nei limiti della loro non funzionalità. Ciò significa che avranno largo spazio i mezzi di prova documentali ma nulla esclude che possano essere introdotti mezzi di prova orali; possiamo pensare ad una prova testimoniale sulla esistenza di un credito contestato la cui partecipazione al voto può essere decisiva per la formazione della maggioranza. Così pure, si può non escludere il ricorso ad una consulenza tecnica d’ufficio[26] ove dovesse essere dibattuto il tema della porzione di valore della ristrutturazione attribuito ai soci. Anzi, proprio la complessità delle indagini che sono affidate al tribunale potrà giustificare un più ampio ricorso a mezzi di prova che non siano già stati confezionati dalle parti; non crediamo osti a tale potere il fatto che nell’art. 112 si stabilisca che la stima dei beni vada disposta quando un creditore dissenziente reclama il giudizio di convenienza[27], poiché tale norma non può precludere al giudice di avvalersi di un tipico mezzo di prova officioso[28], ma sempre che vi sia una contestazione seria da parte di un opponente[29].
4 . Il possibile perimetro della cognizione del tribunale
Prima ancora di procedere all’esame di ciò che può costituire oggetto del processo è utile porre l’attenzione su quanto può essere oggetto della cognizione del giudice che è concetto ben distinto da quello di oggetto del processo. La cognizione del giudice si forma sulle questioni dibattute, mentre oggetto del processo è la situazione sostanziale (o in qualche caso meramente processuale) dedotta nel giudizio. 
Così, le opposizioni sono eccezioni, e non domande, e con esse l’oggetto del processo non muta; in relazione all’ampiezza dell’opposizione, è possibile anche in questa sede prospettare la distinzione tra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato, eccezioni di rito ed eccezioni di merito[30]. 
Possono essere considerate eccezioni di rito in senso lato quelle che attengono alla legittimità della regolare progressione delle fasi del procedimento e quindi rilevabili anche d’ufficio; le doglianze sul raggiungimento della maggioranza per l’approvazione proprio perché attengono alla validità della deliberazione vanno anch’esse qualificate come eccezioni sul procedimento e rilevabili d’ufficio[31]. 
Deve reputarsi eccezione in senso lato quella sulla manifesta inidoneità del piano concordatario, se si ritiene che l’“infattibilità” debba essere letta come fatto impeditivo, e non già la “fattibilità” come fatto costitutivo della domanda, e ciò perché diversamente si onererebbe il debitore di una prova su un fatto negativo. 
Al contrario, un’eccezione di prescrizione, una decadenza, un vizio del consenso che ha determinato il voto favorevole alla proposta, sollevato dal creditore che voglia inficiare la validità dell’accordo, oppure l’annullabilità del contratto o i vizi della merce dalla cui consegna sia sorto il credito di cui si sia tenuto conto nel calcolo delle maggioranze, sono tutte ipotesi di eccezioni di merito e in senso stretto perché attengono al credito del singolo e non riguardano, se non di riflesso, la regolarità del procedimento (là dove mettono in discussione il risultato raggiunto in sede di votazione). 
Sono, certamente eccezioni in senso stretto, anch’esse di merito, quelle che attengono alla convenienza[32] - vista la volontà esplicita del legislatore di attribuire al giudice il compito di verificare la convenienza solo in un caso e su iniziativa del creditore – nel concordato liquidatorio, tant’è che il giudizio di convenienza va operato con riguardo alla posizione del creditore opponente (e non all’intera massa dei creditori)[33]. 
Si è soliti affermare che nel giudizio di omologazione la decisione è vincolata[34] nel senso che il tribunale può, solo, omologare o rifiutare l’omologazione; se questo è vero per ciò che riguarda l’oggetto del processo in via principale, non è altrettanto esatto quando nel medesimo contenitore processuale alla domanda di omologazione del debitore si addiziona la domanda di apertura della liquidazione giudiziale proposta dai creditori o dal pubblico ministero. 
Infatti, pendente il giudizio di omologazione e sino a che il procedimento non transita in decisione i creditori possono proporre la domanda di liquidazione giudiziale (art. 40, comma 9, CCII) o (i) presentando la domanda all’interno del procedimento (unitario) di concordato oppure (ii) presentando una domanda autonoma che il tribunale riunisce necessariamente anche d’ufficio al procedimento già pendente. 
Per la domanda autonoma non sono previste preclusioni, anche se ovviamente la presentazione del ricorso per la liquidazione giudiziale quando il procedimento avente ad oggetto la domanda di uno degli strumenti di regolazione è in grado di impugnazione rende necessario individuare il meccanismo di coordinamento che riteniamo debba essere quello di cui all’art. 337, comma 2, c.p.c., fermo restando il diverso profilo che pertiene al rapporto tra risoluzione del concordato e liquidazione giudiziale (art. 119 CCII). 
5 . Oggetto del giudizio di omologazione
Assai complesso è stabilire quale sia l’oggetto del giudizio di omologazione e tale, innata, complessità si accresce anche per effetto della frammentazione normativa, in particolare quella tra l’art. 48 e l’art. 112 CCII[35]. 
Sappiamo che una volta che una proposta concordataria è stata approvata dai creditori (art. 109 CCII), l’assetto negoziale del concordato si esaurisce ma da solo non è sufficiente a governare il procedimento in quanto è necessario, perché si producano gli effetti del patto concordatario, che intervenga la sentenza di omologazione del tribunale. A maggior ragione, quando il concordato procede pur senza che sia stata conseguita la maggioranza di voti favorevoli tra i creditori (art. 112 comma 2 lett. d) è ancor più centrale il giudizio di omologazione affidato al tribunale. 
L’efficacia del negozio si propala verso (i) i creditori dissenzienti, verso (ii) i creditori estranei e verso (iii) i terzi solo quando la proposta è omologata dal tribunale (v., art. 117 CCII). 
Il provvedimento di omologazione serve, dunque, a dare piena efficacia ad un contratto; l’omologazione costituisce, quanto meno, la condicio iuris dell’accordo concordatario perché questo possa dispiegare pienamente i propri effetti. 
Se si guarda al concordato dall’ottica del diritto civile e si pensa al paradigma normativo secondo il quale il contratto ha effetto di legge fra le parti e, normalmente, non si riflette verso i terzi, si comprende che l’adesione alla proposta formulata dal debitore da parte di ciascun creditore dovrebbe impegnare il solo creditore aderente. Anche considerando la circostanza che il legislatore ha ritenuto di applicare il principio di maggioranza al concordato, in virtù della presenza di una collettività dei creditori, la scelta di rendere efficace il concordato solo con l’omologazione del tribunale non è per nulla irrazionale, specie ora che il principio di maggioranza non è più solido come un tempo[36]. 
L’attribuzione al giudice del compito di omologare (o non omologare) il concordato è un modo per consentire che si eserciti un controllo sul procedimento di formazione del vincolo negoziale. 
Nel caso del concordato si è preferito prevedere che il provvedimento di omologazione giunga al termine di un procedimento all’interno del quale tutte le parti coinvolte ed anche i terzi interessati sono posti nelle condizioni di svolgere le loro difese: ciò si traduce nella possibilità di contestare che il procedimento di concordato e la sua approvazione, in particolare, siano conformi alla legge e all’interesse dei creditori. 
Il procedimento (giudizio) di omologazione è necessario perché (i) il consenso si forma durante la procedura, (ii) la regolazione della crisi d’impresa è un fatto che interessa una comunità di soggetti economici, (iii) occorre trovare un contenitore nel quale convogliare tutte le questioni che possono essere sollevate in ordine alla legittimità del procedimento e alla vantaggiosità della proposta; tali questioni possono entrare nel processo attraverso la proposizione di opposizioni. 
Così, il “contratto di concordato” non è il contratto sulla procedura ma è il contratto su come deve essere regolata la crisi, quello che possiamo definire patto di concordato ed è su questo che si esprime il controllo del giudice. 
La domanda di concordato resta affidata al monopolio del debitore ed è solo costui che ha il potere di chiedere che la regolazione della crisi della sua impresa avvenga secondo le regole del concorso concordatario, posto che i creditori[37] (e i soci)[38] possono formulare una proposta concorrente ma non una domanda concorrente; affinché la richiesta possa essere accolta il proponente deve essere in grado di presentare ai creditori un patto di concordato accettabile. 
Le regole disciplinari del concordato si applicano come effetto della domanda giudiziale. 
Tuttavia, mentre il patto di concordato fra debitore e creditori potrebbe concludersi al di fuori del procedimento se tutti i creditori fossero consenzienti (e quindi potrebbe non essere decisiva la blindatura dell’omologazione dalla quale derivano gli effetti di cui all’art. 117 CCII)[39], giammai analogo patto di concordato potrebbe efficacemente concludersi fra il terzo e i creditori perché ha per oggetto il patrimonio del debitore. In questo caso, l’effettività della proposta del terzo riceve la propria forza dalla sentenza di omologazione. Appare, quindi, evidente quale sia la rilevanza della sentenza che contiene una doppia imposizione: quella verso i creditori dissenzienti e quella verso il debitore. 
Come si intuisce, la partecipazione del giudice al processo di concordato assume un rilievo maggiore che in passato quando nel concordato in continuità non vi è stata approvazione a maggioranza (e tanto meno all’unanimità), o quando la proposta proviene da un terzo o quando si tratta di forzare la volontà dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali. 
Se la causa del concordato preventivo è la regolazione della crisi dell’imprenditore e se il procedimento di concordato è lo strumento per comporre con i creditori quella crisi, l'oggetto del giudizio di omologazione è rappresentato dall’accertamento sulla domanda, con la quale si chiede che il giudice verifichi che il conflitto che è sorto fra un imprenditore-debitore e i suoi creditori è stato composto con un accordo; un accordo che ha rispettato taluni limiti legali e nel quale trovano applicazione le regole concorsuali, non tutte ma quelle specifiche del concorso concordatario. 
Quando si è accertata la sussistenza dei requisiti che giustificano l’apertura della liquidazione giudiziale, ciò che ne segue è un procedimento esecutivo; quando si accertano i presupposti del concordato, quella che ne deriva è una composizione fondata basilarmente sui principi della autonomia privata. L’oggetto del processo è parzialmente coincidente nella parte in cui si vuole che la crisi trovi una sistemazione, ma è anche in parte diverso là dove le regole da applicare sono differenti perché i due modelli di concorso non sono equipollenti. 
Un punto è certo: la natura e l’oggetto del procedimento non cambiano a seconda che siano proposte o meno opposizioni: con le opposizioni non si trasforma un procedimento di volontaria giurisdizione in un processo contenzioso (o viceversa), non si muta l’oggetto del giudizio[40], ma semplicemente si amplia la cognizione del giudice[41] perché si introducono fatti che altrimenti il tribunale non avrebbe modo di conoscere: semplicemente, il giudice, se vi sono opposizioni, dovrà svolgere qualche accertamento in più. 
Altro punto certo è la funzione del giudizio di omologazione che con la sentenza di omologazione consente che tutti gli effetti dell’accordo stipulato fra il debitore e la maggioranza dei creditori si estendano ai terzi: si pensi agli effetti rispetto ai creditori anteriori (art. 117 CCII), agli effetti sull’esenzione dalle azioni revocatorie (art. 166, comma 3, lett. e)), agli effetti ai fini dell’esimente dal reato di bancarotta (art. 324 CCII). 
Si potrebbe fornire qualche argomento in più affrontando il tema dell’oggetto del processo anche con la lente della individuazione della sua struttura. La tipologia del giudizio, però, non è così evidente, perché siamo in presenza di un modello lasciato alla discrezionalità del giudice, ma in una cornice regolatoria più definita rispetto a quella tipica del procedimento camerale del codice di rito, dato che il legislatore ha previsto termini e modi del processo, tratteggiandone alcuni tempi e alcune forme[42]. Che i tratti distintivi siano quelli dei procedimenti in camera di consiglio si ricava, sul piano formale, dal richiamo all’“udienza in camera di consiglio” contenuto nell’art. 48, comma 1, CCII: ma ci si può chiedere se, a dispetto di questa indicazione letterale, non si debba qualificare il procedimento come un processo a cognizione piena, ma semplificato, al modo di quanto era stato ritenuto, con riferimento all’art. 15 l. fall., per l’istruttoria pre-fallimentare. 
L’opzione per il modello camerale, infatti, potrebbe rilevare per dimostrare che non sono in discussione diritti soggettivi e che il provvedimento conclusivo – l’omologazione assunta con sentenza – non ha natura decisoria. Tuttavia, poiché è noto che il procedimento in camera di consiglio è divenuto ormai, per la giurisprudenza costante del giudice di legittimità, un contenitore adatto ad includere anche liti su diritti, la scelta del legislatore può essere considerata neutra. E se così è, possiamo tenerci lontani da una classificazione motivata da prese di posizione preconcette, rimanere aderenti all’indicazione normativa e mantenere il giudizio di omologazione tra quelli camerali: possiamo considerare tale scelta ragionevolmente coerente con l’impostazione sistematica del concordato, del piano e degli accordi, seppure non priva di criticità sul piano applicativo, dal momento che il modello di procedimento non è né quello generale del codice di rito (artt. 737 segg. c.p.c.), né quello camerale ma arricchito previsto dall’art. 124 CCII e richiamato per il concordato di liquidazione dall’art. 245 CCII. 
Ecco, allora, che il giudizio di omologazione del concordato sembra continuare a sfuggire, per un verso o per l’altro, alle categorie tradizionali del processo civile. 
Come enunciato, si può indagare sull’oggetto dando per condiviso che la causa del concordato preventivo sia la regolazione della crisi secondo le regole del concorso concordatario[43]. Il concordato è al servizio della sistemazione della crisi che ha investito un imprenditore e la sistemazione della crisi può avvenire, pur con ampia flessibilità, in base ad una serie di regole che disciplinano il concorso fra i creditori e che sono ben diverse rispetto agli accordi di ristrutturazione e al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, non fosse altro che per il fatto che solo nel concordato sono stabilite regole rigide di distribuzione del valore (v. artt. 84 e 112 CCII). 
Ora, se è vero che la causa del concordato preventivo è la regolazione della crisi e che la procedura di concordato è lo strumento per comporre con i creditori quella crisi, cionondimeno non si dev’essere troppo condizionati, nel ricavare l’oggetto del giudizio di omologazione, dalla causa (e dall’oggetto) del procedimento di concordato. Poiché il giudizio di omologazione è servente rispetto alla procedura concordataria, della quale rappresenta soltanto un tassello, l’oggetto dell’uno ben può essere ricostruito senza eccessivi condizionamenti che derivino dalla seconda. 
Altri punti fermi che aiutano nella ricostruzione sono costituiti dal fatto che oggetto del processo di concordato e oggetto del giudizio di omologazione non sono né la qualità di imprenditore commerciale non sotto-soglia del debitore, né lo stato di crisi o di insolvenza, né i diritti dei creditori. I primi due, al più, rappresentano i presupposti perché ci possa essere una procedura concordataria. 
Ciò di cui si discute nel giudizio di omologazione è se la crisi del debitore - crisi che come detto rappresenta un presupposto del procedimento - può essere composta col concordato o se deve essere risolta con la procedura di liquidazione giudiziale o comunque con una soluzione di carattere espropriativo. Formulata la questione in questi termini, si potrebbe dire che al fondo si tratta di porre il focus del processo nel controllo sull’esercizio di quello che può essere definito un potere processuale: il potere di chiedere al giudice di verificare che la crisi può essere regolata con la disciplina del sistema concorsuale-concordatario. In questa chiave, si tratterebbe in particolare di capire se oggetto del giudizio sia la conformazione di un potere, un diritto, o invece se si tratti semplicemente di attribuire efficacia a un accordo, senza che si possa ragionare in termini di oggetto del processo perché un vero e proprio oggetto del processo non c’è. 
Il potere di chiedere (e dunque di ottenere) che la crisi sia regolata secondo la disciplina del concordato sussiste quando si verificano una serie di circostanze che costituiscono i presupposti, o forse meglio, gli antecedenti logici perché quel potere sia riconosciuto. 
Il giudizio di omologazione si inserisce nel procedimento unitario, e rappresenta, come un tempo, un frammento della procedura di concordato, ma oggi è retto, più che in passato, dal medesimo ricorso che avvia la procedura concordataria. Ricorso che può fondare anche il procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale, anch’esso disciplinato dall’art. 40 CCII. È proprio da qui che dobbiamo partire: dal procedimento unitario, immaginandolo avviato da una domanda di apertura della liquidazione giudiziale. Con questo ricorso, il creditore chiede che il suo credito sia tutelato con le regole dell’espropriazione concorsuale; se nel procedimento si inserisce la domanda di concordato, il debitore chiede che i suoi debiti seguano le regole del concorso, ma vengano trattati in base alle pattuizioni negoziali che prevalgono su quelle del procedimento liquidatorio. 
Ciò implica che creditore e debitore da una parte (nella liquidazione giudiziale) e debitore e creditori dall’altra (nel concordato preventivo) si collochino comunque in posizione antagonista. La contrapposizione di interessi, infatti, è intrinseca nella situazione di dissesto (o di semplice crisi, ma non risolvibile con le sole “forze” del debitore) e il fatto che costui possa, nel caso concreto, anche aderire al ricorso per la liquidazione giudiziale, o i creditori possano talora non essere interessati a proporre opposizione al concordato, non incide sulla valutazione di quale siano la natura e l’oggetto del processo. 
Al fondo, nel più lato procedimento unitario, ci troviamo dinanzi ad un procedimento sui generis, nel quale la “domanda” serve ad aprire un processo (come la rinuncia serve a chiuderlo) ma una volta che questo è stato aperto, il suo oggetto è la verifica di quella situazione di crisi/insolvenza la quale giustifica che il trattamento delle relazioni tra debitore e creditori e tra creditori sia disciplinato da regole di tutela collettiva e non solo individuale come accade nell’espropriazione forzata[44]. 
Al fine di giungere ad una conclusione razionale occorre, ancora, ricordare che il provvedimento che conclude il giudizio di omologazione assume la forma di sentenza ed è ricorribile per cassazione: la scelta è stata originata soprattutto dalla volontà di prevedere un unico modello di provvedimento, qualunque sia la soluzione della crisi, in linea con la previsione di un procedimento unitario nel quale confluiscono le opposte domande di regolazione della crisi o dell’insolvenza. In questo modo, non abbiamo più, come nell’art. 180, ultimo comma, L. fall., l’eventualità di una dichiarazione di insolvenza resa con sentenza contestuale alla pronuncia di un decreto di rigetto della domanda di omologazione; vi sarà un’unica pronuncia (eventualmente suddivisa in capi)[45] emessa sempre in forma di sentenza, sulle diverse domande introdotte nell’unico giudizio, impugnabile unitariamente nei modi dell’art. 51 CCII. Peraltro, se si può reputare più coerente il modello ‘sentenza’ per l’omologazione del concordato rispetto al modello “sentenza” per l’omologazione degli accordi, là dove l’assetto privatistico – non scalfito dalla teoria, per vero ancora controversa, della concorsualità degli accordi – avrebbe giustificato forse la persistenza di un provvedimento con forma di decreto, non vale neppure troppo la pena di indugiare su questioni nominalistiche se si guarda al fatto che nel concordato di liquidazione (art. 246 CCII) il tribunale decide con decreto e nel concordato coattivo (art. 314 CCII) decide invece con sentenza. 
Se invece si vuole ricavare una qualche indicazione dall’adozione della forma della sentenza[46], se ne potrebbe desumere la volontà del legislatore di sottolineare che, qualunque sia la regola da applicare alla crisi del debitore (siano le regole più pervasive della liquidazione giudiziale, quelle ampiamente flessibili degli accordi di ristrutturazione o quelle intermedie del concordato preventivo), siamo dinanzi a un giudizio promosso da un soggetto che reagisce ad una situazione di crisi chiedendo l’apertura di un procedimento che deve chiudersi con un provvedimento che certifica quali sono le regole da applicare a quella specifica crisi. Così ragionando, allora, ne verrebbe ribadita la tesi secondo cui oggetto del giudizio di omologazione del concordato preventivo sia la verifica del corretto esercizio del potere del debitore di vedere regolata la propria crisi in base allo schema del ‘concorso concordatario’: un concorso vero e proprio, nel quale esiste un ordine di distribuzione verticale delle risorse che non è imposto dal giudice ma negoziato dalle parti e certificato dal tribunale. 
Secondo la più diffusa lettura giurisprudenziale il provvedimento emesso dal tribunale all’esito del giudizio di omologazione ha natura decisoria[47]: ma non dimentichiamo che il giudice di legittimità, pur muovendo dalla premessa tradizionale per la quale la “decisorietà” consiste nell’attitudine del provvedimento del giudice non solo ad incidere su diritti soggettivi delle parti, ma ad incidervi con la particolare efficacia del giudicato, declina quella idea individuando l’elemento discretivo tra ciò che è decisorio e ciò che non lo è, nella previsione di un contraddittorio con coloro che si ritengono avere interesse contrario alla decisione richiesta. 
L’argomento della ricorribilità per cassazione[48] della sentenza è serio e congruente ma forse non è decisivo per suffragare la tesi della natura contenziosa del procedimento: si può sostenere, infatti, che al termine del giudizio non si formi un vero e proprio giudicato, ma si realizzi semmai una forma di stabilità del provvedimento volta a rendere irretrattabili i diritti e gli interessi coinvolti nella procedura concorsuale. 
Questa stabilità, in un processo nel quale il presupposto è un dissesto e, dunque, una lesione inferta alle relazioni economiche tra più soggetti, giustifica largamente che non vi sia spazio per ripensamenti (cioè, per la revoca del provvedimento). 
Per concludere, la distinzione, confermata espressamente nell’art. 87 CCII, fra “piano”, “proposta” e “domanda”, chiarisce che il debitore formula una domanda giudiziale sin dal deposito del ricorso ex art. 40 CCII, e che è necessario tenere separato il profilo, per così dire, volitivo-giudiziale della domanda dal profilo conciliativo-negoziale della proposta. Col ricorso viene sollecitata l’apertura della procedura di concordato preventivo ma anche la sua omologazione, cui però si dà seguito solo per effetto della approvazione dei creditori. Per decidere sulla richiesta di omologazione il tribunale dapprima è tenuto ad accertare se sussistono i presupposti e questi in parte preesistono alla domanda e in parte si formano all’interno del procedimento. È solo per effetto dell’approvazione dei creditori (o del meccanismo della classe “forte” nel concordato in continuità), infatti, che si passa all’esame della domanda di omologazione. 
In questa prospettiva il giudizio di omologazione, che si innesta nel procedimento unitario, può essere visto come il contenitore nel quale si deve verificare, innanzi tutto, se è stato legittimamente esercitato da parte dell’imprenditore il potere di chiedere che la sua crisi venga regolata con gli strumenti del concorso concordatario; un concorso che, pur se rientra nelle forme di attuazione della responsabilità patrimoniale, è dotato di regole autonome, come si ricava ad esempio dal fatto che non sono esercitabili le azioni revocatorie concorsuali. 
Il potere di ottenere che la crisi sia regolata secondo la disciplina del concordato sussiste quando si verificano una serie di circostanze che costituiscono i presupposti perché quel potere sia riconosciuto. Non un vero e proprio potere di conformazione dell’altrui sfera giuridica, perché la modificazione dei diritti di coloro che si trovano in posizione antagonista presuppone che l’esercizio del potere intercetti il consenso della maggioranza di coloro che “subiscono” l’effetto. Se non fosse prevista la votazione si avrebbe ragione di sostenere che si tratti di un diritto potestativo del debitore di conformare la situazione altrui, da esercitarsi all’interno del processo, e perciò a necessario esercizio giudiziale; tuttavia, poiché la votazione è necessaria e deve dare un risultato di consenso alla proposta, non è neppure sufficiente che il diritto – che altri ordinamenti riconoscono anche ai creditori - sia esercitato nel processo per produrre i propri effetti. 
Vi sono, dunque, motivi che spingono nella direzione della cognizione su poteri come appare dal fatto che il procedimento si chiude con una sentenza ed è previsto il ricorso per cassazione; ma ve ne sono anche altri per non discostarsi, all’opposto, dalla tesi che scorge nel procedimento una fattispecie autorizzatoria-omologatoria[49] e ciò perché il potere è sui generis, non c’è lesione di un diritto, né un mutamento di status, e perché la previsione espressa della ricorribilità per cassazione può dipendere sì dalla situazione soggettiva ma anche, più semplicemente, dalla esigenza di stabilizzazione degli effetti dell’accordo raggiunto. In questo caso, si deve concludere che al giudice è rimesso semplicemente il controllo della legittimità della volontà delle parti (fissata nel patto da omologare) a protezione dei soggetti estranei all’accordo, e che la sentenza entra a far parte della fattispecie negoziale cui è chiamata ad attribuire efficacia. È la natura non meramente individuale degli interessi in gioco che spinge a non rinunciare al favore per una soluzione negoziata, ma insieme a negarle forza conclusiva del processo e a collegare invece tale conclusione al sopraggiungere di un provvedimento che, chiudendo il procedimento avviato con il ricorso ex art. 40, si combina ab externo con la volontà dei soggetti stipulanti. 
Da sempre questa tematica appare prossima alla irrisolubilità e tuttavia non vogliamo rinunciare a prendere una posizione; a tal fine ci pare che una spinta verso l’idea che in questo processo si discuta di qualcosa di più di una autorizzazione/omologazione di un accordo derivi decisivamente dal nuovo sistema di omologazione contro la volontà dei creditori. Qui si rivela la forza dell’iniziativa del debitore e la decisività del ruolo del giudice, perché, al fondo, l’omologazione di un accordo sfuma se di un accordo non c’è più bisogno.
6 . Le verifiche procedimentali
Sciolto l’enigma sull’oggetto del processo dobbiamo cimentarci con il contenuto del controllo[50] che il tribunale deve esercitare e così transitiamo dall’art. 48 all’art. 112, per cui è ora necessario prendere posizione su ciò che deve essere valutato dal tribunale ai fini di pronunciare la sentenza di omologazione. La norma di riferimento è l’art. 112 CCII frutto della più intensa influenza esercitata dalla Direttiva n. 2019/1023. Le verifiche declinate dal comma 1 dell’art. 112 CCII, nelle lettere da a) ad e), sono comuni a tutti i tipi di concordato: regolarità della procedura, esito della votazione, ammissibilità della proposta, corretta formazione delle classi, parità di trattamento dei creditori all'interno di ciascuna classe. 
Peraltro, l’art. 112 contiene, poi, una nitida frammentazione tra le condizioni di omologazione nei concordati liquidatori e in quelli in continuità[51], talché la prima investigazione che il tribunale deve curare, anche a dispetto di quanto opinato in occasione della apertura, è quella che pertiene alla corretta qualificazione del tipo di concordato[52], in quanto solo una volta individuato il tipo si può utilizzare il relativo regime disciplinare. 
Il tribunale deve effettuare un controllo di legittimità che attiene ai tre formanti del concordato: domanda, piano e proposta (v., art. 87 CCII). 
Il controllo sulla domanda si esercita verificando il rispetto delle regole del procedimento ad iniziare dalla verifica della competenza, della legittimazione e di quanto è già stato esaminato in sede di apertura, posto che il decreto reso ex art. 47 CCII non esclude affatto che un identico controllo sia eseguito in occasione dell’omologazione[53]. 
Queste verifiche sono molteplici e qui se ne può dar conto al modo di esempi al lume della pregressa esperienza. 
Così, nell’ambito delle verifiche che attengono alla regolarità del procedimento ci pare debba essere incasellata, anche, quella sulla correttezza delle informazioni che il debitore ha fornito ai creditori per favorire un consenso informato. Infatti, tutto il processo di concordato presuppone – anche nell’ottica dei doveri di cui all’art. 4 CCII – uno scambio di informazioni in modo da rendere pienamente trasparente l’intera operazione, sì che ove questa trasparenza latiti, neppure si può esaminare il merito della proposta in quanto il merito della proposta è indagabile quando si sono svolte in modo cristallino le attività precedenti e queste impongono l’affidabilità delle informazioni. In tal senso, anche nel nuovo regime potrà trovare piena applicazione quel principio per cui le informazioni che devono corredare la domanda di ammissione, onde consentire ai creditori un consapevole esercizio del diritto di voto, riguardano necessariamente, non sono solo i fatti risultanti al momento del deposito della stessa, ma anche tutti gli accadimenti anteriori, che, causalmente e in relazione logico-temporale prossima alla rappresentazione della crisi offerta dal debitore, hanno determinato la consistenza patrimoniale della proposta concordataria[54]. 
Per analoghe ragioni, in occasione dell’omologazione possono essere vagliate le questioni che hanno per oggetto il compimento di atti in frode ai creditori che non debbono esaurirsi (solo) nel procedimento di cui all’art. 106 CCII ma che possono tracimare anche nella fase successiva.[55] Non ci sembra, invece, che si possa reputare reintrodotto un controllo sulla meritevolezza del debitore, ancorché nell’ambito di un dissesto che veda intensamente pregiudicati i crediti erariali[56]; infatti, se un profilo etico del concordato lo si potrebbe, ancora, ravvisare quando i debiti attengono a risorse dello Stato o degli Enti previdenziali e i responsabili esprimono un dissenso che potrebbe essere avulso da profili di convenienza, in verità, la forzatura che è imposta, sebbene con talune cautele, nell’art. 88 CCII mostra come, su tutto, al fondo prevalga una valutazione economica-comparativa rispetto alla liquidazione giudiziale. 
Rientra nella cornice della regolarità l’accertamento sulla instaurazione del contraddittorio nella fase dell’omologazione e cioè la circostanza che se vi sono stati creditori dissenzienti a tutti costoro sia stata effettuata la notificazione della fissazione dell’udienza.[57] 
Più in generale spetta al giudice il controllo sulla ammissibilità e questo concerne tanto la domanda, quanto la proposta, quanto il piano. 
La domanda non è ammissibile se proposta dai soci e non dagli amministratori (per fare un esempio); la proposta non è ammissibile se viene offerto al creditore privilegiato il pagamento di una somma inferiore al valore di liquidazione del bene sul quale insiste la prelazione; non è ammissibile un piano di continuità che prevede l’intera liquidazione dell’attivo. Sia chiaro che l’inammissibilità è categoria che pertiene al processo, ma poiché la domanda non vive da sola ma è accompagnata da proposta e piano, i vizi del piano o della proposta esondano in vizi di ammissibilità della domanda.
6.1 . Le verifiche sui presupposti del processo
Il tribunale deve verificare la regolarità della procedura anche tornando sui suoi passi[58] e dunque riesaminando ciò che era stato (provvisoriamente) delibato in occasione della ammissione al concordato[59]. 
Il giudice dovrà, allora, verificare nuovamente il rispetto delle regole di formazione della domanda: (i) la sottoscrizione del legale rappresentante (art. 120 bis CCII)[60], (ii) la presentazione della domanda a cura di un difensore (art. 9 CCII), (iii) la regolarità del processo deliberativo (art. 120 bis CCII). 
Successivamente, occorrerà valutare la sussistenza del COMI (art. 27 CCII) anche in relazione ai profili di competenza transnazionale (artt. 11 e 26 CCII). In particolare, si può porre la questione della attrazione al tribunale distrettuale delle domande di concordato presentate da imprese che hanno i requisiti di cui al D.Lgs. n. 270/1999 (o del D.L. n. 347/2003) o sono imprese di gruppo di dimensioni rilevanti. Ed ancora, a proposito di gruppi il tribunale deve verificare la sussistenza dei presupposti per una procedura unitaria, collegata o coordinata di gruppo ai sensi dell’art. 284 CCII.[61]
6.2 . Le verifiche sulla formazione delle classi
Un'altra indagine che deve essere compiuta è quella che pertiene alle classi. Per stabilire quale debba essere la cornice del controllo del giudice sulle classi va rammentato quale sia per il codice, la nozione di classe[62]. Ricordato che per classe si intende l’insieme di creditori che hanno posizione giuridica e interessi economici omogenei (art. 2, lett. r, CCII), il tribunale deve verificare: (i) l’omogeneità della posizione giuridica, intesa prima di tutto come graduazione tra i crediti; (ii) a parità di grado l’omogeneità degli interessi economici che andranno valutati in relazione al caso concreto; (iii) l’identità di trattamento tra i creditori inclusi in ciascuna classe; (iv) l’impossibilità che il trattamento assegnato ai creditori di una certa classe comporti per loro una alterazione sfavorevole rispetto all’ordine di graduazione[63]. 
La scelta di compartimentare i creditori è l’esito della sagoma frastagliata del ceto creditorio. I titolari delle pretese sono portatori, in uno con l’aspirazione generica a massimizzare il valore del patrimonio del debitore, di interessi peculiari, correlati alla qualità delle proprie pretese e condizioni soggettive[64]. 
I principi in tema di tutela del credito e di relatività degli effetti del contratto che impregnano l’ordinamento, in tanto sono salvaguardati, in quanto sul diritto del singolo faccia premio, in luogo della volontà di una comunità disgregata, una deliberazione collettiva espressiva di un interesse di gruppo., sì che il sacrificio del singolo creditore rispetto al dominio della maggioranza è tollerabile nella misura in cui sia il prodotto di una valutazione maturata dentro un sistema di posizioni assimilabili. 
Il giudice accerta che le classi assicurino una maggior propensione e congruenza distributiva per le affinità elettive fra i creditori, connotandosi come ingranaggi funzionali ad una maggiore efficienza del congegno maggioritario, reso più idoneo ad affermare l’interesse di categoria, disattivando le resistenze egocentriche dei singoli. 
Non è scolpita una regola precisa, perciò quello del giudice s’atteggia a sindacato di razionalità e coerenza di scelte discrezionali del debitore e i parametri sono stati già collaudati dall’esperienza. L’omogeneità giuridica si collega alla causa genetica dell’obbligazione, che attecchisce in ambito contrattuale o extracontrattuale; quella economica attiene al segmento di mercato nel quale l’obbligazione è contratta (ambito creditizio, settore delle forniture o dei servizi, mercato del lavoro). Si tratta di apprezzare le ragioni che hanno indotto l'imprenditore a classificare in un certo modo anziché negli altri possibili i suoi creditori. A tal fine il giudice deve muovere dalle spiegazioni esposte dal debitore nel piano concordatario, ove ex art. 87, lett. m), devono ora essere riportati “i criteri di formazione” delle classi, il “valore” dei crediti e gli “interessi di ciascuna classe
L’indagine giudiziale attiene alla logica dei criteri; di fronte a criteri non bizzarri, né discriminatori, si arresta il sindacato del tribunale, rimanendo il merito delle ragioni giustificatrici della costruzione di una classe e della diversificazione del trattamento fuori dallo steccato del suo controllo. 
Il parametro della posizione giuridica riprende lo spartiacque tra creditori privilegiati e creditori chirografari, rimandando al grado di protezione del credito e all'aspettativa nutrita nell’evenienza dell’esecuzione liquidatoria-coattiva. Il tribunale guarda alla qualità intrinseca dei crediti appostati nella classe, sincerandosi che presentino un titolo di egual natura, un grado di privilegio analogo, una solidità non dissimile. La posizione può essere data anche dallo stato del credito, che qualora condizionale o contestato è meno robusto che nelle ipotesi in cui a sorreggerlo sia un titolo esecutivo. 
Il parametro dell’interesse economico attiene al cluster di mercato in cui sorge l’obbligazione e con esso alle caratteristiche strutturali che il credito assume nel settore che ne registra la genesi. Il giudice osserva la fonte delle pretese creditizie allocate nella classe in quanto quelle scaturenti da rapporti di una certa provenienza o tipologia tendono a caratterizzarsi rispetto a quelli di diversa indole[65]. Non sono ipotizzabili tassonomie risolutive, ma esemplificazioni ricorrenti. Vengono in rilievo sia il momento d’origine che la scadenza del credito, sia il ruolo eventualmente attribuito al suo titolare nel progetto di ristrutturazione aziendale che l’ammontare della ragione creditoria rispetto all'indebitamento globale, sia le eventuali garanzie collaterali disponibili che l’attività esercitata dal creditore[66]. Il tribunale indugia sugli aspetti che imprimono ai rapporti giuridico-negoziali una specifica coloritura socio-economica, destinata a riflettersi nelle chiavi d’approccio che i creditori sono sospinti ad adottare rispetto alla regolazione della crisi. 
Il controllo sulle classi è un controllo “secondo” perché già il tribunale deve averlo compiuto al fine di decretare l’apertura del concordato (art. 47 CCII)[67]. 
Il controllo sulla correttezza della formazione delle classi - che incide anche sugli aventi diritto al voto e sulla formazione della maggioranza - deriva dalla previsione contenuta nell’art. 85 CCII a mente della quale il debitore può formare più classi fra creditori, ma deve farlo in presenza di particolari situazioni: (a) è obbligatoria la formazione delle classi in tutti i concordati che si fondano su un piano di continuità; (b) è necessaria una classe separata per: (b/1) i creditori titolari di crediti previdenziali o fiscali dei quali non sia previsto l’integrale pagamento, (b/2) per i creditori titolari di garanzie prestate da terzi, (b/3) per i creditori che vengono soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro e (b/4) per i creditori proponenti il concordato e per le parti ad essi correlate; (c) nei concordati in continuità vanno formate classi separate per (c/1) i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, interessati dalla ristrutturazione perché non ricorrono le condizioni di cui all'articolo 109, comma 5[68]; (c/2) i crediti delle imprese titolari di crediti chirografari derivanti da rapporti di fornitura di beni e servizi, che non hanno superato, nell’ultimo esercizio, almeno due dei seguenti requisiti: un attivo fino a euro cinque milioni, ricavi netti delle vendite e delle prestazioni fino a euro dieci milioni e un numero medio di dipendenti pari a cinquanta[69]. La regola del doppio voto per i creditori privilegiati non interamente soddisfatti è stabilita per i concordati in continuità; analoga regola non è esplicitata nei concordati liquidatori e qui si discute se emerga una valida giustificazione per un trattamento differente[70]. 
Ed ancora è obbligatoria la formazione della classe dei soci nelle ipotesi di cui all’art. 120-ter CCII (o, più esattamente delle classi dei soci quando i diritti di partecipazione non sono omogenei)[71], e cioè quando il piano prevede modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci e, in ogni caso, per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio[72]: in questo caso il controllo del giudice è agevolato dal fatto che il voto viene assunto con la regola del silenzio-assenso[73]. 
Va, però, precisato che i soci possono trovare collocazione anche altrove quando abbiano erogato finanziamenti che per legge debbono intendersi postergati; in questo caso, vi potrà essere una classe formata da soci-creditori che dovrà ricevere un trattamento comunque preferenziale rispetto alla classe dei soci per puri apporti di capitale.[74] 
La previsione di classi “obbligatorie” trova la sua fonte nell’art. 6 della l. 155/2017 in base al quale si invitava il legislatore delegato a “d) individuare i casi in cui la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, è obbligatoria, prevedendo, in ogni caso, che tale obbligo sussiste in presenza di creditori assistiti da garanzie esterne”. 
Il legislatore delegato ha esercitato la delega ed ha stabilito i casi in cui la formazione delle classi è vincolata. È ben noto quanto sia stato dibattuto nei primi anni successivi al 2005 il tema della possibile obbligatorietà delle classi in presenza di posizioni disomogenee. La giurisprudenza di legittimità[75] si era pronunciata per la necessaria facoltatività confortata da ampia dottrina[76], anche se in letteratura[77] e fra taluni giudici di merito[78] era stata condivisa l’opposta soluzione. Con riferimento al diritto vigente si postula che il principio generale dovrebbe rimanere quello della facoltatività della formazione delle classi[79] e tuttavia a noi pare che la pervasività delle ipotesi di classamento obbligatorio sia così accentuata che solo in linea astratta si può ammettere il principio di facoltatività (e comunque solo nei concordati non in continuità). 
Memore dell’approdo giurisprudenziale del 2018[80], il legislatore ha stabilito che la classe è obbligatoria per i creditori che propongono il concordato e per le parti ad essere correlate. Se, dunque, il creditore proponente va classato, poco chiaro risulta l’art. 109, comma 6, CCII, secondo il quale “Il creditore che propone il concordato ovvero le società da questo controllate, le società controllanti o sottoposte a comune controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile possono votare soltanto se la proposta ne prevede l’inserimento in apposita classe”. Una siffatta previsione appare ridondante[81] in quanto assorbita dalla ‘regola-madre’ per cui il creditore proponente (e parti correlate) deve (debbono) essere collocato(i) in una classe separata. 
La composizione della classe può essere censurata dal giudice in sede di omologa ogni qualvolta sia servita a costruire compagini artificiose[82], volte solo ad abbattere il dissenso dei creditori refrattari, isolandoli in categorie selettive e disomogenee. 
Le classi giovano a scomporre il ceto creditorio, ma al fine di salvaguardarne gli interessi complessivi e di assicurare una forma di eguaglianza sostanziale fra i creditori. Il giudice verifica perciò che ognuna di esse sia stata adoperata, non per adulterare la formazione dei consensi, ma per far funzionare il principio di maggioranza all'interno di una comunità, quella dei creditori, tendenzialmente frantumata. 
In simmetria con l’impellenza del debitore di ampliare la platea del consenso attorno all’ipotesi concordataria si colloca il diritto del creditore a partecipare all’adozione della scelta sulla soluzione della crisi. La capacità di incidere del singolo può perdere vigore solo in quanto la maggioranza sia rappresentativa di interessi reali[83]. L’omogeneità non è coincidenza, eppure è sempre necessario riscontrare nella classe una preponderanza quantitativa e qualitativa di lineamenti comuni fra i crediti rispetto a quelli differenziali[84]. 
Naturalmente, il limite ultimo nella strutturazione delle classi alligna nel divieto di alterazione delle cause di prelazione e nella regola dell'obbligatorio pagamento integrale del credito privilegiato, qualora risulti la capienza rispetto al bene su cui grava (art. 85, comma 6, CCII). Il giudice deve verificare che il debitore non abbia confezionato classi distinte per una posizione giuridica omogenea, in tal guisa ledendo le cause di prelazione previste dalla legge e l'ordine di collocazione dettato dal codice civile. 
Meno disagevole è il controllo di parità di trattamento all’interno della singola classe, previsto dalla lett. e) dell’art. 112. La regola della par condicio torna ad operare dentro le specifiche classi regolarmente costruite, inibendo il trattamento differenziato degli appartenenti ad una stessa categoria. Il giudice verifica che l’utilità riservata ai diversi creditori sia di consistenza e quantità identiche; non sono tollerate sperequazioni sul livello della soddisfazione promessa e garantita. 
Il controllo sulle classi si allaccia al controllo sulla votazione[85] (v., § successivo) visto il “dominio” del voto di classe ai fini della approvazione. 
6.3 . Le verifiche sulla votazione
L’art. 112 CCI prescrive esplicitamente che il tribunale deve effettuare un controllo sull’esito della votazione e questo controllo è affidato al giudice del merito con valutazione che non può essere rimessa in discussione nel giudizio di legittimità salvo che non vi sia stata violazione di legge[86]
Oggetto diretto della verifica del tribunale è l’essersi formata una maggioranza idonea a far conseguire l’approvazione ma per giungere a questo risultato occorre procedere con una frammentazione delle posizioni[87]
Nel caso dei concordati diversi da quelli fondati sulla continuità deve essere raggiunta la maggioranza assoluta sull’ammontare dei crediti ammessi al voto (50% + 1 centesimo di Euro); pertanto, il voto è validamente espresso solo se c’è una volontà manifesta: l’astensione dal voto equivale a silenzio-rifiuto[88]
Se la proposta prevede la suddivisione dei creditori in classi, deve essere raggiunta anche la maggioranza delle classi e nelle classi la maggioranza è quella assoluta in relazione ai crediti (e non alle ‘teste’). Per evitare che un unico creditore possa imporre la sua volontà su quella di tutti gli altri, laddove un unico creditore sia titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, il concordato è approvato se, oltre alla maggioranza assoluta sui crediti, sia conseguita anche la maggioranza per teste dei voti espressi dai creditori ammessi al voto[89]
Nel caso del concordato con continuità, invece, ai fini dell’approvazione dei creditori all’interno di ciascuna classe, vi sono due regole in ordine scalare: 
(i) la maggioranza si forma con il voto palese favorevole della maggioranza assoluta sull’ammontare dei crediti ammessi al voto; 
(ii) se la maggioranza assoluta non è raggiunta, la proposta si intende, comunque, approvata quando vi è il voto favorevole di almeno due terzi dei creditori votanti, purché questi siano almeno la maggioranza dei creditori ammessi al voto: tale criterio sussidiario è volto a sterilizzare la condotta dei creditori apatici che non votando, in realtà, non manifestano alcuna propensione al voto (né favorevole, né contrario)[90]. Si può ipotizzare che la volontà unanime delle classi si realizzi in base ad un quorum differente, nel senso che in una classe la maggioranza si può formare sugli aventi diritto al voto e in un’altra classe sui votanti. 
Infine, un diverso meccanismo di approvazione è previsto se confluiscono al voto due o più proposte concorrenti (art. 109, comma 2 CCII). La pluralità delle proposte non abbassa il quoziente di approvazione, nel senso che la maggioranza vi sarà sempre e soltanto se si raggiungerà almeno la metà dei crediti ammessi al voto oltre alla unanimità o maggioranza delle classi; peraltro, poiché le più proposte potrebbero provocare una dispersione del voto, si è immaginato che qualora al termine del primo round nessuna proposta abbia superato la soglia di maggioranza, la proposta meglio piazzata, andrebbe ad una sorta di barrage, per vedere se, eliminati i concorrenti, sulla proposta unica rimasta in competizione si può coagulare il voto di maggioranza[91]
A tal proposito, in presenza di proposte diverse, talune con suddivisione dei creditori in classi ed altre senza tale suddivisione, la prevalenza nella “fase eliminatoria” va assicurata a quella che ha raggiunto la maggioranza totale più elevata, ma a condizione che vi sia la maggioranza delle classi. Le complicazioni sopra accennate, presuppongono che un creditore possa, legittimamente, esprimere consenso a più proposte, quando a suo avviso il concordato sia comunque preferibile rispetto alla liquidazione giudiziale. 
Nella seconda eventuale votazione si azzerano tutti i risultati della prima, con i seguenti corollari: 
(i) ciascun creditore può cambiare il proprio voto sia passando da quello contrario a quello favorevole che viceversa; 
(ii) ciascun creditore deve pronunciarsi, espressamente, una seconda volta, entro venti giorni dal provvedimento del giudice di riapertura della votazione. 
Se coesistono più proposte, esse vanno tutte ammesse al voto contemporaneamente, nel senso che l'una non esclude l'altra, e l'ordine di voto è di natura temporale: prima quella del debitore, poi quelle successivamente intervenute. 
Proprio per la necessità che tutte vengano traghettate verso il voto, l'eventuale raggiungimento della maggioranza di una non chiude il procedimento, con la conseguenza che anche le successive proposte saranno oggetto di votazione da parte dei creditori. 
Nel caso di più proposte che abbiano conseguito l’approvazione è preferita quella che si fonda su un piano di continuità[92] e in caso di equivalenza del piano, prevale la proposta che ha conseguito il quoziente più elevato in relazione a ciascuna proposta, computato fra i soli creditori chirografari. 
La fase deliberativa attuale può essere scissa in due momenti: (i) la deliberazione è il frutto della manifestazione di volontà della maggioranza dei creditori di accettare la proposta concordataria presentata dal debitore o da uno o più creditori (proposta concorrente); (ii) la deliberazione si forma in virtù di un ben determinato meccanismo procedimentale. 
Al fine di verificare se sono state raggiunte le maggioranze non si deve effettuare solo un calcolo numerario[93] ma è necessario procedere ad una investigazione sulla legittimazione al voto per valutare se i creditori che hanno votato ne avevano titolo, oppure, al rovescio, se non ha votato chi effettivamente non ne aveva titolo. 
In tale direzione occorre controllare l’esercizio del voto (i) da parte dei creditori privilegiati, (ii) da parte di chi si assume trovarsi in conflitto di interessi, (iii) da parte di chi sia portatore di una posizione per la quale è la legge che vuole impedire l’esercizio del voto. 
Sub (i) 
Nel concordato liquidatorio sono esclusi dal voto il creditore ipotecario, pignoratizio e privilegiato per il quale sia previsto l’integrale pagamento, salvo che il creditore rinunci esplicitamente alla prelazione; se il creditore privilegiato è soddisfatto solo parzialmente, esprime sicuramente il voto per il quoziente degradato in chirografo, mentre per la parte capiente si prospettano due soluzioni: la prima vorrebbe applicare a questo caso la regola di cui all’art. 243 CCII (“I creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell'articolo 240, comma 4, la soddisfazione non integrale, sono considerati chirografari per la parte residua del credito”)[94], mentre la seconda vorrebbe applicare la stessa regola prevista per il concordato in continuità[95] (v., in appresso). 
Nel concordato in continuità sono esclusi dal voto i creditori muniti di diritto di prelazione soltanto se ne è previsto il soddisfacimento in denaro, in misura integrale ed entro centottanta giorni dall’omologazione[96], o entro trenta se i crediti sono assistiti dal privilegio di cui all’articolo 2751 bis, n. 1 c.c. Altrimenti, i creditori muniti di diritto di prelazione votano e, per la parte incapiente, sono inseriti in una classe distinta, talché ne consegue per logica inferenza che i creditori privilegiati incapienti vanno collocato in due classi[97]
Sub (ii) 
Nel regime previgente la questione del conflitto di interessi era ampiamente dibattuta[98], mentre ora la norma è categorica: “Sono inoltre esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto d’interessi.” Anche questa porzione della norma è il portato dell’approdo del giudice di legittimità del 2018, quando si è stabilito con un importante overrulling rispetto al 2011, che anche nelle crisi esiste una collettività (fra creditori) che esprime interessi almeno in parte comuni[99]; coloro fra i creditori che vengono a trovarsi in una situazione di conflitto rispetto alla collettività non devono con il loro voto influenzare il risultato deliberativo. La regola del divieto di voto (e non la allocazione in classe separata) è una regola forte e più intensa persino di quella dell’art. 2373 c.c. in materia di deliberazione assembleare di s.p.a., dove, sicuramente, vi è una comunità volontaria fra i soci. La nuova disposizione del codice della crisi esprime un valore alto perché eleva il conflitto di interessi a impedimento al voto e dimostra la volontà di evitare che nelle crisi talune determinazioni siano adottate senza trasparenza[100]. Ciò nondimeno, merita rimarcare come una formula così generale possa tracimare nell’arbitrio interpretativo; in tema di s.p.a. esiste ormai un formante giurisprudenziale consolidato, ma nell’ambiente concorsuale servirà molto tempo ed intanto il divieto dovrà essere calibrato con particolare cautela[101], anche considerando che, invece, nel caso del creditore-proponente il conflitto non è elevato a movente del divieto di voto ma impone, soltanto, che il proponente sia inserito in una classe separata[102]
Sub (iii) 
L’art. 177 L. fall. conteneva, poi, i casi di esclusione dal voto secondo una triplice casistica: (a) i parenti e affini del debitore; (b) le società controllanti, controllate e sottoposte a comune controllo rispetto alla debitrice; (c) i cessionari dei crediti per operazioni di acquisto dei crediti intervenute entro l’anno prima del deposito della domanda di concordato. Orbene, questa casistica è ripetuta, pari pari, nell’art. 109 CCII con un’unica inserzione frutto di una estensione del concetto di coniuge al convivente o alla parte dell’unione civile. 
L’indagine affidata al tribunale coinvolge anche - e ciò vale per qualunque tipologia di piano – l’esame delle contestazioni sul voto quando si discute del diritto ad esprimere il voto in virtù della sussistenza o insussistenza del credito. 
L’art. 108 CCII prevede che il giudice delegato possa ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunzie definitive sulla sussistenza e sulla collocazione dei crediti stessi[103], con una decisione comunicata ai sensi dell'articolo 107, comma 7. Quando il giudice non ammette provvisoriamente il creditore al voto, quelli esclusi possono opporsi alla loro esclusione in sede di omologazione del concordato nel caso in cui la loro ammissione avrebbe avuto influenza sulla formazione delle maggioranze: è la c.d. prova di resistenza[104]. Ovviamente, questa prova di resistenza assume, oggi, un rilievo particolare in relazione al fatto che sono diverse le ipotesi di approvazione e quindi l’influenza sull’esito del voto può essere più intensa rispetto al passato. Sennonché, l’indagine sul credito non incide, in verità, solo sulle maggioranze ma anche sulla stessa effettività (e fattibilità) della proposta[105]; basti pensare al caso in cui la proposta di concordato preveda un certo trattamento per i creditori chirografari ed invece uno di questi si accerti essere munito di un diritto di prelazione, tale per cui il suo soddisfacimento altera la c.d. waterfall. È chiaro, allora, che l’esame del tribunale deve essere particolarmente accurato ogni volta che sussista una contestazione su un credito che venga portata all’attenzione del giudice nel giudizio di omologazione[106]. Se è vero, infatti, che l’accertamento del credito non è oggetto del processo di omologazione posto che ciò compete solo ad un giudice della cognizione ordinaria[107], l’accertamento in via incidentale può essere determinante per la sussistenza delle condizioni per giungere alla omologazione[108]
Ed ancora, la questione si riproduce ai fini della formazione di accantonamenti la cui densità è stabilita dal tribunale[109], salvo che si tratti di accantonamenti obbligatori nel caso di contestazione di crediti tributari[110]
Un ulteriore controllo che il tribunale deve esercitare pertiene alla circostanza che è venuta meno l’assemblea dei creditori e cioè il luogo ‘fisico’ nella quale erano chiamati ad interloquire tutti i protagonisti della scena del concordato: il debitore, i creditori, il commissario giudiziale e il giudice delegato. L’espunzione dell’assemblea ha imposto, di riflesso, una serie di ulteriori modifiche perché si è voluto, comunque, assicurare un confronto. La dialettica, però, è consegnata agli atti scritti che le varie parti potranno scambiarsi in vista di una decisione del giudice delegato, sì che più che di ‘contraddittorio a distanza’[111], si tratterà del classico contraddittorio scritto, privo di appendice orale. 
Si tratta, allora, di esaminare più da vicino le nuove regole di espressione del voto, sulla premessa che il legislatore delegato ha confermato la scelta del 2015 di ripudiare il voto manifestato col silenzio-assenso e tutt’ora disciplinato nel concordato giudiziale (l’ex concordato fallimentare). 
Col decreto di apertura della procedura, anziché fissare la data dell’adunanza[112], il tribunale – previa valutazione della complessità del concordato – fissa un doppio termine, iniziale e finale (non orientato su criteri temporali predeterminati), per l’espressione del voto che deve avvenire mediante invio al (solo) commissario giudiziale di un messaggio di posta elettronica certificata. Il termine iniziale per trasmettere il volo costituisce il punto di riferimento per adempimenti del commissario e per attività del debitore e dei creditori. 
I creditori debbono approcciarsi al voto in modo informato; in tal senso, ancorché di recente si sia affermato che il creditore ha la libera disponibilità della rinuncia all’informazione e può, dunque, votare ancor prima dell’invio della relazione del commissario giudiziale[113], ora che la disciplina della votazione è tutta conformata al metodo scritto, sembra preferibile che il voto possa essere validamente espresso solo nella finestra temporale fissata dal tribunale[114]
È compito del commissario giudiziale depositare in cancelleria e comunicare ai creditori una relazione illustrativa almeno quarantacinque giorni prima dell’inizio delle operazioni di voto (art. 104 CCII). 
Poiché i creditori possono presentare proposte concorrenti sino a trenta giorni prima dell’avvio della votazione e il debitore può modificare la sua proposta, il commissario giudiziale almeno quindici giorni prima dell’avvio della votazione deve depositare in cancelleria e trasmettere ai creditori, al debitore e ai terzi interessati una relazione illustrativa sulle proposte definitive del debitore e su eventuali proposte concorrenti; per agevolare il contraddittorio fra i creditori, è allegato alla relazione il prospetto dei creditori che sono proposti per l’ammissione al voto. 
Orbene, ciascun interessato può, almeno dieci giorni prima dell’avvio della votazione, svolgere contestazioni sia sulla proposta del debitore che sui diritti di credito degli ammessi al voto; alle contestazioni sono legittimati anche i coobbligati, i fideiussori e gli obbligati di regresso del debitore (pur se non sono ammessi al voto). 
Il commissario giudiziale raccoglie tutte le contestazioni e le trasmette al giudice delegato e alle parti; in ogni caso deposita e comunica la sua relazione conclusiva almeno cinque giorni prima dell’inizio delle votazioni (art. 107 CCII)[115]
Le informative del commissario, pur trasmesse a tutti, sono essenzialmente rivolte al giudice delegato perché è il giudice delegato che decide sulla ammissione al voto dei credit(or)i contestati (art. 108 CCII). Rispetto al passato, il potere del giudice è rimasto inalterato: provvede con decreto sulle contestazioni e le sue decisioni non sono direttamente impugnabili, salvo che vi sia stata una errata inclusione (od esclusione) nell’elenco degli ammessi al voto[116]; solo in tal caso e sempre che la decisione sia stata determinante per il raggiungimento o non raggiungimento della maggioranza, vi potrà essere una appendice contenziosa nel corso del giudizio di omologazione, fermo restando che l’accertamento dei crediti non è oggetto del processo di omologazione[117] e che nel concordato preventivo non esiste un procedimento ‘interno’ di formazione dello stato passivo[118]. Per armonia di sistema, il decreto del giudice delegato dovrebbe intervenire prima dell’inizio della votazione e dovrebbe essere comunicato a tutti i creditori. 
Si pone, ancora, il tema della valorizzazione del voto, ai fini del conseguimento delle maggioranze, quando vengano formate classi dei soci. Sebbene possa apparire bizzarro, l’effetto del voto è diverso a seconda che sia un voto positivo o negativo. Se la classe dei soci esprime un voto sfavorevole, deve escludersi che il concordato possa reputarsi approvato da tutte le classi[119], e questo apre le porte al meccanismo della ristrutturazione trasversale[120]; se, invece, la classe esprime un voto favorevole ciò non consente di rendere applicabile la regola della ristrutturazione trasversale nel senso che la classe dei soci non è una classe di creditori interessati e non è una classe di creditori privilegiati; pertanto, il voto favorevole della sola classe dei soci non consente l’omologazione del concordato. Resta, forse, il dubbio se il voto favorevole possa rilevare per computare la classe tra quelle che esprimono il consenso e ciò al fine di costituire la maggioranza: il fatto che si parli solo di classe e non di classe di creditori può far propendere per la soluzione per cui il voto può essere conteggiato. 
Tutte queste regole procedimentali vanno rispettate ai fini di verificare la correttezza delle operazioni di voto nella prospettiva del transito dalla fase della votazione a quella della omologazione ma una volta che ciò sia accaduto il tribunale deve verificare nuovamente il rispetto della legalità prima di procedere con la omologazione.
7 . La valutazione del tribunale nei concordati liquidatori
Il concordato liquidatorio non è più quello di un tempo[121] perché il legislatore ha voluto penalizzarlo, imponendo una serie di vincoli, volti a disincentivarlo[122] sul presupposto (per vero non del tutto dimostrato) che sarebbe un modo di regolare la crisi non premiante rispetto alla liquidazione giudiziale modernizzata. Il vincolo più consistente è quello che attiene alla graduazione. Nel regime previgente, secondo la lezione corrente, le risorse derivanti dal patrimonio del debitore dovevano essere distribuite secondo una gradazione discendente per effetto della quale non si poteva proporre il soddisfacimento di un creditore della classe inferiore se prima non era integralmente soddisfatto il creditore della classe poziore. Soltanto le risorse esterne a quel patrimonio potevano essere liberamente ripartite dal debitore. 
Le regole sono cambiate ed ora il perimetro di applicazione della vecchia regola, cioè l’absolute priority rule, riguarda (i) il concordato con piano di liquidazione e con assunzione, (ii) il concordato in continuità ma nei limiti di quello che è definito come “valore di liquidazione” e (iii) i crediti di lavoro dipendente per i quali il privilegio generale è esercitato anche sul valore eccedente quello di liquidazione. 
Nel concordato liquidatorio resta, dunque, ferma la regola della graduazione verticale assorbente. 
Sino al 2005 la legge stabiliva che i creditori privilegiati dovessero essere soddisfatti per l’intero anche in caso di patrimonio incapiente; poi la regola è stata cambiata ed ora nel codice della crisi viene ribadito il principio per il quale a ciascun creditore privilegiato non può essere offerto un soddisfacimento che sia inferiore al valore del bene ritraibile dalla sua liquidazione (art. 84, comma 5, CCII). Per stabilire il valore di liquidazione si devono calcolare anche i costi specifici della liquidazione e una quota parte dei costi generali della procedura di liquidazione giudiziale presa come termine di comparazione. 
La proposta che prevede il soddisfacimento solo parziale dei creditori privilegiati deve essere accompagnata dalla attestazione di un professionista indipendente che certifica quale sarebbe il valore di liquidazione. 
La c.d. falcidia dei crediti privilegiati incide anche sull’ammissione del creditore al voto, considerando che la parte di credito rimasta insoddisfatta deve essere trattata come credito chirografario e non deve essere stralciata. Infatti, gli artt. 153, comma 1, e 224 CCII esprimono un principio generale, e cioè quello secondo il quale il credito munito di prelazione si esercita dapprima sul bene (o sui beni) sui quali insiste il privilegio e poi, per la porzione non soddisfatta, concorre con gli altri creditori. Ove mai si ritenesse che il creditore munito di pegno, ipoteca o privilegio speciale su un bene dovesse, per forza, essere soddisfatto solo col provento del ricavato di quel bene, potrebbe finire con l’essere pregiudicato rispetto al creditore chirografario. Da ciò ne consegue che il creditore che vanta una prelazione speciale ha diritto di percepire in via chirografaria quanto non riscuote dal ricavato della vendita del singolo cespite. Nel caso di falcidia, il voto va espresso separatamente tra la parte che trova capienza e la parte degradata (ma come abbiamo visto, taluno reputa che nel concordato liquidatorio il creditore privilegiato falcidiato voti solo sul quoziente chirografario). 
Nel concordato liquidatorio quando il credito è munito di privilegio generale (art. 2746 c.c.), il confronto tra credito e valore del bene va operato sull'intera massa mobiliare e, se il titolo di prelazione gode anche della collocazione sussidiaria sugli immobili, il confronto tra credito e valore del bene va svolto con riguardo all'intero patrimonio del debitore; pertanto, il trattamento parziale si giustifica solamente quando nel patrimonio non esistano altri beni. Da ciò consegue che il pagamento dei crediti che si trovano collocati nell'ordine delle prelazioni sottostanti è possibile facendo ricorso, esclusivamente, alla c.d. “finanza esterna”, visto che nel concordato liquidatorio si applica la absolute priority rule. 
Il che a ben vedere significa che si procede con l'ordine delle prelazioni (“degradando da privilegio in privilegio”) soltanto se il credito collocato in più alto grado è stato interamente soddisfatto. 
Il divieto dell’alterazione dell'ordine delle prelazioni significa che ove sia certificata l'incapienza del patrimonio del debitore per soddisfare tutti i creditori privilegiati, il pagamento parziale non può premiare di più un credito di grado inferiore: 
(i) il trattamento del creditore titolare di una causa di prelazione non può prescin­­dere da una comparazione valutativa con il bene oggetto della garanzia; 
(ii) il trattamento fra creditori non può contraddire l’ordine delle prelazioni, sì che nella proposta il debitore subisce i vincoli che si possono definire “da graduazione”. 
Qualora il patrimonio del debitore non consenta la soddisfazione integrale del creditore munito di prelazione generale, e pur tuttavia con risorse esterne sia possibile procedere al soddisfacimento degli altri creditori, è ragionevole ritenere che queste risorse aggiuntive possano essere destinate dal debitore ai creditori senza il vincolo della graduazione, posto che altrimenti ne verrebbe divelta la stessa possibilità di non soddisfare integralmente i creditori privilegiati. La previsione dell’apporto di risorse esterne – in misura almeno pari al 10% dell’attivo endogeno - penalizza il debitore rispetto alla liquidazione giudiziale[123], e tuttavia queste risorse esterne possono essere destinate senza vincoli di distribuzione e cioè senza il rispetto dell’ordine di graduazione[124]. 
Per risorsa esterna – a condizione che la destinazione della risorsa aggiuntiva avvenga direttamente a vantaggio dei creditori concorsuali – si intende l’apporto di un terzo (i) senza obbligo di restituzione (potrebbe trattarsi di un atto gratuito, di liberalità o senza corrispettivo), o (ii) con previsione della postergazione del credito restitutorio purché dopo il soddisfacimento almeno pari al 20% dei creditori chirografari. 
Per i privilegi generali, specie quelli muniti di collocazione sussidiaria, in caso incapienza del patrimonio, la quota incapiente va collocata fra i creditori chirografari solo virtualmente in quanto ove vi siano risorse da distribuire a costoro, allora prima dovrebbero essere destinate ai creditori privilegiati. La massa attiva da distribuire fra i creditori (privilegiati generali e chirografari) è una soltanto; se si assume che il creditore con privilegio generale va soddisfatto solo in parte perché il valore dei beni è insufficiente, non vi possono essere risorse residue da desti­nare ai creditori, salvo che non siano risorse esterne, ma per queste si è visto che il debitore può fare scelte in autonomia senza rispettare l’ordine di gradua­zione. 
Posti questi vincoli con riguardo ai creditori privilegiati, per quelli chirografari solo in presenza di concordato con piano di liquidazione il debitore deve assicurare un soddisfacimento minimo (almeno il 20%)[125] del credito, ma con la precisazione che il quoziente del 20% va computato sull’intero ammontare dei crediti chirografari e non sulla singola posizione di credito e questo per tenere conto della possibile suddivisione in classi.[126] 
Il controllo del tribunale non si arresta qui: benché la formula lessicale non lo evochi, riteniamo che nella proposta di liquidazione dei beni tutto[127] il patrimonio debba essere destinato ai creditori visto che ciò non è neppure sufficiente richiedendosi un quid pluris; più esattamente, ai creditori deve essere destinato tutto il valore corrispondente al patrimonio liquidabile, talché ove il debitore volesse tenere per sé uno spicchio dei suoi beni, comunque il valore corrispondente andrebbe sostituito con denaro da devolvere secondo la regola di priorità assoluta[128].
7.1 . La valutazione sulla “plausibilità” dell’operazione concordataria
L’art. 112 CCII stabilisce a chiare lettere che il tribunale deve effettuare un controllo sulla ammissibilità del concordato e poi, in caso di concordato in continuità aziendale, che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l'insolvenza, e in ogni altro caso, la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati[129]. 
Lasciando al prosieguo la questione che pertiene al concordato in continuità, a proposito degli altri modelli, il criterio cui ci si deve uniformare resta sempre quello posto in apice nel codice e cioè nell’art. 7 CCII là dove si stabilisce che il piano non deve essere manifestamente inadeguato a raggiungere gli obiettivi prefissati[130]. 
La formula ricalca, nella sostanza, quell’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato[131] che a valle della nota decisione delle Sezioni unite del 2013 (che aveva distinto un giudizio di fattibilità giuridica da un giudizio di fattibilità economica)[132], aveva a più riprese sostenuto che la proposta concordataria, pur lasciata alle valutazioni dei creditori quanto a convenienza, rispetto all'alternativa fallimentare, e alla realizzabilità della singola percentuale di soddisfazione per ciascuno prospettata, è sindacabile dal tribunale sotto il profilo economico nei limiti in cui appaia implausibile, in quanto il piano si mostri prima facie irrealizzabile[133] nonché nel caso di manifesta inattitudine del piano a realizzare l’obiettivo della regolazione della crisi[134]. Resta, così, superato il criterio di legge delega sul controllo sulla fattibilità economica che aveva lasciato perplessa la dottrina[135].
7.2 . La verifica sul giudizio di convenienza
Nel sistema della legge fallimentare prima della Riforma del 2005 era pacifico che il tribunale svolgesse un controllo sulla convenienza del concordato in comparazione con il fallimento e ciò anche ad iniziativa d’ufficio[136]. Lo stato dell’arte è cambiato e il giudizio di convenienza è stato limitato al caso della contestazione operata da un creditore dissenziente inserito in classe a sua volta dissenziente, tant’è che nei primi anni successivi venne a galla la problematica della formazione obbligatoria delle classi proprio allo scopo di elevare le possibilità di esercitare il controllo di convenienza. 
Questa espunzione del controllo di convenienza è stata, piano piano, “digerita” ed ora è consueto leggere che il sindacato sulla convenienza, neppure in ordine al profilo della misura minimale del soddisfacimento dei crediti rappresentati, non compete al giudice in quanto si tratta di valutazioni che sono riservate ai creditori, e non è possibile individuare una percentuale fissa minima al di sotto della quale la proposta concordataria debba ritenersi inadatta a perseguire la causa concreta cui la procedura è volta; causa concreta consistente nel consentire il superamento della condizione di crisi dell'imprenditore e nel riconoscere agli aventi diritto la realizzazione del credito vantato in tempi ragionevolmente contenuti, sia pure per una minima consistenza[137]. 
Confermando il regime della legge fallimentare, nel concordato liquidatorio il diritto di contestare il difetto di convenienza resta affidato all’iniziativa dei creditori: (i) al singolo creditore il quale proponga un’opposizione laddove si tratti di un creditore dissenziente appartenente ad una classe dissenziente o (ii) alla minoranza qualificata di dissenzienti, pari ad almeno il venti per cento (mentre è stato rafforzato con la legittimazione individuale nei concordati in continuità, v., infra). Questa limitazione comprime sensibilmente i diritti del singolo creditore e non a caso talora si opina che la disposizione sarebbe incostituzionale[138], anche se il mutato assetto dell’art. 85 CCII in tema di classi obbligatorie stempera un poco la preoccupazione. 
Il giudizio sulla convenienza presuppone una valutazione comparativa con i possibili risultati della liquidazione giudiziale e qui si apprezza l’estrema complessità di questa valutazione, volta che (a) nella liquidazione giudiziale i trattamenti non possono essere differenziati per classi[139], (b) solo nella liquidazione giudiziale sono esperibili determinate azioni giudiziali, (c) solo nella liquidazione giudiziale vi può essere una riduzione del passivo per quei creditori che siano dotati di un titolo inefficace (v., artt. 163 ss. CCII) o inopponibile (v., artt. 145 CCII e 2704 c.c.). 
È poi assai controverso il metodo di determinazione del valore di liquidazione che deve fungere da criterio comparativo[140]. 
Ciò implica anche un controllo più diffuso là dove la proposta riguardi un gruppo di imprese ai sensi degli artt. 284 e 285 CCII, visto che in tal caso deve essere riscontrato un giudizio di convenienza anche tra l’alternativa del concordato “monade” e quella del concordato di gruppo.[141]
8 . La verifica delle regolarità procedimentali nel concordato in continuità
Anche nel concordato in continuità si pone il tema dei controlli formali cui è chiamato il giudice al momento dell’omologazione e la scelta è stata quella di comprimere le formule prognostiche affidate al tribunale sull’effettiva realizzabilità economico-finanziaria dei piani concordatari, lasciando spazio ad un meno intenso compito di vigilanza dei processi di ristrutturazione[142]. La crisi postula il coinvolgimento dei creditori nelle decisioni sul patrimonio dell’impresa, la cui regolazione diviene affare da risolvere fra il debitore e i titolari delle pretese, nella pienezza di trasparenza e contraddittorio, conservando in capo al tribunale un controllo di legalità, in un’accezione ampia e sostanziale. 
Il tribunale deve appurare in sede di omologazione che lo strumento prescelto possegga un filo conduttore reale di prosecuzione dell'attività economica, iscrivendosi davvero nell’archetipo del concordato in continuità. L’art. 84, comma 2, CCII è puntiglioso sulla distinzione fra continuità diretta e indiretta, imperniata sul discrimen del ruolo attribuito al debitore nel proseguimento dell’impresa[143] e non può essere ignorato un vero e proprio saggio di continuità, dovendo quest’ultima rivelarsi non figurativa[144] perché è indispensabile che sia rappresentato un corso ulteriore ed effettivo dell’impresa quale elemento strategico di regolazione della crisi. 
Nel quadro della continuità indiretta – alternativamente consistente nella “gestione dell’azienda in esercizio” o nella “ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso dal debitore” – il giudice controlla la rispondenza del mezzo utilizzato per il cambio gestorio (affitto, altro titolo tipico o atipico) all’obiettivo di evitare una perdita d’efficienza della realtà produttiva o di preservarne al massimo grado il valore intrinseco, nella prospettiva del definitivo passaggio a terzi o della retrocessione in capo all’imprenditore. Il vaglio del tribunale attiene al presupposto dello svolgimento dell’attività d’impresa da parte del terzo in forza di un negozio anche anteriore al ricorso per l’ammissione al concordato, ma stipulato funzionalmente nell’ottica della sua presentazione. L’esame riguarda la declinazione strumentale del titolo rispetto al deposito della domanda di accesso al concordato, in ciò risolvendosi la stipula del primo “in funzione” della seconda[145]. Non vi è un numerus clausus di strumenti negoziali spendibili[146], sempreché sia ravvisabile l’intima preordinazione del passaggio di mano transitorio dell’azienda rispetto all’adottanda soluzione concordataria. Anche alla luce dell’attività commissariale e del contraddittorio fra i creditori, il tribunale appura l’effettività del collegamento logico e cronologico fra trasferimento titolato del compendio produttivo e accesso alla procedura di concorso[147]. 
Al tribunale rimane interdetto il merito della proposta, rimesso ai soli creditori, suoi destinatari elettivi, in quanto è la negoziazione fra le parti ad individuare la soluzione più consona alla situazione di squilibrio, senza che il giudice si addentri nelle scelte condivise da debitore e creditori. 
Con specifico riferimento alla continuità, proposta e piano devono rivelarsi puntuali, completi e comprensibili e a tal fine risulta fondamentale il ruolo informativo assicurato dalla attestazione, sì che il giudizio di regolarità indulge anche sull’adeguatezza della relazione[148]. L’alea economico-finanziaria del piano è rimessa alla valutazione dei creditori, purché ad assecondarla sia una relazione metodologicamente immune da vizi; così, l’attestazione è corretta se meticolosa e intellegibile a livello di dati esposti, criteri asseverativi adoperati, congruenza fra i primi e i secondi. Non viene in rilievo un controllo del merito, ma di metodo, che guarda all’attendibilità del modus operandi seguito dal professionista. Se la relazione non è accurata, a livello di chiarezza dei criteri usati, è il procedimento a venirne inficiato[149], senza però che il tribunale debba spingersi a sindacare la regolarità ed attendibilità delle scritture contabili[150], anche se una parte del formante nomofilattico sembra insistere, peraltro, su un affilato controllo giudiziale di veridicità delle informazioni esposte nei documenti prodotti[151]. 
Si è posto in luce che il Codice utilizza termini differenti quando richiama l’ammissibilità e la ritualità e tuttavia ammissibilità e ritualità sono nozioni affini, pressoché interamente sovrapponibili[152]. Ambedue investono “la conformità a diritto della proposta”[153]. Nell’ambito amministrativistico, dove la ritualità è concetto più pervasivo, essa rimanda proprio a un controllo sui presupposti di ammissione ad un procedimento di matrice selettiva. Nel lemma ritualità risuona, inoltre, l’eco dell’art. 125 L. fall. in tema di concordato fallimentare (norma riprodotta pedissequamente nell’art. 241 CCII sul concordato nella liquidazione giudiziale), ponendo sulla scrivania del giudice la legittimità, sia formale che sostanziale, della domanda. Il collegamento della ritualità alla proposta è di primaria importanza, implicando che l’elemento negoziale evocato sia completo di tutti i profili idonei a mostrarlo quale manifestazione di autonomia privata di senso compiuto, suscettibile tout court di approvazione o disapprovazione. 
Il vaglio di ritualità/ammissibilità presuppone, al momento dell’omologazione, il riscontro di una proposta finanziariamente e operativamente supportata.
8.1 . La verifica delle ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza e sui finanziamenti
A tenore dell’art. 112, comma 1, lett. f) il giudice è chiamato a verificare che il piano “non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza”. Si tratta di una ripetizione, ma con dotazione di informazioni più sofisticate, del controllo già svolto in fase d’apertura, qui riproposto con la garanzia del contraddittorio, posto che già in avvio il tribunale si doveva essere già impegnato a verificare che il piano non fosse “manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori” e “alla conservazione dei valori aziendali”. Se in apertura il giudice sanziona le ipotesi palesemente irrazionali, nel passaggio conclusivo ragiona con un setaccio più stretto, ma secondo un’impostazione similare, che porta al battesimo finale dello strumento ogni qualvolta a consolidarlo sia una valutazione “non negativa”. Il giudice è tenuto a consentire la ristrutturazione pianificata ove la ritenga tecnicamente non ineseguibile, sempre che – qualora un creditore dissenziente eccepisca il difetto di convenienza della proposta (art. 112, comma 3) – il concordato contempli un soddisfacimento quantitativamente non inferiore a quello realizzabile attraverso il paradigma della liquidazione giudiziale[154]. 
La rappresentazione enunciata dal debitore e supportata dall'attestatore deve mostrare un grado minimale di plausibilità, bastando per il suggello giudiziale che l’ipotesi concordataria sia operativamente percorribile. 
A venire in evidenza è, in definitiva, una fattispecie di inammissibilità della domanda per irragionevolezza della continuità ipotizzata, sia in funzione del soddisfacimento dei creditori, sia nell’ottica del perseguimento dell’obiettivo – eletto come parallelo, non più rigidamente gregario – della conservazione dei valori aziendali[155], ma la valutazione non si estende oltre i limiti del riscontro di una lampante ineseguibilità del piano. Per essere respinta la programmazione deve palesarsi, sulla base della scienza e della tecnica, apertamente inadatta a pervenire agli obiettivi predeterminati. Il concordato guadagna, infatti, l’omologa, non per prognosi rosea, ma per valutazione non infausta, meritandosi la promozione, non in quanto presumibilmente idoneo ad assorbire la crisi, ma in quanto non palesemente inidoneo a regolarla, quindi non irrazionale, né implausibile[156]. Alteris verbis, le prospettive di realizzo non debbono presentarsi come realistiche, ma come tecnicamente non insensate o illusorie: il vaglio del giudice non insegue certezze o alte probabilità, ma condanna palesi utopie. Al sindacato sono sottratti tanto la stima delle potenzialità del piano quanto il calcolo delle percentuali di successo dell’ipotesi concordataria. Non si congettura sul buon esito della soluzione e ci si concentra sulla praticabilità complessiva del suo corso, tant’è che solo la connotazione velleitaria dell’ipotesi di contrasto della crisi, evincibile da assunti fallaci o assiomatici, o da tempi di recupero impronosticabili, oppure da un’attestazione carente o discordante, rende il concordato privo di ragionevoli prospettive e, come tale, non omologabile[157]. 
Legittima, attestabile, quindi omologabile diviene la mera chance, che pur soggetta ad un folto numero di variabili, alimenta un piano che risulti ictu oculi non inverosimile dal punto di vista dei mezzi impiegati e dei numeri esposti[158]. Si è postulato che potrebbe capitare che l’impresa appaia più “morta che viva”, eppure se conserva tecnicamente una speranza “non ha senso sopprimerla solo perché non si sa se guarirà” [159] , e così non si stacca la spina e la terapia prosegue ad oltranza. Non riteniamo che una così accentuata estremizzazione sia condivisibile perché, ci pare, che il criterio debba comunque appoggiarsi su una prognosi di probabilità di successo. 
Il criterio di nuovo conio della lett. f) disvela un collegamento sistematico con l'art. 10, par. 3, della Direttiva (UE) 2019/1023, che fa carico agli Stati di assicurare la facoltà dell'autorità amministrativa o giudiziaria di rifiutare l’omologazione del piano di ristrutturazione qualora privo della prospettiva ragionevole di impedire l'insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell'impresa[160]. Nell’ottica eurounitaria la partecipazione dell'autorità giudiziaria nei processi di ristrutturazione è limitata ai casi in cui si mostra necessaria e, comunque, anche in dette ipotesi deve risultare proporzionata. In questo cono visivo, ogni qualvolta venga in discussione un giudizio prognostico, che fisiologicamente presenta margini di opinabilità e possibilità di errore, ma non di implausibilità, il rischio dev’essere sopportato in esclusiva dai creditori. Se costoro non s'oppongono all'omologazione, il tribunale non può negarla, sol perché ritiene che una procedura di liquidazione del patrimonio del debitore avrebbe pilotato risultati migliori per la massa. I creditori, purché destinatari di un’efficace informazione, possono decidere finanche di puntare su una proposta azzardata, ma conveniente. 
La lett. f) fissa un ulteriore presupposto “sdrucciolevole” di omologabilità, che si sostanzia nella connotazione non ingiustamente pregiudizievole (per i creditori) dei finanziamenti stipulati a sostegno della continuità. L’idea è di evitare ingenti ricadute di prededuzioni (di regola di estrazione bancaria) sulle aspettative reali di soddisfazione dei creditori concordatari. Il controllo sui finanziamenti deve essere letto in parallelo con le disposizioni di cui agli artt. 94, 99, 101 e 102 CCII; il codice della crisi, infatti, prevede che i finanziamenti siano sempre sostenuti da una autorizzazione del giudice, o semplicemente perché siano opponibili ai creditori oppure perché si vuole attribuire al finanziatore il beneficio della prededuzione. Fermo restando che i finanziamenti godono di una serie di protezioni (non invalicabili, però, in caso di successiva liquidazione giudiziale), occorre chiedersi a quale ragione si ispiri il controllo previsto nell’art. 112 CCII, frutto di una evidente derivazione dalla Direttiva 2019/1023. 
Se possiamo escludere che il tribunale, in occasione dell’omologazione, possa revocare i benefici derivanti dalle precedenti autorizzazioni, non possiamo invece scartare l’ipotesi di una rivalutazione sulla onerosità del finanziamento, sulla incapacità dell’impresa di rimborsarlo o sulla necessità di utilizzare risorse già riservate ai creditori anteriori che si rivelino circostanze idonee a negare l’omologazione, e ciò per evitare un depauperamento dei diritti dei creditori. 
La continuità non è opzione “ad ogni costo”[161], ma nella sola misura in cui il ricorso al finanziamento dell’impresa in concordato e la somma conseguente delle prededuzioni non integrino un fardello tanto cospicuo da tradursi in una sostanziale ablazione delle posizioni di credito attuali[162]. Si mutua nel sistema concorsuale una clausola generale di malagevole innesto, l’ingiustizia del danno per i creditori concorsuali che diviene mezzo di controllo addizionale della soluzione concordataria. Nella comparazione reciproca che il giudice è chiamato ad operare tra il diritto dei titolari delle pretese a veder preservate in misura ragionevole le proprie aspettative e quello del debitore alla regolazione negoziale della crisi, il primo non può subire sacrifici insensati per far spazio alla realizzazione del secondo. Non può convalidarsi uno squilibrio fra il “prezzo” complessivo della provvista funzionale alla continuità e la misura della falcidia che i creditori sarebbero costretti conseguentemente a subire; la comparazione non va condotta dal giudice su base discrezionale, ma alla stregua del diritto positivo, che ora pone la continuità aziendale e la tutela del credito su un piano di tendenziale parallelismo valoriale, nel cui quadro l’una e l’altra devono tendere ad amalgamarsi[163].
8.2 . Il controllo sul soddisfacimento dei creditori
Il Codice non contiene alcuna previsione sul quantum minimo da assicurare ai creditori nel concordato in continuità (neppure nel caso dei debiti erariali, diversamente da quanto accade per gli accordi di ristrutturazione dei debiti)[164]; anzi, ai creditori non va, neppure, necessariamente promessa una soddisfazione monetaria, men che meno una gratificazione legata al successivo andamento dell'impresa e alimentata dall'attribuzione di una fetta di utili futuri o di quote di capitale o strumenti finanziari partecipativi. L’art. 84, comma 3, penultimo periodo, riprendendo una puntualizzazione già espressa nell’art. 161, comma 2, lett. 2, L. fall., impone soltanto che a ciascun creditore sia assicurata un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile. Nella precisazione vi è l’esigenza di escludere il deposito di proposte inclini a lasciare all’indeterminatezza il conseguimento di qualsivoglia beneficio effettivo da parte dei creditori. La fisionomia dell’utilità è, peraltro, ora definita in termini inediti, potendo “anche essere rappresentata dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa”: ciò significa che nella categoria della continuità rientra adesso anche l’ipotesi della reiterazione della relazione negoziale col singolo. La soddisfazione del creditore non consiste più immancabilmente nell’ottenimento di una somma, potendosi ridurre al mero prosieguo di un rapporto giuridico, con l’effetto di una larvata ablazione della ragione di credito monetaria e della sua coercitiva sostituzione con il vantaggio compensativo dell’ulteriore corso della relazione negoziale. Rebus sic stantibus parrebbe, dunque, sufficiente mantenere in essere i rapporti di fornitura, di somministrazione, estimatori o di finanziamento per integrare la condizione di ammissibilità, quindi di omologabilità, dello strumento secondo la formula riportata. Naturalmente, una proposta che si limitasse a rappresentare sommariamente in favore dei creditori l’intenzione di proseguire il rapporto non coglierebbe nel segno perché la valutabilità economica dell’utilità presuppone che siano argomentati gli aspetti che puntellano la maggiore affidabilità e solidità del nuovo corso del rapporto, rispetto al precedente periodo, nel quale il creditore ha addirittura dovuto subire un totale inadempimento. Il tribunale deve verificare anche a valle del procedimento che l’utilità sia tangibile in quanto circostanziata[165]: se l’utilità non è palesata, l’omissione rileva come vizio di inammissibilità, mentre se l’utilità è indicata ma non è quantificata o quantificabile il sindacato del giudice presuppone un’opposizione, che resta lo strumento per misurare un difetto di convenienza. 
In particolare, il sindacato sulla convenienza è limitato soggettivamente, dacché calibrato sulla posizione del singolo opponente, non dell’intero parterre dei creditori; è, anche, circoscritto oggettivamente, giacché il trattamento offerto è raffrontato unicamente con quello conseguibile nel contesto della liquidazione giudiziale. Il tribunale omologa il concordato soltanto se accerta che secondo la proposta e il piano il credito dell'opponente appare soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale: quello del giudice è, dunque, un controllo sull’assenza di pregiudizio per il creditore. 
L’idea di fondo è che a seguito dell’approvazione del concordato ai sensi dell’art. 109 CCII il principio di maggioranza e l’“autodeterminazione” dei creditori debba far premio sulle recriminazioni del singolo rispetto al trattamento riservatogli[166]. Perciò solo a certe condizioni il creditore scontento può reagire, provando a porsi al riparo dalla pretermissione. 
In entrambe le situazioni contemplate dai commi 3 e 5 dell’art. 112 il concordato viene, ad ogni buon conto, varato con l’omologa sempreché il credito dell’opponente o dell’aggregazione degli opponenti non scenda al di sotto della soglia rappresentata dalla soddisfazione virtualmente conseguibile in moneta liquidatoria-giudiziale. Viene ammainata la bandiera del miglior soddisfacimento dei creditori e la sola precauzione imposta all’imprenditore è quella di porre i titolari delle pretese al riparo dal maggior danno. La proposta può essere finanche a “somma zero” rispetto all’ipotesi liquidatoria, non essendo necessario che la posizione dei creditori migliori col concordato: lo strumento è omologabile a patto che non rappresenti, rispetto alla liquidazione giudiziale, un rimedio peggiore del male[167]. 
La distribuzione del valore liquidation value sulla scorta del test di convenienza segue la traccia della previsione di cui all'art. 10, par. 2, lett. d), della Direttiva 2019/1023, a tenore del quale il creditore discorde deve ricevere almeno il valore che otterrebbe "in caso di liquidazione, se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale", a prescindere da quale sia la classe di appartenenza e dalla circostanza che essa si sia espressa favorevolmente o negativamente rispetto al piano. 
Il test in parola implica una ponderazione non più riferita a tutto il ceto creditorio, ma unicamente al singolo creditore opponente. Nel concordato i creditori consentono la liberazione dell'impresa da una frazione dei debiti, il debitore si obbliga a far conseguire a ciascuno un determinato risultato, al tribunale spetta acclarare che quel risultato, benché non il migliore possibile, sia non deteriore rispetto a quello conseguibile nell’alternativa per così dire “fallimentare”[168]. L’attribuzione al tribunale della prerogativa di sovrapporre il proprio metro di giudizio rispetto a quello della maggioranza dei creditori è il bilanciamento eteronomo immaginato dal legislatore in relazione ad un processo, quello di concordato, che si connota come luogo di composizione transattiva del conflitto multiforme innescato dalla crisi. 
Il raffronto tra la misura del soddisfacimento ritraibile in ragione del risanamento economico concordatario e quella della gratificazione ricavabile nello sfondo liquidatorio va collegato al momento di apertura del procedimento di concordato. Esso valorizza l’aspetto temporale, le prospettive concrete di recupero di crediti, le utilità sulla carta già individuabili, le garanzie che vengono in rilievo nel perimetro concordatario e in quello prospettico della liquidazione giudiziale. Va verificata, anche al netto delle spese di procedura, la maggiore o minore ampiezza virtuale dell'attivo liquidabile e del passivo presumibile, dovendosi stimare, sotto il primo aspetto, le azioni promuovibili nel quadro della liquidazione giudiziale, sotto il secondo, le eccezioni revocatorie sollevabili[169]. 
Il principio dell’assenza di pregiudizio che pervade il test di convenienza implica l’identificazione certa del plusvalore concordatario: occorre appurare quale sia il ricavato prodotto dalla continuità aziendale, cioè la ricchezza aggiuntiva che germina dallo strumento di risanamento, che non si genererebbe nel caso di apertura di procedura liquidatoria, pur considerando che anche all’interno della liquidazione giudiziale ben si può ipotizzare che venga operato il trasferimento in blocco dell'azienda o di suoi rami[170]; infatti, la ricollocazione competitiva sul mercato del valore dell’impresa avviene in linea di principio anche nella liquidazione giudiziale per blocchi operativi di beni, venendo in rilievo istituti di presidio del going concern come l’affitto e l’esercizio dell’impresa del debitore; l’art. 211 CCII prevede, d’altronde, che l’apertura della liquidazione giudiziale non determina la cessazione dell’attività d’impresa quando la sua prosecuzione non arreca pregiudizio ai creditori. 
Il tribunale è, dunque, chiamato ad effettuare una approfondita valutazione comparativa fondata su una pluralità di scenari. 
Nel concordato in continuità si pone l’ulteriore questione del trattamento dei creditori di pari grado e cioè se sia possibile un trattamento differenziato, oppure se sia indispensabile un trattamento paritario, questione che diviene determinante con riguardo ai creditori chirografari. Ci si chiede, allora, se, frantumati i creditori chirografari in più classi stante la loro non omogeneità, sia legittimo trattarli diversamente; ciò era indiscusso nel vigore della legge fallimentare ma ora è divenuto un tema assai critico al lume di un dettato normativo (art. 112 CCII) che sembra impedire il trattamento differenziato di creditori di pari estrazione nella graduazione. Si tratta di tema che non è stato risolto con le ultime correzioni e che va segnalato perché di impatto rilevantissimo[171]; a noi pare che anche in questo caso il problema debba essere esaminato (solo) al momento della omologazione e quando non è raggiunto il consenso unanime; se così accade, la regola del trattamento si disvela come regola di omologazione che, però, non attingendo al profilo della convenienza, è scrutinabile in via officiosa e, ancorché forse irrazionalmente, la regola da applicare pare essere quella della “non discriminazione”[172].
9 . La mancanza di unanimità e la verifica delle condizioni supplementari per la ristrutturazione trasversale
L’unanimità dei creditori sul quadro di ristrutturazione è un obiettivo primario della Direttiva (UE) 2019/1023. L’art. 9, par. 6, auspica l’adozione del piano ad opera di tutte le “parti interessate”[173]. La finalità unionale è trasposta nell’art. 109, comma 5, a tenore del quale il “concordato è approvato se tutte le classi votano a favore”. In questa prospettiva l’art. 112, comma 1, lett. f), affida al tribunale il compito di controllare, in principalità, che una totale consonanza di posizioni fra i creditori si sia effettivamente realizzata. 
La proposta che faccia emergere dissensi non impedisce l’omologazione, semplicemente la circoscrive al riscontro di presupposti integrativi, acclusi nel successivo comma 2 della norma ora citata. 
Alla meta dell’omologa si può pervenire attraverso l’exit d’emergenza della “ristrutturazione trasversale” (c.d. "cross-class cram-down"), che impone alle classi riottose il percorso regolatorio della crisi respinto dal loro voto[174]. 
La ristrutturazione trasversale funziona ad impulso di parte, non è di per sé sorretta dall’originaria domanda di concordato, presupponendo un’istanza ad hoc del debitore[175] (o il consenso del debitore se deve essere omologata la proposta concorrente). 
Le condizioni d’accesso al meccanismo declinate dalle prime tre lettere del comma 2 dell’art. 112 non hanno patito variazioni successivamente debutto del Codice e si prestano ad una lettura piuttosto agevole; soltanto il presupposto cruciale contenuto nella lett. d) è stato rimaneggiato con le ultime modifiche e non senza qualche strascico d’incertezza. 
La lett. a) proietta il controllo giudiziale sul valore di liquidazione, reclamandone una distribuzione ossequiosa dell’ordine delle prelazioni. Nel precetto è stato aggiunto un rimando all’art. 87, comma 1, lett. c), che ora definisce il valore di liquidazione, fatto coincidere con quello “realizzabile, in sede di liquidazione giudiziale” in virtù della “liquidazione dei beni e dei diritti”, e reso “comprensivo dell’eventuale maggior valore economico” ottenibile nel panorama liquidatorio, vuoi attraverso la “cessione dell’azienda in esercizio”[176], vuoi in ragione del pronosticabile buon esito delle “azioni esperibili” in quel diverso contesto, “al netto delle spese” funzionali. 
La lett. b) riproduce, con riferimento al plusvalore da continuità, il calco della regola di priorità relativa temperata creato nell’art. 84, comma 6, CCII. Il vaglio si sposta sul valore eccedente il quantum liquidabile, indirizzandone la suddivisione di modo che i creditori delle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno paritetico rispetto alle classi dello stesso grado e più vantaggioso di quello delle classi di grado inferiore[177]. 
La lett. c) assegna al giudice una verifica sul trattamento dei crediti, affinché nessun creditore consegua nel perimetro ristrutturatorio più dell’ammontare della propria ragione. È tradotto nel diritto interno il precetto dell'art. 11, comma 1, lett. d), della Direttiva (UE) 2019/1023, a tenore del quale nessun novero di parti interessate può acquisire o conservare più dell'importo della propria pretesa e dei relativi accessori. Ogni piano di ristrutturazione è rivolto al soddisfo dei creditori in attuazione del concorso, non può funzionare come vettore di locupletazioni ad appannaggio di alcuni e detrimento degli altri. 
Le tre condizioni attinenti alla distribuzione dei valori sono avvinte da un nesso inscindibile, dovendo coabitare contestualmente perché ci si possa accostare alla quarta[178]; resta il requisito dell’approvazione del concordato esplicitato nella lett. d) che è il tema più spigoloso, solo in parte smussato dopo il D.Lgs. n. 136/2024. 
Nella versione primigenia del Codice, l’imprimatur omologatorio era subordinato al consenso di una maggioranza di classi, almeno una delle quali composta di creditori prelazionari. In via di gradato subordine – “oppure, in mancanza”, recitava la norma – era fondamentale che la proposta avesse trovato l’avallo di una o più classi di creditori d’alto bordo, destinati ad essere “almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”. 
La regola suppletiva aveva suscitato interpretazioni divaricate, per la confusa collocazione sintattica della locuzione "oppure, in mancanza", prima richiamata. 
Alcuni interpreti si erano spinti a perorare come necessario sempre e comunque il consolidarsi di una maggioranza di classi, preferibilmente fortificata dal consenso di un gruppo di prelazionari, ma al limite subordinatamente animata dalla presenza di creditori non recessivi, in quanto titolari di una pretesa non incapiente[179]
A prevalere è stata un’opposta opinione, portata a circoscrivere la riferibilità del lemma “maggioranza” ai soli titolari di diritti di prelazione menzionati dalla prima parte della norma; ove avesse difettato una maggioranza rinsaldata dal voto positivo di una classe di prelatizi, al buon esito omologatorio era sufficiente il benestare di una minoranza di classi o addirittura [in forza di] un’approvazione monoclasse, sempreché – nell’uno o nell’altro caso – il complesso dei creditori favorevoli esibisse le caratteristiche precisate dalla seconda parte norma[180]. 
La lett. d) è stata ridisegnata dal Decreto correttivo, che ha dato alla classe decisiva, ancorché non prelatizia, sembianze dai tratti più marcati. 
È stato sgombrato, anzitutto, il campo dall’equivoco esegetico, attraverso la convalida della tesi prevalente. L’espressione "in mancanza" è ora seguita dal riferimento alla “approvazione a maggioranza”, il che vuol dire che anche una singola classe, formata o meno da privilegiati, può supportare l’epilogo proficuo del concordato. L’opzione è intonata al Considerando 54 della Direttiva 2019/1023, che permette al legislatore nazionale di prevedere l’approvazione da parte di un numero di classi inferiore alla maggioranza, fino al minimo per l’appunto di una. Va, però, precisato che là dove si forma la maggioranza delle classi, la presenza della classe favorevole di creditori privilegiati presuppone che vi sia il consenso della classe dei creditori privilegiati per la parte non falcidiata: se un creditore ipotecario è inserito per la porzione capiente in una classe è il voto di questa che va computato ai fini della ricorrenza della valida maggioranza[181]. 
Più arduo si è rivelato il quesito che ha investito, fin dagli albori del Codice, l’esatta qualificazione della classe “vincente”, in grado di sbaragliare le altre, condizionando in solitudine la sorte estrema dello strumento. 
La lett. d) ha costituito ab initio un travaso approssimativo, nell’ordinamento interno, di un’aggrovigliata norma unionale, l’art. 11, par. 1, lett. b, della Direttiva (UE) 2019/1023, il cui disposto permette di sdoganare il piano quando esso sia stato approvato: "i) dalla maggioranza delle classi di voto di parti interessate, purché almeno una di esse sia una classe di creditori garantiti o abbia rango superiore alla classe dei creditori non garantiti; oppure, in mancanza, ii) da almeno una delle classi di voto di parti interessate o, se previsto dal diritto nazionale, di parti che subiscono un pregiudizio, diversa da una classe di detentori di strumenti di capitale o altra classe che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, non riceverebbe alcun pagamento né manterrebbe alcun interesse o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che non riceva alcun pagamento né mantenga alcun interesse se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale". 
La composita norma europea ha costituito, a sua volta, il tentativo di trapianto nel Vecchio Continente dell’istituto del cross class cram down americano. Nell'US Bankruptcy Code le regole per l'approvazione del piano si ritrovano nel Chapter 11, che racchiude la disciplina della Reorganization. È il par. 1129 a tratteggiare il cross class cram down, prevedendo per l'approvazione del piano che non abbia ottenuto un consenso corale che "at least one class of claims that is impaired under the plan has accepted the plan, determined without including any acceptance of the plan by any insider". La definizione di impaired creditors esplicitata nel par. 1124 ricomprende i creditori che, per effetto del piano, subiscono una compromissione della posizione giuridica e contrattuale ("a class of claims or interests is impaired under a plan unless, with respect to each claim or interest of such class, the plan [...] leaves unaltered the legal, equitable, and contractual rights"). Lo stesso aggettivo impaired è traducibile come danneggiato, indebolito, ridimensionato, ridotto. 
Una prima opinione ricostruttiva ha ritenuto di dover ragionare secondo una logica a trama storica, leggendo la lett. d) sulla base di entrambi gli addentellati forniti dalla disposizione eurounitaria e, al fondo, da quella statunitense: interesse e pregiudizio. La classe che apre l’ingresso alla ristrutturazione trasversale è quella composta, non da generici interessati, ma da creditori pregiudicati (o maltrattati, secondo una diffusa dizione), giacché, da un lato, incisi nel proprio credito, dall’altro, titolari di un'aspettativa di miglior soddisfacimento – nell’orizzonte di una distribuzione inclusiva di tutti i valori dell’azienda in crisi – in ragione del proprio rango creditorio[182]. 
L’omologazione è stata reputata percorribile col permesso di una classe isolata purché occupata da creditori che, a fronte di aspettative più gratificanti in uno sfondo alternativo al concordato proposto, ciononostante si pronunciano a sostegno dell’esperimento ristrutturatorio, evidentemente convinti della bontà dell’ipotesi di rilancio dell'intrapresa[183]. 
Il viatico della ristrutturazione trasversale non si è scorto nella legittimazione estemporanea di un drappello di creditori, abilitati a scalzare per contingenza tutti gli altri, ma nella più rassicurante individuazione di un rassemblement omogeneo tanto persuaso dall’avventura concordataria, da esser disposto ad accettare una proposta deteriore rispetto a quanto potrebbe[ro] attendersi nell’alternativa sullo sfondo[184]. 
È parso che la definizione di parti interessate esplicitata dalla Direttiva 2019/1023 all’art. 2, par. 1, rappresentasse una circonferenza dilatata ed eterea, nella quale finiscono per radunarsi, confondendosi con altri, i creditori titolari di pretese solo lambite dal piano di ristrutturazione. 
Un diverso orientamento, ai fini dell’impiego della ristrutturazione trasversale, si è accontentato di rintracciare una classe di creditori non indifferenti alla proposta, in quanto da essa addirittura avvantaggiati[185]. Si è patrocinata un’esegesi letterale della norma, nel cui testo in effetti non figurava, neppure all’esordio, un riferimento testuale al pregiudizio. Si è sottolineata, nel merito, la difficoltà ontologica di ipotizzare la distribuzione del valore di liquidazione “nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione", secondo la previsione della lett. a), del comma 2 dell’art. 112, e, nel contempo (e all’opposto), di incardinare la ristrutturazione trasversale su una lesione della par condicio. In questo quadro si è valorizzata come classe determinante sic et simpliciter quella costituita da titolari di pretese non incapienti (ossia di pretese "in the money"), immaginando una distribuzione verticale dell'attivo concordatario, a valori di continuità e secondo la regola di priorità assoluta. Qualunque classe nutra un’aspettativa di conseguimento di utilità in ipotesi di distribuzione del plusvalore in base all’ordine rigido delle prelazioni può decretare la sopravvivenza, anziché il tramonto, dell’ipotesi di concordato. Ad essere condannata all’irrilevanza, sul piano del funzionamento del cross class cram down, è la sola classe favorevole inclusiva di creditori che non riceverebbero alcunché se l’attivo concordatario venisse interamente suddiviso secondo l’ordine delle cause di prelazione (creditori out of the money). 
La nuova stesura della norma operata dal Decreto correttivo è d’impronta più didascalica, il che dovrebbe valere a sopire la disputa interpretativa sull’individuazione dei connotati della classe influente. 
Il precetto di nuovo conio, per un verso, continua a presupporre come sufficiente per la ristrutturazione trasversale il placet sulla proposta della maggioranza delle classi, una delle quali composta di prelatizi; per altro verso, interviene sul secondo corno dell’alternativa – quella in cui una maggioranza non si formi affatto – e tiene insieme a suo modo interesse e pregiudizio. 
Il concordato taglia la linea del traguardo se la proposta è avvalorata dal consenso di almeno una classe di creditori destinatari di un’offerta di soddisfazione “non integrale del credito” e che, nel contempo, appaiono suscettibili di trarre teorica soddisfazione, totale o parziale, in ipotesi di simulata applicazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione pure sul valore eccedente quello di liquidazione. La Relazione illustrativa evidenzia che la Direttiva permette il varo del concordato mediante ristrutturazione trasversale, ex art. 11, par. 1, lettera b), sub ii) anche in caso di approvazione da parte di una sola classe di creditori “purché si tratti di creditori che ricevono, dalla proposta, una parziale soddisfazione delle proprie ragioni”, ossia di creditori – precisa la Relazione illustrativo – che, secondo la disposizione europea “subiscono un pregiudizio” e che nella supposta applicazione della regola di priorità assoluta riceverebbero comunque un pagamento. 
In buona sostanza, la classe regina è una classe penalizzata a monte, che paga, cioè, lo scotto di una decurtazione in proposta del credito, ma che, malgrado ciò, concede il proprio appoggio al concordato, rinunciando a far pesare l’interesse alla completa applicazione di quella regola di priorità assoluta, che contrassegnerebbe il concorso nella cornice liquidatoria giudiziale. 
L’accettazione del progetto di regolazione della crisi da parte di una classe parzialmente pretermessa è una “spia verde” della correttezza della negoziazione e tanto giustifica lo sbocco finale, pur coattivamente imposto. 
La verifica ex latere judicis implica due passaggi: la sommatoria di tutto l’attivo del debitore (valore di liquidazione e valore da continuità), depurato degli apporti di finanza esterna (avulsi dalle regole del concorso)[186]; lo svolgimento di un test di capienza al cui lume si possa affermare che, in caso di distribuzione dell’attivo globale secondo la graduazione meccanica delle prelazioni, la classe favorevole riceverebbe un pagamento, ancorché scontando una decurtazione delle proprie ragioni di partenza. 
Lo strumento va in porto, dunque, in due situazioni generali: (i) quando consta una maggioranza di classi rafforzata dalla presenza di un sottoinsieme di prelatizi ben disposti, sempreché che i medesimi non siano soddisfatti nei termini richiamati dall’art. 109, comma 5, CCII, ossia per intero e in denaro entro i centottanta giorni dall'omologazione, oppure non siano senz’altro pagati nei limiti di capienza della garanzia, dacché, in questi casi, si azzererebbe ogni loro interesse specifico ed essi andrebbero privati persino del voto; (ii) quando si censisce il voto favorevole di una classe di creditori i quali, da un lato, - ed è una puntualizzazione veicolata dal Decreto correttivo – soffrono alla base un sacrificio economico, quindi un pregiudizio, in virtù dell’offerta ricevuta di un pagamento “non integrale” del credito; dall’altro lato, si atteggiano a creditori in the money, poiché titolari di pretese che presumibilmente riceverebbero una soddisfazione quale che sia, secondo l’ordinaria graduazione dei crediti ipoteticamente applicata anche sul valore di continuità dell’impresa[187]. 
Residua la difficoltà pratica di basare la comparazione su una congettura, costruendo un edificio virtuale di proposta parallela, in quanto contemplativa di una distribuzione del valore dell'attivo concordatario integralmente governata dalla regola di priorità assoluta. In giurisprudenza si è affacciato immantinente un indirizzo teso a richiedere allo stesso debitore la sottoposizione al tribunale di una ipotesi distributiva alternativa dell’attivo concordatario che preveda la distribuzione anche dell’eccedenza secondo la absolute priority rule; detta ipotesi, utile a consentire l’effettuazione del test, sarebbe destinata a rimanere meramente teorica e valida solo ai fini della omologazione[188]. Una proposta bifronte, dunque, con la quale giocando d’anticipo, il debitore prefigura la chiave di lettura e di raffronto del giudice[189]. 
Al di là dei dissidi dogmatici e delle parziali correzioni di rotta l’approdo è evidente: la volontà dei creditori chiamati a valutare l’appetibilità della proposta s’abbassa di tono, facendo smarrire ai titolari delle pretese l’antico ruolo di contrappeso. Una classe, quale che sia, di creditori le cui posizioni siano sfiorate dal piano, se pagata al ribasso rispetto alle proprie pretese d’origine, e corroborata per tabulas da qualche aspettativa di soddisfo, può vanificare il dissenso di tutte le altre: quando accade questo il principio di maggioranza viene sradicato dal sistema e il significato della votazione perde ogni linfa. Ad essere dissodato è il terreno di un concordato "senza consenso", nel cui quadro la raccolta dei consensi si riduce a poco più di un “sondaggio d’opinioni”[190]. 
L’essenza della regola della lett. d) si staglia, tuttavia, ancor più nitida che in passato. Il concordato disapprovato da tanti – quasi tutti – rimane idoneo a superare il filtro dell’omologa perché realizza un bilanciamento degli interessi complessivi: tutela del credito, da un verso e continuità e sostenibilità d’impresa (viability), dall’altro. Tutto ciò, allora, esalta il ruolo del giudice chiamato (i) a indagare se sono rispettate le altre prescrizioni contemplate dalla norma, (ii) ad escludere che vi siano state dinamiche di mercanteggiamento collaterale e indebito, se una classe che subisce una decurtazione del credito, e che in astratto acquisirebbe comunque una sia pur parziale soddisfazione se il concorso fosse celebrato sotto l’egida della regola di priorità assoluta, decide di sostenere col voto lo strumento, anziché mettersi di traverso, è plausibile che allo strumento venga concessa una chance. L’opportunità sottesa ad un meccanismo nel cui campo una minoranza isolata surclassa le aggregazioni dei creditori, è motivata dall’urgenza di sterilizzare gli ostruzionismi e i dissensi opportunistici, perché gli uni e gli altri non rispondono a nessuna delle finalità dei processi di ristrutturazione, tra le quali spicca anche la salvaguardia dell’impresa come entità oggettiva. Quand’anche il piano prospettato non abbia radunato sufficienti consensi, ove integri, a dispetto del voto, gli altri requisiti che il legislatore ha enucleato come necessari, si presta ad essere omologato tramite l'impiego del cross class cram down, sempreché il giudice ne verifichi la fairness, ossia l’equità del trattamento comunque assicurato alle classi ostili. Il centro di gravità del concordato non dimora, infatti, nel tornaconto delle classi, ma nella sintesi fra gli obiettivi che permeano il sistema e che convergono su un valore oramai sovraordinato rispetto a tutti gli altri: la regolazione della crisi e il raggiungimento di un “risultato di mercato”.
10 . Le verifiche del tribunale nel caso di trattamento dei crediti erariali e previdenziali
La cornice empirico-applicativa testimonia, nelle situazioni di crisi e di insolvenza, un diffuso e ragguardevole indebitamento delle imprese sul versante tributario e previdenziale; ad esso associa una serpeggiante riluttanza delle Amministrazioni ad esprimersi tempestivamente sulle proposte di concordato e, comunque, ad accettare offerte al ribasso rispetto alle originarie ragioni di credito. 
Questi due dati sono alla base dell’assetto delle regole in tema di trattamento dei crediti fiscali e contributivi, subordinato all’osservanza di una disciplina inderogabile e contrassegnato da un meccanismo di omologazione forzosa mediante cram down. L’una e l’altro sono allocati nell’art. 88 CCII, norma interamente riscritta dal Decreto correttivo[191]. 
Il Codice aggiorna il prototipo della transazione fiscale dell’art. 182 ter L. fall., facendo ruotare il trattamento dei debiti tributari e previdenziali sul deposito di una proposta ad hoc, contenente la prospettazione di un pagamento parziale o dilazionato, in funzione di un accordo con gli enti fiscali o previdenziali, per la ristrutturazione dei debiti di relativa matrice. 
La prima condizione esplicitata dal comma 1 e rimessa al controllo del giudice attiene alla misura del pagamento ipotizzato, non inferiore alla soddisfazione realizzabile in sede di liquidazione giudiziale, avuto riguardo al valore del bene su cui gravita la garanzia, attestato dalla relazione di un professionista indipendente. 
La seconda condizione al vaglio del tribunale è precisata subito dopo, nuovamente con riferimento alla soddisfazione del credito tributario e contributivo assistito da privilegio. La percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono palesarsi inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori con un grado di privilegio sott’ordinato o ai quali fanno capo una posizione giuridica e interessi economici omogenei. 
Il Decreto correttivo ha risolto una strisciante antinomia fra il divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi appena riassunto e la regola di priorità relativa da ultimo introdotta per i concordati in continuità. La disposizione sul divieto si apre ora con un riferimento all’art. 84, commi 6 e 7, il che fissa una clausola di salvezza della relative priority rule anche in relazione ai crediti fiscali e previdenziali. Sul principio dell’art. 88, comma 1, prevale ora expressis verbis la prerogativa del debitore di distribuire il plusvalore secondo il modello di nuova generazione. 
Il controllo muta con riguardo al credito erariale o contributivo chirografario, quand’anche abbia assunto tale natura per degradazione derivante dall’incapienza. Il giudice deve, infatti, sincerarsi che il trattamento profilato non sia divergente da quello offerto ad appannaggio degli altri creditori chirografari e, in ipotesi di suddivisione in classi, dei titolari dei crediti per i quali è previsto un trattamento più favorevole. 
Il Decreto correttivo del 2024 ha sciolto il dilemma concernente l’applicazione del cram down anche al concordato preventivo in continuità[192] . La questione scaturiva, per un verso, dall’infelice incipit del comma 1 della norma, a tenore del quale veniva tenuto fermo “quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’art. 112, comma 2”, ma senza precisare se la norma oggetto di rinvio valesse in aggiunta o in sostituzione; per altro verso, dal soppresso comma 2 bis, che evocava il solo comma 1 dell’art. 109, concernente in esclusiva il concordato liquidatorio[193]. 
Il Decreto regola ora l’omologazione coattiva separatamente per il concordato liquidatorio al comma 3 e per il concordato in continuità al comma 4 dell’art. 88. 
Con riferimento al concordato liquidatorio il sindacato del giudice si esplica in un giudizio di convenienza: il tribunale omologa lo strumento, anche in mancanza di adesione da parte delle Amministrazioni, quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all'art. 109, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento è conveniente rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale. 
Con riferimento al concordato in continuità l’omologazione del pari avviene anche in mancanza di adesione dell’ente fiscale o previdenziale, ma il parametro è dato, non dalla convenienza[194], bensì dalla non deteriorità del trattamento rispetto al plesso liquidatorio. 
La mancata adesione è ora esplicitamente comprensiva, oltre che del “non voto”, del voto contrario. 
A prescindere dalla tipologia di concordato, se le condizioni delineate dalla norma di riferimento sono rispettate, il voto del creditore pubblico non condiziona, dunque, l’epilogo dell’iniziativa concordataria. 
La verifica del giudice abbraccia necessariamente anche l’attestazione del professionista indipendente. A tenore del comma 2 della norma, il tribunale, qualora il concordato sia liquidatorio deve certificare, la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale, qualora il concordato sia in continuità aziendale, deve asseverare il trattamento non peggiorativo rispetto alla medesima, ipotetica procedura[195]. 
Il secondo periodo del comma 4 dà un argine solido ai delicati rapporti fra cram down fiscale-contributivo e ristrutturazione trasversale[196]. Qualora l’adesione dell’Amministrazione sia determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza delle classi di cui al primo periodo dell’art. 112, comma 2, lettera d), una delle quali si rammenterà essere necessariamente composta da prelatizi, il tribunale omologa lo strumento, ovviando al dissenso o al mancato pronunciamento degli enti, mediante due meccanismi utili ad ottenere le maggioranze necessarie. Il primo è quello che si poggia sull’esclusione delle classi di creditori pubblici dal computo delle maggioranze; quindi, dal numero di classi a tal fine indispensabile; il secondo è quello che permette di non considerare tra le dissenzienti le classi dei creditori tributari e contributivi. 
Viene risolto un altro quesito interpretativo, prevedendosi che il “non voto” o il voto contrario delle Amministrazioni non possa essere superato dal giudice nell’ottica di considerare acquisita l’unanimità delle classi, né nella prospettiva di reputare integrato il requisito dell’unica classe di creditori disciplinata dalla lett. d), dell’art. 112; perché il fisco o la previdenza possano essere considerati isolatamente classe decisiva ai fini dell’omologa del concordato devono aver prestato un’adesione espressa. 
Il comma 6 si occupa dell’individuazione degli uffici legittimati a manifestare il voto, in tal senso il tribunale è gravato di una verifica di competenza[197]. 
Sul piano procedimentale, il giudice svolgerà, infine, un controllo di completezza dell’esecuzione degli adempimenti formali prescritti[198].
11 . Le verifiche nei concordati che prevedono operazioni societarie straordinarie
Il piano di concordato (art. 87 CCII) può fondarsi sul compimento di operazioni straordinarie di trasformazione, fusione o scissione che riguardano sì la società debitrice (trasformazione e scissione) ma che possono coinvolgere anche società terze come nel caso della fusione[199]. 
Queste operazioni possono essere previste dal piano come operazioni riorganizzative da realizzare durante la procedura di concordato, oppure in esecuzione del piano e della proposta; spesso queste operazioni sono determinanti per la riuscita del piano così assumendo un ruolo centrale nel concordato. A tal fine si è previsto che le contestazioni su queste operazioni, provenienti dai creditori – tanto della società debitrice quanto delle società terze coinvolte – siano assorbite, necessariamente, dal giudizio di omologazione[200]. Pertanto, tutti i creditori che ritengono di subire un pregiudizio non possono impugnarle con i rimedi del codice civile (artt. 2445, 2500 novies, 2503 e 2506 ter c.c.) ma devono opporsi all’omologazione del concordato (art. 116 CCII)[201]. 
In funzione di proteggere i diritti dei creditori, l’operazione non può essere attuata fino a quando il concordato non è omologato con sentenza anche non passata in giudicato. Tuttavia, vi possono essere ragioni di urgenza e in tal caso su richiesta del debitore, udito il commissario giudiziale, il tribunale può autorizzare l’attuazione anticipata, se ritiene che l’attuazione successiva all’omologazione pregiudicherebbe l’interesse dei creditori della società debitrice: per bilanciare questa anticipazione di effetti il debitore deve dimostrare che risulti il consenso di tutti i creditori delle altre società partecipanti o che le stesse provvedano al pagamento a favore di coloro che non hanno dato il consenso oppure depositino le somme corrispondenti presso una banca. 
Una volta ottenuta l’omologazione l’operazione straordinaria si consolida anche quando interviene già la sola sentenza di primo grado (o, comunque, non passata in giudicato): infatti, l’invalidità delle deliberazioni previste dal piano di concordato, aventi a oggetto dette operazioni non può essere pronunciata e gli effetti delle operazioni sono irreversibili. Sennonché, per non annichilire le pretese dei creditori, resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente cagionato dalla invalidità della deliberazione e il credito va soddisfatto come credito prededucibile. 
Ecco, allora, che ben si comprende quale sia la delicatezza delle valutazioni che spettano al tribunale. La soluzione di concentrazione delle opposizioni nell’unico contenitore del giudizio di omologazione è volta ad evitare che all’esterno del procedimento di concordato possano essere messi in discussione i pilastri portanti del piano; sennonché, il rischio non è del tutto disinnescato posto che i soci delle società terze e della società in concordato non sono vincolati dall’art. 116 CCII, e non si può impedire loro di opporsi all’operazione societaria con gli strumenti ordinari, sulla falsariga della regola che consente, sempre, ai soci di opporsi alla soluzione concordataria quando l’effetto è la privazione o alterazione (in senso peggiorativo) della loro posizione e dell’attesa sul patrimonio residuale[202]. 
12 . Le verifiche nei concordati che prevedono attribuzioni di valore ai soci
Poiché si prospetta come assai probabile che nel futuro i piani concordatari saranno redatti con la tecnica della continuità, diventerà fondamentale la comprensione da parte del tribunale del meccanismo, tutt’altro che agile, disegnato nell’art. 120-quater CCII per assicurare anche ai soci una partecipazione alla distribuzione del valore. 
Sino all’entrata in vigore del Codice della crisi si poteva (forse) postulare che nei concordati fondati su piani di continuità diretta vi fosse uno spazio per non destinare tutto il patrimonio del debitore ai creditori, ma sappiamo bene che il dogma espresso dall’art. 2740 c.c. in tema di responsabilità patrimoniale era assai arduo da scardinare[203]. Nella giurisprudenza di merito vi erano stati alcuni tentativi di riconoscere che il valore generato dalla prosecuzione dell’attività d’impresa potesse essere reputato un valore estraneo al perimetro del patrimonio del debitore e come tale distribuibile senza dover rispettare la cascata dei pagamenti quale prevista nell’art. 111 L. fall. e nelle disposizioni del Codice civile in materia di ordine delle cause di prelazione[204], ma è ben noto che la maggioranza della dottrina si era espressa in modo contrario e che, più in generale, il giudice di legittimità aveva abbracciato la tesi della vigenza nel nostro ordinamento della regola della c.d. priorità assoluta (più nota nella sua terminologia anglosassone “absolute priority rule” e nel suo corrispondente acronimo APR)[205]
Una volta che si fosse ritenuto che l’intero patrimonio dovesse essere assegnato ai creditori, per logica conseguenza il socio non poteva aspirare a ricevere alcunché dalla liquidazione se non, proprio, quando dal ricavato della liquidazione si fossero ricavate risorse adeguate per soddisfare completamente i creditori e sì, in tal caso, i soci avrebbero rivestito il ruolo di residual claimants, quali creditori di ultimo rango[206]
Non solo. Ai soci nulla poteva essere attribuito, ma parimenti marginale era il loro ruolo sull’assetto corporativo; difatti, se è ben vero che per oltre sessant’anni ci siamo, tutti, concentrati sul principio della neutralità organizzativa societaria in caso di apertura della procedura concorsuale[207], i poteri dei soci, formalmente non pregiudicati, erano drasticamente compressi dal fatto che tutte le deliberazioni societarie - ad eccezione di quella relativa alla formulazione della proposta di concordato fallimentare (quando ciò fosse stato stabilito in sede di statuto societario) - potevano assumere efficacia soltanto se non incidevano sugli sviluppi delle procedure e sulle determinazioni degli organi. In tal senso se è vero che nulla impediva, durante la procedura di fallimento, che i soci deliberassero una operazione straordinaria, tuttavia, nessun effetto di questa poteva sovrapporsi alla gestione della procedura e così l’esperienza pratica non ci ha consegnato vicende societarie di questo tenore[208]
La situazione è certamente mutata nel 2005 quando l’innovazione inserita nell’art. 160 L. fall., relativa alla possibilità di pianificare il concordato preventivo (ed in verità, anche quello fallimentare) mediante qualunque forma, anche comprensiva di operazioni societarie straordinarie[209], ha avvicinato il diritto societario al diritto della crisi. Ciò nondimeno, se è vero che a poco a poco i soci hanno iniziato ad assumere un ruolo maggiormente partecipativo nelle operazioni di ristrutturazione, i rigori della legge non consentivano eccessivi passi avanti nell’affermazione dei loro diritti e poteri. Che fosse giunto il momento di superare il paradigma della neutralità organizzativa rispetto agli scenari di crisi era una ipotesi auspicabile[210] ed il legislatore l’ha percorsa persino nella liquidazione giudiziale (basti leggere l’art. 264 CCII)[211]
Il salto di qualità sul ruolo dei soci deriva dalla scelta del legislatore domestico di sposare una regola distributiva (all’italiana, o ibrida)[212] che premia più categorie di creditori e, infine, i soci: le regole di distribuzione “obliqua” del valore, ossia una distribuzione verticale solo sul valore di liquidazione e poi una distribuzione degradante ma in misura non rigidamente verticale sul valore eccedente[213]
Quando si pensa al tema della distribuzione del valore viene a galla la novità costituita dalla previsione della proposta concorrente dei soci che, al fondo, non sono quindi espropriati totalmente (del potere di governare la crisi) potendo, in caso di disaccordo con l’organo amministrativo, deliberare la presentazione di una proposta diversa che li possa meglio tutelare[214]. È chiaro che una proposta che provenga dai soci sarà ragionevolmente fondata proprio sulla previsione nel piano di concordato di attribuzioni di valore ai soci maggiori di quanto previste nella proposta della società[215]
Proprio la previsione delle classi dei soci e in un qualche modo la riconduzione del loro ruolo su un piano parallelo a quello dei creditori[216] induce a ritenere che vi sia un sostanziale assorbimento della società nell’impresa; è, come dire, che la società (con tutti i diritti corporativi) diviene un valore dell’impresa[217], e così i soci sono visti più come investitori/finanziatori che come proprietari[218]
La contesa sul valore dell’impresa generato dalla ristrutturazione concordataria si rivela essere la luce che illumina l’idea sul ruolo dei soci, in quanto proprio l’art. 120 quater mostra emblematicamente che i soci possono beneficiare del (o meglio, possono partecipare al) risultato della ristrutturazione[219]
Abbiamo, così, posto sommariamente le basi sulle quali innestare la discussione sul valore della ristrutturazione cui i soci possono ambire e ciò senza mettere in campo il tema del valore da intendersi come qualcosa di diverso dallo shareholders value e cioè il valore dettato dalla collocazione dell’impresa nella società[220]
Il tribunale è chiamato a porsi il problema della distribuzione del valore ai soci non per tutti i tipi di concordato preventivo[221] [222]; infatti, il principio espresso nell’art. 120 quater presuppone che vi sia una cascata dei pagamenti secondo il criterio della relative priority rule[223] il che comporta che non possa trovare applicazione la norma in questione né al concordato preventivo con piano di liquidazione[224] (né al concordato preventivo transtipico, né al concordato semplificato perché in ognuno di questi casi vale, solo, la regola dell’ordine di distribuzione verticale delle risorse, posto che non si può attribuire alcunché ad un creditore sino a che non è stato interamente soddisfatto il creditore di rango o di livello più elevato). Ne consegue che l’art. 120 quater ha uno spazio di applicazione limitato al concordato preventivo che si fondi su un piano di continuità dell’attività aziendale[225]
A questo punto si tratta di verificare se non ricorra una ulteriore frammentazione e cioè se la disposizione resti utilizzabile solo quando la continuità prescinda da una diversa allocazione dei complessi aziendali. Più precisamente, dobbiamo verificare se sia possibile ipotizzare che un valore venga attribuito ai soci nel caso della c.d. continuità indiretta. 
L’art. 84 CCII fornisce una descrizione dei possibili piani concordatari e specifica che la continuità può essere tanto diretta quanto indiretta (cfr., comma 2). Questa distinzione, tanto concettuale che pragmatica e operativa tende a dissolversi perché in linea di massima il regime disciplinare è omogeneo e, in particolare, le norme di favore sembrano potersi invocare anche per la continuità indiretta[226]. Pertanto, da un punto di vista formale l’art. 120-quater potrebbe riferirsi anche alla continuità indiretta, ma questa potenziale conclusione va subito revocata in dubbio[227] posto che è necessario valutare in concreto se sia realizzabile una continuità indiretta a supporto di una proposta che conservi una quota di valore in capo ai soci e la risposta sarà tendenzialmente negativa[228], salvo qualche sporadico caso pratico. 
Dalla Direttiva 2019/1023 ricaviamo gli spunti per sostenere che può esistere un interesse sostanziale dei soci alla riorganizzazione-ristrutturativa e tale valutazione astratta può trovare una giustificazione concreta le quante volte ci si avveda che una partecipazione pro-attiva dei soci sia l’occasione per riuscire a confezionare una proposta diretta ai creditori migliore di quella prospettabile senza un loro coinvolgimento. Infatti, se anche si può ritenere parzialmente superato il vessillo del miglior soddisfacimento dei creditori[229], sostituito dal paradigma nuovo della “assenza di pregiudizio”, resta fermo il fatto che l’operazione concordataria ha come destinatari immediati i creditori visto il chiaro enunciato contenuto nell’art. 84 CCII. 
Ed allora, proprio per assecondare l’obiettivo di una (non massima ma) adeguata tutela dei creditori può accadere che siano i soci ad offrire un valore aggiunto all’operazione di ristrutturazione: quando vi è un apporto dei soci diviene giustificato il fatto che una porzione del valore additivo della ristrutturazione possa essere anche a loro riconosciuto e proprio l’ipotesi della attribuzione di valore concorre a giustificare l’assenza di una lesione effettiva del diritto primordiale di proprietà[230]. Abbiamo detto una porzione, però, perché il risultato dell’operazione concordataria non può risolversi in un risanamento patrimoniale e finanziario dell’impresa debitrice accollato interamente sui creditori[231]
Va, a questo proposito, evidenziata la differente terminologia che il legislatore e la dottrina utilizzano, di volta in volta, per indicare diverse configurazioni di “valore” nel concordato preventivo tra loro concettualmente differenti. 
Il valore risultante dalla ristrutturazione cui si riferisce l’art. 120-quater è una grandezza assoluta che corrisponde al valore effettivo dell’azienda al momento dell’omologazione del concordato, al netto dell’indebitamento concorsuale e operativo. Questo valore non coincide affatto con quello di “valore eccedente il valore di liquidazione”, o “plusvalore da continuità”[232], assoggettabile alla relative priority rule, che è invece calcolato come differenza tra i flussi finanziarti netti prodotti dalla gestione nell’arco di piano, a servizio dell’indebitamento concorsuale, e il valore di liquidazione. Quest’ultimo, com’è noto, è rappresentato dal valore astrattamente disponibile per i creditori concorsuali in caso di liquidazione giudiziale e costituisce il punto di riferimento per la soddisfazione dei creditori in base all’APR[233]
“Valore risultante dalla ristrutturazione” e “valore eccedente il valore di liquidazione” sono pertanto due grandezze concettualmente diverse, e ben potrà applicarsi la disciplina dell’art. 120-quater anche in presenza di un ingente plusvalore da continuità che renda la proposta di concordato molto più conveniente per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria: di queste due grandezze dovrà, dunque, fare “tesoro” il giudice nel verificare il rispetto delle attribuzioni. 
Il valore che viene attribuito ai soci deve essere, prima di tutto, proporzionato e cioè da un lato commisurato all’effettivo incremento di valore che deriva dal loro pro-attivismo e dall’altro lato commisurato al fatto che non può essere superiore a quanto viene assegnato ai creditori. 
È in questo pertugio, più o meno stretto, che deve innestarsi il tema della individuazione del valore[234]
Va, ancora, segnalato come la norma contenuta nell’art. 120 quater riguardi esclusivamente i soci originari, possessori di una quota di capitale al momento della presentazione della domanda di concordato, mentre la regola non si applica a coloro che divengano soci in esecuzione del concordato, in occasione della sua omologazione o successivamente ad essa. 
Mentre non pare sussistano dubbi sull’ingresso di nuovi soci attraverso aumenti di capitale in denaro o in natura, più incerta è l’ipotesi che i nuovi soci subentrino ai soci originari attraverso l’acquisto delle loro partecipazioni. A quest’ultima fattispecie, sebbene la partecipazione originaria sia trasferita in conformità al piano e in esecuzione del concordato, la disciplina dell’art. 120 quater dovrebbe comunque applicarsi. 
È, poi, necessario rispondere all’interrogativo se in un piano di continuità diretta, ipotizzandone un esito virtuoso con soddisfazione dei creditori nella misura promessa, si possa ammettere che un valore sia assente. Questo interrogativo si allaccia con una sorta di postulato-conseguenza: se valore finale non c’è, non v’è ragione per cui i soci non debbano rimanere i titolari del capitale perché non si approprierebbero di nulla. 
Per meglio comprendere il senso di questo discorso è utile far capo al principio espresso nell’art. 117 CCII in base al quale il concordato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori. Con l’omologazione il credito concorsuale viene conformato in base alla proposta concordataria e i creditori possono pretendere solo quanto è stato a loro promesso, con la conseguenza che l’impresa - e per quelle che qui interessa, la società - è esdebitata rispetto ai precedenti debiti per la quota non oggetto della conformazione. 
In termini strettamente giuridici, con l’omologazione avremo una società libera dal debito in eccesso, ritornata in bonis, che starà sul mercato con patrimonio netto positivo[235] e che tuttavia potrebbe - a fine piano - non trovarsi in equilibrio per effetto delle nuove obbligazioni contratte post omologazione in quanto rispetto a queste l’equilibrio potrebbe essere conseguito successivamente. In ogni caso, fermo che stiamo dissertando di un esercizio virtuoso del concordato con risanamento dell’impresa, ad un certo punto ci troveremo di fronte ad una società risanata e questa società risanata avrà un patrimonio netto positivo (e, nel caso di società di capitali, superiore al minimo di legge) ed esprimerà un valore economico perché le azioni o le quote di questa società potranno essere oggetto di trasferimento. In termini, ancora una volta giuridici, non riusciamo a comprendere in base a quale ragionamento si possa sostenere che all’esito della ristrutturazione la società risanata possa non avere un valore anche perché, se non vi fosse valore, al rovescio, dovremmo concludere che la società non è stata risanata[236]
Anche se il capitale economico della società risanata dovrà avere, già al momento dell’omologazione del concordato, un valore positivo[237] ciò non implica che tale valore debba essere necessariamente riservato ai soci. 
Ci si riferisce, in particolare, non tanto al calcolo algebrico previsto dal comma 2 dell’art. 120-quater in ragione della deduzione degli apporti dei soci, di cui si dirà tra poco, quanto alla possibilità che il piano e la proposta prevedano congiuntamente che, attraverso opportune modifiche statutarie, il valore risultante dalla ristrutturazione sia interamente devoluto ai creditori, o a singole classi di essi, attraverso l’azzeramento del capitale e la sua ricostituzione attraverso la conversione in capitale dei loro crediti, o attraverso l’assegnazione ai creditori stessi di azioni o di warrant che ne consentano l’integrale trasferimento, anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione dei soci esistenti e con la loro sostanziale esclusione. 
Questa soluzione è oggi molto rara nella prassi ma potrebbe trovare più ampia applicazione in futuro, proprio in forza del combinato disposto degli artt. 120 bis e 120 quater CCII. Appare evidente, peraltro, che la modificazione dei diritti di partecipazione dei soci comporterebbe il necessario classamento dei soci stessi ai sensi dell’art. 120 ter, con le conseguenze e le criticità che ne deriverebbero in termini di articolazione della proposta e di soddisfacimento previsto per ciascuna classe[238]
L’art. 120 quater CCII al comma 2 prevede che dal valore di quanto viene attribuito ai soci si debba detrarre quale è stato il loro apporto nelle forme più varie. Il significato della disposizione ci appare chiaro: l’uso del termine “eventualmente” deve intendersi nel senso che i soci non sono tenuti a fornire apporti per agevolare la ristrutturazione dei debiti ma, se li forniscono, il valore aziendale a loro riservato dovrà essere valutato al netto degli apporti stessi[239]
Il valore rilevante ai fini della disciplina ex art. 120 quater potrà quindi ricavarsi come il risultato della somma algebrica del valore del capitale economico dell’azienda a cui andrà sottratto il valore eventualmente apportato dai soci in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto. 
L’esplicita necessità di un nesso causale tra gli apporti dei soci e la ristrutturazione del debito implica che possano essere certamente computati sia i conferimenti di capitale previsti dal piano ed effettuati in esecuzione del concordato, sia quelli eseguiti in corso di concordato, successivamente alla presentazione del ricorso ex art. 40 CCII. 
Più incerta è, invece, la possibilità di dedurre i conferimenti e i versamenti a fondo perduto effettuati anteriormente alla domanda di concordato. Sebbene la norma non preveda un criterio temporale per gli apporti dei soci, appare evidente come conferimenti e finanziamenti a fondo perduto effettuati molto tempo prima della presentazione del ricorso ex art. 40 potrebbero avere un debole legame funzionale, o non averlo affatto, con la ristrutturazione in corso. 
Di notevolissima difficoltà appare, peraltro, la valutazione dei conferimenti di prestazioni d’opera e di servizi da parte del socio, in ragione della loro instabilità futura e dell’incertezza sulla loro quantificazione: tali conferimenti sono ipotizzabili solo per società di dimensioni limitate (quelle che presentano un attivo fino a euro cinque milioni, che producono ricavi netti delle vendite e delle prestazioni fino a euro dieci milioni e assorbono un numero medio di dipendenti nell’ultimo esercizio non superiore a cinquanta). 
Fatte queste precisazioni di cornice, ci accostiamo al vero tasto bollente, quello della determinazione del valore, perché è su questo che si deve concentrare l’esame del tribunale. 
L’art. 120 quater CCII dice con chiarezza che la questione del valore riservato/attribuito ai soci può sorgere in sede di giudizio di omologazione allorquando la proposta del debitore non abbia raccolto il voto unanime delle classi[240]. In assenza del consenso unanime (per classi) se ricorrono le condizioni per la c.d. ristrutturazione trasversale (art. 112 CCII) il debitore può chiedere l’omologazione quando ricorrono determinate circostanze (comma 2); ma se una parte del valore è attribuito anche ai soci, al tribunale è rimesso il compito di operare quel confronto comparativo che è indicato nell’art. 120 quater e che va ad aggiungersi alle valutazioni di cui all’art. 112[241]
Benché sia tema da indagare in occasione della omologazione, riteniamo che la questione del valore attribuito ai soci debba essere rappresentato ai creditori sin dalla presentazione della proposta e comunque prima del voto ex art. 107 CCII: ciò, al fine di consentire ai creditori di esprimere un consenso informato. I creditori debbono sapere che il sacrificio che è loro imposto è, anche, accompagnato da una riserva di valore attribuito ai soci e non ai creditori. Costoro ben possono avere interesse a che ciò accada perché la proposta concordataria potrebbe essere notevolmente migliore dell’alternativa liquidatoria; tuttavia, è necessario che i creditori siano in grado di conoscere l’ulteriore sacrificio che è loro imposto nel momento in cui una parte di ciò che potrebbe essere a loro destinato venga, viceversa, dirottato verso i soci. Pertanto, è necessario che la proposta finale ai creditori specifichi quale sia il valore attribuito ai soci. Resta da stabilire, peraltro, a chi spetti la sua valutazione. 
Sul punto, pare evidente che sia compito del debitore fornire adeguata evidenza del valore che resterà riservato ai soci. Considerata la complessità della valutazione e gli elementi di inevitabile soggettività che lo caratterizzano[242], è senz’altro opportuno che tale stima di valore sia affidata a un professionista terzo, dotato di adeguata competenza e indipendenza. Posto che la determinazione del valore riservato ai soci rileverà solo in caso di dissenso di almeno una classe di creditori, non si ritiene invece che sia richiesto alcuno specifico giudizio al professionista indipendente chiamato ad attestare la veridicità dei dati di partenza e la fattibilità del piano concordatario e a formulare un giudizio sulla sua adeguatezza a consentire l’adempimento della proposta concordataria[243]
Il calcolo del valore è esercizio estremamente complesso[244] in quanto la norma utilizza la locuzione “valore effettivo”[245], ma questa è del tutto anodina e costringe l’interprete a prendere in esame in modo approfondito i principi delle scienze aziendalistiche. 
Il valore effettivo risultante dalla ristrutturazione potrà così essere determinato in base alle metodologie di valutazione più adeguate alla struttura aziendale e al business di riferimento, che tengano conto delle passività aziendali, ristrutturate anche grazie all’effetto esdebitatorio del concordato, e dei flussi finanziari destinati al loro servizio[246]. Sebbene non sia possibile individuare a priori un metodo valutativo universalmente adeguato, è comunque necessario che esso consideri quali criteri-base di valutazione, perlomeno: (a) quale termine di riferimento della valutazione, la (presumibile) data di omologazione del concordato; (b) quali flussi economici e finanziari di riferimento, quelli previsti dal piano di concordato; (c) un adeguato terminal value, definito come il valore finale che, sinteticamente, rappresenti la capacità dell’azienda di generare flussi di cassa oltre il termine finale del piano[247]. La tessitura normativa di recente conio ci viene in aiuto perché il valore effettivo è determinato in conformità ai principi contabili applicabili per la determinazione del valore d’uso, sulla base del valore attuale dei flussi finanziari futuri utilizzando i dati risultanti dal piano di cui all’articolo 87 CCII ed estrapolando le proiezioni per gli anni successivi. 
V’è da chiedersi, infine, come questo valore effettivo sia contendibile; nell’esperienza nordamericana la contesa sul valore è gestita in modo diverso - ma comunque tale da offrire ai soci le opportunità per “godere” entro certi limiti del nuovo valore generato dalla ristrutturazione[248] - perché ai soci si attribuisce una call option sulle azioni della stessa società, opzione da esercitarsi ad un prezzo fisso (strike price) a partire da un certo momento. L’esercizio dell’opzione si risolve in una sorta di riacquisto da parte del socio della società, ma ad un prezzo calmierato[249]. Nel sistema che risulta dall’art. 120 quater non vi è questa soluzione in termini formali, ma siamo convinti che ricorra in termini sostanziali, quanto meno ogni volta che almeno una classe risulti dissenziente[250]
La questione del valore attribuito ai soci può venire in rilievo in diversi momenti della procedura di concordato. 
Il primo momento è costituito dalla valutazione affidata al tribunale in occasione della apertura della procedura ai sensi dell’art. 47 CCII. 
Il tribunale è chiamato ad esaminare la ritualità della proposta e qualunque latitudine di approfondimento si voglia assegnare alla nozione di ritualità, riteniamo che non vi sia alcuno spazio per predicare che il tribunale possa dichiarare inammissibile la proposta perché non è indicato il valore attribuito ai soci[251] posto che questo vizio non pertiene né al profilo del soddisfacimento dei creditori né al profilo della conservazione dei valori aziendali[252]. Parimenti, si può postulare che neppure se ne debba occupare l’attestatore[253]
Sennonché, il tribunale può far “marciare” il concordato se l’approvazione che viene richiesta ai creditori si possa esprimere su informazioni ampie, dettagliate e trasparenti. In questa prospettiva siamo convinti che, invece, nella nozione di ritualità vada ricompresa la verifica del set informativo offerto alla valutazione dei creditori perché il debitore deve, sempre, osservare e rispettare i principi fondamentali espressi nell’art. 4, comma 2, lett. a), CCII che evocano, proprio, una condotta trasparente. Sebbene la questione del valore divenga rilevante solo in presenza del dissenso di una o più classi, riteniamo che il commissario giudiziale nella relazione debba esporre quanto sarebbe il valore per i soci[254] e ciò perché l’ostensione del valore deve precedere la votazione[255]
Di certo, il tribunale è chiamato ad esprimersi sulla questione al momento della omologazione ma in questa fase occorre suggerire alcune distinzioni. Se tutte le classi hanno espresso il consenso a favore della proposta il tribunale non può sindacare quanto pesano le attribuzioni riservate ai soci rispetto alla misura del soddisfacimento dei creditori e tuttavia, poiché è opinione del tutto condivisa che in sede di omologazione possano essere replicati tutti i controlli che il tribunale effettua in occasione della apertura (v., supra), nulla impedirebbe al giudice di sindacare i difetti di informazione e di trasparenza che vengono prima della approvazione unanime perché, appunto, inquinano la valenza del voto espresso. 
Quando, invece, vi sia anche una sola classe dissenziente, si introduce un meccanismo di sindacato sulla dimensione della proposta e sulla distribuzione del valore tra creditori e soci. 
La regola fissata nell’art. 120 quater CCII non è, proprio, adamantina[256] ed è necessario distinguere a seconda che il dissenso si sviluppi tra le classi intermedie oppure rispetto all’ultima classe prima di quella dei soci. 
Nella prima ipotesi, e cioè nel dissenso di una (o più) classe intermedia(e), per verificare che non vi sia un ingiusto pregiudizio il tribunale deve attribuire virtualmente alle classi di rango subordinato rispetto a quella dissenziente l’intero valore attribuito ai soci; se pur attribuendo tale valore il trattamento della classe dissenziente resta più soddisfacente non si crea il pregiudizio rilevante. Questo vuol dire che il valore attribuito ai soci viene “ceduto”[257] virtualmente dalla classe di livello inferiore a quella che ha espresso il dissenso. 
Ci si consenta un esempio numerico, per meglio comprendere il complesso meccanismo di calcolo previsto dalla norma. 
Si ipotizzi che il valore riservato ai soci ammonti a 50 mila euro. 
Si ipotizzi altresì che la classe dissenziente A1 comprenda creditori per un ammontare complessivo di 100 mila euro, che la proposta concordataria ipotizza di soddisfare nella misura del 12%. 
Si ipotizzi infine che la classe consenziente B1, di rango immediatamente inferiore alla classe A1, comprenda creditori per un ammontare complessivo di 2 milioni di euro, che la proposta concordataria ipotizza di soddisfare nella misura dell’8%. I flussi destinati alla classe B1, secondo la proposta, ammontano quindi ad euro 160 mila, pari all’8% di 2 milioni di euro. 
In base al meccanismo di calcolo proposto dal comma 2 dell’art. 120 quater, il valore riservato ai soci (50 mila euro) andrebbe computato alla classe B1 alla quale andrebbe quindi virtualmente destinato un pagamento complessivo di euro (50.000+160.000) = 210.000 che corrisponderebbe a un grado di soddisfazione, per la medesima classe B1, del 10,50% (210.000/2.000.000). La percentuale di soddisfacimento della classe B1, così ricalcolata, sarebbe comunque inferiore al grado di soddisfazione della classe dissenziente A1 (12%). A un risultato completamente diverso porterebbe invece il medesimo calcolo qualora l’ammontare dei crediti inclusi nella classe B1, a parità di trattamento percentuale, fosse minore: ad esempio, pari a un milione di euro. In questo caso, risparmiandoci lo sviluppo del calcolo, il grado di soddisfacimento della classe B1 sarebbe del 13% risultando così superiore a quello della classe dissenziente A1 e impedendo così l’omologazione del concordato. 
Analoghe modalità di calcolo andrebbero adottate qualora, nell’esempio che precede, le classi A1 e B1 fossero di pari rango con l’ovvia constatazione che, in presenza di un valore riservato ai soci, in nessun caso sarà possibile l’omologazione del concordato quando la classe dissenziente riceva ab origine un trattamento pari o inferiore a quello delle classi di pari rango. 
La situazione si complica se il dissenso è stato espresso da più classi con intermedie classi consenzienti, posto che in questo caso la comparazione si effettua sul quoziente proporzionale di ripartizione[258]
Nell’ipotesi in cui non vi siano classi di creditori pari o inferiori alla classe dissenziente il confronto va operato tra quanto riceve l’ultima classe e quanto ricevono i soci, e l’omologazione può intervenire soltanto se il valore complessivo assegnato ai soci è inferiore al valore complessivo assegnato alla classe contraria. Questo significa che il valore rilevante è un valore assoluto[259] e non percentuale. 
Richiamando l’esempio precedente, qualora non vi siano classi di creditori di rango pari o inferiore alla classe dissenziente A1, il valore destinato al soddisfacimento dei creditori di questa classe, pari ad euro (100.000*12%) = 12.000 sarà inferiore al valore di euro 50.000 complessivamente destinato ai soci impedendo così l’omologazione del concordato. 
Il problema che ci pare emergere è dato, proprio, dal valore assoluto; infatti, se è ragionevole presumere che l’ultima classe riceva poco in termini percentuali, ciò non significa affatto che in termini assoluti essa riceva una distribuzione marginale. Pensiamo all’ipotesi, non scolastica, in cui il debitore abbia confezionato un’unica classe di creditori chirografari destinatari di un quoziente distributivo assai ridotto (immaginiamo il 3%) ma estremamente elevato in termini assoluti perché il “monte-crediti” chirografario vale, ad esempio, un miliardo di euro. Il 3% di un miliardo di euro vale pur sempre trenta milioni di euro il che vorrebbe dire che - se dissente l’ultima classe - ai soci può essere attribuito un valore di 29,99 milioni di euro[260], con l’unica accortezza che la distribuzione potrà riguardare solo il valore differenziale rispetto a quello di liquidazione[261]
Una proposta di questo tenore appare, dunque, perfettamente omologabile ai sensi dell’art. 120 quater sebbene ciascuno dei creditori possa proporre reclamo lamentando il difetto di convenienza, ma se davvero il valore fosse frutto della continuità e dunque non fosse recuperabile in uno scenario liquidatorio, il test di convenienza sarebbe sfavorevole al creditore reclamante. 
Le criticità sopra evidenziate ci spingono a trovare possibili vie di uscita da soluzioni che appaiono sproporzionate. Da una parte è comprensibile che in una operazione ristrutturativa che consente all’impresa di rimanere nel mercato, là dove vi sia una concreta partecipazione dei soci questi possano risultare destinatari di una parte del valore finale. Ma per converso, dobbiamo ricordare che discutiamo di uno scenario di crisi nella quale si concretizzano perdite per i creditori e, anche in una logica di analisi economica del diritto, dobbiamo ricercare soluzioni equilibrate che spingano i soci a favorire la ristrutturazione e non solo ad avvantaggiarsi dell’esdebitazione concordataria. 
La soluzione che possiamo prospettare è quella di ragionare proattivamente sul valore della società risanata per individuare quale potrebbe essere il valore differenziale costituito dall’arricchimento patrimoniale generato dalla continuità e non solo dall’effetto esdebitatorio. In tal caso, infatti, i creditori non avrebbero ragione di dolersi perché quel valore differenziale non sarebbe stato altrimenti conseguibile. 
Va tuttavia considerato che l’attuale impianto normativo, stanti i differenti presupposti, non consente di disapplicare l’art. 120 quater neppure in presenza di proposte concordatarie manifestamente più convenienti rispetto all’alternativa liquidatoria, essendo ben possibile e legittimo che una classe di creditori risulti dissenziente anche in questa circostanza. 
Ciò comporta che la gestione del valore attribuito ai soci rappresenterà in ogni caso una sorta di “Spada di Damocle” sul capo degli amministratori che intendano confezionare un piano e una proposta di concordato in continuità aziendale che riservi una quota del valore finale ai soci, senza avere la certezza a priori che tale proposta possa riscuotere l’unanimità dei consensi. 
A bene vedere, allora, le difficoltà di giudizio del tribunale potranno risultare, in parte, assorbite da un utilizzo virtuoso e cioè di bilanciamento di interessi tra creditori e soci ad opera dell’organo amministrativo.
13 . La fase decisoria e la sentenza
Una volta che il tribunale abbia svolto tutte le indagini oggetto dei §§ precedenti si passa alla fase della decisione, fase che nella legge non è disciplinata perché l’art. 48 CCII descrive quali attività debbono essere compiute dalle parti e quali dal giudice ma sino all’udienza; infatti, lo sviluppo del processo non è disegnato ed allora, secondo lo stilema dell’art. 738 c.p.c., ci si deve riferire al compito del tribunale di valutare discrezionalmente, a seconda delle questioni che sono state dibattute, con quali modalità far transitare in decisione il procedimento. 
In tale contesto, il tribunale può assumere in decisione la causa sin dalla prima udienza se non v’è bisogno di assicurare alle parti il diritto al contraddittorio, ma può anche stabilire di invitare le parti a depositare note difensive[262] che avranno il contenuto delle comparse conclusionali, oppure può differire l’udienza per una discussione orale tra le parti. 
La scelta, come detto, dipenderà da quanto è stato rappresentato dalle parti. 
Assunta la causa in decisione, si suole riconoscere che la decisione è vincolata: il tribunale può soltanto omologare il concordato o rigettare la domanda; non può omologare il concordato modificando le condizioni della proposta sulla quale vi è stato il consenso dei creditori[263]. Non la può modificare sia perché esiste una base negoziale che esprime una sfera di autonomia privata che non può essere intaccata (ragione sostanziale), sia perché la proposta di concordato è contenuta in un ricorso che ha anche il valore di domanda giudiziale, sì che nel rispetto del principio dispositivo (art. 112 c.p.c.) il giudice non può accogliere una domanda che non è stata formulata. 
Sennonché, quando il tribunale ritiene che la richiesta di omologazione non sia accoglibile, con sentenza respinge il concordato (art. 48 CCII), ma se sono state presentate istanze da parte dei soggetti legittimati ai sensi dell’art. 37 CCII, dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale, dopo avere accertato la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 2 e 121 CCII, 
Il diniego di omologa, non seguito dalla liquidazione giudiziale, travolge tutti gli effetti che erano conseguiti dal decreto di apertura della procedura – anche con riguardo alle misure protettive e cautelari concesse (art. 55, comma 7, CCII) – fermi restando i principi sulla salvezza degli atti legalmente compiuti (v. artt. 53 CCII) e sull’esenzione dalla revocatoria (art. 166, comma 3, lett. e) CCII). 
Quando sussistono i presupposti per accogliere la domanda il tribunale omologa il concordato con sentenza. La decisione è immediatamente efficace[264] e quindi produce effetto anche in pendenza delle eventuali impugnazioni di cui all’art. 51 CCII. Il provvedimento di omologa è notificato alle parti del processo ed è iscritto nel registro delle imprese, iscrizione che produce effetti verso i terzi. 
L’effetto precipuo dell’omologa alligna nell’obbligatorietà dello strumento per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso (art. 117 CCII). Per effetto del concordato le obbligazioni vengono novate e le pretese creditorie riconfigurate secondo i termini e le condizioni previste nella proposta, estinguendosi per il residuo, con conseguente liberazione del debitore. 
L’effetto esdebitatorio si determina anche nei riguardi dei creditori che abbiano votato in senso contrario alla proposta di concordato o che non siano stati neppure ricompresi nell'elenco verificato dal commissario giudiziale[265]. 
Il secondo effetto dell'omologazione risiede nella separazione patrimoniale, con la coerente limitazione del principio di universalità della responsabilità patrimoniale. L'omologazione del concordato preventivo comporta la formazione di due distinti patrimoni: l’uno vincolato al soddisfacimento dei soli creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso, ma insensibile alle pretese di creditori posteriori; l’altro destinato esclusivamente ai creditori posteriori. Sono le previsioni della proposta che ha guadagnato la promozione a stabilire quale complesso di beni sia destinato ai creditori anteriori e quale ai creditori posteriori. 
Questo distacco patrimoniale non va apprezzato in termini assoluti. Esso non sembra operare nei concordati in continuità aziendale diretta rispetto ai flussi finanziari derivanti dalla prosecuzione dell'attività di impresa, i quali pur destinati ai creditori anteriori nella misura prevista dalla proposta, non sono nel contempo impermeabili alle pretese dei creditori posteriori, né refrattari alla facoltà di costoro di agire esecutivamente su di essi. 
Il terzo effetto dell’omologa è nel venir meno dello spossessamento attenuato. Il debitore riacquista il pieno potere di amministrazione e disposizione con riferimento ai beni che vi ricadono e che non siano stati oggetto di cessione ai creditori né di attribuzione al liquidatore giudiziale. 
Quando il debitore è una società con soci illimitatamente responsabili, il concordato della società, salvo patto contrario efficace nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, ex art. 117, comma 2, produce effetti esdebitatori in favore di questi ultimi. I creditori sociali non potranno agire nei confronti del socio per la parte di credito sociale oggetto della falcidia concordataria. 
Il quarto effetto dell’omologa riguarda atti, pagamenti e garanzie sui beni del debitore. Se posti in essere in esecuzione del concordato preventivo ed indicati nel piano, essi sono esenti da revocatoria ex art. 166, comma 3. Vale in tal senso un regime di salvaguardia delle azioni esecutive del piano concordatario. 
Quando viene omologato il concordato con assunzione, la sentenza costituisce, di per sé, titolo per il trasferimento dell’attivo se questo è un effetto previsto nella proposta.[266] 
La sentenza di omologa, emessa in ordine ad un procedimento di matrice camerale, non produce l’effetto classico della cosa giudicata materiale ma l’effetto del divieto di ne bis in idem. Se oggetto del processo è l'accertamento del diritto alla negoziazione finalizzata alla regolazione convenzionale del dissesto, nulla esclude che il medesimo proponente possa riaffacciarsi davanti al giudice del concorso con una proposta diversamente modulata. In un processo nel quale il presupposto è un dissesto, cui sono connaturati i contraccolpi sulle relazioni economiche, ben s’intende che non possa esservi spazio per ripensamenti, ossia per la revoca del provvedimento[267].
14 . Conclusioni
La disamina dei profili che attengono alle regole del procedere e alle regole del valutare ci portano a concludere che non possiamo celare di trovarci in una sorta di eterogenesi dei fini: pensavamo che il recepimento della Direttiva Insolvency ci avrebbe condotto sul binario della esaltazione della negozialità e ci ritroviamo nel binario dell’eterotutela. 
Tuttavia, se gli interessi tutelati non sono egoistici dei singoli creditori ma sono interessi collettivi (che i creditori condividono) è razionale che il bilanciamento dei valori sia affidato al giudice[268] come già accade con riguardo al trattamento dei crediti erariali e previdenziali, là dove il voto viene piegato ad un interesse generale[269]. 
La fase dell’omologa restituisce centralità al ruolo del giudice; infatti, il consenso si forma in costanza di una procedura perché la regolazione della crisi è fatto che interessa una comunità di soggetti economici, il che reclama uno spazio in cui convogliare le questioni che possono profilarsi in ordine alla legittimità del procedimento e alla vantaggiosità della proposta negoziale. L'attribuzione al giudice della responsabilità di varare o respingere il concordato è il mezzo per garantire una supervisione sul processo di creazione di un vincolo contrattuale[270] e ciò perché l'autonomia delle parti non è in grado di generarli ex se, postulando come imprescindibile l'introduzione di un controllo esterno su un regolamento dei rapporti fra imprenditore e creditori commerciali destinato a soppiantare quello civilistico di diritto comune[271]. 
A questo punto si impongono delle precisazioni correttive: (i) l’intervento del giudice deve essere calibrato rispetto agli interessi coinvolti nel concordato senza che venga brandita l’arma comparativa della liquidazione giudiziale; il pregiudizio del creditore, infatti, costituisce (solo) il limite[272] al risultato di mercato; (ii) devono essere valutate con estrema cautela le scelte sulla formazione delle classi non più e solo sul versante della omogeneità della partecipazione[273], quanto invece su quello della strumentalità del trattamento e della composizione; (iii) va disarmata la centralità della figura dell’abuso del concordato perché oggi l’ordinamento eleva e positivizza i valori espressi nell’art. 4 CCII in tema di correttezza, buona fede, informazione, trasparenza; di conseguenza le condotte “abusive” già trovano sanzione nella reazione alla violazione dei principi di cui all’art. 4[274]; (iv) a parità di risultato di mercato meritano di essere premiate le iniziative concordatarie che, pur potendolo fare, non cavalcano le diseguaglianze.

Note:

[1] 
G.B. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, in Fallimento, 2022, 1242. 
[2] 
In luogo di molti sia consentito rinviare a M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, Piacenza-Roma, 2023, 11 ss.; G. D’Attorre, La concorsualità liquida nella composizione negoziata, in Fallimento, 2022, 301; M. Spiotta, É necessaria o inutile una definizione di procedura concorsuale (o di procedura di regolazione della crisi o di quadro di ristrutturazione)? Quando le categorie generali possono conservare funzionalità, in Dirittodellacrisi.it, 2 ss.; A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2023, 43.
[3] 
Sappiamo che non vi è piena armonia fra gli interpreti; taluni ritengono che di vera unitarietà non si possa discutere (F. De Santis, Il processo c.d. unitario per la regolazione della crisi o dell’insolvenza: effetti virtuosi ed aporie sistematiche, in Fallimento, 2020, 157; F. Tommaseo, Alcuni profili processuali della gestione dell’impresa in crisi, in Riv.dir.proc., 2020, 670;M. Montanari, Profili processuali del nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Nuove leggi civ.comm., 2019, 263; A. Tedoldi, Procedimento unitario, in Crisi e insolvenza dopo il Correttivo-ter, Commentario diretto da M. Irrera-S. Cerrato, Bologna, 2024, 786), mentre altri reputano che il disegno sia stato compiutamente svolto per effetto delle stratificazioni normative successive alla versione originaria del codice L. Galanti, L’unitarietà del procedimento e la flessibilità degli strumenti nel nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, in Dir.fall., 2023, 287, e già prima, I. Pagni, L’accesso alle procedure di regolazione nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, 551. 
[4] 
M. Arato, sub art. 48, in Il codice della crisi. Commentario, a cura di P. Valensise-G. Di Cecco-D. Spagnuolo, Torino, 2024, 323; C.F. Giampaolino, sub art. 112, in Il codice della crisi. Commentario, a cura di P. Valensise-G. Di Cecco-D. Spagnuolo, Torino, 2024, 664; F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 48, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2003, 333.
[5] 
S. Ambrosini, Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano: gli interessi protetti e lo “statuto” della continuità aziendale, in Dir.fall., 2024, 459; M. Spiotta, Evoluzione del diritto concorsuale e modello concordatario: unitarietà o pluralità?, in Fallimento, 203, 872; A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 383. 
[6] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2022, 96; G. Pecorella, Le classi come tecnica di distribuzione nel concordato in continuità tra dimensione “orizzontale” e “verticale”. Una prospettiva applicativa, in Dirittodellacrisi.it, 5; ma per la persistente unitarietà dell’istituto v., E. Ricciardiello, I lineamenti del nuovo concordato preventivo, in Dir.fall., 2022, 1137. 
[7] 
F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 48, cit., 334.
[8] 
È importante rilevare che l’omessa notificazione determina la nullità del procedimento per violazione del contraddittorio secondo Cass., 8 febbraio 2019, n. 3860, in Fallimento, 2019, 584.
[9] 
G.B. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, cit., 1242; A. Tedoldi, Procedimento unitario, cit., 847.
[10] 
Così M. Arato, sub art. 48, cit., 323. 
[11] 
Non condivisibile è la soluzione proposta da A. Tedoldi, Procedimento unitario, cit., 846, ad avviso del quale sarebbe sufficiente rispettare il termine di dieci giorni, ma così gli eventuali opponenti avrebbero a disposizione solo un giorno per organizzare la difesa.
[12] 
G.B. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, cit., 1242; F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 48, cit., 335; A. Tedoldi, Procedimento unitario, cit.,848. Per Cass., 10 gennaio 2024 n. 1033, il commissario giudiziale non è litisconsorte necessario nel giudizio di reclamo in quanto, pur dovendo partecipare necessariamente al giudizio di omologazione, riveste in esso il ruolo di parte solo formale, in qualità di ausiliario del giudice, e non di parte sostanziale, né di rappresentante del debitore o dei creditori, ed è pertanto privo di legittimazione processuale tanto attiva che passiva nelle successive fasi di impugnazione; tuttavia, proprio il ruolo di ausiliario del giudice induce a ritenere che non sia parte neppure in senso formale, v., Cass., 16 dicembre 2021 n. 40483; Cass., 16 settembre 2011, n.18987, in Foro it., 2012, I, 135; M. Fabiani, Concordato preventivo, in Commentario Scialoja-Branca al codice civile, Bologna, 2014, 663. Non essendo parte, tanto meno è legittimato ad opporsi, v., M. Arato, sub art. 48, cit., 324; C.F. Giampaolino, sub art. 112, cit., 670; A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 447.
[13] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 152; F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 48, cit., 336.
[14] 
A. Tedoldi, Procedimento unitario, cit., 850.Sono considerati interessati i dissenzienti tardivi, i creditori che hanno manifestato in modo invalido il proprio dissenso, gli astenuti e i dissenzienti appartenenti ad una classe aderente al concordato, rientrando tutti nella residuale categoria degli altri interessati, per Trib. Perugia, 5 luglio 2019, in Corti umbre, 2019, 272.
[15] 
A. Tedoldi, Procedimento unitario, cit., 850.
[16] 
Cass., 5 novembre 2021, n. 32248, ha affermato il principio in base al quale, in tema di giudizio di omologazione del concordato preventivo in assenza di opposizioni, ex art. 180, comma terzo, L. fall., solo le parti che abbiano volontariamente partecipato alla fase di omologazione innanzi al tribunale possono proporre ricorso straordinario per cassazione, salvo che con il medesimo ricorso straordinario i ricorrenti lamentino un vizio che abbia loro impedito di partecipare a detto giudizio, ovvero altro vizio, sempre di natura processuale, che affligga non la proposta concordataria ma il provvedimento reso dal tribunale.
[17] 
Tale non era nel regime previgente, v., Cass., 15 gennaio 2024 n. 1393; Cass., 16 settembre 2011, n. 18987, in Foro.it, 2012, I, 135; G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2017, 633.
[18] 
Trib. Palermo, 22 gennaio 2024, in Dirittodellacrisi.it; A. Tedoldi, Procedimento unitario, cit., 847. 
[19] 
Nello stesso senso, M. Arato, sub art. 48, cit., 324; G.B. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, cit., 15.
[20] 
F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 48, cit., 339.
[21] 
G.B. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, cit., 1242.
[22] 
M. Fabiani, Concordato preventivo, in Commentario Scialoja-Branca al codice civile, cit., 667 ss.; M .Montanari, Il sempre problematico confine tra revoca dell’ammissione al concordato preventivo e giudizio di omologazione, in Fallimento, 2019, 460; F. De Santis, Il processo c.d. unitario per la regolazione della crisi o dell’insolvenza: effetti virtuosi ed aporie sistematiche, cit., 157; V. Giorgi, Poteri del giudice nell'omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione del debito, in Dir.fall., 2015, I, 415.
[23] 
I. Pagni, L’accesso alle procedure di regolazione nel codice della crisi e dell’insolvenza, cit., 559; F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 48, cit., 340; A. Tedoldi, Procedimento unitario, cit., 853. 
[24] 
G.B. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, cit., 1243.
[25] 
F. del Rosso-G. Trisorio Liuzzi, Il concordato preventivo, in Diritto della crisi d’impresa, (a cura di G. Trisorio Liuzzi), Bari, 2023, 289. 
[26] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 152. 
[27] 
G.B. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, cit., 1249. 
[28] 
G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale, in Dirittodellacrisi.it, 13; in senso diverso, però, F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 48, cit., 340.
[29] 
Trib. Lucca, 25 luglio 2023, in Dirittodellacrisi.it.
[30] 
In senso conforme, A. Tedoldi, Procedimento unitario, cit., 851.
[31] 
F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, Milano, 2023, 575.
[32] 
F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 48, cit., 340.
[33] 
F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., 575.
[34] 
G.B. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, cit., 1243; A. Tedoldi, Procedimento unitario, cit., 854.
[35] 
Sull’importanza di enucleare l’oggetto del procedimento unitario v., I. Pagni, L’accesso alle procedure di regolazione nel codice della crisi e dell’insolvenza, cit., 553; per un recente studio sull’oggetto del processo per l’apertura del fallimento v., M. Cirulli, Oggetto del processo per dichiarazione di fallimento e natura del reclamo, in Dir.fall., 2022, 80; in precedenza, M. Fabiani, L’oggetto del processo per dichiarazione di fallimento, in Riv.dir.proc., 2010, 767.
[36] 
G. D’Attorre, Dal principio di maggioranza al principio di minoranza, in Fallimento, 2023, 301 ss.; D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, in La questione distributiva nel diritto della crisi e dell’insolvenza, Pisa, 2023, 97; M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità postmoderna, in Fallimento, 2023, 1490.
[37] 
M. Aiello, Le nuove proposte e offerte concorrenti, in Ristrutturazioniaziendali.it, 1 ss.
[38] 
G. Fauceglia, Le proposte concorrenti dei soci, in Fallimento, 2024, 901; C. F. Giuliani-G. Maria. Miceli, Proposte concorrenti nel concordato preventivo, in Società, 2024, 5. 
[39] 
A. Tedoldi, Procedimento unitario, cit., 856.
[40] 
M. Arato, sub art. 48, cit., 325.
[41] 
G.B. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, cit., 1243; F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 48, cit., 338; soprattutto M. Fabiani - I. Pagni, I giudizi di omologazione nel codice della crisi, in Studi sull’avvio del codice della crisi, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, 2022, 161; in passato, F. Carboni, Il processo di omologazione del concordato preventivo, Padova, 1994, 127; F. Cordopatri, Il processo di concordato preventivo, in Riv. dir. proc., 2014, 359.
[42] 
In termini analoghi A. Tedoldi, Procedimento unitario, cit., 844.
[43] 
M. Fabiani, Causa del concordato e oggetto dell’omologazione, in Nuove leggi civ.comm., 2014, 549. In senso adesivo v., F. del Rosso-G. Trisorio Liuzzi, Il concordato preventivo, cit., 289; non dissimile ci pare F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., 356, là dove specifica che l’oggetto sarebbe la scelta se la crisi o l’insolvenza del debitore possano essere risolte efficacemente con un concordato preventivo o invece richiedano la liquidazione giudiziale.
[44] 
In termini simili A. Tedoldi, Procedimento unitario, cit., 782.
[45] 
F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 48, cit., 343.
[46] 
Per G. Nuzzo, Profili problematici del giudizio di omologazione del concordato preventivo nella disciplina del codice della crisi, in Dir.fall., 2020, 93, rappresenta un elemento importante di valutazione.
[47] 
F. del Rosso-G. Trisorio Liuzzi, Il concordato preventivo, cit., 290.
[48] 
Cass., sez. un., 28 dicembre 2016, n. 27073, in Fallimento, 2017, 537. 
[49] 
I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti: analogie e differenze, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore-A. Bassi, I, Milanofiori-Assago, 2010, 583.
[50] 
Il contenuto del controllo è, invece, secondo G. Nuzzo, Profili problematici del giudizio di omologazione del concordato preventivo nella disciplina del codice della crisi, cit., 86, l’oggetto del giudizio.
[51] 
G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale, in Dirittodellacrisi.it, 3; P.F. Censoni, Il diritto delle crisi e i nuovi concordati, in Ristrutturazioni Aziendali, 13.
[52] 
S. Leuzzi, L’omologazione del concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 6.
[53] 
G.B. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, cit., 1244; F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 112, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2003, 752; Cass., 16 maggio 2014, n. 10778; Trib. Bologna, 5 dicembre 2023, in Dirittodellacrisi.it; per A. Jorio, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2023, 213 questi controlli sono, invece, eseguiti solo in occasione dell’omologazione. 
[54] 
Cass., 30 maggio 2023 n. 15230; C.F. Giampaolino, sub art. 112, cit., 665. 
[55] 
S. Leuzzi, L’omologazione del concordato preventivo in continuità, cit., 7. In relazione all’art. 173 L. fall., v., Cass., 5 dicembre 2018, n. 31477, in Fallimento 2019, 449; Cass., 30 gennaio 2017, n. 2234; Cass., 4 giugno 2014, n. 12533, in Foro.it., 2014, I, 317.
[56] 
Trib. Lecce, 9 febbraio 2024, in Dirittodellacrisi.it.
[57] 
Cass., 8 febbraio 2019 n. 3860, ha ritenuto viziato il procedimento quando la notificazione non risultava eseguita nei confronti del creditore che aveva espresso il voto prima del deposito della relazione del commissario giudiziale e ciò sul presupposto che quel voto fosse invalido.
[58] 
S. Leuzzi, L’omologazione del concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 5; G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale, cit., 5. 
[59] 
G.B. Nardecchia, Il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, Molfetta, 2019, 297; S. Leuzzi, L’omologazione del concordato preventivo in continuità, cit., 5; Cass., 16 maggio 2014, n. 10778. 
[60] 
Trib. Bologna, 5 dicembre 2023, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Bari, 9 gennaio 2024, in Dirittodellacrisi.it.
[61] 
Trib. Bologna, 5 dicembre 2023, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Bari, 9 gennaio 2024, in Dirittodellacrisi.it.
[62] 
Le classi hanno debuttato nel nostro ordinamento concorsuale in occasione della riforma dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, attuata con la L. 18 febbraio 2004, n. 39 (c.d. “Legge Marzano”, di conversione del D.L. 23 dicembre 2003, n. 34); l’istituto è a stretto giro transitato nella Legge fallimentare con la novellazione degli artt. 124 e 160 L. fall. V., anche per gli ulteriori riferimenti, G. Lo Cascio, Concordati, classi di creditori ed incertezze interpretative, in Fallimento, 2009, 1129.
[62] 
S. Leuzzi, L’omologazione del concordato preventivo in continuità, cit., 10; G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale, cit., 6.
[63] 
S. Leuzzi, L’omologazione del concordato preventivo in continuità, cit., 10; G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale, cit., 6. 
[64] 
Sul tema delle classi v. F. Rolfi, Sui criteri di formazione delle classi nel concordato preventivo, in Fallimento, 2018, 12, 1415.
[65] 
I crediti degli istituti bancari recano obiettivi e prospettive solitamente divaricate rispetto a quelle scaturenti, in ipotesi, da un contratto di somministrazione o da un rapporto di lavoro.
[66] 
Un fornitore occasionale di prestazioni mira a recuperare il credito ed è meno disposto a scendere a patti di un fornitore strategico collocato nell’indotto dell’impresa, quindi propenso a guardare ai rapporti con essa in una prospettiva looking forward.
[67] 
È anche questo un controllo di legittimità, v., E. Ricciardiello, I lineamenti del nuovo concordato preventivo, cit., 1153. 
[68] 
In questo caso il creditore esprime un doppio voto dovendo essere collocato in classi distinte; ci pare in senso contrario, S. Ambrosini, Classi di creditori, moratoria dei privilegiati e contenuti del piano nel nuovo concordato preventivo, in Dir.fall., 2023, 241. 
[69] 
Sulla classe delle imprese “minori” v., Trib. Vicenza, 28 settembre 2023, in Dirittodellacrisi.it
[70] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 145; in senso diverso, ci pare, A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 442, ad avviso dei quali la regola da applicare sarebbe uguale a quella prevista nel concordato successivo alla liquidazione giudiziale.
[71] 
M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo delle società, in Banca, borsa, tit.cred., 2023, I, 176. 
[72] 
E. Ricciardiello, I lineamenti del nuovo concordato preventivo, cit., 1148.
[73] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 143; M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo delle società, cit., 177.
[74] 
M.S. Spolidoro.
[75] 
Trib. Milano, 19 luglio 2011, Foro it., Rep. 2012, voce Concordato preventivo, n. 165; App. Torino, 27 gennaio 2010, id., Rep. 2011, voce cit., n. 171; per l’analoga situazione nel concordato fallimentare v., Cass., 10 febbraio 2011, n. 3274, id., 2011, I, 2095. 
[76] 
In luogo di molti, D. Galletti, Classi obbligatorie? No, grazie!, in Giur. comm., 2010, II, 343; P.F. Censoni, Il controllo giudiziale sull’ammissibilità della domanda di concordato preventivo e sulla formazione delle classi, in Fallimento, 2010, 328; S. Ambrosini, Autonomia negoziale e controllo giudiziale nel concordato preventivo, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di Di Marzio e Macario, Milano, 2010, 542.
[77] 
R. Sacchi, Concordato preventivo, conflitti di interessi fra creditori e sindacato dell’Autorità giudiziaria, in Fallimento, Suppl. 1/2009, 30; G. D’Attorre, Il conflitto d’interessi fra creditori nei concordati, in Giur.comm., 2010, I, 419. 
[78] 
Trib. Biella, 27 aprile 2009, Foro it., Rep. 2010, voce cit., n. 143; Trib. Monza, 7 aprile 2009, id., Rep. 2009, vo c e cit., n. 81. 
[79] 
S. Ambrosini, Classi di creditori, moratoria dei privilegiati e contenuti del piano nel nuovo concordato preventivo, cit., 236; A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 387. 
[80] 
Cass., sez. un., 28 giugno 2018, n. 17186, Foro it., 2018, I, 4020.
[81] 
Per G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 146, è una previsione finanche irragionevole.
[82] 
Trib. Napoli, 21 febbraio 2024, in Dirittodellacrisi.it
[83] 
M. Sciuto, La classificazione dei creditori nel concordato preventivo (un’analisi comparatistica), in Giur comm., 2007, 569. 
[84] 
M. Arato, Il concordato preventivo, in O. Cagnasso - L. Panzani (diretto da), Crisi d'impresa e procedure concorsuali, III, Milano, 2016, 3499.
[85] 
G. Pecorella, Le classi come tecnica di distribuzione nel concordato in continuità tra dimensione “orizzontale” e “verticale”. Una prospettiva applicativa, cit., 6.
[86] 
Cass. 19 luglio 2021 n. 20622. 
[87] 
Sulla diversità delle regole di votazione v., A. Jorio, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2023, 211; A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 437.
[88] 
F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., 572.
[89] 
G. Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2021, 111.
[90] 
F. del Rosso-G. Trisorio Liuzzi, Il concordato preventivo, cit., 287; F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 107, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2003, 738. 
[91] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 151; F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 107, cit., 736. 
[92] 
D. Burroni, Il voto, cit., 1810.
[93] 
S. Leuzzi, L’omologazione del concordato preventivo in continuità, cit., 9.
[94] 
F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 109, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2003, 740.
[95] 
Ci pare la soluzione preferibile. 
[96] 
Trib. Milano, 5 febbraio 2024, in Dirittodellacrisi.it
[97] 
F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 109, cit., 741; Trib. Milano, 5 febbraio 2024, cit. 
[98] 
Per Trib. Milano, 5 dicembre 2018, in Fallimento 2019, 1087, Accertato in sede di giudizio di omologazione del concordato preventivo il conflitto di interessi di un creditore, il cui voto è stato rilevante per il raggiungimento delle maggioranze di legge, non appare possibile applicare il rimedio della sterilizzazione radicale del voto, quanto piuttosto, la sua collocazione in una classe distinta da quelle degli altri creditori. 
[99] 
Cass., sez. un., 28 giugno 2018, n. 17186; G. D’Attorre, Le sezioni unite riconoscono (finalmente) il conflitto di interessi nei concordati, in Fallimento, 2018, 963; R. Sacchi, Lupi e conflitto di interessi dei creditori nel concordato, in Riv. dir. comm., 2014, I, 49; R. Brogi, Il conflitto di interessi nel codice della crisi, in Fallimento, 2023, 613.
[100] 
D. Burroni, Il voto, in Crisi e insolvenza dopo il Correttivo-ter, cit., 1797.
[101] 
V. Zanichelli, La nuova disciplina del concordato preventivo, cit., 151; F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 1097, cit., 744. Per una prudente applicazione del principio v., Trib. Siracusa, 25 settembre 2024, in Dirittodellacrisi.it. In senso critico sulla generalizzazione del divieto di voto per conflitto di interessi v., G. Nuzzo, Profili problematici del giudizio di omologazione del concordato preventivo nella disciplina del codice della crisi, cit., 103. 
[102] 
Sul difetto sistematico v., anche, S. Sanzo-D. Burroni, Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Bologna, 2019, 186.
[103] 
D. Burroni, Il voto, in Crisi e insolvenza dopo il Correttivo-ter, Commentario diretto da M. Irrera-S. Cerrato, Bologna, 2024, 1795.
[104] 
Ad esempio, il creditore che contesti l’inserimento in una determinata classe deve proporre opposizione, v., Cass., 16 aprile 2018, n. 9378, in Dir. fall., 2018, 934; è noto, però, che tutte le questioni sull’invalidità del voto vanno mediate con il principio della prova di resistenza, al fine di verificare la tenuta dell’approvazione, v., G.B. Nardecchia, La verifica del voto in sede di omologa e la prova di resistenza, in Fallimento, 2018,703; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 141; F. del Rosso-G. Trisorio Liuzzi, Il concordato preventivo, cit., 285. 
[105] 
M. Fabiani, Concordato preventivo, cit., 455; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 141. 
[106] 
Ciò che rileva è l’informazione che deve essere offerta a tutti i creditori e al tribunale, non esistendo, invece, un obbligo di accantonamento o di previsione di pagamento, v. L. Boggio, Opposizione all’omologazione dei creditori “silenti” e trattamento dei “crediti contestati” nel piano e nella relazione ax art. 161 l.fall., in Fallimento, 2013, 588; tuttavia, proprio perché non esiste un obbligo, la valutazione sulla effettività della contestazione diviene profilo centrale del giudizio omologatorio del tribunale, v., S.F. Marzo, I crediti contestati nel concordato preventivo, in Dir.fall., 2021, 601.
[107] 
Cass., 8 gennaio 2019, n. 208 e Cass., 21 dicembre 2018 n. 33345, entrambe in Fallimento 2019, 1047; Cass., 13 giugno 2018, n. 15414, in Fallimento, 2019, 56; Cass., 20 aprile 2016, n. 7972; App. Venezia, 8 febbraio 2024, in Dirittodellacrisi.it; in luogo di molti, v., S.F. Marzo, I crediti contestati nel concordato preventivo, cit., 593; G. Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2021, 109; F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 107, cit., 733. 
[108] 
Trib. Reggio Emilia, 6 aprile 2023, in Dirittodellacrisi.it, ha precisato che nell’ambito del procedimento di concordato preventivo, l’opponente è legittimato a contestare la natura privilegiata o meno di un credito o la sua eventuale collocazione in un’autonoma classe, solo in funzione dell’eventuale ricaduta che ciò potrebbe avere sulla formazione delle maggioranze prescritte per l’approvazione del concordato e sulla fattibilità economica del piano.
[109] 
App. Venezia, 8 febbraio 2024, in Dirittodellacrisi.it
[110] 
Cass., sez. un., 25 marzo 2021 n. 8504; S.F. Marzo, I crediti contestati nel concordato preventivo, cit., 611. 
[111] 
Così, S. Sanzo-D. Burroni, Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, cit., 182. 
[112] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 139; sulla irrazionalità della soppressione della adunanza, v., G. Bozza, La tutela dei creditori nel concordato in continuità, in Dirittodellacrisi.it; in senso favorevole, invece, F. del Rosso-G. Trisorio Liuzzi, Il concordato preventivo, cit., 283. 
[113] 
Cass., 8 febbraio 2019, n. 3860.
[114] 
V. Zanichelli, La nuova disciplina del concordato preventivo, cit., 152; F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 107, cit., 729.
[115] 
F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 107, cit., 729. Sono tutti termini non soggetti a sospensione feriale, v., V. Zanichelli, La nuova disciplina del concordato preventivo, cit., 154.
[116] 
Cass., 20 aprile 2016, n. 7972.
[117] 
Cass., 25 settembre 2014, n. 20298.
[118] 
Cass., 3 aprile 2013, n. 8102; Cass. 20 maggio 2004, n. 9643; Cass., 21 gennaio 1999, n. 523, in Foro.it, 1999, I, 1888; M. Fabiani, Concordato preventivo, cit., 452.
[119] 
N. Michieli, Il ruolo dell’assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell’impresa in crisi alla luce del D.Lgs. n. 83/2022, in Riv.soc., 2022, 866. 
[120] 
G. Scognamiglio-F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, in Nuovo dir.soc., 2022, 1184.
[121] 
M. Perrino, La liquidazione dei beni nel fallimento e nei concordati mediante cessione, in Giur.comm., 2009, I, 680. 
[122] 
A. Farolfi, Il concordato liquidatorio: appunti introduttivi, cit., 9; V. Di Cataldo, Concordati e procedure alternative. Quale futuro?, in Giur. comm., 2024, I, 487.
[123] 
Sulla ingiustizia di questa “pretesa” v., G. Terranova, I concordati in un’economia finanziaria, in Dir.fall., 2020, 25. 
[124] 
E. Ricciardiello, I lineamenti del nuovo concordato preventivo, cit., 1147; A. Farolfi, Il concordato liquidatorio: appunti introduttivi, cit.,6. 
[125] 
Per Trib. Livorno, 28 dicembre 2022, in Dirittodellacrisi.it, Il requisito di cui all’art. 160, ultimo comma, L. fall., (ora art. 84 CCII) ovverosia l’assicurazione del pagamento del 20% dei creditori chirografari è da intendersi non già in termini di garanzia oggettiva o di promessa di pagamento, connotata da vincolatività negoziale, bensì in termini di elevata probabilità, prossima alla ragionevole certezza, che dall’attuazione del concordato possa derivare il soddisfacimento dei creditori chirografari per una percentuale non inferiore al 20%. 
[126] 
A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 384. 
[127] 
A. Farolfi, Il concordato liquidatorio: appunti introduttivi, in Dirittodellacrisi.it, 4. In passato, Cass., 14 marzo 2014, n. 6022; Cass., 17 ottobre 2018, n. 26005; Trib. Roma, 29 luglio 2010, in Fallimento, 2011, 225; Trib. Roma, 25 luglio 2012, in Fallimento, 2013, 748; D. Vattermoli, Concordato con continuità aziendale, absolute priority rule e new value exception, in Riv. dir. comm., 2014, II, 343 ss.; per la tesi opposta, G.U. Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, 544; G.Bozza, La fase esecutiva del concordato preventivo con cessione dei beni, in Fallimento, 2012, 768; A. Bassi, Il concordato preventivo tra cessio bonorum e datio in solutum. Il caso “S. Raffaele”, in Giur.comm., 2012, I, 845; S. Pacchi, L’esecuzione del concordato preventivo con cessione dei beni e di risanamento, in Dir. banca merc. fin., 2012, I, 451. 
[128] 
In termini simili, A. Azara, Responsabilità patrimoniale e concordato preventivo liquidatorio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, 1, 267, e ci pare, S. D’Orsi, Il concordato preventivo parzialmente liquidatorio, in Giur. comm., 2021, I, 347; v., anche, App. Bologna, 16 giugno 2023, in Dirittodellacrisi.it. A questa tesi, però, si potrebbe obiettare che, in questo modo, non si rispetta il principio di competitività sulle liquidazioni: obiezione ragionevole che, tuttavia, potrebbe essere contrastata dal fatto che un afflusso di risorse pari al valore del bene potrebbe essere premiante perché eliderebbe il rischio di un abbattimento in sede di liquidazione del valore del bene. 
[129] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 153.
[130] 
C.F. Giampaolino, sub art. 112, cit., 666; G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale, cit., 7; Trib. Siena, 30 giugno 2023, in Dirittodellacrisi.it.
[131] 
S. Leuzzi, L’omologazione del concordato preventivo in continuità, cit., 17.
[132] 
Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521.
[133] 
Cass., 15 giugno 2023 n. 17103; Cass., 17 maggio 2021, n.13224; Cass. civ. 23 settembre 2018, n. 23315, Cass. civ. 7 aprile 2017, n. 9061, Cass., 23 maggio 2014, n. 11497. 
[134] 
Cass., 24 agosto 2018 n. 2117; Cass., 24 agosto 2018, n. 21175; Cass. 9 marzo 2018, n. 5825, in Fallimento, 2018, 972; Cass., 1° marzo 2018, n. 4790; Cass., 9 giugno 2017, n. 14444, in Corr. giur., 2018, 62; C.F. Giampaolino, sub art. 112, cit., 666; F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 112, cit., 752. 
[135] 
C. Costa, Il controllo di fattibilità del concordato preventivo tra vecchia disciplina e nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, in Dir.fall., 2020, 331. Ritengono, invece, ancora attuale il controllo sulla fattibilità economica, A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 446.
[136] 
Cass., 10 gennaio 1986, n. 68, in Fallimento, 1986, 508.
[137] 
Cass., 8 febbraio 2019 n. 3863.
[138] 
A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 447. Sulla fragilità di soluzioni che determinino un disallineamento delle tutele v., V. Pinto-R. Sacchi, Diritti e garanzie comuni dei dissenzienti nel concordato preventivo, negli ADR e nel PRO, in Nuove leggi civ. comm., 2024, 480; sulla incoerenza rispetto alla Direttiva v., G.B. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, cit., 1249 (che, però, riguarda la ristrutturazione e non la liquidazione).
[139] 
C.F. Giampaolino, sub art. 112, cit., 669. 
[140] 
L. Sicignano, L’assenza di pregiudizio e il rischio di insuccesso nei piani concordatari, in Banca borsa, tit.cred., 2024, I, 144 147; A. Turchi, Il valore di liquidazione alla luce delle prime pronunce di merito, in Dirittodellacrisi.it, 2 ss. 
[141] 
Trib. Bari, 9 gennaio 2024, in Dirittodellacrisi.it
[142] 
Il destino del concordato non dovrà essere deciso dalla "tesi aziendalistica" del giudice: così F. Di Marzio, La riforma delle discipline della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Milano, 2018, 2. 
[143] 
La continuità è diretta ogni qualvolta sia pianificato l’ulteriore corso dell’attività economica ad opera dell’imprenditore che si affaccia al concordato. Tale è quindi, non soltanto la continuità che lascia al suo posto il titolare dell’azienda, ma anche quella che pone di fianco ad esso nuovi soggetti, mediante una conversione dei crediti in capitale sociale in esito all'omologazione del concordato, con un'esecuzione impostata su una datio in solutum di azioni di nuova emissione. Sul tema della distinzione v., tra gli altri, S. Ambrosini, Concordato preventivo: finalità e presupposti, in La Riforma del Fallimento, Suppl. a Italia Oggi, a cura di M. Pollio, 23 gennaio 2019; G. Fichera, Il concordato in continuità, In Commento al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Quaderni di In executivis, a cura di C. D’Arrigo, F. Di Marzio, L. De Simone, S. Leuzzi, Perugia, 2019.
[144] 
A tal fine è essenziale che, al netto delle apparenze programmatiche, il concordato non celi un itinerario meramente dismissivo-liquidatorio. 
[145] 
La continuità indiretta ruota sempre su un piano che affida la gestione dell'attività produttiva ad un soggetto diverso dal debitore, tuttavia vi è un restringimento del suo terreno di coltura, rispetto a quello ipotizzato nel vigore della l. fall. e dell’originaria formulazione del CCII. Lo svolgimento dell’attività d’impresa da parte dell’extraneus deve avvenire in forza di cessione, usufrutto, conferimento e l’affitto, oggetto di stipula anche anteriore alla presentazione del ricorso per l’ammissione alla procedura concorsuale, ma strumentale alla domanda concordataria, o “a qualsiasi altro titolo”. In tema v. P.F. Censoni, IL contratto di affitto di azienda nel nuovo concordato preventivo, in Fallimento, 2022, 1049.
[146] 
La continuità può non avvalersi delle fattispecie espressamente menzionate della cessione del complesso aziendale in esercizio, del conferimento in una newco, dell’usufrutto o dell’affitto; essa può, infatti, ricorrere all’impiego di altri mezzi, tra cui – esemplificativamente – l’attribuzione del ramo d’azienda mediante scissione o fusione. Può registrarsi anche una fusione (diretta o inversa) tra affittante e affittuario, nel cui quadro mediante l’affitto ad una propria controllata, il debitore potrebbe mirare alla ristrutturazione dell’indebitamento che lo affligge senza condizionare il proprio business, che proseguirebbe – seppure temporaneamente – in capo alla società creata ad hoc per la gestione di questa fase. In tema v. M. Arato, Il concordato con continuità nel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Fallimento, 2019, 855.
[147] 
Il tribunale appurerà che il titolo sia stato stipulato nell’imminenza della presentazione del ricorso per l’accesso al concordato, rivelandosi in tal guisa teleologicamente correlato al piano di ristrutturazione, tanto da rappresentare un capitolo della strategia di esso.
[148] 
Cass. 9 marzo 2018, n. 5825 e Cass 4 maggio 2018, n. 10752.
[149] 
La garanzia dell’informazione è il maggior contrappeso allo spazio lasciato all’autonomia privata. Il giudice vigila che le parti del processo si cimentino con una realtà esplicativa dell’attualità dell’impresa e della dimensione reale della sua crisi. Pertanto, ogni qualvolta sia tradita la finalità informativa, a venire in rilievo è un vizio del processo rilevabile dal tribunale, anche in difetto di opposizioni, sempreché emergente dagli atti.
[150] 
Cass. 26 febbraio 2019, n. 5653. 
[151] 
La giurisprudenza di legittimità, benché escluda il controllo sull’attendibilità delle scritture contabili, finisce per delineare un sindacato mediato addirittura più penetrante, facendo salvo in capo al giudice uno scrutinio di veridicità delle informazioni esposte nei documenti prodotti unitamente al ricorso (tra cui la relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa e lo stato particolareggiato ed estimativo delle attività), sotto il profilo della loro effettiva consistenza materiale e giuridica: v. Cass. 28 marzo 2017, n. 7975; Cass. 31 gennaio 2014, n. 2130; Cass. 4 giugno 2014, n. 12549. In dottrina, sulla relazione attestativa v. tra gli altri L.A. Bottai, Opportune precisazioni sull’attestazione ex 161 L. fall. e sul controllo di fattibilità, in Fallimento, 2018, 972.
[152] 
Sembra muoversi in quest’ordine di idee, pur con varietà di accenti, G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale, cit., 149.
[153] 
F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., 551.
[154] 
Trib. Larino, 19 marzo 2024, in Dirittodellacrisi.it parla di un “alleggerimento” delle verifiche in sede di apertura del procedimento di concordato in continuità aziendale, in linea con quanto previsto dalla Direttiva, I. Pagni, L’entrata in vigore del Codice della crisi cit., 625. 
[155] 
L’idea che passa è quella di programmare il superamento dello squilibrio o della difficoltà sulla base di un binomio ormai inscindibile di elementi paritari: la tutela del credito e la salvaguardia dell’attività produttiva. La combinazione equilibrata fra tutela del credito e continuità aziendale emerge anche in altre norme del nuovo CCII, tra cui significativamente nell’art. 52 che in ipotesi, tra l’altro, di opposizione avverso l’omologazione del concordato attribuisce alla corte d’appello la prerogativa di “disporre le opportune tutele per i creditori e per la continuità aziendale”.
[156] 
Ricostruisce pionieristicamente nei termini della non implausibilità la valutazione giudiziale in relazione alla fase di ammissione Trib. Udine, 27 gennaio 2020, in Dirittodellacrisi.it: “In tema di concordato preventivo, il giudizio che il tribunale è chiamato a rendere sulla fattibilità economica, in sede di ammissione, è limitato, in negativo, all’apprezzamento della “non implausibilità” delle previsioni del piano, essendo riservato ai creditori scegliere, in positivo, il grado di ragionevole certezza delle previsioni sulla base del quale sono disposti a dare fiducia al piano”. Per Trib. Palermo, 22 gennaio 2024, in Dirittodellacrisi.it, la formulazione in negativo dell’art. 112, comma 1, lett. f) CCII rende evidente che oggetto dell’esame da parte del tribunale in sede di omologazione non è l’accertamento dell’idoneità del piano a regolare la crisi, ma la non implausibilità dello stesso a consentire il risanamento dell’impresa. Il piano predisposto dal debitore e attestato dal professionista indipendente nella relazione ex art. 87, comma 3, CCII deve mostrare un grado minimale di plausibilità, bastando ai fini del placet giudiziale che l’ipotesi solutoria sia operativamente percorribile e coerente con il fine ultimo del risanamento dell’impresa indicato nella proposta e nel piano, senza palesarsi passibile di intaccare le prospettive di soddisfazione dei creditori rispetto all’alternativa liquidatoria. 
[157] 
L'art. 8, par. 1, lett. h) della Direttiva prevede che al piano debba essere allegata un'attestazione del debitore, eventualmente convalidata da un esperto esterno o da un professionista nel campo della ristrutturazione, che conferma la sussistenza di questo requisito.
[158] 
Trib. Trieste, 15 settembre 2023, in Dirittodellacrisi.it. 
[159] 
Così L. Stanghellini, La legislazione d’emergenza in materia di crisi d’impresa, in Riv. soc., 2020, 62. 
[160] 
L. Panzani, L’assetto degli organi nella liquidazione giudiziale e nelle altre procedure di regolazione della crisi, in Fallimento, 2022, 1263.
[161] 
G. D’Attorre, La continuità aziendale tra “scommessa” e “tradimento”, in Fallimento, 2024, 1049. 
[162] 
Trib. Trieste, 15 settembre 2023, in Dirittodellacrisi.it, in merito alla valutazione sui finanziamenti in essere e in divenire; sulla necessità di verificare la pianificazione della prosecuzione dell’attività, v., Trib. Torino, 25 luglio 2024, in Dirittodellacrisi.it
[163] 
Sottolinea V. Zanichelli, Il giudice nella ristrutturazione, in Studi sull’avvio del Codice della crisi, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, cit., 197: “il legislatore, dopo aver degradato l’interesse dei creditori al miglior trattamento rispetto all’alternativa liquidatoria all’interesse ad un trattamento solo non deteriore, ha compiuto un nuovo passo verso l’equiparazione dell’interesse pubblico alla continuazione dell’attività di impresa”.
[164] 
Trib. La Spezia, 29 febbraio 2024, in Dirittodellacrisi.it.
[165] 
Ciò implica esemplificativamente che sia fatta consistere nel conferimento di un’esclusiva al creditore sulle forniture successive, o nell’impegno a praticare prezzi predeterminati per un certo segmento temporale oppure ad acquistare un determinato contingente di beni o prestazioni con cadenze predefinite, o nel riconoscimento di alcune royalties o di alcuni incentivi al raggiungimento di specifici obiettivi o, ancora, nel rilascio di garanzie anche per mano di terzi. Il creditore può anche avvantaggiarsi dal poter portare in detrazione fiscale il suo credito insoddisfatto senza dover attendere la chiusura della liquidazione giudiziale. Un’utilità è rappresentata anche dalla franchigia rispetto al rischio di una azione revocatoria fallimentare per un pagamento ricevuto nel periodo sospetto.
[166] 
S. Ambrosini, Il concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, IV, Torino, 2014, 362.
[167] 
Nel solco unionale si assicura che i diritti dei creditori dissenzienti non siano limitati in misura superiore rispetto a quanto questi potrebbero ragionevolmente prevedere in assenza di ristrutturazione se l'impresa del debitore fosse liquidata (c.d. cram-down of dissenting creditors).
[168] 
M. Fabiani, Causa del concordato e oggetto dell’omologazione cit., 579. 
[169] 
Lo spazio angusto delle revocatorie e l’esito non sempre fruttuoso delle azioni di responsabilità rendono la liquidazione giudiziale non sempre allettante.
[170] 
La nuova lett. b) dell’art. 87, come modificata dal Decreto correttivo, positivizza, sotto questo aspetto, quanto già sostenuto sul punto in S. Leuzzi, Il giudizio di omologazione del concordato preventivo: oggetto, regole, controlli, in  Dirittodellacrisi.it, 9 ottobre 2023, cui ci si permette di rimandare. 
[171] 
Nel senso della ammissibilità di trattamenti differenziati, v., Trib. Lucca, 10 febbraio 2023, in Dirittodellacrisi.it
[172] 
Trib. Bari, 9 gennaio 2024, in Dirittodellacrisi.it. Il tema coinvolge più profili perché è noto l’interesse ad offrire un soddisfacimento elevato (se non integrale, il che poi porrebbe il tema della ammissione al voto del creditore chirografario interamente soddisfatto, condivisa da Trib. Nola, 1° ottobre 2024, in Dirittodellacrisi.it) ai cc.dd. fornitori strategici, il che porre poi la criticità di dover offrire il medesimo trattamento a tutti.
[173] 
A tenore dell’art. 9, par. 6, della c.d. Direttiva Insolvency 6, il piano di ristrutturazione è, infatti, “adottato dalle parti interessate purché in ciascuna classe sia ottenuta la maggioranza dell'importo dei crediti o degli interessi. Inoltre gli Stati membri possono richiedere che in ciascuna classe sia ottenuta la maggioranza del numero di parti interessate”.
[174] 
In tema v. G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in Dirittodellacrisi.it.
[175] 
Ove constino proposte concorrenti è vincolante, in ogni caso, il consenso del debitore, che, in tal senso, non può essere estromesso dal quadro di ristrutturazione, dovendo esservi necessariamente incluso.
[176] 
Trib. Milano, 6 luglio 2023, in Dirittodellacrisi.it.
[177] 
Resta ferma la prescrizione dell’art. 84, comma 7, che riserva ai crediti da lavoro un soddisfacimento agganciato alla rigida graduazione delle prelazioni “anche sul valore eccedente il valore di liquidazione”. 
[178] 
In tema v. G. Ballerini, La distribuzione del (plus)valore ricavabile dal piano di ristrutturazione della direttiva (UE) 2019/1023 e l'alternativa fra absolute priority rule e relative priority rule, in Riv. Dir. Comm., 2021, 367; M. Spiotta, Ruolo dei creditori nella composizione negoziata e negli strumenti di regolazione della crisi/insolvenza, in Fallimento, 2022, 1276. 
[179] 
M. Binelli, L'omologazione del concordato in continuità non approvato, in Dirittodellacrisi.it, 15; M. Campobasso, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2023, 657 s.; F. Di Marzio, Diritto dell'insolvenza, Milano, 2023, 577; G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale, in Dirittodellacrisi.it, 1° novembre 2023, 11; F. Lamanna, Il codice della crisi dopo il secondo correttivo, Milano, 2022, 562; A. Tedoldi, Crisi, insolvenza, sovraindebitamento, Pisa, 2022, 275; M. Campobasso, Manuale di diritto commerciale, VIII ed., Torino, 2023, 657. 
[180] 
G. Bozza, Le maggioranze per l'approvazione della proposta concordataria, in Dirittodellacrisi.it, 32; G. D'Attorre, Dal principio di maggioranza al principio di minoranza, in Fallimento, 2023, 306 ss.; M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità concordataria postmoderna, in Fallimento, 2022, 1489; A. Jorio, Il diritto della crisi e dell'insolvenza, Torino, 2023, 214; S. Leuzzi, L'omologazione del concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 24; Id., Il giudizio di omologazione del concordato preventivo: oggetto, regole, controlli, 36 ss.; F. Santangeli - M. Cortese, sub art. 112, in Il codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2023, 757; Trib. Lecce, 31 maggio 2024, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Genova, 17 giugno 2024, in Dirittodellacrisi.it
[181] 
Trib. La Spezia, 29 febbraio 2024, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Milano, 11 aprile 2024, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Milano, 2 maggio 2024, in Dirittodellacrisi.it
[182] 
M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità concordataria postmoderna, cit., 1489 e S. Leuzzi, L'omologazione del concordato preventivo in continuità, cit., 25. 
[183] 
Trib. Bergamo 11 aprile 2023, in Dirittodellacrisi.it, con nota di F. Aliprandi e A. Turchi, Cross-class cram-down: dubbi interpretativi e prima soluzione giurisprudenziale, in Fallimento, 2023, 791, con nota di I. Donati e in Giur. it., 2023, 2665, con nota di A.J. Pagano, Il perimetro applicativo della ristrutturazione trasversale nel concordato preventivo. Nel medesimo solco Trib. Spoleto, 29 dicembre 2023, in Dirittodellacrisi.it, evidenzia che la seconda delle condizioni individuate dall’art. 112, comma 2, lett. d) CCII va interpretata nel senso che la proposta concordataria risulta approvata da una classe di creditori (privilegiati degradati, ammessi al voto in applicazione dell’art. 109 comma 5 CCII), che nel concordato risulta trattata in maniera deteriore rispetto all’ipotesi della liquidazione giudiziale. La stessa prospettiva si ritrova in App. Roma, 24 aprile 2024 in Dirittodellacrisi.it e Trib. Roma, 26 ottobre 2023, in Dirittodellacrisi.it, ove si evidenzia anche che la comparazione da svolgere al fine di individuare la monoclasse di “svantaggiati”, in grado di condizionare col proprio esclusivo consenso l’omologazione del concordato è tra quanto i creditori della classe riceverebbero, comprendendo anche i flussi rinvenienti dalla continuità eccedenti il valore di liquidazione, in applicazione della APR e la soddisfazione che gli stessi conseguirebbero dall’approvazione della proposta di concordato elaborata secondo la RPR. 
[184] 
Trib. Mantova, 14 marzo 2024, in Dirittodellacrisi.it, osserva che ai fini del giudizio di omologazione ex art. 112, comma 2, lett. d) CCII è sufficiente che abbia votato favorevolmente anche solo una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione, identificabile nei flussi attivi derivanti dalla continuità diretta, ovvero, in caso di continuità indiretta, dai flussi derivanti, a titolo esemplificativo, dai canoni di affitto dell’azienda di titolarità del soggetto proponente il concordato. Ne discende che ove non vi sia un surplus concordatario da distribuire non vi è ragione per derogare alle “ordinarie” regole di approvazione del concordato fissate dall’art. 109 CCII e non si verifica una disparità di trattamento tra le ipotesi di continuità diretta e indiretta poiché, in tale ultimo caso, le vicende economiche dell’impresa cessionaria dell’azienda che prosegue la propria attività sono del tutto indifferenti rispetto alle prospettive di soddisfacimento dei creditori della classe “svantaggiata” o “maltrattata” sicché deve tornare ad operare la regola di maggioranza (fattispecie in cui l’azienda era stata ceduta prima del giudizio di omologazione in esito a procedura competitiva).
[185] 
G. D'Attorre, Classi "interessate" e classi "maltrattate" nella ristrutturazione trasversale, in Dirittodellacrisi.it; I. Donati, Il requisito del "sostegno minimo" dei creditori per l'omologazione del concordato in continuità: una prima (errata) applicazione dell'art. 112, comma 2, lett. d), CCII, in Fallimento, 2023, 799. In giurisprudenza, la prospettiva è accolta da Trib. Genova, 13 giugno 2024, in Dirittodellacrisi.it, secondo cui la classe decisiva non deve necessariamente essere composta da creditori svantaggiati, cioè, destinati a subire, per effetto della proposta, una riduzione del valore delle loro pretese, ben potendo trattarsi di una classe di creditori interessati in quanto, comunque, destinatari di una qualche soddisfazione anche ove la proposta prevedesse una distribuzione del valore dell’attivo concordatario secondo la regola di priorità assoluta. Per D. Burroni, Il voto, cit., 1821, l’attuale formulazione non è limpida e quindi resta ancora incerto quale delle due tesi sia effettivamente coerente con la norma. 
[186] 
Trib. Milano, 6 luglio 2023, in Dirittodellacrisi.it
[187] 
La Relazione illustrativa al Decreto correttivo evidenzia che “Non può invece rilevare il voto favorevole del creditore che sì viene pagato parzialmente dalla proposta in continuità ma che ha interesse a che il relativo piano sia omologato solo perché non riceverebbe nulla in caso di pagamento secondo le regole della APR”; già prima, v. Trib. Genova, 17 giugno 2024, cit.; Trib. Roma, 10 luglio 2024, in Dirittodellacrisi.it
[188] 
Trib. Roma, 10 luglio 2024, in Dirittodellacrisi.it.
[189] 
Pare di poter dire che, qualora detto “spartito” alternativo simulato non dovesse corredare né la proposta di concordato, né l’istanza di applicazione del meccanismo ristrutturatorio trasversale, detta omissione non potrebbe tralignare di per sé in un diniego automatico di omologa. Qualora così si opinasse un mero deposito “di cortesia” verrebbe innalzato a requisito di omologabilità dello strumento, nel silenzio della legge.
[190] 
Entrambe le incisive espressioni sono adoperate nel noto scritto di G. Terranova, Concordati senza consenso: la posizione dei creditori privi di voto, in Riv. dir. comm., 2016, I, 7 e 20. 
[191] 
Sulla riscrittura della norma per primo, funditus, G. Andreani, Le norme fiscali del terzo Decreto correttivo del codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 1° Agosto 2024. 
[192] 
Per un esame delle ragioni che militano a supporto dell’orientamento favorevole e di quello contrario v. G. Andreani, Il cram down fiscale nel concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 3 ottobre 2023. 
[193] 
Per Trib. Milano, 30 novembre 2023, in Dirittodellacrisi.it, qualora vi fossero classi erariali o fiscali dissenzienti, non era applicabile l’art. 88, comma 2 bis, CCII al fine di rendere favorevole il voto di queste classi, in modo da raggiungere il presupposto della unanimità delle classi di cui all’art. 109, comma 5, e, comunque, non sembrava essere necessario il ricorso al cram down fiscale, stante l’istituto del cross class cram down che è molto più esteso ed appunto trasversale; né poteva applicarsi l’art. 88 comma 2 bis per realizzare il presupposto della lett. d) dell’art. 112, comma 2, la quale ultima era norma non coordinata con l’art. 88, comma 1; Trib. Grosseto, 9 maggio 2024, in Dirittodellacrisi.it, Trib. Cosenza, 12 giugno 2024, in Dirittodellacrisi.it
[194] 
Così, prima della modifica, App. Messina, 22 maggio 2023, in Dirittodellacrisi.it
[195] 
La Relazione illustrativa del Decreto correttivo evidenzia che, in linea con ogni altra disposizione del Codice che prevede il confronto tra soddisfazione proposta e soddisfazione ricavabile in caso di liquidazione, il limite di decurtazione delle ragioni creditorie combacia col quantum che il creditore pubblico riceverebbe in caso di liquidazione “giudiziale”; è stato espunto il riferimento originario al valore “di mercato”, che presuppone, invero, una liquidazione di tipo negoziale. 
[196] 
Per un’incisiva disamina del problema v., anche per gli ulteriori rinvii, L. De Bernardin, Ristrutturazione trasversale e transazione fiscale: non ce lo chiede il legislatore…e neanche l’Europa, 29 gennaio 2024. 
[197] 
In particolare si prevede che per i tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate il voto sulla proposta è espresso dalla competente Direzione, su parere conforme della relativa Direzione regionale ove competente sia una Direzione provinciale, per i tributi amministrati dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli il voto sulla proposta è espresso dalle competenti Direzioni territoriali, dalla competente Direzione territoriale interprovinciale ovvero da ciascuna Direzione centrale per gli atti impositivi direttamente emessi, per i contributi previdenziali amministrati dall’Istituto nazionale della previdenza sociale e per i premi amministrati dall’Istituto nazionale dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro il voto sulla proposta è espresso dalla competente Direzione territoriale su decisione del Direttore regionale. Si prevede al comma 7 che il voto è espresso dall'agente della riscossione limitatamente agli oneri di riscossione di cui all'art. 17 D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112. 
[198] 
È previsto che copia della proposta e della relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il tribunale, è presentata e agli uffici competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del debitore. La documentazione, unitamente alla copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l’esito dei controlli automatici nonché delle dichiarazioni integrative presentate fino alla data di presentazione della domanda di trattamento dei crediti tributari e contributivi, è presentata, per l’Agenzia delle entrate, alla competente Direzione provinciale o regionale, per l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, alle competenti Direzioni territoriali e alla competente Direzione territoriale interprovinciale, ovvero alla Direzione centrale per gli atti impositivi direttamente emessi e, infine, per gli enti previdenziali e assicurativi, alla competente Direzione provinciale. 
[199] 
N. Micheli, Il ruolo dei soci nelle procedure di composizione della crisi e dell’insolvenza, in Riv.soc., 2021, 851; G. Palmieri, Operazioni straordinarie “corporative” e procedure concorsuali: note sistematiche e applicative, in Fallimento, 2009, 1092. 
[200] 
N. Micheli, Il ruolo dei soci nelle procedure di composizione della crisi e dell’insolvenza, cit., 853.
[201] 
Come si è visto, a maggior protezione dei creditori delle società terze, il tribunale quando fissa l’udienza per l’omologazione deve lasciare uno spazio temporale di almeno quarantacinque giorni tra la data dell’udienza e la data in cui il piano è pubblicato nel registro delle imprese del luogo ove hanno sede le società interessate dalle operazioni di trasformazione, fusione o scissione. In questo modo i creditori delle società terze possono prendere conoscenza dell’operazione e possono impugnarla opponendosi al concordato.
[202] 
N. Michieli, Il ruolo dell’assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell’impresa in crisi alla luce del D.Lgs. n. 83/2022, cit., 868; G. Scognamiglio-F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 1187.
[203] 
A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, in Dirittodellacrisi.it, 3, il quale osserva che si creava un paradosso quando si consentiva di “lasciare” valore ai soci, perché pagati i creditori, rimanevano quasi sempre esclusi dalle distribuzioni i creditori postergati, con una sorta di inversione tra finanziamento e investimento. 
[204] 
App. Venezia 28 settembre 2020, in Fallimento, 2021, 995; App. Venezia 19 luglio 2019, in Dir. fall., 2020, 869; Trib. Perugia 4 giugno 2019, in Corti umbre, 2019, 321; Trib. Firenze 2 novembre 2016, in Fallimento, 2017, 313. A favore della relative priority rule già nel vigore della legge fallimentare v., G. D’Attorre, Relative Priority Rule(s), in D. Vattermoli (a cura di), La questione distributiva, Pisa, 2023, 69 ss.; S. Ambrosini, Il concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli - F.P. Luiso - E. Gabrielli, IV, Torino, 2014, 178; G. Peracin, Concordato preventivo e cessio bonorum con classi. Trattamento dei creditori privilegiati generali e inquadramento giuridico dei vantaggi differenziali, in Dir. fall., 2011, I, 48. 
[205] 
Cass. Civ. 8 giugno 2020, n. 10884, in Fallimento, 2020, 1071; App. Milano 14 gennaio 2021, in Dirittodellacrisi.it, 2021; Trib. Milano 5 dicembre 2018, in Fallimento, 2019, 1087; App. Torino 31 agosto 2018, in Fallimento, 2019, 377; Trib. Padova 24 gennaio 2018, in Dir. fall., 2020, 865; in dottrina, G.P. Macagno, Natura del concordato, destinazione dei flussi della continuità, sindacato sul soddisfacimento dei creditori: il Codice della crisi è ancora un sicuro riferimento interpretativo?, in Fallimento, 2021, 1008 (anche se con alcune specificazioni); D. Galletti, Portata e razionalità economica dell’Absolute Priority Rule, in D. Vattermoli (a cura di), La questione distributiva, Pisa, 2023, 41 ss.; G. Ballerini, La distribuzione del (plus)valore ricavabile dal piano di ristrutturazione nella Direttiva (Ue) 2019/1023 e l’alternativa fra absolute priority rule e relative priority rule, in Riv. dir. comm., 2021, 370.
[206] 
N. Michieli, Il ruolo dei soci nelle procedure di composizione della crisi e dell’insolvenza, in Riv. Società, 2021, 830 ss.; C. Limatola, Strumenti finanziari “ibridi” e risanamento dell’impresa, in Banca, borsa, tit. cred., 2019, I, 230; N. Baccetti, La gestione delle società di capitali in crisi tra perdita della continuità aziendale ed eccessivo indebitamento, in Riv. Società, 2016, 624; sulla diversità degli interessi dei soci in relazione alla specifica tipologia della crisi e del possibile risanamento v., R. Rordorf, I soci di società in crisi, in Società, 2023, 1143.
[207] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2022, 166; C. Esposito, Crisi di impresa e neutralità organizzativa, Napoli, 2023, 116; per una sintetica ma efficace - e qui allineata - ricostruzione del percorso normativo di valorizzazione del “mondo” delle società v., A. Nigro - D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2023, 343. 
[208] 
A. Nigro - D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 347.
[209] 
G. Palmieri, Operazioni straordinarie “corporative” e procedure concorsuali: note sistematiche e applicative, in Fallimento, 2009, 1092.
[210] 
F. Guerrera, L’espansione della regola di competenza esclusiva degli amministratori nel diritto societario della crisi fra dogmatismo del legislatore e criticità operative, in Riv. Società, 2022, 1277; R. Brogi, I soci e gli strumenti di regolazione della crisi, in Fallimento, 2022, 1291. 
[211] 
V. Pinto, Gli effetti della liquidazione giudiziale sull’organizzazione delle società di capitali, in Nuove leggi civ., 2023, 1538. 
[212] 
D. Galletti, Portata e razionalità economica dell’Absolute Priority Rule, cit., 51. 
[213] 
G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla distribuzione del patrimonio, in Dirittodellacrisi.it; M. Perrino, Relative priority rule” e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it. 
[214] 
O. Cagnasso - C.F. Giuliani - G.M. Miceli, L’accesso delle società al concordato preventivo, cit., 998.
[215] 
Accanto ai diritti di informativa e al diritto di voto, la possibilità di poter presentare una proposta concorrente (proposta che proviene dall’interno e che dunque non sconta quei difetti e quelle asimmetrie informative che hanno paralizzato le proposte concorrenti dei creditori) è un effettivo strumento di equilibrio rispetto ai poteri degli amministratori, v., V.S. Ambrosio, Le proposte concorrenti dei soci, in Dir. fall., 2023, 1016.
[216] 
R. Brogi, I soci e gli strumenti di regolazione della crisi, cit., 1296. 
[217] 
Per simili valutazioni, B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, cit., 473; P. Benazzo, Gli assetti proprietari e la circolazione delle partecipazioni sociali nel prisma del codice della crisi e dell’insolvenza, cit., 21. In senso opposto A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza della società, in ristrutturazioniaziendali.it, ritiene la norma incostituzionale per violazione dei diritti di cui agli artt. 32 e 41 Cost. Forse più condivisibilmente, F. Guerrera, L’espansione della regola di competenza esclusiva degli amministratori nel diritto societario della crisi fra dogmatismo del legislatore e criticità operative, cit., 1278, assume che il difetto non risiede tanto in un una possibile espropriazione di proprietà, quanto, invece, in una sottrazione di valutazioni simmetriche tra amministratori e soci, sì che questi non hanno poteri di incisione effettiva sulla regolazione della crisi. Sennonché, nel testo, abbiamo selezionato una serie di mezzi di reazione che il codice consegna ai soci e solo l’esperienza potrà dire se si tratta di reazioni adeguate o insufficienti, v., N. Michieli, Il ruolo dell’assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell’impresa in crisi alla luce del D.Lgs. n. 83/2022, cit., 847.
[218] 
M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, cit., 169; M.S. Spolidoro, I soci dopo l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi, cit., 1264.
[219] 
N. Michieli, Il ruolo dell’assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell’impresa in crisi alla luce del D.Lgs. n. 83/2022, cit., 864.
[220] 
G. Ferrarini, Lo scopo delle società tra valore dell’impresa e valore sociale, in Riv. Società, 2023, 318; U. Tombari, Lo “scopo” delle società: significati e problemi di una categoria giuridica, in Riv. Società, 2023, 339. Dietro l’angolo si muove tutto ciò che ruota sul concetto di interesse sociale, su cui v., i classici contributi, in luogo di molti, di U. Tombari, “Potere” e “interesse” nella grande impresa azionaria, Milano, 2019; P.G. Jaeger, L’interesse sociale, Milano, 1972; A. Mignoli, L’interesse sociale, in Riv. Società, 1958, 725; T. Ascarelli, L’interesse sociale dell’art. 2441 c.c., in Riv. Società, 1956, 93 ss.; G. Minervini, Sulla tutela dell’“interesse sociale” nella disciplina delle delibere assembleari e di consiglio, in Riv. dir. civ., 1956, 332 ss.; F. Denozza, Verso il tramonto dell’interesse sociale?, in A. Paciello (a cura di), La dialettica degli interessi nella disciplina delle società per azioni, Napoli, 2011, 77 ss.; R. Costi, L’interesse sociale nella riforma del diritto azionario, in Diritto, mercato ed etica. Omaggio a P. Marchetti, Milano, 2010, 253.
[221] 
Sulla varietà dei modelli v., M. Spiotta, Evoluzione del diritto concorsuale e modello concordatario: unitarietà o pluralità?, in Fallimento, 2023, 869.
[222] 
In senso opposto v., C. Vasta, sub art. 120 quater, cit., 809 ad avviso della quale la norma troverebbe applicazione anche nel concordato semplificato, in quello di liquidazione ed in quello minore. Anche A. Nigro - D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 452 ritengono che il valore possa essere distribuito ai soci pure nel concordato minore.
[223] 
B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, cit., 480; N. Michieli, Il ruolo dell’assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell’impresa in crisi alla luce del D.Lgs. n. 83/2022, cit., 867; G. Scognamiglio-F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 1197.
[224] 
Rispetto a questo modello il ruolo dei soci è quello dei creditori di ultima istanza v., G. Scognamiglio - F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 1190. 
[225] 
In senso conforme, N. Cadei, Il valore riservato ai soci ex art. 120 quater CCII: brevi riflessioni de iure condito sulla possibile quantificazione, in ristrutturazioni aziendali.it, 7.
[226] 
Non sempre è così perché, ad esempio, nell’art. 87 CCII si prevede che solo per la continuità diretta occorra l’analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi, del fabbisogno finanziario e delle relative modalità di copertura, tenendo conto anche dei costi necessari per assicurare il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro e di tutela dell’ambiente. 
[227] 
Lo esclude D. Galletti, Portata e razionalità economica dell’Absolute Priority Rule, cit., 56, ad avviso del quale non vi sarebbe alcuna ragione, a fronte della cessione dell’azienda, di distribuire il ricavato secondo principi derogatori della APR, perché nessun comportamento funzionalmente utile verrebbe così ad essere incentivato. L’Autore osserva che in ogni caso il piano concordatario imperniato sulla continuità “indiretta” dovrebbe dimostrare di generare un valore “eccedente” quello di liquidazione; e non è certo agevole, nella maggior parte dei casi, dimostrare come la vendita dell’azienda sul mercato, da parte della procedura concordataria, riesca ad assicurare maggiori introiti di quanto non avverrebbe ad opera della eventuale liquidazione giudiziale, ove fosse prevedibile la continuazione dell’impresa ai sensi dell’art. 211 CCII (c.d. “esercizio provvisorio”). In senso opposto, v., G. D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, in Fallimento, 2022, 1230; sulla necessità di calcolare ai fini del valore di liquidazione anche la possibilità della vendita della azienda in esercizio nella liquidazione giudiziale v., Trib. Monza, 18 luglio 2024, in Dirittodellacrisi.it
[228] 
A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, cit., 5.
[229] 
A. Rossi, Il migliore soddisfacimento dei creditori (quattro tesi), in Fallimento, 2017, 640; R. Brogi, Clausole generali e diritto Concorsuale, in Fallimento, 2022, 878.
[230] 
P. Benazzo, Gli assetti proprietari e la circolazione delle partecipazioni sociali nel prisma del codice della crisi e dell’insolvenza, cit., 23.
[231] 
Per simili valutazioni v., M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, cit., 173.
[232] 
G. D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, cit., 1223. Sembra invece considerare equivalenti le due grandezze M. Arato, Il ruolo di soci e amministratori nei quadri di ristrutturazione preventiva, in Dirittodellacrisi.it, 4. 
[233] 
G. D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, cit., 1229. 
[234] 
Il trade-off è sicuramente delicato perché è complicato stabilire la griglia dei valori monetari ante e post ristrutturazione, v., G. Meo, I soci e il risanamento. Riflessioni a margine dello schema di legge delega proposta dalla commissione di riforma, cit., 286; F. Fimmanò, L’allocazione efficiente dell’impresa in crisi mediante la trasformazione dei creditori in soci, in Riv. Società, 2010, 79. 
[235] 
A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, cit., 6.
[236] 
Taluno ha ironizzato sul fatto che nell’ultimo comma dell’art. 120 quater CCII si preveda l’applicazione della norma all’impresa individuale. In verità, a noi pare che la precisazione non sa affatto bizzarra ed anzi più coerente della stessa disposizione che pertiene ai soci, v., D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 105. Quando all’esito della ristrutturazione si conquista il risanamento, questo ha ad oggetto l’impresa, non la società. Alla fine delle attribuzioni ai creditori il residuo valore è un valore dell’impresa e solo mediatamente un valore dei soci. 
[237] 
Trib. Verona, 2 agosto 2023, in Dirittodellacrisi.it.
[238] 
Sul disallineamento di interessi tra classi di creditori e classi di soci, cfr. A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 958. 
[239] 
Solo questo valore può considerarsi “non contendibile” tra creditori e soci, v., P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti corporativi: che ne resta dei soci?, in Dirittodellacrisi.it, 25. 
[240] 
A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 950. 
[241] 
A. Nigro - D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 451; B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, cit., 477; D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, in La questione distributiva, a cura di D. Vattermoli, Pisa, 2023, 99; A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 950; G. Scognamiglio - F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 39. 
[242] 
Si pensi, ad esempio, all’identificazione di adeguati tassi di attualizzazione o alla quantificazione del WACC in caso di utilizzo del metodo dei Discounted Cash Flows
[243] 
A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, cit., 9.
[244] 
M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo delle società, cit., 172.
[245] 
A. Jorio, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2023, 221. 
[246] 
Potranno così essere utilizzati, a seconda della natura del business, i metodi ritenuti idonei al contesto specifico quali, ad esempio, un metodo reddituale, o un metodo patrimoniale, o un metodo misto reddituale-patrimoniale, ovvero ancora il metodo dei Discounted Cash Flows (DCF): così, A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, cit., 7. 
[247] 
A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, ibidem
[248] 
D. Vattermoli, Concordato con continuità aziendale, absolute priority rule e new value exception, in Riv. dir. comm., 2014, 331 ss.; Id., La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità - organizzativa alla residual owner doctrine?, in Riv. Società, 2018, 858 ss. 
[249] 
In termini simili, N. Cadei, Il valore riservato ai soci ex art. 120 quater CCII: brevi riflessioni de iure condito sulla possibile quantificazione, cit., 6.
[250] 
D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 102; A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 950.
[251] 
M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo delle società, cit., 173. 
[252] 
V., nello stesso senso, M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, cit., 173; G. D’Attorre, Relative Priority Rule(s), cit., 82; D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 94. Oppure, al rovescio, la call option potrebbe essere attribuita ai creditori quando il valore è assegnato ai soci, v., A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 959. 
[253] 
A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, cit., 9; N. Cadei, Il valore riservato ai soci ex art. 120 quater CCII: brevi riflessioni de iure condito sulla possibile quantificazione, cit., 14, osserva che il valore derivata, assai probabilmente dallo sviluppo del procedimento e non può essere, quindi, determinato al momento di confezionamento della attestazione. 
[254] 
B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, cit., 479. 
[255] 
A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, cit., 10; sulla anticipazione del momento del controllo, v., Trib. Verona, 21 luglio 2023, in Dirittodellacrisi.it.
[256] 
Sulla complessità della regola v., G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, 169. 
[257] 
A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 951. 
[258] 
A. Nigro - D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 451; A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, cit., 11. 
[259] 
P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti corporativi, cit., 28; A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 951; M. Perrino, Il concordato preventivo, in Lineamenti di diritto della crisi e dell’insolvenza, cura di M. Irrera - F. Pasquariello - M. Perrino, Bologna, 2023, 237; A. Nigro - D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 451; B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, cit., 477; D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 100. In senso diverso, per G. Scognamiglio - F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 35, il valore va sempre valutato in modo assoluto. 
[260] 
Per identiche riflessioni v., A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 951. 
[261] 
A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 951; A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, cit., 3.
[262] 
G.B. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, cit., 1243.
[263] 
A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 448; F. Santangeli-M. Cortese, sub art. 48, cit., 342.
[264] 
Cass., 19 novembre 2018 n. 29741.
[265] 
Viceversa, nei confronti dei coobbligati, dei fideiussori e degli obbligati in via di regresso del debitore invece i creditori conservano impregiudicati i propri diritti ex art. 117. Pertanto, i creditori possono pretendere nei loro confronti l'adempimento per intero del debito senza falcidia concordataria. Il terzo, dopo aver pagato il debito, avrà diritto di regresso nei confronti del debitore nei limiti della percentuale concordataria. L’effetto esdebitatorio non si produce naturalmente nemmeno nei confronti dei creditori posteriori, ossia dei creditori per titolo causa posteriore alla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, fra i quali si annoverano i titolari di diritti che sorgono tra la pubblicazione del ricorso e l'omologazione e i titolari di crediti che nascono dopo l'omologazione.
[266] 
A. Tedoldi, Procedimento unitario, cit.,856, ritiene, però, che il trasferimento presupponga la definitività della decisione di omologazione.
[267] 
I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare, cit., 604, ritiene che si possa, al più, discutere di stabilità della decisione.
[268] 
Sulla oggettivizzazione delle tutele, v., D. Galletti, Le politiche di gestione del rischio, Napoli, 2021, 169. In tale cornice regolatoria la conclusione cui giunge L. Stanghellini, Il Codice della crisi dopo il D.Lgs. n. 83/2022: la tormentata attuazione della direttiva europea in materia di “quadri di ristrutturazione preventiva”, in Crisi e insolvenza nel nuovo Codice. Commento tematico ai DD.Lgs. nn. 14/2019 e 83/2022, a cura di S. Ambrosini, Bologna, 2022, 70 ss., secondo cui “La Direttiva, con la fiducia nell’autodeterminazione delle parti e la riconduzione dei poteri del giudice - almeno quando si tratta di una ristrutturazione in continuità aziendale - al ruolo di arbitro e non di valutatore, appare una sorta di ‘chiodo d’acciaio’ piantato nel cemento del CCII: e purtroppo le crepe si vedono”, non convince perché è la Direttiva e non il Codice che hanno creato la crepa nel principio di autonomia enfatizzato dalla regola della maggioranza. Il ruolo tutorio del giudice era già riemerso nel concordato semplificato, v., G. Fichera, Sul nuovo concordato semplificato: ovvero tutto il potere ai giudici, in Dirittodellacrisi.it, 1 ss.
[269] 
G. D’Attorre, La ristrutturazione “coattiva” dei debiti fiscali e contributivi negli ADR e nel concordato preventivo, in Fallimento, 2021, 153. 
[270] 
Al tribunale è affidato l’uffizio di sovrintendere all’iter di formazione della volontà delle parti e per quel tramite del vincolo negoziale. In tema v. I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore e A. Bassi, 2010, 562. Più recentemente v. G. Carmellino, I giudizi di omologazione tra degiurisdizionalizzazione e contratto, Napoli, 2018. 
[271] 
C. Balbi, I creditori con diritto di prelazione nel concordato preventivo con cessione dei beni, in Riv. Dir. Proc., 1989, 440.
[272] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 155. 
[273] 
Cass., 16 aprile 2018, n. 9378, in, 1415.
[274] 
L. Panzani, I doveri delle parti, in Dirittodellacrisi.it, 2 ss. R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell’ambito dei principi generali del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fallimento, 2021, 589. 

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Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

Il TITOLARE

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Società per lo studio del diritto della crisi

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