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Il cram down fiscale nel concordato preventivo in continuità

Giulio Andreani, Dottore Commercialista e Consulente fiscale in Milano

3 Ottobre 2023

Visualizza: Trib. Lucca, 18 luglio 2023, Pres. Giuntoli, Est. Capozzi

L’A. svolge un’aggiornata riflessione su uno degli istituti di maggior rilievo nella cornice della continuità concordataria.
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1 . La disciplina del cram down prevista dall’art. 88 del Codice della crisi
Il comma 2 bis dell’art. 88 del Codice della crisi (di seguito anche solo “Codice”) stabilisce che il tribunale dispone la omologazione forzosa della transazione fiscale (e contributiva) quando, oltre a essere il soddisfacimento offerto al Fisco e agli enti di previdenza conveniente o non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziale, l’adesione di tali creditori è determinante “ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 109, comma 1”. Poiché quest’ultima disposizione ha a oggetto il solo concordato liquidatorio, occorre domandarsi se l’omologazione forzosa deve ritenersi ammessa esclusivamente in tale tipo di procedura ed è conseguentemente da escludere nel concordato in continuità aziendale. 
Questa tesi potrebbe trovare conferma nell’art. 112, comma 2, lett. d), del Codice, il quale consente al tribunale di omologare il concordato in continuità anche in caso di dissenso da parte di una o più classi (cd. “cross class cram down” o “ristrutturazione trasversale”), in deroga alla regola generale sancita dal comma 1, lett. f) del medesimo art. 112, secondo cui il tribunale omologa tale tipo di concordato solo se tutte le classi hanno votato favorevolmente. Se ne potrebbe, infatti, ricavare che nel concordato in continuità non vi è bisogno della omologazione forzosa prevista dall’art. 88, perché un’altra norma (il comma 2 dell’art. 112) consente il cross class cram down con riguardo a tutti i creditori. In altri termini, poiché l’omologazione forzosa del concordato può riguardare l’intero ceto creditorio, risulterebbe superflua la sua applicazione ai soli creditori tributari e contributivi ai sensi dell’art. 88, al fine di convertirne il loro voto da contrario a favorevole (o di sterilizzarlo, secondo l’indirizzo per cui il cram down fiscale non trasformerebbe un voto da negativo a positivo, ma lo sterilizzerebbe soltanto, escludendolo dal calcolo delle maggioranze). 
Ciò è tuttavia vero nei casi in cui l’adesione dell’Amministrazione finanziaria è, appunto, superflua, ma evidentemente non in tutti, perché, nonostante la possibilità della ristrutturazione trasversale disciplinata dal comma 2, lett. d), dell’art. 112, la funzione della omologazione forzosa della transazione fiscale non può essere esclusa quando l’adesione del Fisco è decisiva rispetto alla realizzazione del presupposto di cui alla prima parte della lett. d) del citato comma 2, cioè ai fini dell’approvazione del concordato da parte della maggioranza delle classi, ove questa possa essere raggiunta solo grazie al cram down fiscale e senza di essa la ristrutturazione trasversale non possa avere luogo. È quanto si verifica qualora, in presenza ad esempio di dieci classi di creditori, cinque di esse esprimano un voto favorevole alla proposta di concordato e le altre cinque, inclusa quella costituita dall’Agenzia delle Entrate, votino negativamente e manchi il voto favorevole della classe “svantaggiata” (o “interessata” a seconda dell’orientamento)[1]: è di tutta evidenza che in questa situazione “di pareggio” il cram down fiscale di cui al comma 2 bis dell’art. 88 una funzione la assolve, nonostante il disposto del comma 2 dell’art. 112, poiché può consentire il raggiungimento del voto favorevole nella maggioranza delle classi e quindi spianare la strada della omologazione del concordato, che sarebbe invece preclusa senza cram down. In tale circostanza è pertanto la ristrutturazione trasversale che può derivare dalla omologazione forzosa della transazione e non l’opposto. 
Se così non fosse, verrebbe tradita la ratio della omologazione forzosa della transazione, che è stata introdotta per fornire al debitore una tutela giurisdizionale avverso l’inerzia e il rigetto ingiustificato e illegittimo della proposta di transazione fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate; tutela che verrebbe meno se nel concordato in continuità, cioè proprio nella procedura che il legislatore ha inteso con più disposizioni incentivare, il cram down fiscale non trovasse spazio. Così come, diversamente opinando, verrebbe impedito il perseguimento di quel prevalente interesse concorsuale alla omologazione del concordato enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la nota sentenza 25 marzo 2021, n. 8504, il quale - secondo la Suprema Corte - deve prevalere su quello fiscale.
Occorre inoltre considerare che il comma 2 bis dell’art. 88 richiede, ai fini della omologazione forzosa, non solo la convenienza ma anche il carattere “non deteriore” della proposta di transazione fiscale. Orbene, non può essere priva di rilevo la circostanza che il comma 2 del medesimo art. 88 (cioè quello immediatamente precedente il comma 2 bis) stabilisca che l’attestazione del professionista indipendente deve avere a oggetto “la convenienza della proposta di trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale e, nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore”, cioè non deteriore rispetto a quello alternativamente discendente dalla liquidazione giudiziale. In tale disposizione il legislatore attribuisce quindi rilevanza alla convenienza in un tipo di concordato (quello liquidatorio) e al carattere non deteriore del trattamento nell’altro (quello in continuità). Ciò posto, atteso che il comma 2 bis richiede, ai fini della omologazione forzosa del concordato, che la proposta di soddisfacimento dei creditori pubblici sia conveniente o non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria, non può non trarsi - dall’indicazione di tale duplice parametro – un elemento a favore dell’interpretazione secondo cui la omologazione forzosa può essere disposta non solo nel concordato liquidatorio, in presenza di un soddisfacimento “conveniente”, ma anche nel concordato in continuità aziendale, in presenza di un soddisfacimento “non deteriore” dei creditori pubblici. Tanto più che la medesima differenziazione - fra convenienza e carattere non deteriore del trattamento - è contenuta nel precedente comma 2 del medesimo articolo, che disciplina in generale il contenuto dell’attestazione e dunque senza distinguere fra una forma e l’altra di omologazione.
Per questi motivi, la ricostruzione della disciplina più coerente con la ratio del cram down fiscale e dello stesso concordato in continuità pare essere quella per cui:
- il cram down fiscale non è applicabile, in quanto superfluo, ogni qualvolta, indipendentemente da esso, il concordato può essere omologato, nonostante il voto contrario del Fisco, a seguito del già avvenuto raggiungimento del voto favorevole nella maggioranza delle classi ovvero in virtù del voto favorevole della classe “svantaggiata” (o “interessata” a seconda dell’orientamento) di cui alla seconda parte della lettera d) del già citato comma 2 dell’art. 112 del Codice;
- il cram down fiscale non è applicabile, in quanto inutile, ogni qualvolta, indipendentemente da esso, il concordato non può essere comunque omologato, perché, indipendentemente dal voto del Fisco, non può essere conseguita l’approvazione da parte della maggioranza delle classi e manca il voto favorevole della classe “svantaggiata” (o “interessata” a seconda dell’orientamento);
- il cram down fiscale è applicabile quando solo grazie a esso la proposta può risultare approvata dalla maggioranza delle classi di creditori, se non anche nel caso in cui, seppur in assenza di tale maggioranza, la classe dei crediti tributari (o contributivi) rappresenta la classe “svantaggiata” (o “interessata”)[2].
2 . La sentenza del Tribunale di Lucca 18 luglio 2023, n. 62/2023, contraria alla possibilità di omologazione forzosa nel concordato in continuità
La possibilità di attuazione del cram down fiscale nel concordato preventivo in continuità è stata tuttavia recentemente esclusa, con sentenza del 18 luglio 2023, n. 62/2023, dal Tribunale di Lucca (per quanto consta, si tratta della prima pronuncia giurisprudenziale su questo tema), per i seguenti motivi:
A) L’incipit dell’art. 88, comma 1, del Codice della crisi e dell’insolvenza introdotto dal decreto legislativo n. 83/2022, in base al quale resta fermo “quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’articolo 112, comma 2”, fa salve le diverse previsioni di tale norma; inoltre, il comma 2 bis del medesimo articolo, che disciplina il cram down fiscale, richiama l’art. 109, comma 1, il quale dispone in merito al concordato liquidatorio, ma non l’art. 109, comma 5, relativo al concordato in continuità, né il comma 2 dell’art. 112, che regola la ristrutturazione trasversale in tale tipo di concordato. Ne discende che sotto il profilo letterale non esiste una connessione fra omologazione forzosa e concordato in continuità.
B) Un’interpretazione estensiva del citato comma 2 bis deve essere negata perché:
a) la direttiva insolvency, nel dettare le condizioni della ristrutturazione trasversale dei debiti, non fa mai riferimento alla (e quindi non consente la) possibilità di considerare un voto non espresso da un creditore, o da una classe di creditori, come un voto adesivo per effetto di una fictio iuris, ma richiede che la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi o da una particolare classe (svantaggiata o interessata);
b) il cram down fiscale è stato pensato nel nostro ordinamento in un contesto in cui non esisteva la regola della priorità relativa (RPR), ma solo quella della priorità assoluta (APR): non si può pertanto applicare la stessa soluzione alla diversa ipotesi in cui la distribuzione dei beni futuri avviene non secondo l’APR ma in base alla RPR, imponendo a un creditore una soluzione che lo penalizza (per quanto attiene la distribuzione del surplus concordatario) in difetto di una sua volontà esplicita, poiché l’approvazione della proposta della maggioranza delle classi richiesta ai fini della omologazione del concordato deve essere infatti esplicita;
c) il cram down fiscale non sarebbe consentito negli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, in cui l’accordo è imposto anche a creditori non aderenti e, pertanto, ove fosse consentito nel concordato produrrebbe “l’effetto di estendere l’efficacia dell’accordo non solo al creditore pubblico contrario o non aderente, ma anche a tutti gli altri creditori non aderenti”;
d) la disciplina del PRO consente al debitore, la cui proposta non sia stata approvata dall’unanimità delle classi, di modificare la domanda formulando una proposta di concordato preventivo. Ciò posto, ritenere che l’approvazione della proposta di concordato preventivo sia possibile per effetto dell’applicazione dell’art. 88, comma 2 bis, senza una significativa modifica del contenuto della proposta, darebbe luogo “a un’evidente incoerenza di sistema”.
C) Inoltre, le regole che disciplinano la RPR e il cram down fiscale sono norme di carattere eccezionale, insuscettibili quindi di applicazione analogica.
3 . Superamento dei motivi su cui si fonda la tesi contraria all’applicazione del cram down fiscale nel concordato in continuità
Le disposizioni previste dai citati articoli 88 e 112 sono assai complesse ed è quindi comprensibile che possano essere oggetto di diverse interpretazioni. Tuttavia, la suddetta sentenza non pare condivisibile per le seguenti ragioni.
3.1 . La lettera del comma 2 bis dell’art. 88 del Codice della crisi, il richiamo dell’art. 109, comma 1, e il coordinamento con la lettera d) del comma 2 dell’art. 112
Il riferimento all’art. 109, comma 1, contenuto nel comma 2 bis dell’art. 88, al solo concordato liquidatorio e non anche a quello in continuità, non sembra ostacolare le conclusioni esposte nel par. 1, avendo esso uno scopo diverso da quello di escludere l’applicazione del cram down fiscale nella procedura in continuità aziendale. Tale riferimento è infatti previsto da una norma che attiene alla omologazione del concordato e che ha a oggetto le percentuali di approvazione della proposta; sarebbe stato pertanto incoerente prevedere un analogo riferimento anche con riguardo al concordato in continuità, la cui omologazione prescinde dall’approvazione della proposta da parte di una percentuale dei crediti ammessi al voto,  essendo essa consentita in presenza dell’approvazione da parte della maggioranza delle classi (anche in assenza del voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti) e - secondo l’indirizzo prevalente -  persino con il voto di una sola classe, se ricorrono i presupposti di cui alla seconda parte della lett. d) del comma 2 dell’art. 112, cioè l’approvazione della proposta da parte della classe “svantaggiata” (o “interessata”, a seconda dell’orientamento). Sarebbe certamente tutto più chiaro se il comma 2 bis dell’art. 88 contenesse un espresso riferimento anche al carattere determinante dell’adesione dei creditori pubblici ai fini del raggiungimento dei presupposti previsti dalla lett. d) del comma 2 dell’art. 112. Tuttavia, la mancata previsione di una simile disposizione - oltre a essere, come si è osservato, giustificata dal fatto che, essendo il richiamo previsto da una norma che attiene alla omologazione del concordato liquidatorio e avendo questa a oggetto le percentuali di approvazione, sarebbe stato incoerente prevedere tale richiamo anche per il concordato in continuità - può essere dovuta non tanto alla volontà del legislatore di escludere il cram down fiscale nel concordato in continuità, quanto al fatto che in questa procedura la necessità della omologazione forzosa dovrebbe essere  meno frequente, grazie alle possibilità di ristrutturazione trasversale previste dalla citata lett. d), il che può avere indotto il redattore della norma a trascurare di disciplinare espressamente questa fattispecie, in quanto per così dire residuale, pur senza volerla escludere. Inoltre, occorre considerare che l’attuale comma 2 bis dell’art. 88 deriva dalle modifiche introdotte nel Codice della crisi con il D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, con cui in detto comma è stata trasposta (sostanzialmente senza modifiche, salvo l’introduzione del concetto di non deteriorità del trattamento proposto) la norma precedentemente recata dal comma 5 dell’art. 48, la quale richiamava, sì, il solo comma 1 dell’art. 109, ma ciò avveniva in un momento in cui quest’ultima disposizione, per quanto attiene alle regole di approvazione della proposta concordataria, non distingueva fra concordato liquidatorio e concordato in continuità e pertanto il richiamo al citato comma 1 dell’art. 109 era necessariamente riferito a entrambi i tipi di concordato. Quale significato attribuire, dunque, al fatto che a seguito della modifica dell’art. 109 operata dal medesimo D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 (che ha distinto le regole di approvazione della proposta concordataria fra concordato liquidatorio e in continuità) il menzionato comma 2 bis è rimasto sostanzialmente immutato? Trarre dal mantenimento, nel comma 2 bis, del riferimento al comma 1 dell’art. 109, nonostante le modifiche “incrociate” intervenute, la conclusione che in tal modo il legislatore abbia voluto escludere la possibilità del cram down nel concordato in continuità pare davvero troppo. Infatti: 1) detta circostanza può essere semplicemente il frutto di un mancato coordinamento, peraltro nemmeno essenziale, atteso che il comma 1 dell’art. 109, mediante il richiamo del comma 5 del medesimo articolo, in fin dei conti menziona anche il concordato in continuità; 2) l’unica modifica che il comma 2 bis presenta rispetto al previgente comma 5 dell’art. 48 è costituita dall’introduzione della disposizione che richiede, ai fini della omologazione forzosa, il carattere non deteriore del trattamento dei crediti tributari, in alternativa al requisito della convenienza, e tale integrazione - come si è già osservato – ha senso solo se si assume che il cram down possa avere a oggetto anche la proposta di transazione presentata nel concordato in continuità, considerato il necessario legame fra l’ultima parte del comma 2 bis e quella del precedente comma 2.In conclusione, il dato letterale ricavabile dai più volte citati comma 2 bis dell’art. 88 e comma 1 dell’art. 109 non appare di per sé sufficiente per risolvere la questione interpretativa di cui trattasi e, a maggior ragione, per risolverla escludendo l’omologazione forzosa nel concordato in continuità. 
Né varrebbe per contro obiettare che, assumendo - in virtù della conversione discendente dal cram down fiscale - come positivo il voto negativo espresso dalla classe costituita dai crediti tributari, un concordato potrebbe essere omologato, ove tale classe sia “svantaggiata” (o “interessata”), anche in assenza del voto positivo di una sola classe di creditori. Innanzitutto perché relativamente alla classe dei crediti tributari il voto che rileva non deve essere quello espresso dal Fisco, in quanto evidentemente illegittimo ove sia passibile di conversione forzosa da parte del tribunale, ma quello risultante dal cram down (come si preciserà meglio nel par. 3.6); inoltre, e indipendentemente da tale considerazione, perché, per superare tale obiezione, seppur finendo per limitare lo spazio della omologazione forzosa nel concordato in continuità, sarebbe sufficiente considerare il cram down rilevante solo ai fini del raggiungimento della maggioranza delle classi richiesta dalla prima parte della lett. d) del comma 2 dell’art. 112, e non anche in ordine alla omologazione del concordato, ai sensi dell’ultima parte della medesima lett. d),  in virtù della sola adesione della classe “svantaggiata” (o “interessata”) costituita da un creditore pubblico che non abbia espresso un voto favorevole alla proposta di concordato (fermo restando che questo effetto non sarebbe affatto in contrasto con la ratio della omologazione forzosa).
3.2 . L’incipit del comma 1 dell’art. 88 del Codice della crisi
L’applicabilità del cram down fiscale nel concordato in continuità non è ostacolata nemmeno dall’incipit del comma 1 dell’art. 88 del Codice, a norma del quale, contestualmente alla domanda di concordato preventivo, il debitore può formulare una proposta di transazione fiscale ... “Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’articolo 112, comma 2, …”.
In tale disposizione non vi è infatti nulla che imponga di ritenere che nel concordato in continuità la omologazione forzosa della transazione fiscale non sia consentita, in quanto assorbita dalla ristrutturazione trasversale disciplinata dal citato comma 2 dell’art. 112, con la conseguenza che l’adesione della maggioranza delle classi o quella della classe “svantaggiata” (o “interessata”) non potrebbe mai derivare dalla conversione del voto dell’amministrazione finanziaria (da negativo a positivo), ovvero dalla sua sterilizzazione (secondo un diverso indirizzo), per effetto del cram down fiscale. Del resto, tale disposizione è stata collocata nel comma 1 dell’art. 88, che ha a oggetto il contenuto della proposta di transazione e le regole che devono essere osservate affinché questa sia legittima, e non nel comma 2 bis che disciplina l’omologazione forzosa. Peraltro, neppure nel caso in cui tale incipit fosse stato collocato nel comma 2 bis se ne sarebbe potuta trarre la volontà del legislatore di escludere l’omologazione forzosa, atteso che anche in tale ipotesi si sarebbe dovuto ritenere semplicemente che ai fini dell’omologazione sarebbe stato necessaria la sussistenza dei presupposti previsti tanto dal comma 2 bis dell’art. 88 quanto dal citato comma 2 dell’art. 112: in aggiunta, però, e non in sostituzione di quelle del menzionato comma 2 bis.  
In conclusione tale incipit può infatti essere interpretato, senza privarlo di rilevanza, nel senso che: (i) il tribunale omologa il concordato liquidatorio se, oltre a sussistere gli altri presupposti previsti dal comma 1 dell’art. 112, la proposta è approvata dai creditori a norma del comma 1 dell’art. 109, cioè con il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto, e inoltre, ove siano previste le classi, con quello del maggior numero di classi; (ii) il tribunale omologa il concordato in continuità, quando una o più classi di creditori sono dissenzienti, soltanto se sono rispettati gli ulteriori presupposti previsti dal comma 2 dell’art. 112 (tra i quali l‘adesione della maggioranza delle classi o anche solo di una classe “svantaggiata” (o “interessata”), potendo l’adesione della classe dei crediti tributari derivare non soltanto dalla favorevole espressione del voto da parte del Fisco ma anche dal cram down fiscale, attraverso la conversione del voto dell’Amministrazione finanziaria (da negativo a positivo). Ne discende che l’attuabilità del cram down nel concordato in continuità non è in ogni caso toccata dalle disposizioni recate dal comma 2 dell’art. 112 richiamato nel suddetto incipit.
3.3 . La compatibilità del cram down fiscale con la regola della priorità relativa
Come si è riferito, secondo il tribunale toscano il cram down fiscale sarebbe stato pensato nel nostro ordinamento in un contesto in cui non esisteva la regola della priorità relativa (RPR), ma solo quella della priorità assoluta (APR): non si potrebbe pertanto applicare la stessa soluzione alla diversa ipotesi in cui la distribuzione dei beni futuri avviene non secondo l’APR ma in base alla RPR, imponendo a un creditore una soluzione che lo penalizza (per quanto attiene la distribuzione del surplus concordatario) in difetto di una sua volontà esplicita. 
A ben vedere, già prima dell’entrata in vigore del Codice tale regola trovava in realtà applicazione relativamente al trattamento dei debiti tributari ed era compatibile con la omologazione forzosa della transazione fiscale. Infatti, in vigenza della legge fallimentare, sebbene nell’ambito del concordato preventivo l’art. 160, comma 2, L. fall., imponesse l’adozione della sola APR, per cui il soddisfacimento parziale dei creditori muniti di privilegio generale poteva trovare un fondamento giustificativo solo nell’incapienza del patrimonio del debitore (Cass., 8 giugno 2020, n. 10884), era da ritenersi che relativamente ai crediti tributari (e contributivi) privilegiati non trovasse applicazione tale regola, bensì quella della RPR. Ciò perché il trattamento di detti crediti era disciplinato dal principio della convenienza della proposta (oltre che da quello del divieto di trattamento deteriore rispetto a quelli di rango inferiore, sancito dall’art. 182 ter, comma 1, L. fall. e ora dall’art. 88 del Codice) e detto principio comportava necessariamente una deroga alla regola della priorità assoluta, applicabile invece per la generalità dei crediti assistiti da una legittima causa di prelazione. Infatti, per il principio della convenienza la transazione fiscale doveva essere approvata, in via ordinaria dall’Agenzia delle Entrate e, ove necessario, in via forzosa dal tribunale, nonostante il mancato rispetto della regola della priorità assoluta, se il soddisfacimento complessivamente offerto relativamente ai crediti tributari fosse stato migliore di quello discendente dal fallimento dell’impresa debitrice (la convenienza derivava generalmente dalla possibilità di destinare al Fisco somme rivenienti dalla prosecuzione dell’attività, che non si sarebbero prodotte, e non sarebbero state quindi attribuibili ai creditori, in caso di fallimento). Queste conclusioni sono state del resto confermate, con l’ordinanza 26 maggio 2022, n. 1755, dalla Corte di Cassazione, la quale ha appunto stabilito che anche nel regime previgente i crediti tributari (e contributivi) erano già soggetti, per quanto attiene agli effetti della ripartizione del “surplus concordatario”, alla regola della priorità relativa, essendo sufficiente prevedere - in forza dell’art. 182 ter L. fall. - un trattamento di detti crediti più vantaggioso di quello destinato ai crediti privilegiati di grado inferiore e a quelli chirografari, ma al tempo stesso migliore rispetto al soddisfacimento che tali crediti avrebbero ricevuto mediante l’alternativa liquidazione da quantificare senza i flussi di cassa generati dalla prosecuzione dell’attività. 
Alla medesima conclusione era peraltro giunta, sebbene cripticamente, con la circolare n. 34/E del 29 dicembre 2020, anche l’Agenzia delle Entrate, la quale, pur nell’assunto della natura “endogena” dei flussi di cassa generati dalla prosecuzione dell’attività economica (come tali da considerare facenti parte del patrimonio del debitore), aveva comunque ammesso che tale natura non ne avrebbe impedito l’utilizzo per soddisfare crediti di rango inferiore a quelli fiscali, a patto che questi ultimi avessero in ogni caso ricevuto un soddisfacimento migliore e la proposta di transazione (proprio grazie alla prosecuzione dell’attività d’impresa consentita anche dall’applicazione della regola della priorità relativa) fosse risultata comunque conveniente per l’Erario (la prassi delle direzioni provinciali e regionali dell’Agenzia delle Entrate è generalmente stata improntata a un atteggiamento di buon senso corrispondente a questi criteri di valutazione). Vi è inoltre da considerare che la RPR è pacificamente applicabile nei confronti tanto dei creditori favorevoli al concordato quanto a quelli contrari e questi ultimi non possono sottrarsi agli effetti da essa prodotti solo perché hanno espresso un voto contrario alla proposta concordataria. Ciò che rileva è che tali creditori ricevano, a seguito dell’adozione della RPR e dell’omologazione forzosa, un soddisfacimento più conveniente della liquidazione giudiziale e migliore di quello attribuito ai creditori di rango inferiore.
Per questi motivi, non pare sussistere alcun contrasto, e neppure una connessione, tra il cram down fiscale e la RPR, poiché gli effetti di tale regola prescindono dall’approvazione sia del singolo creditore che di tale regola concretamente beneficia (rispetto alla liquidazione giudiziale), sia del singolo creditore che tale regola astrattamente subisce (rispetto all’applicazione dell’APR anche con riguardo al surplus concordatario), e, in ogni caso, nessuna penalizzazione possono provocare in capo ai creditori comparativamente con la liquidazione giudiziale. È vero semmai l’opposto e cioè che l’omologazione forzosa consente il miglior soddisfacimento dei crediti tributari ogniqualvolta l’Amministrazione finanziaria rigetti, a causa di un’errata valutazione o per altre ragioni, una proposta di transazione conveniente; e a maggior ragione, quando, come nel caso oggetto della pronuncia del Tribunale di Lucca, la proposta di transazione fiscale è certamente conveniente per l’Agenzia delle Entrate e viene rigettata – come talvolta accade e come è accaduto nel caso predetto - soprattutto in base alla condotta pregressa dell’impresa debitrice, in base quindi a una valutazione della meritevolezza del debitore, attraverso la reintroduzione, del tutto illegittima, nel diritto della crisi di un requisito che il legislatore ha espunto quasi vent’anni fa.
3.4 . La comparazione fra concordato in continuità e accordo di ristrutturazione a efficacia estesa
Inconferente pare l’ulteriore motivo utilizzato dal Tribunale di Lucca, secondo cui dovrebbe rinvenirsi conferma dell’inapplicabilità del cram down fiscale nel concordato in continuità nella disposizione recata dall’art. 61, comma 2, lettera c), del Codice, a norma della quale, qualora i creditori aderenti all’accordo di ristrutturazione dei debiti rappresentino almeno il settantacinque per cento di tutti i crediti facenti parte di una categoria omogenea, l’efficacia dell’accordo viene estesa ai creditori non aderenti che fanno parte della medesima categoria; ciò perché - si legge nella sentenza - “il cram down, ove fosse consentito, porterebbe con sé l’effetto di estendere l’efficacia dell’accordo non solo al creditore pubblico, ma anche a tutti gli altri creditori non aderenti”; quindi “ammettere una diversa soluzione consentirebbe, in altre parole, di realizzare un cram down indiretto anche per i creditori, diversi da quelli pubblici, non aderenti appartenenti alla medesima categoria”.
Questo motivo “prova troppo”, perché equipara procedure fra loro differenti e finirebbe per escludere l’applicazione dell’omologazione forzosa in qualsiasi tipo di concordato, incluso quello liquidatorio in cui è pacifico che il cram down trovi applicazione. Il fatto è che gli effetti prodotti dalla omologazione forzosa nel concordato preventivo non possono essere confrontati con quelli generati dalla omologazione forzosa nell’accordo di ristrutturazione, al fine di escludere, ritenendoli illegittimi, quelli che non sono comuni a entrambe le procedure, sul presupposto che siano anomali e asistematici; infatti, gli effetti della omologazione forzosa sono in tali due procedure ontologicamente differenti e conseguentemente è del tutto naturale che non siano i medesimi. È vero che nell’accordo di ristrutturazione il cram down fiscale rileva solo con riguardo ai crediti tributari e contributivi e non si riflette indirettamente su altri creditori imponendo loro l’adesione all’accordo, mentre l’omologazione del concordato che consegue all’approvazione della proposta concordataria resa possibile dal cram down fiscale rileva indirettamente (consentendo il raggiungimento delle maggioranze necessarie) per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione della domanda di accesso alla procedura; tuttavia ciò è la conseguenza della diversa natura dei due istituti, atteso che nel concordato vige il principio maggioritario e, ai sensi dell’art. 117 del Codice, il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori, compresi quelli che non lo hanno approvato, mentre l’adesione all’accordo di ristrutturazione rileva solo per i creditori dai quali l’adesione viene espressa. Tale differenza ontologica non viene meno neppure se si confrontano gli effetti della omologazione forzosa nel concordato con quelli che si producono nell’accordo a efficacia estesa, perché – quanto meno in base all’indirizzo prevalente - in quest’ultima procedura l’estensione dell’accordo ai creditori non aderenti si produce solo se a esso hanno prestato adesione (volontaria e non forzosa) i creditori che rappresentano il settantacinque per cento dei crediti della medesima categoria;  nel concordato preventivo (certamente in quello liquidatorio), invece, l’approvazione della proposta, a seguito della quale (e della successiva omologazione) il concordato è obbligatorio anche per i creditori dissenzienti, può pacificamente derivare anche dalla omologazione forzosa relativa ai crediti tributari e contributivi (e persino nel caso in cui tali crediti costituiscano da soli la maggioranza  dei crediti). In conclusione, le due procedure hanno diversa natura ed è dunque fisiologico che non producano i medesimi effetti; per tale motivo non possono essere considerati anomali e pertanto da rimuovere gli effetti dell’una che non si generano nell’altra. Se si intende eseguire una comparazione fra procedure, questa non dovrebbe essere quella fra il concordato in continuità e l’accordo di ristrutturazione, ma, semmai, quella fra concordato in continuità e concordato liquidatorio; e tale comparazione deporrebbe a favore dell’applicabilità del cram down fiscale in entrambi i tipi di procedura concordataria.
3.5 . La comparazione fra il concordato preventivo e il PRO
Il Tribunale di Lucca trae inoltre conferma della propria tesi, circa l’esclusione della omologazione forzosa nel concordato, anche dal fatto che nel PRO il cram down fiscale non è previsto, dal che discenderebbe che il cram down sarebbe da escludere anche nel concordato. Non pare metodologicamente corretto individuare la disciplina della transazione fiscale nel concordato in continuità sulla base delle norme che regolano il PRO, perché in questa procedura la transazione fiscale non è proprio prevista, come risulta chiaramente dall’assenza di una norma che la disciplini e dal mancato richiamo del sopra citato art. 88 da parte del comma 9 dell’art. 64 bis del Codice (che disciplina il PRO), il quale, eppure, richiama sia l’art. 89 sia l’art. 90, per il che è da escludere che tale mancato richiamo possa essere frutto di una dimenticanza. Conseguentemente, dal fatto che nel PRO non sia attuabile l’omologazione forzosa non può farsi discendere che quest’ultima non si applica nemmeno nel concordato, poiché in base al medesimo principio dovrebbe pervenirsi anche alla conclusione che, poiché nel PRO non è prevista la transazione fiscale, questa non dovrebbe trovare applicazione (neppure senza omologazione forzosa) nel concordato preventivo, mentre è pacifico il contrario. Il fatto è che nel PRO non vi è spazio per il cram down della transazione fiscale innanzitutto perché non è prevista la transazione fiscale stessa; una disciplina differente da quella del concordato è quindi pienamente fisiologica. Inoltre, mentre – come si è già ricordato – nel concordato preventivo vige il principio maggioritario, il PRO è fondato sull’integrale adesione di tutte le classi di creditori. Pertanto, anche queste due procedure presentano differenti nature e differenti regimi, con la conseguenza che la disciplina dell’una non può essere ricavata da quella dell’altra (al di fuori degli effetti delle norme oggetto di richiamo); inoltre, essendo il PRO fondato sulla regola dell’adesione integrale delle classi di creditori, è di tutta evidenza, che, anche ove la transazione vi venisse introdotta, il cram down contrasterebbe con detta regola e non potrebbe comunque essere previsto, costituendo esso manifestazione di una regola opposta a quella dell’unanime adesione delle classi che informa tale istituto, con la conseguenza che i due regimi sarebbero comunque incomparabili.
Queste considerazioni, relative alla differente natura di PRO e concordato preventivo, consentono di superare anche l’ultimo argomento utilizzato dal Tribunale di Lucca, il quale facendo riferimento a una ipotetica proposta di PRO che, pur essendo congegnata in modo da realizzare le condizioni previste dalle lettere a), b) e c) del comma 2 dell’art. 112 del Codice, non sia stata approvata dalla unanimità delle classi a causa della mancata adesione del Fisco e degli enti previdenziali, afferma che, ove tale proposta venisse convertita ex art. 64 quater in una domanda di concordato in continuità, qualora il cram down fiscale trovasse applicazione verrebbe in tal modo consentito “di conseguire un risultato non raggiungibile nel PRO, senza che vi sia alcuna ragione giustificativa della diversa soluzione”. Ancora una volta, la sentenza non pare tener conto della differente natura e della diversa disciplina delle procedure che sottopone a comparazione, pretendendo di considerare anomale e dunque da eliminare le disposizioni dell’una che non trovano corrispondenza in quelle dell’altra. I regimi dei diversi istituti disciplinati dal Codice della crisi sono fra loro diversi, come emerge, ad esempio proprio con riguardo alla transazione fiscale, anche dal fatto che questo istituto è previsto nel concordato e nell’accordo di ristrutturazione dei debiti, ma non nel PRO, nella composizione negoziata e nel piano attestato. Che in taluni casi il concordato possa produrre effetti favorevoli per l’impresa debitrice non conseguibili con il PRO o con altri istituti, e viceversa, è del tutto evidente, ma non è certamente illegittimo. Delle differenze fra istituti volute dal legislatore l’interprete dovrebbe prendere atto, evitando di eliminarle in quanto ritenute anomale, omogeneizzando discipline che il legislatore ha voluto differenti.
3.6 . La funzione del cram down quale unico e imprescindibile strumento di tutela giurisdizionale del contribuente
Last but not least, occorre più in generale considerare che l’effetto principale discendente dall’esclusione dell’omologazione forzosa della transazione fiscale nel concordato in continuità è costituito dalla rigenerazione nell’ordinamento di quella (grave) lacuna che con l’introduzione della norma sul cram down il legislatore aveva inteso colmare. Infatti, come si è già osservato, attraverso l’omologazione forzosa è stata fornita alle imprese debitrici una reale tutela giurisdizionale contro i provvedimenti di rigetto delle proposte di transazione fiscale emessi dall’amministrazione finanziaria in contrasto con i principi che disciplinano questo istituto e con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione stabilito dall’art. 97 della Costituzione; tutela che sino all’introduzione di tale norma, pur essendo teoricamente sussistente, era risultata di fatto inattuabile. Escludere la transazione fiscale nel concordato in continuità significherebbe dunque lasciare il debitore privo di tutela di fronte a un illegittimo diniego del Fisco, ostacolando il risanamento aziendale proprio nella procedura che il Codice della crisi incentiva più di altre. Conseguentemente il voto rilevante ai fini della ristrutturazione trasversale non può essere quello espresso dal Fisco, bensì quello che risulta dal provvedimento del tribunale al quale venga eventualmente richiesto dal debitore di pronunciarsi sulla legittimità di tale voto, ove sia negativo e determinate ai fini della maggioranza richiesta dal citato comma 2 e, al tempo stesso, la transazione sia conveniente per l’Erario. Del resto, per quale motivo dovrebbe essere dato peso a un provvedimento illegittimo dell’Amministrazione finanziaria e non a quello, legittimo per definizione, dell’Autorità giudiziaria concernente la riforma dell’atto amministrativo da cui il voto deriva? Mentre gli altri creditori possono esprimere un voto anche contro il loro interesse (e, peraltro, anche in questo caso entro certi limiti), ciò non è, infatti, consentito ai creditori pubblici, la cui azione è soggetta al principio della discrezionalità vincolata, in base al quale le Entrate, come gli enti previdenziali, sono tenute a ricercare il miglior recupero dei loro crediti anche alla luce della situazione del debitore, con la conseguente approvazione delle proposte convenienti rispetto alla liquidazione giudiziale e il conseguente rigetto di quelle non convenienti.

Note:

[1] 
Su questo tema si veda: G. Andreani – F. D’Aquino, Nel concordato in continuità omologa anche con dissenso, il Sole 24 Ore del 3 luglio 2023.
[2] 
Si vedano al riguardo: G. Andreani – F. D’Aquino, Cram down fiscale anche nel concordato in continuità, il Sole 24 Ore del 25 luglio 2023, da cui alcuni degli argomenti esposti sono tratti.

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