Il comma 2 bis dell’art. 88 del Codice della crisi (di seguito anche solo “Codice”) stabilisce che il tribunale dispone la omologazione forzosa della transazione fiscale (e contributiva) quando, oltre a essere il soddisfacimento offerto al Fisco e agli enti di previdenza conveniente o non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziale, l’adesione di tali creditori è determinante “ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 109, comma 1”. Poiché quest’ultima disposizione ha a oggetto il solo concordato liquidatorio, occorre domandarsi se l’omologazione forzosa deve ritenersi ammessa esclusivamente in tale tipo di procedura ed è conseguentemente da escludere nel concordato in continuità aziendale.
Questa tesi potrebbe trovare conferma nell’art. 112, comma 2, lett. d), del Codice, il quale consente al tribunale di omologare il concordato in continuità anche in caso di dissenso da parte di una o più classi (cd. “cross class cram down” o “ristrutturazione trasversale”), in deroga alla regola generale sancita dal comma 1, lett. f) del medesimo art. 112, secondo cui il tribunale omologa tale tipo di concordato solo se tutte le classi hanno votato favorevolmente. Se ne potrebbe, infatti, ricavare che nel concordato in continuità non vi è bisogno della omologazione forzosa prevista dall’art. 88, perché un’altra norma (il comma 2 dell’art. 112) consente il cross class cram down con riguardo a tutti i creditori. In altri termini, poiché l’omologazione forzosa del concordato può riguardare l’intero ceto creditorio, risulterebbe superflua la sua applicazione ai soli creditori tributari e contributivi ai sensi dell’art. 88, al fine di convertirne il loro voto da contrario a favorevole (o di sterilizzarlo, secondo l’indirizzo per cui il cram down fiscale non trasformerebbe un voto da negativo a positivo, ma lo sterilizzerebbe soltanto, escludendolo dal calcolo delle maggioranze).
Ciò è tuttavia vero nei casi in cui l’adesione dell’Amministrazione finanziaria è, appunto, superflua, ma evidentemente non in tutti, perché, nonostante la possibilità della ristrutturazione trasversale disciplinata dal comma 2, lett. d), dell’art. 112, la funzione della omologazione forzosa della transazione fiscale non può essere esclusa quando l’adesione del Fisco è decisiva rispetto alla realizzazione del presupposto di cui alla prima parte della lett. d) del citato comma 2, cioè ai fini dell’approvazione del concordato da parte della maggioranza delle classi, ove questa possa essere raggiunta solo grazie al cram down fiscale e senza di essa la ristrutturazione trasversale non possa avere luogo. È quanto si verifica qualora, in presenza ad esempio di dieci classi di creditori, cinque di esse esprimano un voto favorevole alla proposta di concordato e le altre cinque, inclusa quella costituita dall’Agenzia delle Entrate, votino negativamente e manchi il voto favorevole della classe “svantaggiata” (o “interessata” a seconda dell’orientamento)[1]: è di tutta evidenza che in questa situazione “di pareggio” il cram down fiscale di cui al comma 2 bis dell’art. 88 una funzione la assolve, nonostante il disposto del comma 2 dell’art. 112, poiché può consentire il raggiungimento del voto favorevole nella maggioranza delle classi e quindi spianare la strada della omologazione del concordato, che sarebbe invece preclusa senza cram down. In tale circostanza è pertanto la ristrutturazione trasversale che può derivare dalla omologazione forzosa della transazione e non l’opposto.
Se così non fosse, verrebbe tradita la ratio della omologazione forzosa della transazione, che è stata introdotta per fornire al debitore una tutela giurisdizionale avverso l’inerzia e il rigetto ingiustificato e illegittimo della proposta di transazione fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate; tutela che verrebbe meno se nel concordato in continuità, cioè proprio nella procedura che il legislatore ha inteso con più disposizioni incentivare, il cram down fiscale non trovasse spazio. Così come, diversamente opinando, verrebbe impedito il perseguimento di quel prevalente interesse concorsuale alla omologazione del concordato enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la nota sentenza 25 marzo 2021, n. 8504, il quale - secondo la Suprema Corte - deve prevalere su quello fiscale.
Occorre inoltre considerare che il comma 2 bis dell’art. 88 richiede, ai fini della omologazione forzosa, non solo la convenienza ma anche il carattere “non deteriore” della proposta di transazione fiscale. Orbene, non può essere priva di rilevo la circostanza che il comma 2 del medesimo art. 88 (cioè quello immediatamente precedente il comma 2 bis) stabilisca che l’attestazione del professionista indipendente deve avere a oggetto “la convenienza della proposta di trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale e, nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore”, cioè non deteriore rispetto a quello alternativamente discendente dalla liquidazione giudiziale. In tale disposizione il legislatore attribuisce quindi rilevanza alla convenienza in un tipo di concordato (quello liquidatorio) e al carattere non deteriore del trattamento nell’altro (quello in continuità). Ciò posto, atteso che il comma 2 bis richiede, ai fini della omologazione forzosa del concordato, che la proposta di soddisfacimento dei creditori pubblici sia conveniente o non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria, non può non trarsi - dall’indicazione di tale duplice parametro – un elemento a favore dell’interpretazione secondo cui la omologazione forzosa può essere disposta non solo nel concordato liquidatorio, in presenza di un soddisfacimento “conveniente”, ma anche nel concordato in continuità aziendale, in presenza di un soddisfacimento “non deteriore” dei creditori pubblici. Tanto più che la medesima differenziazione - fra convenienza e carattere non deteriore del trattamento - è contenuta nel precedente comma 2 del medesimo articolo, che disciplina in generale il contenuto dell’attestazione e dunque senza distinguere fra una forma e l’altra di omologazione.
Per questi motivi, la ricostruzione della disciplina più coerente con la ratio del cram down fiscale e dello stesso concordato in continuità pare essere quella per cui:
- il cram down fiscale non è applicabile, in quanto superfluo, ogni qualvolta, indipendentemente da esso, il concordato può essere omologato, nonostante il voto contrario del Fisco, a seguito del già avvenuto raggiungimento del voto favorevole nella maggioranza delle classi ovvero in virtù del voto favorevole della classe “svantaggiata” (o “interessata” a seconda dell’orientamento) di cui alla seconda parte della lettera d) del già citato comma 2 dell’art. 112 del Codice;
- il cram down fiscale non è applicabile, in quanto inutile, ogni qualvolta, indipendentemente da esso, il concordato non può essere comunque omologato, perché, indipendentemente dal voto del Fisco, non può essere conseguita l’approvazione da parte della maggioranza delle classi e manca il voto favorevole della classe “svantaggiata” (o “interessata” a seconda dell’orientamento);
- il cram down fiscale è applicabile quando solo grazie a esso la proposta può risultare approvata dalla maggioranza delle classi di creditori, se non anche nel caso in cui, seppur in assenza di tale maggioranza, la classe dei crediti tributari (o contributivi) rappresenta la classe “svantaggiata” (o “interessata”)[2].