Le lett. d) ed f) dell’art. 112, comma 1, CCII demandano al tribunale – rispettivamente – la verifica di “corretta formazione delle classi” e il riscontro di avvenuto rispetto della “parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe”.
Il classamento, come tecnica di confezionamento della proposta concordataria [30], esce rafforzato nel contesto neocodicistico, non solo per una scelta ideologica di implementazione della flessibilità dello strumento concordatario [31], ma per una presa d’atto delle sembianze attuali del ceto creditorio. I titolari delle pretese sono portatori, in uno con l’aspirazione generica a massimizzare il valore del patrimonio del debitore, di interessi peculiari, correlati alla qualità delle pretese e alle condizioni soggettive di chi le vanta [32]. I principi in tema di tutela del credito e di relatività degli effetti del contratto permeano l’ordinamento ancorché l’impresa concorsualizzi la crisi e in tanto sono salvaguardati in quanto sul diritto del singolo faccia premio, non la volontà di una comunità disgregata, ma una deliberazione collettiva in grado di esprimere, nel perimetro di quella, l’interesse di gruppo.
Al giudice spetta allora accertare che le classi assicurino una maggiore adeguatezza distributiva in presenza delle affinità elettive fra i creditori, connotandosi come ingranaggi del congegno maggioritario proprio del concordato, da esse reso idoneo ad affermare l’interesse della categoria, sterilizzando le resistenze egocentriche del singolo [33]. Piuttosto che alla tutela minuta del creditore nell’alveo del rapporto obbligatorio, si dà rilievo l’interesse in comune fra creditori simili.
Il sistema concordatario – pur affrancato dalla rigida classificazione ex art. 2741 c.c. fra crediti chirografari e crediti prelatizi e dal paradigma rigoroso degli artt. 2777 ss. c.c. – continua a sciorinare incertezze interpretative.
L’art. 2, lett. r), CCII, descrive, infatti, la nozione di classe come l’“insieme di creditori che hanno posizione giuridica e interessi economici omogenei”, senza chiarire il significato delle locuzioni, perpetuando un coacervo noto di difficoltà esegetiche.
Ad apparire certa è l’esigenza di un impiego congiunto dei due parametri da parte del giudice. Il classamento dev’essere servito a differenziare la distribuzione fra categorie delle utilità economicamente rilevanti in relazione ad aspettative effettivamente divaricate su ambedue i piani.
Non è scolpita una regola precisa, perciò quello del giudice s’atteggia a sindacato di razionalità e coerenza di scelte discrezionali del debitore. Ad agevolare il tribunale sono parametri ormai collaudati dall’esperienza.
Si tratta di apprezzare le ragioni che hanno indotto l'imprenditore a classificare in un certo modo anziché negli altri possibili i suoi creditori. A tal fine il giudice deve muovere dalle spiegazioni esposte dal debitore nel piano concordatario, ove ex art. 87, Lett. m), devono ora essere riportati “i criteri di formazione”, il “valore dei rispettivi crediti” e, infine, gli “interessi di ciascuna classe”.
L’indagine giudiziale attiene alla logica dei criteri utilizzati e mira a confermare le ragioni di comune appartenenza dei crediti illustrate dal debitore. Se il criterio non è bizzarro o discriminante, il merito delle ragioni giustificatrici della costruzione di una classe e la diversificazione di trattamento rimane fuori dal recinto del controllo del tribunale.
Il parametro della posizione giuridica riprende il discrimen tra creditori privilegiati e creditori chirografari e l'ordine delle prelazioni, rimandando al grado di protezione del credito e all'aspettativa spendibile nell’evenienza dell’esecuzione liquidatoria-coattiva. Il tribunale è tenuto a guardare alla qualità intrinseca dei crediti appostati nella classe, sincerandosi che essi presentino un titolo di egual natura, un grado di privilegio analogo, un’assimilabile solidità. La posizione è data, infatti, anche dallo stato del credito, che qualora condizionale o contestato è meno robusto che in ipotesi in cui a sorreggerlo sia un titolo esecutivo.
Il parametro dell’interesse economico attiene alle caratteristiche tipologiche del credito. Sulla scorta delle motivazioni offerte dal debitore nel piano concordatario, il giudice deve innanzitutto guardare alla fonte delle pretese creditizie allocate nella classe, posto che quelle nascenti da rapporti di una certa tipologia tendono a caratterizzarsi rispetto a quelli di diversa indole [34].
Sul piano dell’interesse non sono immaginabili tassonomie risolutive, ma solo esemplificazioni ricorrenti. Vengono in rilievo, nel quadro della valutazione giudiziale, sia l’origine che la scadenza del credito, sia il ruolo eventualmente attribuito al suo titolare nel progetto di ristrutturazione aziendale che l’ammontare della ragione creditoria rispetto all'indebitamento globale, sia le eventuali garanzie collaterali disponibili che l’attività esercitata dal creditore [35]. Il tribunale deve indugiare su tali aspetti in quanto danno il metro della connotazione socio-economica dei rapporti giuridico-negoziali tra debitore e creditori, segnalando la chiave d’approccio che gli appartenenti al sottogruppo sono sospinti ad adottare rispetto alla regolazione della crisi.
Non è naturalmente ammissibile che creditori in linea di principio orbitanti in una medesima categoria, sulla base degli “indicatori” ora censiti, siano distribuiti in più classi nell’ottica di riservare ad alcuni soltanto fra essi un differente trattamento. Ciò varrebbe a manipolare il sistema di formazione dei consensi.
La rispondenza della classe alla sua funzione è preservata dal tribunale, nella misura in cui la classe dia modo di offrire un trattamento differenziato ai creditori, ma consentendo loro di esprimersi secondo meccanismi maggioritari correttamente articolati. Il che significa che la composizione della classe può essere censurata dal giudice in sede di omologa ogni qualvolta sia valsa a costruire raggruppamenti artificiosi, volti solo a sterilizzare il dissenso dei creditori riottosi isolandoli in categorie selettive e disomogenee.
Le classi giovano a scomporre il ceto creditorio, ma solo al fine di salvaguardarne gli interessi complessivi, assicurando una forma di eguaglianza sostanziale fra i creditori. In linea generale, il giudice deve perciò verificare che ognuna delle classi enucleate sia stata adoperata, non per adulterare la formazione dei consensi, ma per funzionare il principio di maggioranza all'interno di una comunità, quella dei creditori, che è tendenzialmente frantumata.
All’impellenza del debitore di ampliare la platea del consenso attorno all’ipotesi concordataria si affianca il diritto del creditore a partecipare all’adozione della scelta sulla soluzione della crisi. La capacità di incidere del singolo può essere limitata nella misura in cui la maggioranza sia rappresentativa di interessi reali [36]. L’omogeneità non è coincidenza, ma è sempre necessario riscontrare nella classe una preponderanza quantitativa e qualitativa di tratti comuni fra i crediti rispetto agli elementi differenziali. In quest'ottica, il fatto che la comunità dei creditori sia stata frammentata con la prospettazione di trattamenti differenziati non è di per sé sufficiente a supportare la collocazione nella stessa classe di tutti i creditori ad appannaggio dei quali sia stabilito un identico trattamento, proprio in quanto esso può palesarsi in concreto asimmetrico rispetto agli interessi di cui i creditori singoli sono portatori, tanto da risolversi in una vera e propria disparità di posizioni, tale da rendere l'espressione di voto disomogenea [37].
Il limite nella strutturazione delle classi alligna nel divieto di alterazione delle cause di prelazione e nella regola dell'obbligatorio pagamento integrale del credito privilegiato, qualora risulti capiente sul bene su cui grava. Il giudice deve verificare che il debitore non abbia confezionato più classi con riferimento ad una posizione giuridica omogenea, in tal guisa ledendo le cause di prelazione previste dalla legge e l'ordine di collocazione dettata dal codice civile.
Meno disagevole la ricostruzione del controllo di parità di trattamento all’interno della singola classe, previsto dalla lett. e) dell’art. 112. La regola della par condicio torna ad operare dentro le specifiche classi regolarmente costruite, non essendo permesso un trattamento differenziato tra gli appartenenti ad una stessa categoria. Il giudice è tenuto a verificare che l’utilità riservata ai diversi creditori sia di consistenza e quantità identiche.