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Saggio

L’omologazione del concordato preventivo in continuità*

Salvo Leuzzi, Magistrato addetto al Massimario della Suprema Corte di Cassazione

16 Febbraio 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
*Lo scritto è destinato, con eventuali variazioni e implementazioni, al Trattato delle procedure concorsuali, in corso di pubblicazione per Giappichelli, a cura di M. Arato, G. D’Attorre e M. Fabiani.
L’A. tratta funditus gli aspetti sostanziali del giudizio di omologazione, soffermandosi in chiave sistematica sulla posizione dei creditori e sul perimetro ridefinito del vaglio giudiziale.  
Riproduzione riservata
1 . Assetto delle regole e oggetto del giudizio
Il Codice della crisi ripartisce le regole sull’omologazione del concordato in due plessi distinti. Il palinsesto processuale è tratteggiato dall’art. 48 nella cornice del procedimento unitario, modello omogeneo, deputato ad ospitare ogni approccio concorsuale agli squilibri dell’impresa, quale che sia lo strumento di regolazione per contingenza prescelto (accordo di ristrutturazione, concordato preventivo, liquidazione giudiziale). Il contenuto del giudizio di omologazione – su cui di seguito ci si soffermerà – è, invece, disciplinato dall'art. 112 CCII nel contesto delle disposizioni partitamente dedicate all’istituto concordatario.
In fase di omologa, la sostanza del sindacato giudiziale coincide con l’accertamento di un diritto, id est il diritto dell’impresa a governare il dissesto in base a regole di distribuzione alternative rispetto a quelle proprie del perimetro liquidatorio-giudiziale e sulla scorta di modalità adempitive tendenzialmente libere, in quanto pianificate nel contesto di un atto di autonomia privata indirizzato ai creditori e da questi avvalorato col voto [1].
L’imprenditore sottopone al controllo del tribunale una soluzione negoziale che poggia – pur nella varietà dei possibili accenti operativi – sull’impiego di regole peculiari di concorsualizzazione dei debiti, rese vincolanti erga omnes in virtù dell’omologa  [2]. Quest’ultima comporta ex art. 117 CCII (già art. 184 L. fall.) una trasformazione dei diritti dei creditori, legittimati da lì in avanti a pretendere solo quanto il debitore si è obbligato a versare in ragione della proposta concordataria.
Il provvedimento omologatorio sottende una verifica concernente, per un verso, la sussistenza del diritto a fronteggiare la crisi secondo lo schema del c.d. “concorso concordatario”, per altro verso la correttezza e regolarità dei passaggi formali e procedimentalizzati che, a salvaguardia delle posizioni dei creditori, di quel diritto scandiscono l’esercizio [3]. Nel doppio spettro di questa verifica si rinviene l’essenza stessa del concordato, contratto sul quomodo della regolazione della crisi, suscettibile di perfezionarsi nel processo (con la deliberazione dei creditori) e di conseguire in esito ad esso l’attitudine a ridefinire le obbligazioni dell’impresa (con l’omologazione del tribunale) [4].
La valutazione positiva veicolata in omologa è certificazione di rispetto di regole processuali e sostanziali e di consequenziale idoneità del concordato a produrre effetti caratteristici ed eterogenei [5]. 
2 . Funzione del vaglio giudiziale
Il mercato autoregolamenta in misura soddisfacente i plurimi interessi attinti dal default dell’impresa [6]. Nell’orizzonte concordatario coabitano aspirazioni in attrito che vanno conciliate sul filo del rapporto tra principio maggioritario e tutela dei creditori assenti o dissenzienti. Né la negozialità è priva di rischi di compressione dei diritti per i creditori in apparenza favorevoli, la cui volontà può formarsi in modo scorretto. 
All'autonomia privata deve affiancarsi, pertanto, un sistema strutturato di controlli, orientato a far sintesi fra contrapposti interessi: in esso si risolve il giudizio di omologa [7]. In tanto una maggioranza può conformare i diritti dei singoli, in quanto costoro siano messi processualmente in grado di esprimersi. Quale che sia l’intensità del controllo attribuitogli un giudice non può mancare [8]. Di certo gli va affidato l’incarico di sovrintendere al procedimento di formazione della volontà collettiva o maggioritaria e per quel tramite del vincolo negoziale [9]. 
3 . Catalogo e declinazione delle verifiche
Nel solco della Direttiva (UE) 2019/1023, che traccia i limiti del sindacato giudiziale proprio con riferimento al giudizio di omologazione, la scelta del legislatore è di restrizione dei confini del vaglio del tribunale in sede di ammissione del concordato. 
La valutazione del tribunale viene disancorata dagli articolati parametri sciorinati dagli artt. 160 e 161 L. fall., dovendosi ora incentrare sul binomio ridotto della “ritualità della proposta” e della non manifesta inidoneità dello strumento ad assolvere agli scopi di regolazione della crisi, che l’art. 47, comma 1, descrive separatamente per il concordato liquidatorio e per quello in continuità [10]. 
Il filtro a maglie strette sulla soluzione concordataria è differito al frangente dell'omologa. A tal fine, l’art. 24 del D.Lgs. n. 83/2022 ha modificato la Parte Prima, Titolo IV, Capo III, Sezione VI del Codice. Il comma 1 della norma, in particolare, ha riscritto l’art. 112, puntualizzando il contenuto delle verifiche commissionate al tribunale, a seconda della tipologia di concordato prescelta. Rispetto al tenore conciso dell’art. 180 L. fall., la disposizione codicistica precisa la sequenza dei controlli. 
Innanzitutto, il tribunale deve appurare la “regolarità della procedura” (comma 1, lett. a), anche tornando sui passi precedenti, quindi riesaminando quanto abbia provvisoriamente delibato in fase d’apertura del concordato [11]. Vanno presi in considerazione anche gli eventuali atti di frode ex art. 106 CCII emersi a processo in corso con l’ausilio della lente commissariale.
In secondo luogo, il tribunale accerta “l'esito della votazione” (comma 1, lett. b). Va, in tal senso, certificato l’effettivo ottenimento delle maggioranze, dovendosi scrutinare la correttezza delle ammissioni al voto, contestabili con il rimedio dell’opposizione ex art. 48 CCII.
Ancora, il tribunale deve soffermarsi sull’ “ammissibilità giuridica della proposta” (comma 1, lett. c).
Il giudice deve, inoltre, indugiare sulla “corretta formazione delle classi” (comma 1, lett. d) e sull’effettivo rispetto della “parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe” (comma 1, lett. e).
In ipotesi di continuità aziendale, l’ufficio verifica che “tutte le classi abbiano votato favorevolmente e che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza”, parallelamente sincerandosi che “eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori” (comma 1, lett. f).
Infine, il tribunale è incaricato di verificare “la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati” (comma 1, lett. g).
Dal complesso codicistico viene in rilievo l’assegnazione al tribunale, in principalità, di un ruolo di controllore non ingerente della correttezza dello svolgimento del processo e – al suo interno – della formazione regolare del consenso, avvalorata da un’informazione esaustiva e dall’assenza di fattori di inquinamento nella dinamica negoziale. 
La latitudine estesa dei controlli che ne delineano il sindacato suggerisce al giudice di procedere anche al riesame delle questioni già considerate in fase introduttiva. Ancorché non vengano proposte opposizioni il tribunale provvede al ricontrollo della “ritualità della proposta”, quindi dell’osservanza delle norme formali e sostanziali che l’instaurazione del processo, al lume degli elementi inediti raccolti dal commissario o riversati nel processo dai creditori.
Al tribunale rimane interdetta la valutazione del merito della proposta, rimessa ai soli creditori quali suoi destinatari elettivi. È l’autonomia negoziale che individua la soluzione più idonea ad affrontare la situazione di squilibrio, senza che il giudice, sprovvisto di conoscenze tecniche adeguate, debba intromettersi nel merito della gestione della crisi o apprezzare il pregio o l’affidabilità di scelte condivise fra debitore e creditori. 
Il tribunale si occupa in linea di principio dei conflitti sulle regole. Il perimetro d’intervento del giudice si ingrandisce solo processualmente e in via di eccezione, attraverso il rimedio oppositivo [12]. Le opposizioni accrescono i temi d’indagine, rivelando potenzialità variegate, in grado di investire i vizi del procedimento, la genuinità della prestazione dei consensi, la sussistenza di fatti rilevanti ai sensi dell'art. 106 CCII che, se conosciuti, avrebbero condotto alla revoca del concordato, la fattibilità del piano concordatario sub specie di manifesta inattitudine al raggiungimento dei prestabiliti obiettivi di regolazione della crisi, il profilo della convenienza dello strumento per il singolo creditore in rapporto all’alternativa liquidatoria giudiziale [13].
3.1 . Qualificazione dello strumento
Già in sede d’apertura del concordato, il giudice è naturalmente tenuto a qualificare lo strumento. Se si considera che unitamente alla “ritualità della proposta” il tribunale deve vagliare la non manifesta inidoneità del concordato ad assolvere ai propri scopi, appare evidente che questi ultimi debbano risultare ab origine chiari nell’economia della valutazione del giudice.
La circostanza che l’asse del sindacato iniziale sia orientato a sanzionare violazioni e inammissibilità palesi (v. § 3) comporta, tuttavia, che in fase di omologazione il tribunale debba riguardare l’apparato concordatario con un surplus di attenzione. Il giudice deve assicurarsi, infatti, che al di là del nomen juris impiegato dalle parti lo strumento prescelto possegga un tratto reale di prosecuzione dell’attività economica, tale da consentirne la riconduzione all’archetipo del concordato in continuità. 
L’art. 84, comma 2, CCII traccia ora didascalicamente la distinzione fra continuità diretta e indiretta, sul perno del discrimen rappresentato dal ruolo attribuito al debitore nella prosecuzione dell’impresa [14]. 
La verifica del giudice si sostanzia nell’effettuazione di un vero e proprio saggio di continuità, dovendo quest’ultima rivelarsi non figurativa [15]. Quale che sia il protagonista designato della prosecuzione dell’attività economica, deve potersi appurare – lato giudice – che la messa in persistenza dell’esercizio d’impresa assurge ad elemento strategico della regolazione della crisi. 
Nel quadro della continuità indiretta (che alternativamente può consistere nella “gestione dell’azienda in esercizio” o nella “ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso dal debitore”) quello del giudice è un controllo di rispondenza del mezzo (affitto o titolo tipico o atipico) utilizzato in funzione del cambio gestorio all’obiettivo di evitare una perdita d’efficienza della realtà produttiva o di preservarne al meglio il valore intrinseco, nella prospettiva di un definitivo passaggio a terzi o della retrocessione in capo all’imprenditore in concordato. 
Il vaglio del tribunale attiene, in particolare, all’esistenza del presupposto dello svolgimento dell’attività d’impresa ad opera del terzo, in forza di negozio stipulato, anche anteriormente alla presentazione del ricorso per l’ammissione al concordato, ma rigorosamente in funzione di essa. Si tratta, ex latere judicis, di eseguire un esame sulla declinazione strumentale del titolo rispetto al deposito della domanda di accesso al concordato, in ciò risolvendosi la stipula del primo “in funzione” della seconda [16]. 
Non vi è un numerus clausus di strumenti negoziali adoperabili per la continuità indiretta [17], rilevando l’accertamento dell’intima preordinazione del passaggio di mano dell’azienda rispetto all’adottanda soluzione concordataria. Anche alla luce dell’attività commissariale e del contraddittorio endoprocessuale fra i creditori, il tribunale è in questa fase maggiormente edotto, tanto da poter assodare l’esistenza di un collegamento logico e cronologico fra trasferimento titolato del compendio produttivo e accesso alla procedura di concorso [18]. 
3.2 . Regolarità della procedura
Come già previsto nel vecchio ordinamento dall’art. 180, comma 3, L. fall. [19], il vaglio omologatorio investe innanzitutto la “regolarità della procedura”, formula ellittica di scomoda esegesi, per la significativa mancanza di specificazioni ulteriori. 
Di certo, il tribunale è tenuto ad appurare che l’iter concordatario si sia svolto integralmente in ossequio alle norme di procedura e con il coinvolgimento di tutti i creditori anteriori alla presentazione della domanda.
La regolarità sembra, peraltro, concetto riferibile per ampiezza all’osservanza di tutte le norme di legge sia sostanziali che processuali [20].
La verifica implica naturalmente anche un riscontro di sussistenza e persistenza delle condizioni di ammissibilità riscontrate prima facie in fase d’apertura del concordato. Il ricontrollo riguarda essenzialmente la legittimazione ad accedere allo strumento e la competenza dell’ufficio adito.
Il giudice deve escludere, inoltre, la ricorrenza di fatti, atti, frodi suscettibili di provocare la revoca della concessione del termine ex art. 44, comma 1 per il deposito della proposta e del piano corredato di relazione attestativa in ipotesi di accesso con riserva al procedimento unitario.
Regolarità del procedimento vuol dire anche e soprattutto trasparenza delle informazioni [21]. Il controllo concerne la completezza del deposito della documentazione prevista dall’art. 39 CCII per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi. La verifica attiene, più in generale, alla integralità e correttezza dei dati forniti ai creditori ai fini della libera e consapevole espressione del voto [22]. In tanto la volontà dei creditori può genuinamente maturare, in quanto sia nitidamente definito l’oggetto complessivo su cui deve esprimersi. Sotto questo aspetto proposta e piano devono rivelarsi puntuali, esaustivi e comprensibili. 
La locuzione “regolarità della procedura” è tanto dilatata da intercettare ogni vicenda anomala del processo e qualsiasi inottemperanza del debitore, oltre che alla regola scritta, a quanto appare obiettivamente necessario a garantire un consenso informato e cosciente da parte dei suoi interlocutori. 
Il giudizio di regolarità presuppone anche un riscontro di adeguatezza della relazione. Nel nuovo ordinamento concorsuale il controllo dell’attestazione seguiterà a rappresentare una “verifica di regolarità dell'andamento della procedura, che è presupposto indispensabile al fine della garanzia della corretta formazione del consenso” [23]. Sebbene la valutazione dell’alea economico-finanziaria del piano sia rimessa ai creditori, ad assecondarla dev’essere una documentazione immune da vizi di legittimità anche sostanziale in grado di demolirne la funzione. L’attestazione è corretta quando è completa e intellegibile a livello di dati esposti, di criteri asseverativi adoperati, di congruenza dei primi e dei secondi. 
Il tribunale non si spinge a sindacare in via diretta la regolarità ed attendibilità delle scritture contabili, concentrandosi, tuttavia, sulla veridicità delle informazioni aziendali esposte nei documenti prodotti unitamente al ricorso (tra cui la relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa e lo stato particolareggiato ed estimativo delle attività), al fine di consentire ai creditori di apprezzare convenienza e fattibilità del piano sulla scorta di notizie reali [24]. 
Non viene in rilievo un controllo del merito, ma di metodo, che guarda all’attendibilità del modus operandi seguito dal professionista. Se la relazione non risponde a verità e accuratezza, tanto da consentire l’espressione ex latere creditoribus di un consenso informato, è il procedimento a venirne inficiato. 
La garanzia dell’informazione è il maggior contrappeso allo spazio lasciato all’autonomia privata. Il giudice vigila che le parti del processo si cimentino con una realtà esplicativa dell’attualità dell’impresa e della dimensione reale della sua crisi. Pertanto, ogni qualvolta sia tradita la finalità informativa, a venire in rilievo è un vizio del processo rilevabile dal tribunale, anche in difetto di opposizioni, sempreché emerga dagli atti  [25].
3.3 . Esito della votazione
Come già previsto dall’art. 180, comma 4, L. fall., il giudice dell’omologa deve verificare l’avvenuto raggiungimento delle maggioranze. Il secondo dei controlli esplicitati dall’art. 112, comma 1, verte, infatti, ex lett. b) sull’“esito della votazione”. Sulla proposta dev’essersi realizzata, a giudizio del tribunale, l'adesione della maggioranza dei creditori, se del caso nelle singole classi al cui interno siano stati suddivisi.
La verifica è coerente con lo schema descritto dall’art. 48, comma 1, CCII, a tenore del quale “se il concordato è approvato dai creditori ai sensi dell’art. 109, il tribunale fissa l’udienza in camera di consiglio” ai fini dell’omologazione. Il sindacato del giudice è perimetrato almeno tendenzialmente sulle contestazioni mosse con l’opposizione dal dissenziente o da altro interessato, alle quali deve calibrarsi la risposta del tribunale, chiamato in linea di principio a controllare la linearità del percorso processuale e – ancora una volta – la formazione non alterata del consenso. 
La dimensione privatistica dell’istituto concordatario ha il suo nucleo nell'attribuzione piena ai creditori della decisione sulla proposta proprio attraverso il voto. Il contratto di concordato si perfeziona in forza della manifestazione ex latere creditoribus della volontà del gruppo (e dei “sotto gruppi”, ossia delle classi), che equivale ad accettazione di una proposta negoziale. L'atto di volontà è la sintesi dei voti espressi, formalizzata nel verbale di approvazione della proposta [26]. Ben si comprende quanto sia essenziale che quella volontà si sia formata senza vizio alcuno. Il controllo sulla votazione non si ridurrà, in tal senso, ad una verifica in somma algebrica. 
Occorrerà appurare che il voto sia stato validamente espresso secondo le modalità indicate dal tribunale ex art. 48, comma 2, lett. c), nel decreto di apertura del concordato, modalità che devono essere (rectius, essersi rivelate) “idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione”, quand’anche abbiano fatto ricorso a strutture informatiche messe a disposizione da terzi. Il sistema telematico deve aver funzionato. 
Alla luce del contraddittorio fra i titolari delle pretese, sarà indispensabile riscontrare che i soggetti che hanno votato siano stati ammessi a farlo nella misura corretta e secondo il grado d’appartenenza del credito. Il giudice si addentra d’ufficio nel merito di ogni singola ragione creditoria, rappresentando quella dell’entità e del rango del credito ai fini dell’ammissione al voto una questione procedurale da cui dipende la regolarità del rito. 
Vanno ovviamente valorizzate nel computo delle maggioranze le rinunce sopravvenute, anche parziali, ai crediti che abbiano ristretto la misura effettiva delle singole ragioni rispetto a quella dell’ammissione al voto.
Le vicende inerenti all’invalidità del voto vanno, tra l’altro, sempre mediate con il principio della prova di resistenza, al fine di verificare la persistente tenuta dell'approvazione al netto dei voti viziati [27]. 
Il tribunale si occupa anche di ricontrollare che le classi siano state concepite secondo criteri non incongrui e abbiano conglobato crediti non eccentrici per situazione giuridica soggettiva e interesse sotteso. Il sacrificio del singolo creditore è tollerabile nella misura in cui sia il prodotto di una valutazione maturata dentro un sistema ordinato di omogeneizzazione delle posizioni.
È sempre necessario accertare la sussistenza di un consenso informato da parte di ciascuno dei creditori. La convenienza del concordato è decisa dai creditori e senza intromissioni del giudice, ma alla condizione - ineludibile - che coloro che decidono anche per gli altri lo facciano nel contesto di una situazione limpida e reale.
3.4 . Ammissibilità della proposta
Il controllo di ammissibilità della proposta ex art. 112, comma 1, lett. c., si colloca su piani differenti.
Innanzitutto, mostra aspetti convergenti, se non sovrapponibili alla verifica di “regolarità della procedura” di cui alla lett. a), intercettando i profili della legittimazione del debitore alla presentazione della domanda e della competenza dell’ufficio adito. Perché una proposta sia ammissibile occorre che a formularla, all’indirizzo del tribunale competente secondo i criteri fissati dall’art. 27 CCII, sia un imprenditore che versi alternativamente in stato di crisi o di insolvenza. 
In ipotesi di concordato di società, è imprescindibile che il tribunale constati se la proposta sia stata o meno sottoscritta da quanti abbiano la rappresentanza sociale dell’ente (art. 265 CCII).
Il controllo si sofferma, poi, sulla conformità del contenuto della proposta alle norme di legge in tema di trattamento dei creditori. Le modalità di soddisfazione dei titolari delle pretese non devono risultare incompatibili con precetti inderogabili dell’ordinamento.
Il controllo non assume una dimensione meramente esteriore, venendo in rilievo il potere-dovere del giudice di accertare che la proposta sia logica e comprensibile. Non si guarda solo alla forma, ma anche alla legittimità sostanziale della proposta, che deve rispondere ad uno schema minimo e imprescindibile dato dal rispetto dell’ordine delle prelazioni, dalla suddivisione in classi per posizioni giuridiche ed interessi economici omogenei, dall’assicurazione a ciascuno della guarentigia di un’utilità economicamente rilevante. Il giudizio di legittimità della proposta in sede di omologa investe, in tal senso, pure la corretta formazione delle classi e la parità di trattamento dei creditori all'interno di ciascuna classe (aspetti tra l’altro annoverati separatamente nelle lett. d ed f) [28], oltre che il rispetto delle regole distributive ora fissate dall'art. 84 CCII, commi 5, 6 e 7 [29].
La proposta è, poi, ammissibile se finanziariamente e operativamente supportata. In tal senso, i beni e i flussi ipotizzati devono apparire sufficienti a colmare le percentuali satisfattive previste per i creditori. 
Inoltre, il debitore deve aver adempiuto al versamento tempestivo del fondo spese previsto nel decreto di apertura del concordato ex art. 47, comma 1, lett. d).
Nell’economia del controllo rientra, infine, una verifica di sussistenza e validità delle garanzie che dovessero accompagnare la proposta.
3.5 . Corretta formazione delle classi e parità di trattamento fra i creditori all’interno di ciascuna classe
Le lett. d) ed f) dell’art. 112, comma 1, CCII demandano al tribunale – rispettivamente – la verifica di “corretta formazione delle classi” e il riscontro di avvenuto rispetto della “parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe”.
Il classamento, come tecnica di confezionamento della proposta concordataria [30], esce rafforzato nel contesto neocodicistico, non solo per una scelta ideologica di implementazione della flessibilità dello strumento concordatario [31], ma per una presa d’atto delle sembianze attuali del ceto creditorio. I titolari delle pretese sono portatori, in uno con l’aspirazione generica a massimizzare il valore del patrimonio del debitore, di interessi peculiari, correlati alla qualità delle pretese e alle condizioni soggettive di chi le vanta [32]. I principi in tema di tutela del credito e di relatività degli effetti del contratto permeano l’ordinamento ancorché l’impresa concorsualizzi la crisi e in tanto sono salvaguardati in quanto sul diritto del singolo faccia premio, non la volontà di una comunità disgregata, ma una deliberazione collettiva in grado di esprimere, nel perimetro di quella, l’interesse di gruppo. 
Al giudice spetta allora accertare che le classi assicurino una maggiore adeguatezza distributiva in presenza delle affinità elettive fra i creditori, connotandosi come ingranaggi del congegno maggioritario proprio del concordato, da esse reso idoneo ad affermare l’interesse della categoria, sterilizzando le resistenze egocentriche del singolo [33]. Piuttosto che alla tutela minuta del creditore nell’alveo del rapporto obbligatorio, si dà rilievo l’interesse in comune fra creditori simili. 
Il sistema concordatario – pur affrancato dalla rigida classificazione ex art. 2741 c.c. fra crediti chirografari e crediti prelatizi e dal paradigma rigoroso degli artt. 2777 ss. c.c. – continua a sciorinare incertezze interpretative.
L’art. 2, lett. r), CCII, descrive, infatti, la nozione di classe come l’“insieme di creditori che hanno posizione giuridica e interessi economici omogenei”, senza chiarire il significato delle locuzioni, perpetuando un coacervo noto di difficoltà esegetiche. 
Ad apparire certa è l’esigenza di un impiego congiunto dei due parametri da parte del giudice. Il classamento dev’essere servito a differenziare la distribuzione fra categorie delle utilità economicamente rilevanti in relazione ad aspettative effettivamente divaricate su ambedue i piani. 
 Non è scolpita una regola precisa, perciò quello del giudice s’atteggia a sindacato di razionalità e coerenza di scelte discrezionali del debitore. Ad agevolare il tribunale sono parametri ormai collaudati dall’esperienza.
Si tratta di apprezzare le ragioni che hanno indotto l'imprenditore a classificare in un certo modo anziché negli altri possibili i suoi creditori. A tal fine il giudice deve muovere dalle spiegazioni esposte dal debitore nel piano concordatario, ove ex art. 87, Lett. m), devono ora essere riportati “i criteri di formazione”, il “valore dei rispettivi crediti” e, infine, gli “interessi di ciascuna classe
L’indagine giudiziale attiene alla logica dei criteri utilizzati e mira a confermare le ragioni di comune appartenenza dei crediti illustrate dal debitore. Se il criterio non è bizzarro o discriminante, il merito delle ragioni giustificatrici della costruzione di una classe e la diversificazione di trattamento rimane fuori dal recinto del controllo del tribunale.
Il parametro della posizione giuridica riprende il discrimen tra creditori privilegiati e creditori chirografari e l'ordine delle prelazioni, rimandando al grado di protezione del credito e all'aspettativa spendibile nell’evenienza dell’esecuzione liquidatoria-coattiva. Il tribunale è tenuto a guardare alla qualità intrinseca dei crediti appostati nella classe, sincerandosi che essi presentino un titolo di egual natura, un grado di privilegio analogo, un’assimilabile solidità. La posizione è data, infatti, anche dallo stato del credito, che qualora condizionale o contestato è meno robusto che in ipotesi in cui a sorreggerlo sia un titolo esecutivo.
Il parametro dell’interesse economico attiene alle caratteristiche tipologiche del credito. Sulla scorta delle motivazioni offerte dal debitore nel piano concordatario, il giudice deve innanzitutto guardare alla fonte delle pretese creditizie allocate nella classe, posto che quelle nascenti da rapporti di una certa tipologia tendono a caratterizzarsi rispetto a quelli di diversa indole [34]. 
Sul piano dell’interesse non sono immaginabili tassonomie risolutive, ma solo esemplificazioni ricorrenti. Vengono in rilievo, nel quadro della valutazione giudiziale, sia l’origine che la scadenza del credito, sia il ruolo eventualmente attribuito al suo titolare nel progetto di ristrutturazione aziendale che l’ammontare della ragione creditoria rispetto all'indebitamento globale, sia le eventuali garanzie collaterali disponibili che l’attività esercitata dal creditore [35]. Il tribunale deve indugiare su tali aspetti in quanto danno il metro della connotazione socio-economica dei rapporti giuridico-negoziali tra debitore e creditori, segnalando la chiave d’approccio che gli appartenenti al sottogruppo sono sospinti ad adottare rispetto alla regolazione della crisi. 
Non è naturalmente ammissibile che creditori in linea di principio orbitanti in una medesima categoria, sulla base degli “indicatori” ora censiti, siano distribuiti in più classi nell’ottica di riservare ad alcuni soltanto fra essi un differente trattamento. Ciò varrebbe a manipolare il sistema di formazione dei consensi.
La rispondenza della classe alla sua funzione è preservata dal tribunale, nella misura in cui la classe dia modo di offrire un trattamento differenziato ai creditori, ma consentendo loro di esprimersi secondo meccanismi maggioritari correttamente articolati. Il che significa che la composizione della classe può essere censurata dal giudice in sede di omologa ogni qualvolta sia valsa a costruire raggruppamenti artificiosi, volti solo a sterilizzare il dissenso dei creditori riottosi isolandoli in categorie selettive e disomogenee.
Le classi giovano a scomporre il ceto creditorio, ma solo al fine di salvaguardarne gli interessi complessivi, assicurando una forma di eguaglianza sostanziale fra i creditori. In linea generale, il giudice deve perciò verificare che ognuna delle classi enucleate sia stata adoperata, non per adulterare la formazione dei consensi, ma per funzionare il principio di maggioranza all'interno di una comunità, quella dei creditori, che è tendenzialmente frantumata. 
All’impellenza del debitore di ampliare la platea del consenso attorno all’ipotesi concordataria si affianca il diritto del creditore a partecipare all’adozione della scelta sulla soluzione della crisi. La capacità di incidere del singolo può essere limitata nella misura in cui la maggioranza sia rappresentativa di interessi reali [36]. L’omogeneità non è coincidenza, ma è sempre necessario riscontrare nella classe una preponderanza quantitativa e qualitativa di tratti comuni fra i crediti rispetto agli elementi differenziali. In quest'ottica, il fatto che la comunità dei creditori sia stata frammentata con la prospettazione di trattamenti differenziati non è di per sé sufficiente a supportare la collocazione nella stessa classe di tutti i creditori ad appannaggio dei quali sia stabilito un identico trattamento, proprio in quanto esso può palesarsi in concreto asimmetrico rispetto agli interessi di cui i creditori singoli sono portatori, tanto da risolversi in una vera e propria disparità di posizioni, tale da rendere l'espressione di voto disomogenea [37]. 
Il limite nella strutturazione delle classi alligna nel divieto di alterazione delle cause di prelazione e nella regola dell'obbligatorio pagamento integrale del credito privilegiato, qualora risulti capiente sul bene su cui grava. Il giudice deve verificare che il debitore non abbia confezionato più classi con riferimento ad una posizione giuridica omogenea, in tal guisa ledendo le cause di prelazione previste dalla legge e l'ordine di collocazione dettata dal codice civile.
Meno disagevole la ricostruzione del controllo di parità di trattamento all’interno della singola classe, previsto dalla lett. e) dell’art. 112. La regola della par condicio torna ad operare dentro le specifiche classi regolarmente costruite, non essendo permesso un trattamento differenziato tra gli appartenenti ad una stessa categoria. Il giudice è tenuto a verificare che l’utilità riservata ai diversi creditori sia di consistenza e quantità identiche.
3.6 . Ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza e necessità non pregiudizievole di nuovi finanziamenti
La lett. f) dell’art. 112, comma 1, prevede che il giudice appuri il piano “non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza”. Il tribunale è tenuto a consentire la ristrutturazione pianificata ogni qualvolta la ritenga tecnicamente non ineseguibile, sempre che – qualora un creditore dissenziente eccepisca il difetto di convenienza della proposta (art. 112, comma 3) – il concordato contempli un soddisfacimento quantitativamente non inferiore a quello realizzabile attraverso la procedura paradigmatica della liquidazione giudiziale.
Lo scenario abbozzato dal debitore e avvalorato dall'attestatore deve mostrare un grado minimale di plausibilità, bastando ai fini del placet giudiziale che l’ipotesi solutoria sia operativamente percorribile e coerente con il fine ultimo del risanamento dell'impresa indicato nella proposta e nel piano, senza palesarsi passibile di intaccare le prospettive di soddisfazione dei creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale. Viene in evidenza, in definitiva, una fattispecie di inammissibilità della domanda per manifesta inidoneità della continuità ipotizzata alla soddisfazione dei creditori e all’obiettivo – eletto come parallelo, non più rigidamente gregario – della conservazione dei valori aziendali [38]. La verifica si riassume, infatti, in un giudizio di non irrealizzabilità prima facie delle modalità adempitive prescelte. La valutazione non si estende oltre i limiti del riscontro di una lampante inagibilità del piano. 
Perché possa essere disapprovata dal giudice, la programmazione deve palesarsi, sulla base della scienza e della tecnica, apertamente inadatta a pervenire agli obiettivi predeterminati. Il concordato guadagna, infatti, l’avallo dell’omologa, non più sulla scorta di una valutazione positiva, ma sulla base di una valutazione non negativa, meritandosi la promozione, non in quanto presumibilmente idoneo ad assorbire la crisi, ma in quanto non palesemente inidoneo a regolarla, ossia non irragionevole. Alteris verbis, le prospettive di realizzo non debbono presentarsi come realistiche, ma come tecnicamente non irragionevoli. Il vaglio del giudice non insegue certezze o alte probabilità, ma condanna, infatti, palesi impossibilità. Al sindacato sono sottratti, tanto la stima delle potenzialità del piano, quanto il calcolo delle probabilità di successo dell’ipotesi concordataria. Non è consentita una valutazione affermativa sul buon esito della procedura, ma solo di praticabilità complessiva del suo corso. Esclusivamente la connotazione peregrina dell’ipotesi di contrasto della crisi, evincibile da assunti fallaci o assiomatici, o da tempi di recupero impronosticabili, oppure da un’attestazione carente o discordante, rende il concordato privo di ragionevoli prospettive e, come tale, non omologabile [39]. Le modalità pianificate dal debitore per il rientro dall’esposizione debitoria e il ripristino della redditività dell’azienda, qualora non si discostino da un criterio di razionalità espresso dalla scienza e dalla tecnica, non possono essere contraddette in sede di sindacato omologatorio. 
Legittima, attestabile, quindi omologabile diviene la mera chance, che pur soggetta ad un folto numero di variabili, alimenta un piano che ictu oculi non è inverosimile o del tutto velleitaria dal punto di vista dei mezzi impiegati e dei numeri esposti. 
L’impresa forse è più morta che viva, eppure conserva tecnicamente una speranza e – come taluno ha osservato a suo tempo – “non ha senso sopprimere il malato solo perché non si sa se guarirà” [40]. Non si stacca la spina, la terapia prosegue ad oltranza.
Il parametro di nuovo conio stabilito dalla lett. f sembra disvelare un collegamento sistematico con l'art. 10, par. 3, della Direttiva (UE) 2019/1023, ove si fa carico agli Stati membri di assicurare la facoltà dell'autorità amministrativa o giudiziaria di rifiutare l’omologazione del piano di ristrutturazione qualora privo della prospettiva ragionevole di impedire l'insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell'impresa [41]. Nell’ottica eurounitaria la partecipazione dell'autorità giudiziaria nei processi di ristrutturazione è d’altronde limitata ai casi in cui si mostra necessaria ed è, comunque, anche in dette ipotesi sempre proporzionata. 
In questa prospettiva, ogni qualvolta venga in ballo un giudizio prognostico, che fisiologicamente presenta margini di opinabilità e possibilità di errore, del rischio devono farsi esclusivo carico i creditori. Se questi ultimi non s'oppongono all'omologazione, il tribunale non può negarla, sol perché ritiene che una procedura di liquidazione del patrimonio del debitore avrebbe portato a risultati migliori per la massa. I creditori, purché destinatari di un’efficace informazione, possono decidere finanche di investire su una proposta aleatoria, ma conveniente [42].
La lett. f) fissa un ulteriore, scivoloso presupposto di omologabilità del concordato, declinandolo nella connotazione non ingiustamente pregiudizievole per i creditori dei finanziamenti stipulati a supporto della continuità. Si potrebbe dire che la continuità non è opzione omologabile “ad ogni costo”, ma nella sola misura in cui il ricorso al finanziamento dell’impresa in concordato e la somma conseguente delle prededuzioni non integrino un rischio tanto elevato da potersi tradurre in una sostanziale ablazione delle posizioni di credito attuali. Viene mutuata nel sistema concorsuale una clausola generale di non agevole trapianto qual è quella dell’ingiustizia del danno per i creditori concorsuali. La clausola diviene mezzo di controllo addizionale della soluzione concordataria, pertanto nella comparazione reciproca che il giudice è chiamato ad operare tra il diritto dei titolari delle pretese a veder preservate in misura ragionevole le proprie aspettative e quello del debitore alla regolazione negoziale della crisi, il primo non può subire sacrifici irrazionali per far spazio alla realizzazione del secondo, non può cioè  scontare uno squilibrio incongruo fra il “prezzo” complessivo della provvista funzionale alla continuità e la misura falcidia che i creditori sarebbero costretti conseguentemente a subire. La comparazione non va condotta dal giudice su base discrezionale, ma alla stregua del diritto positivo, che ora pone la continuità aziendale e la tutela del credito su un piano di tendenziale parallelismo valoriale, nel cui quadro l’una e l’altra devono tendere ad amalgamarsi [43]. 
3.7 . Fattibilità del piano
La fattibilità è una prognosi di conseguibilità del risultato ipotizzato dall'imprenditore, favorevolmente attestata dal professionista, alla luce dell'alea immanente ad ogni intrapresa economica. Le arcinote Sezioni Unite del 2013 avevano distillato dentro tale prognosi la fattibilità giuridica da quella economica [44], la prima inerente la compatibilità tra modalità attuative del concordato e norme inderogabili di legge, la seconda riguardante la concreta realizzabilità del piano. In realtà, la successiva evoluzione ha chiarito come non possa essere feasibility per il diritto ciò che è ineseguibile o di platonica concludenza economica [45].
Il pronostico sulle modalità realizzative della proposta, ergo sull’adempimento delle obbligazioni che il debitore si propone di contrarre con i creditori, non può che essere riservato in linea di principio a questi ultimi, legittimati d’altronde, diversamente dal giudice, a promuovere la risoluzione del concordato. Il debitore è consegnatario della prerogativa di stabilire il grado e l’intensità dell’alea connessa al piano, distribuendola fra i creditori; questi ultimi sono assegnatari della facoltà di interrogarsi fino in fondo su potenzialità e insidie del concordato, votando negativamente o insorgendo con i rimedi previsti dal CCII. La previsione presenta margini di opinabilità e possibilità di errore. Del rischio connesso devono farsi esclusivo carico i creditori, una volta che vi sia stata data corretta informazione sul punto. Il compito del tribunale è infatti di vigilare a che la determinazione dei creditori sia espressa correttamente e su basi reali, sulla scorta di una puntuale informazione. Al tribunale non è più riconosciuto il potere di pronosticare se ed in quale misura o percentuale le promesse del debitore si realizzeranno, essendo la convenienza economica della proposta di concordato sfera protetta rimessa ai creditori.
Il controllo di fattibilità non scompare, peraltro, dal radar del sindacato omologatorio, ma si affievolisce in una verifica di non manifesta inattitudine del piano al conseguimento degli obiettivi prestabiliti. Conta, specularmente, l’inidoneità eclatante. 
Il contenuto del vaglio del giudice non sembra, peraltro, allontanarsi troppo dal terreno dissodato dalla più recente giurisprudenza nomofilattica [46], che si è curata di recingere il sindacato di fattibilità economica ad una verifica di manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli scopi programmati [47].
Sul piano sistematico la fattibilità codicisticamente rilevante coincide ora con una vera e propria impossibilità dell'oggetto, riscontrabile quando la proposta concordataria sia priva di alcuna probabilità giuridica o materiale d’essere adempiuta. Il sindacato giudiziale al quale allude la lett. g dell’art. 112, co. 1, in un’ideale filo conduttore con gli artt. 7 e 47 CCII, è quello orientato a stigmatizzare, attraverso la constatazione di totale ed evidente inadeguatezza del piano, una nullità negoziale.
La soglia minimale significativa è quella della non manifesta inadeguatezza, usuale in ambito di valutazioni tecniche extragiuridiche, essa non può che espletarsi per il tramite della relazione attestativa. Il vaglio investe la legalità di quest’ultima, sotto gli aspetti dell’adeguata motivazione, della compiuta illustrazione della metodologia seguita e degli approfondimenti effettuati, della rispondenza a principi di coerenza, accuratezza, completezza asseverativa. 
Il controllo si risolve in una verifica esterna di razionalità dell’orizzonte prospettato dal debitore (e del giudizio certificato dall'esperto) scevra da valutazioni di merito. 
Anche il difetto di veridicità dei dati, risultante dagli atti e dalla relazione del commissario, è rilevabile dal tribunale risolvendosi in un sindacato interno alle paratie del sindacato di legittimità. Quando l'attestazione non corrisponde alla realtà dei dati, la procedura deve arrestarsi non potendo il deficit di autenticità degli stessi essere sanato dal consenso dei creditori, che rimane avvinto ad un vizio d’origine.
Certo, in questa inclinazione del vaglio giudiziale si nasconde il rischio di una dilatazione del controllo, teso a trascendere la verifica del metodo logico-argomentativo dell'attestazione per addentrarsi nella sostanza delle conclusioni dell'attestatore [48]. Il rischio è depotenziato dall’ancoraggio del sindacato di non manifesta inidoneità al canone costituzionale della ragionevolezza e dall’importazione nel quadro valutativo dei principi della tecnica contabile e aziendalistica. Mette punto far tesoro delle acquisizioni delle scienze aziendalistiche sicché è irragionevole ciò che contrasta con le regole espresse da tali discipline. 
La fattibilità presuppone analisi di mercato che in quanto proiettate nel futuro sono sempre soggettive e controvertibili. Il sindacato sulla manifesta inattitudine va esercitato con estrema prudenza stigmatizzando le sole situazioni nel cui quadro l'irrealizzabilità del piano dipenda da fattori certi e non opinabili. Le valutazioni predittive vanno rimesse alle determinazioni dei soggetti economici [49].
In questa prospettiva, la relazione del commissario giudiziale costituisce una sorta di consulenza tecnica dalla quale il tribunale può discostarsi solo motivando le ragioni del perché ritiene non condivisibili le considerazioni dell'organo della procedura [50].
Il D.Lgs. n. 83 del 2022, nel riplasmare l’art. 112, ha ricucito i non pochi strappi fra l’ordinamento interno e quello unionale anche sul fronte del riassetto dei poteri di intervento del giudice. Quest’ultimo, quale tecnico del diritto, smetterà di avanzare diagnosi sull’effettiva realizzabilità economico-finanziaria dei piani concordatari, per essere riportato al ruolo di vigilante non ingerente dei processi di ristrutturazione [51]. Tutto ciò sottende la convinzione che la crisi del debitore imponga essenzialmente un coinvolgimento dei creditori nelle decisioni sulla sorte del patrimonio dell’impresa e che la regolazione della crisi sia questione da decidersi fra il primo e i secondi nella pienezza della trasparenza e del contraddittorio, dovendosi conservare in capo al tribunale l’ufficio di arbitro dei conflitti e di controllore della legalità, sia pure in una appropriata dimensione anche sostanziale.
3.8 . Sostenibilità dell’impresa
L’art. 112, comma 1, non contiene un analogo riferimento alla sostenibilità economica dell’impresa, da intendersi come capacità di quest’ultima di rappresentare un complesso economico funzionante destinato ragionevolmente a produrre reddito nell’arco di durata del piano di ristrutturazione. Benché non catalogata dalla norma sui controlli, la viability quale prospettiva ragionevole è, tuttavia, oggetto di verifica in sede di omologazione. Viene in rilievo, a monte, infatti, il riferimento espresso, contenuto nell’art. 87, comma 3, CCII [52]. A tenore di quest’ultimo, l'attestazione del concordato in continuità va riferita, infatti, oltre che alla veridicità dei dati aziendali, alla fattibilità del piano e alla sua attitudine a impedire o superare l'insolvenza, anche alla sostenibilità economica dell'impresa, che va specificamente garantita al pari di un trattamento non deteriore, per ciascuno dei creditori, rispetto a quanto sarebbe ritraibile in ipotesi di liquidazione giudiziale. 
Le norme del Codice vanno, del resto, interpretate alla luce del diritto unionale e l’art. 10, comma 3, della Direttiva Insolvency pretende appunto che il piano non sia privo della prospettiva ragionevole di garantire la sostenibilità economica dell'impresa. Quest'ultima è menzionata, d’altronde, in altre disposizioni del testo eurounitario, a cominciare dall’art. 1, lett. a), che lega teleologicamente i quadri di ristrutturazione preventiva all’obiettivo di impedire l'insolvenza e di assicurare la viability. Quest’ultima viene a configurarsi alla stregua di vera e propria clausola generale, e come tale può riempirsi di senso compiuto attraverso il richiamo ai principi di attestazione e, segnatamente, al principio OIC 11, che avuto riguardo all’interpretazione dell’art. 2423 bis c.c. (e alla valutazione delle voci di bilancio nella prospettiva della continuazione dell'attività) richiama la capacità dell'azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito per un prevedibile arco temporale futuro. 
3.9 . Tempi di esecuzione del concordato
Le disposizioni sul concordato preventivo non forniscono un criterio di valutazione della ragionevolezza del tempo di esecuzione dello strumento. Il solo addentellato utile si rintraccia nell'art. 87, comma 1, lett. e), ove è preteso che il piano contenga la descrizione delle "modalità e dei tempi di adempimento della proposta" [53].
La durata dell’adempimento della proposta è aspetto fisiologicamente collegato alla sua convenienza, come tale ascrivibile alla valutazione esclusiva dei creditori. Tuttavia, il tempo necessario incrocia i già illustrati limiti della ragionevole prospettiva e della fattibilità (v. § 3.6.).
La criticità concerne il parametro utile a valutare la non irragionevolezza della durata adempitiva ipotizzata.
Un riferimento di massima è rintracciabile L. 24 marzo 2001, n. 89, nota come “Legge Pinto”, ove all’art. 2, comma 2 bis è stabilito che la procedura concorsuale non debba eccedere i 6 anni. Tuttavia, la previsione non è direttamente applicabile al concordato, il cui adempimento comincia quando la procedura propriamente detta ha già registrato il proprio epilogo con l’omologa.
Quella sui tempi è, in realtà, una valutazione di fattibilità del piano quindi di non manifesta inattitudine del concordato a cogliere nel segno dei suoi obiettivi sulla base di un programma di marcia suscettibile di realizzazione entro un lasso temporale fisiologicamente variabile, ma prospetticamente e aziendalisticamente leggibile.
3.10 . Causa concreta e oggetto del concordato
Benché il vincolo negoziale si formi attraverso il processo in forza dell’omologa, il concordato rimane un contratto. Ciò comporta l’applicabilità delle regole e dei principi del diritto dei contratti ogni qualvolta si approccino i profili negoziali dello strumento.
In quest’ottica non può negarsi un controllo sulla causa del concordato, elemento intrinseco alla proposta concordataria, ossia ad un atto negoziale suscettibile di verifica nei suoi elementi essenziali ai sensi degli artt. 1324 e 1325 c.c. 
La causa astratta dell'accordo si sostanzia nella regolazione della crisi, con l’impiego del meccanismo maggioritario e in funzione esdebitatoria, secondo le regole del c.d. “concorso concordatario”, che tutelano l'interesse dei creditori entro il limite del risultato perlomeno equipollente rispetto all’alternativa liquidatoria giudiziale. La causa concreta del concordato coincide, invece, col superamento della crisi attraverso l’attribuzione ai creditori di un’utilità economicamente valutabile e sulla base di uno specifico piano di ristrutturazione rimesso ai creditori unitamente alla proposta. 
Ogni qualvolta l’opzione negoziale appaia in concreto geneticamente inadeguata a raggiungere i suoi obiettivi di regolazione della crisi e soddisfazione dei creditori, secondo le modalità programmate, si è al cospetto di un’ipotesi di irrealizzabilità in concreto della causa concordataria, suscettibile di assurgere a requisito ostativo della fattispecie omologatoria [54]. 
I parametri della valutazione della causa concreta sono, peraltro, rappresentati dalla ragionevole prospettiva e dalla fattibilità, sub specie di non manifesta inattitudine in rapporto agli obiettivi pratici perseguiti [55]. In tal senso, la bussola privatistica finisce per coincidere con quella processuale fissata alle lett. f) e g) dell’art. 112, comma 1.
Sempre in una visuale contrattualistica, nulla osta a che il giudice rilevi anche ex officio le nullità del concordato, fra le quali spiccano le eventuali fattispecie di illiceità o impossibilità dell'oggetto di cui agli artt. 1346 e 1418 c.c. (viene esemplificativamente in evidenza l’ipotesi dell’incommerciabilità dei beni o delle prestazioni pianificate). A prescindere dai margini del controllo di fattibilità, il tribunale deve intervenire pure in difetto di opposizione ogni qualvolta ravvisi un vizio invalidante del patto concordatario che appaia sanabile mediante il consenso dei creditori. 
4 . Distribuzione del valore di liquidazione e del plusvalore da continuità
Nell’ottica della continuità il CCII ridisegna vistosamente le regole in materia di trattamento dei creditori, dipendendone in larga parte l’effettiva accessibilità di un’efficace soluzione concorsuale [56]. 
Nell’ordinamento interno ha operato fino allo scorso 15 luglio 2022, la c.d. absolute priority rule [57], che ha tratto linfa dal caposaldo della non alterazione dell’ordine delle cause di prelazione di cui all’art. 160, comma 2, L. fall [58].
Il D.Lgs. n. 83/2022 ha riplasmato il sistema, incastonando nell’ordito originario del CCII due disposizioni convergenti.
Intanto, è stato introdotto un sesto comma nell’art. 84 CCII., a tenore del quale, sulla ribadita premessa per cui “nel concordato in continuità aziendale il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione”, si puntualizza che “per il valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore”.
Inoltre, è stato inserito nell’art. 112 CCII un nuovo secondo comma in base al quale nel concordato in continuità aziendale, se una o più classi sono dissenzienti, il tribunale comunque omologa se è rispettata la “graduazione delle cause legittime di prelazione” (lett. a) e se il valore eccedente quello di liquidazione (il c.d. “surplus concordatario”) è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore.
Si tratta della positivizzazione della relative priority rule, che in attuazione dell’art. 11, par. 1, lett. c), Dir. UE 1023/2019, attribuisce all’imprenditore un ben più esteso margine di manovra rispetto a quello abituale. Benché la direttiva consentisse agli Stati membri di derogare alla regola tratteggiata il legislatore italiano ha ritenuto di mutuarla.
La nuova regola di distribuzione è rispettosa del principio di non alterabilità delle cause di prelazione. Solo il valore di liquidazione dell'impresa, c.d. liquidation value, continua a dover essere distribuito in ossequio alla graduazione delle prelazioni, soggiacendo quindi alla absolute priority rule. La distribuzione del ricavato delle dismissioni deve compiersi secondo il canone classico, in base al quale in caso di soddisfacimento non integrale dei crediti di una classe, niente è distribuibile in favore dei crediti di rango inferiore. Ciascun creditore ha diritto ad ottenere d’essere soddisfatto almeno alla stregua del valore di liquidazione della sua pretesa (ovvero al migliore scenario alternativo possibile) seguendo l'ordine delle priorità legali. 
Ad essere liberato, ma non del tutto, è il solo plusvalore da continuità, ossia il maggior valore prodotto dalla prosecuzione dell'impresa, ossia quello che l'art. 2, par. 1, n. 6, Dir., definisce reorganization value (RV), facendolo coincidere con il valore complessivo ricavabile dall'accordo di ristrutturazione [59].
Col surplus è ora possibile pagare i creditori appartenenti alle classi di rango inferiore anche in assenza di soddisfacimento integrale di creditori di rango superiore, a condizione che il pagamento non sia globalmente più vantaggioso di quello riservato a questi ultimi. In altri termini, lo svincolo del plusvalore non è incondizionato, dovendo muovere dalla garanzia di un trattamento non inferiore ad appannaggio dei creditori poziori [60]. 
La regola di priorità relativa conferisce maggior plasticità alle proposte di concordato, scongiurando che le risorse siano interamente drenate a vantaggio dei creditori prelatizi, con la vanificazione pressoché endemica di ogni ragionevole inventivo per i creditori di grado inferiore.
La regola di priorità relativa diviene meccanismo di governo efficace del consenso; essa dovrebbe, infatti, facilitare il buon esito delle ipotesi ristrutturatorie nella misura in cui permette al debitore una gestione discrezionale e tattica dei flussi della continuità, una parte dei quali può essere dirottata in favore di categorie di creditori non provviste di prelazioni e come tali per definizione refrattarie verso una soluzione concordataria che li vedrebbe spettatori.
Il comma 7 dell’art. 84 CCII detta un solo esonero dall’ambito di applicazione della relative priority rule, facendo salva per i diritti dei lavoratori l’indiscriminata applicazione della absolute priority ryle, in linea con l’art. 13, Dir. UE 1023/2019, a tenore del quale nessun nuovo intervento normativo su detti diritti può comportare una riduzione delle garanzie e del livello di tutela già in essere nel singolo ordinamento interno. 
I flussi prodotti da una prosecuzione aziendale propiziata dall’apporto di risorse da parte di un terzo ereditano i caratteri della finanza esterna, e risultano, quindi, liberamente distribuibili. Il principio dell’intangibilità dell’ordine delle cause di prelazione non vieta all’estraneo di condizionare il proprio sostegno finanziario alla soddisfazione preferenziale di crediti posposti. La condizione è che l’intervento non comporti alcuna variazione dello stato patrimoniale del debitore, né all’attivo – giacché in tal caso i creditori non potrebbero essere privati dei diritti che in base alla legge essi vantano sul patrimonio del debitore – e neppure al passivo, con la creazione di poste debitorie per il rimborso del finanziamento, sia pure postergato e con esclusione del voto [61].
Nessun creditore può in ogni caso arricchirsi alla borsa del riparto concordatario, dacché la lett. c del comma 2 dell’art. 112 fissa il limite esterno per cui i titolari delle pretese non possono ricevere “più dell’importo del proprio credito”. La disposizione interna riprende la sostanza della c.d. “no more than 100% rule”, regola prevista dall’art. 11, par. 1, lett. d), Direttiva Insolvency, in base alla quale nessun interessato può ricevere più di quanto non abbia richiesto.
5 . Ristrutturazione trasversale
La priorità della Direttiva è l’approvazione del piano ristrutturatorio ad opera di tutte le classi. Qualora ciò non accada l’omologazione potrà avvenire attraverso il c.d. meccanismo del cross-class cram-down o ristrutturazione trasversale, che consente di imporre alle classi di creditori dissenzienti la ristrutturazione che esse abbiano respinto [62].
Infatti, nel concordato in continuità aziendale che registri la contrarietà di una o più classi, il tribunale, su richiesta del debitore (o con il consenso del debitore in caso di proposte concorrenti), può omologare lo strumento qualora accerti il concorso contestuale delle condizioni delineate all’art. 112, comma 2. A tal fine occorre che: (i) il valore di liquidazione sia distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione (lett. a); (ii) il plusvalore da continuità sia distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall’articolo 84, comma 7, per i crediti da lavoro (lett. b); (iii) nessun creditore riceva più dell’importo del proprio credito (lett. c); infine (iv) la proposta risulti comunque approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, sia approvata anche solo da una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti sulla base della graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione [63]. 
Il concordato, in definitiva, va in porto, vuoi in ragione di una maggioranza delle classi rafforzata dalla presenza di una categoria di prelatizi favorevoli, vuoi in virtù dell’approvazione da parte di una classe di creditori c.d. in the money, tale intendendosi quella che presumibilmente riceverebbe qualche soddisfazione secondo l’ordinaria graduazione dei crediti ipoteticamente applicata al valore di continuità dell’impresa. Il concordato, in altri termini, passa il filtro dell’omologa se è favorevolmente accolto da una classe di creditori in esso “maltrattati”, in quanto titolari di una aspettativa virtuale di miglior soddisfazione alla stregua del proprio rango creditorio. 
6 . Valutazione sulla convenienza e paradigma della liquidazione giudiziale
In mancanza di contestazioni, al tribunale è inibito valutare d’ufficio la bontà o dannosità della proposta concordataria, essendo la gestione della crisi interamente rimessa ai creditori. È l’opposizione ad ampliare lo specchio dell’indagine: a tenore del comma 3 dell’art. 112, se un creditore eccepisce il difetto di convenienza della proposta, l’omologa è pronunciata solo se il credito del dissenziente è soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale [64].
Viene ammainata la bandiera del miglior soddisfacimento dei creditori e la sola precauzione imposta all’imprenditore è quella di porre i titolari delle pretese al riparo dal maggior danno. La proposta può essere finanche a “somma zero” rispetto all’ipotesi liquidatoria, non essendo necessario che la posizione dei creditori migliori col concordato. Tuttavia, lo strumento è omologabile a patto che non rappresenti, rispetto alla liquidazione giudiziale, un rimedio peggiore del male [65]. 
La distribuzione del valore di liquidazione (liquidation value, v. § 4) è regolata da un test di convenienza (c.d. best interst of creditors test), sulla traccia della previsione di cui all'art. 10, par. 2, lett. d), della Direttiva Insolvency, a tenore del quale il creditore discorde riceve almeno il valore che otterrebbe "in caso di liquidazione, se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale", a prescindere da quale sia la classe di appartenenza e dalla circostanza che essa si sia espressa favorevolmente o negativamente rispetto al piano.
Il test di convenienza implica una ponderazione non più riferita a tutto il ceto creditorio, ma unicamente al singolo creditore opponente. 
Nel concordato i creditori consentono la liberazione dell'impresa da una frazione dei debiti, il debitore si obbliga a far conseguire a ciascuno un determinato risultato, al tribunale spetta acclarare che quel risultato, benché non il migliore possibile, sia non deteriore rispetto a quello conseguibile nell’alternativa fallimentare [66]. L’attribuzione al tribunale della prerogativa di sovrapporre il proprio metro di giudizio rispetto a quello della maggioranza dei creditori è il bilanciamento eteronomo immaginato dal legislatore in relazione ad un processo, quello di concordato, che si connota come luogo di composizione transattiva del conflitto multiforme innescato dalla crisi.
Nulla di stridente, a ben guardare, con le categorie usuali del sistema. Pure in rapporto al concordato la garanzia generica dell’art. 2740 c.c. e la possibile sua attuazione vengono, in tal modo, elevati a termine di paragone per la valutazione di convenienza della proposta ogni qual volta il debitore proponga di mantenere in tutto o in parte la titolarità dei beni per proseguire, anche mediatamente, l’attività produttiva. 
Il raffronto tra misura del soddisfacimento ritraibile in ragione del risanamento economico concordatario e quello ricavabile nello sfondo liquidatorio va collegato al momento di apertura del procedimento di concordato valorizza l’aspetto temporale, le prospettive concrete di recupero di crediti e utilità sulla carta già individuabili, le garanzie che vengono in rilievo nel perimetro concordatario e in quello alternativo. Va verificata, anche al netto delle spese di procedura, la maggiore o minore ampiezza virtuale dell'attivo liquidabile e del passivo presumibile, dovendosi stimare, sotto il primo aspetto le azioni promuovibili nel quadro della liquidazione giudiziale, sotto il secondo le eccezioni revocatorie sollevabili [67]. 
Il principio dell’assenza di pregiudizio che pervade il test di convenienza implica l’identificazione certa del plusvalore concordatario. Occorre chiarire quale sia il ricavato prodotto dalla continuità aziendale, cioè la ricchezza aggiuntiva correlabile allo strumento di risanamento, e che non si genererebbe nel caso di apertura di procedura liquidatoria. All’interno della liquidazione giudiziale, salvo il caso di specie non deponga per qualche ragione in senso contrario, ben si può ipotizzare che venga operato il trasferimento in blocco dell'azienda o di suoi rami.
Bisogna attribuire rilevanza allo scenario di continuazione dell'impresa, quando questo non si mostri di fatto improbabile. Pure nel plesso liquidatorio-giudiziale non è detto che i beni vengano immediatamente dismessi alla stregua di macchine spente o opifici chiusi. Qualora sia possibile a livello di dati contabili e finanziari dell’impresa, la monetizzazione del compendio produttivo va ponderata in una prospettiva che tenga conto del valore dinamico e aggregato dei beni, apprezzando le possibilità di utilizzo degli stessi nel terreno liquidatorio e della generazione in esso di flussi. Anche in un ambito dismissivo, la ricollocazione competitiva sul mercato del valore dell’impresa avviene in linea di principio per aggregazioni, venendo in rilievo istituti di presidio del going concern come l’affitto e l’esercizio dell’impresa del debitore; l’art. 211 CCII prevede, d’altronde, che l’apertura della liquidazione giudiziale non determina la cessazione dell’attività d’impresa quando la sua prosecuzione non arreca pregiudizio ai creditori. Tenuto conto che i crediti pregressi sono cristallizzati e concorsualizzati, il business, se è al netto di quelli sostenibile, non cessa con l’apertura della liquidazione, ma va ripianificato ove possibile.
Coerente con questa chiave di lettura è il comma 4 dell’art. 112, ove è soggiunto che in caso di opposizione del dissenziente, la stima del complesso aziendale è disposta se con l’opposizione è stigmatizzata appunto la violazione della convenienza oppure è denunciato il mancato rispetto delle condizioni di ristrutturazione trasversale di cui al comma 2.
7 . Utilità economicamente valutabile
Il CCII non contiene alcuna previsione sul quantum minimo da assicurare ai creditori nel concordato in continuità. A questi ultimi non va, d’altronde, necessariamente promessa una soddisfazione monetaria, men che meno una gratificazione legata al successivo andamento dell'impresa e alimentata dall'attribuzione di una fetta di utili futuri o di quote di capitale o strumenti finanziari partecipativi. 
L’art. 84, comma 3, penultimo periodo, riprendendo, piuttosto, una puntualizzazione già espressa nell’art. 161, comma 2, lett. 2, L. fall., esige che a ciascun creditore sia assicurata un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile. 
Nella precisazione non vi è solo l’esigenza di escludere il deposito di proposte inclini a lasciare all’indeterminatezza e all’aleatorietà il conseguimento di qualsivoglia beneficio effettivo da parte dei creditori. Infatti, viene definita in termini inediti la fisionomia dell’utilità, che ora “può anche essere rappresentata dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa”. Significa che nella categoria della continuità rientra adesso anche l’ipotesi della reiterazione della relazione negoziale col singolo, senza che sia più richiesto in suo favore alcun pagamento. La soddisfazione del creditore non consiste più immancabilmente nell’ottenimento di una somma, potendosi ridurre al mero prosieguo di un rapporto giuridico, con l’effetto di una larvata ablazione di fatto della ragione di credito monetaria e di una sua coercitiva sostituzione con il vantaggio compensativo dell’ulteriore corso della relazione negoziale. Rebus sic stantibus parrebbe, dunque, sufficiente mantenere in essere i rapporti di fornitura, di somministrazione, estimatori o di finanziamento per integrare la condizione di ammissibilità, quindi di omologabilità, dello strumento secondo la formula riportata. 
Naturalmente, una proposta che si limitasse a rappresentare sommariamente in favore dei creditori l’intenzione di proseguire il rapporto non coglierebbe nel segno. La valutabilità economica dell’utilità presuppone che siano argomentati gli aspetti che sorreggono la maggiore affidabilità e solidità del nuovo corso del rapporto, rispetto al precedente periodo, nel quale il creditore ha addirittura dovuto subire un totale inadempimento. Il tribunale deve verificare anche a valle del procedimento che l’utilità sia tangibile in quanto circostanziata [68]. 

Note:

[1] 
M. Fabiani, La fattibilita' nel concordato preventivo è giudizio che spetta ai creditori - per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi sulla fattibilità, in Fallimento, 2011, 2, 167 (nota a Cass. civ., 25 ottobre 2010, n. 21860). 
[2] 
M. Fabiani, Causa del concordato preventivo e oggetto dell'omologazione, in Nuove leggi civ. commentate, 2014, 579.
[3] 
M. Fabiani, L’omologazione del nuovo concordato preventivo, in Fallimento, 2020, 10, 1314.
[4] 
Parla di contratto speciale di diritto concorsuale in quanto destinato ad inserirsi nel procedimento, A. Azzaro, Le funzioni del concordato preventivo tra crisi e insolvenza, in Fallimento, 2007, 745.
[5] 
Gli effetti non attengono solo all’accennata obbligatorietà dello strumento “per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso” e per i soci illimitatamente responsabili dell’ente debitore (art. 117 CCII; art. 184 L. fall.), ma anche all’esenzione dalle azioni revocatorie c.d. “fallimentari” (art. 166, comma 3, lett. e CCII; art. 67, comma 3, lett. e L. fall.), all’esimente dal delitto di bancarotta (art. 324 CCII; art. 217 bis L. fall.), al venir meno dell’opportunità dei creditori di contestare la legittimità di operazioni straordinarie di trasformazione, fusione o scissione della società debitrice, poste in essere nell’ambito della soluzione concordataria adottata.
[6] 
I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti: analogie e differenze, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore e A. Bassi, 2010, 56.
[7] 
Il vaglio giudiziale è un contrappeso alle compressioni imposte ai diritti dei singoli creditori, inibiti dal divieto di azioni esecutive in costanza di procedura, esposti all’incidenza del flusso delle prededuzioni, infine destinati a soggiacere alle determinazioni della maggioranza in ordine alla ristrutturazione dell’indebitamento dell’impresa.
[8] 
F. Carnelutti, Sui poteri del tribunale in sede di omologazione del concordato preventivo, in Riv. dir. proc., 1924, I, 65, con riferimento agli effetti obbligatori anche per i creditori dissenzienti sottolineava che la legge non vuole che codesti effetti si dispieghino “se alcuni requisiti non siano stati controllati dal Tribunale".
[9] 
I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo cit., 562.
[10] 
Gli scopi in ipotesi di concordato in continuità consistono nella soddisfazione dei creditori e nella conservazione dei valori aziendali, mentre nel concordato liquidatorio si sostanziano più genericamente negli “obiettivi prefissati” (art. 47, comma 1).
[11] 
G.B. Nardecchia, Il nuovo codice della crisi e dell'insolvenza, Molfetta, 2019, 297.
[12] 
Attraverso l’opposizione (ed a prescindere, ora, da quale può esserne il contenuto) è come se la parte opponente introducesse nel giudizio un'eccezione, e cioè un mezzo processuale volto a sollecitare al giudice il rigetto della richiesta di omologazione del concordato. Così I Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo cit., 576; F. Carboni, Il processo di omologazione del concordato preventivo, Padova, 1994, 127; F. Cordopatri, Il processo di concordato preventivo, in Riv. dir. proc., 2014, 359.
[13] 
M. Fabiani - I. Pagni, I giudizi di omologazione nel codice della crisi, in Studi sull’avvio del Codice della crisi, Speciale di dirittodellacrisi.it, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, 156.
[14] 
La continuità è diretta ogni qualvolta sia pianificato l’ulteriore corso dell’attività economica ad opera dell’imprenditore che si affaccia al concordato. Tale è quindi, non soltanto la continuità che lascia al suo posto il titolare dell’azienda, ma anche quella che pone di fianco ad esso nuovi soggetti, mediante una conversione dei crediti in capitale sociale in esito all'omologazione del concordato, con un'esecuzione impostata su una datio in solutum di azioni di nuova emissione. Sul tema della distinzione v., tra gli altri, S. Ambrosini, Concordato preventivo: finalità e presupposti, in La Riforma del Fallimento, Suppl. a Italia Oggi, a cura di M. Pollio, 23 gennaio 2019; G. Fichera, Il concordato in continuità, In Commento al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Quaderni di In executivis, a cura di C. D’Arrigo, F. Di Marzio, L. De Simone, S. Leuzzi, Perugia, 2019.
[15] 
A tal fine è essenziale che, netto delle apparenze programmatiche, il concordato non celi un itinerario meramente dismissivo-liquidatorio.
[16] 
La continuità indiretta ruota sempre su un piano che affida la gestione dell'attività produttiva ad un soggetto diverso dal debitore, tuttavia vi è un restringimento del suo terreno di coltura, rispetto a quello ipotizzato sotto l’egida della L. fall. e dell’originaria formulazione del CCII. Lo svolgimento dell’attività d’impresa da parte dell’extraneus deve avvenire in forza di cessione, usufrutto, conferimento e l’affitto, oggetto di stipula anche anteriore alla presentazione del ricorso per l’ammissione alla procedura concorsuale, ma strumentale alla domanda concordataria, o “a qualsiasi altro titolo”. In tema v. di recente P.F. Censoni, IL contratto di affitto di azienda nel nuovo concordato preventivo, in Fallimento, 2022, 8-9, 1049. Sugli effetti della domanda in generale v. S. Ambrosini, Il concordato preventivo, in Tratt. dir. fall., diretto da Vassalli- Luiso - Gabrielli, IV, 309.
[17] 
La continuità può non avvalersi delle fattispecie espressamente menzionate della cessione del complesso aziendale in esercizio, del conferimento in una newco, dell’usufrutto o dell’affitto; essa può infatti ricorrere all’impiego di altri mezzi, tra cui – esemplificativamente – l’attribuzione del ramo d’azienda mediante scissione o fusione. Può registrarsi anche una fusione (diretta o inversa) tra affittante e affittuario, nel cui quadro mediante l’affitto ad una propria controllata, il debitore potrebbe mirare alla ristrutturazione dell’indebitamento che lo affligge senza condizionare il proprio business, che proseguirebbe – seppure temporaneamente – in capo alla società creata ad hoc per la gestione di questa fase. In tema v. M. Arato, Il concordato con continuità nel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Il Fall., 2019, 855.
[18] 
Il tribunale appurerà che il titolo è stato stipulato nell’imminenza della presentazione del ricorso per l’accesso al concordato, rivelandosi in tal guisa teleologicamente correlato al piano di ristrutturazione, tanto da rappresentare un capitolo della strategia di esso. 
[19] 
In tema v. tra gli altri G. Bozza, L’omologazione della proposta (i limiti alle valutazioni del giudice), in Fallimento, 2006, 9, 1067.
[20] 
Così nella vigenza dell’art. 180 L. fall. F. Filocamo, in La legge fallimentare, Commentario Teorico-pratico, a cura di M. Ferro, 2014.
[21] 
Sulla giustificazione in chiave di legittimità del ruolo del giudice di assicurare la corretta informazione sulla fattibilità, v., S. Ambrosini, L'omologazione del concordato, in Dir. fall., 2014, I, 507.
[22] 
Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521 (con nota di M. Fabiani, La questione "fattibilità" del concordato preventivo e la lettura delle Sezioni Unite, in Fallimento, 2013, 149, nonché di F. De Santis, Le sezioni Unite ed il giudizio di fattibilità della proposta di concordato preventivo: vecchi principi e nuove frontiere, in Società, 2013, 442).
[23] 
Cass. 9 marzo 2018, n. 5825 e Cass 4 maggio 2018, n. 10752, entrambe in Italgiure.
[24] 
Cass. 28 marzo 2017, n. 7975; Cass. 31 gennaio 2014, n. 2130; Cass. 4 giugno 2014, n. 12549 tutte in Italgiure. In dottrina, sulla relazione attestativa v. tra gli altri L.A. Bottai, Opportune precisazioni sull’attestazione ex 161 L. fall. e sul controllo di fattibilità, in Fallimento, 2018, 8-9, 972.
[25] 
Sul perdurante potere di controllo della procedura v. in termini ampi A. Bassi, Lezioni di diritto fallimentare, 2009, 227.
[26] 
Sulla formazione di un accordo con la maggioranza dei creditori v. A. Gentili, Autonomia assistita ed effetti ultra vires nell'accettazione del concordato, in Giur. comm., 2007, II, p. 350.
[27] 
G.B. Nardecchia, La verifica del voto in sede di omologa e la prova di resistenza, in Fallimento, 2018, 703.
[28] 
V. Lenoci, Sub art. 112, in Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Di Marzio, 2022, 511.
[29] 
G. Nardecchia, L’omologazione dei concordati, in Fallimento, 2022, 10, 1235.
[30] 
Le classi hanno debuttato nel nostro ordinamento concorsuale in occasione della riforma dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, attuata con la L. 18 febbraio 2004, n. 39 (c.d. “Legge Marzano”, di conversione del D.L. 23 dicembre 2003, n. 34); l’istituto è a stretto giro transitato nella Legge fallimentare con la novellazione degli artt. 124 e 160 L. fall. V. anche per gli ulteriori riferimenti G. Lo Cascio, Concordati, classi di creditori ed incertezze interpretative, in Fallimento, 2009, 10, 1129.
[31] 
Le situazioni di crisi aziendale, la distinzione delle posizioni creditorie agevoli la migliore allocazione delle risorse dell’impresa, permettendo il più adeguato soddisfacimento dei titolari delle pretese, attraverso una differenziazione dei relativi trattamenti. L’autonomia del creditore si esprime allora nella prerogativa di modulare la proposta suddividendo i creditori per categorie, differenziandone i trattamenti. La flessibilità dello strumento di regolazione si ritrova nella sua attitudine a derogare parzialmente al principio di eguaglianza formale cui all’art. 2741 c.c. e a disancorarsi dal principio della par condicio, offrendo una soddisfazione asimmetrica a creditori che avrebbero astrattamente ragione di pretenderne una equiordinata.
[32] 
Sul tema delle classi v. di recente F. Rolfi, Sui criteri di formazione delle classi nel concordato preventivo, in Fallimento, 2018, 12, 1415.
[33] 
In quest’ottica, l’art. 85 CCII, che si occupa di disciplinare la suddivisione fra i creditori, introduce in relazione a taluni di essi, la regola del classamento obbligatorio.
[34] 
I crediti degli istituti bancari recano obiettivi e prospettive solitamente divaricate rispetto a quelle scaturenti, in ipotesi, da un contratto di somministrazione o da un rapporto di lavoro.
[35] 
Un fornitore occasionale di prestazioni mira a recuperare il credito ed è meno disposto a scendere a patti di un fornitore strategico collocato nell’indotto dell’impresa, quindi propenso a guardare ai rapporti con essa in una prospettiva looking forward. 
[36] 
Cfr. M. Sciuto, La classificazione dei creditori nel concordato preventivo (un’analisi comparatistica), in Giur comm., 2007, 569.
[37] 
M. Arato, Il concordato preventivo, in O. Cagnasso - L. Panzani (diretto da), Crisi d'impresa e procedure concorsuali, III, Milano, 2016, 3499.
[38] 
L’idea che passa è quella di programmare il superamento dello squilibrio o della difficoltà sulla base di un binomio ormai inscindibile di elementi paritari: la tutela del credito e la salvaguardia dell’attività produttiva. La combinazione equilibrata fra tutela del credito e continuità aziendale emerge anche in altre norme del nuovo CCII, tra cui significativamente nell’art. 52 che in ipotesi, tra l’altro, di opposizione avverso l’omologazione del concordato attribuisce alla Corte d’Appello la prerogativa di “disporre le opportune tutele per i creditori e per la continuità aziendale”.
[39] 
L'art. 8, par. 1, lett. h) della Direttiva prevede che al piano debba essere allegata un'attestazione del debitore, eventualmente convalidata da un esperto esterno o da un professionista nel campo della ristrutturazione, che conferma la sussistenza di questo requisito.
[40] 
Così L. Stanghellini, La legislazione d’emergenza in materia di crisi d’impresa, in Riv. soc., 2-3, 2020, 62.
[41] 
V. L. Panzani, L’assetto degli organi nella liquidazione giudiziale e nelle altre procedure di regolazione della crisi, in Fallimento, 2022, 10, 1263.
[42] 
G. Terranova, Il concordato “con continuità aziendale” e i costi dell’intermediazione giuridica, in Dir. Fall., 2013, 1, 10001.
[43] 
Sottolinea V. Zanichelli, Il giudice nella ristrutturazione, in Studi sull’avvio del Codice della crisi, Speciale di Dirittodellacrisi.it, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, 197 ss, che “il legislatore, dopo aver degradato l’interesse dei creditori al miglior trattamento rispetto all’alternativa liquidatoria all’interesse ad un trattamento solo non deteriore, ha compiuto un nuovo passo verso l’equiparazione dell’interesse pubblico alla continuazione dell’attività di impresa”.
[44] 
Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521 cit.
[45] 
B. Conca, Dalla fattibilità giuridica alla realizzabilità economica del concordato: il nuovo ruolo del tribunale, Relazione tenuta al XXX Convegno di studio su "Le procedure concorsuali verso la riforma tra diritto italiano e diritto europeo", Courmayeur, 23-24 settembre 2016, in www.fondazionecourmayeur.it.
[46] 
Cass. 23 settembre 2018, n. 23315, Cass. 7 aprile 2017, n. 9061, Cass. 23 maggio 2014, n. 11497, tutte in Italgiure.it.
[47] 
Cass. 6 novembre 2013, n. 24970, in Giur. comm., 2015, II, 53, con nota G. Ciervo, Ancora sul giudizio di fattibilità del piano di concordato preventivo.
[48] 
V. A. Villa, Fattibilità del piano concordatario e sindacato giudiziale indiretto, in Riv. dir. proc., 2014, 241.
[49] 
Ciò vale soprattutto nei contesti segnati da peculiari tensioni causate da congiunture emergenziali, nel quadro delle quali le informazioni economiche sono meno precise e soprattutto meno consolidate.
[50] 
Così V. Zanichelli, La nuova disciplina del concordato preventivo, 2019, 161.
[51] 
Il destino del concordato non dovrà essere deciso dalla "tesi aziendalistica" del giudice F. Di Marzio, La riforma delle discipline della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Milano, 2018, 2.
[52] 
R. Brogi, Clausole generali e diritto concorsuale, in Fallimento, 2022, 881
[53] 
V. Zanichelli, Sindacato del tribunale sui tempi di esecuzione del concordato preventivo, in Fallimento, 2015, 7, 823 nota a Trib. Palermo 31 ottobre 2014. 
[54] 
Nulla di molto distante dal principio affermato da Cass. 23 maggio 2014, n. 11497, Cass. 1 marzo 2018, n. 4790, entrambe in Italgiure.it.
[55] 
Cass. 27 febbraio 2017, n. 4915, in Italgiure, ancora una volta parla di "assoluta, manifesta inettitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obbiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi”.
[56] 
Di recente v. sulla questione P. Bortoluzzi e A. Gallotta, Il trattamento dei creditori privilegiati nel concordato preventivo e la ricerca di soluzioni flessibili, in Dirittodellacrisi.it, 16 settembre 2021.
[57] 
Per una sintesi ragionata delle problematiche e delle implicazioni, rispettivamente, della absolute priority rule e della relative priority rule v. G. D’Attorre, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, in Fallimento, 2020, 1072
[58] 
Utili per l’approccio al tema le considerazioni di M. Fabiani, Appunti sulla responsabilità patrimoniale “dinamica” e sulla de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria diretto da S. Ambrosini, Bologna, 2017, 51 ss.
[59] 
Il plusvalore da continuità è rappresentato dalla differenza algebrica fra il reorganization value e il liquidation value.
[60] 
G. Macagno, La distribuzione del valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, in Dirittodellacrisi.it, 6 aprile 2022.
[61] 
Cass. 8 giugno 2012, n. 9373, in Fallimento, 2012, 1409, con nota di D. Bianchi.
[62] 
In tema v. G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in Dirittodellacrisi.it, 25 Febbraio 2022; G. Macagno, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, in dirittodellacrisi.it, 6 aprile 2022. 
[63] 
In tema, recentemente, v. M. Binelli, L'omologazione del concordato in continuità non approvato, in Dirittodellacrisi.it, 27 Dicembre 2022; G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale, in Studi sull’avvio del Codice della crisi, Speciale di Dirittodellacrisi.it, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, 148; V. Zanichelli, Commento a prima lettura del decreto legislativo 17 giugno 2022, n. 83, pubblicato in G.U. il 1 luglio 2022, in Dirittodellacrisi.it; S. Ambrosini, Brevi appunti sulla nuova "sintassi" del concordato preventivo, in Ristrutturazioniaziendali.it.
[64] 
L’art. 180, comma 6, L. fall., prevedeva in ipotesi di concordato con classi il creditore appartenente ad una classe dissenziente e in ipotesi di concordato senza classi i creditori dissenzienti rappresentativi del 20% dei crediti ammessi al voto, potessero contestare la convenienza della proposta e il tribunale fosse abilitato a omologarlo comunque ove avesse ritenuto che il credito o i crediti fossero suscettibili di risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili. Nel nuovo regime codicistico va segnalato che Il D.Lgs. n. 83/2022, intervenendo sul comma 3 dell’art. 112 CCII ha eliminato il periodo che stabiliva a carico del creditore che non avesse contestato la convenienza del piano nelle osservazioni di cui all’articolo 107, comma 4, una decadenza avvertita come troppo breve, quindi pregiudizievole per le ragioni dei creditori e lesiva del loro diritto di difesa.
[65] 
Nel solco unionale si assicura che i diritti dei creditori dissenzienti non siano limitati in misura superiore rispetto a quanto questi potrebbero ragionevolmente prevedere in assenza di ristrutturazione se l'impresa del debitore fosse liquidata (c.d. cram-down of dissenting creditors).
[66] 
M. Fabiani, Causa del concordato e oggetto dell’omologazione cit., 579.
[67] 
Lo spazio angusto delle revocatorie e l’esito non sempre fruttuoso delle azioni di responsabilità rendono la liquidazione giudiziale non sempre allettante.
[68] 
Ciò implica esemplificativamente che sia fatta consistere nel conferimento di un’esclusiva al creditore sulle forniture successive, o nell’impegno a praticare prezzi predeterminati per un certo segmento temporale oppure ad acquistare un determinato contingente di beni o prestazioni con cadenze predefinite, o nel riconoscimento di alcune royalties o di alcuni incentivi al raggiungimento di specifici obiettivi o, ancora, nel rilascio di garanzie anche per mano di terzi. Il creditore può anche avvantaggiarsi dal poter portare in detrazione fiscale il suo credito insoddisfatto senza dover attendere la chiusura della liquidazione giudiziale. Un’utilità è rappresentata anche dalla franchigia rispetto al rischio di una azione revocatoria fallimentare per un pagamento ricevuto nel periodo sospetto.

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  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

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del trattamento dei dati personali

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