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Saggio

Strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, omologazione e interesse patrimoniale dei soci*

Simone D’Orsi, Avvocato in Roma

20 Settembre 2024

*Lo scritto rappresenta l’esito del progetto di ricerca, affidato all’A. da Diritto della crisi, e avente come oggetto i diritti dei soci nel concordato preventivo, uno dei temi maggiormente incisi dalla riforma e, in particolare, dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83.
Lo scritto rappresenta lo sviluppo della ricerca affidata all’Autore da Diritto della crisi, avente ad oggetto il trattamento dei soci nel sistema riformato dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83. In particolare, il lavoro si concentra sulle ricadute patrimoniali dell’omologazione del piano di regolazione della crisi e dell’insolvenza nei confronti di tali soggetti. La prima parte è volta ad esaminare le possibili ricadute dell’omologazione rispetto all’interesse patrimoniale dei soci. Quelle successive tendono all’individuazione delle regole rilevanti rispetto alla conformazione di tale interesse, nella prospettiva sia della tutela dei soci sia della limitazione dei benefici da essi conseguibili; in questa logica, una particolare attenzione viene riservata alle previsioni contenute nei primi tre commi dell’art. 120 quater CCII. La parte finale è dedicata invece all’individuazione delle situazioni giuridiche dei soci, tanto nella fase precedente all’omologazione quanto in quella successiva dell’esecuzione del piano. Il lavoro tiene conto delle innovazioni prevedibili dall’entrata in vigore dell’ultimo decreto correttivo al codice della crisi; tuttavia, è prevedibile sin da ora la necessità di aggiornamenti in seguito all’imminente riformulazione delle sue disposizioni.

The paper develops the research that Diritto della crisi assigned to the Author on the treatment of shareholders following the reform introduced with Legislative Decree No. 83 of June 17, 2022. In particular, the work analyses the effects that a confirmed restructuring plan produces on shareholders’ property rights. The first part of the paper examines the possible consequences that confirmation of such plans produces on shareholders’ economic interest. In the remaining sections, the work tries to identify the rules under which it is possible to give relevance to such interest, focusing on both shareholder protection, on one side, and limitations of their benefits, on the other. In doing so, the paper focuses extensively on the first three paragraphs of Article 120 quarter of the Italian Bankruptcy Code. The last part is dedicated to the legal position of shareholders, both before the plan is confirmed and during its implementation. The paper takes into account the foreseeable amendments that will have to be implemented as a consequence of the upcoming updates to the Italian Bankruptcy Code. Nevertheless, the paper will probably have to be updated once the Code itself will be amended accordingly.
Riproduzione riservata

Sommario:

1 . Premessa

2 . Strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, omologazione e vantaggi per i soci: liberazione del patrimonio personale e rivalutazione delle partecipazioni sociali

3 . Segue: vantaggi eventuali e contingenti, verso i soci uti singuli

4 . Giustificazioni teoriche e pratiche dei vantaggi ai soci

5 . Tutela indiretta dell’interesse patrimoniale: proposte concorrenti e classamento dei soci

6 . Tutela diretta dell’interesse patrimoniale: opposizione all’omologazione e partecipazione minima dei soci al valore. Contestazione del piano pregiudizievole

7 . Segue: contestazioni ulteriori

8 . Determinazione del valore disponibile per i soci. Ricadute dei principi del soddisfacimento integrale e dell’assenza di pregiudizio

9 . Regole integrative per la determinazione del valore disponibile per i soci. Ricadute dei principi della distribuzione integrale e della distribuzione maggiorata del valore

10 . Presupposti per l’applicazione dell’art. 120 quater CCII: vantaggi e strumenti rilevanti

11 . Segue: riserva esplicita di valore

12 . Segue: dissenso di una o più classi di creditori

13 . Quota disponibile: valore risultante dalla ristrutturazione, valore di liquidazione e valore eccedente quello di liquidazione

14 . Confronto tra classi di creditori e soci

15 . Segue: pluralità di classi dissenzienti

16 . Segue: ordine di distribuzione del valore “in risalita” tra le classi di creditori equiordinate e intermedie

17 . Determinazione del valore riservato ai soci

18 . Segue: determinazione del valore riservato ai soci nell’ultimo decreto correttivo al codice della crisi

19 . Scomputo del nuovo valore. Apporti rilevanti

20 . Segue: quantificazione del valore scomputabile

21 . Segue: implicazioni nella sfera patrimoniale dei soci

22 . Situazioni giuridiche e interesse patrimoniale dei soci: tutela reale e allocazione del valore disponibile

23 . Segue: tutela obbligatoria e allocazione del valore disponibile

24 . Segue: diritto allo scomputo del nuovo valore

25 . Segue: partecipazione effettiva al valore

1 . Premessa
Alla regolazione dei poteri e degli interessi dei soci tradizionalmente provvede il diritto societario, tramite norme per lo più indifferenti alle condizioni patrimoniali e soprattutto finanziarie della società. 
Una simile impostazione è ripudiata dal codice della crisi. Nella formulazione che recepisce le indicazioni fornite dalla Direttiva Insolvency, il codice delinea un sistema autonomo di regole, volte a disciplinare la condizione dei soci in seguito alla sottoposizione della società a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza[1]: nega loro alcuni poteri, con il contestuale riconoscimento di altri; vincola il soddisfacimento dei loro interessi a inedite restrizioni. 
Benché potere e interesse presentino implicazioni reciproche inevitabili[2], le pagine che seguono sono dedicate alla disciplina del secondo; anzi, al solo interesse patrimoniale dei soci[3]. 
Sembra possibile anticipare sin da queste battute iniziali che le maggiori innovazioni delle ultime riforme riguardano il trattamento dei soci estranei alle obbligazioni sociali. Ciononostante, questioni non meno centrali prospetta l’interesse di quelli illimitatamente responsabili. Di conseguenza, nello sviluppo del presente lavoro si analizzano in parallelo i profili che interessano gli uni e gli altri. 
A restringere l’ampiezza delle questioni da affrontare provvede la considerazione di alcuni strumenti soltanto: quelli che richiedono la predisposizione e l’omologazione di un piano da parte di qualcuno dei soggetti coinvolti dalla crisi, perciò capace di imporsi anche ai soci e ai creditori che non esprimono il proprio consenso[4].
2 . Strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, omologazione e vantaggi per i soci: liberazione del patrimonio personale e rivalutazione delle partecipazioni sociali
L’omologazione offre il conseguimento di vantaggi eterogenei ai soci. 
A quelli illimitatamente responsabili prospetta la liberazione dalle pretese dei creditori sociali. Il beneficio dipende dall’efficacia dell’omologazione nella loro sfera giuridica; o meglio, dalla ripercussione delle conseguenze prodotte tra la società e i suoi creditori. 
L’efficacia nei confronti dei soci è prevista da regole risalenti, anteriori all’entrata in vigore del codice della crisi[5]: dagli artt. 153, comma 1, e 184, ult. comma, L. fall. per quello fallimentare e il concordato preventivo; dall’art. 7, ult. comma, l. 27 gennaio 2012, n. 3, per l’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento[6]. Più numerose sono le disposizioni che ribadiscono l’estensione degli effetti all’interno del codice: l’art. 59, ult. comma, per gli accordi di ristrutturazione (anche a efficacia estesa)[7]; l’art. 79, comma 4, per il concordato minore[8]; l’art. 117, ult. comma, per quello preventivo[9], nonché - in ragione del rinvio disposto dall’art. 25 sexies, ult. comma, CCII - per il semplificato[10]; l’art. 266, comma 1, per il concordato nella liquidazione giudiziale[11]. 
L’estensione degli effetti è coerente alla rimodulazione delle obbligazioni sociali: la stessa vicenda che si produce tra creditori e società[12] si riverbera nei rapporti con i soci[13]. L’opinione prevalente fa perciò dipendere tale soluzione da un principio generale[14], trasversale ai diversi strumenti di regolazione della crisi soggetti a omologazione[15] e riferibile - almeno secondo una larga parte della dottrina - ai soci a prescindere dalla fonte della loro responsabilità per i debiti sociali[16]. 
Il vantaggio consegue automaticamente all’omologazione: si produce ex lege, benché possa essere escluso tramite una clausola del concordato o dell’accordo. In assenza di una simile deroga, la responsabilità di ciascun socio si adegua a quella della società: l’aggressione del patrimonio individuale rimane circoscritta all’importo non falcidiato; in ogni caso, data la sussidiarietà del vincolo personale, è consentita solo in seguito all’inadempimento della società[17]. Se l’effetto tra questa e i creditori consiste in una esdebitazione almeno parziale, il vantaggio conseguito dai soci può essere commisurato all’importo falcidiato; qualora l’omologazione determini la dilazione dei crediti sociali, il vantaggio dipende dalla moratoria anche delle pretese contro i soci[18]. 
Diverso è il beneficio conseguibile dai soci che rischiano i soli conferimenti sottoscritti. L’omologazione non libera il patrimonio personale da pretese comunque insussistenti verso tali soci. Consente la conservazione e la rivalutazione di uno specifico elemento, rappresentato proprio dalla partecipazione alla società in crisi[19]. 
Come quello prospettato ai soci illimitatamente responsabili, anche questo beneficio scaturisce dalla proiezione nel patrimonio individuale delle conseguenze prodotte dall’omologazione verso la società[20]. Il più delle volte, il vantaggio viene illustrato tramite le ricadute patrimoniali e contabili nei confronti della società e conseguentemente dei soci: di regola, l’incremento del patrimonio netto, per via della falcidia di una quota delle passività reali[21], con l’accrescimento proporzionale del valore imputabile alle singole partecipazioni[22]; quindi, il risparmio delle risorse sottratte alle pretese dei creditori, utilizzabili ad esclusivo beneficio dei soci[23]. Sebbene siano utili all’individuazione delle conseguenze nei loro confronti, i risvolti patrimoniali e contabili consentono una misurazione imprecisa dei vantaggi per i soci: trascurano le ricadute di carattere finanziario, dalle quali dipendono benefici generalmente superiori all’incremento di patrimonio netto e valore contabile; considerano poste di bilancio che non rappresentano il valore effettivo del patrimonio né tanto meno dell’impresa, e quindi neppure della partecipazione individuale al capitale[24]. La conferma è data dall’omologazione del piano meramente dilatorio: senza alcuna variazione immediata del patrimonio netto, il provvedimento può consentire il recupero della continuità, e così l’immediata rivalutazione delle partecipazioni[25]. Proprio perché riguarda un profilo distinto dalla responsabilità per le obbligazioni sociali e dipende dalle ripercussioni economiche del provvedimento, il risparmio di risorse e la rivalutazione delle partecipazioni possono avvantaggiare anche i soci illimitatamente responsabili, con un beneficio aggiuntivo rispetto all’estensione degli effetti prodotti dall’omologazione nei loro rapporti con i creditori sociali.
3 . Segue: vantaggi eventuali e contingenti, verso i soci uti singuli
I vantaggi appena descritti dipendono dalle conseguenze caratteristiche dell’omologazione. Riguardano perciò l’intera platea e si indirizzano ai soci in quanto tali. 
Diversi sono i benefici relativi a rapporti collaterali rispetto a quello partecipativo, configurabili solamente nei confronti di alcuni soggetti. 
Anzitutto, quello determinato dall’estensione degli effetti nei rapporti di garanzia assunti dai soci ad integrazione della responsabilità illimitata costituita dal vincolo partecipativo. Benché un simile beneficio sia contestato da una parte della dottrina e della giurisprudenza[26], nel vigore della legge fallimentare risulta prevalente la tesi che riconosce la produzione negli specifici rapporti di garanzia delle stesse conseguenze determinate dall’omologazione nei confronti dei soci in quanto tali[27]. La conclusione pare trovare un’implicita conferma nell’art. 59, ult. comma, CCII: alla previsione secondo cui «salvo patto contrario, gli accordi di ristrutturazione della società hanno efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili» si aggiunge quella per cui questi stessi soci, «se hanno prestato garanzia, continuano a rispondere per tale diverso titolo, salvo che non sia diversamente previsto». L’applicazione circoscritta agli accordi di ristrutturazione pare suggerire a contrario l’estensione automatica ai rapporti di garanzia degli effetti conseguenti allo svolgimento di ogni altro strumento soggetto ad omologazione[28]. 
Un vantaggio diverso può favorire i soci in regime di responsabilità limitata. È prospettabile anche nei loro confronti la liberazione da obblighi costituiti da un titolo diverso rispetto al contratto sociale[29]. Il piano può escludere di fatto o per rinunzia esplicita l’esercizio di azioni recuperatorie altrimenti esperibili nei confronti degli autori di illeciti dannosi per la società o inadempienti nei suoi confronti[30]; soprattutto, può consentire il consolidamento di atti che sarebbero revocabili o automaticamente inefficaci in seguito all’accertamento giudiziale dell’insolvenza[31]. Il vantaggio dipende dalla sottrazione a situazioni giuridiche sfavorevoli - secondo i casi, di obbligo o mera responsabilità -, tali da determinare l’erosione del patrimonio personale ed il corrispondente incremento di quello posto a garanzia dei creditori sociali; a titolo d’esempio, per la mancata costituzione dell’obbligo di restituzione al curatore delle somme percepite dal socio con il rimborso di finanziamenti anomali o sospetti a ridosso della liquidazione giudiziale della società[32]. 
4 . Giustificazioni teoriche e pratiche dei vantaggi ai soci
I benefici esposti risultano fisiologici e tollerabili nella versione originaria della legge fallimentare[33]. 
Anzitutto, per l’imposizione di notevoli percentuali di pagamento. La prospettazione di versamenti significativi ai creditori implica la conservazione di un valore esiguo all’interno del patrimonio sociale; al tempo stesso, restringe ad importi modesti la falcidia conseguibile dai soci personalmente responsabili per le obbligazioni sociali[34]. 
Poi, per la vocazione degli istituti alternativi al fallimento alla prospettazione di un beneficio alle società meritevoli, e quindi ai loro soci onesti ma sfortunati[53], diretto a non disincentivare operazioni di investimento che o espongono a rischio il loro intero patrimonio oppure richiedono ingenti investimenti per l’esercizio dell’impresa in regime di responsabilità limitata[36]. 
Infine, ancora nella formulazione della legge fallimentare precedente al codice della crisi, per via delle prerogative riconosciute ai soci, tali da dare una spiegazione pratica alla configurazione di soluzioni coerenti al loro interesse. 
Con riguardo a quest’ultimo profilo, sono due gruppi di poteri a venire in rilievo. 
Da un lato, quelli “concorsuali” che permettono ai soci di impedire la formulazione stessa del piano e comunque poi di imporre modifiche al suo contenuto o la stessa rinuncia all’iniziativa[37]. 
Dall’altro, quelli “societari” strumentali all’adozione delle modifiche statutarie pressoché inevitabili per l’attuazione di piani diretti al risanamento delle imprese di maggiori dimensioni[38]: confermato dal principio di neutralità organizzativa degli istituti (lato sensu) concorsuali[39], il monopolio su tali modifiche rimette ai soci l’adozione di atti essenziali per la realizzazione del piano[40]. Anzi, benché sembri compromettere la sola esecuzione, l’esercizio pressoché insindacabile dei poteri dei soci preclude la stessa fattibilità e rende perciò inammissibile il programma formulato senza la loro cooperazione[41], ogni qual volta non ricorrano gli stringenti presupposti per l’attuazione coattiva del piano di riorganizzazione societaria[42]. 
La gran parte di queste giustificazioni non sussiste più nel contesto attuale: nessuno degli strumenti regolati dal codice richiede le percentuali pretese un tempo per la falcidiabilità dei crediti, ormai apertamente consentita anche nei confronti di quelli assistiti da diritti di prelazione; la meritevolezza dei soci non è più condizione per il ricorso a tali strumenti né per l’omologazione del piano[43]; l’investimento minimo richiesto per l’esercizio dell’attività in regime di responsabilità limitata è decisamente modesto, fino a potersi esaurire nella cifra simbolica di un euro[44]. Soprattutto, il codice della crisi abroga le prerogative dei soci suscettibili di impedire l’omologazione o l’esecuzione di programmi ad essi sgraditi. 
Sono nuovamente da considerare due gruppi di norme. 
Il primo è rappresentato dalle regole che provvedono al recepimento dell’art. 12, § 1, Direttiva Insolvency. Questa disposizione impone norme sufficienti «affinché ai detentori di strumenti di capitale non sia consentito di impedire o ostacolare irragionevolmente l’adozione e l’omologazione di un piano di ristrutturazione». Il codice mira ad evitare l’ostruzionismo rispetto alla stessa adozione dell’iniziativa: l’art. 120 bis, commi 1 e 2, CCII affida esclusivamente agli amministratori l’attivazione di uno strumento di regolazione della crisi e la formulazione del piano per conto della società[45]; l’art. 90, comma 1, consente la predisposizione del piano di concordato preventivo da parte anche dei titolari di una porzione qualificata[46] dei crediti sociali[47]; l’art. 240, comma 1, conferma la legittimazione di creditori e terzi nel corso della liquidazione giudiziale già pendente[48]. La disciplina contro l’ostruzionismo irragionevole dei soci è completata da almeno altre due norme: quella introdotta dall’art. 120 bis, comma 4, CCII, per evitare la rimozione senza giusta causa degli amministratori[49]; quella prevista dall’art. 116, ult. comma, CCII, per impedire l’esercizio del recesso[50]. 
Il secondo gruppo da considerare è formato dalle norme dirette al recepimento dell’art. 12, § 2, Direttiva Insolvency. Sulla base di questa previsione «gli Stati membri provvedono [...] affinché ai detentori di strumenti di capitale non sia consentito di impedire o ostacolare irragionevolmente l’attuazione di un piano di ristrutturazione». La finalità è perseguita tramite due disposizioni del codice della crisi: l’art. 118, commi 5 e 6, che già nella versione anteriore al recepimento della Direttiva permette l’esercizio dei poteri dei soci[51] da parte di un amministratore giudiziario, per consentire l’esecuzione forzosa delle proposte concorrenti di concordato preventivo; l’art. 120 quinquies, comma 1, che consente al provvedimento di omologa di determinare direttamente la modifica dello statuto oppure il trasferimento delle prerogative dei soci agli amministratori in carica o a un amministratore giudiziario[52]. 
I due gruppi di regole consentono di incidere dall’esterno sul trattamento dei soci; a prescindere sia dal consenso individuale sia dalla formazione di una volontà unitaria secondo i comuni meccanismi del diritto societario. 
È l’autore del piano a poter prevedere l’inserimento della clausola contraria all’estensione degli effetti ai soci illimitatamente responsabili, in modo da riservare esclusivamente alla società gli effetti benefici dell’omologazione. Una simile previsione è verosimile se l’iniziativa viene assunta da amministratori esterni alla compagine sociale; perfino probabile se ad agire è qualcuno dei creditori eventualmente legittimati alla predisposizione del programma contro la crisi[53]. 
Allo stesso modo, pure la conservazione e la rivalutazione delle partecipazioni finiscono per dipendere da un piano che gli artt. 120 bis ss. CCII consentono di predisporre e realizzare a prescindere dal consenso dei soci. 
L’attuale disciplina dilata i possibili effetti dell’omologazione: permette non solo la falcidia dei debiti, di per sé vantaggiosa per i soci, ma anche il compimento di operazioni tali da imporre l’onere del riacquisto oppure il trasferimento delle partecipazioni a terzi. Le regole contro l’ostruzionismo irragionevole dei soci richiamano spesso le operazioni sul capitale[54], sperimentate già nel contesto bancario[55] proprio per contenere - anzi, per trasferire ai creditori - il beneficio provocato dalla riduzione delle passività e dalla conseguente rivalutazione delle partecipazioni[56]. Espressamente consentita è la riduzione del capitale[57]. L’operazione modifica una clausola dello statuto insieme a una posta del patrimonio netto. Soprattutto, diminuisce la quota o le azioni dei soci[58], con un effetto almeno formalmente espropriativo di loro beni[59]. Per servire contro la crisi la riduzione richiede il successivo incremento del capitale[60]. Si prospetta allora l’alternativa appena preannunciata. O l’esecuzione di nuovi conferimenti, con apporti assimilabili al prezzo per il riacquisto delle partecipazioni, tali da incrementare le risorse disponibili per l’esercizio dell’impresa o direttamente per il pagamento dei creditori sociali[61]. Oppure la sottoscrizione dell’aumento da parte di nuovi soci, ammessi ad affiancare o perfino soppiantare quelli precedenti all’omologazione[62].
5 . Tutela indiretta dell’interesse patrimoniale: proposte concorrenti e classamento dei soci
Mentre l’abrogazione di alcune prerogative mira a precludere l’ostruzionismo irragionevole dei soci[63], l’attribuzione di situazioni giuridiche inedite è strumentale alla protezione dei loro interessi[64]. 
Intesa in senso ampio, una funzione rimediale si può riconoscere alle regole che consentono la stesura di proposte concordatarie da parte dei soci[65] e permettono oppure impongono il loro classamento[66]. Configura invece un rimedio in senso stretto l’opposizione all’omologazione. 
La formulazione di proposte concorrenti di concordato preventivo è prevista dall’art. 120 bis, comma 5, CCII Secondo questa disposizione «i soci che rappresentano almeno il dieci per cento del capitale sono legittimati alla presentazione di proposte concorrenti ai sensi dell’articolo 90». Nonostante la causa del concordato rimanga la regolazione su base negoziale della crisi[67], è prevedibile che lo stimolo all’iniziativa dei soci possa venire dall’interesse a sostituire il piano già formulato dagli amministratori per conto della società con uno più coerente al loro interesse[68]. È perciò pronosticabile l’esercizio del potere allo scopo: di ripristinare l’estensione degli effetti verso i soci illimitatamente responsabili, qualora esclusa dal piano della società o da ulteriori proposte in competizione; di conservare nel patrimonio sociale una porzione maggiore dell’importo contendibile, e cioè non vincolato al soddisfacimento dei creditori dal codice della crisi[69]. 
Sebbene possa configurare un mezzo talvolta idoneo alla loro protezione, la legittimazione dei soci rimane circoscritta al concordato preventivo e - sulla base di altre regole - consentita in quello nella liquidazione giudiziale[70]; non è ammessa nell’ambito di ulteriori istituti[71], sicché non offre una protezione di carattere generale contro l’omologazione di soluzioni sgradite. Soprattutto, la legittimazione ristretta ai titolari di un decimo del capitale[72] esclude l’idoneità delle proposte concorrenti alla tutela individuale dell’interesse[73]. 
Il classamento dei soci è previsto dall’art. 120 ter CCII e propedeutico all’esercizio del voto. Ai sensi del primo comma, «lo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza può prevedere la formazione di una classe di soci o di più classi». È il comma immediatamente successivo a disporre l’obbligo di classamento in ragione di due presupposti: «se il piano prevede modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci e, in ogni caso, per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio». La violazione dell’obbligo di classamento comporta conseguenze differenti a seconda dello strumento di regolazione della crisi concretamente impiegato[74]. 
L’attribuzione del voto assicura una protezione piuttosto modesta ai soci[75]. Anzitutto, può riguardare solamente gli istituti che ammettono la divisione dei destinatari del piano in classi[76]. Poi, consente l’espressione di un voto dalla rilevanza ridotta: capace di influire sull’approvazione da parte proprio delle classi, per restare indifferente all’eventuale ulteriore maggioranza dei voti espressi dai (soli) creditori[77]; neutrale per la selezione tra più proposte di concordato preventivo, dal momento che l’art. 109, comma 2, CCII richiama la «proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto», senza che rilevi - neppure in caso di parità - la preferenza espressa dai soci[78]; idoneo a precludere l’unanimità delle classi[79], così da impedire l’omologazione solamente del piano disciplinato dagli artt. 64 bis ss. CCII[80]. 
Ciononostante, la regola che impone il classamento dei soci presenta una significativa ricaduta indiretta rispetto alla salvaguardia del loro interesse: restringe la possibilità di «incid[ere] direttamente sui diritti di partecipazione dei soci»[81] agli istituti potenzialmente coerenti all’obbligo di classamento[82]. Orientano in questa direzione la Direttiva Insolvency e lo stesso art. 120 ter, commi 1 e 2, CCII: la prima assegna il voto alle “parti interessate”, tra cui sono da includere i titolari di diritti partecipativi incisi dal piano[83], e soprattutto pare volere l’indifferenza all’omologazione degli interessati che rimangono estranei all’adozione del piano[84]; la norma del codice riconosce la necessità proprio del classamento per consentire l’efficacia del piano rispetto ai diritti partecipativi dei soci[85]. 
Perciò, nonostante il generico richiamo agli “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” negli artt. 120 bis, comma 2, e 120 quinquies, comma 1, CCII[86], l’alterazione di tali situazioni giuridiche è preclusa agli istituti che - come l’accordo di ristrutturazione - non consentono il classamento ed il voto dei soci; o meglio, rimane ammissibile alle condizioni stabilite dal diritto societario[87]. Per considerare l’intervento più radicale ipotizzabile verso coloro che beneficiano della responsabilità limitata, la riduzione a zero del capitale e la conseguente estinzione di ogni diritto partecipativo[88] sono realizzabili: alle condizioni previste dagli artt. 120 bis ss. CCII tramite gli strumenti che permettono il classamento dei soci; nell’ambito di ogni altro istituto, secondo i meccanismi di diritto societario che postulano la loro cooperazione[89]. È invece priva di ricadute sui diritti partecipativi la clausola negativa dell’estensione degli effetti verso quelli illimitatamente responsabili; di conseguenza, il suo inserimento nel piano prescinde dall’attribuzione del voto tramite il classamento dei soci[90].
6 . Tutela diretta dell’interesse patrimoniale: opposizione all’omologazione e partecipazione minima dei soci al valore. Contestazione del piano pregiudizievole
Il rimedio a tutela dell’interesse patrimoniale dei soci consiste nell’opposizione all’omologazione. È l’art. 120 quater, comma 3, CCII, a riconoscere loro il diritto di «opporsi all’omologazione del concordato al fine di far valere il pregiudizio subito rispetto all’alternativa liquidatoria»[91]. Originariamente controversa[92], la legittimazione dei soci risulta più ampia di quella riconosciuta ai creditori, poiché non espressamente preclusa dall’espressione di un voto favorevole[93]. 
Prima la rubrica e poi la disposizione fanno riferimento all’omologazione del concordato. La precisazione giustifica almeno due letture. 
Quella restrittiva circoscrive l’opposizione agli strumenti designati dal codice con il nome di “concordato”[94]: il preventivo, sia liquidatorio sia con continuità[95]; il minore; il concordato nella liquidazione giudiziale[96]; quello semplificato[97]. La lettura estensiva ammette l’opposizione nell’ambito di ogni strumento capace - come i concordati - di diffondere tramite l’omologazione gli effetti anche a soggetti non consenzienti[98]; insieme agli strumenti già ricordati: piano di ristrutturazione soggetto a omologazione[99]; accordo a efficacia estesa[100]; accordo di ristrutturazione “standard”, idoneo ad imporre sia una moratoria sia la falcidia almeno dei crediti fiscali. 
A favore della prima impostazione potrebbe orientare l’attitudine dei soli concordati - e però oggi anche del piano soggetto ad omologazione - a consentire il classamento dei soci e così ad incidere sui loro diritti partecipativi secondo i meccanismi delineati dagli artt. 120 bis ss. CCII[101]. Indirizza invece verso la soluzione estensiva l’inserimento dell’art. 120 quater, comma 3, CCII nella sezione intitolata in termini generali agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società[102]. A risultare decisiva è tuttavia la funzione del rimedio. Questo vuole consentire la difesa contro pregiudizi potenzialmente conseguenti non solo al concordato, ma all’omologazione di ogni strumento capace di ledere l’interesse dei soci[103], sul versante sia della responsabilità per i debiti sociali sia del valore o della titolarità stessa delle partecipazioni[104]. Infine, è l’uguale soggezione di soci e creditori al piano a suggerire l’attribuzione esplicita ai primi del rimedio costantemente riconosciuto a tutela dei secondi[105], in modo da consentire l’opposizione sulla base dell’art. 120 quater, comma 3, CCII e a prescindere dalla controversa legittimazione dei soci ad opporsi quali meri interessati[106]. 
A prescindere dall’ambito applicativo, l’art. 120 quater, comma 3, CCII fissa requisiti stringenti per l’opposizione. Attribuisce ai soci il diritto di «far valere il pregiudizio subito rispetto all’alternativa liquidatoria». La rilevanza riconosciuta alla sussistenza - anzi, alla previsione - di conseguenze pregiudizievoli è coerente all’impostazione della Direttiva. Questa mira a contrastare l’ostruzionismo irragionevole, non la resistenza giustificata dalla difesa di un interesse meritevole di tutela[107]. È l’art. 120 quater, comma 3, CCII ad esprimere il criterio di distinzione individuato dal legislatore domestico: ragionevoli, e perciò suscettibili di accoglimento sono le contestazioni dirette ad evitare un pregiudizio all’opponente; irragionevoli, quelle rivolte contro il piano indifferente o perfino vantaggioso[108]. 
Il requisito della dannosità impone il confronto tra due scenari, ugualmente ipotetici e futuri: quello del trattamento pronosticabile dall’alternativa liquidatoria; quello immaginabile per i soci con l’omologazione del piano. Solamente se il primo risulta preferibile, l’opposizione è meritevole di accoglimento[109]. Alla precisazione di tale termine di paragone l’art. 120 quater, comma 3, CCII provvede tramite il generico riferimento «all’alternativa liquidatoria». La necessità di impedire il solo ostruzionismo concretamente irragionevole delinea uno scenario per un verso più ristretto e per un altro più ampio rispetto a quello immediatamente desumibile dal testo della disposizione: per un verso, limitato alle soluzioni effettivamente realizzabili, da identificare con quelle coattive realizzabili a prescindere dalla cooperazione tra i soggetti interessati[110]; per altro verso, esteso alle soluzioni che non implicano l’immediata interruzione dell’esercizio per la liquidazione del patrimonio[111] e consentono la prosecuzione almeno temporanea dell’impresa[112]. 
Nonostante l’introduzione di una disciplina unitaria all’interno dell’art. 120 quater, comma 3, CCII, risultano disomogenei gli svantaggi contro cui può rivolgersi l’opposizione. 
Il pregiudizio che possono subire i soggetti illimitatamente responsabili è rappresentato per lo più dall’esposizione a pretese creditorie superiori a quelle immaginabili senza l’omologazione del piano. 
L’accoglimento è perciò poco probabile se il piano prevede il pagamento integrale da parte della società oppure il soddisfacimento parziale dei creditori sociali e l’esdebitazione anche dei soci[113]. Un controllo più articolato è imposto dalle opposizioni al piano che intenda negare l’estensione degli effetti prodotti dall’omologazione, con la conferma della responsabilità illimitata per i debiti lasciati insoddisfatti. Sono da distinguere due ipotesi. Se neppure la soluzione alternativa consente l’esdebitazione dei soci, l’accoglimento dell’opposizione richiede la dimostrazione di un soddisfacimento dei creditori inferiore alla misura altrimenti prevedibile, con la conseguente esposizione del patrimonio personale a pretese residue di maggior importo[114]. Se invece la soluzione alternativa all’omologazione del piano consiste nell’apertura di uno strumento di regolazione dell’insolvenza idoneo all’esdebitazione tanto della società quanto degli stessi soci, l’accoglimento di loro contestazioni è maggiormente probabile, potendo configurarsi un pregiudizio proprio per la negazione del beneficio[115]. 
Diverso è il pregiudizio prevedibile per i soci che rischiano i soli conferimenti. 
Il piano può prospettare una svalutazione concretamente pregiudizievole delle partecipazioni comprese nel loro patrimonio; cioè, un decremento di valore superiore a quello altrimenti prevedibile. L’accertamento di una simile svalutazione impone complicate operazioni di stima[116], dirette alla misurazione dell’importo prevedibile sia nello scenario alternativo al piano sia in base al suo contenuto[117]. 
La determinazione di questo secondo valore risulta tuttavia superflua qualora lo scenario alternativo al piano faccia prevedere l’integrale perdita di valore delle partecipazioni: in un simile scenario si può concludere per il rigetto costante dell’opposizione[118], dal momento che per i soci limitatamente responsabili non sono prevedibili conseguenze deteriori rispetto alla perdita dell’intero investimento[119]. 
Inoltre, il mero riferimento al «pregiudizio» da parte dell’art. 120 quater, comma 3, CCII permette di riconoscere la rilevanza. Di conseguenza, è da escludere la fondatezza di contestazioni rivolte contro il piano che faccia pronosticare la perdita di valore delle partecipazioni rispetto allo scenario altrimenti praticabile, qualora tale effetto negativo sia corretto da vantaggi almeno equivalenti[120]. Può essere l’ipotesi dell’iniziativa che programmi l’azzeramento del capitale e la sottrazione di partecipazioni capaci ancora di esprimere un valore positivo negli scenari alternativi al piano, non pregiudizievole ogni qual volta siano contemplate o prevedibili conseguenze idonee alla neutralizzazione del danno[121]: a mo’ d’esempio, per l’attribuzione di strumenti finanziari di valore corrispondente alle partecipazioni tolte dal patrimonio dei soci o anche solo per la stabilizzazione di atti altrimenti destinati all’inefficacia[122].
7 . Segue: contestazioni ulteriori
Agli stringenti presupposti conseguenti alla necessità del pregiudizio si sottraggono le contestazioni dirette a lamentare un vizio procedurale o sostanziale[123]. 
Benché sia netta in teoria[124], la distinzione rispetto alle censure richiamate dall’art. 120 quater, comma 3, CCII diventa sfumata se l’opposizione denuncia la prospettazione di un esito ultrasatisfattivo ai creditori[125], e perciò la violazione della c.d. no more than 100% rule[126]. L’attribuzione di un’utilità superiore all’importo nominale del credito è indicata tra i motivi di opposizione dei soci in altri ordinamenti[127]. Viene richiamata dall’art. 112, comma 2, lett. c, CCII al diverso scopo di determinare i presupposti per la ristrutturazione trasversale[128]. Muove da un’interpretazione a contrario di questa previsione l’orientamento che esclude contestazioni dei soci contro il piano ultrasatisfattivo per i creditori[129]. Ciononostante, sembrano di persistente attualità gli argomenti spesi nel vigore della legge fallimentare per ammettere invece l’opposizione da parte sia della stessa società debitrice sia dei suoi soci[130]. Resta ferma la funzione satisfattiva e non lucrativa[131] tanto del rapporto obbligatorio quanto degli strumenti disciplinati dal codice della crisi[132]. Sembrano perciò da ammettere contestazioni indipendenti dal confronto con lo scenario alternativo e dalla previsione di un danno nei confronti dei soci[133], poiché basate esclusivamente sulla constatazione di un trattamento sproporzionato rispetto all’importo da corrispondere a ciascun creditore[134]. 
Un ulteriore motivo di opposizione dei soci viene indicato dall’art. 285, ult. comma, CCII Presente già nella formulazione originaria del codice, questa disposizione prima consente trasferimenti di risorse tra le società coinvolte da un concordato di gruppo (commi 1 e 2)[135]; poi stabilisce che «i soci possono far valere il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale dalle operazioni di cui ai commi 1 e 2, esclusivamente attraverso l’opposizione all’omologazione del concordato di gruppo» e che «il tribunale omologa il concordato se esclude la sussistenza del predetto pregiudizio in considerazione dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese dal piano di gruppo» (ult. comma). 
Come l’art. 120 quater, comma 3, anche l’art. 285, ult. comma, CCII fa riferimento al solo concordato, ma pare introdurre una disciplina riferibile anche ad altri strumenti di regolazione “in gruppo” della crisi[136]. 
Soprattutto, benché miri ad escludere i rimedi di diritto societario, l’art. 285, ult. comma, finisce per riconoscere una tutela aggiuntiva rispetto a quella prevista dall’art. 120 quater, comma 3, CCII[137]. Permette di contestare non il pregiudizio provocato dall’omologazione del piano rispetto allo scenario altrimenti prospettabile, ma quello derivante dalle operazioni infragruppo previste rispetto all’ipotesi di un piano differente[138]. Se il risultato di tali operazioni non risulta positivo o anche solo neutrale nei confronti dei soci[139], sussiste il presupposto per l’accoglimento dell’opposizione[140]. Di conseguenza, il rimedio è esperibile anche contro la soluzione che prefiguri un risultato complessivamente non pregiudizievole o perfino vantaggioso rispetto alle alternative concretamente praticabili. Delineata prima del recepimento della Direttiva Insolvency, una simile soluzione si presenta incoerente alla necessità di impedire l’ostruzionismo irragionevole dei soci ai sensi dell’art. 12, §§ 1 e 2, e poi all’identificazione dell’irragionevolezza con la complessiva dannosità del piano, secondo la logica espressa dall’art. 120 quater, comma 3 CCII[141]. 
8 . Determinazione del valore disponibile per i soci. Ricadute dei principi del soddisfacimento integrale e dell’assenza di pregiudizio
Più articolate sono le regole dirette a fissare la misura massima dei vantaggi conseguibili dai soci. Salva l’ipotesi del piano integralmente satisfattivo, la loro partecipazione al valore dipende dal risparmio delle risorse sottratte dall’omologazione alle pretese dei creditori: o quelle conservate nel patrimonio personale dei soci altrimenti responsabili; o quelle conservate nel patrimonio sociale[142]. Per questa ragione - si profilano questioni almeno in parte comuni: in assenza di norme specifiche, la misura massima della partecipazione dei soci al valore può essere ricavata in negativo; a partire dalle regole che stabiliscono il soddisfacimento minimo dei creditori, individuando così la ricchezza che può essere conservata nel patrimonio dei soci o in quello sociale a loro beneficio[143]. 
In termini generali, la misura massima della partecipazione dei soci al valore dipende dai principi alternativi del soddisfacimento integrale e dell’assenza di pregiudizio. 
Il primo principio pone un limite all’efficacia dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e del piano soggetto a omologazione nei confronti dei rapporti obbligatori pendenti. L’accordo è vincolato al pagamento integrale dei creditori non aderenti; salva l’ipotesi del cram down fiscale, quelli estranei sono esposti soltanto alla dilazione prevista dall’art. 57, comma 3, CCII La disciplina del piano di ristrutturazione esclude invece la falcidia dei crediti assistiti dal privilegio previsto dall’articolo 2751 bis, n. 1, c.c., per imporre tramite l’art. 64 bis, comma 1, CCII il completo soddisfacimento in denaro entro trenta giorni dall’omologazione[144]. Queste regole convergono contro l’omologazione del piano che programmi la falcidia di tali crediti[145]. Di conseguenza, in relazione ai rapporti elencati non sono concepibili l’esdebitazione della società né quella dei soci illimitatamente responsabili; di riflesso, nemmeno è pensabile la conservazione nel patrimonio individuale e in quello sociale dell’importo necessario al pagamento integrale. 
Dal punto di vista dei soci, implicazioni analoghe dipendono da un’altra norma. L’art. 84, comma 7, CCII vuole che gli stessi creditori da soddisfare integralmente ai sensi dell’art. 64 bis, comma 1, CCII ricevano dal concordato con continuità aziendale un trattamento coerente alla «graduazione delle cause legittime di prelazione sul valore di liquidazione e sul valore eccedente il valore di liquidazione»[146]. La disposizione non prescrive il soddisfacimento integrale, ma disciplina l’impiego della ricchezza a disposizione[147]. Ciononostante, la conseguenza per i soci non cambia: fino al completo soddisfacimento dei titolari del privilegio previsto dall’art. 2751 bis, n. 1, c.c., l’attivo previsto dal piano va destinato ai soggetti richiamati dall’art. 84, comma 7, CCII Se il piano non prevede la realizzazione integrale del loro interesse, solo un atto individuale di questi creditori può consentire la partecipazione dei soci al valore, tramite la rinunzia almeno parziale al privilegio oppure allo stesso credito[148]. 
Impedimenti meno consistenti dipendono dal principio dell’assenza di pregiudizio[149]. Previsto a tutela dei titolari di crediti falcidiabili, tale principio governa: il concordato semplificato; l’accordo di ristrutturazione, per il trattamento dei crediti fiscali e contributivi; l’accordo di ristrutturazione a efficacia estesa, rispetto alla posizione dei non aderenti[150]; il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione[151]; il concordato preventivo e quello minore[152]; il concordato nella liquidazione giudiziale[153]. A raccogliere questi strumenti intorno a una logica comune sono le regole che impediscono l’omologazione di concordati, accordi e piani dannosi per i creditori[154], e cioè capaci di prospettare un trattamento deteriore rispetto a quello conseguibile dall’escussione del patrimonio in garanzia[155]. 
L’individuazione di una soglia minima di soddisfacimento delle pretese creditorie implica la divisione dell’utilità ricavabile dall’esecuzione del piano in due masse. Una prima - equivalente al valore generalmente detto “di liquidazione” - corrisponde all’importo conseguibile anche nello scenario coattivo dal patrimonio della società e degli eventuali soci illimitatamente responsabili, da distribuire tra i creditori secondo il grado delle rispettive pretese[156]. Una seconda massa - equivalente al c.d. “surplus” o “plusvalore da piano” - individua l’ulteriore ricchezza realizzabile tramite l’attuazione del programma negoziale, gestibile con maggiore libertà dal suo autore[157]. La sussistenza di un simile plusvalore rappresenta al tempo stesso la premessa ed il limite per la partecipazione dei soci al valore. L’attribuzione di un valore superiore implica la sottrazione ai creditori di una quota del valore di liquidazione. Di conseguenza, impedisce l’omologazione, possibile solamente tramite un atto individuale dei creditori pregiudicati (adesione all’accordo o rinuncia parziale al credito) oppure, qualora l’attivazione del controllo giudiziale[158] sull’assenza di pregiudizio dipenda dalla loro opposizione[159], l’inerzia dei soggetti danneggiati[160]. 
Entrambi i principi - quello del soddisfacimento integrale come quello dell’assenza di pregiudizio - lasciano a disposizione dei soci un valore residuale, calcolato sulla base di criteri differenti. 
Per i crediti non falcidiabili rileva l’importo nominale. Per quelli suscettibili di falcidia, l’importo rideterminato nel rispetto dell’assenza di pregiudizio. L’estensione del primo criterio a tutti i creditori limiterebbe il valore disponibile per i soci al supero netto nominale, senza alcuna deviazione dai principi generali del diritto civile e societario[161]. È proprio allo scopo di derogare a tali principi e consentire la reazione alla crisi che la disciplina degli strumenti soggetti ad omologazione circoscrive il soddisfacimento integrale ad alcuni soggetti, in modo da permettere la falcidia di altre pretese: nell’accordo di ristrutturazione, quelle fiscali e contributive; nel piano soggetto a omologazione (e nel concordato preventivo), quelle non assistite dal privilegio previsto dall’art. 2751 bis, comma 1, n. 1, c.c. La partecipazione massima dei soci al valore è perciò commisurata alla differenza tra l’attivo disponibile e la somma di due importi: quello nominale da attribuire ai titolari di crediti non falcidiabili; quello conseguibile anche nello scenario coattivo dai titolari di crediti passibili di falcidia tramite l’omologazione. Negli strumenti che aderiscono a quest’ultimo criterio per il trattamento dell’intero ceto creditorio, la partecipazione dei soci è circoscritta al supero netto effettivo, e quindi al plusvalore realizzabile solamente grazie all’omologazione del piano. 
9 . Regole integrative per la determinazione del valore disponibile per i soci. Ricadute dei principi della distribuzione integrale e della distribuzione maggiorata del valore
Restrizioni ulteriori dipendono dai principi della distribuzione integrale oppure maggiorata del valore (attuale). 
Il primo ispira la disciplina del concordato semplificato. 
L’omologazione è subordinata a due condizioni. La prima viene individuata dall’art. 25 sexies, comma 5, CCII nell’assenza di pregiudizio[162]: «il tribunale, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio, omologa il concordato quando [...] rileva che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale»[163], nonché - nella formulazione di imminente entrata in vigore - a quella «della liquidazione controllata»[164]. Si aggiunge a questa la seconda condizione, relativa al programma strumentale al conseguimento di un simile risultato; benché non sia espressamente previsto dalla disciplina del concordato semplificato, l’impostazione pressoché unanime esige la liquidazione integrale dei beni attuali a beneficio dei creditori, in modo da escludere la conservazione nel patrimonio sociale di risorse già presenti al suo interno[165]. Questo requisito integra quello dell’assenza di pregiudizio e circoscrive al futuro l’efficacia esdebitatoria dell’omologazione: solo i beni acquisiti successivamente alla pronuncia possono essere sottratti alla garanzia dei creditori sociali[166]. Il beneficio conseguibile dai soci rimane quello consentito in passato dal concordato preventivo con cessione dei beni ed ora anche dall’esdebitazione nell’ambito delle procedure di liquidazione coattiva[167]: a quelli illimitatamente responsabili si offre l’estensione degli effetti, con liberazione dal vincolo per l’eccedenza destinata a rimanere insoddisfatta[168]; ai soci che rischiano i soli conferimenti si prospetta invece l’occasione per la ricapitalizzazione della società a partire da un patrimonio netto azzerato, non più negativo per via proprio della falcidia concordataria[169]. 
Opera invece nel concordato preventivo e in quello minore a carattere liquidatorio il principio della distribuzione maggiorata del valore, riferibile talvolta anche al concordato nella liquidazione giudiziale[170]. 
La disciplina del primo strumento prevede requisiti aggiuntivi rispetto all’assenza di pregiudizio. L’art. 84, comma 4, CCII richiede «un apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10 per cento l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda»; esige poi che il concordato assicuri «il soddisfacimento dei creditori chirografari e dei creditori privilegiati degradati per incapienza in misura non inferiore al 20 per cento del loro ammontare complessivo»[171]. È lo stesso comma a precisare che «le risorse esterne possono essere distribuite in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile» e che «si considerano esterne le risorse apportate a qualunque titolo dai soci senza obbligo di restituzione o con vincolo di postergazione, di cui il piano prevede la diretta destinazione a vantaggio dei creditori concorsuali». Si tratta di ricchezza che può provenire dai soci e va necessariamente ripartita tra i creditori[172]. Di conseguenza, l’estensione degli effetti nei confronti di quelli illimitatamente responsabili richiede la sussistenza degli stringenti requisiti previsti, con la precisazione che l’attivo da incrementare già comprende i loro beni, sicché non si annoverano tra le risorse esterne quelle provenienti dal patrimonio personale di uno o più soci. Soprattutto, il regime del concordato liquidatorio rende poco probabile la rivalutazione delle partecipazioni, potendosi semmai prevedere nuovi esborsi almeno da parte dei soci in regime di responsabilità limitata[173]. Ciononostante, quanto meno in linea teorica, si può affermare che l’importo disponibile per tale rivalutazione corrisponde alla differenza tra l’attivo pronosticabile dall’esecuzione del piano e il centodieci per cento di quello attuale - il cento da offrire per evitare soluzioni pregiudizievoli più il dieci rappresentato da risorse esterne -, da integrare con ulteriori risorse esterne qualora necessario per la prospettazione ai chirografari della soglia minima del venti per cento[174]. 
È meno rigorosa la disciplina che governa il concordato minore. Se il piano non prevede la prosecuzione dell’attività, l’art. 74, comma 2, CCII richiede l’«apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori»[175]; anzi, nella formulazione di prossima entrata in vigore, che «incrementino in misura apprezzabile l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda»[176]. Il valore disponibile per i soci corrisponde quindi alla differenza tra l’attivo previsto dal piano e l’importo conseguibile dalla liquidazione del patrimonio sociale e degli eventuali soci illimitatamente responsabili, incrementato dalle risorse esterne necessarie per la maggiorazione in misura apprezzabile del soddisfacimento dei creditori oppure, nella versione rielaborata dall’ultimo decreto correttivo, dello stesso arrivo disponibile[177]. 
Infine, per quanto riguarda il concordato nella liquidazione giudiziale, è l’art. 240, comma 1, CCII a stabilire che «la proposta del debitore, di società cui egli partecipi o di società sottoposte a comune controllo è ammissibile solo se prevede l’apporto di risorse che incrementino il valore dell’attivo di almeno il dieci per cento»[178]. Di conseguenza, solamente il piano formulato da questi soggetti è vincolato alla stessa maggiorazione pretesa dal concordato preventivo liquidatorio.
10 . Presupposti per l’applicazione dell’art. 120 quater CCII: vantaggi e strumenti rilevanti
Le norme considerate riguardano il trattamento dei creditori e solo indirettamente permettono l’individuazione del vantaggio massimo conseguibile dai soci. È invece dedicato alla regolazione proprio del loro interesse l’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII[179]. 
Benché la finalità della disposizione sembri pacifica, è incerto l’ambito di applicazione della relativa disciplina. 
Anzitutto, per quanto riguarda i benefici considerati dall’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII Il dubbio è se questa previsione circoscriva il solo vantaggio conseguente alla rivalutazione delle partecipazioni conservate dai soci o anche quello determinato dall’estensione degli effetti a quelli illimitatamente responsabili. 
La disposizione orienta per la rilevanza solamente di conservazione e rivalutazione delle partecipazioni sociali. L’art. 120 quater, comma 1, CCII stabilisce la misura massima del «valore riservato ai soci»; il comma successivo identifica tale importo con «il valore effettivo, conseguente all’omologazione della proposta, delle loro partecipazioni e degli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle». Viene quindi richiamato il valore di questi specifici beni[180], non l’importo conservato nel patrimonio dei soci illimitatamente responsabili grazie all’estensione degli effetti previsti dal piano rispetto alle obbligazioni sociali[181]. 
Problemi differenti riguardano l’individuazione degli strumenti sottoposti all’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII 
Per l’applicazione indiscriminata orienta la collocazione nella sezione del codice relativa agli «strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società». 
Ciononostante, una prima restrizione viene suggerita dal riferimento svolto dalla rubrica alle «condizioni di omologazione del concordato con attribuzioni ai soci». 
Limitazioni ulteriori si ricavano dal testo e dalla logica dell’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII 
L’incipit rinvia all’art. 112 CCII, applicabile solamente al concordato preventivo e a quello minore con continuità[182]. 
Subito dopo è lo stesso comma a richiamare il «valore risultante dalla ristrutturazione», che la letteratura prevalente riconosce nell’ambito dei piani a carattere non meramente liquidatorio[183]. 
L’ultimo comma allude al «concordato in continuità aziendale»; quindi, a una specie di quello preventivo, alla quale risulta tendenzialmente equiparato il concordato minore con prosecuzione dell’esercizio, attivabile su iniziativa di quelle imprese minori espressamente richiamate nella formulazione originaria dell’art. 120 quater, comma 2, CCII[184]. 
Tuttavia, l’indicazione dirimente è offerta dal comma anteriore. Per precisare gli elementi della fattispecie, questo menziona il «dissenso di una o più classi di creditori». Presupposti impliciti sono quindi la necessità del loro classamento per l’omologazione a prescindere dal consenso unanime delle classi[185]. 
L’insieme di questi indizi orienta per un’applicazione circoscritta al concordato preventivo[186] e a quello minore con continuità[187], in modo da escludere la rilevanza degli strumenti che - come il concordato nella liquidazione giudiziale - si caratterizzano per il classamento solamente eventuale dei creditori[188].
11 . Segue: riserva esplicita di valore
Un presupposto ulteriore viene individuato dalla dottrina che fa dipendere l’applicazione dell’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII dall’espressa previsione nel piano della partecipazione dei soci al valore[189]. La conclusione procede da due argomenti. Il primo viene ricavato dalla formulazione ipotetica dell’art. 120 quater, comma 1, CCII, laddove stabilisce che le condizioni prescritte per l’omologazione rilevano «se il piano prevede che il valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato anche ai soci anteriori alla presentazione della domanda». Il secondo, dall’idea che in mancanza di una riserva esplicita a favore dei soci il valore disponibile verrebbe impiegato non a loro beneficio, ma a vantaggio esclusivo dei creditori o della società[190]. 
La tesi della riserva esplicita di valore urta contro l’automatismo della partecipazione dei soci al valore[191]. Questa prescinde da una dichiarazione contenuta nel piano perché configura la conseguenza di due fatti (§ 2): la conservazione almeno parziale delle partecipazioni precedenti all’omologazione; la loro rivalutazione per via degli effetti prodotti dal provvedimento[192]. Si prospetta una secca alternativa: o manca almeno uno di tali fatti, e allora non sussiste la riserva di valore considerata dall’art. 120 quater, comma 1, CCII; oppure ricorrono entrambi, e allora è inevitabile la partecipazione indiretta dei soci al valore non destinato dal piano all’estinzione delle pretese falcidiate. Non pare configurabile la terza ipotesi, e cioè la negazione delle risorse residue sia ai creditori sia ai soci, per un impiego favorevole soltanto alla società debitrice[193].
12 . Segue: dissenso di una o più classi di creditori
Accantonata la rilevanza del contenuto esplicito del piano, il presupposto per l’applicazione dell’art. 120 quater sembra esaurirsi nel riferimento svolto dal primo comma al «dissenso di una o più classi di creditori» verso il concordato preventivo oppure quello minore con continuità[194]. 
La rilevanza del dissenso delinea due scenari per il concordato preventivo. Se viene approvato da tutte le classi, il controllo investe le condizioni richieste per l’omologazione “standard” [195]. Se invece il concordato suscita il dissenso di almeno una classe di creditori, allora l’omologazione è vincolata ai presupposti stabiliti per la ristrutturazione trasversale dall’art. 112, comma 2, CCII e in ambito societario anche dall’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII[196]. La disciplina relativa alla partecipazione dei soci al valore integra quindi quella della ristrutturazione trasversale[197], per concorrere all’omologazione di un concordato non approvato, poiché non votato dall’unanimità delle classi[198]. 
Maggiori problemi pone la disciplina del concordato minore. L’omologazione nonostante il dissenso di una o più classi è consentita a prescindere dalla ristrutturazione trasversale, purché siano raggiunte le maggioranze previste dall’art. 79, comma 1, CCII Il cross class cram down - ammesso dalla norma di rinvio dell’art. 78, comma 2 bis, lett. b, CCII - pare postulare una dichiarazione esplicita del proponente[199] e poi il mancato raggiungimento non dell’unanimità delle classi, ma della doppia maggioranza prevista dall’art. 79, comma 1, CCII: sia quella assoluta sui crediti ammessi al voto sia quella all’interno del maggior numero delle classi[200]. Il dissenso di una sola classe configura perciò il presupposto per l’applicazione dell’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII, non per la ristrutturazione trasversale. Si prospettano allora tre scenari: quello del concordato minore approvato da tutte le classi, sottoposto unicamente ai principi sul soddisfacimento minimo dei creditori; quello del concordato votato dalla maggioranza dei creditori e delle classi, omologabile senza ristrutturazione trasversale ma alle condizioni stabilite dall’art. 120 quater, commi 1 e 2; quello del concordato non approvato con le maggioranze previste dall’art. 79, comma 1, omologabile solo con il ricorso alla ristrutturazione trasversale e comunque nel rispetto dei criteri stabiliti dall’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII[201].
13 . Quota disponibile: valore risultante dalla ristrutturazione, valore di liquidazione e valore eccedente quello di liquidazione
Un primo limite alla partecipazione dei soci pare dipendere dal riferimento svolto dall’art. 120 quater, comma 1, CCII al «valore risultante dalla ristrutturazione», a prima vista idoneo a restringere la misura dei vantaggi conseguibili a tale importo. 
Si tende a riconoscere la divergenza tra questo «risultante dalla ristrutturazione» e il «valore di liquidazione»[202], sottoposto dall’art. 112, comma 2, lett. a, CCII a una distribuzione conforme alla priorità assoluta per l’omologazione mediante ristrutturazione trasversale[203]. 
Incertezze maggiori dipendono dal confronto tra l’importo richiamato dall’art. 120 quater, comma 1, CCII ed il «valore eccedente quello di liquidazione»; ossia, l’importo che l’art. 112, comma 2, lett. b, CCII impone di distribuire secondo la priorità relativa tra le classi dei creditori per consentire l’omologazione del piano rifiutato da almeno qualcuna di esse. 
Un primo orientamento configura un rapporto di genere a specie tra questi importi: identifica il «valore eccedente quello di liquidazione» con l’intero surplus in esubero rispetto allo scenario liquidatorio, per imputare alla ristrutturazione la sola porzione riconducibile alla riorganizzazione della società e alla prosecuzione dell’esercizio[204]. 
Una seconda impostazione ricava dalle scienze aziendalistiche la piena eterogeneità dei due importi. Individua quello eccedente il valore di liquidazione secondo un criterio relazionale: pari alla differenza tra i flussi finanziari netti previsti dall’esecuzione del piano e la cifra conseguibile con la liquidazione del patrimonio. Individua invece l’utilità ricavabile dalla ristrutturazione in un valore assoluto: quello attribuibile all’azienda in seguito all’omologazione, al netto dell’indebitamento concorsuale e operativo[205]. 
Un altro orientamento ancora - attualmente maggioritario - predica la corrispondenza tra i due insiemi[206]. 
Ciascuna impostazione giustifica soluzioni differenti. 
Se si assume il disallineamento tra il plusvalore previsto dal piano rispetto allo scenario liquidatorio e quello da ristrutturazione evocato dall’art. 120 quater, comma 1, CCII, si configura una soluzione restrittiva per la partecipazione dei soci al valore: solamente l’ultimo importo può essere risparmiato dalla società e permanere nel suo patrimonio a loro beneficio[207]. 
Se invece si riconosce la corrispondenza tra i due insiemi, allora l’art. 120 quater, comma 1, CCII si limita a confermare la partecipazione dei soci al surplus pronosticato dal piano, per escluderla solamente su quel valore di liquidazione di cui già l’art. 112, comma 2, lett. a, CCII impone la devoluzione al soddisfacimento dei creditori; di conseguenza, il richiamo al plusvalore da ristrutturazione svolto dall’art. 120 quater, comma 1, CCII assume un autonomo contenuto precettivo unicamente per l’omologazione del concordato minore, con l’introduzione di un limite rilevante a prescindere tanto dalla ristrutturazione trasversale quanto dall’opposizione dei creditori[208]. 
Un’ipotesi ulteriore si può delineare a partire dalla struttura e dalla funzione dell’art. 120 quater, comma 1, CCII Le ricostruzioni appena ricordate individuano nel «valore risultante dalla ristrutturazione» un limite alla partecipazione dei soci; quindi, uno degli effetti previsti dall’art. 120 quater, comma 1, CCII e non un presupposto per la sua applicazione. Ciononostante, è la stessa disposizione a stabilire che i limiti previsti sussistono «se il piano prevede che il valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato anche ai soci anteriori alla presentazione della domanda». La formulazione ipotetica è quella che generalmente introduce gli elementi della fattispecie, non l’indicazione degli effetti ad essa conseguenti. Di conseguenza, la partecipazione dei soci al «valore risultante dalla ristrutturazione» pare configurare una premessa per l’applicazione dell’art. 120 quater, commi 1, CCII, non un limite derivante da tale applicazione. Queste prime considerazioni possono integrarsi con quelle sulla promiscuità dei riferimenti alla «ristrutturazione» all’interno del codice della crisi: la formula è riferita talvolta al risanamento dell’impresa e più spesso alla modificazione strutturale dei rapporti obbligatori[209]. L’allusione proprio ai rapporti obbligatori pare più aderente alla necessità di risolvere tramite l’art. 120 quater, comma 1, CCII un conflitto tra classi di creditori dissenzienti e soci, allo scopo di evitare che questi ultimi conseguano un vantaggio spropositato rispetto al soddisfacimento offerto ai primi[210]. Una volta ricondotta tra gli elementi di fattispecie e correlata agli effetti sulle obbligazioni pendenti, l’allusione al valore risultante dalla ristrutturazione pare non tanto perimetrare la partecipazione dei soci ad una certa massa, già individuabile a contrario dalle norme a tutela dei creditori[211], ma restringere l’applicazione dell’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII ai concordati che prospettano la rivalutazione delle partecipazioni sociali grazie alla falcidia delle pretese creditorie[212]. Anche se concepita in questi termini, la precisazione conferma uno scarso contenuto precettivo: esclude la rilevanza dei limiti previsti per una ipotesi - quella del concordato pienamente satisfattivo dell’interesse creditorio - per lo più teorica e comunque di per sé conforme ai requisiti previsti dallo stesso art. 120 quater, comma 1, CCII[213].
14 . Confronto tra classi di creditori e soci
La sussistenza dei requisiti indicati dall’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII condiziona la pronuncia dell’omologazione al rispetto di limiti eterogenei. 
Il criterio da applicare varia a seconda che il dissenso si manifesti in una o più classi superiori o invece in quella di infimo rango, formate rispettivamente dai titolari di pretese di grado anteriore oppure postergate a tutte le altre. 
Se a dissentire è qualcuna delle classi superiori, il concordato è omologabile a condizione che il trattamento prospettato ai creditori in esse compresi risulti conforme alla priorità relativa con quelli delle classi sia equiordinate sia inferiori anche nell’ipotesi della risalita di valore; vale a dire, anche simulando la destinazione della ricchezza riservata dal piano ai soci proprio ai creditori delle classi di livello corrispondente o subordinato. Più nel dettaglio, occorre verificare che il trattamento riservato ai creditori dell’insieme dissenziente rimanga rispettivamente corrispondente e superiore a quello prospettabile ai creditori inseriti nelle classi equiordinate ed inferiori qualora l’intero valore lasciato ai soci fosse invece destinato a queste ultime[214]. Il criterio è coerente alla logica secondo cui l’art. 112, comma 2, lett. b, CCII risolve il problema distributivo all’interno del ceto creditorio: come la priorità relativa richiede una verifica che si svolge nelle singole classi per considerare il trattamento riservato a ciascun componente, così il criterio dell’art. 120 quater, comma 1, CCII lascia ferma la rilevanza del soddisfacimento prospettato agli individui collocati in classi differenti. Risulta diverso il solo modo di operare: la mancanza di una pretesa predeterminata in capo ai soci impone la simulazione della risalita del valore ad essi riservato, superflua e perciò non richiesta per la regolazione del conflitto tra creditori alla stregua dell’art. 112, comma 2, lett. b, CCII[215]. 
Se il dissenso è espresso dai creditori di infimo rango, il controllo non segue un criterio unitario e dipende dalla formazione di classi equiordinate. 
In presenza di altre classi di ultimo livello, è da verificare esclusivamente che ciascun creditore di quelle dissenzienti riceva un trattamento almeno equivalente rispetto ai singoli soggetti inseriti nelle altre classi di infimo grado - sia favorevoli sia dissenzienti - anche ipotizzando l’assegnazione a questi ultimi dell’intero valore riservato dal piano ai soci. Il parametro rimane lo stesso previsto per le classi superiori, che la mancanza di pretese di rango inferiore porta a risolvere nel rispetto della priorità relativa soltanto in linea orizzontale. 
Il criterio muta radicalmente se la classe dissenziente è quella che ingloba tutti i creditori di ultimo grado. Si svolge un confronto diretto tra le risorse complessivamente impiegate a favore di tali creditori e dei soci: il concordato è omologabile se il valore destinato ai creditori di infimo livello supera quello riservato all’intera compagine sociale[216]. La logica sembra ancora quella della priorità relativa. Tuttavia, diversamente da quanto questo criterio vorrebbe, il confronto non riguarda il valore prospettato a ciascun componente dei due gruppi, ma la massa rivolta a beneficio di ciascuna categoria[217].
15 . Segue: pluralità di classi dissenzienti
Il dissenso verso il concordato può determinare all’applicazione isolata oppure congiunta dei criteri appena esposti. 
Le valutazioni meno complesse sono imposte dal dissenso di una sola classe. Al tribunale è richiesta un’unica operazione, diretta secondo i casi alla verifica della conformità alla priorità relativa oppure al confronto tra il valore destinato ai creditori di ultimo livello e ai soci. 
È lo stesso art. 120 quater, comma 1, CCII a preconizzare il dissenso di più classi di creditori; anzi, il regime della ristrutturazione trasversale permette di immaginare la verifica del soddisfacimento dei creditori nonostante l’approvazione della sola classe decisiva ai sensi dell’art. 112, comma 2, lett. d, CCII[218]. 
La contrarietà di più classi impone controlli omogenei o disomogenei a seconda dei casi. 
Se a dissentire sono classi tutte quante diverse dall’eventuale unica di infimo livello, occorre svolgere un calcolo distinto per ognuna di quelle dissenzienti. È necessario ipotizzare la risalita di valore in tutte le classi equiparate o subordinate a ciascuna di quelle contrarie, anche se a loro volta dissenzienti[219]. Si svolgono perciò tante valutazioni quanti sono gli insiemi in disaccordo verso il piano, tutte quante coerenti al criterio della priorità relativa[220]. 
Se il dissenso si manifesta in una o più classi superiori e anche nell’unica di infimo rango, rilevano simultaneamente criteri differenti. La contrarietà espressa da quelle superiori impone la simulazione della risalita di valore dai soci alle classi inferiori o equiparate; quella espressa dai creditori di ultimo grado rende invece necessario il confronto tra il valore destinato alla loro classe e quello riservato dal concordato ai soci. L’omologazione è ammissibile se il concordato si dimostra conforme a parametri eterogenei: alla priorità relativa nella declinazione elaborata per risolvere il conflitto tra creditori e soci; all’impiego a favore dei creditori di infimo livello di un valore superiore a quello riservato ai soci. 
Proprio perché impone l’applicazione congiunta di criteri disomogenei, il dissenso espresso da una classe superiore e dall’unica di ultimo grado complica l’omologazione del concordato. Soprattutto se il passivo verso i creditori di infimo livello risulta poco consistente, il criterio per rimediare al loro dissenso impone una soglia di soddisfacimento individuale particolarmente elevata, allo scopo di destinare all’intera categoria un valore complessivamente maggiore di quello riservato ai soci. Proprio l’attribuzione di un’utilità complessiva notevole implica una distribuzione poco resistente al controllo imposto dal dissenso delle classi superiori, con la prospettazione ai creditori in esse compresi di un soddisfacimento individualmente poco preferibile o perfino deteriore rispetto a quello ipotizzabile per i soggetti inseriti nella classe di ultimo livello in seguito alla risalita del valore riservato dal piano ai soci[221]. 
16 . Segue: ordine di distribuzione del valore “in risalita” tra le classi di creditori equiordinate e intermedie
L’art. 120 quater, comma 1, CCII non specifica l’ordine secondo cui simulare la redistribuzione del valore dai soci alle classi inferiori o equiparate a quella dissenziente. 
La questione assume un’importanza notevole, dal momento che le diverse soluzioni finiscono o per favorire o per ostacolare l’omologazione del concordato. 
L’opinione prevalente individua nella priorità assoluta il criterio per il riparto del valore, in modo da concepirne la risalita al vertice e poi la ridiscesa graduale: l’importo riservato ai soci viene idealmente attribuito alla classe (o alle classi) di livello più elevato, per scendere in maniera progressiva e solo dopo il soddisfacimento integrale dei creditori di rango poziore nelle classi di grado inferiore[222]. La soluzione sottopone l’omologazione a requisiti rigorosi. La concentrazione delle risorse in un numero ridotto di classi - prima quelle al vertice, via via quelle inferiori - favorisce la prospettazione al gruppo dissenziente di un trattamento deteriore rispetto alle classi di livello omogeneo o perfino subordinate. Tanto più questo è vero se a ricevere per prime il valore in (ipotetica) risalita sono le classi equiparate alla dissenziente, ai cui creditori verosimilmente già la soluzione impostata dal proponente prospetta un trattamento non molto sconveniente rispetto a quello offerto ai soggetti compresi nella classe in disaccordo[223]. Al di là delle conseguenze di ordine pratico, la distribuzione discendente del valore non trova conferme nel sistema positivo. Il riparto in linea verticale opera per il valore di liquidazione nell’ambito della ristrutturazione trasversale, non per il surplus che può essere riservato ai soci ed è sottoposto al meccanismo della risalita[224]. 
L’estraneità di tale plusvalore al sistema della priorità assoluta giustifica due ipotesi alternative. 
Anzitutto, quella favorevole alla distribuzione in linea orizzontale, con una allocazione del valore riservato ai soci simmetrica e commisurata alla pretesa di ciascun creditore incluso nelle classi equivalenti e subordinate alla dissenziente[225]. Diversamente dalla distribuzione discendete, il riparto orizzontale favorisce l’omologazione del concordato, giacché il riparto del valore tra una platea più ampia di soggetti rende meno probabile la prospettazione a quelli della classe dissenziente di condizioni che non siano almeno corrispondenti o preferibili rispetto ai creditori delle classi equiordinate o inferiori. Benché produca conseguenze opposte al riparto in linea verticale, il criterio della distribuzione orizzontale si espone alla stessa critica. Postula un sistema di distribuzione privo di riscontro nel diritto positivo: come non assoggetta il surplus alla priorità assoluta, così il codice della crisi non prevede neppure la sua distribuzione necessariamente simmetrica e proporzionale tra i creditori. 
Ultima ipotesi può essere quella dell’allocazione del valore in risalita secondo l’impostazione desumibile dalla proposta di concordato, con una soluzione che pare coerente allo svolgimento del controllo sullo specifico piano ed imposta dall’obiettiva mancanza di criteri dedicati al riparto del solo plusvalore. È allora possibile ipotizzare l’applicazione degli stessi parametri secondo cui il concordato prevede di dividere tra le classi di creditori rilevanti l’attivo ad esse destinato, senza distinzione tra la porzione imputabile al valore di liquidazione e quella riconducibile invece al surplus[226]; a titolo d’esempio, se la proposta prevede la divisione del valore destinato ai creditori compresi nelle classi di livello corrispondente o inferiore secondo le misure del cinquanta, del trenta e del venti per cento, sono queste percentuali a regolare il riparto del valore in risalita. Si delineano conseguenze differenti rispetto a quelle prevedibili dalla distribuzione necessariamente verticale oppure orizzontale del valore. La sussistenza di un ostacolo o un’agevolazione non è riconoscibile ex ante, poiché dipende dal contenuto dello specifico concordato sottoposto allo scrutinio giudiziale: dalla proposta per quanto riguarda l’allocazione del surplus tra le classi da considerare per il controllo sul rispetto della priorità relativa; dal piano per quanto concerne la determinazione del valore riservato ai soci da sottoporre al meccanismo della risalita. 
17 . Determinazione del valore riservato ai soci
Entrambi i meccanismi previsti dall’art. 120 quater, comma 1, CCII richiedono la misurazione dell’utilità riservata dal piano ai soci. Alla sua identificazione provvede il secondo comma della disposizione. Questo fa riferimento al «valore effettivo, conseguente all’omologazione della proposta, delle loro partecipazioni e degli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle». 
La definizione è densa di ricadute. 
L’allusione al «valore effettivo» esclude la rilevanza della cifra nominale e contabile[227]. La mancata individuazione di criteri precisi per l’individuazione di tale importo[228] porta ad ipotizzare l’impiego in via analogica di quelli previsti per la determinazione della somma spettante ai soci in seguito all’esclusione oppure all’esercizio del recesso[229], giacché diretti all’individuazione dello stesso valore effettivo esplicitamente richiamato dal codice della crisi[230]. 
Per le società di persone è concepibile la rilevanza dei criteri stabiliti dall’art. 2289 c.c., e quindi della situazione patrimoniale della società, determinata sulla base anche dalle operazioni in corso, compresa pendente contro la crisi[231]. 
Per le società di capitali sembrano assumere rilevanza i «criteri di determinazione del valore delle azioni» indicati dall’art. 2437 ter c.c.[232] per la liquidazione dell’importo dovuto al socio recedente, con la considerazione sia «della consistenza patrimoniale della società» e «delle sue prospettive reddituali» sia «dell’eventuale valore di mercato delle azioni»[233]. Si configura così l’impiego di un metodo misto[234] - patrimoniale e reddituale[235] -, da integrare con la considerazione del valore di mercato delle partecipazioni qualora il loro scambio sia effettivamente pensabile in seguito all’omologazione del concordato[236]. Almeno in quest’ultimo scenario, non pare da escludere la rilevanza di qualità e quantità della partecipazione al capitale[237]; a modo d’esempio, per via della conservazione in capo a qualcuno dei soci anteriori di un “premio di maggioranza”[238] oppure di benefici patrimoniali o amministrativi[239], potenzialmente rilevanti per la determinazione dell’importo riconosciuto all’intera compagine sociale e significativi soprattutto qualora il piano preveda la sottoscrizione di nuove partecipazioni[240]. 
Un’indicazione ulteriore si ricava dal riferimento al «valore [...] delle loro partecipazioni e degli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle», coerente al richiamo svolto dal comma precedente al «valore complessivamente riservato ai soci». La rilevanza della cifra totale si spiega con la soluzione di un conflitto tra titolari di posizioni giuridiche disomogenee: i creditori delle classi dissenzienti e i soci[241]. Per via proprio di tale funzione, non sono da escludere conseguenze apparentemente distorsive tra i soci[242]; in via esemplificativa, qualora sia prevista la capitalizzazione dei crediti e sia riconosciuta la rilevanza del plusvalore conservato dal socio destinato a rimanere titolare della partecipazione di controllo, tale maggior valore andrebbe a circoscrivere l’importo disponibile per l’intera compagine sociale[243]. 
Conseguenze altrettanto significative dipendono dall’identificazione del valore riservato ai soci con quello «delle loro partecipazioni e degli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle». La precisazione basta ad escludere la rilevanza di ogni altro vantaggio e valore. Di riflesso, qualora il piano preveda l’attribuzione ai soci di risorse differenti da quelle appena richiamate - a titolo d’esempio, per la previsione di un rimborso ai sensi dell’art. 2445, comma 1, c.c. -, l’importo corrispondente si sottrae alla quantificazione prevista dall’art. 120 quater, comma 2, CCII e rimane indifferente al meccanismo della risalita. Si può cogliere un disallineamente rispetto al regime introdotto a tutela del loro interesse: mentre per il calcolo della ricchezza destinata ai soci è imposta la considerazione solamente dell’utilità corrispondente alle partecipazioni attuali o prospettiche, la protezione del loro interesse tramite l’opposizione all’omologazione riguarda qualsiasi pregiudizio, data l’assenza di riferimenti a specifici beni all’interno dell’art. 120 quater, comma 3, CCII; a titolo d’esempio, riguarda anche lo svantaggio conseguente alla negazione dell’esdebitazione ai soci illimitatamente responsabili (§ 6)[244]. 
L’ultima indicazione offerta dall’art. 120 quater, comma 2, CCII si ricava dal riferimento al valore «conseguente all’omologazione della proposta». Il criterio cronologico include nel calcolo l’utilità eventualmente incorporata dalle partecipazioni già prima e a prescindere dall’omologazione[245]. Rileva l’intero valore presente nel momento successivo all’adozione del provvedimento, non solo quello guadagnato[246]; quindi, non solamente il vantaggio conseguito, ma anche l’utilità conservata dai soci[247]. 
Il richiamo al valore successivo all’omologazione prospetta ricadute ulteriori. 
Anzitutto, induce ad impiegare per la sua misurazione non tanto i dati storici, utili principalmente per la verifica dell’attendibilità del piano, ma i pronostici formulati al suo interno[248]. 
In ogni caso, comporta una stima prospettica che solo apparentemente è destinata ad arrestarsi nel momento immediatamente successivo alla pronuncia del provvedimento[249]. La rilevanza delle vicende successive che siano già programmate nel piano pare dipendere dallo stesso richiamo al valore effettivo conseguente all’omologazione, la cui misurazione risulta condizionata non solo dagli effetti immediatamente prodotti dall’omologazione, ma anche dalle prospettive future; quindi, nonostante gli imprescindibili profili di rischio[250], anche dall’evoluzione prevista nel corso dell’esecuzione del piano[251].
18 . Segue: determinazione del valore riservato ai soci nell’ultimo decreto correttivo al codice della crisi
L’imminente entrata in vigore di un provvedimento “correttivo” al codice della crisi suggerisce l’analisi della disciplina incipiente. Il testo attualmente disponibile[252] prevede due innovazioni all’art. 120 quater, comma 2, CCII: la prima riguarda il presupposto soggettivo per l’applicazione del particolare regime dedicato ai soci di imprese di minori dimensioni[253]; la seconda introduce un’inedita definizione dell’utilità riservata ai soci. Quanto a quest’ultimo profilo, la proposta di modifica intende precisare che «il valore effettivo è determinato in conformità ai principi contabili applicabili per la determinazione del valore d’uso, sulla base del valore attuale dei flussi finanziari futuri utilizzando i dati risultanti dal piano di cui all’articolo 87 ed estrapolando le proiezioni per gli anni successivi»[254]. 
L’innovazione è diretta alla semplificazione del procedimento di stima. Orienta in questa direzione la rilevanza riconosciuta al valore d’uso delle partecipazioni[255], da calcolare in linea con i principi contabili e sulla base dei flussi finanziari pronosticati dal piano[256]. Di conseguenza, è espressamente negata la rilevanza del valore di mercato, sicché neppure interessano i profili inerenti alla partecipazione di ciascun socio. Il riferimento ai soli flussi finanziari non impedisce invece la considerazione delle ricadute patrimoniali immediatamente conseguenti all’omologazione[257]: da un lato, è di regola proprio la rimodulazione delle pretese creditorie a consentire il conseguimento di tali flussi; dall’altro, la falcidia permette comunque un risparmio di risorse all’interno del patrimonio sociale, riservato ai soci in seguito all’adempimento del concordato, e cioè in quegli «anni successivi» ai quali espressamente si riferisce l’ipotesi di riforma dell’art. 120 quater, comma 2, CCII[258]. 
A dispetto di questi chiarimenti, la disposizione impone un calcolo che rimane di notevole complessità per almeno due ordini di ragioni. 
In primo luogo, per la necessità di provvedere alla determinazione del «valore attuale dei flussi finanziari futuri». La previsione impone l’attualizzazione dei vantaggi prevedibili[259], allo scopo di stimare la loro utilità nel momento «conseguente all’omologazione della proposta»[260]. 
In secondo luogo, per la necessità di ricavare dal piano «le proiezioni per gli anni successivi». La considerazione anche dei flussi successivi all’esecuzione è giustificata dalla conservazione delle partecipazioni nel patrimonio dei soci[261]. Prospetta però significative incertezze. Da un lato, per la determinazione di flussi prevedibili in un momento verosimilmente successivo al periodo rispetto al quale possono svolgersi previsioni attendibili sulle vicende dell’impresa, individuato generalmente nell’orizzonte quinquennale di durata massima dei piani in continuità[262]. Da un altro, per la mancata precisazione dell’arco di tempo rilevante, dalla cui ampiezza possono dipendere l’incremento o la diminuzione del valore pronosticabile a favore dei soci. Da un altro lato ancora, per la rilevanza della sola porzione di flussi ad essi imputabile, di individuazione disagevole qualora sia prevista l’attribuzione di partecipazioni a terzi, con la conseguente condivisione dei benefici conseguibili tramite l’esercizio in comune dell’impresa.
19 . Scomputo del nuovo valore. Apporti rilevanti
Oltre a individuare l’importo rilevante per la quantificazione del valore in risalita, l’art. 120 quater, comma 2, CCII determina anche la cifra da non considerare: dispone la sottrazione dall’utilità riservata dal piano ai soci del «valore da essi eventualmente apportato ai fini della ristrutturazione in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto oppure, per le imprese minori, anche in altra forma»[263]. 
Per giustificare lo scomputo dei nuovi apporti la Relazione tecnica di accompagnamento al d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, richiama il considerando n. 59 della Direttiva Insolvency[264]. Stando a questa previsione, «ai fini della sua attuazione, il piano di ristrutturazione dovrebbe contemplare la possibilità che i detentori di strumenti di capitale di PMI forniscano assistenza alla ristrutturazione in forma non monetaria, attingendo ad esempio alla loro esperienza, reputazione o contatti commerciali»[265]. 
L’art. 120 quater, comma 2, CCII e il considerando n. 59 della Direttiva individuano tramite due parametri complementari il valore da scomputare, poiché riconducibile alla cooperazione dei soci[266]. 
Il primo ha carattere funzionale[267]. La Direttiva dichiara la rilevanza dell’assistenza fornita dai soci «ai fini della attuazione del piano». Il codice della crisi, la rilevanza per lo scomputo del valore da essi apportato «ai fini della ristrutturazione». Almeno a prima vista, quest’ultima finalità appare meno ampia e perciò disomogenea rispetto quella indicata dalla Direttiva. Tuttavia, per l’omogeneità del requisito funzionale orientano almeno due indizi. Il considerando n. 59 della Direttiva richiama la strumentalità all’attuazione del piano, per fare però subito dopo riferimento alla «assistenza alla ristrutturazione». Soprattutto, l’applicazione dell’art. 120 quater, comma 2, CCII esclusivamente nell’ambito di concordati in continuità rende difficilmente configurabile una cooperazione dei soci che non sia al tempo stesso strumentale all’attuazione del piano ed anche alla ristrutturazione dell’impresa[268]. Lo scomputo sembra perciò ammissibile a fronte della cooperazione strumentale alla realizzazione del programma negoziale[269], e in tal modo anche al soddisfacimento dei creditori[270]. 
È declinato in termini invece disomogenei l’altro requisito per la scomputabilità del valore apportato dai soci. 
La Direttiva fa riferimento all’assistenza «in forma non monetaria» alla ristrutturazione delle società inquadrabili tra le PMI, per menzionare a titolo esemplificativo quella derivante da «esperienza, reputazione o contatti commerciali». Rileva l’oggetto della cooperazione. Questa può avere carattere non monetario per le società-PMI. Sulla base di un ragionamento a contrario, sembra limitata agli apporti in denaro a favore di ogni altra società[271]. 
A differenza della Direttiva, l’art. 120 quater, comma 2, CCII richiama non l’oggetto, ma la forma giuridica del sostegno offerto dai soci[272]: rileva «il valore da essi eventualmente apportato ai fini della ristrutturazione in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto»; per le imprese minori rilevano gli apporti «anche in altra forma»[273]. 
La diversa impostazione rimane ininfluente per le società designate dalla Direttiva come PMI e dal codice della crisi quali imprese minori[274]. Lo scomputo è consentito a prescindere tanto dall’oggetto quanto dalla forma. In linea con il generico riferimento del considerando n. 59 alla «assistenza» e con l’elencazione di utilità indisponibili - quali i «contatti commerciali» -, l’art. 120 quater, comma 2, CCII dichiara la rilevanza del «valore [...] apportato». Non è necessaria un’attribuzione tale da impoverire il patrimonio dei singoli soci e arricchire simultaneamente quello della società. Rilevano non solo gli apporti in senso stretto, ma anche la mera cooperazione. È perciò deducibile dal totale anche il valore imputabile alla capacità di attrarre clientela, a prescindere tanto dall’assunzione di un obbligo quanto dall’esecuzione di una prestazione specifica. 
Un criterio differente è delineato dal codice della crisi per l’individuazione dell’assistenza rilevante da parte dei titolari di partecipazioni in società non qualificabili come imprese minori. 
L’art. 120 quater, comma 2, CCII fa riferimento non a specifiche utilità, ma a categorie di atti. Il richiamo a conferimenti e versamenti a fondo perduto implica un’attribuzione capace di accrescere l’attivo senza provocare il concomitante incremento delle passività reali[275]. L’esigenza di una simile attribuzione impedisce lo scomputo non solo del valore conseguibile grazie all’esperienza, alla reputazione e ai contatti commerciali dei soci, ma anche di quello realizzabile grazie ad atti incapaci di modificare la consistenza del patrimonio netto; a titolo d’esempio, la prestazione di garanzie per i debiti prevedibili nell’esecuzione del piano[276] oppure l’erogazione di finanziamenti costitutivi di una pretesa postergata a quelle dei creditori in concorso[277]. 
Se l’apporto consiste in un conferimento, il diritto societario orienta per la rilevanza di qualunque utilità imputabile a capitale secondo il regime dello specifico tipo, comprese quelle non monetarie e non espropriabili[278]; a titolo esemplificativo, gli apporti di beni in natura oppure la promessa di opere o servizi laddove ammissibile[279]. 
Problemi più consistenti dipendono dall’allusione ai versamenti a fondo perduto. In via di prima approssimazione, la categoria richiama le attribuzioni che provocano l’incremento del patrimonio netto senza modificare la consistenza del capitale sociale[280]. 
Nell’accezione condivisa dalla letteratura[281] e da sporadiche previsioni legislative[282], i versamenti a fondo perduto possono consistere in apporti sia pecuniari sia di beni in natura o crediti, da reputare perciò deducibili ai sensi dell’art. 120 quater, comma 2, CCII 
Più problematica è l’ammissibilità dello scomputo a fronte di apporti immateriali, e principalmente di opere e servizi (c.d. sweat equity)[283]. La loro rilevanza tende ad essere esclusa dalla giurisprudenza statunitense rispetto ad un meccanismo di scomputo - la c.d. new value exception[284] - analogo a quello previsto dall’art. 120 quater, comma 2, CCII[285]. La stessa soluzione viene suggerita dalla letteratura domestica, che sottolinea i margini di incertezza correlati ad intangibilità, intrasferibilità e incoercibilità degli apporti immateriali[286]. Uno spunto in direzione opposta può dipendere dall’opinione che riconduce tra i versamenti a fondo perduto anche prestazioni non imputabili a capitale; principalmente proprio quelle in opere e servizi a favore di società azionarie[287]. Soprattutto, se è innegabile la precarietà di simili apporti, pare vero anche che l’art. 120 quater, comma 2, CCII tollera incertezze almeno corrispondenti o addirittura superiori a quelle provocate dalla promessa di opere e servizi[288]: per le imprese minori, con lo scomputo di ogni valore riconducibile all’assistenza dei soci, compreso quello indipendente dal compimento di specifici atti e dall’assunzione di specifici impegni; per ogni altra società, con lo scomputo del valore apportato tramite qualsiasi conferimento, anche se liberato proprio tramite la promessa di opere o servizi[289]. Per questa ragione, la soluzione restrittiva rischia di prospettare una disparità difficilmente giustificabile: mentre la peculiare rilevanza riconosciuta al capitale può spiegare l’esclusione di conferimenti di opere e servizi in base alla disciplina civilistica delle società azionarie, pare meno coerente agli obiettivi del codice della crisi la rilevanza di tali apporti solamente rispetto ad altre tipologie societarie, con un vantaggio per i loro soci precluso invece agli azionisti (nonché, nella prospettiva dell’omologazione, all’autore di un piano ad essi favorevole)[290]. Sembra infine da considerare che l’incertezza degli apporti immateriali può trovare una soddisfacente soluzione al momento della quantificazione dell’importo deducibile, senza imporre l’irrilevanza a priori di una cooperazione potenzialmente utile alla realizzazione del piano[291].
20 . Segue: quantificazione del valore scomputabile
La misurazione dell’importo da scomputare può seguire due criteri alternativi: un primo, diretto all’individuazione del valore estratto dal patrimonio dei soci; un secondo, diretto all’individuazione di quello conseguito dalla società. 
Quest’ultimo importo è l’unico utilizzabile per la valutazione del contributo prestato tramite la mera cooperazione dai soci di imprese minori. È la mancanza di un’attribuzione patrimoniale ad imporre la considerazione del valore atteso nell’esecuzione del piano grazie a tale cooperazione dei soci. Benché sia ispirata da una logica unitaria, una simile conclusione prospetta esiti differenti a seconda del contesto. Se la cooperazione di uno o più soci permette il mero incremento dell’attivo, il valore scomputabile corrisponde a tale incremento. Se invece rappresenta una condizione essenziale per l’attuazione del piano in continuità, di modo che nessun plusvalore rispetto all’alternativa liquidatoria potrebbe altrimenti essere conseguito, sembrano ipotizzabili lo scomputo e quindi la devoluzione ai soci dell’intero maggior valore. 
Criteri analoghi possono governare la valutazione degli apporti, ossia di conferimenti e versamenti a fondo perduto. Se la logica rimane quella del finanziamento al piano[292], si conferma la necessità di un giudizio sull’ammontare dell’attivo realizzabile solo grazie alla cooperazione dei soci[293]. Di riflesso, il bisogno di una stima prescinde dalla forma, dall’oggetto e dal momento dell’apporto: si impone anche per i versamenti in denaro già interamente eseguiti, con lo scopo di misurarne l’efficienza economica nella logica del piano da omologare[294]. Benché prospetti una complicazione palese, è proprio la valutazione dell’apporto a neutralizzare inconvenienti altrimenti inevitabili; a titolo d’esempio, quelli prevedibili ipotizzando lo scomputo dell’intero controcredito preesistente ed estinto per compensazione con il debito assunto tramite la sottoscrizione di un conferimento o la promessa di un versamento, impraticabile almeno qualora la crisi della società faccia prevedere il soddisfacimento parziale del credito del socio e quindi un’utilità concretamente inferiore rispetto al valore nominale del diritto estinto tramite compensazione[295]. 
21 . Segue: implicazioni nella sfera patrimoniale dei soci
A dispetto della funzione unitaria di finanziamento al piano, gli apporti richiamati dall’art. 120 quater, comma 2, CCII determinano conseguenze patrimoniali disomogenee. 
La mera assistenza alle società qualificabili come imprese minori non comporta alcuna variazione immediata del patrimonio sociale né di quello individuale. Lo scomputo del nuovo valore lascia presagire conseguenze patrimoniali esclusivamente favorevoli ai soci: l’incremento dell’importo disponibile a loro vantaggio, senza alcun impoverimento corrispondente. È la prospettiva di un simile beneficio a stimolare una cooperazione immateriale per lo più infungibile ed incoercibile. 
L’esecuzione di un versamento a fondo perduto implica invece l’immediata diminuzione del patrimonio personale. A prima vista, la prospettiva dello scomputo tende non solo a incentivare la cooperazione dei soci, ma anche a giustificare sul piano causale un apporto altrimenti inspiegabile. Quest’ultima conclusione è smentita dal riferimento svolto dall’art. 120 quater, comma 2, CCII ad apporti a fondo perduto, per definizione estranei alla logica commutativa dello scambio[296]. 
Effetti diversi dipendono dall’esecuzione di un apporto mediante conferimento. L’atto è apparentemente neutrale rispetto al patrimonio dei soci: comporta la sostituzione dell’utilità conferita con le partecipazioni sottoscritte. Lo scomputo del valore realizzabile grazie al loro apporto si giustifica esclusivamente con una funzione di incentivo. E si direbbe un incentivo potente. Da un lato, lo stesso meccanismo di scomputo configura uno stimolo alla cooperazione, aggiuntivo rispetto alla disponibilità del plusvalore in base alle condizioni previste dall’art. 120 quater, comma 1, CCII[297]. Dall’altro, il conferimento prospetta un duplice beneficio: un unico apporto rileva una prima volta per l’acquisizione delle partecipazioni sottoscritte; una seconda volta, per la conservazione di un valore superiore a quello altrimenti prospettabile dal concordato all’intera compagine sociale.
22 . Situazioni giuridiche e interesse patrimoniale dei soci: tutela reale e allocazione del valore disponibile
I benefici conseguibili dai soci giustificano le incertezze che circondano la rilevanza del loro interesse, e di riflesso la determinazione delle situazioni giuridiche soggettive ad essi ascrivibili[298]. 
Le questioni da considerare possono ordinarsi su due livelli: un primo riguarda la rilevanza erga omnes di tale interesse, e quindi le ricadute sull’omologazione del piano; un secondo, la tutela obbligatoria verso specifici soggetti, e in particolare gli amministratori autori del piano imputabile alla società in crisi[299]. 
Le norme che governano l’omologazione riconoscono la rilevanza dell’interesse dei soci (come pure dei creditori) ad evitare pregiudizi, protetto tramite il mezzo dell’opposizione. Il rimedio opera in linea con i principi costituzionali in materia economica, per precludere l’espropriazione senza indennizzo di utilità altrimenti presenti nel patrimonio individuale. 
La disciplina dell’omologazione non contempla invece strumenti a tutela del conseguimento di vantaggi rispetto allo scenario alternativo[300] né preclude tali vantaggi ai soci per imporre la destinazione di tutto l’attivo ai creditori[301]. Tanto il diritto dei soci a ricevere una parte del surplus disponibile quanto quello dei creditori ad un’appropriazione esclusiva trovano una smentita nelle regole che disciplinano l’efficacia del piano omologato verso i soci illimitatamente responsabili e poi in quelle che regolano l’omologazione in base all’art. 120 quater, comma 1, CCII Le prime prevedono l’estensione automatica degli effetti, con il conseguimento da parte dei soci di un vantaggio ex lege e la sottrazione ai creditori di risorse altrimenti vincolate al loro soddisfacimento. Dal canto suo, l’art. 120 quater, comma 1, CCII non impone né impedisce la partecipazione dei soci al valore: a rigore, configura un diritto non tanto dei destinatari ma dell’autore del piano, per consentire l’omologazione nonostante il rifiuto espresso da una o più classi di creditori[302]. 
Il rimedio individuale (lato sensu) demolitorio dell’opposizione non è esperibile contro il programma che non risulti vantaggioso, ma solo contro quello concretamente pregiudizievole; perciò, sussiste un diritto dei soci ad evitare perdite di valore, non a conseguire vantaggi astrattamente possibili[303]. È semmai riconosciuta ai destinatari una situazione meramente strumentale. In presenza dei presupposti richiesti e almeno nel concordato preventivo[304], i soci - come i creditori - hanno l’onere di provvedere alla tutela del loro stesso interesse[305]: è la reazione propositiva consentita dalla legittimazione alla formulazione di proposte concorrenti a configurare un diritto non al valore ma alla negoziazione sull’impiego del plusvalore previsto, corrispondente alla mera aspettativa all’omologazione del programma reputato preferibile. 
23 . Segue: tutela obbligatoria e allocazione del valore disponibile
Le conclusioni appena formulate raccolgono numerose adesioni[306]. 
Le incertezze in merito al conseguimento di vantaggi patrimoniali da parte dei soci riguardano non tanto il regime dell’omologazione, ma i doveri degli amministratori nella predisposizione del piano per conto della società: per alcuni, tale piano dovrebbe perseguire principalmente l’interesse dei soci e perciò assicurare loro qualche vantaggio; per altri, sarebbe da preferire l’interesse dei creditori, con destinazione al loro soddisfacimento dell’intero valore pronosticato nel piano e prospettazione alla compagine sociale solamente dell’improbabile eccedenza[307]. A dispetto di questi contrapposti orientamenti, nessuna previsione del codice della crisi pare individuare l’interesse sovrano nella predisposizione del piano[308]; l’elenco di doveri formulato negli artt. 3 e 4 CCII fa riferimento ad attività diverse da questa, per riconoscere la prevalenza dell’interesse creditorio solamente nella gestione interinale del patrimonio e dell’impresa (art. 4, comma 2, lett. c, CCII)[309]. 
Ciononostante, un vincolo capace di orientare la predisposizione del piano da parte degli amministratori può forse desumersi dall’art. 2086, ult. comma, c.c.[310]. È questa previsione a prescrivere loro «di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale». 
L’art. 2086, ult. comma, c.c. non arriva all’imposizione di un pericoloso obbligo di risultato, limitandosi ad esigere azioni adeguate contro la crisi[311]. Di riflesso - come pare confermare il testo dell’art. 3, comma 2, CCII -, sancisce l’illiceità tanto dell’inerzia quanto dell’adozione di iniziative inidonee alla realizzazione degli obiettivi imposti[312]. 
Sulla base di queste premesse, si configura il dovere degli amministratori di predisporre la soluzione capace di assicurare la prosecuzione dell’impresa[313]. Perciò, tra diverse iniziative capaci di conseguire l’obiettivo, è da preferire quella più coerente alla raccolta dei consensi necessari per l’omologazione e poi la stessa pronuncia del provvedimento, per via tanto delle azioni programmate dal piano quanto dell’allocazione del valore[314]. La preferenza per la soluzione meno allineata a questi obiettivi consente la revoca - anche giudiziale[315] - degli amministratori[316]. Soprattutto, pare comportare la loro responsabilità per i danni conseguenti all’insuccesso[317] sia se determinato da altre ragioni sia se conseguente proprio alla prospettazione di un determinato trattamento ai soci[318]. 
Ferme queste premesse, la responsabilità degli amministratori prospetta numerose incertezze[319]. 
Le più consistenti riguardano i criteri per la valutazione della condotta e l’individuazione del danno risarcibile. 
La prima questione trova una soluzione nell’orientamento prevalente, favorevole all’applicazione della c.d. business judgment rule alla predisposizione del piano contro la crisi[320]. È allora da escludere la responsabilità degli amministratori in relazione a decisioni assunte all’esito di un processo decisionale corretto, connotate dall’assenza di interessi in conflitto e non manifestamente irragionevoli, arbitrarie o avventate[321]. 
L’altra questione attiene principalmente all’individuazione dei pregiudizi imputabili alla predisposizione di un’iniziativa destinata all’insuccesso[322]. Sulle prime, la risarcibilità dei danni conseguenti pare esclusa dall’insussistenza di una pretesa individuale al surplus e dalla possibilità di conseguire comunque il valore di liquidazione tramite l’attivazione dell’alternativa di carattere coattivo. Ciononostante, una lesione giuridicamente rilevante può farsi dipendere dal pregiudizio all’interesse legittimo alla corretta gestione della società[323], capace di negare al singolo socio come pure a ciascun creditore la chance di vantaggi altrimenti possibili[324]; a titolo d’esempio, quelli conseguibili con una divisione del surplus coerente ai parametri indicati dall’art. 120 quater, comma 1, CCII e perciò capace di ottenere l’omologazione nonostante il dissenso di qualche classe di creditori[325]. Soprattutto, la possibilità di realizzare comunque il valore di liquidazione solo in teoria non rimane compromessa dall’insuccesso dell’iniziativa negoziale: la disponibilità di minori risorse dipende di regola sia dall’eventuale peggioramento delle condizioni patrimoniali e finanziarie rispetto al momento della stima sia dall’assunzione di obbligazioni strumentali proprio al ricorso infruttuoso allo strumento negoziale, con la formazione di debiti sociali concretamente inutili e tanto più dannosi se prededucibili. 
Il conseguente accertamento della responsabilità costituisce un debito risarcitorio degli amministratori, ammissibile a carico anche di coloro che siano al tempo stesso soci illimitatamente responsabili della società[326]. Rispetto a questi ultimi, è la novità della prestazione risarcitoria a delineare vicende indipendenti rispetto alla responsabilità derivante dal vincolo partecipativo[327]. Poiché è conseguenza di un danno diretto nei confronti degli altri soci e dei creditori, la responsabilità può essere fatta valere autonomamente anche in pendenza della procedura di liquidazione giudiziale o controllata successiva all’insuccesso del piano[328]. Soprattutto, dal momento che può ricondursi nell’alveo della responsabilità extracontrattuale[329], la prestazione risarcitoria si sottrae all’eventuale esdebitazione della società e degli stessi amministratori-soci illimitatamente responsabili, secondo la regola stabilita dall’art. 278, ult. comma, lett. b, CCII[330]. 
Queste conclusioni espongono a un trattamento asimmetrico i possibili autori del piano: da un lato, gli altri soggetti eventualmente legittimati; dall’altro, gli amministratori in carica. I primi sono titolari di un mero diritto. Se assumono l’iniziativa, possono optare per il riconoscimento o la negazione di benefici ai soci, assumendo su di sé il rischio del rifiuto o della mancata omologazione della propria proposta concorrente; pare verosimile che sia quella formulata dai creditori ad escludere tali benefici, a fronte di conseguenze decisamente più benevole dal piano formulato dag qualcuno dei soci. Agli amministratori non è semplicemente consentita, ma imposta la predisposizione di una soluzione concretamente idonea alla salvaguardia di interessi altrui e al recupero della continuità; perciò, capace di raccogliere i consensi necessari e idonea all’omologazione[331]. 
A valle di queste differenti situazioni giuridiche si pone un’ulteriore asimmetria tra i destinatari del piano. La prospettazione di benefici ai soci non è preclusa a priori né basta ad impedire la pronuncia dell’omologazione. Anzi, può risultare pienamente razionale[332], principalmente allo scopo di evitare la loro ostilità e dissuaderli dalle manovre ostruzionistiche ipotizzabili nonostante la rigorosa disciplina degli artt. 120 bis ss. CCII[333]. Tuttavia, ad orientare per il riconoscimento di vantaggi modesti è la diversa rilevanza riconosciuta alla cooperazione dei creditori per il raggiungimento degli obiettivi imposti dall’art. 2086, ult. comma, c.c. Sono questi ultimi a poter impedire prima l’approvazione del concordato o l’accettazione dell’accordo e poi l’omologazione tramite l’esercizio dell’opposizione[334], con una resistenza imputabile agli amministratori se determinata dalla prospettazione di vantaggi irragionevoli ai soci all’interno del loro piano[335]: a titolo d’esempio, per l’attribuzione a questi ultimi dell’intero plusvalore previsto, benché conseguibile a prescindere dalla loro cooperazione.
24 . Segue: diritto allo scomputo del nuovo valore
Le considerazioni svolte possono concorrere alla soluzione di un ulteriore problema: quello relativo alla sussistenza di un diritto dei soci alla previsione di una riserva di valore almeno corrispondente all’utilità apportata, ipotizzabile sulla base del sistema di scomputo delineato dall’art. 120 quater, comma 2, CCII[336]. 
Le posizioni della dottrina sono fermamente divise: all’orientamento favorevole al riconoscimento di simile diritto[337] replica quello che contesta la sua sussistenza[338]. 
Quest’ultima pare l’impostazione da preferire. 
L’art. 120 quater, comma 2, CCII richiama apporti estranei alla logica dello scambio, in modo da rendere utile solamente in termini descrittivi la ricorrente assimilazione tra la cooperazione dei soci e il prezzo da pagare per il riacquisto delle partecipazioni[339]: la mera assistenza al piano prescinde da un’attribuzione patrimoniale qualificabile come controprestazione; i versamenti a fondo perduto non presentano una causa commutativa ed escludono perciò la natura di corrispettivo; i conferimenti implicano l’acquisizione delle nuove partecipazioni, non un diritto alla rivalutazione di quelle già sottoscritte. Contro la sussistenza di un diritto allo scomputo convergono l’assenza di un vincolo di destinazione opponibile al proponente[340] e l’immediato assorbimento nella garanzia regolata dall’art. 2740, comma 1, c.c. di ogni risorsa compresa all’interno del patrimonio sociale[341]. 
Sembra perciò da escludere il diritto dei soci che eseguono nuovi apporti, e a maggior forza di quelli che non offrono la propria cooperazione e però possono beneficiare del meccanismo di scomputo dall’importo riservato all’intera compagine sociale. In linea con l’obiettivo dell’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII di consentire l’omologazione di un concordato non approvato, si configura semmai il diritto del proponente a conseguire un provvedimento che non potrebbe essere pronunciato senza la deduzione dal valore riservato ai soci dell’attivo imputabile alla loro cooperazione. 
L’esclusione di un autentico diritto non impedisce la salvaguardia dell’interesse dei soci. Se la società rientra tra le imprese minori, la negazione del valore riconducibile alla mera assistenza non consente l’esercizio di una pretesa verso il proponente né il rimedio dell’opposizione; tuttavia, neppure esclude il rifiuto della cooperazione pronosticata dal piano, poiché riconducibile ad attività generalmente incoercibili[342]. Se invece l’apporto consiste in un versamento a fondo perduto, è verosimile la previsione di una clausola condizionale, diretta secondo i casi ad evitarne l’esecuzione oppure a imporre la restituzione in seguito all’omologazione di un piano che non riservi ai soci il valore sperato. Infine, se l’apporto consiste in un conferimento, una simile clausola risulta senz’altro invalida per l’aumento di capitale già sottoscritto, mentre può reputarsi ammissibile a fronte di una mera promessa di sottoscrizione. Il problema si riduce all’ipotesi di apporti non espressamente condizionati allo scomputo atteso dai soci. Anche in questo scenario, e sempre per l’insussistenza di una situazione giuridica protetta, la mancata attribuzione del valore scomputabile non giustifica l’opposizione dei soci[343], concretizzando semmai l’onere di attivarsi per la formulazione di un piano alternativo tramite una proposta concorrente di concordato[344]. 
25 . Segue: partecipazione effettiva al valore
L’ultimo profilo riguarda le situazioni giuridiche dei soci nella fase attuativa del piano. 
Le norme introdotte dal codice della crisi considerano l’allocazione del valore sempre in funzione dell’omologazione: lo stesso artt. 120 quater CCII riguarda la partecipazione alla ricchezza prevista, mentre non regola la distribuzione di quella effettivamente conseguita. 
Se il piano consegue esattamente i risultati attesi, non si pongono particolari problemi e l’interesse tanto dei soci quanto dei creditori si realizza a sua volta esattamente nella misura prestabilita. 
A dispetto di questa rassicurante prospettiva, l’incertezza di ogni previsione rende naturali scostamenti positivi o negativi, riscontrabili nella pratica delle soluzioni liquidatorie e a maggior forza di quelle in continuità. 
Lo scostamento in negativo dai risultati attesi produce conseguenze diverse a seconda delle ricadute rispetto al soddisfacimento dei creditori. 
Se l’insuccesso del piano provoca l’inadempimento grave agli obblighi assunti e la risoluzione del piano, ogni rapporto obbligatorio torna alla consistenza originaria[345]. Vengono perciò meno gli effetti di dilazione e falcidia, con l’erosione pressoché automatica dei vantaggi prospettati dal piano ai soci: il valore delle partecipazioni si consuma nuovamente e torna in vigore l’eventuale responsabilità illimitata dei soci[346]. 
Se invece la disponibilità di un minor attivo non comporta la risoluzione, si possono prevedere: la conservazione a beneficio dei soci di un valore inferiore alle attese; l’escussione degli eventuali soci illimitatamente responsabili, poiché esdebitati per la sola quota dei debiti sociali falcidiata dall’omologazione, non per l’importo promesso ai creditori della società all’interno del piano[347]. 
Maggiori perplessità prospetta lo scostamento in positivo dai risultati preannunciati nel piano, ipotizzabile per via di una liquidazione maggiormente remunerativa o di flussi superiori alle attese. Nessun problema si pone nell’eventualità del piano che già prometta il soddisfacimento integrale dei creditori: l’intera eccedenza permane nel patrimonio della società a beneficio dei soci. Diversamente, si configura una tensione tra i principi del diritto civile e della crisi: quello fissato dall’art. 2740, comma 1, c.c. vorrebbe la devoluzione dell’intero extraprofitto ai creditori sociali, fino alla realizzazione integrale del loro interesse; la rimodulazione dei rapporti obbligatori pare escludere ogni pretesa ulteriore rispetto al soddisfacimento previsto dal piano e sancito dall’omologazione. 
L’impiego a favore dei creditori dell’intero attivo effettivamente realizzato risulta inevitabile nell’esecuzione del concordato semplificato, almeno seguendo l’impostazione orientata per la devoluzione al loro soddisfacimento dell’intero valore ricavato della liquidazione, per circoscrivere la portata dell’esdebitazione agli eventuali beni acquisiti dalla società successivamente all’omologazione[348]. 
Per ogni altro strumento di regolazione della crisi è dirimente il contenuto negoziale del piano. 
Questo potrebbe confermare l’impiego a favore dei creditori dell’intero attivo, come si prevede per lo più negli interventi di carattere liquidatorio[349], in modo da commisurare il loro soddisfacimento ai risultati effettivamente conseguiti e relegare a una funzione meramente informativa l’indicazione di eventuali percentuali[350]. In un simile scenario, come già in quello del concordato semplificato, l’eccedenza di attivo si risolve in un vantaggio per i soli creditori, indifferente all’interesse dei soci[351]. 
Tuttavia, il piano potrebbe anche predeterminare la soglia di pagamento dei debiti sociali, come di regola accade nello scenario della continuità aziendale. L’individuazione di una simile soglia pare escludere pretese dei creditori sull’eccedenza di attivo[352]. Il successo dell’iniziativa prospetta allora un vantaggio esclusivamente ai soci, titolari di partecipazioni corrispondenti a un patrimonio sociale più consistente del previsto[353]. La conclusione presenta una ricaduta immediata sull’applicazione dell’art. 120 quater, comma 1, CCII: la previsione prudenziale dei risultati concorre all’attendibilità del piano; tuttavia, contribuisce anche alla coerenza del pronostico ai limiti stabiliti per l’omologazione, senza impedire che l’overperformance del piano faccia conseguire ai soci vantaggi superiori alla soglia tollerabile in sede di omologazione[354]. Un simile esito pare evitabile solo nell’ipotesi patologica; cioè, se la sottovalutazione del piano dipende non dalla prudenza, ma da condotte opportunistiche rilevanti per l’annullamento del concordato o dell’accordo oppure per la revoca dell’omologazione ai sensi dell’art. 82, comma 1, CCII[355]. 
In posizione intermedia rispetto agli scenari appena delineati si pone il piano il quale non preveda la devoluzione dell’intera eccedenza ai creditori né la sua conservazione a beneficio esclusivo dei soci, per introdurre meccanismi diretti alla condivisione dei vantaggi inattesi. L’overperformance del piano può comportare due vantaggi, densi di ricadute nel patrimonio dei singoli: la disponibilità di un attivo patrimoniale più consistente del previsto; la disponibilità di eccedenze di cassa in un momento anticipato rispetto alle attese. L’eccedenza di attivo si presta a consentire un pagamento maggiorato; la sua anticipazione, invece, a consentire un pagamento anticipato. A fronte di simili eventualità, la prassi fa registrare l’ampia diffusione di due clausole, destinate ad operare nella fase esecutiva e però rilevanti già per la misurazione del soddisfacimento effettivamente offerto ai creditori[356]. Anzitutto, quelle riconducibili al modello dell’earn out, idonee ad assicurare pagamenti supplementari a loro beneficio[357] per via proprio della realizzazione di risultati superiori alle attese[358]. A seconda del parametro di riferimento adottato, i maggiori versamenti possono dipende dalla consistenza dell’attivo, dal conseguimento di profitti inattesi oppure da un presupposto “misto”, di carattere sia patrimoniale sia reddituale[359]. Inoltre, l’overperformance rilevante per l’attivazione dell’earn out può dipendere dai risultati conseguiti dalla singola società oppure, qualora si tratti dell’iniziativa di un gruppo, anche da soggetti ulteriori[360]. In ogni caso, il meccanismo opera sul versante quantitativo, in modo da imporre la maggiorazione automatica dell’importo dovuto, con una corrispondente diminuzione delle risorse conservate dalla società a beneficio dei creditori. Incidono invece sul termine di adempimento le clausole di cash sweep. Pensate in previsione di eventuali eccedenze di cassa, simili clausole ne impongono l’impiego almeno parziale per il soddisfacimento anticipato dei creditori; di riflesso, pur senza comportare necessariamente versamenti superiori alle attese, offrono il vantaggio della scadenza anticipata dei termini per la loro esecuzione[361]. Le ricadute per i soci risultano meno prevedibili: da un lato, si impone un vincolo che preclude il reinvestimento a loro vantaggio della liquidità in eccesso; dall’altro, si prospetta una conclusione anticipata della fase esecutiva potenzialmente coerente al loro interesse. 


 
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Note:

[1] 
Pare ormai configurabile a tutti gli effetti un regime settoriale autonomo da quello generale, riconducibile nella nozione di micro-sistema per come definita da N. Irti, Norme speciali e sistema giuridico, in Id., L’età della decodificazione, Giuffrè, Milano, 1999, 70 ss.
[2] 
La correlazione tra i due profili risulta implicita per l’impostazione che riconosce la vigenza in ambito societario di un tradizionale principio di correlazione tra rischio e potere: T. Ascarelli, I problemi delle società anonime per azioni, in Riv. soc., 1956, 11; G. Ferri, Potere e responsabilità nell’evoluzione della società per azioni, in Riv. soc., 1956, 35 ss.; L. Mengoni, Recenti mutamenti nella struttura e nella gerarchia dell’impresa, in Riv. soc., 1958, 692-693, incline ad individuare in tale correlazione un «anello essenziale del meccanismo fondamentale del capitalismo»; P.G. Jaeger, Azioni privilegiate e partecipazione alle perdite, in Giur. comm., 1979, I, 382; B. Visentini, I sindacati di voto: realtà e prospettive, in Riv. soc., 1988, 16-17; F. D’Alessandro, Aumento di capitale, categorie di azioni e assemblee speciali, in Giur. comm., 1990, II, 582, nel qualificare la correlazione tra rischio e potere come «canone fondamentalissimo del diritto societario»; G.A. Rescio, I sindacati di voto, in Trattato Colombo-Portale, III, 1, Utet, Torino, 1994, 664; N. Abriani, La struttura finanziaria delle società di capitali nella prospettiva della riforma, in Riv. dir. comm., 2002, I, 144-145; A. Pisani Massamormile, Azioni ed altri strumenti finanziari partecipativi, in Riv. soc., 2003, 1295; E. Barcellona, Rischio e potere nel diritto societario riformato, Torino, 2012, 111 ss.; M. Libertini, in M. Libertini-C. Angelici, Un dialogo su voto plurimo e diritto di recesso, in Riv. dir. comm., 2015, I, 1-2 e 7. Tuttavia, per considerazioni critiche in merito all’imperatività e alla generalità stessa di un simile principio, G. Caselli, Azioni privilegiate e partecipazione alle perdite, in Giur. comm., 1980, I, 688; G. Oppo, Sui principi generali del diritto privato, in Riv. dir. civ., 1991, I, 486; M. Lamandini, Struttura finanziaria e governo nelle società di capitali, Il Mulino, Bologna, 2001, 122; A. Gambino, Spunti di riflessione sulla riforma: l’autonomia societaria e la risposta legislativa alle esigenze di finanziamento dell’impresa, in Giur. comm., 2002, I, 645-646; G. Rossi-A. Stabilini, Virtù del mercato e scetticismo delle regole: appunti a margine della riforma del diritto societario, in Riv. soc., 2003, 32, che pure sostengono la razionalità economica del principio; P. Spada, Classi e tipi di società dopo la riforma organica (guardando alla «nuova» società a responsabilità limitata, in Riv. dir. civ., 2003, I, 501-502; M. Perrino, La «rilevanza del socio» nella s.r.l.: recesso, diritti particolari, esclusione, in Giur. comm., 2003, I, 829 (nota 28); G. D’Attorre, Il principio di eguaglianza tra soci nelle società per azioni, Giuffrè, Milano, 2007, 150; C. Angelici, in M. Libertini-C. Angelici, Un dialogo su voto plurimo e diritto di recesso, in Riv. dir. comm., 2015, I, 12; M.S. Spolidoro, Clausole put e divieto di società leonina, in Riv. soc., 2018, 1294 ss.; P. Spolaore, Finanziamento “privato” e strumenti finanziari “partecipativi”, in Banca, borsa, tit. cred., 2018, I, 284-285; M. Notari, La proporzionalità tra rischio e potere nelle società di capitali: un canone fondamentalissimo o una regola suppletiva?, in Osservatorio dir. civ. comm., 2016, 400 ss.
[3] 
Con riguardo agli interessi partecipativi dei soci, intesi come non meramente strumentali a quelli patrimoniali e considerati soprattutto dalla letteratura giuridica tedesca, V. Confortini, Il concordato preventivo fra legge del concorso e legge del contratto. Concordati espropriativi e prospettive de lege ferenda, in Riv. dir. civ., 2018, 1582 ss.
[4] 
Per mera sintesi, assecondata da un uso crescente, si fa riferimento in queste pagine per lo più al “piano”, per indicare anche il negozio diretto alla determinazione degli effetti tra le parti, e quindi l’“accordo” o la “proposta”.
[5] 
L’estensione degli effetti rappresenta una regola costante a partire dall’introduzione della legge fallimentare. Il regime opposto caratterizza la disciplina anteriore. È l’art. 25, comma 3, l. 24 maggio 1903, n. 197 a stabilire che «i creditori di una società non possono pretendere il pagamento del residuo dai soci illimitatamente responsabili se non dopo la omologazione del concordato». Assente nell’originario progetto di legge, questa previsione viene spiegata con l’erronea equiparazione dei soci ai fideiussori da G. Bonelli, Del fallimento, III, 3° ed., Vallardi, Milano, 1938-1939, 586 ss., orientato perciò per l’ammissibilità di deroghe negoziali. Lo sfavore verso una simile disciplina giustifica l’orientamento che in difetto di una disposizione analoga desume conseguenze opposte dall’omologazione del concordato fallimentare, per riconoscere l’estensione automatica degli effetti ai soci illimitatamente responsabili, secondo l’impostazione riferita da A. Ramella, Il concordato preventivo delle società in nome collettivo (continuazione), in Dir. fall., 1933, I, 1130.
[6] 
Benché non siano espressamente sancite, risultano pacifiche almeno quattro regole: l’estensione ai soci anche degli effetti prodotti dagli accordi di ristrutturazione; l’efficacia anche verso l’ex socio, se ancora responsabile per i debiti sociali; l’inefficacia dell’omologazione rispetto ai debiti personali; la diffusione delle conseguenze previste nei confronti dei soli creditori sociali sottoposti agli effetti dell’omologazione. Per ciascuna di queste regole, rispettivamente, A. Nigro, I fideiussori, i coobbligati ed i soci illimitatamente responsabili negli accordi di ristrutturazione, in Dir. banca merc. fin., 2021, I, 174-175; M. Speranzin, La responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali: profili sostanziali e concorsuali, in Dir. fall., 2017, I, 323-324; R. Ranucci, I coobbligati nel concordato preventivo, Esi, Napoli, 2021, 98-99; D. Vattermoli, Art. 184, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Commento per articoli, A. Nigro-M. Sandulli-V. Santoro, Giappichelli, Torino, 2014, 539.
[7] 
Per l’esame di questa disposizione, A. Nigro, I fideiussori, i coobbligati ed i soci illimitatamente responsabili negli accordi di ristrutturazione, cit., 174-175 e 179 ss., contrario al suo carattere innovativo; V. Lenoci, Sub art. 59, in Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Di Marzio, Giuffrè, Milano, 2022, 254 ss.; E. Frascaroli Santi, Sub art. 59, in Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa e insolvenza, a cura di A. Maffei Alberti, 7° ed., Cedam, Padova, 2023, 428 ss.; M. Giorgetti, Sub art. 59, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Commento al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 e successive modifiche, a cura di F. Santangeli, Giuffrè, Milano, 2023, 419-420; G.B. Nardecchia, Sub art. 59, in Il codice della crisi. Commentario, a cura di P. Valensise-G. Di Cecco-D. Spagnuolo, Giappichelli, Torino, 2024, 386 ss.
[8] 
A. Crivelli, Sub art. 79, in Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Di Marzio, Giuffrè, Milano, 2022, 363 ss.; C. Trentini, Sub art. 79, in Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa e insolvenza, a cura di A. Maffei Alberti, 7° ed., Cedam, Padova, 2023, 557 ss.; A. Fabbi, Sub art. 79, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Commento al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 e successive modifiche, a cura di F. Santangeli, Giuffrè, Milano, 2023, 528 ss.; O. De Cicco, Sub art. 79, in Il codice della crisi. Commentario, a cura di P. Valensise-G. Di Cecco-D. Spagnuolo, Giappichelli, Torino, 2024, 480 ss.
[9] 
Su questa disciplina, V. Lenoci, Sub art. 117, in Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Di Marzio, Giuffrè, Milano, 2022, 529 ss.; A. Audino, Sub art. 117, in Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa e insolvenza, a cura di A. Maffei Alberti, 7° ed., Cedam, Padova, 2023, 845 ss.; S. Cassaniti, Sub art. 117, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Commento al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 e successive modifiche, a cura di F. Santangeli, Giuffrè, Milano, 2023, 775 ss.; G. Mora, Sub art. 117, in Il codice della crisi. Commentario, a cura di P. Valensise-G. Di Cecco-D. Spagnuolo, Giappichelli, Torino, 2024, 686 ss.
[10] 
A. Illuminati, Sub art. 25 sexies, in Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Di Marzio, Giuffrè, Milano, 2022, 124 ss.; A. Piccolo, Sub art. 25 sexies, in Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa e insolvenza, a cura di A. Maffei Alberti, 7° ed., Cedam, Padova, 2023, 168 ss.; G. Fichera, Sub art. 25 sexies, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Commento al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 e successive modifiche, a cura di F. Santangeli, Giuffrè, Milano, 2023, 202 ss.; F. Innocenti, Sub art. 25 sexies, in Il codice della crisi. Commentario, a cura di P. Valensise-G. Di Cecco-D. Spagnuolo, Giappichelli, Torino, 2024, 185.
[11] 
In merito a questa previsione, A. Nastri, Sub art. 266, in Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Di Marzio, Giuffrè, Milano, 2022, 1363; E. Cesari, Sub art. 266, in Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa e insolvenza, a cura di A. Maffei Alberti, 7° ed., Cedam, Padova, 2023, 2075-2076; D. Spagnuolo, Sub art. 266, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Commento al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 e successive modifiche, a cura di F. Santangeli, Giuffrè, Milano, 2023, 1379 ss.; Id., Sub art. 266, in Il codice della crisi. Commentario, a cura di P. Valensise-G. Di Cecco-D. Spagnuolo, Giappichelli, Torino, 2024, 1416 ss.
[12] 
Per quanto riguarda la configurazione analitica degli effetti su tali rapporti “principali”, A. Nigro, I fideiussori, i coobbligati ed i soci illimitatamente responsabili negli accordi di ristrutturazione, cit., 184-185, osserva che il codice della crisi conferma la distinzione tra due specie di conseguenze lato sensu di falcidia, ambedue coerenti alla liberazione dei soci illimitatamente responsabili: da un lato, l’esdebitazione, ossia la limitazione dalla responsabilità patrimoniale, ricorrente negli istituti che prescindono dal consenso di ciascun titolare delle pretese rimodulate; dall’altro, l’estinzione, estesa al debito oltre che alla responsabilità e concepibile nei confronti dei soli aderenti per il tramite degli istituti che distinguono il loro trattamento da quello dei restanti creditori. Per la medesima distinzione, nel sottolineare per lo più la mera esdebitazione-inesigibilità ed escludere l’estinzione-inesistenza della porzione di credito falcidiata dal concordato preventivo, tra gli altri, D. Vattermoli, Art. 184, cit., 537. In termini opposti, e cioè per la costante estinzione del credito falcidiato, G. D’Attorre, Concordato preventivo e responsabilità patrimoniale del debitore, in Riv. dir. comm., 2014, II, 378.
[13] 
Nella stessa prospettiva, M. Fabiani, Società insolvente e responsabilità del socio unico, Giuffrè, Milano, 1999, 192; P. Sisinni, Art. 184, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A. Nigro-M. Sandulli-V. Santoro, III, Giappichelli, Torino, 2010, 2355; U.M. Carbonara, La garanzia prestata dal socio illimitatamente responsabile per debiti sociali e l’effetto esdebitatorio del concordato preventivo, in Giur. comm., 2017, I, 144, che però considera principalmente le garanzie aggiuntive prestate dai soci e non la loro responsabilità ex contractu societatis; A. Nigro, I fideiussori, i coobbligati ed i soci illimitatamente responsabili negli accordi di ristrutturazione, cit., 183; O. De Cicco, Sub art. 79, cit., 483, al quale sembra «finanche ovvio [...] che, circoscritta la responsabilità dell’obbligato principale, uguale sorte non possa che estendersi all’obbligato in via sussidiaria».
[14] 
Esprimono un diverso orientamento P.F. Censoni, Il concordato preventivo, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di A. Jorio-B. Sassani, IV, Giuffrè, Milano, 2016, 354; E. Frascaroli Santi, Sub art. 59, cit., 430, per la quale «la parte della norma che estende l’efficacia del concordato anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili è una norma eccezionale che introduce una deroga al principio sostanziale, in base al quale “i soci illimitatamente responsabili sono obbligati personalmente e solidalmente per i debiti sociali con il solo beneficio dell’escussione preventiva del patrimonio sociale”».
[15] 
A. Nigro, I fideiussori, i coobbligati ed i soci illimitatamente responsabili negli accordi di ristrutturazione, cit., 183-184; Id., Orientamenti e disorientamenti della Cassazione in tema di concordati e soci illimitatamente responsabili, in Dir. banca merc. fin., 2023, II, 680-681; P.P. Ferraro, La liquidazione controllata delle società sovraindebitate, in RDS, 2022, 166. Il principio assume una portata ancora più ampia rispetto a quella riferita nel testo, per riguardare anche gli istituti di stampo coattivo: è l’art. 278, comma 5, CCII ad estendere ai soci illimitatamente responsabili le conseguenze vantaggiose dell’esdebitazione pronunciata nei confronti della società, tramite una regola esaminata, ex multis, da R. Brogi, Le esdebitazioni tra legge fallimentare e Codice della crisi, in Fall., 2021, 299; F. Angiolini, L’esdebitazione e la nuova concorsualità, Esi, Napoli, 2022, 195.
[16] 
Per l’estensione degli effetti verso ogni socio illimitatamente responsabile, nel vigore del regime attuale, A. Nigro, I fideiussori, i coobbligati ed i soci illimitatamente responsabili negli accordi di ristrutturazione, cit., 180; Id., Orientamenti e disorientamenti della Cassazione in tema di concordati e soci illimitatamente responsabili, cit., 680-681. Sembrano tuttavia destinate a riproporsi le incertezze sollevate dalla legge fallimentare in merito al trattamento dei soggetti investiti da una responsabilità meramente contingente. Una prima impostazione ammette l’estensione degli effetti anche a coloro che non rispondono per l’assunzione di una posizione partecipativa, ma in ragione di vicende ulteriori: A. Maisano, Il concordato preventivo delle società, Giuffrè, Milano, 1980, 191; A. Nigro, Le società per azioni nelle procedure concorsuali, in Trattato Colombo-Portale delle società per azioni, IX, 2, Utet, Torino, 1993, 388; V. De Sensi, I limiti soggettivi dell’effetto esdebitativo del concordato preventivo in relazione all’ipotesi di cui all’art. 2362 cod. civ., in Dir. fall., 1997, I, 727 ss.; S. Bonfatti-P.F. Censoni, La riforma della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare, del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, Cedam, Padova, 2006, 252; D. Vattermoli, Art. 184, cit., 539; Trib. Firenze, 15 novembre 1988, in Fall., 1989, 659, con nota di V. Cantele, Efficacia del concordato nei confronti della società che sia socio unico; Trib. Como, 16 settembre 2004, in dejure.it. Un diverso orientamento limita la diffusione degli effetti ai soci responsabili ex contractu societatis: R. Rordorf, Società in concordato preventivo e socio unico persona giuridica, in Soc., 1994, 1199; P. Sisinni, Art. 184, cit., 2355; M. Fabiani, Società insolvente e responsabilità del socio unico, cit., 192 ss.; Id., Il concordato preventivo, in Commentario Scialoja-Branca al codice civile, Zanichelli, Bologna, 2014, 707-708; R. Ranucci, I coobbligati nel concordato preventivo, cit., 94; Cass. civ., Sez. I, 28 aprile 1994 n. 4111, in Foro it., 1995, I, 901, con nota di M. Fabiani, La responsabilità del socio unico come strumento di disciplina dell'insolvenza nelle aggregazioni societarie; Cass. civ., Sez. I, 8 febbraio 2005, n. 2532, in Giust. civ., 2005, I, 2336; Cass. civ., Sez. I, 9 febbraio 2023, n. 4034, in Fall., 2023, 626 con nota di F. Angiolini, Soci “illimitatamente responsabili” ed effetti esdebitatori del concordato; Trib. Roma, 27 novembre 1989, in Fall., 1990, 836, con nota di G. Sideri, Responsabilità dell’unico azionista di società per azioni e concordato preventivo della società partecipata; Trib. Milano, 3 maggio 1993, in Fall., 1994, 75, con nota di C. Tabellini, Estensione degli effetti delle procedure concorsuali al socio unico.
[17] 
Tra gli altri, D. Vattermoli, Art. 184, cit., 539, quando osserva che «i soci illimitatamente responsabili continuano [...] a rispondere nei confronti dei creditori sociali per la parte del credito sottratta alla falcidia concordataria» e poi che «il carattere sussidiario della responsabilità dei soci per le obbligazioni della società ed il conseguente beneficium excussionis ad essi riconosciuto dalla legge [...] fa sì che i creditori sociali potranno aggredire il loro patrimonio solo una volta accertata la mancata esatta esecuzione del concordato» (corsivo dell’autore).
[18] 
La misurazione del vantaggio determinato dal mero differimento è complicata dalla necessità di operazioni di capitalizzazione, segnalata già da G. D’Attorre, La ristrutturazione “coattiva” dei debiti fiscali e contributivi negli ADR e nel concordato preventivo, in Fall., 2021, 157-158; L. Sicignano, L’assenza di pregiudizio e il rischio di insuccesso nei piani concordatari, in Banca, borsa, tit. cred., 2024, I, 151 ss.
[19] 
La conseguenza può reputarsi fisiologica per la disciplina che governa il concordato preventivo con continuità aziendale. È l’art. 87, comma 1, lett. e, CCII a richiedere l’indicazione nel piano «dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria»; anzi, all’esito delle modifiche volute dall’ultimo decreto correttivo, «della situazione economico-finanziaria». La realizzazione di un simile obiettivo implica la disponibilità di risorse residue in seguito all’esecuzione del piano, utilizzabili per la prosecuzione dell’esercizio a beneficio dei soci oppure per un’appropriazione immediata tramite lo scioglimento della società. Ciononostante, il loro arricchimento può essere evitato tramite operazioni corporative assimilabili - almeno sul versante economico - al trasferimento delle partecipazioni (infra, § 4).
[20] 
Per l’esposizione di un simile risultato, sottoposto a critiche frequenti perché reputato incoerente ai principi che governano l’allocazione del rischio imprenditoriale tra soci e creditori, D. Vattermoli, Concordato con continuità aziendale, absolute priority rule e new value exception, in Riv. dir. comm., 2014, I, 347; L. Stanghellini, La struttura finanziaria della società per azioni al tempo della grande crisi, in Regole del mercato e mercato delle regole, a cura di G. Carcano-C. Mosca-M. Ventoruzzo, Giuffrè, Milano, 2016, 271; L. Benedetti, La posizione dei soci nel risanamento della società in crisi: dal potere di veto al dovere di sacrificarsi (o di sopportare) (Aufopferungs– o Duldungspflicht)?, in RDS, 2017, 761; M. Fabiani, La rimodulazione del dogma della responsabilità patrimoniale e la de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in Ilcaso.it, 9, il quale coglie nella rivalutazione delle partecipazioni tramite falcidie la realizzazione per i soci di un «profitto finanziato dai creditori»; Id., La proposta ostile con aumento di capitale esterno nel concordato preventivo, in Id., La struttura finanziaria del concordato preventivo prima e dopo il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Zanichelli, Bologna, 2019, 251; A. Paciello, Crisi dell’impresa, valore della partecipazione sociale e tutela dei soci, in Studi di diritto commerciale per Vincenzo Di Cataldo, a cura di C. Costa-A. Mirone-R. Pennisi-P.M. Sanfilippo-R. Vigo, II, Giappichelli, Torino, 2021, 711; D. Galletti, Le politiche di gestione del rischio, Esi, Napoli, 2021, 143 ss.; B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 35-36; M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, in Banca, borsa, tit. cred., 2023, I, 173.
[21] 
Osserva M. Allegrini, I principi contabili di riferimento nei risanamenti aziendali, in Piani di ristrutturazione dei debiti e ruolo dell’attestatore, diretto da S. Ambrosini-A. Tron, Zanichelli, Bologna, 2016, 251, che «nei casi in cui la ristrutturazione comporti una riduzione dell’ammontare del capitale da rimborsare (valore a scadenza del debito) e/o una riduzione dell’ammontare degli interessi maturati e non ancora pagati, il debitore rileva alla data della ristrutturazione un componente positivo di reddito (c.d. utile da ristrutturazione) tra i proventi straordinari, pari alla riduzione del capitale da rimborsare e/o degli interessi maturati e non ancora pagati. In contropartita si rileva una riduzione di pari importo del valore contabile del debito iscritto tra le passività. Se di importo rilevante, questa componente reddituale è evidenziata nel conto economico con un apposito dettaglio informativo (“di cui”) della voce E.20 - Proventi straordinari».
[22] 
Espone Trib. Verona, 21 luglio 2023, in Dirittodellacrisi.it, che a seguito all’omologazione dello specifico concordato in continuità, «per effetto della falcidia concordataria, la quota di partecipazione al capitale della società di pertinenza dei soci, attualmente di valore nullo (posto che la ricorrente presenta patrimonio netto negativo), riacquisirebbe evidentemente un valore economico positivo, direttamente proporzionale all’entità del capitale come ricostituito».
[23] 
Benché meno evidenti, ricadute vantaggiose possono dipendere anche dall’omologazione di piani meramente liquidatori. Il beneficio è almeno prevedibile se si concepisce la sussistenza di un residuo attivo dal pagamento delle percentuali promesse ai creditori. È meno palese ipotizzando la liquidazione del patrimonio attuale e la devoluzione dell’intero ricavato ai creditori; tuttavia, se il soddisfacimento parziale esclude ulteriori pretese di tali soggetti, il beneficio per i soci consiste nella diminuzione dell’importo necessario alla riattivazione dell’impresa. Inizialmente incerta, la ricapitalizzazione della società rimasta priva sia di beni sia di debiti esigibili viene ammessa nel vigore della legge fallimentare in seguito all’esecuzione del concordato con cessione dei beni: A. Bonsignori, Sub art. 152, in Commentario Scialoja-Branca alla legge fallimentare, Zanichelli-Soc. ed. Foro it., Bologna-Roma, 1997, 343; G. Rago, L’esecuzione del concordato preventivo, in Fall., 2006, 1103; App. Milano, 23 luglio 1990, in Fall., 1991, 172, con nota di M. Macchia, Delibera di ricapitalizzazione della società dopo l’omologa del concordato preventivo con cessione dei beni. La rilevanza di un simile beneficio è confermata dall’ultima riforma, che introduce tramite l’art. 278, comma 3, CCII l’esdebitazione della società, anche se lasciata priva di attivo dallo svolgimento della liquidazione giudiziale o controllata: D. Vattermoli, L’esdebitazione tra presente e futuro, in Riv. dir. comm., 2018, II, 495, quando osserva che «l’ordinamento pacificamente riconosce l’esistenza di un valore intrinseco alla struttura organizzativa della società, perché altrimenti nessun senso avrebbe l’esdebitazione per un ente con un patrimonio che è pari a zero»; D. Benincasa, Nuove questioni in tema di esdebitazione e di “seconda chance, in Giur. it., 2018, 527; A. Nigro, Le ristrutturazioni societarie nel diritto italiano della crisi: notazioni generali, in Riv. dir. comm., 2019, I, 402; P.P. Ferraro, Il governo delle società in liquidazione concorsuale, Giuffrè, Milano, 2020, 196; M. Centonze, L’esdebitazione di società nel Codice della crisi, in Nuove leggi civ. comm., 2021, 1347 ss.; F. Angiolini, L’esdebitazione e la nuova concorsualità, cit., 118-119; P. Pellegrinelli, L’esdebitazione nella liquidazione giudiziale: evoluzione di uno strumento volto a garantire la continuità aziendale, in Dir. fall., 2023, I, 1041. Benché queste considerazioni sembrino da condividere, la ripresa dell’attività trova un ostacolo nello scioglimento della società ai sensi dell’art. 233, comma 2, CCII Per consentire la realizzazione degli scopi perseguiti tramite l’esdebitazione, P.P. Ferraro, La liquidazione controllata delle società sovraindebitate, cit., 186-187, esclude l’applicazione di quest’ultima previsione alla liquidazione controllata. Inoltre, con riferimento anche alla liquidazione giudiziale, la dottrina prevalente esclude la cancellazione immediata della società esdebitata, allo scopo proprio di consentire la riattivazione dell’impresa tramite nuovi apporti dei soci: D. Vattermoli, L’esdebitazione tra presente e futuro, cit., 494-495; D. Benincasa, Nuove questioni in tema di esdebitazione e di “seconda chance, cit., 527; P.P. Ferraro, Il governo delle società in liquidazione concorsuale, cit., 213; M. Centonze, L’esdebitazione di società nel Codice della crisi, cit., 1350; R. Brogi, Le esdebitazioni tra legge fallimentare e Codice della crisi, cit., 297-298.
[24] 
Un’indicazione in questo senso è data proprio dalla disciplina contabile. Per la formazione del bilancio d’esercizio l’OIC 21 circoscrive la rilevanza del netto patrimoniale all’iscrizione di partecipazioni in altre imprese che siano incluse tra le immobilizzazioni e riconducibili a relazioni di controllo, collegamento oppure joint venture.
[25] 
L’inadeguatezza di un criterio esclusivamente patrimoniale e contabile per la misurazione dei vantaggi realizzabili dai soci trova riscontro nella rilevanza che l’art. 120 quater, comma 2, CCII riconosce al «valore effettivo» delle loro partecipazioni, non assimilabile alla frazione di patrimonio netto astrattamente imputabile ad ognuno (§§ 17 e 18).
[26] 
Contro la propagazione nei rapporti di garanzia delle conseguenze prodotte dall’omologazione verso la società ed estese ai soci illimitatamente responsabili in ragione del vincolo partecipativo, A. Maisano, Il concordato preventivo delle società, cit., 196 ss.; D. Vattermoli, Art. 184, cit., 540; M. Speranzin, La responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali: profili sostanziali e concorsuali, cit., 323; R. Ranucci, I coobbligati nel concordato preventivo, cit., 94; Cass. civ., Sez. I, 8 novembre 1984, n. 5642, in Banca, borsa, tit. cred., 1986, II, 4.
[27] 
Per l’estensione degli effetti, A. Nigro, Fideiussione dei soci illimitatamente responsabili e concordato preventivo della società, in Giur. comm., 1985, II, 130 ss.; R. Rordorf, Società in concordato preventivo e socio unico persona giuridica, cit., 1198, benché con riferimento esclusivamente ai soci di società personali; M. Fabiani, La responsabilità del socio unico come strumento di disciplina dell'insolvenza nelle aggregazioni societarie, in Foro it., 1995, I, 909; Id., Società insolvente e responsabilità del socio unico, cit., 194-195; Id., Il concordato preventivo, cit., 709-710; Cass. civ., Sez. I, 14 dicembre 1988, n. 6810, in Foro it., 1989, I, 1130, con nota di M. Fabiani, Garanzia del socio illimitatamente responsabile e obbligazioni sociali: il «revirement» della Cassazione agevolerà l’omologazione del concordato preventivo delle società di persone?; Cass. civ., Sez. un., 24 agosto 1989, n. 3749, in Foro it., 1990, I, 108; Cass. civ., Sez. un., 16 febbraio 2015, n. 3022, in Giur. comm., 2017, II, 65, con nota di V. Antonioni, Gli effetti del concordato preventivo sulla garanzia ipotecaria per debiti sociali prestata dal socio illimitatamente responsabile; Cass. civ., Sez. I, 17 ottobre 2019, n. 26517, in foroplus.it; App. Genova, 12 maggio 1982, in Giur. comm., 1985, II, 130, con nota di A. Nigro, Fideiussione dei soci illimitatamente responsabili e concordato preventivo della società; Trib. Padova, 30 marzo 2021, in dejure.it; Trib. Ancona, 5 novembre 2021, in dejure.it.
[28] 
G.B. Nardecchia, Sub art. 59, cit., 387; D. Spagnuolo, Sub art. 266, cit., 1417.
[29] 
Benché sembri meno rilevante, il medesimo beneficio è ipotizzabile nei confronti dei soci in regime di responsabilità illimitata, per lo più tramite la liberazione da vincoli conseguenti alla loro responsabilità gestoria; sull’autonomia tra tali vincoli rispetto e quello automaticamente conseguente alla partecipazione sociale, infra, § 23.
[30] 
Per le incertezze emerse circa la disponibilità delle azioni verso gli amministratori nel vigore della legge fallimentare, S. Ambrosini, Il piano di concordato. Continuità aziendale e cessione dei beni, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, IV, a cura di F. Vassalli-F.P. Luiso-E. Gabrielli, Giappichelli, Torino, 2014, 141 ss.; G. D’Attorre, Le azioni di responsabilità nel concordato preventivo, in Riv. soc., 2015, 19 ss. e 28-29, che concepisce la preclusione automatica delle azioni esercitabili direttamente dai creditori in seguito all’omologazione del concordato preventivo e alla falcidia delle loro pretese (pp. 34 ss.); A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo (prime riflessioni), in Ilcaso.it, 13 ss.; Trib. Piacenza, 12 febbraio 2015, in Soc., 2016, 743, con nota di F. Sala, Un auspicato “approdo” sull’azione di responsabilità dei creditori sociali nel concordato preventivo; App. Bologna, 5 giugno 2017, in Fall., 2018, 205, con nota di L. Andretto, La legittimazione dei creditori ex artt. 2394 c.c. dopo l’omologazione del concordato preventivo; Trib. Firenze, 3 ottobre 2019, in Fall., 2019, 1533, con nota di M. Fabiani, Le azioni di responsabilità nel concordato preventivo con cessione dei beni: la transizione dalla legge fallimentare al codice della crisi. La disponibilità delle azioni risarcitorie è esclusa almeno in relazione al concordato preventivo di natura liquidatoria dall’art. 115, comma 2; con riguardo al contenuto di tale disciplina, M. Fabiani, Le azioni di responsabilità nel concordato preventivo con cessione dei beni: la transizione dalla legge fallimentare al codice della crisi, in Fall., 2019, 1539 ss.; D. Scano, Le azioni di responsabilità nel concordato preventivo, in AGE, 2023, 297 ss.
[31] 
Un simile vantaggio si distingue dagli altri richiamati per non interessare esclusivamente i soci, potendosi produrre nei confronti di qualunque soggetto esposto alle pretese della società o anche solo dei suoi creditori. Tuttavia, quanto meno a livello statistico, il beneficio riguarda di frequente i soci. L’importanza in concreto di questi profili emerge: dapprima, dallo stesso codice della crisi, che tramite l’art. 87, comma 1, lett. h, chiede di indicare all’interno del piano di concordato «le azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili nonché le azioni eventualmente proponibili solo nel caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale e le prospettive di realizzo»; poi, dalla documentata rassegna giurisprudenziale svolta da A. Turchi, Il valore di liquidazione alla luce delle prime pronunce di merito, in Dirittodellacrisi.it, 14 ss.
[32] 
Per la distinzione tra queste categorie di apporti e il regime dell’inefficacia in seguito all’introduzione del codice della crisi sia permesso il rinvio a S. D’Orsi, Il regime dei finanziamenti anomali e sospetti nel vigore del codice della crisi, in AGE, 2023, 355 ss.
[33] 
La partecipazione dei soci al valore trova numerosi riscontri nella letteratura più risalente. Mentre forma oggetto di contestazioni frequenti negli ultimi anni (nt. 20), la conservazione a beneficio esclusivo dei soci delle risorse residue dopo il pagamento della percentuale promessa ai creditori risulta pacifica nel vigore della prima disciplina del concordato preventivo: A. Rocco, Il concordato nel fallimento e prima del fallimento, Bocca ed., Torino, 1902, 406-407; A. Ramella, Il concordato preventivo delle società in nome collettivo (continuazione), cit., 1133; Id., Fallimento e concordato preventivo delle società di commercio, Ed. Ernesto Arduini, Torino, 1938, 285 e 290; Cass. Firenze, 3 giugno 1912, in Riv. dir. comm., 1912, II, 627, con nota di A. Sraffa, Questioni sull’omologazione del concordato preventivo; App. Bologna, 30 luglio 1915, in Riv. dir. comm., 1915, II, 869, con nota di L. Bolaffio, Estremi per la omologazione di un concordato preventivo ed il fallimento dichiarato dalla Corte; App. Milano, 17 ottobre 1930, in Temi emiliana, 1931, I; App. Milano, 21 marzo 1933, in Dir. fall., 1933, II, 535, nel dichiarare che «se anche […] qualche non largo margine utile dovesse rimanere del patrimonio sociale, onestamente soddisfatti i creditori in una percentuale da loro ritenuta soddisfacente, e tal residuo venisse ripartito fra gli azionisti, davvero non si sa ravvisare in ciò una illecita speculazione». Più di recente, il conseguimento di un vantaggio da parte dei soci pare ricevere il giudizio favorevole di B. Libonati, Crisi dell’imprenditore e riorganizzazione dell’impresa, in Riv. dir. comm., 1981, I, 250-251, con il rilievo per cui «se ai soci può essere fatto carico di non essere stati capaci di darsi un’amministrazione efficiente [...], non è incongruo che un loro interesse patrimoniale residuo venga comunque tutelato»; M. Miola, Profili del finanziamento dell’impresa in crisi tra finalità di risanamento e doveri gestori, in Riv. dir. civ., 2014, 1114 (nota 76), quando ricava dalla sospensione degli obblighi di conservazione del capitale - contemplata ora dagli artt. 20, comma 1, 64, comma 1, e 89, comma 1, CCII - la meritevolezza dell’interesse dei soci alla conservazione e alla rivalutazione delle partecipazioni tramite falcidia dei debiti sociali.
[34] 
Sia la prima disciplina unitaria del concordato preventivo sia quella riformulata dalla legge fallimentare esigono il soddisfacimento integrale dei privilegiati e un pagamento almeno del quaranta per cento a favore di quelli chirografari (artt. 3, comma 1, n. 3, l. 24 maggio 1903, n. 197; art. 160, ult. comma, L. fall.). Il difficile soddisfacimento di un simile fabbisogno spiega il ricorso prevalente al concordato con cessione dei beni, non risolvibile per il mancato conseguimento dell’obiettivo, come documentano le analisi empiriche condotte da A. Jorio, I rapporti giuridici pendenti nel concordato preventivo, Cedam, Padova, 1973, 51; Id., Le procedure concorsuali tra tutela del credito e salvaguardia dei complessi produttivi, in Giur. comm., 1994, I, 504-505; A. Maisano, Il concordato preventivo delle società, cit., 61, (nota 44); Id., L’iniziativa del concordato preventivo delle società, in Aa. Vv., Studi in onore di Andrea Arena, II, Cedam, Padova, 1981, 1123 (nota 44).
[35] 
È la consapevolezza dei benefici conseguibili con l’omologazione a giustificare la declinazione riconosciuta al requisito della meritevolezza nel vigore della prima disciplina unitaria del concordato preventivo. L’opinione pressoché unanime esige per le società, anche di capitali, la meritevolezza dei soci, con lo scopo dichiarato di impedire che condotte degli amministratori precludano il beneficio ai soci: A. Sraffa, Questioni sull’omologazione del concordato preventivo, in Riv. dir. comm., 1912, II, 638; A. Butera, Moratoria, concordato preventivo, procedura dei piccoli fallimenti, Utet, Torino, 1938, 273; L. Bolaffio, Il concordato preventivo secondo le sue tre leggi disciplinatrici, Utet, Torino, 1932, 189; Cass. Firenze, 3 giugno 1912, cit.; App. Bologna, 2 dicembre 1929, in Rep. Foro it., 1929, voce “Concordato preventivo”, n. 39; App. Milano, 17 ottobre 1930, cit., 221, con nota di Aur. Candian, Ancora in tema di concordato preventivo di società, secondo cui «sarebbe sconvolgere i principi più elementari di giustizia [...] se per gli abusi commessi dagli amministratori si dovesse negare agli amministrati un beneficio»; App. Genova, 30 marzo 1931, in Foro it., 1931, I, 578, con nota di U. Navarrini, Rappresentanza del debitore nella proposta di concordato preventivo. Una diversa impostazione risulta prevalente a partire dall’entrata in vigore della legge fallimentare, segnata da un maggior favore verso l’interesse creditorio e perciò coerente all’identificazione della meritevolezza con l’affidabilità della società insolvente: G. Zanarone, Il requisito della “meritevolezza” nel concordato preventivo di società, Giuffrè, Milano, 1974, 178; A. Maisano, La tutela concorsuale dei creditori tra liquidazione e riassetto delle imprese in crisi, Giuffrè, Milano, 1989, 86-87.
[36] 
Prima ancora che dall’imposizione di livelli minimi di capitalizzazione, l’esecuzione di investimenti significativi dipende dalla necessità di immobilizzazioni consistenti per l’esercizio dell’attività industriale, sottolineata da P. Saraceno, La produzione industriale, 7° ed., Libreria universitaria, Venezia, 1973, 268.
[37] 
Il potere dei soci assume la massima ampiezza nella prima disciplina unitaria del concordato preventivo. Per l’art. 1, ult. comma, l. 24 maggio 1903, n. 197, «i patti e le condizioni del concordato devono [...] prima dell’adunanza dei creditori essere approvati nel modo stabilito dallo statuto sociale o dalla legge per lo scioglimento anticipato della società debitrice». È il richiamo alla decisione di scioglimento ad autorizzare la conclusione secondo cui «non c’è possibile svolgimento del processo di concordato preventivo [...] senza l’intervento dell’assemblea degli azionisti» (Aur. Candian, Il processo di concordato preventivo, Cedam, Padova, 1937, 136). Pacifiche sono peraltro l’inammissibilità di deleghe agli amministratori (G.A. Raffaelli, Rassegna di giurisprudenza in materia di dissesto di società commerciali, in Riv. dir. comm., 1941, 318) e la persistenza del potere al suo esercizio, coerente alle decisioni dei soci di ritiro della domanda e modifica della proposta (A. Ramella, Fallimento e concordato preventivo delle società di commercio, cit., 282-283). L’impostazione più diffusa spiega tali poteri con l’estraneità del concordato alla gestione corrente (L. Bolaffio, Il concordato preventivo secondo le sue tre leggi disciplinatrici, cit., 34) e con la sua idoneità ad evitare lo scioglimento, assimilato nel risultato pratico alla proroga tacita della società (A. Sraffa, Il fallimento delle società commerciali, Cammelli ed., Firenze, 1897, 355). 
Le prerogative sulla conformazione del piano sono ribadite dall’art. 152, ult. comma, L. fall., dedicato a quello fallimentare, ma applicabile a forme ulteriori di concordato (a quello preventivo ai sensi dell’art. 161, ult. comma; a quello nell’amministrazione controllata secondo l’art. 187, comma 2; a quello nella liquidazione coatta amministrativa in base all’art. 214, comma 1, L. fall.). Il potere riconosciuto ai soci da questa disposizione conferma quello di decidere anche la rinuncia o la modifica della proposta (Trib. Santa Maria Capua Vetere, 21 luglio 1990; Trib. Roma, 14 luglio 1990; Trib. Roma, 19 giugno 1990, tutte in Dir. fall., 1991, II, 634, con nota di D. Di Gravio, La rinunzia (o la revoca) della domanda di ammissione a concordato preventivo) e continua a spiegarsi con l’estraneità del concordato alla gestione ordinaria (G. Minervini, Gli amministratori di società per azioni, Giuffrè, Milano, 1956, 226-227). Si registrano comunque due innovazioni: l’ammissibilità di deleghe agli amministratori, tramite un atto specifico di attribuzione del potere (Trib. Pordenone, 18 luglio 1986, in Dir. fall., 1987, II, 497, con nota di D. Di Gravio, Gruppo d’imprese e società fiduciarie) e secondo alcuni anche tramite una clausola dello statuto (App. Roma, 17 giugno 1960, in Dir. fall., 1960, II, 507); l’attribuzione del potere ai titolari della maggioranza del capitale nelle società di persone, con una regola reputata eccezionale rispetto sia alla legittimazione individuale al compimento di atti urgenti (F. Galgano, Il principio di maggioranza nelle società personali, Cedam, Padova, 1960, 170 ss.) sia all’unanimità richiesta per le modifiche del contratto sociale (T. Mollura, L’amministrazione controllata delle società, Giuffrè, Milano, 1989, 124 ss.).
Ultimo in ordine di tempo è il regime anteriore all’entrata in vigore del codice della crisi. È l’art. 152, comma 2, L. fall. a ribadire il potere della maggioranza dei soci nelle società di persone e introdurre la competenza sussidiaria degli amministratori di società di capitali, con regole derogabili dallo statuto. La ragione della competenza sussidiaria degli amministratori viene individuata per lo più nella natura meramente gestoria del concordato (F. Guerrera, Sub art. 152, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da A. Jorio, 2, Zanichelli, Bologna, 2007, 2210 ss.). Benché non sia espressamente consentita, l’ammissibilità di decisioni di rinunzia alla domanda o di modifica della proposta formulata dagli amministratori pare confermata anche per le società di capitali e coerente alla derogabilità della competenza riconosciuta a questi ultimi (F. Pacileo, Cram down e salvaguardie per i soci nel concordato preventivo con proposte concorrenti, in Riv. dir. comm., 2018, I, 101 ss.). Residuano perciò importanti prerogative dei soci, talvolta reputate incoerenti al primato dell’interesse creditorio (R. Sacchi, Le operazioni straordinarie nel concordato preventivo, in RDS, 2016, 786-787).
[38] 
Le necessità di operazioni di riorganizzazione rimesse a scelte incoercibili dei soci per il risanamento e la continuità delle imprese più significative viene segnalata, prima delle ultime riforme, da A. Gambino, Tutela del debitore e dei creditori nelle procedure concorsuali conservative dell’impresa, in Giur. comm., 1982, I, 714-715 e 720-721; Id., Limiti costituzionali dell’iniziativa economica nella crisi dell’impresa, in Giur. comm., 1988, I, 493; A. Nigro, Le società per azioni nelle procedure concorsuali, cit., 224; Id., Società e soci nella nuova amministrazione straordinaria, in Giur. comm., 2001, I, 347; più di recente, da F. Brizzi, Doveri degli amministratori e tutela dei creditori nel diritto societario della crisi, Giappichelli, Torino, 2015, 309; L. Benedetti, Soci e amministratori negli strumenti di regolazione della crisi delle società, in Riv. dir. comm., 2024, I, 115.
[39] 
Per la prima esposizione di questo principio, A. Nigro, Le società per azioni nelle procedure concorsuali, cit., 336.
[40] 
G. Ferri jr., Ristrutturazioni societarie e competenze organizzative, in Riv. soc., 2019, 234-235, il quale osserva che i «soci [...], essendo del tutto liberi, sulla base dei principi generali, di accordare o di negare il proprio consenso e, rispettivamente, di votare o di non votare a favore della relativa deliberazione, risultano dotati di una sorta di potere di veto al riguardo».
[41] 
Le soluzioni elaborate dalla prassi per assicurare la fattibilità del piano che preveda modifiche statutarie si riducono a due. La prima richiede l’adozione anticipata della delibera strumentale all’esecuzione del piano, sospensivamente condizionata all’omologazione (più spesso, alla definitività del provvedimento). La seconda, l’impegno di un numero adeguato di soci all’espressione del voto favorevole alla delibera, sottoposto alla medesima condizione sospensiva. Su tali soluzioni e le conseguenti incertezze per l’attuazione del piano, F. Guerrera, Sub art. 152, cit., 2223; Id.-M. Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di «riorganizzazione», in Riv. soc., 2007, 50 ss.; A.M. Leozappa, Concordato preventivo: fattibilità giuridica e modifiche organizzative, in Fall., 2015, 885 ss.; V. Confortini, Between strategic use and abuse of insolvency law: shareholders’ rights and corporate reorganisations under German Insolvenzordnung and Italian Insolvency Law, in Jus Civile, 2015, 350. Entrambe le tecniche subordinano comunque la dimostrazione della fattibilità del piano al consenso spontaneo dei soci, in modo da impedire il buon esito di iniziative assunte autonomamente dagli amministratori, come sottolineano F. Guerrera, Le competenze degli organi sociali nelle procedure di regolazione negoziale della crisi, in Riv. soc., 2013, 1132; Id., Il rapporto tra gli organi sociali e gli organi della procedura concorsuale nelle ristrutturazioni di società in crisi, in Dir. fall., 2018, I, 1190-1191; V. Calandra Buonaura, La gestione societaria dell’impresa in crisi, in Società, banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, diretto da M. Campobasso-V. Carriello-V. Di Cataldo-F. Guerrera-A. Sciarrone Alibrandi, III, Utet, San Mauro Torinese, 2014, 2603-2604; F. Brizzi, Doveri degli amministratori e tutela dei creditori nel diritto societario della crisi, cit., 309; D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, in Riv. soc., 2018, 863-864.
[42] 
Il solo meccanismo previsto dalla legge fallimentare rimane quello dedicato all’attuazione delle proposte concorrenti di concordato preventivo dall’art. 185, commi 5 e 6, L. fall., reputato eccezionale proprio perché derogatore del principio generale della neutralità organizzativa: G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fall., 2015, 1169; Id., Creditori posteriori e doveri degli amministratori nell'esecuzione del concordato preventivo, in Riv. soc., 2018, 564; R. Sacchi, Le operazioni straordinarie nel concordato preventivo, cit., 783-784; G. Meo, I soci e il risanamento. Riflessioni a margine dello Schema di legge-delega proposto dalla Commissione di riforma, in Giur. comm., 2016, I, 290; M. Fabiani, La proposta ostile con aumento di capitale esterno nel concordato preventivo, cit., 244 ss.; G. Ferri jr., Il ruolo dei soci nella ristrutturazione finanziaria dell’impresa alla luce di una recente proposta di direttiva europea, in Dir. fall., 2018, I, 540-541; Id., Ristrutturazioni societarie e competenze organizzative, cit., 245 ss.; A. Nigro, Le ristrutturazioni societarie nel diritto italiano delle crisi: notazioni generali, cit., 391; V. Pinto, Diritto delle società e procedure concorsuali nel Codice della Crisi, in Riv. dir. comm., 2021, I, 280 ss. È l’eccezionalità di tale regime a spiegare l’orientamento che ammette l’adozione coattiva della delibera di aumento e non anche di quella di riduzione del capitale: A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo (prime riflessioni), cit., 22; F. Guerrera, La ricapitalizzazione “forzosa” delle società in crisi: novità, problemi ermeneutici e difficoltà operative, in Dir. fall., 2016, I, 425; A. Ippolito, Proposte concordatarie concorrenti e aumento di capitale, in Soc., 2019, 335, che però esclude la riduzione del capitale di società a responsabilità limitata, per sostenere la tesi opposta con riguardo a quelle azionarie; R. Brogi, I soci e gli strumenti di regolazione della crisi, in Fall., 2022, 1293. Al contrario, per l’ammissibilità anche della riduzione coattiva, Cons. notarile Firenze, Massima n. 58. Aumento di capitale nel concordato preventivo a seguito del d.l. n. 83/2015; L. Stanghellini, La struttura finanziaria della società per azioni al tempo della grande crisi, cit., 273; N. Abriani, Proposte concorrenti, operazioni straordinarie e dovere della società di adempiere agli obblighi concordatari, in Giust. civ., 2016, 390-391; F. Pacileo, Cram down e salvaguardie per i soci nel concordato preventivo con proposte concorrenti, cit., 121 e 130 ss.; M. Fabiani-G. Barbieri, Aumenti di capitale con esclusione o limitazione del diritto di opzione (o di sottoscrizione) dei soci: una prerogativa a solo beneficio delle proposte concorrenti “esterne” oppure una possibilità anche per la società debitrice, costituita in forma di società di capitali, che voglia accedere al concordato preventivo?, in Nuovo dir. soc., 2018, 976; I. Donati, Le ricapitalizzazioni forzose, Giuffrè, Milano, 2020, 243; M. Aiello, Concordato preventivo e proposte concorrenti: i casi della nomina dell’amministratore giudiziale e dell’aumento del capitale, in Ilcaso.it, 11-12. 
Risultati analoghi - anzi, ancora più invasivi - si possono conseguire tramite le soluzioni elaborate dalla prassi al ricorrere di particolari presupposti. Tra le più originali si inserisce quella desumibile da una serie di provvedimenti, dai quali emergono: dapprima, la nomina di un amministratore giudiziario ai sensi dell’art. 2409, comma 3, c.c. per la gestione della società per azioni in crisi; poi, la formulazione per sua iniziativa di una domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo in continuità, conseguente alla constatazione dell’indisponibilità del socio unico alla ricapitalizzazione; successivamente, la predisposizione di un piano sgradito allo stesso socio, per la previsione dell’azzeramento del capitale e di un successivo aumento, subordinato all’omologazione e riservato a un nuovo sottoscrittore; infine, l’attribuzione all’amministratore giudiziario dei poteri dell’assemblea strumentali alla realizzazione delle modifiche statutarie, disposta ai sensi dell’art. 92, comma 4, disp. att. c.c. e propedeutica all’adozione di una delibera condizionata all’omologazione del concordato. Lo svolgimento della vicenda si desume in questi termini dai seguenti provvedimenti: Trib. Bologna, 21 giugno 2022; Trib. Bologna, 30 giugno 2022; Trib. Bologna, 19 agosto 2022; Trib. Bologna, 23 agosto 2022; Trib. Bologna, 26 ottobre 2022, tutti inediti.
[43] 
Un cenno a tale profilo, in relazione proprio ai benefici conseguibili dai soci, è svolto da C. Montagnani, Disciplina della riduzione del capitale: impresa o legislatore in crisi, in Giur. comm., 2013, I, 771-772.
[44] 
La progressiva inadeguatezza delle regole concepite per imprese caratterizzate dall’equilibrio tra capitale di rischio e capitale di debito - per lo più commerciale e non bancario - viene segnalata da B. Libonati, La crisi dell’impresa, in Aa. Vv., L’impresa, Giuffrè, Milano, 1985, 218-219; Id., Crisi delle imprese e crisi del fallimento, in Dir. fall., 1988, I, 457. Prima ancora che dalla graduale diminuzione del capitale minimo preteso dalla disciplina societaria, la riduzione dei livelli di investimento dipende dall’evoluzione verso il sistema post-industriale, caratterizzato da apporti prevalentemente immateriali e per cifre modeste rispetto al passato. Le ricadute di tale evoluzione sulla disciplina della crisi e dell’insolvenza sono sottolineate da G. Terranova, Prime impressioni sull’articolato “Rordorf”, in Id., Le procedure concorsuali, Giappichelli, Torino, 2019, 7; Id., Diritti soggettivi e attività d’imprese nelle procedure concorsuali, in Id., Le procedure concorsuali, Giappichelli, Torino, 2019, 91-92; Id., Diritti soggettivi senza sovranità (a proposito di bail-in, cram-down e altro), in Id., Le procedure concorsuali, Giappichelli, Torino, 2019, 136; S. Fortunato, Insolvenza, crisi e continuità aziendale nella riforma delle procedure concorsuali: ovvero la commedia degli equivoci, in Dir. fall., 2021, I, 6. L’importanza della tendenza evolutiva appena ricordata viene sottolineata da Trib. Monza, 9 novembre 2000, in gazzettaufficiale.it, con il rilievo secondo cui una parte della legislazione concorsuale «risponde alla logica di una concezione dell’impresa di tipo arcaico, che presuppone il tipo ideale della fumosa e maleodorante “fabbrica” ottocentesca, percepibile all’esterno nella sua organizzazione di beni strumentali; ma in un sistema economico ove ormai predomina la terziarizzazione delle attività produttive, e l’impresa anche non piccola può essere dal punto di vista materiale e geografico nulla di più di un’etichetta sul campanello di un appartamento, laddove l’imprenditore intrattiene i suoi contatti con il mercato attraverso strumenti di comunicazione “virtuali”, quell’enfatizzazione non pare aver più senso».
[45] 
La funzione antiostruzionistica è fatta presente, tra gli altri, da G. Strampelli, La prevenzione e la tempestiva emersione della crisi d’impresa. Dal capitale sociale agli assetti adeguati, in AGE, 2023, 97-98, con la constatazione che «la competenza esclusiva riconosciuta all’organo amministrativo è diretta a favorire il risanamento della società impedendo che i soci possano ostacolare il ricorso ad uno strumento della regolazione della crisi».
[46] 
Fissata originariamente al dieci per cento, tale misura è ridotta della metà dal decreto correttivo approvato il 10 giugno 2024 dal Consiglio dei Ministri.
[47] 
La vocazione antiostruzionistica del potere di proposta riconosciuto ai creditori riguarda la formulazione del piano e non l’adozione dell’iniziativa, dal momento che il potere di proposta sussiste solo in seguito alla formulazione della domanda degli amministratori ed alla predisposizione da parte loro di un piano tale da consentire l’esercizio del potere di proposta dei creditori, come sottolinea già G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., 1164-1165.
[48] 
Proprio il concordato nella liquidazione giudiziale, poiché non mira alla prevenzione dell’insolvenza e si pone perciò al di fuori dell’ambito di applicazione della Direttiva Insolvency, rimane governato dal regime delineato per l’iniziativa dall’art. 265, comma 2, CCII, coerente alle più risalenti previsioni dell’art. 152, comma 2, L. fall. Su questi profili, G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, Giappichelli, Torino, 2023, 152-153.
[49] 
Con riguardo alla logica di questa previsione, N. De Luca, Il sovrano non ha abdicato, ma è stato deposto. Notarelle sul ruolo dell’assemblea di società in crisi o insolventi, in Luiss law review, 2022, 13; L. Panzani-E. La Marca, Impresa vs. soci nella regolazione della crisi. Osservazioni preliminari su alcune principali novità introdotte con l’attuazione della Direttiva Insolvency, in Nuovo dir. soc., 2022, 1501; L. De Bernardin, La domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi, in Diritto della crisi, numero monografico Studi sull’avvio del codice della crisi (fascicolo cartaceo), a cura di L. De Simone-M. Fabiani-S. Leuzzi, 2022, 48; V. Donativi, Le “definizioni normative”, tra nozione, fattispecie e antinomie: il caso degli “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Riv. dir. comm., 2023, I, 90.
[50] 
Per l’esame di questa disposizione e dei problemi relativi all’ammissibilità sia del recesso sia dei rimedi di diritto societario contro la realizzazione di operazioni straordinarie sgradite almeno a qualche socio, I. Pagni-M. Fabiani, Le operazioni straordinarie nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza tra l’art. 116 e gli artt. 120 bis ss. CCII, in Riv. soc., 2022, 1328-1329; P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, in Dirittodellacrisi.it, 21-22.
[51] 
L’iniziale riferimento contenuto nell’art. 118, comma 6, CCII al voto dei soli soci di maggioranza è abrogato dal decreto correttivo approvato lo scorso 10 giugno. L’innovazione recepisce le critiche rivolte alla formulazione originaria della disposizione da A. Nigro, Le ristrutturazioni societarie nel diritto italiano delle crisi: notazioni generali, cit., 394-395; G. Ferri jr., Ristrutturazioni societarie e competenze organizzative, cit., 243-244, nel sottolineare come la distinzione tra diritti della maggioranza e della minoranza sia «del tutto priva di significato qualora la si riferisca ad un meccanismo nel quale, trattandosi soltanto di garantire la possibilità di modificare la struttura organizzativa della società in esecuzione della proposta approvata ed omologata, a venire in considerazione è un fenomeno, quello della deliberazione, non soltanto collettivo, ma retto dal principio di maggioranza».
[52] 
L’orientamento prevalente restringe la portata dell’art. 118, commi 5 e 6, all’attuazione di proposte concorrenti, per riservare all’art. 120 quinquies, comma 1, CCII l’esecuzione del piano predisposto dagli amministratori della società in crisi: A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, in ristrutturazioniaziendali.it, 8; M. Spadaro, Il concordato delle società, Il concordato delle società, in Diritto della crisi, numero monografico Studi sull’avvio del codice della crisi (fascicolo cartaceo), a cura di L. De Simone-M. Fabiani-S. Leuzzi, 2022, 119; R. Brogi, I soci e gli strumenti di regolazione della crisi, cit., 1300; M. Maltoni, Fusione e scissione di società in concordato preventivo secondo il codice della crisi di impresa (con alcune riflessioni in merito ai nuovi articoli 120-bis e 120-quinquies), in Riv. not., 2022, 452; C. Esposito, Il ridimensionamento delle prerogative e le responsabilità dei soci nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Giust. civ., 2022, 405; D.U. Santosuosso, Il principio di correttezza nel diritto societario della crisi (abuso o eccesso di potere nel procedimento di ristrutturazione). Doveri degli amministratori e posizione dei soci, in AGE, 2023, 262-263. L’abrogazione implicita della prima norma viene ipotizzata invece da G.A.M. Trimarchi, La ricapitalizzazione delle società ed il contrasto alla crisi nel contesto degli strumenti di regolazione della crisi (e dell'insolvenza). Verso l'emersione di un nuovo diritto sostanziale della crisi e dell'insolvenza, in Riv. dir. imp., 2023, 293; M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, cit., 178; S. Masturzi, La ridefinizione delle competenze degli amministratori negli strumenti di regolazione della crisi, in Dir. fall., 2024, I, 57; S. D’Orsi, Sub art. 120 quinquies, in Il codice della crisi. Commentario, a cura di P. Valensise-G. Di Cecco-D. Spagnuolo, Giappichelli, Torino, 2024, 726. 
[53] 
Non pare condivisibile l’opinione che reputa comunque necessario il consenso dei soci illimitatamente responsabili per la deroga all’estensione degli effetti, secondo l’impostazione accolta da G.B. Nardecchia, Sub art. 59, cit., 387. La tesi pare muovere dal postulato della necessità del consenso individuale per la produzione di effetti diretti nei confronti dei soci illimitatamente responsabili. Tuttavia, l’inserimento della clausola negativa dell’estensione degli effetti non implica l’efficacia dell’omologazione nei loro confronti; anzi, la esclude per lasciare ferma la responsabilità per i debiti sociali. Inoltre, è proprio il codice della crisi a smentire la necessità del consenso individuale dei destinatari del piano, ammettendo conseguenze dirette verso i creditori non consenzienti ed ora nei confronti degli stessi soci. Infine, la necessità del consenso individuale non è ipotizzabile nemmeno nel vigore dell’abrogato art. 152, comma 2, L. fall. ed ora dell’art. 265, comma 2, CCII, dal momento che entrambe le previsioni affidano alla maggioranza del capitale o addirittura agli amministratori la predisposizione del piano, e quindi anche la previsione della clausola di negazione degli effetti ai soggetti illimitatamente responsabili.
[54] 
Anche a prescindere dall’art. 2, lett. m bis, CCII, generico nell’allusione alle modifiche del capitale, e alle disposizioni che si limitano a consentire il soddisfacimento dei creditori tramite l’attribuzione di partecipazioni, sono da ricordare: l’art. 90, comma 6, CCII per le proposte concorrenti di concordato preventivo; nella formulazione precedente all’ultimo decreto correttivo, l’art. 118, comma 6, CCII, per la loro esecuzione; l’art. 120 bis, comma 2, CCII, in merito al contenuto del piano predisposto dagli amministratori; l’art. 120 quinquies, comma 1, CCII, rispetto all’efficacia corporativa dell’omologazione.
[55] 
Sull’operatività del bail in e l’attitudine al trasferimento del capitale sociale ai creditori, P. Benazzo, Crisi d’impresa, soluzioni concordate e capitale sociale, in Riv. soc., 2016, 247; C. Sandei, Il bail-in tra diritto dell’insolvenza e diritto dell’impresa, in Riv. dir. civ., 2017, 880 ss.; I. Donati, La ricapitalizzazione “interna” delle banche mediante bail-in, in AGE, 2016, 597 ss.; M. Speranzin, Bail-in (e condivisione degli oneri), in Dig. disc. priv. Sez. comm., Utet, Torino, 2017, 38 ss.; G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, cit., 23 ss. e 250-251.
[56] 
Il favore della nuova disciplina verso operazioni di riorganizzazione societaria strumentali alla capitalizzazione dei crediti è sottolineato da G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, cit., 34.
[57] 
La riduzione viene evocata esplicitamente dagli artt. 120 bis, comma 2, e 120 quinquies, comma 1, CCII.
[58] 
Di conseguenza, può reputarsi abrogato il diritto alla conservazione della qualità di socio, delineato prima dell’entrata in vigore del codice della crisi da M. Maugeri, Partecipazione sociale e attività di impresa, Giuffrè, Milano, 2010, 417 ss.; P.P. Ferraro, Il governo delle società in liquidazione concorsuale, cit., 204.
[59] 
Pare consolidata per la giurisprudenza europea la distinzione tra l’espropriazione di diritto, consistente nella sottrazione di beni al titolare, e quella di fatto, consistente nella mera sottrazione di valore, richiamata da C.G.U.E., 5 maggio 2022, Causa C-83/20, in Banca, borsa, tit. cred., 2023, II, 293, con nota di L. Sicignano, In bilico tra la forma e la sostanza: la tutela dei diritti proprietari degli azionisti e dei creditori nell’impostazione della giurisprudenza sovranazionale, con riguardo proprio al trattamento degli azionisti di società bancarie in dissesto. Una simile distinzione dimostra l’indipendenza tra le due vicende. Mentre la sottrazione di beni (nello specifico, le partecipazioni) configura la conseguenza automatica della riduzione di capitale verso i soci non consenzienti - si direbbe, anche nel contesto della delibera assunta a maggioranza dalla società in bonis -, la sottrazione di valore dipende dal compimento di operazioni concretamente sconvenienti per i soci.
[60] 
Attuata isolatamente, la riduzione non prospetta alcun vantaggio alla società né ai creditori. Rimane attuale il rilievo di Cass. civ., Sez. I, 8 novembre 2005, n. 21641, in Riv. dir. comm., 2005, 279, secondo cui «il fatto che il capitale sociale [...] debba essere iscritto al passivo del bilancio (art. 2424 c.c.) non vale certo a farlo considerare alla stregua di una posta debitoria, il cui annullamento o la cui riduzione comporti un vantaggio patrimoniale per la società».
[61] 
Nella stessa prospettiva, F. Pacileo, Cram down e salvaguardie per i soci nel concordato preventivo con proposte concorrenti, cit., 133, quando assimila la riduzione del capitale a una sorta di «soprapprezzo in negativo» a carico dei soci.
[62] 
Per l’illustrazione di un’operazione congegnata in questi termini, e cioè diretta a realizzare con l’omologazione l’azzeramento e l’immediato reincremento del capitale, da offrire in sottoscrizione a soggetti diversi dai soci, Trib. Milano, 2 maggio 2024, in Dirittodellacrisi.it. Conseguenze differenti determina l’aumento non preceduto dalla riduzione del capitale, che aggiunge nuovi soci a quelli precedenti. L’operazione presenta a questi ultimi l’alternativa tra: l’esecuzione di nuovi conferimenti, necessaria per il mantenimento della misura proporzionale della partecipazione; la diluizione per effetto della sottoscrizione dell’aumento da parte di altri. In questo secondo scenario l’esecuzione di nuovi apporti si risolve per lo più in un vantaggio per i soci anteriori. Almeno sul piano contabile, l’operazione determina l’incremento di un patrimonio netto verosimilmente negativo per effetto della crisi. È utile un esempio: il contesto può essere quello di un capitale nominale pari a 1000 e uno reale diminuito a 800 dalle perdite, diviso in porzioni corrispondenti tra 10 soci, con la conseguente partecipazione di ciascuno a un valore contabile pari ad 80; si può poi ipotizzare la sottoscrizione da parte di soggetti estranei alla compagine sociale di un aumento di capitale per 200; l’effetto è un incremento della cifra nominale a 1200 e del capitale reale a 1000; di conseguenza, la partecipazione di ciascun socio anteriore passa da un valore contabile di 80 ad uno di 83,33. Resta peraltro ferma la considerazione relativa alla possibile sussistenza di vantaggi effettivi superiori a quelli contabili (§ 2). Per considerazioni analoghe sulle conseguenze della sola decisione di aumento rispetto all’interesse dei soci, P.P. Ferraro, Il governo delle società in liquidazione concorsuale, cit., 236; L. Stanghellini, Verso uno statuto dei diritti dei soci di società in crisi, in RDS, 2020, 311.
[63] 
La preclusione del solo ostruzionismo irragionevole porta a condividere la tesi che ammette l’esecuzione da parte dei soci di apporti capaci di impedire l’omologazione di un piano sgradito, con il superamento della stessa condizione di crisi: L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, in AGE, 2023, 59, il quale osserva che «i soci scontenti della ristrutturazione [...] hanno sempre la possibilità di immettere capitale nella società anche in pendenza dello strumento di ristrutturazione. La competenza dell’assemblea a deliberare un aumento di capitale capace di riportare la società in bonis non viene certamente meno, come non viene meno il potere dei soci di chiedere e ottenere, nelle forme di legge, la convocazione di un’assemblea che abbia questo oggetto all’ordine del giorno» (corsivo dell’autore). 
[64] 
La protezione dei soci è imposta dalla stessa Direttiva. In primo luogo, dalla necessità di impedire il solo ostruzionismo irragionevole in base all’art. 12, §§ 1 e 2. In secondo luogo, da quella dichiarata nel considerando n. 48 di «garantire [tramite l’omologazione del piano] che la riduzione [...] delle quote dei detentori di strumenti di capitale sia proporzionata ai benefici della ristrutturazione». Infine, dal riferimento svolto nel considerando n. 57 alla necessità di «tutelare i legittimi interessi degli azionisti o altri detentori di strumenti di capitale». Sulla protezione dell’interesse dei soci, a partire proprio dalle indicazioni offerte dalla Direttiva Insolvency, A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, cit., 5; E. Rimini, Concordato preventivo e gruppi di imprese: attività deliberative, in AGE, 2023, 335-336; L. Benedetti, Soci e amministratori negli strumenti di regolazione della crisi delle società, cit., 131 ss. Orientamenti notarili Triveneto, Deliberazioni sulle perdite di società soggetta a concordato preventivo o ad accordo di ristrutturazione dei debiti omologati, nel dichiarare che «le disposizioni contenute negli artt. 120 bis e ss. del CCII sono [...] dettate al solo scopo di impedire ai soci di ostacolare la ristrutturazione della società che intende proseguire la propria attività secondo un piano da loro non condiviso o per il quale mostrino disinteresse e non anche con l’intento di privarli del potere di disporre del contratto sociale ove ciò non sia “irragionevole”, per usare l’espressione della Direttiva, e sia volto a perseguire un interesse legittimo».
[65] 
Sulla funzione lato sensu protettiva delle proposte concorrenti, con riguardo all’interesse patrimoniale dei soci, M. Perrino, “Relative priority rule” e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 27; P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, cit., 17; C. Esposito, Il ridimensionamento delle prerogative e le responsabilità dei soci nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, cit., 377; O. Cagnasso, L’accesso agli strumenti di regolazione della crisi: alcuni profili problematici, in Giur. it., 2023, 1439; Id.-C.F. Giuliani-G.M. Miceli, L’accesso delle società al concordato preventivo, in Soc., 2023, 996; L. Panzani-E. La Marca, Impresa vs. soci nella regolazione della crisi. Osservazioni preliminari su alcune principali novità introdotte con l’attuazione della Direttiva Insolvency, cit., 1486-1487, che arrivano ad escludere l’applicazione degli artt. 120 bis CCII a strumenti diversi dal concordato preventivo, proprio perché incapaci di assicurare la protezione dei soci tramite la formulazione di proposte concorrenti; A. Santoni, Doveri e responsabilità degli amministratori durante le procedure di ristrutturazione, in Dir. fall., 2023, I, 830; F. Iozzo-C. Scribano, Sub art. 120 bis, in Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa e insolvenza, a cura di A. Maffei Alberti, 7° ed., Cedam, Padova, 2023, 885; V. Sabato Ambrosio, Le proposte concorrenti dei soci, in Dir. fall., 2023, I, 1031; L. Salamone, Operazioni straordinarie e crisi, in Dir. banca merc. fin., 2023, I, 654; D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, in Giur. comm., 2023, I, 822, per il quale è l’art. 120 bis, comma 5, CCII a prevedere «la regola che chiude il sistema delle tutele diminuite dei soci»; S. Masturzi, La ridefinizione delle competenze degli amministratori negli strumenti di regolazione della crisi, cit., 30; M. Aiello, Le proposte concorrenti nel codice della crisi: fattispecie e disciplina, in Dir. fall., 2024, I, 176; M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, in Fall., 2024, 608; L. Benedetti, Soci e amministratori negli strumenti di regolazione della crisi delle società, cit., 127; Orientamenti notarili Triveneto, Deliberazioni sulle perdite di società soggetta a concordato preventivo o ad accordo di ristrutturazione dei debiti omologati.
[66] 
Neppure in un’accezione particolarmente dilatata pare annoverabile tra i mezzi di tutela il diritto all’informazione accordato ai soci dall’art. 120 bis, comma 3, CCII, funzionale semmai all’adozione di rimedi disciplinati da altre norme.
[67] 
Sulla causa del concordato preventivo - con un’impostazione confermata dall’art. 2, lett. m bis, CCII -, M. Fabiani, Causa del concordato preventivo e oggetto dell'omologazione, in Nuove leggi civ. comm., 2014, 597 ss.
[68] 
Anche per via dei costi e delle incertezze conseguenti alla formulazione di una proposta concorrente, pare decisamente improbabile l’esercizio del potere a mero scopo di difesa da pregiudizi patrimoniali, scongiurabili in maniera più agevole ed individualmente tramite l’opposizione all’omologazione (infra, § 6).
[69] 
In termini simili, M. Fabiani, Aumento di capitale e offerte concorrenti nel concordato preventivo, in Fall., 2018, 1383, quando sottolinea che la contendibilità del controllo societario tramite la predisposizione di una o più proposte concorrenti si risolve nella contendibilità del surplus suscettibile di un’allocazione svincolata da criteri predeterminati.
[70] 
Per lo studio delle proposte dei soci e, soprattutto, il riconoscimento dell’esonero dai limiti di tempo e contenuto imposti dall’art. 240, comma 1, CCII, P.P. Ferraro, La proposta di concordato del socio nella liquidazione concorsuale della società, in Dir. fall., 2021, I, 543 ss. e 545.
[71] 
Nonostante il concordato minore sottoponga i soci a regole spesso analoghe a quelle del concordato preventivo - a titolo d’esempio, per l’applicazione dei limiti previsti dall’art. 120 quater, comma 1, CCII (§ 10) -, la formulazione di loro proposte concorrenti tende ad essere esclusa dall’indirizzo prevalente: A. Crivelli, Concordato minore e concordato preventivo, in Dirittodellacrisi.it, 8; M. Aiello, Le proposte concorrenti nel codice della crisi: fattispecie e disciplina, cit., 169.
[72] 
Con riguardo a tale soglia pare da condividere l’opinione espressa da C.F. Giuliani-G.M. Miceli, Proposte concorrenti dei soci e dei creditori nel concordato preventivo, in Nuovo dir. soc., 2023, 1828, che con specifico riferimento alle società a responsabilità limitata negano la derogabilità del limite stabilito dall’art. 120 bis, comma 5, CCII ed escludono l’attribuzione per opera dello statuto del diritto particolare di formulare proposte concorrenti di concordato a prescindere da tale limite.
[73] 
Contro l’idoneità del regime delle proposte concorrenti alla tutela dell’interesse dei soci, F. Guerrera, L’espansione della regola di competenza esclusiva degli amministratori nel diritto societario della crisi fra dogmatismo del legislatore e criticità operative, in Riv. soc., 2022, 1279, che sottolinea però non tanto i problemi conseguenti alla legittimazione ristretta in base alla misura del capitale sottoscritto, quanto «la scarsa significatività della soglia prevista».
[74] 
L’omesso classamento dei soci può precludere l’ammissione del piano soggetto ad omologazione in base all’art. 64-bis, comma 4, lett. a, CCII ed è soggetto al controllo d’ufficio previsto dall’art. 241, ult. comma, CCII prima della comunicazione ai creditori della proposta di concordato nella liquidazione giudiziale. Questioni più complesse si pongono per il concordato minore e quello preventivo: nella formulazione originaria del codice della crisi, l’erronea formazione delle classi pare rispettivamente irrilevante e preclusiva della sola omologazione; unicamente per le proposte concorrenti l’art. 90, comma 7, CCII stabilisce l’inammissibilità per erronea formazione delle classi. Una diversa soluzione è consentita dall’ultimo decreto correttivo: la nuova formulazione dell’art. 47, comma 1, CCII prevede la verifica giudiziale sulla corretta formulazione delle classi. La soluzione pare testimoniare la sussistenza di un principio generale e potersi perciò riferire anche all’apertura del concordato minore, nonostante lo stesso correttivo elimini dall’art. 76, comma 2, lett. g, CCII la necessità di un’analisi dell’OCC sui criteri di formazione delle classi. Sui dubbi che investono l’ammissibilità del classamento dei soci in relazione ad alcuni tra gli strumenti appena richiamati, nt. 76.
[75] 
F. Viola, Accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza e revoca degli amministratori di società in house, in Dir. fall., 2024, II, 387.
[76] 
Benché sia riferito alla categoria degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, il classamento è sicuramente praticabile nell’ambito di quelli che consentono l’approvazione sulla base del solo voto per classi: il piano di ristrutturazione (art. 64 bis, comma 8, CCII) e il concordato preventivo con continuità aziendale (art. 112, commi 1 e 2, CCII). Con qualche perplessità, il classamento può essere ipotizzato in quelli che richiedono l’approvazione anche dalla maggioranza dei creditori: concordato minore (art. 79, comma 1, CCII, salvo il ricorso alla ristrutturazione trasversale ai sensi dell’art. 78, comma 2 bis, lett. b, CCII); concordato preventivo liquidatorio (art. 109, comma 1, CCII); concordato nella liquidazione giudiziale (art. 244, comma 1, CCII). Per il classamento dei soci solamente rispetto ai primi due strumenti, M. Fabiani, Un affresco sulle nuove ‘milestones’ del concordato preventivo, in Dirittodellacrisi.it, 50; F. Guerrera-M. Maltoni, La decisione degli amministratori sull’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società (art. 120-bis ccii), Studio n. 42-2023/I del Consiglio nazionale del Notariato, 3; G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, cit., 199.
[77] 
Negli stessi termini, M. Fabiani, Un affresco sulle nuove ‘milestones’ del concordato preventivo, cit., 51.
[78] 
Sull’articolato meccanismo di selezione della soluzione preferita dai creditori, M. Aiello, Le proposte concorrenti nel codice della crisi: fattispecie e disciplina, cit., 207 ss.
[79] 
Di altra opinione, con riguardo alla procedura concordataria, D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 821-822; Trib. Vicenza, 28 settembre 2023, in Dirittodellacrisi.it, nel riferire alle sole classi di creditori il requisito dell’unanimità per l’omologazione del concordato senza il ricorso alla ristrutturazione trasversale, con un’ulteriore restrizione della rilevanza del voto dei soci.
[80] 
Un altro risvolto del voto espresso dai soci è segnalato da D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 821; F. Iozzo, Sub art. 120 ter, in Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa e insolvenza, a cura di A. Maffei Alberti, 7° ed., Cedam, Padova, 2023, 890, nel sottolineare che la contrarietà della loro classe al piano influisce sull’omologazione tramite ristrutturazione trasversale del concordato unicamente per il conseguimento del voto favorevole dalla maggioranza delle classi, e quindi in base al primo tra i due presupposti indicati dall’art. 112, comma 2, lett. d, CCII Una simile impostazione presuppone l’adesione all’orientamento prevalente, che dalla disposizione appena richiamata fa dipendere l’esigenza del consenso maggioritario delle classi solo in mancanza dell’approvazione da parte di quella “maltrattata” (nt. 218). A quest’ultimo orientamento aderisce anche Trib. Milano, 2 maggio 2024, cit., nel precisare però che «in nessun modo la classe dei soci può incidere sull’omologazione ai sensi dell’art. 112 comma 2 CCII, essendo riservato tale diritto unicamente ai creditori».
[81] 
La formula impiegata dall’art. 120 ter, comma 2, CCII assume un significato più ampio rispetto all’art. 2437, comma 1, lett. g, c.c.: riguarda la mera incidenza e non solo la modificazione dei diritti dei soci; sembra comprendere tra quelli partecipativi anche i diritti di voto, poiché non collocati in una categoria a parte dalla previsione codicistica. Sulla base di queste premesse, è da condividere l’opinione di G. Ferri jr., Concordato preventivo e modificazioni statutarie, in AGE, 2023, 177, favorevole all’inclusione tra le «modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci» sia di quelle che alterano il «contenuto normativo» sia di quelle che alterano il «peso organizzativo» delle partecipazioni dei soci anteriori; a titolo d’esempio, per la programmazione di modifiche ai diritti di voto oppure dell’aumento di capitale senza diritto d’opzione. In prospettiva analoga, D.U. Santosuosso, Il principio di correttezza nel diritto societario della crisi (abuso o eccesso di potere nel procedimento di ristrutturazione). Doveri degli amministratori e posizione dei soci, cit., 259 P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, cit., 24, quando propone di «intendere il riferimento ai diritti di partecipazione come sintagma onnicomprensivo e dunque inclusivo anche delle modifiche ai diritti di voto che viceversa l’art. 2437, comma 1, lett. g), tiene separati». Per l’interpretazione della medesima formula impiegata dall’art. 120 ter, comma 2, CCII nel contesto dell’art. 2437, comma 1, lett. g, c.c., P. Piscitello, Sub art. 2437, in Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, diretto da P. Abbadessa-G.B. Portale, a cura di M. Campobasso-V. Carriello-U. Tombari, Giuffrè, Milano, 2016, 2502; S. Addamo, Diritto di recesso e modifica dei diritti di voto o di partecipazione, Giuffrè, Milano, 2022, 32 ss.
[82] 
Per osservazioni coerenti alla soluzione appena proposta, M. Miola, Le operazioni societarie riorganizzative negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle imprese e dei gruppi di imprese, in Trattato delle società, diretto da V. Donativi, I, Utet, Milano, 2022, 638-639.
[83] 
In questa direzione convergono il considerando n. 47 e l’art. 9, § 2. Il primo dichiara che: «ove consentito dal diritto nazionale, i detentori di strumenti di capitale dovrebbero avere diritto di voto in merito all’adozione del piano di ristrutturazione»; «gli Stati membri dovrebbero poter prevedere eccezioni limitate a tale regola»; «le parti che non sono interessate dal piano di ristrutturazione non dovrebbero avere diritto di voto sul piano, né dovrebbe essere richiesto il loro sostegno per l’approvazione del piano». Il secondo prevede che: «gli Stati membri provvedono affinché le parti interessate abbiano diritto di voto sull’adozione di un piano di ristrutturazione»; «le parti non interessate da un piano di ristrutturazione non hanno diritto di voto sull’adozione del piano». L’impostazione della Direttiva è resa incerta dalle previsioni che permettono di escludere il classamento e il voto dei soci: considerando n. 57 ed art. 9, § 3, lett. a. Tuttavia, queste sembrano consentire l’esclusione a priori dei soci dal voto, non la discriminazione tra strumenti capaci di determinare le medesime conseguenze, talvolta con e talvolta senza il classamento obbligatorio dei soci.
[84] 
In base al considerando n. 64 «gli effetti vincolanti del piano di ristrutturazione dovrebbero essere limitati alle parti interessate che sono state coinvolte nell’adozione del piano». Nella stessa prospettiva, per regolare proprio l’efficacia del piano, l’art. 15 della stessa Direttiva Insolvency. A partire da queste previsioni P.P. Ferraro, Il governo delle società in liquidazione concorsuale, cit., 141, desume che «se i soci sono stati tenuti fuori dal piano di ristrutturazione [per via della negazione del diritto di voto], non [...] produce effetti nei loro confronti il contenuto dispositivo del piano».
[85] 
La conclusione pare condivisa da D.U. Santosuosso, Il principio di correttezza nel diritto societario della crisi (abuso o eccesso di potere nel procedimento di ristrutturazione). Doveri degli amministratori e posizione dei soci, cit., 256; A. Nigro, La distinzione tra parti “interessate” e parti “non interessate” nella direttiva UE 2019/1023 e nella normativa italiana di recepimento, in Dir. banca merc. fin., 2024, I, 168 (nota 17). In altra direzione, con riguardo all’impostazione della Direttiva, G. Ferri jr., Il ruolo dei soci nella ristrutturazione finanziaria dell’impresa alla luce di una recente proposta di direttiva europea, cit., 544.
[86] 
Sulla maggiore ampiezza di tali previsioni, poiché apparentemente capaci di prescindere dal classamento dei soci e di incidere comunque sui loro diritti partecipativi, F. Guerrera-M. Maltoni, La decisione degli amministratori sull’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società (art. 120-bis ccii), cit., 3.
[87] 
La soluzione adottata dal legislatore interno pare pienamente conforme all’impostazione della Direttiva Insolvency (nt. 83 e 84) e coerente all’impianto dello stesso codice della crisi. Ciononostante, come si prova a dimostrare nel testo, il classamento offre una giustificazione più teorica che pratica all’efficacia del piano omologato nei confronti dei soci. La reazione contro iniziative sgradite pare rappresentata piuttosto dalla legittimazione alla formulazione di proposte concorrenti oppure all’opposizione all’omologazione. Di conseguenza, non è da escludere la maggiore ragionevolezza di un regime differente: tanto di quello che, comprimendo ulteriormente l’efficacia nei confronti dei soci, consentisse la produzione di effetti nei loro confronti solo tramite gli strumenti tali da consentire loro iniziative concorrenti; quanto di quella che, dilatando invece tale efficacia, finisse per tollerare la realizzazione di simili effetti tramite tutti gli strumenti che consentono l’opposizione dei soci. Almeno in una prospettiva de jure condendo, entrambe le soluzioni sembrano ammissibili in base alla Direttiva Insolvency, dal momento che gli artt. 9, § 3, lett. a), e 12, § 1, permettono di evitare l’ostruzionismo irragionevole anche senza l’attribuzione del voto ai soci.
[88] 
Per l’inclusione della riduzione del capitale tra le modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione ed impongono il classamento, anche M. Perrino, “Relative priority rule” e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità, cit., 36; G. Ferri jr., Concordato preventivo e modificazioni statutarie, cit., 177; D.U. Santosuosso, Il principio di correttezza nel diritto societario della crisi (abuso o eccesso di potere nel procedimento di ristrutturazione). Doveri degli amministratori e posizione dei soci, cit., 259; M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, cit., 612.
[89] 
Con riguardo a tali soluzioni e alla loro configurazione al servizio dei piani predisposti contro la crisi societaria, nt. 41.
[90] 
Una simile clausola non incide su un diritto partecipativo dei soci, dal momento che interessa una posizione patrimoniale meramente consequenziale alla partecipazione alla società. Soprattutto, la clausola negativa dell’estensione non modifica ma conferma la previgente responsabilità.
[91] 
All’opposizione si aggiunge il reclamo contro il provvedimento già pronunciato, suscettibile o di negare l’efficacia dell’omologazione oppure di procurare al socio reclamante la tutela risarcitoria contemplata dall’art. 53, comma 5 bis, CCII Per l’applicazione di questa previsione nei confronti dei soci e non solamente dei creditori, P.M. Sanfilippo, L'accesso delle società agli strumenti di regolazione. Note minime a margine dell'art. 120-bis del Codice della crisi, in Dir. fall., 2023, I, 501-502; L.A. Bottai-A. Pezzano-M. Ratti-M. Spadaro, Il concordato con attribuzione ai soci: criticità e prospettive del nuovo art. 120 quater CCII, in Dirittodellacrisi.it, 7; P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, cit., 4.
[92] 
Contro l’opposizione dei soci all’omologazione si esprimono la dottrina meno recente e la giurisprudenza: A. Bonsignori, Sub art. 180, in Commentario Scialoja-Branca alla legge fallimentare, Zanichelli-Soc. ed. Foro it., Bologna-Roma, 1979, 401; A. Maisano, Il concordato preventivo delle società, cit., 140; G. Lo Cascio, Legittimazione dell’azionista ad opporsi all’omologazione del concordato preventivo di società, in Giust. civ., 1995, I, 2052 ss.; S. Monti, La crisi e l’insolvenza dei e nei gruppi di imprese, in Il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, a cura di S. Sanzo-D. Burroni, Zanichelli, Bologna, 2019, 325; L. Stanghellini, Verso uno statuto dei diritti dei soci di società in crisi, cit., 318-319; Cass. civ., Sez. I, 5 maggio 1995, n. 4919, in Giust. civ., 1995, I, 2043, con nota di G. Lo Cascio, Legittimazione dell’azionista ad opporsi all’omologazione del concordato preventivo di società, che insiste sulla necessità di un interesse qualificato e non meramente di fatto rispetto all’omologazione; Cass. civ., Sez. I, 31 ottobre 2016, n. 22045, in Fall., 2017, 15, con nota di M. Spiotta, Proposta di concordato fallimentare con pagamento dilazionato e diritto di voto dei creditori privilegiati; Trib. Catania, 16 febbraio 1983, in Dir. fall., 1983, II, 1010, nel chiarire che «non è la qualità di socio [...] il punto di riferimento giuridico della legittimazione degli opponenti»; Trib. Bologna, 17 novembre 2011, in Ilcaso.it. In altra direzione, R. Provinciali-G. Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, Cedam, Padova, 1988, 836; G. D’Attorre, I concordati “ostili”, Giuffrè, Milano, 2012, 105 e 260; D. Plenteda, Questioni varie in tema di ammissione ed omologazione del concordato preventivo, in Fall., 1989, 66; G. Ferri jr., La struttura finanziaria della società in crisi, in RDS, 2012, 488; A. Blandini-O. De Cicco-E. Locascio Aliberti, Socio e società nella società per azioni (in crisi): dal diritto di opzione al bail-in (con notazioni sulle ragioni di Mazzarò), in RDS, 2016, 767-768; L. Benedetti, La posizione dei soci nel risanamento della società in crisi: dal potere di veto al dovere di sacrificarsi (o di sopportare) (Aufopferungs– o Duldungspflicht)?, cit., 776; M. Aiello, La competitività nel concordato preventivo. Le proposte e le offerte concorrenti, Giappichelli, Torino, 2019, 106-107; I. Donati, Le ricapitalizzazioni forzose, cit., 336-337; M. Miola, Le operazioni societarie riorganizzative negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle imprese e dei gruppi di imprese, cit., 668; P.P. Ferraro, Il governo delle società in liquidazione concorsuale, cit., 185-186; M. Maugeri, Partecipazione sociale e valore dell’impresa in crisi, in Osservatorio dir. civ. comm., 2021, 17 ss.; Cass. civ., Sez. I, 24 ottobre 2022, n. 31402, in Fall., 2023, 34, con nota di M. Spiotta, L’interesse del socio ad opporsi all’omologa del concordato fallimentare (rectius nella liquidazione giudiziale): tra legge fallimentare e Codice della crisi; Trib. Roma, 19 aprile 1988, in Fall., 1989, 63, con nota di D. Plenteda, Questioni varie in tema di ammissione ed omologazione del concordato preventivo. Ad ogni modo, anche l’orientamento favorevole all’opposizione tende talvolta ad escludere contestazioni dirette a denunciare la dannosità del piano, secondo la prospettiva espressa da R. Sacchi, Le operazioni straordinarie nel concordato preventivo, cit., 782; Id., Sul così detto diritto societario della crisi: una categoria concettuale inutile o dannosa?, in Nuove leggi civ. comm., 2018, 1303.
[93] 
Non pare configurarsi una disparità ingiustificata rispetto al trattamento dei creditori. Anzitutto, il voto dei soci è meramente eventuale in base all’art. 120 ter, commi 1 e 2, CCII: possibile nell’ambito di alcuni istituti (§ 5) e comunque facoltativo qualora il piano non incida su un loro diritto partecipativo né la società faccia appello al mercato dei capitali. In secondo luogo, qualora siano inclusi in una o più classi, i soci sono soggetti al meccanismo del silenzio-assenso previsto dall’art. 120 ter, comma 3, sicché il computo tra i favorevoli potrebbe non dipendere da una manifestazione esplicita di consenso. 
[94] 
Per un’applicazione circoscritta ai concordati sembrano orientarsi A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in Soc., 2022, 952; F. Guerrera-M. Maltoni, La decisione degli amministratori sull’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società (art. 120-bis ccii), cit., 3, che richiamano per la verità solamente quello preventivo.
[95] 
La rilevanza di entrambe le specie di concordato preventivo è espressamente dichiarata da M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, cit., 167 (nota 2).
[96] 
A favore dell’opposizione dei soci all’omologazione del concordato nella liquidazione giudiziale, M. Spiotta, L’interesse del socio ad opporsi all’omologa del concordato fallimentare (rectius nella liquidazione giudiziale): tra legge fallimentare e Codice della crisi, in Fall., 2023, 40. 
[97] 
La soluzione affermativa presuppone l’inclusione del concordato semplificato tra gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza a cui sono direttamente applicabili gli artt. 120 bis ss. CCII, secondo l’impostazione difesa già da M. Spadaro, Il concordato delle società, cit., 124.
[98] 
La rilevanza dell’efficacia nei confronti dei terzi per la costruzione di una categoria unitaria è sottolineata da L. Salamone, Operazioni straordinarie e crisi, cit., 643.
[99] 
L’opposizione all’omologazione del piano da parte dei soci è esplicitamente ammessa da L. Panzani, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Crisi e insolvenza nel nuovo Codice. Commento tematico ai dd.lgs. nn. 14/2019 e 83/2022, a cura di S. Ambrosini, Zanichelli, Bologna, 2022, 730; L. Salamone, Operazioni straordinarie e crisi, cit., 652; G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, cit., 202. 
[100] 
Di conseguenza, l’opposizione dei soci sembra da escludere nel contesto dei soli istituti che, come il piano attestato di risanamento e la convenzione di moratoria, prescindono dalla pronuncia di un provvedimento di omologazione.
[101] 
Un cenno in questa direzione si trova nel documento Assonime, Guida al codice della crisi, 14 dicembre 2022, 18, disponibile in Dirittodellacrisi.it, laddove si afferma che «la regola della suddivisione in classi consente […] al socio dissenziente di proporre opposizione al piano invocando la non convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria». Contro la sussistenza di un legame indefettibile tra classamento e legittimazione all’opposizione, in linea con le osservazioni svolte nel testo, D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 822.
[102] 
Ciononostante, un’indicazione almeno in parte contraddittoria rispetto a quella appena ipotizzata dipende dall’inserimento dell’intera sezione nel capo dedicato alla disciplina del solo concordato preventivo.
[103] 
In termini omogenei, G.A.M. Trimarchi, La ricapitalizzazione delle società ed il contrasto alla crisi nel contesto degli strumenti di regolazione della crisi (e dell'insolvenza). Verso l'emersione di un nuovo diritto sostanziale della crisi e dell'insolvenza, cit., 287.
[104] 
Peraltro, mentre una difesa quanto meno indiretta verso il concordato pregiudizievole può dipendere dalla formulazione di proposte concorrenti oppure dall’espressione del voto contrario, negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza che non consentono l’iniziativa né il classamento dei soci si avverte un bisogno di protezione rafforzato proprio dalla loro costante estraneità tanto alla predisposizione quanto all’approvazione della soluzione negoziale. 
[105] 
Si esprime per il diritto sia dei soci sia dei creditori alla contestazione dei piani pregiudizievoli il considerando n. 49 della Direttiva Insolvency. In termini generali, con riguardo alla tendenziale assimilazione dei soci ai creditori da parte dello stesso codice della crisi, A. Nigro, La distinzione tra parti “interessate” e parti “non interessate” nella direttiva UE 2019/1023 e nella normativa italiana di recepimento, cit., 167.
[106] 
Nt. 92.
[107] 
Nt. 64. 
[108] 
La soluzione è preannunciata dalla letteratura anteriore al codice della crisi. Per la distinzione tra la resistenza ragionevole e quella irragionevole a seconda della previsione di conseguenze pregiudizievoli per i soci, A. Blandini-O. De Cicco-E. Locascio Aliberti, Socio e società nella società per azioni (in crisi): dal diritto di opzione al bail-in (con notazioni sulle ragioni di Mazzarò), cit., 774; M. Fabiani, La proposta ostile con aumento di capitale esterno nel concordato preventivo, cit., 246; A. Paciello, Crisi dell’impresa, valore della partecipazione sociale e tutela dei soci, cit., 712 ss.
[109] 
L’art. 120 quater, comma 3, CCII non precisa il momento rilevante per l’accertamento del pregiudizio. Pare di poter fare riferimento: per la valutazione del trattamento prevedibile in base al piano, al momento dell’omologazione, richiamato dall’art. 120 quater, comma 2, CCII per la determinazione del valore massimo conseguibile dagli stessi soci; per la valutazione dello scenario alternativo, al momento immediatamente successivo al soddisfacimento dei creditori interessati dalla proposta o dall’accordo da omologare, a partire dal quale l’eventuale supero netto torna disponibile a beneficio dei soci. La sfasatura temporale impone operazioni di riallineamento mediante attualizzazione.
[110] 
Per la rilevanza dei soli scenari coattivi alternativi all’omologazione del piano, G. Guerrieri, Il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83 e l’entrata in vigore del codice della crisi e dell’insolvenza, in Nuove leggi civ. comm., 2023, 30. In linea generale, sulla correlazione tra la concretezza e la coercibilità del termine di confronto, M. Fabiani, La rimodulazione del dogma della responsabilità patrimoniale e la de-concorsualizzazione del concordato preventivo, cit., 9-10; G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in Dirittodellacrisi.it, 13. Per la conclusione opposta, e cioè per la rilevanza anche del risultato prevedibile dalla liquidazione volontaria del patrimonio sociale, M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, cit., 174; G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, cit., 139 ss.
[111] 
Le ricadute operative sono chiarite da numerose pronunce. Possono ricordarsi quelle rese nell’ambito del concordato preventivo con continuità promosso da Atac s.p.a. - Trib. Roma, 21 marzo 2018, in dejure.it; Trib. Roma, 27 luglio 2018, in dejure.it -, convergenti verso la rilevanza della continuità liquidatoria, configurata come l’alternativa più verosimile e idonea ad evitare un’artificiosa depressione del valore realizzabile. Per indicazioni coerenti, M. Fabiani, La rimodulazione del dogma della responsabilità patrimoniale e la de-concorsualizzazione del concordato preventivo, cit., 10; G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, cit., 186 ss.; S. Leuzzi, L’omologazione del concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 26-27; App. Venezia, 19 luglio 2019, in fallimenti&societa.it
[112] 
Pare esprimersi in questi termini anche A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 953. Nella medesima prospettiva, benché con riguardo alla determinazione ad altri fini del c.d. valore di liquidazione, A. Turchi, Il valore di liquidazione alla luce delle prime pronunce di merito, cit., 11 ss.; A. Zuliani, Continuità diretta e continuità indiretta: presupposti, regole, criticità, in Dirittodellacrisi.it, 22-23; D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 811; Trib. Ferrara, 18 luglio 2023, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Roma 24 ottobre 2023, in Dirittodellacrisi.it. Presso la letteratura straniera sono R. Mokal-I. Tirado, Has Newton had his day? Relativity and realism in European restructuring, in Butterworths Journal of International Banking and Financial Law, 2019, 233-234, a segnalare le distorsioni configurabili ipotizzando la rilevanza di uno scenario - quello della mera liquidazione - irrealistico qualora sia prevedibile la prosecuzione dell’esercizio come alternativa all’omologazione del piano; benché formulata con riguardo al trattamento dei creditori, l’osservazione pare da confermare a tutela anche dei soci. 
[113] 
Una volta esclusa la loro responsabilità, la sola conseguenza pregiudizievole per i soci può consistere nella prospettazione di un valore residuo inferiore a quello prevedibile nello scenario alternativo all’omologazione del piano, per via di un programma inefficiente in termini economici. Poiché si tratta dello stesso pregiudizio prospettabile a coloro che rischiano i soli conferimenti, possono valere le considerazioni svolte più avanti in questo stesso §.
[114] 
Almeno qualora sia esclusa l’estensione degli effetti, la prospettazione di un trattamento pregiudizievole per i creditori si traduce in un danno riflesso per i soci-responsabili. È solo apparentemente contraria l’opinione espressa da A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 953, quando dichiara l’irrilevanza del trattamento proposto ai creditori per le opposizioni dei soci, dal momento che l’autore pare considerare unicamente quelli limitatamente responsabili.
[115] 
L’ipotesi più verosimile si configura qualora lo scenario alternativo sia rappresentato dalla liquidazione giudiziale o controllata della società e sussistano i requisiti di meritevolezza stabiliti dall’art. 278, comma 4, CCII, dai quali può prevedersi l’esdebitazione in conseguenza sia della chiusura della procedura in un momento precedente sia del decorso termine previsto dagli artt. 279 CCII e dall’art. 282, comma 1, CCII.
[116] 
La complessità e i costi delle stime richieste dall’art. 120 quater, comma 3, CCII configurano un limite per la prospettazione di una tutela adeguata secondo la ricostruzione svolta da G. Scognamiglio-F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, in Nuovo dir. soc., 2022, 1189-1190. 
[117] 
La rilevanza dell’importo effettivo è confermata dall’esplicita allusione a tale cifra da parte dell’art. 120 quater, comma 2, CCII, nel determinare la partecipazione massima dei soci al valore.
[118] 
La conclusione è in linea con l’impostazione del diritto europeo riguardo al trattamento dei soci disinteressati e all’irrilevanza del loro dissenso. È il considerando n. 57 della Direttiva Insolvency a dichiarare irragionevole a priori l’ostruzionismo dei soci privi di un interesse concreto, quando suggerisce di «non subordina[re] l’adozione del piano di ristrutturazione all’accordo dei detentori di strumenti di capitale che in base a una valutazione dell’impresa non riceverebbero alcun pagamento o altro corrispettivo se fosse applicato il normale grado di priorità della liquidazione». Una simile impostazione è anticipata nella letteratura domestica da G. D’Attorre, I concordati “ostili”, cit., 38; pare infatti da riferire anche alle opposizioni dei soci il rilievo secondo cui «se l’interesse manca, oppure risulti assolutamente marginale rispetto ad una complessiva valutazione comparativa con gli altri interessi coinvolti, l’esercizio del diritto non è legittimo ed incontra dei limiti, variamente individuati in ragione delle peculiari fattispecie e tipologie di diritti».
[119] 
Secondo L. Benedetti, La nuova disciplina del concordato di gruppo: tra Separate entity ed Enterprise approach, Giuffrè, Milano, 2022, 320, l’opposizione all’omologazione si riduce ad «un mero “simulacro formale”, poiché solo in ipotesi del tutto eccezionali i soci saranno in grado di dimostrare la convenienza dell’approdo liquidatorio rispetto a quello concordatario in conseguenza del fatto che il termine di paragone prescritto ex lege (cioè il criterio per la valutazione della partecipazione nello scenario alternativo al concordato contestato) è il Liquidationswert (ossia il valore della partecipazione in caso di liquidazione giudiziale), pari secondo l’id quod plerumque accidit a zero». Considerazioni analoghe sono formulate da A. Santoni, Gli azionisti e i detentori di strumenti di capitale nella proposta di direttiva in materia di crisi d’impresa, in Riv. dir. comm., 2018, I, 363.
[120] 
Per l’individuazione di un «principio di neutralità economica», nella disciplina eurounitaria a protezione degli azionisti di società bancarie in crisi, C.G.U.E., 5 maggio 2022, Causa C-83/20, cit.
[121] 
I. Donati, Le ricapitalizzazioni forzose, cit., 252 ss.; M. Maugeri, Partecipazione sociale e valore dell’impresa in crisi, cit., 16 (nota 34); G.B. Portale, Il codice italiano della crisi d’impresa e dell’insolvenza: tra fratture e modernizzazione del diritto societario, in Riv. soc., 2022, 1156; P. Benazzo, Gli assetti proprietari e la circolazione delle partecipazioni sociali nel prisma del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Riv. soc., 2023, 22; G. Ferri jr., Concordato preventivo e modificazioni statutarie, cit., 182-183. A sostegno della conclusione orientano previsioni come gli artt. 285, ult. comma, e 53, comma 5 bis, CCII, le quali confermano la fungibilità tra prevenzione ed eliminazione del pregiudizio. Alla conferma di tale fungibilità provvede in ambito bancario il considerando n. 50 della Direttiva 2014/59/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 (c.d. BRRD), laddove stabilisce che «per tutelare gli azionisti e creditori che si trovano coinvolti nella procedura di liquidazione dell’ente, è opportuno sancirne il diritto a ricevere, in pagamento o a compensazione dei loro crediti nel quadro di tale procedura, una somma non inferiore a quella che, secondo le stime, avrebbero recuperato se l’ente fosse stato integralmente liquidato con procedura ordinaria di insolvenza». In altra direzione, a partire dalla teorica dei diritti individuali dei soci e però con riferimento al regime della legge fallimentare, P.P. Ferraro, Il governo delle società in liquidazione concorsuale, cit., 204 ss.
[122] 
Sembra confermata la distinzione tra vicende relative alla titolarità oppure al valore delle partecipazioni, impiegata dalla giurisprudenza europea per distinguere l’espropriazione di diritto da quella di fatto (nt. 59). La disciplina in vigore permette di ipotizzare: una espropriazione delle partecipazioni non pregiudizievole per i soci, quale è quella determinata da una riduzione del capitale corrispondente alle perdite configurabili anche senza l’omologazione; un pregiudizio senza espropriazione, pronosticabile se invece l’omologazione riduce il valore presente nel patrimonio dei soci senza diminuire la partecipazione individuale al capitale. A dispetto di tale distinzione, la sussistenza di un pregiudizio indipendente dalla riduzione del capitale pare riconducibile a scenari per lo più teorici e all’ipotesi del piano tanto inefficiente da conseguire risultati inferiori a quelli prevedibili dall’alternativa concretamente praticabile.
[123] 
Per l’ammissibilità di simili contestazioni dei soci, A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, cit., 10 e 13; D. Galletti, Regolazioni concordatarie di gruppo e tutele giurisdizionali, in Fall., 2022, 1501; M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, cit., 183; L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit., 58 (nota 90); C. Scribano, Sub art. 120 quater, in Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa e insolvenza, a cura di A. Maffei Alberti, 7° ed., Cedam, Padova, 2023, 893. Un’impostazione differente è proposta da C. Esposito, Il ridimensionamento delle prerogative e le responsabilità dei soci nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, cit., 395, incline a condizionare le opposizioni relative alla legittimità del piano e alla regolarità della procedura alla sussistenza di pregiudizi per il socio opponente.
[124] 
In generale, con riguardo alla distinzione tra profili di validità e profili di conflitto nel giudizio di omologazione, I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti: analogie e differenze, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore-A. Bassi, I, Cedam, Padova, 2010, 562-563. 
[125] 
Ancora più sfumato è il discrimine con le opposizioni fondate non sulla previsione di un pregiudizio, ma su una allocazione delle risorse squilibrata a sfavore dei soci, per via dell’attribuzione di ogni vantaggio ai creditori, in urto contro il principio di correttezza secondo la ricostruzione di D.U. Santosuosso, Il principio di correttezza nel diritto societario della crisi (abuso o eccesso di potere nel procedimento di ristrutturazione). Doveri degli amministratori e posizione dei soci, cit., 265.
[126] 
Si esprimono per l’ammissibilità di una simile contestazione A. Santoni, Gli azionisti e i detentori di strumenti di capitale nella proposta di direttiva in materia di crisi d’impresa, cit., 378; I. Donati, Le ricapitalizzazioni forzose, cit., 271; D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, cit., 890; M. Perrino, “Relative priority rule” e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità, cit., 27; S. Leuzzi, L’omologazione del concordato preventivo in continuità, cit., 24; A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 952. Una posizione più radicale è espressa da D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 815, per contestare l’ammissibilità dell’esito ultrasatisfattivo a prescindere sia dal ricorso alla ristrutturazione trasversale sia dalla formulazione di opposizioni.
[127] 
Nel sistema spagnolo è l’art. 656, comma 1, n. 5, TRLC (texto refundido de la Ley Concursal), a consentire l’opposizione dei soci contro l’omologazione del piano idoneo a determinare un esito ultrasatisfattivo per almeno qualche classe di creditori. Simili contestazioni sono permesse anche nel sistema statunitense, a partire dalle norme che regolano la distribuzione del valore; per R.T. Nimmer, Negotiated Bankruptcy Reorganization Plans: Absolute Priority and New Value Contributions, 36 Emory L. J. 1009 (1987), 1060, «while absolute priority requires a termination of ownership if creditors are unpaid, it also precludes creditors from retaining value in excess of their claims, while excluding shareholders from ownership. The shareholders’ leverage here is that if a reorganization plan completely excludes them, they can demand proof that the creditors are not overpaid by taking value from the “owners”».
[128] 
Allo stesso modo, la prospettazione di un’utilità superiore a quella incorporata dal diritto di credito è richiamata nell’art. 11, § 1, lett. d, della Direttiva Insolvency unicamente allo scopo di determinare i presupposti per la ristrutturazione trasversale e non i motivi di opposizione dei soci.
[129] 
B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, cit., 54. 
[130] 
G. D’Attorre, I concordati “ostili”, cit., 87 ss.; N. Rondinone, Il mito della conservazione dell’impresa in crisi e le ragioni della “commercialità”, Giuffrè, Milano, 2012, 339; Cass. civ., Sez. I, 22 marzo 2010, n. 6904, in Foro it., 2010, 2742, con nota di M. Fabiani, Eccessi di protezione degli interessi del fallito e mancata attenzione ai principi della riforma fallimentare; Cass. civ., Sez. I, 29 luglio 2011, n. 16738, in Foro it., 2011, I, 2983, con commento di M. Fabiani; Cass. civ., Sez. VI, 22 febbraio 2012 n. 2674, in Rep. Foro it., 2012, voce Fallimento, n. 549; Cass. civ., Sez. I, 24 ottobre 2022, n. 31402, cit., favorevole all’opposizione degli azionisti contro l’omologazione di un concordato tale da prospettare ai chirografari un soddisfacimento pari al centoundici per cento del valore nominale dei crediti. In linea analoga, nel rifiutare l’omologazione del concordato fallimentare per l’attribuzione all’assuntore - e quindi non ai creditori - di un attivo cinque volte superiore ai debiti da soddisfare, Trib. Napoli, 29 luglio 1987, in Dir. fall., 1990, II, 276, con nota di M. Sandulli, Sul concordato fallimentare con proposta di pagamento integrale dei creditori.
[131] 
Negli stessi termini, G. D’Attorre, I concordati “ostili”, cit., 236: «i creditori hanno un interesse primario ad essere soddisfatti, prescindendo da chi vi provvede (assuntore, debitore o terzo), ma senza superare il limite della funzionalità della espropriazione al soddisfacimento del proprio credito. Il vincolo di destinazione del patrimonio del fallito è posto per garantire il soddisfacimento del credito concorrente, non certo per garantire ai creditori di conseguire un vantaggio ulteriore rispetto al credito vantato».
[132] 
Un nutrito orientamento della dottrina aggiunge il diritto dei soci all’appropriazione del valore netto dell’attivo: A. Santoni, Gli azionisti e i detentori di strumenti di capitale nella proposta di direttiva in materia di crisi d’impresa, cit., 378; A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 952, il quale sottolinea che in seguito al soddisfacimento integrale dei creditori «qualunque valore residuo del patrimonio sociale deve essere destinato ai soci»; M. Perrino, “Relative priority rule” e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità, cit., 27, anch’egli persuaso che la negazione del supero netto ai soci «si risolverebbe in una espropriazione contraria alla tutela costituzionale del diritto di proprietà ed ai principi fondamentali sanciti dalla CEDU». La persuasività di un simile argomento si riduce se si ammette l’esperibilità dell’opposizione dei soci anche contro la prospettazione di un risultato ultrasatisfattivo solamente per alcune classi di creditori, che potrebbe non comportare necessariamente la sottrazione del netto patrimoniale ai soci. In questa direzione orienta il sistema spagnolo (nt. 127), nel consentire l’opposizione a fronte del riconoscimento di un’utilità superiore al valore del credito anche solo ad alcune classi.
[133] 
Diversamente, nel ricondurre l’opposizione motivata dall’esito ultrasatisfattivo nell’alveo dell’art. 120 quater, comma 3, CCII, M. Spiotta, L’interesse del socio ad opporsi all’omologa del concordato fallimentare (rectius nella liquidazione giudiziale): tra legge fallimentare e Codice della crisi, cit., 42. 
[134] 
La contestazione implica la precisa misurazione del valore effettivamente riconosciuto ai creditori dal piano, complicata soprattutto nell’ipotesi del loro soddisfacimento mediante conversione dei crediti in partecipazioni. Allo scopo di superare le difficoltà poste da una simile valutazione D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, cit., 869 ss., promuove l’adozione della relative priority rule statunitense, basata sul riconoscimento ai soci espropriati delle partecipazioni sociali di un’opzione per il successivo riacquisto, mediante pagamento ai creditori di un prezzo pari all’importo del loro credito. Per l’analisi della c.d. US relative priority rule presso la letteratura domestica, anche F. Viola, Rapporti tra creditori e tra soci e creditori nella distribuzione del patrimonio di società in concordato preventivo, tra priorità assoluta e relativa, in Riv. Orizzonti dir. comm., 2020, 877 ss.; G. Ballerini, La distribuzione del (plus)valore ricavabile dal piano di ristrutturazione nella Direttiva (UE) 2019/1023 e l’alternativa fra absolute priority rule e relative priority rule, in Riv. dir. comm., 2021, I, 384.
[135] 
La regola che consente trasferimenti infragruppo sviluppa due principi: quello che predica la disponibilità del valore non conseguibile nello scenario coattivo; quello che impone la corretta gestione delle imprese del gruppo ai sensi dell’art. 2497, comma 1, c.c. Sulla correlazione tra questi principi e la disciplina dei trasferimenti infragruppo prevista dal codice della crisi, R. Santagata, Concordato preventivo “di gruppo” e «teoria dei vantaggi compensativi», in Riv. dir. imp., 2015, 221 ss.; M. Miola, Le operazioni societarie riorganizzative negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle imprese e dei gruppi di imprese, cit., 686. 
[136] 
Tra tali strumenti l’art. 284, commi 1 e 2, CCII include il concordato preventivo, l’accordo di ristrutturazione, l’accordo agevolato e l’accordo a efficacia estesa; la rubrica aggiunge il «piano attestato», che pare da reputare anch’esso sottoposto all’art. 285, ult. comma, CCII per le ragioni di coerenza sistematica esposte da L. Panzani, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, cit., 680-681.
[137] 
Per un cenno alla diversa logica degli artt. 120 quater, comma 3, e 285, ult. comma, CCII, M. Miola, Le operazioni societarie riorganizzative negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle imprese e dei gruppi di imprese, cit., 693.
[138] 
In linea analoga, L. Benedetti, La nuova disciplina del concordato di gruppo: tra Separate entity ed Enterprise approach, cit., 318. Diversamente, nel sostenere la rilevanza dell’alternativa liquidatoria e non del piano emendato dai trasferimenti infragruppo, G. D’Attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fall., 2019, 290.
[139] 
La formulazione dell’art. 285, ult. comma, CCII prospetta qualche incertezza, dal momento che consente ai soci di lamentare «il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale» e però consente l’omologazione se risulta da escludere «la sussistenza del predetto pregiudizio in considerazione dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese dal piano di gruppo». Una parte della dottrina sostiene la necessità di un accertamento riguardante non il risultato prevedibile per ciascun socio opponente, ma quello configurabile per tutte le imprese (anche in forma non societaria) coinvolte dal concordato di gruppo: F. Guerrera, La regolazione negoziale della crisi e dell’insolvenza dei gruppi di imprese nel nuovo CCII, in Dir. fall., 2019, 1322; M. Miola, Le operazioni riorganizzative infragruppo nel codice della crisi di impresa, in Orizzonti dir. comm., 2021, 706-707; M. Maugeri, Partecipazione sociale e valore dell’impresa in crisi, cit., 14. Sulla medesima questione, anche E. Rimini, Concordato preventivo e gruppi di imprese: attività deliberative, cit., 341 ss.; R. Pennisi, Considerazioni sul gruppo di imprese nel nuovo codice della crisi, in Giur. comm., 2024, I, 57 ss.
[140] 
La verifica sul carattere pregiudizievole, e quindi anche sulla sussistenza di eventuali vantaggi compensativi si svolge tramite valutazioni prognostiche, diverse da quelle che l’art. 2497 c.c. richiede per la misurazione di pregiudizi e vantaggi già interamente consumati. Sulla diversa impostazione del codice della crisi e di quello civile con riferimento a tali profili, R. Santagata, Concordato preventivo “di gruppo” e «teoria dei vantaggi compensativi», cit., 245 ss.; G. Scognamiglio, La crisi e l’insolvenza dei gruppi di società: prime considerazioni critiche sulla nuova disciplina, in Orizzonti dir. comm., 2019, 704-705; Ead., I gruppi di imprese nel CCII: fra unità e pluralità, in Soc., 2019, 428; R. Sacchi, Sui trasferimenti di risorse nell’ambito del concordato di gruppo nel CCII, in Nuove leggi civ. comm., 2021, 322; D. Galletti, Regolazioni concordatarie di gruppo e tutele giurisdizionali, cit., 1495; M. Callegari, Riflessioni sulla crisi del gruppo in tema di definizione, direzione unitaria e vantaggi compensativi, in Crisi e insolvenza nel nuovo Codice. Commento tematico ai dd.lgs. nn. 14/2019 e 83/2022, a cura di S. Ambrosini, Zanichelli, Bologna, 2022, 1107; R. Pennisi, Considerazioni sul gruppo di imprese nel nuovo codice della crisi, cit., 56-57; V. Minervini, La direzione unitaria nella crisi di gruppo e i trasferimenti interni nelle operazioni riorganizzative a tutela della continuità aziendale, in Dir. fall., 2024, I, 315 ss.
[141] 
In linea analoga, nel dichiarare il sospetto di un contrasto tra il regime delineato per le opposizioni dei soci dall’art. 285, ult. comma, CCII e la finalità antiostruzionistica dichiarata dall’art. 12, § 1, della Direttiva Insolvency, L. Benedetti, La nuova disciplina del concordato di gruppo: tra Separate entity ed Enterprise approach, cit., 322.
[142] 
L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit., 41, quando per dimostrare il necessario coinvolgimento dell’interesse dei soci in regime di responsabilità limitata osserva come, «anche se in ipotesi la ristrutturazione avesse luogo mediante un dialogo diretto fra gli amministratori e i creditori, senza alcun coinvolgimento dei soci, i soci sarebbero i convitati di pietra, in quanto essi guadagnano esattamente nella misura in cui perdono i creditori: la riduzione del passivo è evidentemente un incremento del patrimonio netto».
[143] 
Per un’impostazione analoga, F. Viola, Rapporti tra creditori e tra soci e creditori nella distribuzione del patrimonio di società in concordato preventivo, tra priorità assoluta e relativa, cit., 879-880.
[144] 
L’art. 64 bis, comma 7, CCII giustifica qualche incertezza rispetto alla conclusione appena proposta, dal momento che impone il riconoscimento del voto ai creditori titolari del privilegio previsto dall’art. 2751 bis, comma 1, n. 1, c.c. se soddisfatti oltre il termine di un mese. Ciononostante, pare chiara la finalità di autorizzazione a una dilazione maggiore, la quale non implica l’ammissibilità di quel pagamento parziale già escluso dal primo comma.
[145] 
L’omologazione è preclusa a prescindere dall’opposizione di uno o più soci. Un simile esito può reputarsi pacifico per l’accordo di ristrutturazione. Sembra da estendere al piano soggetto ad omologazione, in ragione anche della mancata partecipazione dei creditori all’approvazione, esclusa dall’art. 64 bis, comma 7, CCII quanto meno se il loro soddisfacimento è previsto entro trenta giorni dall’omologazione. 
[146] 
In merito alla ratio di tale previsione, A. Audino, Art. 84, in Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa ed insolvenza, a cura di A. Maffei Alberti, 7° ed., Cedam, Padova, 2023, 608, che ricorda la rilevanza costituzionale riconosciuta all’attività lavorativa. Quanto alla sua formulazione, è da segnalare la precisazione aggiunta dal decreto correttivo approvato dal Consiglio dei Ministri il 10 giugno 2024 tramite il riferimento al «valore di liquidazione di cui all’articolo 87, comma 1, lettera c)», e cioè a quello riportato all’interno del piano concordatario. 
[147] 
Pare confermata la sussistenza di un controllo costante, a prescindere da opposizioni all’omologazione, secondo la conclusione già suggerita in precedenza (nt. 145). 
[148] 
Nell’ipotesi dell’accordo di ristrutturazione, oltre alla formulazione di tali dichiarazioni di rinuncia, si può ipotizzare quella di adesione all’accordo.
[149] 
Con riferimento al regime della legge fallimentare, I. Donati, Crisi d’impresa e diritto di proprietà. Dalla responsabilità patrimoniale all’assenza di pregiudizio, in Riv. soc., 2020, 170 ss.; Id., Le ricapitalizzazioni forzose, cit., 187 ss.; L. Stanghellini, I finanziamenti al debitore e le crisi, in Fall., 2021, 1182; L. Sicignano, L’assenza di pregiudizio e il rischio di insuccesso nei piani concordatari, cit., 145. Speculare a tale principio è quello del realizzo minimo del credito, per il quale, S. D’Orsi, Il concordato preventivo parzialmente liquidatorio, in Giur. comm., 2021, I, 346 ss.; M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità concordataria postmoderna, in Fall., 2022, 1491.
[150] 
Per la considerazione del valore disponibile per i soci tramite l’omologazione di accordi a efficacia estesa, G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, cit., 127 e 144 ss., con riferimento sia al regime anteriore sia a quello riformato dall’entrata in vigore del codice della crisi. 
[151] 
Sull’allocazione del valore tra soci e creditori tramite tale istituto, G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, cit., 142 ss. 
[152] 
Per le incertezze circa la rilevanza automatica in sede di apertura del concordato o invece condizionata all’opposizione dei creditori danneggiati all’omologazione, G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, cit., 129 ss.
[153] 
Conclusioni diverse rispetto a quelle formulate nel testo sono esposte da G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, cit., 147 ss., la quale muove dal richiamo all’ordine delle cause di prelazione formulato dall’art. 240, comma 4, CCII per dimostrare la sottoposizione dell’intero attivo concordatario alla distribuzione secondo il criterio della priorità assoluta. È la stessa autrice a segnalare l’incoerenza della soluzione rispetto al sistema articolato dal codice della crisi (pp. 194-195). In effetti, la conclusione sembra esporre il fianco a due critiche. Una prima, riportata già dall’autrice (pp. 327 ss.), dipende dall’ammissibilità di classamento e differenziazione del trattamento per i creditori del medesimo grado, prevista dall’art. 240, comma 2, lett. a e b, CCII ed incoerente alla rigorosa attuazione dell’ordine indicato dalle cause legittime di prelazione sull’intero valore dell’attivo. Una seconda pare dipendere dall’inclusione del richiamo ai diritti di prelazione nella parte finale dell’art. 240, comma 4, CCII, e quindi in una disposizione diretta a regolare l’impiego non di tutto l’attivo, ma solamente della frazione da destinare ai privilegiati, la quale parrebbe diretta unicamente a ribadire la degradazione al rango chirografario della sola porzione del credito non “coperta” da un privilegio effettivo sul patrimonio in garanzia.
[154] 
La funzione del principio generale è coerente a quella della stessa omologazione: mentre il provvedimento consente di imporre la soluzione ai non consenzienti, il procedimento tende ad evitare conseguenze pregiudizievoli nei loro confronti. Per considerazioni analoghe, M. Fabiani, Causa del concordato preventivo e oggetto dell’omologazione, cit., 591.
[155] 
A meno di ipotizzare disparità difficilmente spiegabili, non pare decisiva la diversa formulazione delle disposizioni che richiamano apertamente lo scenario dell’esecuzione in forma coattiva e spesso concorsuale (art. 61, comma 1, lett. d, per gli accordi ad efficacia estesa; art. 63, comma 1, ed art. 88, comma 2, per la transazione su crediti fiscali e contributivi; art. 64 bis, comma 8, per il piano soggetto ad omologazione; art. 84, comma 1, 87, commi 2 e 3, ed art. 112, commi 3 e 5, per il concordato preventivo) o invece una generica liquidazione del patrimonio in garanzia (art. 63, comma 2 bis, ed art. 88, comma 2 bis, per la transazione su crediti fiscali e contributivi; art. 84, comma 5, nell’ambito del concordato preventivo; art. 75, comma 2, art. 76, comma 2, lett. d ed art. 80, comma 3, per quello minore), dal momento che lo scenario alternativo al piano pare poter essere unicamente quello coattivo concretamente praticabile. Una conferma si ricava dall’art. 245, comma 5, CCII, che per regolare l’omologazione del concordato nella liquidazione giudiziale fa riferimento in maniera generica «alle alternative concretamente praticabili», da identificare necessariamente con la prosecuzione della procedura di insolvenza già pendente, come viene definitivamente chiarito dalla riformulazione prevista dal decreto correttivo approvato lo scorso 10 giugno. Per la necessaria concretezza e coercibilità dello scenario alternativo, già affermate per la tutela dei soci tramite l’opposizione, nt. 110. 
[156] 
In merito alla rilevanza anche del patrimonio dei soci illimitatamente responsabili, A. Turchi, Il valore di liquidazione alla luce delle prime pronunce di merito, cit., 9-10. 
[157] 
Sul diverso trattamento del valore di liquidazione rispetto al surplus, I. Donati, Crisi d’impresa e diritto di proprietà. Dalla responsabilità patrimoniale all’assenza di pregiudizio, cit., 175; A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, cit., 10; G.P. Macagno, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, in Dirittodellacrisi.it, 8; M. Miola, Le operazioni societarie riorganizzative negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle imprese e dei gruppi di imprese, cit., 662 ss.; L. Panzani, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, cit., 686; G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), cit., 8 ss.; L. Tronci, Il “surplus” concordatario: profili valutativi, in Nuovo dir. soc., 2023, 667; Trib. Milano, 8 novembre 2016, in Ilcaso.it; Trib. Verona, 21 luglio 2023, cit. 
[158] 
Al controllo giudiziale si aggiunge di regola uno scrutinio tecnico di natura preventiva, affidato nell’accordo a efficacia estesa e nel concordato preventivo all’attestatore (rispettivamente, art. 57, comma 3, richiamato con inevitabili adattamenti dal successivo art. 61, comma 1; art. 87, comma 3, CCII), nel concordato minore all’OCC (art. 76, comma 2, lett. d, CCII). Una verifica analoga è prevista per il cram down fiscale, con la dichiarazione dell’attestatore o dell’OCC sulla convenienza dell’accordo o del concordato (art. 63, comma 1, art. 80, comma 3, ed art. 88, comma 2, CCII); nonostante l’art. 88, comma 2, CCII dimostri la divergenza tra il trattamento conveniente e quello non pregiudizievole, i due concetti si presentano estremamente ravvicinati e quasi assimilabili nel contesto della crisi societaria, tanto che già l’art. 88, comma 2 bis, CCII associa i medesimi effetti alla convenienza e alla mancanza di pregiudizio. Nessun controllo preventivo è invece previsto per il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. La soluzione è allineata al contenuto dell’art. 64 bis, comma 1, CCII, il quale ammette la distribuzione del «valore generato dal piano anche in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile», in modo da giustificare lo scrutinio sull’assenza di pregiudizio esclusivamente da parte del tribunale e in seguito all’opposizione formulata da uno o più creditori ai sensi dello stesso art. 64 bis, comma 8, CCII.
[159] 
Il controllo giudiziale si svolge a prescindere dall’opposizione nel concordato semplificato (art. 25 sexies, comma 5, CCII), nonché per l’imposizione tramite cram down della falcidia agli enti titolari di crediti fiscali e contributivi (art. 63, comma 2 bis; art. 80, comma 3; art. 88, comma 2 bis, CCII). Sono comunque previste verifiche ulteriori rispetto a quella del tribunale. Anzitutto, quella affidata al professionista incaricato dell’attestazione (nt. precedente). Inoltre, il controllo d’ufficio previsto dall’art. 112, comma 2, lett. a, CCII per l’omologazione tramite ristrutturazione trasversale del concordato con continuità; come chiarisce la riformulazione disposta dall’ultimo decreto correttivo, diversamente dallo scrutinio conseguente alla formulazione di opposizioni dei creditori fondate sulla dannosità del piano (ai sensi del comma successivo della stessa disposizione), quello previsto nell’ambito della ristrutturazione trasversale investe il rispetto delle regole di priorità sull’attivo pronosticato dal piano, senza una verifica sulla correttezza di tale previsione e quindi sull’effettiva mancanza di pregiudizio ai creditori. In assenza di opposizioni, nessun controllo è invece previsto per l’omologazione del piano ai sensi dell’art. 64 bis CCII e del concordato nella liquidazione giudiziale. 
[160] 
Nonostante la mancata opposizione possa suggerire l’accettazione tacita, la posizione prevalente in letteratura rifiuta l’assimilazione dell’inerzia alla dichiarazione del consenso: G. Bavetta, Liquidazione coatta amministrativa, Giuffrè, Milano, 1974, 265; S. Serafini, Nuove questioni in tema di concordato nella liquidazione coatta amministrativa, in Riv. dir. comm., 2006, II, 87-88; F. Fimmanò, Il concordato straordinario, in Giur. comm., 2008, I, 980; G. Meo, Il risanamento finanziato dai creditori. Lettura dell’amministrazione straordinaria, Giuffrè, Milano, 2013, 92; Trib. Varese, 4 aprile 2006, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 448, con nota di F. Tomasso, Il concordato nella liquidazione coatta amministrativa tra interessi privati e interesse pubblico. Su altre posizioni, A. Arena, Spunti sul concordato delle aziende di credito e sulla concessione dei benefici di legge, in Banca, borsa, tit. cred., 1940, I, 216; F. Tomasso, Il concordato nella liquidazione coatta amministrativa tra interessi privati e interesse pubblico, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 453; Trib. Milano, 6 dicembre 1954, in Riv. dir. comm., 1955, II, 117, con nota di A. De Martini, Singolari aspetti del concordato di società in liquidazione coattiva
[161] 
Per i principi civilistici in tema di responsabilità e garanzia patrimoniale, E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni. Struttura dei rapporti di obbligazione, II, Giuffrè, Milano, 1953, 141, al quale risale la constatazione che «solo in quanto il valore economico di tutti i crediti raggiunga o superi il valore della totalità del patrimonio stesso, il patrimonio diviene nella sua totalità garanzia attuale delle obbligazioni contratte» (corsivi dell’autore). Per quelli in materia societaria, tra gli altri, L. Stanghellini, Proprietà e controllo dell’impresa in crisi, in Riv. soc., 2004, 1048 ss.
[162] 
Sul principio dell’assenza di pregiudizio nel regime del concordato semplificato, G. D’Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in Fall., 2021, 1618; M. Campobasso, Il concordato liquidatorio semplificato: ma perché il concordato preventivo non trova pace?, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 123 ss.; S. Leuzzi, Analisi differenziale fra concordati: concordato semplificato vs ordinario, in Dirittodellacrisi.it, 16-17; Id., Il concordato semplificato nel prisma delle prime applicazioni, in Dirittodellacrisi.it, 23 ss.; Trib. Treviso, 3 ottobre 2023, in Dirittodellacrisi.it.
[163] 
L’art. 25 sexies, comma 5, CCII aggiunge che l’omologazione è consentita solamente se il concordato «assicura un’utilità a ciascun creditore»; in ipotesi, anche a quelli postergati spesso presenti in ambito societario e identificabili con i soci stessi. Ad attenuare la rilevanza di un simile requisito è la considerazione di utilità non solamente pecuniarie, riconosciuta da G. Bozza, Il concordato semplificato introdotto dal D.L. n. 118 del 2021, in Dirittodellacrisi.it, 34; Trib. Treviso, 3 ottobre 2023, cit., incline ad ammettere la rilevanza anche di «vantaggi non direttamente computabili in termini economici».
[164] 
L’aggiunta del riferimento alla procedura di sovraindebitamento risale al decreto correttivo approvato in data 10 giugno 2024 dal Consiglio dei Ministri.
[165] 
G. D’Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, cit., 1611, il quale fa dipendere la liquidazione necessariamente integrale del patrimonio attuale dalla natura coattiva del concordato; S. Leuzzi, Analisi differenziale fra concordati: concordato semplificato vs ordinario, cit., 3; Id., Il concordato semplificato nel prisma delle prime applicazioni, cit., 8 ss.; L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit., 42; D. Scano, Le azioni di responsabilità nel concordato preventivo, cit., 306-307. Con un’impostazione solo in parte divergente, A. Rossi, Le condizioni di ammissibilità del concordato semplificato, in Fall., 2022, 750-751, quando condiziona la conservazione di beni nel patrimonio del debitore al versamento di risorse esterne per un importo almeno corrispondente al loro valore.
[166] 
La soluzione è coerente alla ripresa dell’attività tramite il veicolo societario ormai svuotato di beni e debiti esigibili: «a shell to resurrect the debtor and go on with its business» (T.G. Kelch, Shareholder Control Rights in Bankruptcy: Disassembling the Withering Mirage of Corporate Democracy, 52 Md. L. Rev. 264 (1993), 268). La meritevolezza di un simile obiettivo è sottolineata spesso dalla letteratura straniera. Nella ricostruzione proposta da R.T. Nimmer-R.B. Feinberg, Chapter 11 Business Governance: Fiduciary Duties, Business Judgment, Trustees and Exclusivity, 6 Bankr. Dev. J. 1 (1989), 39, «bankruptcy law recognizes, as a primary objective, the protection of the individual debtor and the goal of providing the individual with an economic “fresh start”, free of debts. These principles are exemplified by exemption rules, discharge provisions, and rules which protect the post-filing personal services income of the debtor. Thus, the personal interests of the individual, who is also the DIP, are not merely self-interest variables; they reflect core objectives of the bankruptcy process itself. The conflict, therefore, involves not simply fiduciary duty balanced against pure self interest, but rather a conflict of the basic interests protected by the bankruptcy system itself».
[167] 
Per entrambi gli istituti, nt. 23.
[168] 
Sul trattamento dei soci illimitatamente responsabili, regolato dall’art. 25 sexies, ult. comma, CCII tramite rinvio alla disciplina del concordato preventivo, § 2. 
[169] 
 Nt. 23.
[170] 
Per l’astrazione dalle regole vigenti del principio della distribuzione maggiorata del valore, M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità concordataria postmoderna, cit., 1491-1492.
[171] 
L’importo delle risorse esterne risulta oggi superiore rispetto a quello previsto dalla formulazione originaria del codice della crisi. Fermo il pagamento minimo del venti per cento, la prima stesura dell’art. 84, comma 4, CCII allude a un apporto tale da incrementare di un decimo non l’attivo a disposizione, ma «il soddisfacimento dei creditori chirografari».
[172] 
A favore di una distribuzione anche asimmetrica tra i creditori chirografari e privilegiati degradati, P. Spolaore, Apporti esterni e garanzie di terzi nel concordato preventivo, in Riv. dir. comm., 2024, I, 111.
[173] 
Sembrano conformi le posizioni di B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, cit., 35; G. Guerrieri, Il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83 e l’entrata in vigore del codice della crisi e dell’insolvenza, cit., 29 (nota 101); L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit., 42.
[174] 
L’ipotesi appena formulata ha un senso se il valore di liquidazione ricavabile dalle alternative concretamente praticabili risulta inferiore a quello previsto dalla liquidazione programmata dal piano di concordato e se si ammette l’adeguamento delle pretese creditorie all’importo indicato all’interno di tale piano, a prescindere dall’utilità effettivamente conseguita. Quest’ultima ipotesi pare trovare conferma nell’orientamento prevalente nel vigore della legge fallimentare rispetto al trattamento dei creditori privilegiati (nt. 352), coerente all’adattamento del rapporto obbligatorio al valore prospettato dal piano e non a quello effettivamente conseguito. Tuttavia, sulle incertezze in merito alla disponibilità dell’importo residuo a favore dei soci, infra, § 25. Si può reputare invece pacifica la partecipazione dei soci al valore futuro, conseguibile dopo l’esdebitazione e la ripresa dell’esercizio da parte della società adeguatamente ricapitalizzata.
[175] 
La sussistenza di risorse esterne tali da incrementare in misura apprezzabile il soddisfacimento dei creditori pare venire in rilievo: in prima battuta, per l’attestazione dell’OCC, tenuto dalla formulazione dell’art. 76, comma 2, lett. d, CCII precedente all’ultimo decreto correttivo a svolgere un giudizio circa la convenienza del concordato per i creditori; poi, per la soluzione delle opposizioni promosse da quelli dissenzienti, ammissibili per contestare tanto la convenienza ai sensi dell’art. 80, comma 3, CCII quanto la conformità alla norma imperativa recata dall’art. 74, comma 2, CCII.
[176] 
Il riferimento all’attivo è previsto dal decreto correttivo approvato il 10 giugno 2024 dal Consiglio dei Ministri.
[177] 
Sulla determinazione dell’incremento necessario, Trib. Milano, 29 febbraio 2024, in Dirittodellacrisi.it, afferma che: «l’art. 74, comma 2, CCII prevede che l’apporto di risorse esterne deve aumentare in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori; il termine di paragone di tale valutazione non può risiedere esclusivamente nel raffronto con i beni messi a disposizione del debitore, ma deve riguardare necessariamente anche la misura del soddisfacimento complessiva dei creditori che non può essere irrisoria pena, altrimenti, l’inidoneità del piano ad assolvere la propria funzione causale che, in tutti gli strumenti di regolazione della crisi, è il soddisfacimento in concreto delle ragioni dei creditori». 
[178] 
Sulla ratio dell’imposizione di apporti incrementali e dell’estensione della regola alle società partecipate o sottoposte a comune controllo, P.P. Ferraro, La proposta di concordato del socio nella liquidazione concorsuale della società, cit., 547 ss.
[179] 
Più nel dettaglio, la funzione di questa previsione pare l’introduzione di limiti alla misura dei vantaggi conseguibili dai soci. Divergente è l’opinione di quanti ricavano dall’art. 120 quater, comma 1, CCII non tanto la previsione di limiti alla partecipazione dei soci al valore, ma l’introduzione della stessa ammissibilità di un simile beneficio. Per questa diversa prospettiva, R. Rordorf, I soci di società in crisi, in Soc., 2023, 1144, a giudizio del quale «la possibilità che venga riservata ai soci una parte del valore risultante dalla ristrutturazione aziendale [...] è contemplata dal citato art. 120-quater solo con riferimento al concordato», sicché «parrebbe [...] da escludere che analoga possibilità sussista anche per gli altri strumenti di risoluzione della crisi e dell’insolvenza, con l’eccezione però dei piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione»; P. Riva, Il complesso ruolo dei soci nella gestione della crisi d’impresa, in Dirittodellacrisi.it, 6-7.
[180] 
Sono meno esplicite le indicazioni ricavabili dalla rubrica e dal testo dello stesso art. 120 quater, comma 1, CCII La rubrica fa riferimento al «concordato con attribuzioni ai soci». Una simile formulazione non permette conclusioni sicure (§ 10); tuttavia, pare alludere all’incremento del patrimonio personale per via della rivalutazione delle partecipazioni, non alla mera liberazione dalle pretese creditorie dei beni compresi nel patrimonio di ognuno. Il testo dell’art. 120 quater, comma 1, CCII richiama la «destinazione» e la «riserva» del «valore risultante dalla ristrutturazione». A prescindere dalle incertezze che anche queste formule sollevano (sempre § 10), esse sembrano da riferire alle conseguenze previste nei confronti della società e del suo patrimonio, non a quelle verso ciascun socio illimitatamente responsabile.
[181] 
Il diverso regime si può spiegare con la rilevanza che la responsabilità dei soci assume già per la determinazione dell’importo minimo da corrispondere ai creditori (nt. 156 e § 8). Soprattutto, trova forse una conferma nella disposizione dedicata al trattamento dei soci dalla Direttiva Insolvency: l’art. 12, §§ 1 e 2, impone di contrastare l’ostruzionismo irragionevole verso l’adozione, l’omologazione e l’attuazione del piano di ristrutturazione; benché non riguardi direttamente i profili disciplinati dall’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII, l’ostruzionismo irragionevole è prevedibile da parte di coloro che rischiano i soli conferimenti, mentre pare meno probabile da parte dei soci illimitatamente responsabili, interessati semmai all’omologazione almeno ogni qual volta il piano lasci ferma l’estensione degli effetti a loro favore.
[182] 
Benché non sia espressamente prevista, l’ammissibilità della ristrutturazione trasversale nell’ambito del concordato minore con continuità è ricavabile dal rinvio disposto dall’art. 78, comma 2 bis, lett. b, CCII, secondo la lettura condivisa da L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit., 39; D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 823 ss. In direzione opposta, M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, cit., 610. 
[183] 
A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, cit., 9; M. Perrino, “Relative priority rule” e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità, cit., 25; M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, cit., 167 (nota 2). 
[184] 
Per la rilevanza del richiamo alle «imprese minori» nella soluzione del problema che investe l’applicazione dell’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII al concordato minore, D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 824-825. Sul superamento di tale indicazione dimensionale in base all’ultimo decreto correttivo al codice della crisi, infra, nt. 263.
[185] 
Il classamento dei creditori è imposto per il concordato preventivo con continuità dall’art. 85, comma 3, CCII Per quello minore pare configurabile non tanto l’obbligo, ma l’onere del classamento, strumentale all’omologazione tramite ristrutturazione trasversale, secondo l’impostazione desumibile dall’art. 78, comma 2 bis, lett. b, CCII In questi termini, quanto al concordato minore, D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 824-825. In direzione opposta, V. Zanichelli, Problemi risolti e irrisolti nella disciplina del sovraindebitamento nella prospettiva del codice preriformato, in Crisi e insolvenza nel nuovo Codice. Commento tematico ai dd.lgs. nn. 14/2019 e 83/2022, a cura di S. Ambrosini, Zanichelli, Bologna, 2022, 1172 e 1175, nel ricavare dall’art. 74 CCII l’inammissibilità del classamento di tutti i creditori nel concordato minore. Al di là dell’obbligo di classamento, è il dissenso di almeno una classe a precludere l’applicazione dell’art. 120 quater, comma 1, CCII al piano soggetto ad omologazione.
[186] 
Per una restrizione ulteriore, tale da restringere l’applicazione dell’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII al concordato preventivo con continuità aziendale diretta, M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, cit., 609-610. Fanno invece genericamente riferimento al concordato preventivo, senza distinguere in base al contenuto del piano, F. Guerrera-M. Maltoni, La decisione degli amministratori sull’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società (art. 120-bis ccii), cit., 3.
[187] 
Per la compatibilità del concordato minore sia alla ristrutturazione trasversale sia all’applicazione dell’art. 120, quater, commi 1 e 2, CCII, D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 823-824, che pure sottolinea le difficoltà poste da una simile soluzione. In direzione contraria, M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, cit., 609-610 e 613, che perciò suggeriscono l’eliminazione del riferimento alle «imprese minori» dal testo dell’art. 120 quater, comma 2, CCII, poiché capace di orientare l’applicazione dell’intera disposizione alle società soggette proprio al concordato minore (p. 613). 
[188] 
Secondo una diversa prospettiva, nell’ipotizzare l’applicazione dell’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII proprio al concordato nella liquidazione giudiziale, M. Spadaro, Il concordato delle società, cit., 124; A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 949; C. Scribano, Sub art. 120 quater, cit., 892.
[189] 
L.A. Bottai-A. Pezzano-M. Ratti-M. Spadaro, Il concordato con attribuzione ai soci: criticità e prospettive del nuovo art. 120 quater CCII, cit., 9. 
[190] 
In questi termini, L.A. Bottai-A. Pezzano-M. Ratti-M. Spadaro, Il concordato con attribuzione ai soci: criticità e prospettive del nuovo art. 120 quater CCII, cit., 9, secondo i quali «deve dunque sussistere una “previsione” in piano - e quindi una precisa scelta al riguardo della società debitrice - che “riservi” il “plusvalore della ristrutturazione”, oltre che ai creditori, non solo/non tutto alla società per consolidare il risanamento, ma “anche ai soci” (sostanzialmente come una forma di “dividendi da piano”, tale dovendosi considerare, anche alla luce della Relazione legis, la proposta di distribuzione a loro favore del “valore effettivo” delle partecipazioni “conseguente all’omologazione” di cui all’art. 120 quater, comma 2, CCII)» (corsivi degli autori). Proprio i riferimenti alla «distribuzione» e ai «dividendi da piano» sembrano postulare la necessità di un atto dispositivo nei confronti dei soci, non la mera conservazione di partecipazioni rivalutate per effetto del concordato.
[191] 
Per considerazioni ulteriori, A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, in Dirittodellacrisi.it, 6. 
[192] 
Almeno in linea teorica, può reputarsi sufficiente anche solo la conservazione di partecipazioni ancora provviste di valore, dal momento che l’art. 120 quater, comma 2, CCII identifica l’utilità riservata ai soci con il valore complessivo delle loro partecipazioni, compreso quello configurabile a prescindere dall’omologazione del piano (§ 17).
[193] 
Su questa linea, G. Scognamiglio-F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 1198, quando osservano che la riserva di valore ai soci «è insita nella (e collegata alla) scelta di conservare loro la titolarità delle rispettive partecipazioni, premessa necessaria ma altresì sufficiente per la fruizione da parte dei soci del possibile incremento di valore del patrimonio sociale conseguente al successo della proposta di ristrutturazione dell’impresa, attestato dall’omologazione della proposta medesima»; A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, cit., 4-5, il quale pure rileva «come non sia affatto necessaria una distribuzione di riserve o, più in generale, un trasferimento di valore ai soci ma, piuttosto, sia sufficiente la conservazione in capo ai soci stessi di un apprezzabile valore delle loro partecipazioni a seguito dell’omologazione del concordato»; L. Salamone, Operazioni straordinarie e crisi, cit., 653, persuaso che «il valore riservato ai soci non necessariamente si identifica in un pagamento ovvero altra prestazione satisfattiva (es. conversione del credito in partecipazioni sociali; altro) come per i creditori»; D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 823; L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit., 41, nel riconoscere che «a differenza dei creditori [...] i soci non sono mai indifferenti rispetto alla ristrutturazione. Non occorre cioè che la proposta li “tratti” come destinatari, in quanto essi sono per definizione coloro che ricevono tutta l’eccedenza fra attivo e passivo»; P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, cit., 27; M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, cit., 609.
[194] 
L’indicazione testuale è per la rilevanza del mero dissenso di una o più classi. Risulta perciò poco persuasiva l’esigenza ipotizzata da L.A. Bottai-A. Pezzano-M. Ratti-M. Spadaro, Il concordato con attribuzione ai soci: criticità e prospettive del nuovo art. 120 quater CCII, cit., 6, di una «opposizione di “classe”», come presupposto aggiuntivo alla manifestazione del voto contrario per l’applicazione dell’art. 120 quater, comma 1, CCII.
[195] 
Le difficoltà per il conseguimento dell’unanimità sono sottolineate da L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit., 41-42, quando chiarisce che «nelle ristrutturazioni il trattamento economico dei soci, in Italia, è comparativamente più favorevole rispetto a quello di altri paesi europei: in caso di approvazione da parte di tutte le classi, non esistono limiti al valore che può loro essere riservato, e in caso di ristrutturazione trasversale essi non vengono cancellati, ma solo - per effetto della regola di priorità relativa - limitati nel valore che possono trattenere. Si noti che questa regola, che l’Italia ha adottato assieme ad alcuni paesi dell’UE (come la Grecia), è particolarmente opportuna, dato che in Italia vige nella sostanza la regola del silenzio-rigetto, e ottenere l’approvazione da parte di tutte le classi è difficilissimo, soprattutto per piccole e medie imprese il cui debito è in mano a credit servicers che gestiscono decine di migliaia di posizioni».
[196] 
La logica delle regole poste da tali disposizioni è illustrata da L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit., 38: «il plusvalore creato dalla ristrutturazione: [...] in caso di strumenti “consensuali” (cioè nei quali tutte le classi o categorie di interessati siano, sia pure a maggioranza, a favore della proposta) può essere attribuito liberamente» (corsivo dell’autore). 
[197] 
Tra gli altri, L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit., 39; G. Acciaro-A. Turchi, Le regole di distribuzione del patrimonio tra passato e futuro, in Ilcaso.it, 18.
[198] 
Pare da condividere la conclusione di M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, cit., 173-174, secondo cui la necessità del dissenso di una o più classi di creditori nega ogni rilevanza ai criteri indicati dall’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII per l’ammissione alla procedura.
[199] 
D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 824-825.
[200] 
L’art. 79, comma 1, CCII contempla un’ulteriore maggioranza «quando un unico creditore è titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto»; in tal caso, «il concordato minore è approvato se, oltre alla maggioranza di cui al periodo precedente, ha riportato la maggioranza per teste dei voti espressi dai creditori».
[201] 
Sembra così risolta la contraddizione denunciata da V. Zanichelli, Problemi risolti e irrisolti nella disciplina del sovraindebitamento nella prospettiva del codice preriformato, cit., 1174, tra il rinvio all’art. 112 formulato nel precedente art. 78, comma 2 bis, lett. b, CCII e l’omologabilità a prescindere dalla ristrutturazione trasversale del concordato minore approvato dalla maggioranza delle classi. 
[202] 
Ad assumere rilevanza sono di regola gli importi previsti dal piano. Questo perché, come rileva D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 813-814, la stima imparziale del valore di liquidazione richiede l’opposizione all’omologazione. Di conseguenza: il mero dissenso impone una verifica sulla destinazione del valore di liquidazione e di quello in eccedenza secondo le cifre quantificate dal proponente all’interno del piano; è l’opposizione ad imporre la misurazione da parte del tribunale di tali valori, allo scopo di scongiurare la prospettazione di pregiudizi al soggetto opponente.
[203] 
Ad assumere rilevanza sono di regola gli importi previsti dal piano. Questo perché, come rileva D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 813-814, la stima imparziale del valore di liquidazione richiede l’opposizione all’omologazione. Di conseguenza: il mero dissenso impone una verifica sulla destinazione del valore di liquidazione e di quello in eccedenza secondo le cifre quantificate dal proponente all’interno del piano; è l’opposizione ad imporre la misurazione da parte del tribunale di tali valori, allo scopo di scongiurare la prospettazione di pregiudizi al soggetto opponente.
[204] 
G. Scognamiglio-F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 1199-1200. 
[205] 
A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, cit., 3; P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, cit., 26; P. Riva, Il complesso ruolo dei soci nella gestione della crisi d’impresa, cit., 8; M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, cit., 611. 
[206] 
M. Miola, Le operazioni societarie riorganizzative negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle imprese e dei gruppi di imprese, cit., 666-667; M. Perrino, “Relative priority rule” e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità, cit., 28; M. Arato, Il ruolo di soci e amministratori nei quadri di ristrutturazione preventiva, in Dirittodellacrisi.it, 4; Id., Il confine dell’utilità economicamente rilevante: l’attribuzione di azioni e strumenti finanziari partecipativi, in Dirittodellacrisi.it, 5; R. Brogi, I soci e gli strumenti di regolazione della crisi, cit., 1301; G. Guerrieri, Il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83 e l’entrata in vigore del codice della crisi e dell’insolvenza, cit., 29 (nota 101); B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, cit., 37; G. Ferri jr., Concordato preventivo e modificazioni statutarie, cit., 170; D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 819; C. Scribano, Sub art. 120 quater, cit., 892.
[207] 
Nonostante le numerose adesioni, le tesi che distinguono i due valori raramente chiariscono la ragione di tale distinzione e della sottoposizione dei relativi importi a regimi differenti. Possono ipotizzarsi due spiegazioni. La prima dipende dal bisogno della cooperazione dei soci per il conseguimento del solo plusvalore da ristrutturazione. La tenuta di una simile affermazione è almeno in parte compromessa dalle regole che tendono alla neutralizzazione del loro ostruzionismo, allo scopo proprio di prescindere dalla cooperazione dei soci per la riorganizzazione della società in crisi. La seconda spiegazione dipende dalla prospettazione di un vantaggio corrispettivo a fronte della limitazione dei poteri dei soci conseguente all’omologazione del piano di riorganizzazione societaria, individuabile proprio nella loro partecipazione a un valore altrimenti da destinare per intero ai creditori sociali. Quest’altra affermazione urta contro due rilievi: anzitutto, l’art. 120 quater, comma 1, CCII non serve a consentire ma a limitare la partecipazione dei soci al valore (nt. 179); in secondo luogo, l’omologazione di pressoché ogni concordato finisce per incidere sulle prerogative dei soci, precludendo loro almeno le decisioni incoerenti al contenuto del piano, come ad esempio quella di scioglimento volontario nel corso dell’esecuzione del piano in continuità.
[208] 
Più in dettaglio, l’effettiva rilevanza del riferimento al «valore risultante dalla ristrutturazione» da parte dell’art. 120 quater, comma 1, CCII rimane circoscritta al concordato minore approvato dalla doppia maggioranza prevista dall’art. 79, comma 1, CCII, ma non dall’unanimità delle classi, omologabile a prescindere dalla ristrutturazione trasversale (§ 12). In ogni altro scenario, è già l’art. 112, comma 2, lett. a, CCII ad escludere la partecipazione dei soci al valore di liquidazione, per imporne la distribuzione tra i creditori secondo la gerarchia tra le rispettive pretese.
[209] 
A titolo d’esempio, un’unica disposizione - l’art. 13, comma 3, CCII - si riferisce prima alla «ristrutturazione aziendale» e poi agli accordi designati come «di ristrutturazione dei debiti». Per le due diverse accezioni, rispettivamente: G. Scognamiglio-F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 1199-1200, quando riconducono la ristrutturazione alla riorganizzazione della società; C. Proto, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fall., 2006, 129, che identifica invece la ristrutturazione con la variazione strutturale dei rapporti sottoposti a falcidia, secondo un uso linguistico coerente quello dell’OIC 6, intitolato proprio Ristrutturazione del debito e informativa di bilancio. In termini più generali e con riguardo al sistema previgente, è G. Ferri jr., Ristrutturazione dei debiti e partecipazioni sociali, in Riv. dir. comm., 2006, I, 748, ad osservare che «il legislatore ricollega la ristrutturazione a fenomeni tra loro diversi: così, per limitarsi a taluni esempi, in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza si fa cenno alla ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa (art. 27, comma 2, lett. b, d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270), mentre, per quanto riguarda il concordato previsto nell’ambito del procedimento riservato alle imprese di maggiori dimensioni, la ristrutturazione viene invece riferita ai debiti (art. 4 bis, 1° comma, lett. c, d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, come successivamente modificato); anche nell’ambito della legge fallimentare il referente della ristrutturazione è rappresentato dai debiti (artt. 124, comma 2, lett. c, 160, 1° comma, lett. a, e 182 bis, 1° comma, legge fall.), mentre, può notarsi, in ordine all’impresa si parla piuttosto di risanamento (art. 67, comma 3, lett. d, L. fall.)» (corsivi dell’autore).
[210] 
Benché sembri poi aderire a una impostazione differente, anche L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit., 62, identifica il surplus disponibile a favore dei soci secondo l’art. 120 quater, comma 1, CCII con «il valore [...] reso possibile dal sacrificio dei creditori». 
[211] 
Per la configurazione di un limite aggiuntivo nell’ambito del concordato minore, nt. 208.
[212] 
Se riferito ai rapporti obbligatori, il richiamo alla «ristrutturazione» assume un significato differente rispetto a quello che compare nel secondo comma dello stesso art. 120 quater CCII, laddove l’allusione al valore apportato dai soci «ai fini della ristrutturazione» è da riferire necessariamente all’impresa. Sull’identificazione e lo statuto di tale valore, infra, § 19 ss. 
[213] 
Una ricaduta pratica riguarda comunque il contenuto del controllo strumentale all’omologazione: rimane ferma la necessità che nel concordato minore approvato dalle maggioranze stabilite dall’art. 79, comma 1, CCII siano i creditori a lamentare la sussistenza di un pregiudizio per il mancato impiego a loro esclusivo beneficio del valore di liquidazione, non essendo desumibile dall’art. 120 quater, comma 1, CCII.
[214] 
La logica del criterio è spiegata da D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 818: «la proposta può essere omologata soltanto qualora il valore riservato ai soci sia stato “sottratto” o “ceduto” dalle classi (assenzienti) di pari rango o di rango inferiore rispetto a quello della classe dissenziente; viceversa, qualora il valore riservato ai soci sia stato anche in parte attinto dall’importo teoricamente destinabile a quest’ultima, la proposta non può essere omologata».
[215] 
Per l’irriducibilità della partecipazione sociale al diritto di credito e i conseguenti problemi per la disciplina delle crisi societarie, M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, Torino, 2009, 115-116; G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), cit., 25; B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, cit., 38. Per quanto riguarda la posizione della giurisprudenza, risultano ancora condivisibili le considerazioni formulate da Cass. civ., Sez. I, 8 novembre 2005, n. 21641, cit.: «il rapporto che intercorre tra la società ed i propri soci ha connotati troppo peculiari per essere assimilato ad un rapporto di credito e debito, anche soltanto potenziale. Il socio, in quanto tale, [...] non ha alcuna pretesa che possa far valere direttamente sul patrimonio sociale, e diviene titolare di un diritto alla quota di liquidazione soltanto allorché si verifica una causa di scioglimento del rapporto di società. Prima di ciò, può vantare tutt’al più una mera aspettativa, legata all’eventualità che, all’atto del verificarsi di detta causa di scioglimento e dopo l’estinzione di tutti i debiti, il patrimonio sociale abbia ancora una consistenza tale da permettere l’attribuzione pro quota al socio di valori proporzionali alla sua partecipazione».
[216] 
Da condividere l’osservazione svolta da M. Perrino, “Relative priority rule” e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità, cit., 32: «se detta classe rappresenta un importo complessivo molto ampio di crediti, vi sarà più margine per “staccare” un importo, purché minore come cifra assoluta, da destinare ai soci sotto forma di partecipazioni/strumenti per acquisirle, con il singolare risvolto per cui, parlandosi di valore assoluto e non di trattamento, purché vi sia la suddetta superiorità di importo complessivo per i creditori rispetto ai soci, i creditori della classe de qua riceveranno complessivamente un maggiore importo, che però rispetto ai loro crediti (in chiave percentuale) potrebbe rappresentare un trattamento di notevole sacrificio [...]. Se invece la classe in questione riunisce crediti di complessivo minore importo, corrispondentemente minore potrà essere il valore in termini di importo assoluto loro destinabile e ancora minore allora il valore assoluto attribuibile ai soci, dunque più ristretti saranno i margini di manovra, ma comunque senza che ciò rispecchi necessariamente, neppure qui, un “trattamento” migliore per i creditori dell’ultima classe dissenziente, rispetto al “trattamento” riservato ai soci».
[217] 
Per considerazioni analoghe, A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 951; D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 819; P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, cit., 28-29; M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, cit., 615-616.
[218] 
A favore dell’omologazione tramite ristrutturazione trasversale del concordato votato anche solo da una classe di creditori, M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità concordataria postmoderna, cit., 1489; L. Panzani, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, cit., 684-685; G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), cit., 7-8; G. D’Attorre, Classi “interessate” e classi “maltrattate” nella ristrutturazione trasversale, in Dirittodellacrisi.it, 3 ss.; Id., Concordato preventivo: dal principio di maggioranza al principio di minoranza, in Fall., 2023, 303 ss.; Trib. Roma, 26 ottobre 2023, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Mantova, 14 marzo 2024, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Milano, 2 maggio 2024, cit. Per una diversa impostazione, D. Galletti, One class show? Fra illusioni di autonomia negoziale e poteri eteronomi del debitore, in Ilfallimentarista.it, 1 ss.; Trib. Lecce, 31 maggio 2024, in Dirittodellacrisi.it. È da segnalare che la prima soluzione risulta espressamente accolta nella versione dell’art. 112, comma 2, lett. d, CCII riformata dall’ultimo decreto correttivo.
[219] 
A titolo d’esempio, se delle tre classi di grado differente risultano dissenzienti la prima e la seconda, vanno svolte due valutazioni: una diretta ad ipotizzare la risalita di valore dai soci alle due classi inferiori alla prima, allo scopo di valutare il trattamento prospettato a quelli della classe dissenziente e ai creditori di entrambe le classi di livello subordinato; un’altra diretta ad ipotizzare la risalita di valore nell’unica classe inferiore alla seconda, strumentale a valutare la coerenza alla priorità relativa del trattamento proposto ai soggetti compresi solamente nelle ultime due. L’omologazione può essere pronunciata se entrambe le verifiche dimostrano il trattamento di favore per i creditori delle classi dissenzienti di grado superiore anche in seguito alla risalita del valore riservato ai soci.
[220] 
In termini coerenti, nel confermare le molteplici valutazioni da compiere, A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, cit., 11.
[221] 
Per un cenno ai problemi operativi prevedibili nel contesto caratterizzato da un indebitamento esiguo verso i creditori di ultimo livello si può ricordare la relazione di L. Stanghellini, Le nuove regole in materia di distribuzione del valore, tenuta al convegno Il nuovo diritto della crisi, organizzato dalla Fondazione Cesifin Alberto Predieri e svolto a Firenze il 18 maggio 2023. 
[222] 
C. Scribano, Sub art. 120 quater, cit., 892; A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., 950: «nel silenzio del legislatore, si dovrà immaginare che detto valore sia idealmente distribuito nel rispetto dell’ordine forte delle cause di prelazione e, dunque, innanzitutto andrà attribuito alle classi di crediti di rango pari alla dissenziente [...] e quindi alle inferiori classi dissenzienti, sulla base di una regola di priorità assoluta»; P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, cit., 28.
[223] 
Proprio la disciplina delineata nell’art. 120 quater, comma 1, CCII offre un argomento decisivo verso l’ammissibilità di trattamenti non equivalenti per i creditori del medesimo grado collocati in classi differenti, non potendosi altrimenti giustificare la verifica sul trattamento almeno corrispondente prospettabile a tali soggetti in seguito alla risalita del valore riservato ai soci.
[224] 
Se tutte le classi si esprimono a favore del concordato preventivo oppure quello minore consegue le maggioranze stabilite dall’art. 79, comma 1, CCII, l’impiego del valore si sottrae a vincoli particolari: può essere destinato a beneficio tanto dei creditori quanto dei soci, anche a prescindere dal sistema della par condicio. Se invece si rende necessaria la ristrutturazione trasversale, allora il plusvalore è sottoposto a vincoli che non sono replicabili per la risalita dell’utilità riservata dal piano ai soci, per la mancata previsione nell’art. 112, comma 2, lett. a e b, CCII di un criterio predeterminato e per l’esclusiva rilevanza del soddisfacimento complessivamente prospettato ai creditori. In questa direzione orienta il diverso regime a cui prima l’art. 84, comma 6, e poi lo stesso art. 112, comma 2, lett. a e b, CCII sottopongono quello di liquidazione e il valore eccedente tale importo. Il primo è di per sé sottoposto a un sistema predeterminato e rigido di distribuzione. Il secondo concorre a determinare il tasso di soddisfacimento complessivamente riservato ai creditori, che per le classi dissenzienti è rappresentato da una soglia minima variabile a seconda del trattamento prospettato ad altri soggetti.
[225] 
Un simile criterio pare coerente nelle linee di fondo a quello suggerito da L. Stanghellini, nella relazione Le nuove regole in materia di distribuzione del valore, cit.
[226] 
A prima vista, potrebbe ipotizzarsi la rilevanza del criterio delineato nella proposta per il riparto del solo plusvalore. Una simile soluzione incontra due ostacoli. Il primo, di ordine teorico, dipende dalla mancanza di regole dirette a disciplinare la divisione del solo surplus, per la rilevanza riconosciuta invece al trattamento complessivamente offerto ai creditori (nt. 224). Il secondo, di ordine pratico, dalla impraticabilità del criterio appena ipotizzato proprio nell’ipotesi che sollecita un controllo più attento, e cioè quella della devoluzione dell’intero plusvalore a beneficio dei soci.
[227] 
Il riferimento al «valore» chiarisce che il meccanismo di risalita non impone di simulare l’attribuzione ai creditori delle partecipazioni conservate dai soci, per tenere invece ferma l’utilità cristallizzata nei loro patrimoni; le ricadute possono essere significative ogni qual volta l’identità del titolare condizioni la fattibilità del piano oppure incida sul valore di mercato delle partecipazioni (sulla possibile rilevanza dei profili quantitativi e qualitativi di regola influenti per l’individuazione del valore di mercato, infra, in questo stesso §). In senso conforme, B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, cit., 39.
[228] 
Sulle tecniche aziendalistiche utili alla misurazione del valore riservato ai soci ai sensi dell’art. 120 quater, comma 2, CCII, A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, cit., 7-8; R. Ranalli, Con il Codice il risanamento è con i creditori e non vi è più spazio per quelli contro di essi, in Dirittodellacrisi.it, 5-6; M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, cit., 614.
[229] 
Negli stessi termini, nel suggerire la rilevanza della cifra dovuta al socio recedente P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, cit., 27.
[230] 
Per l’identificazione della somma da versare in seguito all’esercizio del recesso con il valore effettivo delle partecipazioni, G. Ferri jr., Investimento e conferimento, Giuffrè, Milano, 2001, 163 ss., nell’anticipare l’impostazione successivamente accolta dalla riforma del diritto societario; M. Callegari, Sub art. 2437 ter, in Il nuovo diritto societario, diretto da G. Cottino-G. Bonfante-O. Cagnasso-P. Montalenti, 2, Zanichelli, Bologna, 2004, 1424; P. Piscitello, Riflessioni sulla nuova disciplina del recesso nelle società di capitali, in Riv. soc., 2005, 524; M. Caratozzolo, Criteri di valutazione delle azioni del socio recedente nelle s.p.a. (I parte), in Soc., 2005, 1211; M. Ventoruzzo, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, Giuffrè, Milano, 2012, 68-69; P. Benazzo, Gli assetti proprietari e la circolazione delle partecipazioni sociali nel prisma del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 27. Si orienta negli stessi termini la giurisprudenza contraria all’ammissibilità di deroghe statutarie ai criteri di determinazione dell’importo dovuto al recedente, qualora siano tali da precludere il riconoscimento del valore effettivo della partecipazione: insieme ad altre pronunce, Trib. Milano, 21 luglio 2015, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, 532, con nota di C. Savoldi, Una prima decisione in tema di recesso e gruppi di società: l’inizio e la cessazione dell’attività di direzione e coordinamento.
[231] 
Oltre che dall’art. 2289, comma 3, c.c. la rilevanza dell’operazione concordataria per la stima del valore si evince dal riferimento svolto dallo stesso art. 120 quater, comma 2, CCII all’utilità «conseguente all’omologazione della proposta» (infra, in questo §). 
[232] 
Sulla sostanziale omogeneità di questi criteri rispetto a quelli stabiliti dall’art. 2473, comma 3, c.c. per la liquidazione della quota al socio di società a responsabilità limitata, M. Caratozzolo, Criteri di valutazione delle azioni del socio recedente nelle s.p.a. (II parte), in Soc., 2005, 1346-1347. Limitate divergenze, per lo più relative a profili procedurali indifferenti all’art. 120 quater, comma 2, CCII, sono esposte da P.M. Iovenitti, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in Riv. soc., 2005, 484-485.
[233] 
In merito a tali criteri, M. Ventoruzzo, I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso del socio, in Riv. soc., 2005, 359 ss.; Id., Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, cit., 66 ss.; P.M. Iovenitti, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, cit., 462 ss.; F. Chiappetta, Nuova disciplina del recesso di società di capitali: profili interpretativi e applicativi, in Riv. soc., 2005, 507-508; M. Caratozzolo, Criteri di valutazione delle azioni del socio recedente nelle s.p.a. (I parte), cit., 1209 ss., il quale sottolinea che «il valore da determinare deve essere un valore corrente, corrispondente all’effettivo valore economico delle azioni alla data di riferimento della stima e non un valore “convenzionale” desunto dalla contabilità della società tenuta a costi storici; un fair value che deve fornire al socio un “pieno indennizzo” per la sua uscita dalla società» (p. 1211; corsivo dell’autore); Id., Criteri di valutazione delle azioni del socio recedente nelle s.p.a. (II parte), cit., 1340 ss. La protezione dell’interesse dei creditori e non dei soci tramite l’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII esclude l’efficacia delle deroghe statutarie invece consentite per la liquidazione della quota di recesso dall’art. 2437 ter, commi 3 e 4, c.c. 
[234] 
M. Ventoruzzo, I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso del socio, cit., 378-379.
[235] 
Per l’esposizione dei metodi aziendalistici diretti alla determinazione dell’importo spettante al socio recedente, P.M. Iovenitti, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, cit., 467 ss.; M. Caratozzolo, Criteri di valutazione delle azioni del socio recedente nelle s.p.a. (I parte), cit., 1211 ss.; M. Ventoruzzo, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, cit., 72 ss.
[236] 
La precisazione relativa alla necessità di una misurazione prospettica dipende dal riferimento svolto dallo stesso art. 120 quater, comma 2, CCII al valore «conseguente all’omologazione della proposta» (infra, in questo stesso §). È questa stessa previsione a precludere la valutazione delle azioni quotate in mercati regolamentati secondo il criterio individuato dall’art. 2437 ter, comma 3, c.c., per imporre la stima anche di tali partecipazioni in base ai parametri indicati dal comma precedente di questa stessa disposizione.
[237] 
Negli stessi termini, P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, cit., 27. Sembrano perciò da considerare anche le «modifiche qualitative della [...] partecipazione o del contesto societario» previste dal piano, delle quali esclude invece la rilevanza M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, cit., 174-175. 
[238] 
Sulla considerazione di tale plusvalore per la stima regolata dall’art. 120 quater, comma 2, CCII, R. Ranalli, Con il Codice il risanamento è con i creditori e non vi è più spazio per quelli contro di essi, cit., 6. Negli stessi termini, con riguardo: alla liquidazione in seguito all’esercizio del recesso, M. Callegari, Sub art. 2437 ter, cit., 1424-1425; all’individuazione dell’utilità rilevante per il calcolo del soprapprezzo in sede di emissione, M. Stella Richter jr., Trasferimento del controllo e rapporti tra soci, Giuffrè, Milano, 1996, 111 ss. All’opposto, e cioè contro la rilevanza di “premi di maggioranza” e “sconti di minoranza”, con riferimento però all’importo dovuto al socio recedente e per ragioni dipendenti dal procedimento di liquidazione, M. Ventoruzzo, I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso del socio, cit., 404 ss.; M. Caratozzolo, Criteri di valutazione delle azioni del socio recedente nelle s.p.a. (II parte), cit., 1344.
[239] 
Benché sia espressamente prevista solo per la determinazione del valore riservato ai soci, ragioni di simmetria suggeriscono la rilevanza dell’utilità effettiva anche per la misurazione del soddisfacimento dei creditori, altrettanto essenziale per il confronto richiesto dall’art. 120 quater, comma 1, CCII Sembra così risolversi un problema segnalato già nel vigore della legge fallimentare, soprattutto nell’ambito di operazioni di capitalizzazione dei crediti, in ordine al quale pare sufficiente il rinvio a G. D’ATTORRE, L’attribuzione ai creditori di partecipazioni sociali tra par condicio creditorum e principio di eguaglianza tra soci, in Riv. soc., 2011, 852.
[240] 
In questa ipotesi non pare da escludere la necessità di una distinzione tra la posizione dei vecchi soci e dei nuovi, allo scopo di evitare distorsioni contrarie proprio alla determinazione del «valore effettivo»: a titolo d’esempio, l’utilità riservata ai primi non pare rimane identica a seconda che il piano programmi la conservazione di partecipazioni di maggioranza ovvero di minoranza successivamente alla sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte di terzi.
[241] 
È proprio la rilevanza del valore complessivo a spiegare il riferimento ricorrente nella letteratura aziendalistica al capitale economico della società: R. Ranalli, Con il Codice il risanamento è con i creditori e non vi è più spazio per quelli contro di essi, cit., 5-6; A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, cit., 7; M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, cit., 612.
[242] 
Per rilievi analoghi sulle distorsioni che possono determinarsi all’interno della compagine sociale, in ragione anche del meccanismo di scomputo del valore imputabile alla cooperazione dei soci che è previsto dallo stesso art. 120 quater, comma 2, CCII, sia consentito il rinvio a S. D’Orsi, Sub art. 120 quater, in Il codice della crisi. Commentario, a cura di P. Valensise-G. Di Cecco-D. Spagnuolo, Giappichelli, Torino, 2024, 720-721.
[243] 
Non è agevole pensare alla formazione di classi differenti e alla prospettazione di trattamenti disomogenei allo scopo di ripristinare la parità tra i soci. Da una parte, perché l’art. 120 ter, comma 1, CCII condiziona la formazione di più classi al riconoscimento di diritti diversi da parte dello statuto. Dall’altra, per il rischio di imporre tante classi quanti sono i soci titolari di percentuali diverse di partecipazione al capitale oppure, a prescindere da tale misura, di diritti eterogenei.
[244] 
Inoltre, con riguardo all’opposizione all’omologazione e alla verifica circa la sussistenza di un pregiudizio effettivo rileva anche qualsiasi vantaggio; a titolo d’esempio, quello prospettato dal piano con la stabilizzazione di atti che sarebbero revocabili o automaticamente inefficaci nella liquidazione giudiziale (§ 3).
[245] 
Pare perciò configurarsi una sorta di presunzione assoluta di perdita integrale del valore delle partecipazioni, contraria all’impostazione della Direttiva Insolvency secondo la lettura proposta da M. Maugeri, Partecipazione sociale e valore dell’impresa in crisi, cit., 10 ss. Negli stessi termini, per quanto concerne la rilevanza anche del valore attribuibile alle partecipazioni sociali a prescindere dall’omologazione, M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, cit., 172, che perciò sottolinea il rigore della previsione nei confronti dei soci.
[246] 
In direzione opposta, B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, cit., 36 ss., quando identifica l’importo individuato dall’art. 120 quater, comma 2, CCII con «l’incremento di valore delle stesse azioni o quote» (p. 39).
[247] 
Un precedente straniero dimostra l’importanza della questione: nell’ambito dell’ordinamento statunitense è la decisione In re Cleary Packaging, LLC, 2022 WL 2032296 (4th Cir. June 7, 2022), a far dipendere dalla sussistenza di un valore residuo delle partecipazioni la necessità per i soci anteriori di provvedere al loro “riacquisto” (sulle modalità di tale operazione e la c.d. new value exception doctrine, infra, § 19) mediante apporti di risorse corrispondenti non solo all’incremento di valore ma anche all’utilità presente a prescindere dall’omologazione.
[248] 
Di conseguenza, rilevano il patrimonio e i flussi prevedibili; inoltre, la determinazione dell’eventuale valore di mercato non è vincolata dal prezzo degli scambi precedenti, ma diretta all’individuazione dell’importo configurabile successivamente all’omologazione. Benché sia ragionevole la considerazione anzitutto dei valori previsti all’interno del piano, la mancanza di riferimenti espliciti a tale documento nella formulazione attuale dell’art. 120 quater, comma 2, CCII consente di ipotizzare la rilevanza anche delle sopravvenienze successive alla sua stesura; purché precedenti all’omologazione, queste possono a seconda dei casi deprimere oppure incrementare il valore attribuibile alle partecipazioni sociali in seguito alla pronuncia del provvedimento.
[249] 
Diversamente, B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, cit., 39, che pare però postulare uno scrutinio ex post quando sostiene che il valore riservato ai soci, «pur essendo definito [...] come valore conseguente all’omologazione della proposta, deve essere in concreto verificato e quantificato in un momento avanzato o meglio ancora finale, nel quale le obbligazioni concordatarie sono state adempiute ed il valore effettivo risulta più esattamente valutabile». 
[250] 
La rilevanza sia del rischio sia del differimento temporale dei vantaggi è coerente alla necessità - sottolineata da L. Sicignano, L’assenza di pregiudizio e il rischio di insuccesso nei piani concordatari, cit., 173-174; Trib. Napoli, 21 febbraio 2024, in Dirittodellacrisi.it - di verificare l’allocazione della ricchezza sulla base non di criteri meramente nominali ma tali da permettere l’attualizzazione del valore prevedibile a favore dei soci.
[251] 
L’osservazione risolve solo in parte il timore esposto da G. Guerrieri, Il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83 e l’entrata in vigore del codice della crisi e dell’insolvenza, cit., 29 (nota 102), nel prevedere distorsioni favorevoli ai soci per la rilevanza del valore presente in seguito all’omologazione in luogo di quello configurabile successivamente all’esecuzione del piano. Su tale questione, § 25.
[252] 
Il riferimento è alla versione approvata dal Consiglio dei Ministri il 10 giugno 2024, consultabile in Dirittodellacrisi.it.
[253] 
Infra, § seguente.
[254] 
La soluzione è coerente al suggerimento formulato da M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, cit., 614, favorevole all’individuazione di criteri omogenei di misurazione del valore riservato ai soci.
[255] 
Sulla definizione corrente di valore d’uso si sofferma lo IAS 36. Rispetto a tale valore, in una prospettiva contabile, A. Amaduzzi, Il «valore d’uso» ai sensi dello IAS 36: la determinazione del tasso lordo di imposte, in Riv. dottori commercialisti, 2009, 63; R. Bauer-C. Mezzabotta, Perdite di valore e avviamento secondo i principi IFRS, in odcec.mi.it, 21 ss. Con riguardo invece proprio alla riformulazione dell’art. 120 quater, comma 2, CCII, A. Solidoro, Riflessioni aziendalistiche su valore di liquidazione, valore per i soci e plusvalore da continuità nella prospettiva di modificazione del Codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 13, nel rappresentare che «la definizione di valore d’uso è il valore attuale dei flussi di cassa attesi da un’attività, o da un’unità generatrice di flussi di cassa». 
[256] 
Il riferimento a questi parametri conferma l’irrilevanza di eventuali distinzioni tra i diritti e le partecipazioni individuali dei soci. In particolare, non rileva l’eventuale riparto secondo criteri non proporzionali dei flussi futuri o, meglio, dell’utile distribuibile tra i soci.
[257] 
Alla definizione di tali risorse provvede lo IAS 7, in base al quale «flussi finanziari sono le entrate e le uscite di disponibilità liquide e mezzi equivalenti». Immediatamente successiva è la definizione degli elementi appena richiamati: «le disponibilità liquide equivalenti sono quelle possedute per soddisfare gli impegni di cassa a breve termine, invece che per investimento o per altri scopi». 
[257] 
Alla definizione di tali risorse provvede lo IAS 7, in base al quale «flussi finanziari sono le entrate e le uscite di disponibilità liquide e mezzi equivalenti». Immediatamente successiva è la definizione degli elementi appena richiamati: «le disponibilità liquide equivalenti sono quelle possedute per soddisfare gli impegni di cassa a breve termine, invece che per investimento o per altri scopi». 
[258] 
Il criterio di misurazione pare avvicinarsi al c.d. metodo reddituale complesso di valutazione aziendale, in merito al quale, G. Zanda-M. Lacchini-T. Onesti, La valutazione delle aziende, 4° ed., Giappichelli, Torino, 2001, 92 ss.
[259] 
La stima del valore effettivo riservato ai soci finisce perciò per articolarsi in almeno due fasi: determinazione dei flussi netti complessivi, rilevanti per la porzione imputabile ai soci preesistenti all’omologazione; attualizzazione del valore, con un decremento inevitabile rispetto all’importo dichiarato nel piano, in ragione del conseguimento incerto e comunque futuro dei flussi. Si aggiunge come ultima fase quella meramente eventuale di scomputo del nuovo valore, su cui, § 19 ss. 
[260] 
A fini contabili, A. Amaduzzi, Il «valore d’uso» ai sensi dello IAS 36: la determinazione del tasso lordo di imposte, cit., 64, rileva che «il tasso di attualizzazione da utilizzare nella determinazione del valore d’uso (IAS 36 § 55) deve essere un tasso (o una serie di tassi) lordo d’imposte (pre-tax discount rate) in grado di riflettere le stime correnti di mercato circa: a) il valore del tempo (time value) del denaro; e b) i rischi specifici dell’attività per i quali le future stime dei flussi di cassa non sono state corrette».
[261] 
L’importanza dell’orizzonte temporale di riferimento per le valutazioni di carattere reddituale è segnalata ad altro proposito da M. Ventoruzzo, I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso del socio, cit., 376; Id., Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, cit., 82.
[262] 
La stessa affermazione del limite quinquennale nel “diritto vivente” dipende dall’intollerabile incertezza di previsioni estese per un orizzonte più ampio; tra le numerose pronunce a conferma di questa impostazione, Trib. Roma, 24 aprile 2023, in Dirittodellacrisi.it. Per la sintesi delle ragioni che di regola impediscono la stessa attestazione di fattibilità di piani di durata ultraquinquennale, Principi di attestazione CNDEC 2020, principio n. 6.5.11. 
[263] 
Si è anticipato (§ 18) che l’ultimo decreto correttivo al codice della crisi prevede la sostituzione del riferimento alle «imprese minori» con quello alle «imprese aventi i requisiti dimensionali di cui all’articolo 85, comma 3, terzo periodo». Nella versione aggiornata dallo stesso correttivo, quest’ultima disposizione fa riferimento alle «imprese titolari di crediti chirografari derivanti da rapporti di fornitura di beni e servizi, che non hanno superato, nell’ultimo esercizio, almeno due dei seguenti requisiti: un attivo fino a euro cinque milioni, ricavi netti delle vendite e delle prestazioni fino a euro dieci milioni e un numero medio di dipendenti pari a cinquanta». Per il suggerimento di questo nuovo criterio dimensionale, in una prospettiva de jure condendo e nel vigore del regime originario dell’art. 120 quater, comma 2, CCII, M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, cit., 613.
[264] 
Per illustrare la ratio dell’art. 120 quater CCII, la Relazione chiarisce che «il comma 2 sottrae alle regole in materia di distribuzione del valore, e alle conseguenti limitazioni, il mantenimento di una partecipazione dei soci che sia conseguente a nuovi conferimenti e, solo nel caso di imprese minori, anche di nuovi apporti dei soci in forma diversa da quella del conferimento o del versamento a fondo perduto, come previsto dal Considerando 59 della direttiva». 
[265] 
Benché sembri limitarsi a dichiarare la liceità dell’assistenza dei soci, il considerando n. 59 suggerisce la rilevanza del loro contributo per la conservazione di un valore superiore a quello altrimenti disponibile. La conclusione dipende anzitutto dalla pacifica ammissibilità già nel contesto anteriore e in tutti gli ordinamenti europei del sostegno dei soci al piano. In secondo luogo, dalla collocazione del considerando n. 59 immediatamente dopo quelli dedicati all’allocazione del valore in ambito societario. 
[266] 
Resta implicito l’ulteriore requisito della novità: non è da scomputare il valore riconducibile all’esecuzione di prestazioni già dovute da uno o più soci, quali potrebbero essere quelle corrispondenti alla liberazione di conferimenti precedentemente promessi. Sul requisito della novità, elaborato dalla giurisprudenza statunitense per realizzare tramite la c.d. new value exception un meccanismo di scomputo analogo a quello contemplato dall’art. 120 quater, comma 2, CCII, R.T. Nimmer, Negotiated Bankruptcy Reorganization Plans: Absolute Priority and New Value Contributions, cit., 1072 ss.; R.A. Peeples, Staying in: Chapter 11, Close Corporations and the Absolute Priority Rule, 63 Am. Bankr. L.J. 65 (1989), 78 ss.
[267] 
In linea analoga, M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, cit., 612, i quali proprio dal requisito funzionale fanno dipendere l’irrilevanza per lo scomputo del valore riconducibile ad apporti anteriori all’instaurazione della procedura concordataria.
[268] 
A prima vista, il requisito funzionale è contiguo a quello della necessity, preteso per l’applicazione della new value exception dalla giurisprudenza statunitense. Sebbene configuri un controllo teoricamente stringente, tale requisito è relegato ad un ruolo marginale dalla prassi, incline a risolvere il suo contenuto in una verifica di mera strumentalità al piano. Sull’indeterminatezza, e perciò la scarsa capacità selettiva dello scrutinio sulla necessity, R.A. Peeples, Staying in: Chapter 11, Close Corporations and the Absolute Priority Rule, cit., 80 ss.; B.A. Markell, Owners, Auctions, and Absolute Priority in Bankruptcy Reorganizations, 44 Stan. L. Rev., 69 (1991), 112 ss.; J.J. White, Absolute Priority and New Value, 8 Cooley L. Rev. 1 (1991), 11-12; L.J. Rusch, The New Value Exception to the Absolute Priority Rule in Chapter 11 Reorganizations: What Should the Rule Be?, 19 Pepp. L. Rev. 1311 (1992), 1334-1335. 
[269] 
È allora replicabile per gli apporti strumentali alla realizzazione del piano la considerazione svolta da E. Rimini, Sulla natura e sulla funzione dei conferimenti di beni in proprietà nella società per azioni, in Giur. comm., 1992, II, 413, con riguardo ai conferimenti: «gli apporti, anziché rilevare quali beni, come si sarebbe portati a dire dall’angolatura dei contratti di scambio, si configurano, più propriamente, quali strumenti necessari per operare». 
[270] 
Sulla rilevanza sia degli apporti di risorse immediatamente utilizzabili a beneficio dei creditori sia della cooperazione strumentale al conseguimento delle ulteriori risorse strumentali al loro soddisfacimento, l’orientamento riportato a nt. 292.
[271] 
G. Scognamiglio-F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 1202-1203. 
[272] 
Diversamente, nel reputare comunque rilevante per il sistema domestico l’oggetto dell’apporto ed ammettere lo scomputo solamente del valore generato tramite versamenti in denaro a favore delle società non qualificabili come imprese minori, G. Scognamiglio-F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 1202-1203. 
[273] 
La diversa impostazione non risulta dalla Relazione tecnica di accompagnamento al d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, la quale anzi riconduce l’art. 120 quater, comma 2, CCII alla necessità di consentire «il mantenimento di una partecipazione dei soci che sia conseguente a nuovi conferimenti e, solo nel caso di imprese minori, anche di nuovi apporti dei soci in forma diversa da quella del conferimento o del versamento a fondo perduto, come previsto dal Considerando 59 della Direttiva». 
[274] 
La precisazione dedicata alle società qualificabili come PMI viene spiegata dal considerando n. 58 della Direttiva, nel quale è sottolineato che «i detentori di strumenti di capitale delle PMI [...] non sono meri investitori bensì proprietari dell’impresa e [...] contribuiscono all’impresa in altri modi, ad esempio con competenze in materia di gestione». Sulle peculiari esigenze delle società di minori dimensioni e le ricadute sull’opportunità della partecipazione dei soci al valore, prima della Direttiva, R. Mokal, Fairness, in Best Practices in European Restructuring. Contractualised Distress Resolution in the Shadow of the Law, a cura di L. Stanghellini-R. Mokal-C.G. Paulus-I. Tirado, Cedam, Milano, 2018, 46-47; successivamente al suo recepimento, G. Scognamiglio-F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 1203. La rilevanza riconosciuta ai profili dimensionali è coerente all’impostazione accolta anche dal sistema statunitense, il quale in seguito alla modifica attuata con lo Small Business Reorganization Act del 2019 e all’introduzione del Subchapter V del Chapter 11 del Bankruptcy code pure riserva un regime di favore ai soci di imprese di dimensioni più ridotte; in particolare, è il §1191(c)(2) a consentire il cram down del piano a prescindere dalla conformità alla absolute priority rule, con l’obiettivo di stimolare la cooperazione dei soci. La necessità di un simile incentivo viene anticipata dalla prassi consolidata proprio nel sistema statunitense, come dimostra la ricerca condotta da L.M. LoPucki-W.C. Whitford, Bargaining Over Equity's Share in the Bankruptcy Reorganization of Large, Publicly Held Companies, 139 U. Pa. L. Rev. 125 (1990), 149, a giudizio dei quali: «in the reorganization cases of small businesses in which managers are also the principal shareholders, equity frequently dominates the bargain to such an extent that the absolute priority rule is virtually stood on its head. In such cases, the claims of creditors are compromised, but shareholder-managers usually retain their shares without dilution. The dependence of the business upon the continuing services of the shareholder-manager is the primary bargaining leverage used to accomplish this feat. The dependence may result from the need to maintain personal relations with suppliers, customers, and key employees, the need for unique services that only the shareholder-manager can provide, or from the shareholder-manager’s willingness to work for less than the economy generally pays for such effort. Unsecured creditors are willing to waive their right to priority in order to create an incentive for the shareholder-manager to continue her participation in the business. They realize that without such participation, the business will fail, and the assets will be liquidated for the benefit of the secured creditors, leaving nothing for the unsecured creditors». Per l’abrogazione del riferimento alle imprese minori proposta dall’ultimo decreto correttivo, nt. 263.
[275] 
Muove da un’impostazione analoga, sebbene allo scopo di individuare le entità conferibili in base alla disciplina delle società azionarie, M. Miola, I conferimenti in natura, in Trattato delle società per azioni Colombo-Portale, I, 3, Utet, Torino, 2004, 56, quando esclude quelle «che arrecano un vantaggio alla società, contribuendo a migliorare ed a facilitare l’utilizzo dei mezzi produttivi e quindi lo svolgimento dell’attività d’impresa, ma non determinano l’immediata fuoriuscita del conferimento dal patrimonio del conferente né incrementano il patrimonio attivo in misura certa e definita». 
[276] 
Sulla considerazione delle garanzie ai fini dello scomputo del valore apportato dai soci in funzione del risanamento si registrano opinioni divergenti nella giurisprudenza statunitense: per la soluzione negativa, Kham & Nate’s Shoes No. 2, Inc. v. First Bank of Whiting, 908 F.2d 1351 (7th Cir. 1990), incline a restringere la rilevanza agli apporti idonei a modificare la situazione patrimoniale della società (c.d. balance sheet asset); per quella favorevole, In re Potter Material Service, Inc., 781 F.2d 99, 100 (7th Cir. 1986). 
[277] 
In termini differenti, L.A. Bottai-A. Pezzano-M. Ratti-M. Spadaro, Il concordato con attribuzione ai soci: criticità e prospettive del nuovo art. 120 quater CCII, cit., 10, quando ipotizzano l’inclusione addirittura dei finanziamenti prededucibili tra gli apporti rilevanti per l’art. 120 quater, comma 2, CCII; Trib. Verona, 21 luglio 2023, cit., favorevole allo scomputo proprio degli apporti postergati dei soci. 
[278] 
In linea generale, per l’ammissibilità in base alle regole societarie di conferimenti di beni non espropriabili, originariamente controversa ed ormai pacifica, C. Angelici, Inquadramento della Direttiva negli ordinamenti dei Paesi Cee, in Riv. dir. civ., 1986, I, 555 ss.; M. Miola, I conferimenti in natura, cit., 41 e 53. 
[279] 
Sembrano esprimersi in senso conforme M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, cit., 612-613, che pure sollevano il problema relativo alla stima di simili apporti (su cui, infra, § seguente).
[280] 
Per l’inquadramento di tali apporti e la constatazione del loro carattere residuale, intermedio tra quelli imputati a capitale e quelli costitutivi di un diritto al rimborso, tra gli altri, G. Ferri jr., Investimento e conferimento, cit., 512 ss.; M. Rubino De Ritis, Gli apporti “spontanei” in società di capitali, Giappichelli, Torino, 2001, 3. 
[281] 
A. Cenni, I «versamenti fuori capitale» dei soci e la tutela dei creditori sociali, in Contr. imp., 1995, 1133; M. Rubino De Ritis, Gli apporti “spontanei” in società di capitali, cit., 4-5; M. Miola, I conferimenti in natura, cit., 213; S. Patriarca, Apporti di beni in natura fuori capitale, in RDS, 2013, 623.
[282] 
Tra le previsioni più esplicite, l’art. 88 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (c.d. Testo Unico delle Imposte sui Redditi), quando menziona i «versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale». 
[283] 
Per la scomputabilità di simili apporti secondo la logica della Direttiva Insolvency, G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, cit., 256-257.
[284] 
Un approfondito esame di tale deroga alla absolute priority rule è svolto presso la letteratura domestica da D. Vattermoli, Concordato con continuità aziendale, absolute priority rule e new value exception, cit., 353 ss.; G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, cit., 213 ss. Per la sua più recente applicazione, In re Cleary Packaging, LLC, 2022 WL 2032296, cit.
[285] 
Una rassegna delle principali pronunce, per lo più scettiche verso la rilevanza di simili apporti, è svolta da R.A. Peeples, Staying in: Chapter 11, Close Corporations and the Absolute Priority Rule, cit., 91 ss.; R.T. Nimmer, Negotiated Bankruptcy Reorganization Plans: Absolute Priority and New Value Contributions, cit., 1074 ss. Tra le decisioni più significative contro la deducibilità del valore dipendente dal contributo immateriale dei soci nell’ambito della new value exception, Northwest Bank Worthington v. Ahlers, 485 U.S. 197, 206 (1988); In re Ramba, Inc., 216 F.3d 394, 399–400 (5th Cir. 2005); In re Cleary Packaging, LLC, 2022 WL 2032296, cit. 
[286] 
L’incertezza che caratterizza gli apporti non pecuniari è richiamata a sostegno della soluzione restrittiva da G. Scognamiglio-F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 1203. Un argomento ulteriore rispetto a quello dell’incertezza viene individuato da L.J. Rusch The New Value Exception to the Absolute Priority Rule in Chapter 11 Reorganizations: What Should the Rule Be?, cit., 1333-1334, favorevole alla rilevanza per lo scomputo dei soli hard assets per garantire l’assunzione di rischi patrimoniali aggiuntivi da parte dei soci. 
[287] 
Sull’inclusione tra i versamenti a fondo perduto anche di apporti non capitalizzabili per via del loro oggetto, M. Rubino De Ritis, Gli apporti “spontanei” in società di capitali, cit., 22 ss. e 75 ss. 
[288] 
In linea generale, contro l’argomento dell’incertezza, con considerazioni relative ai conferimenti di opere e servizi, spendibili a maggior forza rispetto a prestazioni da non imputare a capitale, G. Olivieri, I conferimenti in natura nella società per azioni, Cedam, Padova, 1989, 46 ss. 
[289] 
Rispetto alla rilevanza ai fini dello scomputo non pare decisiva la necessità delle garanzie previste per le società a responsabilità limitata dall’art. 2464, comma 6, c.c.: mentre salvaguardano l’integrità del capitale, simili garanzie non assicurano la fattibilità del piano, raramente indifferente all’esecuzione della prestazione promessa o di una pecuniaria a carattere indennitario. Ciononostante, la sussistenza di garanzie accessorie alla promessa del socio presenta ricadute inevitabili sulla valutazione dell’apporto (§ 20). 
[290] 
Il favore o l’ostilità verso simili apporti sembrano rispecchiare diverse concezioni e il perseguimento di finalità differenti, come emerge già dal dibattito tradizionale sulla funzione del capitale. Da un lato, quella di garanzia, coerente alla raccolta di risorse idonee ad assicurare il soddisfacimento dei creditori. Dall’altro, quella di finanziamento, consistente nella dotazione dei mezzi necessari all’esercizio dell’impresa. La prevalenza della seconda finalità per il calcolo del valore riservato ai soci si desume dal requisito funzionale espressamente stabilito dall’art. 120 quater, comma 2, CCII. 
[291] 
La centralità del problema valutativo è pacifica presso la letteratura relativa alla distribuzione del valore e allo scomputo dell’importo riconducibile alla cooperazione dei soci; tra i tanti, R.A. Peeples, Staying in: Chapter 11, Close Corporations and the Absolute Priority Rule, cit., 100. 
[292] 
Esprime un’impostazione coerente L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit., 40, quando spiega che «i nuovi apporti dei soci, sotto forma di conferimenti o versamenti a fondo perduto, si sottraggono alle regole che limitano la distribuzione del valore, in quanto in questo caso i soci “pagano” il valore che ottengono. Ciò [...] a prescindere dal fatto che il conferimento venga direttamente destinato alla soddisfazione dei creditori: se la società è più forte, ne beneficeranno anche i creditori». 
[293] 
Risulta allineata la considerazione formulata in una prospettiva più generale da F. Fimmanò, L’allocazione efficiente dell’impresa in crisi mediante la trasformazione dei creditori in soci, in Riv. soc., 2010, 59, il quale osserva che «i beni, sul piano economico, non sono dotati di un valore assoluto, ma di un valore che dipende dalla destinazione che è impressa agli stessi (nella fattispecie dall’imprenditore), dalla rete dei rapporti in cui sono inseriti e dalle capacità di chi ne dispone». A sostegno dell’impostazione proposta nel testo pare andare anche il rilievo di M. Miola, I conferimenti in natura, cit., 45, secondo cui «il valore di “realizzo indiretto” di determinati beni, in virtù della loro stabile destinazione all’attività d’impresa e quindi alla produzione di beni e servizi che verranno scambiati sul mercato, rappresenta [...] per i creditori una garanzia migliore di quella della loro diretta espropriabilità». 
[294] 
Per una prospettiva almeno in parte divergente, nel riconoscere la necessità di una stima solamente a fronte di conferimenti in natura oppure di opere e servizi, M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, cit., 612. 
[295] 
Quanto all’ammissibilità dello scomputo del valore apportato dai soci tramite la sottoscrizione di aumenti di capitale e la promessa di conferimenti da liberare per compensazione con eventuali debiti della società nei loro confronti, M.S. Spolidoro, I soci dopo l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi, in Riv. soc., 2022, 1263 ss. 
[296] 
Benché sembri solamente teorica, la questione incide sulla configurazione di un diritto dei soci al surplus scomputabile (§ 24).
[297] 
Critica verso la duplicazione degli incentivi, e perciò persuasa della contrarietà dell’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII alle indicazioni della Direttiva Insolvency, G. Ballerini, La distribuzione del (plus)valore ricavabile dal piano di ristrutturazione nella Direttiva (UE) 2019/1023 e l’alternativa fra absolute priority rule e relative priority rule, cit., 306 ss. Sull’incentivo alla cooperazione dei soci quale giustificazione per l’adozione del criterio di priorità relativa nell’allocazione del valore previsto dal piano, già R. Mokal, Fairness, cit., 46. 
[298] 
Il problema maggiormente considerato riguarda il diritto dei soci al riconoscimento dei vantaggi consentiti dall’omologazione. A favore di un simile diritto, nel vigore della legge fallimentare e almeno con riferimento alle proposte di concordato preventivo provenienti dagli amministratori, M. Maugeri, Partecipazione sociale e attività di impresa, cit., 398 ss.; F. Brizzi, Proposte concorrenti nel concordato preventivo e “governance” dell’impresa in crisi, in Giur. comm., 2017, I, 349; già nel vigore del codice della crisi, A. Santoni, Gli azionisti e i detentori di strumenti di capitale nella proposta di direttiva in materia di crisi d’impresa, cit., 379; M. Arato, Il ruolo di soci e amministratori nei quadri di ristrutturazione preventiva, cit., 4; F. Bordiga, Gli obblighi degli amministratori nel contesto del codice della crisi e dell’insolvenza, in Ilcaso.it, 2023, 22; G. Ferri jr., Poteri e responsabilità degli amministratori nel concordato preventivo delle società, in Riv. dir. comm., 2023, I, 31, quando dichiara che «gli amministratori, nell’assumere ogni scelta in ordine all’adozione d[ello] strumento di regolazione della crisi, ed in particolare quella relativa al contenuto della relativa proposta, sono tenuti a perseguire unicamente gli interessi dei soci, a partire dall’interesse alla massimizzazione del valore complessivo delle loro partecipazioni»; D.U. Santosuosso, Il principio di correttezza nel diritto societario della crisi (abuso o eccesso di potere nel procedimento di ristrutturazione). Doveri degli amministratori e posizione dei soci, cit., 265, che pare ammettere opposizioni dei soci contro il piano che non destini a loro favore almeno una quota del surplus disponibile. In linea analoga, per la dottrina statunitense, H.R. Miller, Corporate Governance in Chapter 11: The Fiduciary Relationship between Directors and Stockholders of Solvent and Insolvent Corporations, 23 Seton Hall L. Rev. 1467 (1993), 1468 e 1493: «within certain constraints, the directors of a debtor continue to have a fiduciary obligation to cause the management to bargain for some participation in the reorganized entity for stockholders. This conclusion is buttressed by the power of the stockholders, generally, to elect directors notwithstanding the debtor’s insolvency» (p. 1468); «the notion that a debtor has a duty to bargain for some recovery on behalf of stock holders of an insolvent debtor is implicit in the Bankruptcy Code» (p. 1493). Contro la configurazione di un diritto soggettivo dei soci al plusvalore, nel sistema attualmente vigente, G. Scognamiglio-F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 1204 ss.; D. Galletti, Regolazioni concordatarie di gruppo e tutele giurisdizionali, cit., 1501-1502; M. Perrino, “Relative priority rule” e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità, cit., 27; F. Guerrera, L’espansione della regola di competenza esclusiva degli amministratori nel diritto societario della crisi fra dogmatismo del legislatore e criticità operative, cit., 1283-1284; L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit., 62, quando osserva che «il delta fra il valore di liquidazione e il valore di continuità, reso possibile dal sacrificio dei creditori, non è [...] oggetto di un diritto dei soci, ma di una trattativa fra i soci e i creditori»; M. Spiotta, L’interesse del socio ad opporsi all’omologa del concordato fallimentare (rectius nella liquidazione giudiziale): tra legge fallimentare e Codice della crisi, cit., 42; A. Ilacqua, La regola della “relative priority rule” nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, in RDS, 2023, II, 657; F. Viola, Accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza e revoca degli amministratori di società in house, cit., 399. In prospettiva ancora differente, P. Riva, Il complesso ruolo dei soci nella gestione della crisi d’impresa, cit., 6, la quale sembra ammettere il diritto dei soci a una parte del surplus disponibile solo in conseguenza del loro classamento, con l’affermazione secondo cui «la classazione dei soci comporta ai sensi dell’art. 120 quater CCII, in caso di concordato, la previsione di un valore loro riservato». Sebbene sia ribadito nel documento Assonime, Guida al codice della crisi, 14 dicembre 2022, 18, in Dirittodellacrisi.it, il legame tra classamento e partecipazione al valore pare giustamente contestato da D. Vattermoli, Ristrutturazione trasversale dei debiti, cit., 820.
[299] 
Sulla distinzione tra questi profili, accompagnata dalla constatazione di una tutela obbligatoria dell’interesse dei soci più ampia rispetto a quella reale assicurata dall’opposizione, M.S. Spolidoro, I soci dopo l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi, cit., 1262; G. Ferri jr., Poteri e responsabilità degli amministratori nel concordato preventivo delle società, cit., 31; P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, cit., 4 e 17-18.
[300] 
Negli stessi termini, a partire proprio dall’insussistenza di mezzi di tutela per negare la sussistenza del diritto dei soci all’omologazione di un programma necessariamente vantaggioso, G. Scognamiglio-F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 1204.
[301] 
La distinzione tra il diritto a non subire pregiudizi e quello a conseguire vantaggi è fissata con chiarezza da L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit., 34: «benché non di rado vengano impropriamente accostati, il diritto dei soci a non subire un pregiudizio è concettualmente distinto dalla loro pretesa a partecipare al plusvalore creato dalla ristrutturazione anche quando i creditori non siano integralmente soddisfatti» (corsivi dell’autore). 
[302] 
L’applicazione di tali limiti dipende dal dissenso di una o più classi di creditori. Dimostra perciò non tanto il diritto individuale alla negazione di benefici ai soci, ma il potere collettivo di impedire il conseguimento di vantaggi superiori alla misura determinata dall’art. 120 quater, comma 1, CCII In questi termini, G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, cit., 17 e 155 ss.
[303] 
L’insussistenza di un diritto individuale assume ricadute decisive in ambito societario. Induce l’orientamento prevalente ad escludere l’impugnazione ai sensi dell’art. 2388, comma 4, c.c. della deliberazione consiliare di approvazione del piano che non preveda alcuna riserva di valore a favore dei soci. Così, G. Scognamiglio-F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 1205, quando osservano che l’impugnazione della delibera «incontra [...] l’ostacolo consistente nella difficoltà di configurare un “diritto” del socio alla partecipazione al ricavo della ristrutturazione (e cioè una situazione soggettiva di diversa e più solida consistenza rispetto a quella dell’aspettativa di mero fatto), ipoteticamente leso dalla deliberazione degli amministratori avente ad oggetto il piano di ristrutturazione dagli stessi elaborato»; P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, cit., 20-21. Ancor prima, e cioè contro la stessa impugnabilità della delibera propedeutica all’attivazione dello strumento di regolazione della crisi, L. Salamone, Operazioni straordinarie e crisi, cit., 654 (nota 16); D.U. Santosuosso, Il principio di correttezza nel diritto societario della crisi (abuso o eccesso di potere nel procedimento di ristrutturazione). Doveri degli amministratori e posizione dei soci, cit., 265. In direzione opposta, per ammettere simili impugnazioni, F. Guerrera-M. Maltoni, La decisione degli amministratori sull’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società (art. 120-bis ccii), cit., 12; S. Masturzi, La ridefinizione delle competenze degli amministratori negli strumenti di regolazione della crisi, cit., 30 ss.
[304] 
Sui dubbi che circondano l’ammissibilità di proposte concorrenti tanto dei soci quanto dei creditori nel concordato minore, nt. 71. Può invece configurarsi senza incertezze la prospettazione di soluzioni alternative al concordato formulato in pendenza della liquidazione giudiziale.
[305] 
A partire dalle categorie teoriche esposte da E. Betti, Autotutela, in Enc. dir., IV, Giuffrè, Milano 1959, 529, pare identificabile una forma di autotutela consensuale a carattere attivo e in funzione preventiva.
[306] 
Sono tuttavia orientate diversamente almeno due linee di pensiero. Una prima è espressa da D.U. Santosuosso, Il principio di correttezza nel diritto societario della crisi (abuso o eccesso di potere nel procedimento di ristrutturazione). Doveri degli amministratori e posizione dei soci, cit., 265; L. Benedetti, Soci e amministratori negli strumenti di regolazione della crisi delle società, cit., 165, nel far discende dal principio di correttezza l’ammissibilità di opposizioni contro il piano non pregiudizievole e però propedeutico a una divisione iniqua del valore tra soci e creditori. Una seconda, da G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie fra absolute e relative priority rule, cit., 322, a giudizio della quale il rinvio all’art. 112 da parte dell’art. 120 quater, comma 1, CCII impedirebbe l’omologazione di piani che prevedano un trattamento dei soci preferibile rispetto a quello dei creditori compresi in ciascuna classe dissenziente, ancorché conforme ai limiti stabiliti dallo stesso art. 120 quater, comma 1, CCII.
[307] 
Nt. 298. 
[308] 
Sembrano conformi le opinioni espresse da I. Donati, La gestione non conservativa della società con patrimonio insufficiente, in Riv. soc., 2021, 805 ss., scettico verso la configurazione di doveri diretti degli amministratori verso soci e creditori nella c.d. fase crepuscolare della società; P. Benazzo, Gli assetti proprietari e la circolazione delle partecipazioni sociali nel prisma del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 18; Id., Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, cit., 5-6; G. D’Attorre, Scelta dello strumento di gestione della crisi e business judgment rule, in AGE, 2023, 157-158, a giudizio del quale «l’affermazione di un obbligo degli amministratori di scegliere lo strumento che assicuri ai creditori la massima soddisfazione possibile è [...] una mera petizione di principio, in contrasto con il chiaro dato normativo, che tutela l’interesse dei creditori nella misura descritta dell’assenza di pregiudizio. Fermo il rispetto di questo “contenuto minimo garantito” per i creditori, gli amministratori possono scegliere uno strumento, e declinare il relativo contenuto del piano e della proposta, che consenta la tutela anche di altri interessi meritevoli di tutela» (p. 157). 
[309] 
Su questi profili e la precisazione dei doveri inerenti alla gestione del patrimonio e dell’impresa, M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, cit., 166 ss.; A. Santoni, Doveri e responsabilità degli amministratori durante le procedure di ristrutturazione, cit., 821 ss.; R. Rordorf, I soci di società in crisi, cit., 1141-1142; G.D. Mosco-S. Lopreiato, Gli amministratori, il tribunale e il convitato di pietra negli artt. 120-bis e 120-quinquies del codice della crisi, in AGE, 2023, 198-199; D.U. Santosuosso, Il principio di correttezza nel diritto societario della crisi (abuso o eccesso di potere nel procedimento di ristrutturazione). Doveri degli amministratori e posizione dei soci, cit., 252 ss.; N. Baccetti, I doveri degli amministratori di società per azioni nel diritto della crisi e dell’insolvenza, in Riv. dir. comm., 2023, I, 352 ss. e 380 ss.; R. Sacchi, Intervento, in La composizione negoziata della crisi. Atti del seminario del 2 luglio 2022, in Giur. comm., 2023, I, 354; L. Salamone, Operazioni straordinarie e crisi, cit., 654 e 657. 
[310] 
Sembra ancora coerente l’impostazione di I. Donati, La gestione non conservativa della società con patrimonio insufficiente, cit., 815. 
[311] 
In questi termini, nel sottolineare la funzione strumentale degli adeguati assetti e - pare di poter aggiungere - delle iniziative contro la crisi, P. Benazzo, La denunzia al Tribunale di gravi irregolarità e l’adozione di assetti organizzativi adeguati: da prevenzione della crisi a “condizione di esercizio dell’attività d’impresa”, in Fall., 2023, 826. 
[312] 
Orienta in questa prospettiva la Relazione tecnica al d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, quando afferma che «l’avvio della ristrutturazione, e la determinazione del contenuto del piano, costituiscono esecuzione degli obblighi di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale, previsti dall’articolo 2086, secondo comma, del codice civile». In linea con queste premesse, insieme a numerose altre pronunce, Trib. Roma, 15 settembre 2020, in Giur. comm., 2021, II, 1358, con nota di S. Fortunato, Atti di organizzazione, principi di correttezza amministrativa e Business Judgment Rule, nell’osservare che «al dovere di adottare adeguati assetti organizzativi viene attribuito uno scopo ben preciso, e cioè di consentire di rilevare tempestivamente la crisi e la perdita di continuità e di attivare tempestivi interventi per adottare gli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi ed il recupero della continuità. La finalità è quindi duplice: di rilevazione e di intervento ed entrambi devono essere tempestivi». 
[313] 
Le premesse svolte nel testo implicano un problema in parte inedito: almeno nelle società organizzate secondo un modello corporativo, quello relativo alla declinazione di poteri e responsabilità dell’organo di controllo rispetto all’idoneità del piano al conseguimento degli obiettivi attesi. Più in generale, sulla funzione di controllo a seguito delle ultime riforme in materia di crisi e insolvenza, P. Benazzo, Il controllo nelle società di capitali tra diritto ‘comune’ e codice della crisi d’impresa, in Riv. soc., 2020, 1568 ss.; P. Piazza, Collegio sindacale di s.p.a. e recenti innovazioni del diritto della crisi: le potenziali ricadute di sistema sul rapporto tra soci e creditori, anche nella società in bonis, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 195 s.; F. Fimmanò, Apporto e prerogative dell’organo di controllo nelle dinamiche di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 2 ss., per il quale il sistema in vigore «attribuisce all’attività di controllo un contenuto più invasivo che concerne le verifiche di “legalità sostanziale”, nel caso in cui siano ritenute inidonee, insufficienti o intempestive le misure adottate per il superamento della crisi» (p. 3; l’opinione è ribadita e precisata nel prosieguo, pp. 20 ss.). 
[314] 
Le premesse svolte nel testo implicano un problema in parte inedito: almeno nelle società organizzate secondo un modello corporativo, quello relativo alla declinazione di poteri e responsabilità dell’organo di controllo rispetto all’idoneità del piano al conseguimento degli obiettivi attesi. Più in generale, sulla funzione di controllo a seguito delle ultime riforme in materia di crisi e insolvenza, P. Benazzo, Il controllo nelle società di capitali tra diritto ‘comune’ e codice della crisi d’impresa, in Riv. soc., 2020, 1568 ss.; P. Piazza, Collegio sindacale di s.p.a. e recenti innovazioni del diritto della crisi: le potenziali ricadute di sistema sul rapporto tra soci e creditori, anche nella società in bonis, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 195 s.; F. Fimmanò, Apporto e prerogative dell’organo di controllo nelle dinamiche di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 2 ss., per il quale il sistema in vigore «attribuisce all’attività di controllo un contenuto più invasivo che concerne le verifiche di “legalità sostanziale”, nel caso in cui siano ritenute inidonee, insufficienti o intempestive le misure adottate per il superamento della crisi» (p. 3; l’opinione è ribadita e precisata nel prosieguo, pp. 20 ss.). 
[315] 
L’articolazione di un piano inidoneo al conseguimento degli obiettivi fissati dall’art. 2086, comma 2, c.c. espone agli stessi pregiudizi prospettabili dalla mancata predisposizione di assetti adeguati e dall’inerzia contro la crisi, sufficienti per la revoca ai sensi dell’art. 2409 c.c. secondo: Trib. Catania, 8 febbraio 2023, in Fall., 2023, 817, con nota di P. Benazzo, La denunzia al Tribunale di gravi irregolarità e l’adozione di assetti organizzativi adeguati: da prevenzione della crisi a “condizione di esercizio dell’attività d’impresa”, con riferimento alla mancanza degli assetti; Trib. Milano, 18 ottobre 2019, in Giur. it., 2020, 365, con nota di O. Cagnasso, Denuncia di gravi irregolarità, crisi, doveri di attuazione: una primissima pronuncia sul nuovo art. 2086 c.c., con riferimento all’inerzia. Si conferma così l’evoluzione della denunzia al tribunale verso uno strumento di governance societaria, sottolineata già da P. Benazzo, Il Codice della crisi di impresa e l’organizzazione dell’imprenditore ai fini dell’allerta: diritto societario della crisi o crisi del diritto societario?, in Riv. soc., 2019, 297 ss. Per l’ammissibilità della revoca giudiziale anche in pendenza di uno strumento di regolazione della crisi soggetto ad omologazione, giacché non preclusa dall’art. 120 bis, comma 4, CCII, F. Guerrera, L’espansione della regola di competenza esclusiva degli amministratori nel diritto societario della crisi fra dogmatismo del legislatore e criticità operative, cit., 1282. 
[316] 
A favore della revocabilità per giusta causa degli amministratori in ragione del contenuto del piano, M.S. Spolidoro, I soci dopo l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi, cit., 1261; G. Ferri jr., Poteri e responsabilità degli amministratori nel concordato preventivo delle società, cit., 24-25; G. D’Attorre, Scelta dello strumento di gestione della crisi e business judgment rule, cit., 162-163. In direzione opposta, R. Rordorf, I soci di società in crisi, cit., 1150, contrario alla sindacabilità del piano da parte di giudici diversi da quello competente per l’omologazione. 
[317] 
Su questi profili, M. Spiotta, Continuità aziendale e doveri degli organi sociali, Giuffrè, Milano, 2017, 161-162, secondo la quale «la proposta concordataria inidonea, infattibile, ed insuscettibile di intercettare il consenso dei creditori sarà censurabile, e tutto il pregiudizio così arrecato al patrimonio sociale risarcibile, solo ove il ricorso a tale format risulti ab origine irragionevole»; A. Jorio, Note minime su assetti organizzativi, responsabilità e quantificazione del danno risarcibile, in Giur. comm., 2021, I, 823; G. D’Attorre, Scelta dello strumento di gestione della crisi e business judgment rule, cit., 158; S. Masturzi, La ridefinizione delle competenze degli amministratori negli strumenti di regolazione della crisi, cit., 43, concorde intorno alla conclusione per cui «l’eventuale insuccesso del piano di risanamento, o comunque di risoluzione della crisi o dell’insolvenza, è [...] imputabile agli amministratori allorquando, ad una valutazione comunque riferita alla data di elaborazione del piano, gli obiettivi dichiarati non risultavano ragionevolmente realizzabili e idonei a far fronte alla situazione di crisi o di insolvenza nella quale l’impresa verte». Alle ipotesi indicate nel testo M.S. Spolidoro, I soci dopo l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi, cit., 1262, aggiunge quella della responsabilità verso i soci per la stesura di un piano inidoneo alla massimizzazione del valore e al conseguimento di vantaggi realizzabili tramite un programma alternativo a quello predisposto. 
[318] 
In termini parzialmente divergenti, G. D’Attorre, Scelta dello strumento di gestione della crisi e business judgment rule, cit., 159-160, nel circoscrivere la responsabilità degli amministratori alla predisposizione di un piano incoerente al canone generale dell’assenza di pregiudizio. 
[319] 
Non si considerano nel testo le incertezze che possono dipendere dall’art. 285, ult. comma, CCII, laddove questo prevede che «i soci possono far valere il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale dalle operazioni di cui ai commi 1 e 2, esclusivamente attraverso l’opposizione all’omologazione del concordato di gruppo». Contro la configurazione di un impedimento di portata generale alle pretese risarcitorie dei soci, S. D’Orsi, Sub art. 120 quater, cit., 722-723; M. Miola, Le operazioni societarie riorganizzative negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle imprese e dei gruppi di imprese, cit., 695-696. 
[320] 
Per la sottoposizione delle scelte relative alla conformazione del piano alla business judgment rule, A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, cit., 7; M. Spiotta, Continuità aziendale e doveri degli organi sociali, cit., 179 ss.; M. Cian, Crisi dell’impresa e doveri degli amministratori: i principi riformati e il loro possibile impatto, in Nuove leggi civ. comm., 2019, 1169; N. Michieli, Il ruolo dell’assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell’impresa in crisi alla luce del d.lgs. n. 83/2022, in Riv. soc., 2022, 861; P. Benazzo, La denunzia al Tribunale di gravi irregolarità e l’adozione di assetti organizzativi adeguati: da prevenzione della crisi a “condizione di esercizio dell’attività d’impresa”, cit., 829; O. Cagnasso, L’accesso agli strumenti di regolazione della crisi: alcuni profili problematici, cit., 1441; Id.-C.F. Giuliani-G.M. Miceli, L’accesso delle società al concordato preventivo, in Soc., 2023, 985; M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo della società, cit., 183; P.P. Ferraro, Il governo delle società in liquidazione concorsuale, cit., 170-171; L. Benedetti, L’organo gestorio della società in crisi fra interesse dei soci e interessi altri: i principi della Direttiva sui “preventive restructuring frameworks” e il loro recepimento negli ordinamenti nazionali, in Riv. dir. comm., 2023, I, 122; L. Salamone, Operazioni straordinarie e crisi, cit., 658; G. D’Attorre, Scelta dello strumento di gestione della crisi e business judgment rule, cit., 164 ss.; S. Masturzi, La ridefinizione delle competenze degli amministratori negli strumenti di regolazione della crisi, cit., 32; Trib. Roma, 15 settembre 2020, cit.; Trib. Catania, 8 febbraio 2023, cit. Negli stessi termini, nel ricondurre al business judgment standard i giudizi sulle scelte compiute dagli amministratori nella procedura di reorganization disciplinata dal c.d. Chapter 11, R.T. Nimmer-R.B. Feinberg, Chapter 11 Business Governance: Fiduciary Duties, Business Judgment, Trustees and Exclusivity, cit., 13-14. In direzione opposta, D. Cillo, La gestione delle società di persone e a responsabilità limitata nel nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Riv. Notariato, 2019, III, 1396, persuaso che «la business judgment rule non sia applicabile in seno al giudizio di responsabilità degli amministratori per inadempimento degli obblighi sanciti dal secondo comma dell’art. 2086, risultando altrimenti svuotate di contenuto precettivo le norme che impongono agli amministratori di adottare un sistema gestionale funzionale alla prevenzione e alla riduzione del rischio di crisi d’impresa». Sulla questione limitrofa della sottoposizione alla business judgment rule delle scelte organizzative, per la soluzione favorevole, R. Formisani, Business Judgment Rule e assetti organizzativi: incontro (e scontro) in una terra di confine, in RDS, 2018, 479 ss.; L. Benedetti, L’applicabilità della business judgment rule alle decisioni organizzative degli amministratori, in Riv. soc., 2019, 432 ss.; E. Barcellona, Business judgment rule e interesse sociale nella “crisi”, Giuffrè, Milano, 2020, 55; G. Domenichini, Ruolo del collegio sindacale nelle procedure di allerta, in La riforma delle procedure concorsuali, a cura di A. Jorio-R. Rosapepe, Giuffrè, Milano, 2021, 29 ss.; V. Di Cataldo-D. Arcidiacono, Decisioni organizzative, dimensioni dell’impresa e business judgment rule, in Giur. comm., 2021, I, 89; per quella negativa, R. Rordorf, Doveri e responsabilità degli amministratori delle società in crisi, in Soc., 2013, 669; P. Montalenti, Diritto dell’impresa in crisi, diritto societario e concorsuale, in Giur. comm., 2018, I, 76. 
[321] 
A titolo d’esempio, parrebbe irragionevole e avventata la preferenza per il piano che preveda un’allocazione delle risorse tale da prospettare il rischio della mancata omologazione ai sensi dell’art. 120 quater, comma 1, CCII, almeno qualora i medesimi risultati rispetto alla continuità dell’impresa siano conseguibili con una diversa allocazione delle risorse. Allo stesso modo, pare facilmente configurabile la sussistenza di interessi in conflitto qualora gli amministratori che provvedono alla stesura del piano siano al tempo stesso soci della società proponente. 
[322] 
M. Spiotta, Continuità aziendale e doveri degli organi sociali, cit., 162 (nota 162), la quale parametra il danno risarcibile alla misura «di aggravio di spese, nonché di maggiori interessi, ma anche di deterioramento degli attivi». Sulla determinazione del danno provocato dagli amministratori per la preclusione ai soci illimitatamente responsabili di un’esdebitazione altrimenti possibile, D. Benincasa, Nuove questioni in tema di esdebitazione e di “seconda chance, cit., 529-530; F. Angiolini, L’esdebitazione e la nuova concorsualità, cit., 120. 
[323] 
La qualificazione in termini di interesse legittimo prende spunto dalla definizione data in ambito privatistico da L. Bigliazzi Geri, Contributo ad una teorica dell’interesse legittimo nel diritto privato, Giuffrè, Milano, 1967, 90, orientata per la sua identificazione conla «situazione soggettiva (sostanziale) di vantaggio, ma inattiva, il cui soddisfacimento (o il cui sacrificio temporaneo o definitivo) dipende dal comportamento (legittimo) positivo o negativo a seconda dei casi, ma sempre discrezionale, di un altro soggetto». 
[324] 
Sulla rilevanza a fini risarcitori della chance, per la dottrina civilistica recente, D.M. Frenda, Il danno da mancata realizzazione di un risultato atteso: ai confini tra la perdita di chances e il lucro cessante?, in Danno resp., 2024, 15 ss.; per la giurisprudenza, Cass. civ., Sez. VI, 7 novembre 2022, n. 32639, in Danno resp., 2023, 307, con nota di E. Pavan, L’accertamento probabilistico tra il danno da perdita di chance e il mancato raggiungimento del risultato (solo) sperato
[325] 
La dimostrazione del nesso di causalità tra condotta e danno è facilitata dall’ammissibilità della prova presuntiva, coerente al danno da perdita di chance secondo D. Chindemi, Il danno da perdita di chance, Giuffrè, Milano, 2007, 151 ss. 
[326] 
In una prospettiva sistematica, quanto alla rilevanza della tutela obbligatoria per la protezione dell’interesse patrimoniale dei soci, per l’integrazione della protezione già assicurata tramite il rigoroso regime dell’opposizione ai sensi dell’art. 120 quater, comma 3, CCII, G. Ferri jr., Poteri e responsabilità degli amministratori nel concordato preventivo delle società, cit., 31. 
[327] 
Quanto alla rilevanza del diverso titolo della responsabilità in capo ai soci incaricati dell’amministrazione, F. Vessia, La responsabilità per la gestione nelle società di persone, Esi, Napoli, 2017, 24, allo scopo di dimostrare l’ammissibilità stessa di azioni risarcitorie nei confronti di soggetti già illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali. 
[328] 
Negli stessi termini, con riguardo però all’azione regolata dall’art. 2395 c.c., M. Franzoni, Della società per azioni, III, Zanichelli-Soc. ed. Foro it., Bologna-Roma, 2008, 579; Cass. civ., Sez. I, 10 aprile 2014, n. 8458, in Riv. dottori commercialisti, 2014, 578; Cass. civ., Sez. I, 20 aprile 2017, n. 9983, in Banca, borsa, tit. cred., 2018, II, 162, con nota di F. Pacileo, Concessione “abusiva” di credito ed azione del curatore fallimentare: il cavillo del concorso della banca nella mala gestio degli amministratori; Trib. Bologna, 25 luglio 2017, in dejure.it; Trib. Latina, 29 agosto 2019, in dejure.it
[329] 
Pare della stessa opinione M.S. Spolidoro, I soci dopo l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi, cit., 1268. L’impostazione è preannunciata dallo stesso M.S. Spolidoro, Note critiche sulla «gestione dell’impresa» nel nuovo art. 2086 c.c. (con una postilla sul ruolo dei soci), in Riv. soc., 2019, 261: «il legislatore non stabilisce affatto che il dovere di adeguata organizzazione e di anticipazione e reazione alla crisi debba essere inteso alla stregua di una prestazione contrattuale dovuta nel rapporto tra mandatario e mandante. Piuttosto, l’adempimento di tali doveri è richiesto da una norma che regola oggettivamente la funzione di chi gestisce un’impresa». Nella medesima prospettiva si orienta l’impostazione prevalente, quando riconduce all’ambito extracontrattuale la responsabilità disciplinata dall’art. 2395 c.c.: G. Minervini, Gli amministratori di società per azioni, cit., 366; M. Franzoni, Della società per azioni, III, cit., 581 ss.; V. Pinto, La responsabilità degli amministratori per «danno diretto» agli azionisti, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, a cura di P. Abbadessa-G.B. Portale, II, Utet, Torino, 2006, 900 ss.; F. Sudiero, La tutela risarcitoria del socio tra danno diretto e danno riflesso, Giappichelli, Torino, 2020, 20-21, seppur con importanti precisazioni; Cass. civ., Sez. I, 3 aprile 2007, n. 8359, in Giur. it., 2007, 2761; Cass. civ., Sez. I, 8 febbraio 2019, n. 3779, in Riv. dottori commercialisti, 2019, 267; Cass. civ., Sez. VI, 12 giugno 2019, n. 15822, in dejure.it; Cass. civ., Sez. I, 6 marzo 2023, n. 6648, in dejure.it; Trib. Napoli, 1° ottobre 2019, in dejure.it; Trib. Cosenza, 16 giugno 2020, in dejure.it; App. Milano, 5 luglio 2021, in dejure.it; App. Roma, 23 febbraio 2023, in dejure.it; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 1° marzo 2023, in dejure.it, favorevole all’applicazione dell’art. 2395 c.c. contro gli amministratori di società di persone. 
[330] 
In termini generali, la sussistenza di una responsabilità gestoria di per sé non preclude l’esdebitazione della società né quella degli stessi soci, comunque possibile sulla base dei presupposti indicati dagli artt. 278, comma 4, e 280 CCII Lascia tuttavia ferme le prestazioni risarcitorie dovute dagli amministratori alla società stessa oppure a terzi.
[331] 
Le diverse situazioni giuridiche sembrano declinarsi nell’imposizione di obblighi e responsabilità degli amministratori nell’interesse altrui, a cui si contrappone l’assunzione di un onere e una mera autoresponsabilità in capo agli ulteriori soggetti legittimati alla predisposizione del piano. Per la rigorosa distinzione tra queste situazioni giuridiche, S. Pugliatti, Autoresponsabilità, in Enc. dir., IV, Giuffrè, Milano, 1959, 452. 
[332] 
Sulle ragioni che possono giustificare la partecipazione dei soci al valore, all’esito di un’analisi empirica, L.M. LoPucki-W.C. Whitford, Preemptive Cram Down, 65 Am. Bankr. L.J. 625 (1991), 628 ss.
[333] 
Per questa giustificazione, F. Guerrera, L’espansione della regola di competenza esclusiva degli amministratori nel diritto societario della crisi fra dogmatismo del legislatore e criticità operative, cit., 1283-1284. Negli stessi termini, al fine di spiegare la prassi consolidata verso la prospettazione di benefici incoerenti alla rigorosa applicazione della c.d. absolute priority rule: L.M. LoPucki-W.C. Whitford, Bargaining Over Equity's Share in the Bankruptcy Reorganization of Large, Publicly Held Companies, cit., 141 ss., riferendosi alla partecipazione dei soci al valore come «price of peace» (p. 144); Id.- Id., Preemptive Cram Down, cit., 628 ss., nel constatare come «the leverage that enabled equity to share was derived in substantial part from the implicit or explicit threat that, if plan proponents did not offer them an adequate share in the distribution, equity would make trouble. Equity did make trouble in only a few cases, but, in many others, their capacity to do so nonetheless exacted its price» (646); T.G. Kelch, Shareholder Control Rights in Bankruptcy: Disassembling the Withering Mirage of Corporate Democracy, cit., 317-318.
[334] 
Osserva P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, cit., 14, che la diversa rilevanza dell’interesse e della resistenza dei creditori al piano trova conferma nella fase successiva alla pronuncia dell’omologazione: ai sensi dell’art. 53, comma 5 bis, CCII, il reclamo - si direbbe, da chiunque promosso - non produce effetti sul provvedimento già adottato, purché la conferma del piano risulti coerente all’«interesse generale dei creditori e dei lavoratori», non a quello dei soci.
[335] 
In linea analoga, nel richiamare valutazioni di opportunità nell’allocazione delle risorse disponibili tra soci e creditori, da dirigere a seconda delle circostanze a favorire la cooperazione dei primi oppure il consenso dei secondi, A. Ilacqua, La regola della “relative priority rule” nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, cit., 657. 
[336] 
Un problema preliminare investe lo stesso diritto dei soci all’esecuzione di simili apporti. Favorevole M. Miola, Le operazioni societarie riorganizzative negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle imprese e dei gruppi di imprese, cit., 667 (nota 449), secondo il quale la regola che prevede lo scomputo dei nuovi apporti «sembrerebbe riconoscer[e] la piena legittimità, e sotto certi aspetti un vero e proprio diritto dei soci, di effettuare tali operazioni, a tutela del valore della propria partecipazione». Ciononostante, un simile diritto non pare configurabile a priori. La sua sussistenza dipende dall’utilità del contributo offerto dai soci in relazione allo specifico piano, alla luce di una valutazione generalmente rimessa alla discrezionalità tecnica degli amministratori. Contro il rifiuto ingiustificato della cooperazoine offerta dai soci sembrano ipotizzabili forme di tutela meramente indiretta: la revoca degli amministratori per giusta causa; la richiesta di una misura cautelare diretta ad imporre l’accettazione dei nuovi apporti, ipotizzabile su richiesta dei soci almeno qualora questi formulino una proposta concorrente ed assumano perciò la qualifica di parte rilevante per l’art. 54, comma 1, CCII; almeno qualora l’apporto sia da eseguire successivamente all’omologazione, la formulazione di una proposta concorrente da parte dei soggetti interessati a prestare il proprio contributo. In termini speculari, è ipotizzabile anche la formulazione da parte dei creditori di proposte concorrenti dirette ad escludere gli apporti promessi dai soci, secondo la prospettiva delineata per il sistema statunitense da B.A. Markell, Owners, Auctions, and Absolute Priority in Bankruptcy Reorganizations, cit., 119 ss.; H.T. Hoang, The New Value Exception to the Absolute Priority Rule after In Re 203 N. LaSalle Street Partnership: What Should Bankruptcy Courts Do, and How Can Congress Help, 149 U. Pa. L. Rev. 581 (2000), 597 ss.
[337] 
G. Scognamiglio-F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 1202, nel dichiarare che il valore apportato dai soci «dà automaticamente titolo ad una quota corrispondente del “valore risultante dalla ristrutturazione”»; P. Benazzo, Gli strumenti di regolazione della crisi delle società e i diritti “corporativi”: che ne resta dei soci?, cit., 27 e 29 (nota 37); M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, cit., 612. La medesima soluzione è suggerita da R.T. Nimmer, Negotiated Bankruptcy Reorganization Plans: Absolute Priority and New Value Contributions, cit., 1053: «by making a new contribution that the court approves, the owners have the right to ownership if at least one impaired class of creditors agrees to the plan» (corsivo dell’autore).
[338] 
M. Perrino, “Relative priority rule” e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità, cit., 27. Per l’ordinamento statunitense, e quindi in relazione alla new value exception, L.M. LoPucki-W.C. Whitford, Preemptive Cram Down, cit., 644-645.
[339] 
Contro l’assimilazione dei nuovi apporti al prezzo versato dai soci ai creditori investiti della qualifica di residual owners J.J. White, Absolute Priority and New Value, cit., 12, oppone una contestazione ulteriore: «if [...] the existing creditors are to be treated as “owners” and the new value is to be treated as a “purchase” of the company from them as owners, that payment should go into the pocket of those creditors. If instead of going into their pockets, it is to be used as working capital of the debtor, ultimately paid out to other existing and new creditors for current operations, it cannot properly be regarded as a payment to the existing creditors for the going-concern value “owned” by them».
[340] 
Per la dottrina statunitense è la mancanza di un vincolo di destinazione a giustificare l’impiego del valore riconducibile alla cooperazione dei soci non direttamente per il pagamento dei creditori ma per l’attuazione del piano e il conseguimento delle risorse utili al loro soddisfacimento: R.A. Peeples, Staying in: Chapter 11, Close Corporations and the Absolute Priority Rule, cit., 97-98; R.T. Nimmer, Negotiated Bankruptcy Reorganization Plans: Absolute Priority and New Value Contributions, cit., 1067. 
[341] 
Il dato pare perfino pacifico se si considera il regime degli apporti eseguiti prima dell’omologazione. I versamenti dei soci restano acquisiti al patrimonio sociale e perciò rimangono nell’attivo della procedura di insolvenza che dovesse fare seguito all’insuccesso del piano. Anzi, come osserva la giurisprudenza, il curatore è autorizzato (meglio, tenuto) a pretendere l’adempimento degli impegni formulati a sostegno di una precedente iniziativa concordataria anche in seguito al suo insuccesso e alla dichiarazione di insolvenza della società: Trib. Milano, 1° febbraio 2021 e App. Milano, 17 ottobre 2022, entrambe in Banca, borsa, tit. cred., 2023, II, 873, con nota di P. Spolaore, La legittimazione del curatore ad agire per l'adempimento dell'impegno del terzo ad apportare risorse funzionali all’esecuzione del concordato preventivo (inattuato)
[342] 
La considerazione appena formulata assume ricadute inevitabili sulla misurazione del valore imputabile ai soci (§ 19 ss.): l’adozione di criteri prudenziali è imposta dall’incoercibilità del contributo previsto all’interno del piano e quindi dall’incertezza circa l’effettiva cooperazione dei soci successivamente all’omologazione. 
[343] 
Nemmeno pare automaticamente configurabile la responsabilità degli amministratori per la predisposizione di un piano senza la riserva ai soci del valore imputabile alla loro cooperazione, subordinata all’allegazione e poi alla prova dei profili costitutivi del danno risarcibile riassunti nel § 23; in primis, del nesso di causalità con l’insuccesso dell’iniziativa.
[344] 
Anche per il risparmio di costi che la soluzione consente, non è da escludere la formulazione di una proposta parassitaria, divergente da quella predisposta dagli amministratori solo per l’allocazione del valore disponibile. In linea analoga, nel concepire però iniziative parassitarie dei creditori e non dei soci, nel vigore della legge fallimentare, A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo (prime riflessioni), cit., 12 e 17-18; R. Ranalli, Le carenze, in parte normative e in parte culturali, degli strumenti di composizione della crisi in tempi di covid, in Ilcaso.it, 14-15.
[345] 
Può darsi per acquisita l’irreversibilità di taluni effetti, testualmente prevista dall’art. 116, comma 3 (comma 4, stando alla riformulazione decisa dall’ultimo decreto correttivo), CCII con riguardo alle conseguenze prodotte da operazioni di trasformazione, fusione o scissione intervenute nel corso della procedura di concordato preventivo oppure in seguito all’omologazione. Incertezze residue investono la conservazione degli effetti determinati da operazioni sul capitale, tanto di aumento quanto di riduzione.
[346] 
Simili conseguenze, e prima ancora la stessa risoluzione, sono evitabili tramite l’inserimento di clausole di earn in all’interno del piano. Dirette ad adeguare il soddisfacimento dei creditori alla disponibilità di risorse inferiori alle attese, simili clausole escludono che la generazione di risorse inferiori alle attese possa comportare l’inadempimento dell’accordo o del concordato. Allo scopo di evitare conseguenze paradossali - in particolare, nell’ambito del procedimento di omologazione - pare inevitabile la rilevanza dei meccanismi di earn in (come di quelli di earn out considerati più avanti in questo stesso §) nella misurazione del soddisfacimento offerto ai creditori. Sull’impiego e la funzione di queste clausole nelle operazioni negoziali contro la crisi, R. Ranalli, I piani negli accordi di ristrutturazione e nei concordati preventivi in continuità tra il regime attuale e la loro evoluzione, in Fall., 2018, 1482. 
[347] 
Per l’eventualità che i deludenti risultati del piano riducano il soddisfacimento dei creditori senza comportare la risoluzione del concordato o dell’accordo, L. Benedetti, Il trattamento dei creditori con diritti di prelazione nel nuovo concordato preventivo, in Giur. comm., 2013, I, 1092, ipotizza l’esperimento da parte loro di azioni risarcitorie, almeno nei confronti del professionista incaricato della valutazione e qualora l’underperformance del piano dipenda dall’erronea stima dei beni da liquidare. 
[348] 
Nt. 165.
[349] 
Per le possibili conformazioni del piano liquidatorio, G. Di Cecco, Sub art. 182, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Commento per articoli, a cura di A. Nigro-M. Sandulli-V. Santoro, Giappichelli, Torino, 2014, 378-379; M. Fabiani, Il concordato preventivo, cit., 255 e 720 ss.
[350] 
È orientato in questi termini l’orientamento giurisprudenziale prevalente nel vigore della legge fallimentare con riguardo al concordato liquidatorio. La posizione maggioritaria riconosce una funzione meramente informativa all’indicazione di percentuali all’interno del piano, in modo da imporre comunque la devoluzione ai creditori del maggior importo conseguito: tra le tante, Cass. civ., Sez. I, 23 giugno 2011, n. 13818, in Ilcaso.it, che pare tuttavia tollerare la previsione di un tasso prestabilito di soddisfacimento; Cass. civ., Sez. I, 14 marzo 2014, n. 6022, in Ilcaso.it, che pure sembra ammettere deroghe negoziali; App. Venezia, 12 maggio 2016, in Ilcaso.it; Trib. Milano, 15 dicembre 2016, in Ilcaso.it. La soluzione è ribadita nel vigore del codice della crisi dall’impostazione che conferma la destinazione ai creditori dell’intero importo ricavato dall’attuazione del piano liquidatorio: A. Pezzano-M. Ratti, Le regole di distribuzione, in Dirittodellacrisi.it, 2022, 13; A. Turchi, Il valore di liquidazione alla luce delle prime pronunce di merito, cit., 6, a giudizio del quale «il maggior ricavato degli attivi aziendali da liquidare deve essere distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione affinché le aspettative dei creditori non subiscano un pregiudizio in conseguenza dell’omologazione della proposta concordataria»; Trib. Milano, 20 luglio 2023, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Lucca, 25 luglio 2023, in Dirittodellacrisi.it. Benché sembri destinata a rimanere prevalente, una simile conclusione si espone ad alcune critiche. In primo luogo, a quella formulata da A. Audino, Art. 84, cit., 607, di un esito contrario alla rimodulazione dei rapporti obbligatori in seguito all’omologazione. Poi, a quella basata sull’incoerenza rispetto all’orientamento prevalente in merito al trattamento dei creditori privilegiati (nt. 352). Soprattutto, l’impostazione appena ricordata urta contro la logica dell’art. 91, comma 9, CCII, il quale richiede l’adeguamento del piano e della proposta all’esito delle offerte concorrenti, con una soluzione che pare smentire l’adattamento automatico delle condizioni di soddisfacimento dei creditori. 
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Tuttavia, un vantaggio si configura nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, qualora il piano neghi l’estensione degli effetti nei loro confronti: il maggior soddisfacimento dei creditori riduce le pretese sul patrimonio di tali soggetti, esposto all’escussione da parte dei creditori per un residuo da soddisfare inferiore alle attese.
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Così, nel vigore della legge fallimentare e nello scenario di una liquidazione concordataria maggiormente remunerativa rispetto a quanto previsto nel piano e nella relazione di stima, allo scopo di determinare il trattamento dovuto ai creditori privilegiati, G. Peracin, Concordato preventivo e cessio bonorum con classi: trattamento dei creditori privilegiati generali e inquadramento giuridico del «vantaggio differenziale», in Dir. fall., 2011, I, 51-52, secondo il quale «con riguardo ai privilegi (non solo quelli speciali) il valore “promesso” al creditore nella proposta concordataria, necessariamente non inferiore a quello di liquidazione stimato ai sensi dell’art. 160, comma 2, L. fall. sarà il riferimento in sede di esecuzione del concordato a prescindere dall’effettivo realizzo successivo in corso di procedura»; S. Bonfatti, La disciplina dei crediti privilegiati nel concordato preventivo con continuità aziendale, in Società, banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, diretto da M. Campobasso-V. Carriello-V. Di Cataldo-F. Guerrera-A. Sciarrone Alibrandi, III, Utet, San Mauro Torinese, 2014, 3013, a sua volta persuaso che, «una volta determinato nella proposta concordataria lo ‘stralcio’ praticato sui crediti privilegiati (sorretto dalla valutazione comparativa dell’esperto stimatore ex art. 160, 2° comma, L. fall.), il risultato proposto va ‘garantito’ al creditore privilegiato ‘stralciato’, anche nelle ipotesi nelle quali il bene oggetto della garanzia fosse liquidato a condizioni e/o in tempi diversi da quelli immaginati. In ciò si annida, per un verso, un residuo del regime previgente [...]; e, per un altro verso, un possibile effetto distorsivo, per l’ipotesi nella quale il bene interessato da una collocazione prelatizia ‘stralciata’ di crediti prelatizi relativi, sia liquidato a condizioni ed in tempi più favorevoli di quelli immaginati, originando in tal senso un ‘plusvalore’ rispetto alla porzione di credito ammessa al passivo come privilegiata» (corsivi dell’autore); M. Fabiani, Il concordato preventivo, cit., 755, che ammette però la previsione di un diverso regime all’interno del piano; Trib. Treviso, 25 marzo 2015, in Ilcaso.it, secondo cui «la degradazione del credito privilegiato a chirografo, una volta che sia sorretta dalla rituale relazione dell’esperto, diventa definitiva, nel senso che, in sede di esecuzione del concordato, qualunque sia l’esito della liquidazione del bene su cui grava la causa di prelazione, il creditore prelatizio non potrà ricevere di più, e neppure di meno, di quanto la proposta e la relazione medesima hanno indicato, fatta salva la possibilità da parte del debitore di modulare diversamente la proposta, prevedendo, ad es. che l’eventuale surplus ricavabile dalla liquidazione vada ugualmente destinato al creditore privilegiato». Contro queste conclusioni, per degradare la stima dell’esperto ad un mero pronostico sul valore realizzabile, App. Venezia, 12 maggio 2016, cit.; Trib. Milano, 15 dicembre 2016, cit. In una posizione più radicale, ipotizzando la nullità parziale e sopravvenuta del concordato che offra ai prelatizi risorse inferiori a quelle effettivamente conseguite, per arrivare a sostenere l’attribuzione dell’intera eccedenza a tali soggetti, L. Benedetti, Il trattamento dei creditori con diritti di prelazione nel nuovo concordato preventivo, cit., 1092-1093; Trib. Roma, 27 gennaio 2010, in Ilcaso.it; Trib. Roma, 31 marzo 2010, in Ilcaso.it.
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Negli stessi termini, A. Turchi, Il valore di liquidazione alla luce delle prime pronunce di merito, cit., 6-7; A. Zuliani, Continuità diretta e continuità indiretta: presupposti, regole, criticità, cit., 21, persuaso che «qualora i risultati della continuità siano superiori alle aspettative di piano, gli utili eccedenti rispetto a quanto necessario per adempiere al concordato resteranno all’imprenditore e, una volta adempiuti integralmente gli obblighi concordatari, potranno anche essere distribuiti ai soci. In questo fortunato caso, solo apparentemente si distribuiscono utili ai soci senza avere pagato integralmente i creditori, perché, in realtà, l’omologazione del concordato ha trasformato gli originari diritti dei creditori (con il loro consenso espresso nelle forme di legge) in quelli corrispondenti alla proposta del debitore, sicché la distribuzione degli utili ai soci avviene dopo che sono stati integralmente pagati i debiti, quali risultanti all’esito dell’omologazione del concordato»; Trib. Lucca, 25 luglio 2023, cit., secondo cui «è consustanziale alla disciplina della continuità diretta che l’imprenditore possa far propri i flussi di cassa eccedentari».
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In linea analoga, G. Guerrieri, Il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83 e l’entrata in vigore del codice della crisi e dell’insolvenza, cit., 29 (nota 102), quando ipotizza il conseguimento da parte dei soci di un’utilità maggiore di quella considerata per l’omologazione. Del tutto divergente la prospettiva di L. Tronci, Il “surplus” concordatario: profili valutativi, cit., 674, che per determinare l’impiego dell’eccedenza effettivamente conseguita ipotizza, almeno nell’ambito del concordato con continuità, una stima “a consuntivo” e poi il riparto del valore disponibile secondo le proporzioni preannunciate dal piano.
[355] 
In linea analoga, con riguardo al concordato preventivo, M. Fabiani, Il concordato preventivo, cit., 253 (nota 14). 
[356] 
In seguito all’entrata in vigore del codice della crisi, per la loro rilevanza nella misurazione dello stesso valore rilevante per l’applicazione dell’art. 120 quater, commi 1 e 2, CCII, R. Ranalli, Riflessioni sulla continuità aziendale con particolare riferimento al concordato preventivo, in osservatorio-oci.org, 14; Id., Con il Codice il risanamento è con i creditori e non vi è più spazio per quelli contro di essi, cit., 6. V. inoltre nt. 346.
[357] 
Simili clausole sono utilizzabili anche con una funzione opposta, e cioè per consentire non ai creditori ma ai soci di beneficiare dell’inatteso successo del piano. Un precedente in tal senso si rinviene nell’articolato accordo di ristrutturazione stipulato tra i creditori bancari e Sorgenia s.p.a. nel 2014, basato sulla sottoscrizione di un aumento di capitale riservato a tali creditori, una notevole diluizione della partecipazione dei soci precedenti e la contestuale previsione di una clausola di earn out, diretta al riconoscimento a questi ultimi del diritto a ricevere dai nuovi versamenti commisurati a una frazione dei dividendi futuri e del corrispettivo l’eventuale trasferimento delle azioni sottoscritte. Il contenuto dell’accordo è esposto in questi termini in reuters.com e nella pagina web di uno dei soci, alla pagina cirgroup.it. Con funzione analoga, è inoltre ipotizzabile la previsione di un earn out a carico del gestore dell’impresa in caso di continuità indiretta, con il versamento di una parte dell’extraprofitto realizzato ai soci, secondo lo schema descritto già da B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 59 (nota 33).
[358] 
Per la descrizione di piani concreti di concordato preventivo comprensivi di clausole di earn out, Trib. Massa, 29 giugno 2016, in onelegale.wolterskluwer.it; Trib. Modena, 29 aprile 2020, in dejure.it; Trib. Ivrea, 22 giugno 2022, in Ilcaso.it; Trib. Napoli, 21 febbraio 2024, cit.; Trib. Milano, 5 febbraio 2024, in dejure.it. In linea generale, sulla logica di simili clausole nelle operazioni di contrasto alla crisi d’impresa, M. Aiello, L’accordo di risanamento fondato sul piano attestato: la fattispecie e le prassi negoziali, in Dir. fall., 2014, I, 339-340; M. Fabiani, Il valore della solidarietà nell’approccio e nella gestione delle crisi d’impresa, in Fall., 2022, 14; G. Settepani, La “manovra finanziaria” nella Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, in Amministrazione e finanza, 2022, 66.
[359] 
In termini generali, con riguardo a tali criteri, S. Cirino Pomicino, Clausola di earn out, in Clausole negoziali, a cura di M. Confortini, Torino, 2017, 992. 
[360] 
M. Aiello, L’accordo di risanamento fondato sul piano attestato: la fattispecie e le prassi negoziali, cit., 339. 
[361] 
In merito a contenuto e funzione di tali clausole, M. Aiello, L’accordo di risanamento fondato sul piano attestato: la fattispecie e le prassi negoziali, cit., 337 ss., che sottolinea la loro attinenza all’esecuzione del piano e perciò l’irrevocabilità dei pagamenti da esse previsti; G. Settepani, La “manovra finanziaria” nella Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, cit., 64. Per l’impiego pratico di simili clausole, sempre nell’ambito delle soluzioni negoziali alla crisi d’impresa, Trib. Roma, 14 aprile 2016, in dejure.it; Trib. Napoli, 13 giugno 2018, in dejure.it.