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Il complesso ruolo dei soci nella gestione della crisi d’impresa*

Patrizia Riva, Professore associato presso l’Università del Piemonte Orientale

26 Gennaio 2024

*Scritto edito su “Il finanziamento alle imprese nel Codice della crisi e dell’insolvenza”, Quaderno della Commissione crisi, ristrutturazione e risanamento d’impresa presso l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano, a cura di G. Rocca, con prefazione di S. Leuzzi.
L’A. svolge un’ampia riflessione sul mutato ruolo dei soci nel contesto della crisi d’impresa ridisegnato dal CCII.
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1 . Dalla neutralità delle procedure della Legge fallimentare alla «espropriazione» dei diritti dei soci del CCII
Obiettivo principale del legislatore del codice della crisi e dell’insolvenza è la tutela dell’azienda e della viability. Ciò in coerenza e in attuazione con le indicazioni della direttiva insolvency n. 1023/2019 che, come noto, si è proposta di rafforzare in europa, mediante l’introduzione di regole simili nelle legislazioni nazionali, la cultura del recupero dell’impresa in crisi e quindi la «prevenzione». In particolare si è inteso agevolare la ristrutturazione delle imprese in difficoltà finanziaria introducendo l’obbligo per gli stati membri di assicurare un regime diretto a facilitare la ristrutturazione preventiva dell’impresa ove vi fosse probabilità d’insolvenza (insolvency likelihood)[1].
Ciò rileva con riferimento al tema qui trattato del ruolo dei soci, in quanto la direttiva insolvency ha previsto all’art. 12 che gli stati membri dovessero provvedere affinché ai detentori di strumenti di capitale non fosse consentito di impedire o ostacolare irragionevolmente l’adozione e l’omologazione di un piano di ristrutturazione.
Nel contesto nazionale è opportuno ricordare che nella versione originaria della legge fallimentare vigeva il principio della cosiddetta «neutralità» delle procedure concorsuali nei riguardi delle regole societarie, pertanto la ripartizione delle competenze tra amministratori e assemblea rimaneva immutata. In seguito, con le modifiche apportate dalle riforme succedutesi prima dell’introduzione del CCII, si è stabilito che la competenza per l’accesso alle procedure fosse attribuita agli amministratori. L’introduzione del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, in attuazione dell’art. 12 della Direttiva Insolvency citato, ha accentuato di molto il ruolo degli amministratori ai quali soli, sono affidate «in via esclusiva»: sia la decisione sull’accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, sia la definizione del contenuto della proposta, sia infine la predisposizione del piano e quindi la determinazione delle condizioni alla base dello stesso. I soci sono relegati sullo sfondo enfatizzando il fatto che il loro è un residual claim[2].
Ciò è avvenuto collocando nel Capo III, Concordato preventivo[3], del Titolo IV, Strumenti di regolazione della crisi, la sezione VI bis Degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società[4].
La rivisitazione del ruolo dei soci, porta a quella che si può definire quantomeno una parziale «espropriazione» della possibilità per questi ultimi di esprimersi sulle operazioni, anche straordinarie, che gli amministratori individuano e autonomamente pongono alla base del turnaround[5]. Infatti alle modifiche statutarie previste dal piano predisposto esclusivamente dagli amministratori è consentito anche incidere direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, i quali vengono quindi a trovarsi in una posizione di vera e propria soggezione che, si è autorevolmente sostenuto, mutuando il linguaggio tipico del diritto amministrativo, ben potrebbe descriversi in termini di affievolimento dei loro diritti a fronte di un interesse giudicato meritevole di maggior tutela[6]. Più in particolare, l’art. 120 bis, comma 2, CCII stabilisce che ai fini del buon esito della ristrutturazione il piano, predisposto, come visto, dagli amministratori, possa prevedere qualsiasi modificazione dello statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione[7] e altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni. La dottrina ha evidenziato che unica eccezione alla regola può essere individuata nella trasformazione regressiva, fattispecie tutt’altro che diffusa in situazione di crisi, che comporti cioè l’assunzione da parte dei soci della responsabilità illimitata stante la lettera dell’articolo 2500 sexies c.c. che prevede che è «comunque» richiesto il consenso dei soci chiamati a modificare il proprio coinvolgimento[8].
Altrettanto rilevante è la disposizione di cui al successivo comma 4 del medesimo articolo in base alla quale dalla iscrizione della decisione nel registro delle imprese fino alla omologazione, la revoca degli amministratori deve considerarsi inefficace se non ricorre giusta causa, con la precisazione che non costituisce giusta causa la presentazione di una domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza in presenza delle condizioni di legge e che la deliberazione di revoca deve essere approvata con decreto dalla sezione specializzata del tribunale delle imprese competente sentiti gli interessati. Conviene riflettere sul fatto che, presupposto per l’irrevocabilità degli amministratori è rappresentato dalla sussistenza dei presupposti per adire allo strumento individuato e quindi in ultima analisi dalla effettiva presenza di una situazione di crisi come definita dal CCII[9]. Rappresenterebbe pertanto in questo contesto giusta causa l’assenza di una tale situazione. Ciò potrebbe configurarsi qualora i soci valutino e dimostrino che, contrariamente a quanto rappresentato dagli amministratori, sussista la capacità previsionale dell’azienda ex se di far fronte alle proprie obbligazioni o, in alternativa, qualora sia stata prospettata dai soci stessi la possibilità di ripristinare la situazione di equilibrio finanziario prospettico con la pianificazione di un adeguato apporto di nuovo capitale. Ciò dovrebbe essere stato manifestato formalmente e in tempo utile, ossia prima della delibera degli amministratori di adire a una procedura di ristrutturazione, dando prova della capacità dei soci proponenti la strategia alternativa di tenere fede alle dichiarazioni di intenti rilasciate ossia fornendo dimostrazione della loro capacità finanziaria.
2 . Criticità applicative in caso di PMI: il ruolo strategico dell’organo di controllo societario unipersonale ossia del Sindaco Unico
Pare a questo punto opportuna una riflessione. Nelle piccole e medie imprese, come noto, l’organo amministrativo è molto spesso rappresentato da un unico soggetto espressione della famiglia imprenditoriale fondatrice. In questi casi pertanto vi è coincidenza sostanziale, ma spesso anche soggettiva, tra soci e amministratori. Il portato delle indicazioni normative descritte nel precedente paragrafo risulta pertanto in linea di principio notevolmente ridimensionato.
In questi (numerosi) casi l’amministratore cui solo spettano le decisioni in merito allo sviluppo del piano di ristrutturazione, infatti, risulta coincidere con il socio che potrebbe (o meglio dovrebbe), secondo quanto previsto dall’art. 120 bis, restare escluso dalle decisioni inerenti le operazioni (anche straordinarie) necessarie a preservare la viability. La lettera della norma non può strutturalmente trovare applicazione nei citati contesti e resta da valutare l’impatto di una tale impossibilità sulla capacità dell’organo deliberante di individuare strategie di turn-around efficaci.
Antidoto previsto dalla novellata norma civilistica a una tale situazione di potenziale «blocco» è l’aver strutturato assetti organizzativi di governance adeguati ancorché minimali, prevedendo la nomina dell’Organo di Controllo Societario e quindi il Collegio Sindacale (C.S.) più spesso in articolazione Unipersonale e quindi il Sindaco Unico (S.U.) preposto sia alla vigilanza sia alla revisione legale. Quando presente, sarà pertanto quest’ultimo soggetto ad avere il potere posizionale per poter: i) da un lato innescare per tempo i meccanismi di early warning previsti dal Codice, qualora gli amministratori/soci non vi provvedano motu proprio, e ii) dall’altro lato valutare i passi intrapresi richiamando gli amministratori/soci, se del caso, sull’opportunità di ricorrere a valutazioni della situazione da parte di soggetti terzi indipendenti, in primo luogo un Esperto della Composizione Negoziata, ma anche un Advisor finanziario e, in caso di necessità, di richiedere l’intervento di un Temporary manager o un Chief Restructuring Officer.
Si conferma pertanto – proprio per le realtà di minori dimensioni – la straordinaria importanza del ruolo assunto dall’Organo di Controllo Societario Unipersonale[10]. È solo il caso di ricordare che oltre alle già richiamate funzioni di vigilanza e di revisione legale, qualora vi sia la necessità e il professionista indipendente sia competente sulla specifica materia, può essere ricondotto al Sindaco Unico anche il ruolo di Organo di Vigilanza (O.d.V.).
3 . Possibili strumenti a disposizione dei soci dopo l’avvio della procedura di ristrutturazione. proposte concorrenti e classamento. valore riservato ai soci nel concordato preventivo
Una volta che la procedura è avviata, sono riservate ai soci due vie per manifestare la propria voce[11].
In primo luogo, qualora rappresentino almeno il 10% del capitale sono legittimati, ai sensi del comma 5 dell’art. 120 bis CCII, alla presentazione di proposte concorrenti (ex art. 90 CCII), strumento, come noto, poco (per non dire affatto) diffuso nella prassi anche per le criticità strutturali che lo stesso presenta legate alla disponibilità, o, meglio, «indisponibilità salva richiesta specifica» di informazioni. Sul punto autorevole dottrina ha considerato necessaria l’equiparazione tra soci e creditori quanto al diritto di acquisizione delle necessarie informazioni dal Commissario Giudiziale[12]. Ne segue che quest’ultimo deve interfacciarsi in forza del richiamo normativo con i soci proponenti (così come ai sensi dell’art. 90 CCII con il creditore) fornendo loro tutte le informazioni utili sulla base delle scritture contabili e fiscali obbligatorie del debitore, nonché ogni altra informazione rilevante in suo possesso per la presentazione di una loro specifica proposta concorrente. Ma ciò non basta in quanto la lettera della norma, che sul punto non risulta modificata in modo sostanziale rispetto alla previgente lettera della legge fallimentare, prevede una esimente per i soci (e per i creditori) proponenti quanto all’obbligo di nomina di un professionista indipendente per la redazione della attestazione sulla veridicità della base dati ed eventualmente anche sulla fattibilità stessa del piano, qualora non vi siano aspetti non ancora validati dal Commissario[13].
In secondo luogo, è possibile prevedere il loro classamento così da permettere l’espressione di voto ai sensi del primo e terzo comma dell’art 120 ter CCII. In particolare, ai sensi del primo comma «lo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza può prevedere la formazione di una classe di soci o di più classi se esistono soci ai quali lo statuto, anche a seguito delle modifiche previste a piano, riconosce diritti diversi» e ai sensi del secondo comma «i soci, inseriti in una o più classi, esprimono il proprio voto nelle forme e nei termini previsti per l’espressione del voto da parte dei creditori». Si tratta di previsioni che rappresentano, a parere di chi scrive, una novità assoluta per il nostro ordinamento e devono proprio per questo essere analizzate con attenzione al fine di delimitarne correttamente l’ambito applicativo.
È opportuno ricordare che vigente la legge fallimentare, i soci sono stati inseriti nella prassi ai fini della formulazione della proposta ai creditori nell’ambito di procedure di concordato preventivo in specifiche classi, ma ciò non in quanto tali ossia in funzione della detenzione di azioni o quote, ma se e in quanto portatori di crediti nei confronti della società. A seconda della natura dei crediti vantati, essi potevano poi vedersi, postergare, se portatori di un credito di finanziamento o, porre in concorso con gli altri creditori, se portatori di un credito di funzionamento (ossia commerciale)[14]. Non solo, ma il voto della classe dei soci-creditori era inertizzato per evitare che influenzasse l’esito delle votazioni dei creditori non soci e ciò in quanto il socio creditore era considerato portatore di interessi particolari e non omogenei[15].
Con il CCII può invece essere creata una «classe» per i soci (in quanto soci) o come già richiamato, eventualmente, più «classi», qualora vi siano portatori di particolari categorie di strumenti di capitale. Si tratta di una possibilità non di un obbligo, ma diviene obbligo in due situazioni ossia: i) se il piano preveda modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci; e, in ogni caso, ii) per le società quotate. L’art. 120 ter CCII stabilisce che per i soci, a differenza di quanto accade per i creditori, si applichi il meccanismo del silenzio assenso[16]. Il diritto di voto spetta in modo proporzionale alla quota di capitale sociale posseduta anteriormente alla presentazione della domanda di accesso della società alla procedura concorsuale senza tenere conto delle perdite di capitale subite che potrebbero avere inciso sul capitale.
La classazione dei soci comporta ai sensi dell’art. 120 quater CCII, in caso di concordato, la previsione di un valore loro riservato.
Ciò sembra portare al superamento dell’orientamento che valutava tale possibilitàcontraria all’art. 2740 c.c.[17] (secondo cui il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri, mentre limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge) e quindi anche del successivo art. 2741 c.c. (che regola il concorso dei creditori alla soddisfazione sul patrimonio del debitore). Si è per molto tempo, infatti, dibattuto sulla legittimità di una soluzione concordataria (in continuità aziendale), che consentisse all’imprenditore di mantenere la proprietà dell’azienda dopo una ristrutturazione del debito che prevedesse la soddisfazione solo parziale dei creditori aziendali[18].
Se, infatti, si parte della premessa che la distribuzione del valore deve seguire la regola della priorità assoluta (APR o Absolute Priority Rule) ossia se non è possibile dare alcunché ai creditori successivi se non sono stati pagati quelli di rango superiore, non si potrebbe dare nulla ai soci perché non solo non sono creditori, ma sono gli ultimi soggetti della cosiddetta «cascata del valore». Se così fosse, però se ne dovrebbe dedurre l’impossibilità di fare concordati preventivi in continuità aziendale diretta, perché in questo caso la società rimane con il suo patrimonio sia pure conformato e modificato per effetto del concordato stesso il quale solitamente resta detenuto in tutto o in parte dai soci pre-esistenti[19].
L’introduzione del CCII, e in particolare del citato art. 120 quater, modifica il contesto normativo stabilendo in modo esplicito e con specifico riferimento al concordato preventivo la possibilità di attribuire anche ai soci una parte del valore risultante dalla ristrutturazione.
Più in particolare il secondo comma sempre dell’art. 120 quater specifica che, per valore riservato ai soci si intende il valore effettivo, conseguente all’omologazione della proposta, delle loro partecipazioni e degli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle, dedotto però il valore eventualmente apportato (dai soci stessi) ai fini della ristrutturazione in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto oppure per le imprese minori anche in altra forma.
In altri termini e in estrema sintesi: i soci possono ambire a preservare in tutto o in parte il valore delle loro partecipazioni.
Nel caso in cui vi siano delle classi dissenzienti, il medesimo articolo prevede due fattispecie. Se la classe o le classi dissenzienti non sono quelle di ultimo rango e quindi nel caso in cui vi siano una o più classi di rango inferiore che abbiano dato il loro assenso alla proposta di concordato, il Tribunale deve verificare se, qualora il valore complessivamente riservato ai soci fosse attribuito alle classi favorevoli di creditori di rango inferiore, queste non riceverebbero un trattamento migliore rispetto a quello riservato ai creditori della classe o dalle classi dissenzienti di rango superiore. Se invece è la classe di creditori di ultimo rango a essere dissenziente non è da comparare il suo grado di soddisfazione con quello di classi inferiori, e quindi si deve procedere confrontando il valore destinato a detta classe dissenziente e quello riservato complessivamente ai soci. Ne segue che si avrà l’omologazione solo se ai soci tocca un trattamento deteriore rispetto a quello spettante alla classe dissenziente dei creditori[20].
È stato puntualmente evidenziato in dottrina[21] che: i) il concetto di valore risultante dalla ristrutturazione utilizzato dal legislatore nell’ambito dell’art. 120 quater rappresenta un valore assoluto e corrisponde al valore dell’azienda al momento dell’omologazione del concordato, al netto dell’indebitamento concorsuale e operativo; ii) tale valore non coincide con quello di valore eccedente il valore di liquidazione assoggettabile alla Relative Priority Rule ai sensi dell’art. 84, comma 6, che è invece un valore differenziale calcolato come differenza tra i flussi finanziarti netti prodotti dalla gestione nell’arco di piano, a servizio dell’indebitamento concorsuale, e il valore di liquidazione, quest’ultimo pari al valore astrattamente disponibile per i creditori concorsuali in caso di liquidazione giudiziale.
4 . I doveri di informativa degli amministratori
Si è visto che, una volta effettuato l’accesso a una procedura, i soci non hanno alcuna possibilità di interloquire nella configurazione degli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza, neppure quando il piano redatto dagli amministratori incida direttamente sui loro diritti di partecipazione. L’art. 120 bis, comma 3, stabilisce però una importante regola di trasparenza ossia prevede «il dovere (iniziale) degli amministratori di informare i soci dell’avvenuta decisione di accedere a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza e (il dovere nelle fasi successive) di riferire periodicamente (sempre ai soci) del suo andamento».
Si tratta di una indicazione nuova che non dovrà essere sottovalutata dagli amministratori. Questi ultimi dovranno pertanto tenere presente la necessità di notiziare, sia al momento della implementazione della scelta operata, sia poi in fase esecutiva della stessa, non solo i creditori con i quali sono state concertati covenant e di conseguenza strumenti di reportistica periodica necessari per il loro controllo e rivalutazione, ma anche i soci, categoria questa in passato non formalmente prevista quale destinataria di specifiche informative.
Nella fase iniziale di accesso allo strumento prescelto, non dovrà essere dimenticato, che il principali strumenti di difesa dei soci consistono, come accennato supra: i) da un lato nel contestare la mancata sussistenza di validi presupposti per adire a uno strumento di risoluzione della crisi; e, ii) dall’altro lato nella possibilità di opporsi all’omologazione, dimostrando che quanto proposto (nel caso in cui si stia impostando una strategia concordataria) è meno favorevole rispetto all’alternativa liquidatoria, come indicato dal comma 3 dell’art. 120 quater CCII[22]. Sarà pertanto necessario che l’informativa proposta dagli amministratori contempli anche questi aspetti al fine di prevenire possibili opposizioni gestendo ex ante i potenziali dissensi endosocietari.

 

BIBLIOGRAFIA
• Comoli M., Danovi A., Quagli A., Riva P., «L’adeguatezza degli assetti per l’early warning e il turnaround», in Riva P., «Ruoli di Corporate Governance. Adeguati assetti e Sostenibilità», Egea, settembre 2023.
• Difino M., Villa P., «Il ruolo del Collegio Sindacale nelle società non quotate e nelle società quotate e il ruolo del revisore», in Riva P., «Ruoli di Corporate Governance. Adeguati assetti e Sostenibilità», Egea, settembre 2023. Utile sul punto anche il riferimento a: Consiglio Nazionale del Notariato, Notizie n. 33 del 20 febbraio 2019.
• Difino M., Riva P., «Amministratori, organo di controllo e revisore: i doveri», in Fascicolo 1 «Adeguati assetti societari per la prevenzione della crisi»; e «Obbligo di attivazione del collegio sindacale o del sindaco unico», in Fascicolo 3 «Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa»; e «Attività di vigilanza e organo di controllo nelle Pmi», in Fascicolo 7 «Organi sociali e figure professionali nella gestione della crisi», tutti a cura di Danovi A. e Acciaro G., nella Collana Nuovo Codice della Crisi d’Impresa, Il Sole 24 Ore, Milano, 2022.
• Donati I., «Le ricapitalizzazioni forzose», Giuffrè Ed., 2020.
• Esposito C., «Il ridimensionamento delle prerogative e le responsabilità dei soci nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza». in Giustizia Civile, fasc.2, febbraio 2022, pag. 377.
• Hirschman A. O., «Exit Voice and Loyalty: Responses to Decline in Firms, Organizations, and States», 1970.
• Ginevra E., Intervento nel convegno Crisi d’Impresa: novità, prospettive, opportunità, CCIAA Varese, 11.11.2023.
• Guiotto A., «Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale», in Dirittodellacrisi.it, 13 aprile 2023.
• Panzani A., «Il preventive restructuring framework nella Direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 e il codice della crisi. Assonanze e dissonanze». Approfondimenti crisi d’impresa, Fallimento, 14/10/2019.
• Panzani L., «I doveri delle parti», in De Simone L., Fabiani M., Leuzzi S., «Studi sull’avvio del Codice della Crisi», in Dirittodellacrisi.it, settembre 2022.
• Riva P., «Interazione tra commissario e altri professionisti del risanamento. Le criticità in caso di proposte concorrenti: una “metamorfosi giuridica?”», Il Fallimentarista, Giuffrè Francis Lefebvre, 2021-06.
• Riva P., «Ruoli di Corporate Governance. Adeguati assetti e Sostenibilità», Egea, settembre 2023.
• Rordorf R., I soci di società in crisi, Società 10/2023
• Spolidoro M.S., «I soci dopo l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi», in Rivista delle Società, fasc.5-6, 10/2022, pag. 1254
• Stanghellini L., «La salvaguardia del valore all’esito della ristrutturazione aziendale e la sua allocazione», Intervento al convegno «Il diritto della crisi tra processo e valore dell’impresa», ottobre 2023.
• Tribunale di Monza, 5 agosto 2010, Pres. Paluchowski, (pubblicata su IlCaso.it).

Note:

[1] 
Così Panzani A., «Il preventive restructuring framework nella Direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 e il codice della crisi. Assonanze e dissonanze». Approfondimenti crisi d’impresa, Fallimento, 14/10/2019. Si veda anche: Comoli M., Danovi A., Quagli A., Riva P., «L’adeguatezza degli assetti per l’early warning e il turnaround», in Riva P., «Ruoli di Corporate Governance. Adeguati assetti e Sostenibilità», Egea, settembre 2023.
[2] 
Sul punto Rordorf evidenzia che «il rischio d’impresa che il socio volontariamente assume, investendo il proprio capitale in una quota del patrimonio sociale, certamente non si pone, da principio, sul medesimo piano del rischio di credito, ossia del rischio cui qualsiasi creditore – anche il creditore involontario – è esposto di non riuscire a soddisfare le proprie ragioni a causa dell’incapienza del patrimonio del debitore. È vero che entrambi tali rischi possono concretizzarsi, e si aggravano, quando la società naviga in cattive acque; ma la perdita del capitale investito dal socio nell’impresa resta comunque un evento da considerare fisiologico (ancorché di certo non auspicabile), perché la remunerazione e, infine, la restituzione di quell’investimento sono una mera aspettativa, destinata a tradursi in un diritto agli utili e alla quota di liquidazione della quota solo a condizione che l’andamento dell’impresa e la capienza del patrimonio sociale effettivamente lo consentano. Rordorf R., I soci di società in crisi, Società 10/2023.
[3] 
Più di un commentatore ha evidenziato come la collocazione nell’ambito del Capo III che è dedicato al solo concordato preventivo, non sia felice, visto che le disposizioni introdotte sono riferite, per la maggior parte, alla generalità degli strumenti di regolazione.
[4] 
Ginevra E., Intervento nel convegno Crisi d’Impresa: novità, prospettive, opportunità, CCIAA Varese, 11.11.2023.
[5] 
Sul punto Esposito: «I titolari del capitale –e qui si passa al secondo aspetto già cennato – non vengono espropriati di tutela, visto che i loro diritti possono essere fatti valere, venendo valorizzati e considerati, nell’ambito “endoconcorsuale” posto che i soci hanno il diritto di essere informati della scelta di adozione di uno strumento di regolazione, del suo contenuto e della sua evoluzione e quindi anche di proposte concorrenti (arg. art. 120 bis, comma 3, CCII). Tanto secondo un meccanismo di accentuazione della cooperazione interorganica». Esposito C., «Il ridimensionamento delle prerogative e le responsabilità dei soci nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza». in Giustizia Civile, fasc.2, febbraio 2022, pag. 377.
[6] 
In questo senso: Rordorf R., cit., Società 10/2023.
[7] 
Si configura in questo caso il cosiddetto «squeeze out» dei soci quali conseguenza della ricapitalizzazione interna escludente. Sul punto Donati specifica che «con l’integrale traslazione del rischio d’impresa sui creditori, i soci non godono di alcun diritto a conservare il loro status. Ponendosi da tale cono visivo diviene dunque logico ritenere che la proposta di concordato, a prescindere dall’identità del proponente, possa sempre escludere o limitare il diritto di opzione (o di sottoscrizione) dei vecchi soci quando vi siano circostanze che evidenzino in modo affidabile la perdita integrale del patrimonio netto». Così Donati I., Le ricapitalizzazioni forzose, Giuffrè Ed., 2020.
[8] 
In questo senso: Rordorf R., cit., Società 10/2023.
[9] 
Si ricorda che l’art. 2, comma 1, l. a) CCII definisce la crisi come lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi.
[10] 
Sul punto si rinvia per approfondimenti a: Difino M., Riva P., Amministratori, organo di controllo e revisore: i doveri, in Fascicolo 1 «Adeguati assetti societari per la prevenzione della crisi»; e «Obbligo di attivazione del collegio sindacale o del sindaco unico», in Fascicolo 3 «Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa»; e «Attività di vigilanza e organo di controllo nelle Pmi», in Fascicolo 7 «Organi sociali e figure professionali nella gestione della crisi» tutti in a cura di Danovi A. e Acciaro G., nella Collana Nuovo Codice della Crisi d’Impresa, Il Sole 24 Ore, Milano, 2022; Riva P., Difino M., Obbligo di attivazione del collegio sindacale o del sindaco unico, in Esperto indipendente e crisi d’impresa, Il Sole 24 Ore, Milano, 2021; Difino M., Villa P., Il ruolo del Collegio Sindacale nelle società non quotate e nelle società quotate e il ruolo del revisore, in Riva P., Ruoli di Corporate Governance. Adeguati assetti e Sostenibilità, Egea, settembre 2023. Utile sul punto anche il riferimento a: Consiglio Nazionale del Notariato, Notizie n. 33 del 20 febbraio 2019.
[11] 
È solo il caso di richiamare: Hirschman A. O., Exit Voice and Loyalty: Responses to Decline in Firms, Organizations, and States, 1970.
[12] 
Sulla proposta concorrente presentata dai soci evidenzia Panzani: «Le informazioni utili per la presentazione della proposta concorrente possono comprendere informazioni riservate del tipo che abbiamo descritto. Il commissario giudiziale dovrà valutare la congruità della richiesta rispetto alla proposta che i creditori possono presentare, evitando manovre strumentali dirette ad acquisire illegittimamente informazioni non finalizzate alla presentazione della proposta stessa. L’art. 120 bis rinvia per quanto concerne i soci all’art. 90, ma non è chiaro se anch’essi possono richiedere informazioni al commissario giudiziale alla pari dei creditori. È da ritenere di sì perché diversamente si creerebbe con riferimento al medesimo istituto, la proposta concorrente, una disparità di trattamento ingiustificata perché almeno nelle società di capitali i soci possono non avere alcun accesso a informazioni riservate». Panzani L., I doveri delle parti, in De Simone L., Fabiani M., Leuzzi S., Studi sull’avvio del Codice della Crisi, in Dirittodellacrisi.it, settembre 2022.
[13] 
Sul punto si rinvia alle riflessioni da tempo svolte sul punto circa sussistenza di una strutturale situazione di asimmetria informativa del terzo, e nel caso qui in esame del socio di minoranza (almeno il 10% del capitale) qualora ovviamente non vi sia ad evidenza coincidenza soggettiva con gli amministratori, che mantengono la loro validità anche alla luce della lettera dell’art. 90 CCII: «… il Commissario deve interfacciarsi con il creditore fornendogli tutte le informazioni utili per la presentazione della propria proposta concorrente, sulla base delle scritture contabili e fiscali obbligatorie del debitore, nonché ogni altra informazione rilevante in suo possesso. Conviene evidenziare che (…) la lettera dell’art. 163 l.f. (si legga art. 90 CCII) richiama, (…) a chiare lettere, la possibilità che il terzo richieda al Commissario, che difficilmente potrà sottrarsi, una vera e propria rendicontazione sulle verifiche dal medesimo svolte e sulla attendibilità dei dati forniti. Nei fatti quindi il terzo ha diritto di richiedere al commissario di sostituirsi al proprio attestatore nella valutazione della veridicità dei dati di partenza del piano che si accinge a sviluppare. In caso di diniego, il commissario dovrà, a parere di chi scrive, giustificarsi, il che implica che dovrà affermare di non avere ancora posto in essere o di non avere ancora concluso, a seconda del momento in cui vengono formulate le richieste, le verifiche che la legge gli impone di svolgere. Il diniego potrebbe però rendere più complesso l’accesso ai dati da parte del terzo, con il rischio che, qualora il Commissario non argomentasse in modo puntuale le proprie ragioni, il primo potrebbe ravvisare nel comportamento del secondo una criticità ostativa all’esercizio dei propri diritti. D’altra parte, qualora il commissario rilasciasse la propria attestazione di veridicità dei dati e il terzo basasse su questa attestazione la redazione del proprio piano alternativo aggiudicandosi la preferenza dei creditori, le eventuali discrasie rilevate in fase esecutiva tra quanto attestato dal commissario e quanto poi effettivamente rinvenuto potrebbero far ravvisare al terzo una potenziale responsabilità del commissario nei propri confronti». Si veda: Riva P., Interazione tra commissario e altri professionisti del risanamento. Le criticità in caso di proposte concorrenti: una «metamorfosi giuridica?, Il Fallimentarista, Giuffrè Francis Lefebvre, 2021-06.
[14] 
Sul punto riflette Spolidoro: «Quid iuris se tra le classi dei creditori ve ne è una formata da soci per finanziamenti postergati? La posizione di “socio” e quella di “creditore” non si escludono a vicenda, posto che tali sostantivi non denotano una diversa qualità soggettiva delle persone, ma il possesso oggettivo di particolari strumenti finanziari (in senso lato), diversamente classificati secondo le loro caratteristiche. Ciò premesso, il classamento dei finanziamenti dei soci è diverso dal classamento dei soci previsto nell’art. 120 ter. Infatti i finanziamenti dei soci possono essere (o non essere) postergati, ma anche nel secondo caso sono crediti dei soci e debiti della società di pieno diritto. La classe dei creditori collocata immediatamente al di sopra dei soci sarà in questo caso occupata dai soci che hanno concesso finanziamenti postergati alla società (che potrebbero non coincidere con i soci cui è riservato, eventualmente in parte, il valore risultante dalla ristrutturazione: si pensi, per fare solo un esempio, all’art. 2497 quinquies c.c.). Ai fini della disciplina qui considerata, il concordato potrà dunque essere omologato solo quando il valore destinato al soddisfacimento dei finanziamenti postergati dei soci sia superiore a quello complessivamente riservato ai soci anteriori alla presentazione della domanda». Spolidoro M. S., I soci dopo l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi, in Rivista delle Società, fasc.5-6, 10/2022, pag. 1254.
[15] 
Sul punto si richiama Tribunale di Monza, 5 agosto 2010, Pres. Paluchowski, (pubblicata su IlCaso.it), in base al quale ai fini del computo delle maggioranze per l’approvazione del concordato preventivo, non si deve tener conto del voto dei soci che hanno finanziato la società nell’ultimo anno, i quali, ai sensi dell’articolo 2467, Codice civile, sono postergati rispetto agli altri creditori chirografari e apparendo peraltro opportuna la loro collocazione in una classe a parte. Più in particolare si legge nel provvedimento che: «(…) occorre inertizzare il voto del socio (creditore) nel computo della maggioranza, accertando se la stessa si sarebbe ugualmente raggiunta anche se tali voti, “interessati particolarmente” e non omogenei a quelli degli altri creditori, non fossero stati manifestati. Va ricordato infatti che la decisione maggioritaria produce lo stesso effetto per tutti i votanti, quando rispetto ad essa tra essi esiste un interesse comune, che giustifica la soggezione della minoranza dissenziente alla volontà maggioritaria. Se tale interesse comune non sussiste, perché il voto è inquinato da un interesse atipico e potente di alcuni dei votanti, si legittima la sterilizzazione del loro voto, come avviene nelle assemblee di società per azioni».
[16] 
I soci, inseriti in una o più classi, esprimono il proprio voto nelle forme e nei termini previsti per l’espressione del voto da parte dei creditori. (…) Il socio che non ha espresso il proprio dissenso entro il suddetto termine si considera dissenziente.
[17] 
In questo senso Esposito C., op.cit., pag. 12.
[18] 
«Superata qualche iniziale perplessità, nel vigore della legge fallimentare era considerato ormai pacifico che i concordati con continuità aziendale diretta potessero assicurare, nella normalità dei casi, il mantenimento della proprietà dell’azienda in capo all’imprenditore e quindi, indirettamente, la partecipazione nel capitale sociale in capo ai soci indipendentemente dal loro apporto di risorse nuove. Si trattava, ovviamente, di una soluzione particolarmente gradita ai soci, che nella realtà italiana sono spesso portatori di interessi analoghi o coincidenti con quello degli amministratori. È innegabile, d’altro canto, che nel concordato in continuità diretta il peso del risanamento gravasse principalmente, quando non unicamente, sui creditori sociali limitando il sacrificio dei soci alla sola indisponibilità dei flussi finanziari destinati all’adempimento della proposta concordataria: sacrificio, questo, comunque ben inferiore a quanto sarebbe stato loro richiesto in assenza di soluzioni concorsuali per l’integrale e regolare pagamento dei creditori aziendali». Così Guiotto A., Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, in Dirittodellacrisi.it, 13 aprile 2023.
[19] 
«L’assurditàdelle conseguenze induce a rimeditare le premesse. In sostanza occorre trarre alla luce dei nuovi principi, nuove regole di distribuzione del valore che conciliano opposte esigenze.», così Stanghellini L., La salvaguardia del valore all’esito della ristrutturazione aziendale e la sua allocazione, Intervento al convegno Il diritto della crisi tra processo e valore dell’impresa, ottobre 2023.
[20] 
Così Rordorf R., op. cit.
[21] 
Guiotto A., op. cit.
[22] 
Rordorf sul punto evidenzia che: «La collocazione di tale disposizione nell’ambito di un articolo intitolato «Condizioni di omologazione del concordato con attribuzione ai soci» potrebbe far credere che il diritto di opposizione dei soci sia limitato alla sola ipotesi in cui il concordato preveda una qualche attribuzione a loro favore. Esigenze sistematiche suggeriscono, però, un’interpretazione più ampia, che riconosca ai soci la legittimazione ad opporsi all’omologazione in tutti i casi nei quali sia ravvisabile un deterioramento della loro posizione rispetto all’alternativa liquidatoria. Verrebbe altrimenti a determinarsi in loro danno una sorta di espropriazione senza indennizzo dei diritti, incompatibile con l’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU e con l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea». Rordorf R., op. cit., pag. 6.

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