Il complesso ruolo dei soci nella gestione della crisi d’impresa*
Patrizia Riva, Professore associato presso l’Università del Piemonte Orientale
26 Gennaio 2024
Cambia dimensione testo
Sommario:
Ciò rileva con riferimento al tema qui trattato del ruolo dei soci, in quanto la direttiva insolvency ha previsto all’art. 12 che gli stati membri dovessero provvedere affinché ai detentori di strumenti di capitale non fosse consentito di impedire o ostacolare irragionevolmente l’adozione e l’omologazione di un piano di ristrutturazione.
Nel contesto nazionale è opportuno ricordare che nella versione originaria della legge fallimentare vigeva il principio della cosiddetta «neutralità» delle procedure concorsuali nei riguardi delle regole societarie, pertanto la ripartizione delle competenze tra amministratori e assemblea rimaneva immutata. In seguito, con le modifiche apportate dalle riforme succedutesi prima dell’introduzione del CCII, si è stabilito che la competenza per l’accesso alle procedure fosse attribuita agli amministratori. L’introduzione del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, in attuazione dell’art. 12 della Direttiva Insolvency citato, ha accentuato di molto il ruolo degli amministratori ai quali soli, sono affidate «in via esclusiva»: sia la decisione sull’accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, sia la definizione del contenuto della proposta, sia infine la predisposizione del piano e quindi la determinazione delle condizioni alla base dello stesso. I soci sono relegati sullo sfondo enfatizzando il fatto che il loro è un residual claim[2].
Ciò è avvenuto collocando nel Capo III, Concordato preventivo[3], del Titolo IV, Strumenti di regolazione della crisi, la sezione VI bis Degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società[4].
La rivisitazione del ruolo dei soci, porta a quella che si può definire quantomeno una parziale «espropriazione» della possibilità per questi ultimi di esprimersi sulle operazioni, anche straordinarie, che gli amministratori individuano e autonomamente pongono alla base del turnaround[5]. Infatti alle modifiche statutarie previste dal piano predisposto esclusivamente dagli amministratori è consentito anche incidere direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, i quali vengono quindi a trovarsi in una posizione di vera e propria soggezione che, si è autorevolmente sostenuto, mutuando il linguaggio tipico del diritto amministrativo, ben potrebbe descriversi in termini di affievolimento dei loro diritti a fronte di un interesse giudicato meritevole di maggior tutela[6]. Più in particolare, l’art. 120 bis, comma 2, CCII stabilisce che ai fini del buon esito della ristrutturazione il piano, predisposto, come visto, dagli amministratori, possa prevedere qualsiasi modificazione dello statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione[7] e altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni. La dottrina ha evidenziato che unica eccezione alla regola può essere individuata nella trasformazione regressiva, fattispecie tutt’altro che diffusa in situazione di crisi, che comporti cioè l’assunzione da parte dei soci della responsabilità illimitata stante la lettera dell’articolo 2500 sexies c.c. che prevede che è «comunque» richiesto il consenso dei soci chiamati a modificare il proprio coinvolgimento[8].
Altrettanto rilevante è la disposizione di cui al successivo comma 4 del medesimo articolo in base alla quale dalla iscrizione della decisione nel registro delle imprese fino alla omologazione, la revoca degli amministratori deve considerarsi inefficace se non ricorre giusta causa, con la precisazione che non costituisce giusta causa la presentazione di una domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza in presenza delle condizioni di legge e che la deliberazione di revoca deve essere approvata con decreto dalla sezione specializzata del tribunale delle imprese competente sentiti gli interessati. Conviene riflettere sul fatto che, presupposto per l’irrevocabilità degli amministratori è rappresentato dalla sussistenza dei presupposti per adire allo strumento individuato e quindi in ultima analisi dalla effettiva presenza di una situazione di crisi come definita dal CCII[9]. Rappresenterebbe pertanto in questo contesto giusta causa l’assenza di una tale situazione. Ciò potrebbe configurarsi qualora i soci valutino e dimostrino che, contrariamente a quanto rappresentato dagli amministratori, sussista la capacità previsionale dell’azienda ex se di far fronte alle proprie obbligazioni o, in alternativa, qualora sia stata prospettata dai soci stessi la possibilità di ripristinare la situazione di equilibrio finanziario prospettico con la pianificazione di un adeguato apporto di nuovo capitale. Ciò dovrebbe essere stato manifestato formalmente e in tempo utile, ossia prima della delibera degli amministratori di adire a una procedura di ristrutturazione, dando prova della capacità dei soci proponenti la strategia alternativa di tenere fede alle dichiarazioni di intenti rilasciate ossia fornendo dimostrazione della loro capacità finanziaria.
In primo luogo, qualora rappresentino almeno il 10% del capitale sono legittimati, ai sensi del comma 5 dell’art. 120 bis CCII, alla presentazione di proposte concorrenti (ex art. 90 CCII), strumento, come noto, poco (per non dire affatto) diffuso nella prassi anche per le criticità strutturali che lo stesso presenta legate alla disponibilità, o, meglio, «indisponibilità salva richiesta specifica» di informazioni. Sul punto autorevole dottrina ha considerato necessaria l’equiparazione tra soci e creditori quanto al diritto di acquisizione delle necessarie informazioni dal Commissario Giudiziale[12]. Ne segue che quest’ultimo deve interfacciarsi in forza del richiamo normativo con i soci proponenti (così come ai sensi dell’art. 90 CCII con il creditore) fornendo loro tutte le informazioni utili sulla base delle scritture contabili e fiscali obbligatorie del debitore, nonché ogni altra informazione rilevante in suo possesso per la presentazione di una loro specifica proposta concorrente. Ma ciò non basta in quanto la lettera della norma, che sul punto non risulta modificata in modo sostanziale rispetto alla previgente lettera della legge fallimentare, prevede una esimente per i soci (e per i creditori) proponenti quanto all’obbligo di nomina di un professionista indipendente per la redazione della attestazione sulla veridicità della base dati ed eventualmente anche sulla fattibilità stessa del piano, qualora non vi siano aspetti non ancora validati dal Commissario[13].
In secondo luogo, è possibile prevedere il loro classamento così da permettere l’espressione di voto ai sensi del primo e terzo comma dell’art 120 ter CCII. In particolare, ai sensi del primo comma «lo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza può prevedere la formazione di una classe di soci o di più classi se esistono soci ai quali lo statuto, anche a seguito delle modifiche previste a piano, riconosce diritti diversi» e ai sensi del secondo comma «i soci, inseriti in una o più classi, esprimono il proprio voto nelle forme e nei termini previsti per l’espressione del voto da parte dei creditori». Si tratta di previsioni che rappresentano, a parere di chi scrive, una novità assoluta per il nostro ordinamento e devono proprio per questo essere analizzate con attenzione al fine di delimitarne correttamente l’ambito applicativo.
È opportuno ricordare che vigente la legge fallimentare, i soci sono stati inseriti nella prassi ai fini della formulazione della proposta ai creditori nell’ambito di procedure di concordato preventivo in specifiche classi, ma ciò non in quanto tali ossia in funzione della detenzione di azioni o quote, ma se e in quanto portatori di crediti nei confronti della società. A seconda della natura dei crediti vantati, essi potevano poi vedersi, postergare, se portatori di un credito di finanziamento o, porre in concorso con gli altri creditori, se portatori di un credito di funzionamento (ossia commerciale)[14]. Non solo, ma il voto della classe dei soci-creditori era inertizzato per evitare che influenzasse l’esito delle votazioni dei creditori non soci e ciò in quanto il socio creditore era considerato portatore di interessi particolari e non omogenei[15].
Con il CCII può invece essere creata una «classe» per i soci (in quanto soci) o come già richiamato, eventualmente, più «classi», qualora vi siano portatori di particolari categorie di strumenti di capitale. Si tratta di una possibilità non di un obbligo, ma diviene obbligo in due situazioni ossia: i) se il piano preveda modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci; e, in ogni caso, ii) per le società quotate. L’art. 120 ter CCII stabilisce che per i soci, a differenza di quanto accade per i creditori, si applichi il meccanismo del silenzio assenso[16]. Il diritto di voto spetta in modo proporzionale alla quota di capitale sociale posseduta anteriormente alla presentazione della domanda di accesso della società alla procedura concorsuale senza tenere conto delle perdite di capitale subite che potrebbero avere inciso sul capitale.
La classazione dei soci comporta ai sensi dell’art. 120 quater CCII, in caso di concordato, la previsione di un valore loro riservato.
Ciò sembra portare al superamento dell’orientamento che valutava tale possibilitàcontraria all’art. 2740 c.c.[17] (secondo cui il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri, mentre limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge) e quindi anche del successivo art. 2741 c.c. (che regola il concorso dei creditori alla soddisfazione sul patrimonio del debitore). Si è per molto tempo, infatti, dibattuto sulla legittimità di una soluzione concordataria (in continuità aziendale), che consentisse all’imprenditore di mantenere la proprietà dell’azienda dopo una ristrutturazione del debito che prevedesse la soddisfazione solo parziale dei creditori aziendali[18].
Se, infatti, si parte della premessa che la distribuzione del valore deve seguire la regola della priorità assoluta (APR o Absolute Priority Rule) ossia se non è possibile dare alcunché ai creditori successivi se non sono stati pagati quelli di rango superiore, non si potrebbe dare nulla ai soci perché non solo non sono creditori, ma sono gli ultimi soggetti della cosiddetta «cascata del valore». Se così fosse, però se ne dovrebbe dedurre l’impossibilità di fare concordati preventivi in continuità aziendale diretta, perché in questo caso la società rimane con il suo patrimonio sia pure conformato e modificato per effetto del concordato stesso il quale solitamente resta detenuto in tutto o in parte dai soci pre-esistenti[19].
L’introduzione del CCII, e in particolare del citato art. 120 quater, modifica il contesto normativo stabilendo in modo esplicito e con specifico riferimento al concordato preventivo la possibilità di attribuire anche ai soci una parte del valore risultante dalla ristrutturazione.
Più in particolare il secondo comma sempre dell’art. 120 quater specifica che, per valore riservato ai soci si intende il valore effettivo, conseguente all’omologazione della proposta, delle loro partecipazioni e degli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle, dedotto però il valore eventualmente apportato (dai soci stessi) ai fini della ristrutturazione in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto oppure per le imprese minori anche in altra forma.
In altri termini e in estrema sintesi: i soci possono ambire a preservare in tutto o in parte il valore delle loro partecipazioni.
Nel caso in cui vi siano delle classi dissenzienti, il medesimo articolo prevede due fattispecie. Se la classe o le classi dissenzienti non sono quelle di ultimo rango e quindi nel caso in cui vi siano una o più classi di rango inferiore che abbiano dato il loro assenso alla proposta di concordato, il Tribunale deve verificare se, qualora il valore complessivamente riservato ai soci fosse attribuito alle classi favorevoli di creditori di rango inferiore, queste non riceverebbero un trattamento migliore rispetto a quello riservato ai creditori della classe o dalle classi dissenzienti di rango superiore. Se invece è la classe di creditori di ultimo rango a essere dissenziente non è da comparare il suo grado di soddisfazione con quello di classi inferiori, e quindi si deve procedere confrontando il valore destinato a detta classe dissenziente e quello riservato complessivamente ai soci. Ne segue che si avrà l’omologazione solo se ai soci tocca un trattamento deteriore rispetto a quello spettante alla classe dissenziente dei creditori[20].
È stato puntualmente evidenziato in dottrina[21] che: i) il concetto di valore risultante dalla ristrutturazione utilizzato dal legislatore nell’ambito dell’art. 120 quater rappresenta un valore assoluto e corrisponde al valore dell’azienda al momento dell’omologazione del concordato, al netto dell’indebitamento concorsuale e operativo; ii) tale valore non coincide con quello di valore eccedente il valore di liquidazione assoggettabile alla Relative Priority Rule ai sensi dell’art. 84, comma 6, che è invece un valore differenziale calcolato come differenza tra i flussi finanziarti netti prodotti dalla gestione nell’arco di piano, a servizio dell’indebitamento concorsuale, e il valore di liquidazione, quest’ultimo pari al valore astrattamente disponibile per i creditori concorsuali in caso di liquidazione giudiziale.
Si tratta di una indicazione nuova che non dovrà essere sottovalutata dagli amministratori. Questi ultimi dovranno pertanto tenere presente la necessità di notiziare, sia al momento della implementazione della scelta operata, sia poi in fase esecutiva della stessa, non solo i creditori con i quali sono state concertati covenant e di conseguenza strumenti di reportistica periodica necessari per il loro controllo e rivalutazione, ma anche i soci, categoria questa in passato non formalmente prevista quale destinataria di specifiche informative.
Nella fase iniziale di accesso allo strumento prescelto, non dovrà essere dimenticato, che il principali strumenti di difesa dei soci consistono, come accennato supra: i) da un lato nel contestare la mancata sussistenza di validi presupposti per adire a uno strumento di risoluzione della crisi; e, ii) dall’altro lato nella possibilità di opporsi all’omologazione, dimostrando che quanto proposto (nel caso in cui si stia impostando una strategia concordataria) è meno favorevole rispetto all’alternativa liquidatoria, come indicato dal comma 3 dell’art. 120 quater CCII[22]. Sarà pertanto necessario che l’informativa proposta dagli amministratori contempli anche questi aspetti al fine di prevenire possibili opposizioni gestendo ex ante i potenziali dissensi endosocietari.
• Comoli M., Danovi A., Quagli A., Riva P., «L’adeguatezza degli assetti per l’early warning e il turnaround», in Riva P., «Ruoli di Corporate Governance. Adeguati assetti e Sostenibilità», Egea, settembre 2023.
• Difino M., Villa P., «Il ruolo del Collegio Sindacale nelle società non quotate e nelle società quotate e il ruolo del revisore», in Riva P., «Ruoli di Corporate Governance. Adeguati assetti e Sostenibilità», Egea, settembre 2023. Utile sul punto anche il riferimento a: Consiglio Nazionale del Notariato, Notizie n. 33 del 20 febbraio 2019.
• Difino M., Riva P., «Amministratori, organo di controllo e revisore: i doveri», in Fascicolo 1 «Adeguati assetti societari per la prevenzione della crisi»; e «Obbligo di attivazione del collegio sindacale o del sindaco unico», in Fascicolo 3 «Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa»; e «Attività di vigilanza e organo di controllo nelle Pmi», in Fascicolo 7 «Organi sociali e figure professionali nella gestione della crisi», tutti a cura di Danovi A. e Acciaro G., nella Collana Nuovo Codice della Crisi d’Impresa, Il Sole 24 Ore, Milano, 2022.
• Donati I., «Le ricapitalizzazioni forzose», Giuffrè Ed., 2020.
• Esposito C., «Il ridimensionamento delle prerogative e le responsabilità dei soci nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza». in Giustizia Civile, fasc.2, febbraio 2022, pag. 377.
• Hirschman A. O., «Exit Voice and Loyalty: Responses to Decline in Firms, Organizations, and States», 1970.
• Ginevra E., Intervento nel convegno Crisi d’Impresa: novità, prospettive, opportunità, CCIAA Varese, 11.11.2023.
• Guiotto A., «Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale», in Dirittodellacrisi.it, 13 aprile 2023.
• Panzani A., «Il preventive restructuring framework nella Direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 e il codice della crisi. Assonanze e dissonanze». Approfondimenti crisi d’impresa, Fallimento, 14/10/2019.
• Panzani L., «I doveri delle parti», in De Simone L., Fabiani M., Leuzzi S., «Studi sull’avvio del Codice della Crisi», in Dirittodellacrisi.it, settembre 2022.
• Riva P., «Interazione tra commissario e altri professionisti del risanamento. Le criticità in caso di proposte concorrenti: una “metamorfosi giuridica?”», Il Fallimentarista, Giuffrè Francis Lefebvre, 2021-06.
• Riva P., «Ruoli di Corporate Governance. Adeguati assetti e Sostenibilità», Egea, settembre 2023.
• Rordorf R., I soci di società in crisi, Società 10/2023
• Spolidoro M.S., «I soci dopo l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi», in Rivista delle Società, fasc.5-6, 10/2022, pag. 1254
• Stanghellini L., «La salvaguardia del valore all’esito della ristrutturazione aziendale e la sua allocazione», Intervento al convegno «Il diritto della crisi tra processo e valore dell’impresa», ottobre 2023.
• Tribunale di Monza, 5 agosto 2010, Pres. Paluchowski, (pubblicata su IlCaso.it).
Note: