Il binomio “crisi-risanamento”[1] appare tra i campi più esplorati dell’economia, e più dibattuti nella letteratura aziendalistica dove si sono radicate le più significative contaminazioni di altre discipline, in specie giuridiche. I filoni di studio più autorevoli[2] , definiscono il binomio “crisi-risanamento” secondo tre principali prospettive:
- macroeconomica. Questa prospettiva presta attenzione alla dinamica di variabili strutturali, quali le materie prime, il costo e la disponibilità dei fattori produttivi, l’evoluzione tecnologica e i fattori ambientali (includendo i regimi politici, la funzionalità ` dei mercati finanziari), le dotazioni infrastrutturali, nonché la propensione al risparmio o al consumo della popolazione;
- di settore. Questa prospettiva prioritariamente declina in ambiti settoriali i fattori macroeconomici, in quanto suscettibili di condizionare il grado di attrattività ` e la dinamica competitiva. I settori mostrano vari gradi di frammentazione ed accolgono dinamiche competitive complesse e non omogenee, e differenti secondo i principali raggruppamenti competitivi;
- aziendale. Questa terza prospettiva fa riferimento ad un’accezione eterogenea che include i sistemi di misurazione dei segnali di crisi, l’analisi delle possibili cause, l’impostazione e la realizzazione di una strategia di risanamento, che coinvolgono i responsabili aziendali ed i dipendenti dell’impresa, nonché ´tutti gli stakeholders. A tale approccio hanno fatto riferimento agli strumenti legislativi e le prassi utilizzate in situazioni di crisi.
Invero, la nozione di crisi aziendale non può prescindere da un’impostazione che fa propria contemporaneamente le tre prospettive, e quindi, l’analisi delle cause di crisi, i modelli di misurazione e previsione, la scelta delle strategie di risanamento a breve e a medio-lungo, che non possono essere formalizzati in modo prescrittivo e generalizzato, ma richiedono la conoscenza dell’azienda e della sua gestione, l’analisi della concorrenza e delle fonti reali e potenziali del vantaggio competitivo[3]. La teoria di Guatri[4] mette bene in evidenza la consapevolezza che l’impresa, inevitabilmente, nel corso del suo ciclo di vita dovrà affrontare momenti di crisi e di risanamento. La crisi può essere correlata da una parte ad eventi aziendali e anche al mutamento dell’ambiente esterno (prospettiva macroeconomica e di settore), e dall’altra, alla necessità di sviluppare delle azioni di “risanamento permanente”[5]. Guatri utilizza l’equazione del valore W=R/i [6], per cui la crisi è correlata ad una variazione negativa in termini di valore, dove declino[7] e crisi possono dipendere non solo da una diminuzione dei flussi (eventi interni: risultati economici e flussi di cassa), ma anche da un mutare delle condizioni di rischio (eventi esterni). A partire da questa definizione è possibile proporne specularmente quella di risanamento: in termini di ripresa della creazione di valore, correlata o conseguente, alla rinnovata sintonia con l’ambiente esterno[8].
Entrambe le definizioni (crisi e risanamento) hanno valore contingente e recepiscono le specificità di ciascuna situazione e impresa. Di conseguenza, è difficile raggiungere un’intesa univoca sul significato della parola crisi, e ancora più difficile è intendersi su quella di risanamento[9]. Piuttosto, come spiegato dalla dottrina aziendalistica, potrebbe essere utile prendere in esame una serie di elementi raggruppati in quattro classi fondamentali:
- le “cause della crisi”[10], con due capisaldi principali: l’imprenditore o il management ed altri fattori interni da un lato; i fattori esterni dall’altro, comprese le fonti di vantaggio competitivo, commisurate a molteplici fattori. Pe fare alcuni esempi le cause interne possono essere: a) management inadeguato; b) carente controllo della gestione finanziaria; c) incapacità` a gestire le risorse aziendali; d) costi di funzionamento troppo elevati; e) politiche commerciali insufficienti; f) eccessivi carichi di attività `; g) commesse di grandi dimensioni inesitate; h) politiche di acquisizioni inadeguate; i) errata politica degli investimenti; l) inerzia e confusione organizzativa. Tra le cause esterne: a) modificazioni nella domanda; b) dinamiche concorrenziali; c) andamento sfavorevole dei prezzi di beni/servizi.
- gli “indicatori di crisi”, nell’estrema varietà dei parametri prescelti[11], difficilmente indicano in modo diretto la reale causa di crisi. Essi hanno generalmente attinenza con i profili reddituali e finanziari e di sostenibilità, fornendo indicazioni più o meno immediate e che al superamento di certe soglie-critiche rappresentano dei “trigger event”[12];
- gli “eventi scatenanti”. L’evento scatenante è un elemento cruciale poiché in mancanza molte imprese rischiano di trasformarsi in “rane bollite” che agiscono ignorando la crescente necessita ` di un cambiamento fino al fallimento[13]. I trigger di un evento scatenante possono essere diversi, a titolo esemplificativo[14]una classificazione può comprendere: la crisi reale, percepita (o costruita dal management); l’insoddisfazione di attori esterni dominanti (azionisti o creditori) che impongono il cambiamento; l’inserimento di un nuovo CEO allo scopo dichiarato di intraprendere il cambiamento; la percezione, da parte del senior management, di nuove minacce/opportunità; la minaccia o la realizzazione di un take-over. Classificare diverse tipologie di trigger di eventi scatenanti, non significa che ciascuno sia ugualmente probabile o ugualmente capace di innescare un processo di risanamento o un modello di intervento[15].
- i “modelli di intervento”, sono sotto il profilo tecnico e teorico diversi, e possono fornire supporto nella gestione della crisi[16]:.
A conclusione di questa disamina, si può affermare che, il binomio “crisi- risanamento” è un binomio inscindibile, anche in funzione del postulato che gli interventi di risanamento sono consequenziali a fenomeni, rapidi o striscianti, della crisi. Per cui, ricorrendo sempre Guatri, la crisi aziendale è un processo cumulativo a stadi:
i) “equilibrio – inefficienze - perdite economiche – insolvenza – dissesto”: che potrebbe comportare la progressiva distruzione della capacità reddituale e del consenso sociale dell’impresa. Può essere più o meno reversibile in funzione dello stadio di avanzamento in cui viene fronteggiato. Il risanamento è possibile a patto di non aver superato il punto di non ritorno del declino, potendo contare su un sufficiente apparato di risorse finanziarie e competenze manageriali.
ii) “squilibrio finanziario - perdite economiche – insolvenza”, che porta con sé le altre cause: di perdita di capacità dell’impresa in termini di strategia competitiva, competenze e processi produttivi; l’incapacità ` del management; la rigidità o, meglio, inerzia conservativa dell’azienda e/o della rete di attori dominanti[17].
Specularmente, ad una definizione di crisi come processo degenerativo a stadi, in cui viene compromesso, a volte irreparabilmente, un determinato elemento-chiave: valore, competenze distintive, adattabilità proiettiva, ecc., il risanamento è il percorso di ritorno alla creazione del medesimo elemento chiave[18] .
Questa indagine di fatto conduce ad un aspetto chiave del binomio “crisi-risanamento”: la “gestione del rischio economico, fiscale, ambientale, sociale, di governance” che non può essere avulsa dal “fare impresa” e da cui discende la responsabilità dei soggetti che partecipano al suo funzionamento (continuità aziendale ) nell’ accezione più ampia di responsabilità: sociale (verso i creditori, verso i dipendenti, e la comunità in generale); ambientale (per gli impatti negativi sull’ambiente e l’assenza di politiche e azioni di mitigazione), di governance (nei confronti dei soci e degli organi di governance) e di qualsiasi portatore di interesse (stakeholder tutti)[19].