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Saggio

Gli adeguati assetti societari nel binomio “crisi – risanamento” d’impresa, responsabilità per gravi irregolarità in situazione di “non crisi”. Spunti operativi per PMI*

Monica Peta, Dottore Commercialista in Roma

21 Ottobre 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’ A. dopo una disamina economico-aziendalistica dell’art. 3, CCII - e successive modifiche correttivo ter del Codice della crisi, si sofferma sulle responsabilità dei soggetti preposti alla gestione e controllo dell’impresa in ipotesi di gravi irregolarità ex art. 2409, c.c., per la mancata istituzione dì adeguati assetti in situazione di “non crisi”, con spunti operativi per le PMI dalla lettura di sentenze significative.
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1 . Introduzione
L’art. 3, CCII (e successive modifiche correttivo ter del Codice della Crisi) sull’adeguatezza delle misure e degli assetti societari, e sugli obblighi dei soggetti che partecipano all’emersione anticipata e regolazione della crisi e dell’insolvenza, non contiene indicatori di allarme di una crisi in atto, piuttosto suggerisce quel che occorre per prevederla e prevenirla, in modo che possibilmente non si manifesti affatto. Tuttavia, il precetto normativo sembrerebbe non considerare le circostanze tipiche della vita di un’impresa che ricadono nel binomio “crisi-risanamento”, e che potrebbero invece essere utili per restituire equilibrio alle responsabilità dell’impresa anche, e non solo, nei confronti del creditore. Dopo una disamina del dato normativo con un approccio economico- aziendalistico, l’autrice si sofferma sulle responsabilità dei soggetti preposti alla gestione e controllo dell’impresa in ipotesi di gravi irregolarità ex art. 2409, c.c., in situazioni di “non crisi” di un’impresa senza adeguati assetti, con spunti operativi per le PMI.
2 . Adeguati assetti societari: obbligo per la rilevazione anticipata della crisi o dovere per la gestione dell’impresa?
L’adeguatezza delle misure e degli assetti societari declinati nell’art. 3 del Codice della Crisi, è un tormentoso tema che sta investendo indistintamente l’impresa, esperti e accademici, giudici e finanche il legislatore. Il correttivo ter del Codice della Crisi, infatti, è ritornato sul contenuto degli indicatori delle misure e degli adeguati assetti, nonché sugli obblighi dei soggetti che partecipano alla prevenzione della crisi d’impresa.
L’attuale art. 3, CCII - Adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa- non contiene indicatori di una crisi in atto, ma piuttosto suggerisce quel che occorre per prevederla e prevenirla, in modo che possibilmente non si manifesti affatto.
Ciò sotto il profilo operativo, ha sollevato l’esigenza di chiarimenti e precisazioni da un duplice punto di vista: i) come possono o debbano “funzionare” le misure e gli adeguati assetti per lo scopo di legge di salvaguardare la continuità dell’impresa (potrebbe essere utile l’individuazione di precisi standard?); ii) la necessità di non avvilire un elemento vitale e connaturato all’attività imprenditoriale dell’assunzione del rischio, ma sovente non formalmente presidiato nelle PMI.
Il correttivo ter del CCII modifica il comma 4, dell’art. 3, per chiarire che gli indicatori di cui alle lett. a), b), c), d), servono ad agevolare, anche prima dell’emersione della crisi o dell’insolvenza, la previsione di segnali di precrisi, che pertanto non sono segnali di allarme per una situazione già compromessa, ma elementi che forniscono indicazioni in chiave prospettica e preventiva. Ciò giustificherebbe anche le soglie particolarmente basse dell’articolo 25 novies e il fatto che l’invito alla presentazione dell’istanza di accesso alla composizione negoziata è formulato soltanto se ne ricorrono i presupposti (ex art. 25 novies, comma 3).
Da qui, una chiave interpretativa più pragmatica porterebbe ad affermare che, l’art. 3, collocato tra i principi generali, al capo II del CCII, fornirebbe le indicazioni entro le quali l’imprenditore agendo costantemente in via preventiva eviterebbe la crisi. Qualora non vi riuscisse avrebbe, comunque, maggiori possibilità di perseguire con successo il proprio risanamento. Così, di fatto, il legislatore, pur integrando per certi versi un approccio aziendalistico, sembrerebbe aver costruito un impianto normativo che isola talune circostanze tipiche della vita di un’impresa, che potrebbero invece essere utili per restituire equilibrio alla responsabilità dell’imprenditore nei confronti ad esempio del creditore.
Superare i confini del Codice della crisi, riprendendo il binomio “crisi-risanamento” d’impresa secondo l’approccio economico aziendalistico prevalente, potrebbe essere utile per comprendere la funzione e la portata degli adeguati assetti, in specie nelle PMI e risolvere alcuni dubbi applicativi.
3 . Binomio “crisi-risanamento” d’impresa e la gestione del rischio fiscale, economico, sociale, ambientale, di governance
Il binomio “crisi-risanamento”[1] appare tra i campi più esplorati dell’economia, e più dibattuti nella letteratura aziendalistica dove si sono radicate le più significative contaminazioni di altre discipline, in specie giuridiche. I filoni di studio più autorevoli[2] , definiscono il binomio “crisi-risanamento” secondo tre principali prospettive: 
-  macroeconomica. Questa prospettiva presta attenzione alla dinamica di variabili strutturali, quali le materie prime, il costo e la disponibilità dei fattori produttivi, l’evoluzione tecnologica e i fattori ambientali (includendo i regimi politici, la funzionalità ` dei mercati finanziari), le dotazioni infrastrutturali, nonché la propensione al risparmio o al consumo della popolazione;  
-  di settore. Questa prospettiva prioritariamente declina in ambiti settoriali i fattori macroeconomici, in quanto suscettibili di condizionare il grado di attrattività ` e la dinamica competitiva. I settori mostrano vari gradi di frammentazione ed accolgono dinamiche competitive complesse e non omogenee, e differenti secondo i principali raggruppamenti competitivi; 
- aziendale. Questa terza prospettiva fa riferimento ad un’accezione eterogenea che include i sistemi di misurazione dei segnali di crisi, l’analisi delle possibili cause, l’impostazione e la realizzazione di una strategia di risanamento, che coinvolgono i responsabili aziendali ed i dipendenti dell’impresa, nonché ´tutti gli stakeholders. A tale approccio hanno fatto riferimento agli strumenti legislativi e le prassi utilizzate in situazioni di crisi. 
Invero, la nozione di crisi aziendale non può prescindere da un’impostazione che fa propria contemporaneamente le tre prospettive, e quindi, l’analisi delle cause di crisi, i modelli di misurazione e previsione, la scelta delle strategie di risanamento a breve e a medio-lungo, che non possono essere formalizzati in modo prescrittivo e generalizzato, ma richiedono la conoscenza dell’azienda e della sua gestione, l’analisi della concorrenza e delle fonti reali e potenziali del vantaggio competitivo[3]. La teoria di Guatri[4] mette bene in evidenza la consapevolezza che l’impresa, inevitabilmente, nel corso del suo ciclo di vita dovrà affrontare momenti di crisi e di risanamento. La crisi può essere correlata da una parte ad eventi aziendali e anche al mutamento dell’ambiente esterno (prospettiva macroeconomica e di settore), e dall’altra, alla necessità di sviluppare delle azioni di “risanamento permanente”[5]. Guatri utilizza l’equazione del valore W=R/i [6], per cui la crisi è correlata ad una variazione negativa in termini di valore, dove declino[7] e crisi possono dipendere non solo da una diminuzione dei flussi (eventi interni: risultati economici e flussi di cassa), ma anche da un mutare delle condizioni di rischio (eventi esterni). A partire da questa definizione è possibile proporne specularmente quella di risanamento: in termini di ripresa della creazione di valore, correlata o conseguente, alla rinnovata sintonia con l’ambiente esterno[8]. 
Entrambe le definizioni (crisi e risanamento) hanno valore contingente e recepiscono le specificità di ciascuna situazione e impresa. Di conseguenza, è difficile raggiungere un’intesa univoca sul significato della parola crisi, e ancora più difficile è intendersi su quella di risanamento[9]. Piuttosto, come spiegato dalla dottrina aziendalistica, potrebbe essere utile prendere in esame una serie di elementi raggruppati in quattro classi fondamentali: 
- le “cause della crisi”[10], con due capisaldi principali: l’imprenditore o il management ed altri fattori interni da un lato; i fattori esterni dall’altro, comprese le fonti di vantaggio competitivo, commisurate a molteplici fattori. Pe fare alcuni esempi le cause interne possono essere: a) management inadeguato; b) carente controllo della gestione finanziaria; c) incapacità` a gestire le risorse aziendali; d) costi di funzionamento troppo elevati; e) politiche commerciali insufficienti; f) eccessivi carichi di attività `; g) commesse di grandi dimensioni inesitate; h) politiche di acquisizioni inadeguate; i) errata politica degli investimenti; l) inerzia e confusione organizzativa. Tra le cause esterne: a) modificazioni nella domanda; b) dinamiche concorrenziali; c) andamento sfavorevole dei prezzi di beni/servizi. 
- gli “indicatori di crisi”, nell’estrema varietà dei parametri prescelti[11], difficilmente indicano in modo diretto la reale causa di crisi. Essi hanno generalmente attinenza con i profili reddituali e finanziari e di sostenibilità, fornendo indicazioni più o meno immediate e che al superamento di certe soglie-critiche rappresentano dei “trigger event”[12]; 
- gli “eventi scatenanti”. L’evento scatenante è un elemento cruciale poiché in mancanza molte imprese rischiano di trasformarsi in “rane bollite” che agiscono ignorando la crescente necessita ` di un cambiamento fino al fallimento[13]. I trigger di un evento scatenante possono essere diversi, a titolo esemplificativo[14]una classificazione può comprendere: la crisi reale, percepita (o costruita dal management); l’insoddisfazione di attori esterni dominanti (azionisti o creditori) che impongono il cambiamento; l’inserimento di un nuovo CEO allo scopo dichiarato di intraprendere il cambiamento; la percezione, da parte del senior management, di nuove minacce/opportunità; la minaccia o la realizzazione di un take-over. Classificare diverse tipologie di trigger di eventi scatenanti, non significa che ciascuno sia ugualmente probabile o ugualmente capace di innescare un processo di risanamento o un modello di intervento[15]. 
- i “modelli di intervento”, sono sotto il profilo tecnico e teorico diversi, e possono fornire supporto nella gestione della crisi[16]:. 
A conclusione di questa disamina, si può affermare che, il binomio “crisi- risanamento” è un binomio inscindibile, anche in funzione del postulato che gli interventi di risanamento sono consequenziali a fenomeni, rapidi o striscianti, della crisi. Per cui, ricorrendo sempre Guatri, la crisi aziendale è un processo cumulativo a stadi: 
i) “equilibrio – inefficienze - perdite economiche – insolvenza – dissesto”: che potrebbe comportare la progressiva distruzione della capacità reddituale e del consenso sociale dell’impresa. Può essere più o meno reversibile in funzione dello stadio di avanzamento in cui viene fronteggiato. Il risanamento è possibile a patto di non aver superato il punto di non ritorno del declino, potendo contare su un sufficiente apparato di risorse finanziarie e competenze manageriali. 
ii) “squilibrio finanziario - perdite economiche – insolvenza”, che porta con sé le altre cause: di perdita di capacità dell’impresa in termini di strategia competitiva, competenze e processi produttivi; l’incapacità ` del management; la rigidità o, meglio, inerzia conservativa dell’azienda e/o della rete di attori dominanti[17]. 
Specularmente, ad una definizione di crisi come processo degenerativo a stadi, in cui viene compromesso, a volte irreparabilmente, un determinato elemento-chiave: valore, competenze distintive, adattabilità proiettiva, ecc., il risanamento è il percorso di ritorno alla creazione del medesimo elemento chiave[18] . 
Questa indagine di fatto conduce ad un aspetto chiave del binomio “crisi-risanamento”: la “gestione del rischio economico, fiscale, ambientale, sociale, di governance” che non può essere avulsa dal “fare impresa” e da cui discende la responsabilità dei soggetti che partecipano al suo funzionamento (continuità aziendale ) nell’ accezione più ampia di responsabilità: sociale (verso i creditori, verso i dipendenti, e la comunità in generale); ambientale (per gli impatti negativi sull’ambiente e l’assenza di politiche e azioni di mitigazione), di governance (nei confronti dei soci e degli organi di governance) e di qualsiasi portatore di interesse (stakeholder tutti)[19].
4 . Adeguati assetti organizzativi-amministrativi-contabili: da dovere a corretta gestione dell’impresa
La disamina anteposta è utile per giungere alla considerazione che, la predisposizione degli assetti organizzativi sancito come dovere dall'articolo 2086, comma 2, c.c., inevitabilmente deve porsi all’interno del sistema di gestione del rischio dell’impresa, costituendo una condizione di legittimazione[20] dell'esercizio dell'attività d'impresa in condizioni di equilibrio patrimoniale economico e finanziario e di sostenibilità sociale, fiscale, ambientale e di governance. 
Prima ancora, dunque, di funzione per la rilevazione tempestiva e precoce dei segnali di precrisi l’istituzione funzionante degli assetti societari adeguati alle specificità dell’impresa (grande o piccola o media) si colloca sul piano della gestione ordinaria d’impresa, anzi dalla corretta gestione d’impresa, nelle assunzioni di scelte strategiche organizzative dell'impresa, oltre che di corretta amministrazione[21]. Per implicazione diretta, il perimetro dell'irregolarità della gestione imprenditoriale deve essere letto rispetto l'ambito dell'incidenza delle conseguenze delle irregolarità anche in una situazione di “non crisi” per assenza degli adeguati assetti[22]. Ciò trova una coerente spiegazione nella pronuncia del Tribunale di Catania, 8 febbraio 2023[23], dove, il giudice, nel caso specifico, ha accertato la totale carenza di assetti organizzativi adeguati come irregolarità grave ai sensi dell’art. 2409, c.c., tale da dare luogo alla revoca degli organi sociali e alla nomina di un amministratore giudiziario investito del compito di predisporre gli adeguati assetti anche in società non in crisi, e né prossima.
4.1 . La chiave di lettura del Tribunale Etneo: assenza di adeguati assetti e grave irregolarità ex art. 2409 c.c., in situazione di “non crisi”
Appare singolare la sentenza del Tribunale Etneo del 8 febbraio 2023, perché di fatto il giudice nella disamina iniziale della motivazione al decreto, sposta in avanti la “fines terrae” del perimetro di attivazione della denuncia di gravi irregolarità quale strumento di reazione alla mancata adozione di assetti organizzativi adeguati. Sei infatti per un verso, il diritto societario afferma che il dovere sancito dal secondo comma dell'articolo 2086 c.c. possa configurarsi quale “grave irregolarità” in ipotesi di gestione potenzialmente dannosa per la società, tale da poter dare luogo all’intervento dell’autorità giudiziaria, e alla conseguente ingerenza di soggetti esterni, in forma vuoi di ispezione, vuoi finanche di sostituzione degli organi sociali, per un altro verso, il foro etneo sopravanza con decisione il confine cui altri giudici si erano spinti sino ad oggi[24]. 
La vicenda concreta, della sentenza etnea, riguarda una PMI (la Brasilrecca spa) e si inserisce nel contesto di una faida familiare di più gruppi familiari, volta a contendersi il controllo di una società; e trae origine dalla denuncia presentata da un gruppo familiare titolare di una partecipazione azionaria di minoranza più che qualificata trovatasi, in successione vittima ad opera di due altri familiari coalizzati in un gioco di scalate azionarie per disaccordi familiari tra soci, afferente una deliberazione di revoca senza giusta causa dei propri esponenti dell'organo amministrativo; della promozione di un'azione sociale di responsabilità ex articolo 2409 c.c., e da ultimo, di licenziamento dal ruolo di dirigente rivestito dal ricorrente medesimo socio di minoranza. 
Il decreto del tribunale etneo specifica che il dovere di istituire assetti adeguati non può ritenersi adempiuto ed esaurito con la mera distribuzione delle deleghe di funzioni e di competenze endoconsiliari, né con la mera celebrazione ancorché ripetuta di sedute consiliari per la disamina, retrospettiva e statica della situazione economica e finanziaria della società in assenza della conclamata e confessata, nel caso concreto, della predisposizione di un piano industriale di medio lungo periodo e dunque di strumenti di analisi previsionali e dinamicamente proiettati in avanti. 
E’ evidente, aggiunge il Tribunale etneo, che nella fattispecie, in carenza di assetti organizzativi ex art. 2086, c.c., questi non risultano essere mai stati sollecitati neppure dal collegio sindacale (fermo restando l’applicazione della Business Judgement Rule) configurando di contro un grave inadempimento degli obblighi gravanti sull'organo gestorio concretizzando il nesso di causalità ad una grave irregolarità palesemente foriera di possibile pregiudizio sia per gli interessi dei creditori che per la società. 
Di conseguenza, per il Tribunale etneo, nella specifica ipotesi di assenza assoluta di alcun assetto adeguato ricorrono tutti i presupposti per addivenire alla misura estrema della revoca dell'organo amministrativo e della nomina di un amministratore giudiziario con il mandato inter alia di porre in essere anche gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, tra cui in particolare quello di verificare la circostanza della continuità aziendale adottando ogni iniziativa necessario con precipuo riguardo alla restituzione degli opportuni effetti organizzativi amministrativi e contabili ex articolo 2086, c.c. 
Proprio in questo punto la sentenza del Tribunale etneo ha di fatto spostato significativamente il confine della lettura della vicenda, al di là del Codice della Crisi. La posizione prende le mosse da una condivisibile quanto innovativa chiave di lettura della disposizione dell’art. 2086, c.c. collocata sul piano primordiale della gestione organizzativa strutturale dell'impresa. 
Il percorso argomentativo del decreto si può dunque sintetizzare nella regola generale che la mancata predisposizione ed istituzione degli adeguati assetti diviene grave irregolarità ex art. 2409, c.c., seppure in assenza di crisi o anche solo prossima probabile, nella misura in cui l'assenza di adeguati assetti è causa primaria e determinante di una gestione societaria non corretta[25]. 
5 . I doveri-poteri degli organi di controllo, le modifiche del correttivo ter all’ art. 25 octies, CCII
Nella mappatura dei soggetti che partecipano alla anticipata emersione della crisi, il CCII riconosce un ruolo proattivo agli organi di controllo e ai creditori qualificati. 
L’art. 25 octies (e modifiche successive del correttivo ter, CCII) specifica l’obbligo di segnalazione degli indizi di precrisi in capo al soggetto preposto alla vigilanza (organo di controllo societario, collegio sindacale o sindaco unico) e alla revisione legale dell’impresa (organo di controllo esterno, società di revisione o revisore unico): “Ciascuno nell’esercizio delle rispettive funzioni, segnalano per iscritto all'organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell'istanza di cui all'articolo 17 (accesso alla composizione negoziata quale strumento di composizione degli indizi di precrisi)”. 
In particolare, il collegio sindacale o unico sindaco, nell’ambito del dovere di vigilanza ex art. 2403, c.c.; e il revisore legale o società di revisione, nell’ambito dell’attività di revisione ai sensi del D.Lgs n. 39/2010, e secondo le responsabilità trattate dai principi di revisione internazionali Isa (Italia), devono segnalare, se sussistono, gli indizi di precrisi declinati dalle lettere a), b) e c) del comma 3 dell’articolo 3 del Codice della crisi: a) gli eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell'impresa e dell'attività imprenditoriale svolta dal debitore; b) la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali (indicatori quantitativi) che prima dell’emersione della crisi o dell’insolvenza, ne agevolano la prevenzione ; c) le informazioni necessarie per la lista di controllo particolareggiata per il test pratico e la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento. 
La segnalazione deve essere tempestiva e motivata, trasmessa all’organo amministrativo con mezzi che ne assicurano la prova dell'avvenuta ricezione, che indichi un congruo termine, non superiore a trenta giorni, entro il quale l'organo amministrativo deve riferire in ordine alle iniziative intraprese. La definizione del carattere di tempestività è stata integrata dal correttivo ter che aggiunge all’art. 25 octies il termine temporale di sessanta giorni. Ovvero la segnalazione, soddisfa la tempestività prescritta dal Codice della crisi, se avviene entro 60 giorni dalla conoscenza degli indizi di precrisi. 
Costituiscono segnali che, anche prima dell’emersione della crisi o dell’insolvenza, agevolano a rilevazione dell’emersione anticipata della crisi o dell’insolvenza dell’impresa (comma 4, art. 3): a) l'esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni pari a oltre la metà dell'ammontare complessivo mensile delle retribuzioni; b) l'esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti; c) l'esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni; d) l'esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall'articolo 25 novies, comma. 
Quanto alle specifiche funzioni, pesa sull’organo di controllo interno il dovere di vigilanza ai sensi dell’art. 2403 c.c., che si estrinseca su tre livelli: i) la vigilanza sull’adeguatezza e sul concreto funzionamento degli assetti organizzativi finalizzati alla rilevazione tempestiva della crisi e della perdita di continuità aziendale. Il recente e maggioritario orientamento giurisprudenziale è concorde nel ritenere che la violazione dell’obbligo di istituire assetti organizzativi adeguati è qualificabile in termini di “grave irregolarità nella gestione” ai sensi dell’art. 2409 c.c., per cui il collegio sindacale può quindi presentare denuncia al Tribunale. Sotto il profilo della corretta gestione dell’impresa, l’organo di controllo (come specificato dal Tribunale Etneo) è tenuto a verificare che l’assetto sia stato definito sulla base di un’adeguata individuazione dei rischi da presidiare e delle misure che comportano, al fine di evitare che la gestione dell’impresa prosegua senza un’adeguata percezione dei sintomi di squilibrio. L’adeguatezza deve essere valuta in funzione della natura e dimensioni dell’impresa, tenendo conto dei costi e benefici rispetto alla complessità dell’impresa; ii) coerentemente il Codice della crisi rafforza la vigilanza sul il rispetto dei criteri di corretta amministrazione delle situazioni di difficoltà economica dell’impresa laddove la norma dispone l’obbligo specifico di segnalare all’organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per accedere alla procedura di composizione negoziata; iii) in aggiunta il Codice della crisi estende il potere-dovere di vigilanza dell’organo di controllo a seconda dei diversi stadi di difficoltà dell’impresa attribuendo, all’organo di controllo, la legittimazione a richiedere l’apertura della liquidazione giudiziale nelle ipotesi di insolvenza conclamata. 
Quanto alla figura del soggetto preposto alla revisione legale dell’impresa e all’espressione del giudizio sul bilancio d’esercizio (revisore, o società di revisione, o sindaco che svolge la funzione di revisore), questi nelle funzioni specifiche del D.lgs. 39/2010, è responsabile dell’attività di controllo e verifica della continuità aziendale e del sistema di controllo interno, in conformità ai principi di revisione internazionali ISA (Italia). In particolare: i) il principio di revisione ISA (Italia) 570, tratta delle responsabilità del revisore di verificare attraverso le attestazioni prodotte dalla direzione aziendale, (e dal management), il presupposto della continuità aziendale ai fini della redazione del bilancio. Il presupposto è verificato se l’impresa è in grado di continuare a svolgere la propria attività come entità in funzionamento. Il principio elenca e descrive gli eventi e circostanze che possono far sorgere dubbi sul presupposto del going concern, anche con riferimento alle imprese di dimensioni minori, ed elenca dettagliatamente gli indicatori finanziari, gestionali e di altra natura dai quali dedurre l’esistenza o meno di incertezze significative; ii) il principio di revisione ISA (Italia) 315, tratta della responsabilità del revisore nell’individuazione e valutazione dei rischi di bilancio attraverso la comprensione del contesto dell’impresa e del sistema di controllo interno, SCI. Con riferimento a quest’ultimo il revisore deve valutare se il sistema configurato, secondo il principio di scalabilità ( rispetto alle dimensioni e complessità dell’impresa o dell’ente) messo in atto e mantenuto dai responsabili delle attività di governance, dalla direzione e da altro personale dell’ente, è adeguato alla finalità di fornire una ragionevole sicurezza sul raggiungimento degli obiettivi istituzionali con riferimento all’attendibilità dell’informativa finanziaria, all’efficacia e all’efficienza delle attività ed alla conformità alle norme e ai regolamenti applicabili, attraverso cinque componenti correlate: l’ambiente di controllo; il processo adottato dall’impresa per la valutazione del rischio; il processo adottato dall’impresa per monitorare il sistema di controllo interno; il sistema informativo e la comunicazione; le attività di controllo.
6 . La mappatura dei doveri e delle responsabilità dei soggetti interni ed esterni all’impresa nel Codice della crisi
Il correttivo ter in ordine alle integrazioni all’art. 25 octies, e dell’art. 3, CCII, conferma e rafforza le indicazioni del Codice della crisi riguardo una chiara mappatura dei doveri e delle responsabilità dei soggetti interni ed esterni all’impresa: i) interni alla società: organo amministrativo, organo di controllo societario; altri soggetti se del caso; ii) esterni: organo di revisione, creditori pubblici qualificati, organismi di vigilanza, se del caso. 
All’interno della mappatura dei ruoli e delle responsabilità di tutti i soggetti assume rilevanza l’adeguato assetto dei flussi informativi che non può prescindere dal fattore tempo, ovvero la “tempestività” è l’attributo che misura l’adeguatezza dei flussi informativi per l’emersione e la conoscenza anticipata di circostanze potenziali od effettive che possano prefigurare un probabile rischio di crisi dell’impresa. 
Quanto ai creditori qualificati, l'Istituto nazionale della previdenza sociale, l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia delle entrate Riscossione l’obbligo di segnalazione all'imprenditore e, ove esistente, all'organo di controllo, a mezzo di posta elettronica certificata o, in mancanza, mediante raccomandata con avviso di ricevimento inviata all'indirizzo risultante dall'anagrafe tributaria, ricorre distintamente al verificarsi delle situazioni di cui alle lette a), b), c) e d) dell’art. 25 novies, CCII[25]. 
Le segnalazioni forniscono elementi o indicazioni in chiave prospettica e preventiva di situazioni che possono giustificare l’invito alla presentazione dell’istanza di accesso alla composizione negoziata cui all'articolo 17, comma 1, CCII, quando l’imprenditore rimane inerte. 

Note:

[1] 
Atti del Convegno Crisis? What Crisis? Riflessioni aziendalistiche sulla emersione e gestione della crisi d’impresa, 7 giugno 2024, ODCEC Genova.
[2] 
Cfr. D. Riccardo, Saggio sulla produzione della ricchezza, 1817, (prima edizione italiana Utet, Torino, 1856); J.C.L. Sismonde de Sismondi, Trattato d’Economia Politica, 1819, (prima edizione italiana, Pomba, 1854); T. R. Malthus, Principi di Economia Politica considerati dal punto di vista della loro applicazione pratica, 1820, (prima edizione italiana, Milano, 1820); L. Guatri, «Un’interpretazione del concetto di crisi aziendale», in Finanza, Marketing e Produzione, XIII, 1, 1995; S. Mezzadra (a cura di), Crisis in the Global Economy: Financial Markets, Social Struggles, and New Political Scenarios, Los Angeles, Semiotect(e), 2010; R. Skidelsky (a cura di) The Economic Crisis and the State of Economics, New York, Mac Millan, 2010.
[3] 
Cfr A. Danovi, G. Indizio. Ipsoa, crisi aziendale e risanamento, estratto Crisi d’impresa, 2021.
[4] 
Cfr. L. Guatri, Op. cit. 1995.
[5] 
Cfr. A. Danovi, Crisi d’impresa e risanamento finanziario nel sistema italiano, Giuffrè, Milano 2003, pag. 12. Più recentemente: L. Faccincani, Banche, imprese in crisi e accordi stragiudiziali di risanamento. Le novità introdotte dalla riforma del diritto fallimentare, Milano, Giuffrè, 2007; M. Rutigliano (a cura di), Superare la crisi con i piani di risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, Giuffrè, 2010.
[6] 
Dove W è il valore dell’impresa, R sono i flussi reddituali (o finanziari) e il coefficiente di attualizzazione che tiene conto del rischio. 
[7] 
Cfr. L. Guatri, Op. cit. 1995. 
[8] 
Ibidem.
[9] 
“In particolare, si è sovente discusso se la ristrutturazione sia principalmente un fenomeno industriale e/o finanziario. Tale perplessità appare correlata alle diverse visioni della crisi che ne evidenziano gli aspetti finanziari (comunque sempre presenti almeno nelle fasi terminali), ovvero gli aspetti più marcatamente industriali. Nel rinviare alle parti successive del testo per una più compiuta disamina, va comunque ricordato che, se le manifestazioni finanziarie sono in genere successive a quelle eco nomiche, la ristrutturazione può essere un fenomeno tanto industriale quanto finanzia rio, in funzione delle cause che hanno determinato la crisi d’impresa. È chiaro che, sia nel caso della crisi che in quello del risanamento, al di là dei profili concettuali generali, appare difficile fornire una definizione in grado di ingabbiare in una griglia definita le molteplici sfaccettature della realtà.  Tale considerazione, caratteristica delle scienze empiriche, costrette a sottostare al paradosso di Hume, appare particolarmente significativa in una materia in cui sovente la contemporaneità o quasi dell’analisi e delle vicende dell’oggetto di indagine inevitabilmente si riflettono sulla provvisorietà delle conclusioni. Su tali basi appare quindi opportuno partire recuperando gli elementi più` frequente mente esaminati dalla dottrina, non al fine di determinare conclusivamente i temi proposti, quanto per confrontare dialetticamente le posizioni più autorevoli, fornendo un quadro per quanto possibile aperto delle questioni in dibattito”, Ipsoa, Op. citata.
[10] 
La classificazione delle cause di crisi è uno dei punti in cui si dispiega la varietà` delle posizioni dottrinarie, a partire dalle evidenze empiriche e/o argomentazioni a supporto. Si veda L’individuazione delle cause della crisi nel Modello di Slatter e Lovett. 
[11] 
Si veda Tavola 1.1-Schemadiclassificazionedegli indicatori di performance, Ipsoa op. citata; J. Winn, Performance measures for corporate decline and turnaround», in Journal of General Management, II (1993); A. Gilardoni, A. Danovi, Cambiamento, ristrutturazione e sviluppo dell’impresa, Egea, Milano, 2000; A. Bubbio, M. Solbiati, M. Vellutini, Corporate performance management. Strumenti per coordinare e misurare le performance aziendali, Ipsoa, Milano, 2008; A. Pistoni (a cura di), Corporate performance management. Misurare e gestire le performance aziendali, Milano, Hoepli, 2010.
[12] 
Alcuni esempi di indici finanziari di crisi (performance in declino) sono: cash flow/debito totale, reddito netto/attività totali, Z-score., altri. L’elemento comune è la relazione tra solvibilità dell’impresa e il valore assunto dai ratios prescelti. Una situazione di bancarotta imminente può essere misurata in termini di solvibilità confrontata con il valore assunto dai ratios prescelti.
[13] 
Cfr. L. Sicca, F. Izzo, La gestione dei processi di turnaround, ESI, Napoli, 1995; A. Armadio, U. Paparelli, Turnaround plus+, Franco Angeli, Milano, 2009. 
[14] 
Cfr. L. Sicca, F. Izzo, Op. cit. in nota 43, pag. 34; A. Foglio, Turnaround, Milano, Franco Angeli, 2010.
[15] 
Cfr. P. Grinyer e P. McKiernan hanno proposto una classificazione delle strategie di risanamento in funzione della prossimita ` (early, intermediate o late) al fallimento, P. Grinyer, P. McKiernan, Generating major change in stagnating companies, in Strategic Management Journal, XI (1990). 
[16] 
Cfr. R. Hoffman, Strategies for corporate turnarounds: what do we know about them?, in Journal of General Management, XIV (1989); A. Gilardoni, A. Danovi, Op. cit.; E. Bianchi, Crisi di impresa e risanamento, Milano, Ipsoa, 2010. 
[17] 
Questo approccio porta con sé una rilevante conseguenza che guarda alla crisi come ad una patologia, un male inevitabile ma necessario, che assicura la selezione naturale delle aziende meritevoli decretando darwinianamente la fine di quante invece non abbiano saputo gestire processi, competenze e relazioni in modo sostenibile, L. Guatri, Op. cit.” la crisi aziendale e la scomparsa di singole aziende sono il prezzo da pagare per il riequilibrio di settore. Si tratta di un processo naturale di selezione».
[18] 
Il ritorno all’elemento chiave è apparentemente un chiaro e razionale principio per ogni decisione di risanamento, anche se il percorso non sempre è possibile Cfr. K. Harrigan, M. Porter, «Quando è il momento di chiudere baracca», in Harvard Espansione, III 1985.
[19] 
Cfr. R. Bauer, M. Peta, Reporting di sostenibilità ESG, indicazioni per società quotate, micro e PMI non quotate, Maggioli, febbraio 2024.
[20] 
P. Benazzo, La denunzia al tribunale di gravi irregolarità e l’adozione di assetti organizzativi adeguati: da prevenzione della crisi a “condizione di esercizio dell’attività d’impresa”, in Riv. Il Fallimento, 6/2023.
[21] 
Cfr. Trib.Cagliari, 19 gennaio 2022; Roma, Trib. Milano, 18 ottobre 2019; Trib. Roma, 15 settembre 2020.
[22] 
Cfr. P. Benazzo, op. già cit.
[23] 
Trib. Cagliari, Sez. Impr. 8 febbraio 2023, in Assetti adeguarti, Riv. Il fallimento, 6/2023.
[24] 
Cfr. Tribunali Cagliari, Roma, Milano, già cit.
[25] 
Riguardo la definizione di adeguati assetti, si veda più recente, E. Ginevra, Obblighi e responsabilità nella rilevazione tempestiva della perdita di continuità aziendale ai sensi del CCII, in Dirittodellacrisi.it, luglio 2024; A. Quagli, Una riflessione da aziendalista sull’emersione anticipata della crisi: quadro attuale e sviluppi futuri.
[25] 
Art. 25 novies, CCII,  …[..]…a) per l'Istituto nazionale della previdenza sociale, il ritardo di oltre novanta giorni nel versamento di contributi previdenziali di ammontare superiore: 1) per le imprese con lavoratori subordinati e parasubordinati, al 30 per cento di quelli dovuti nell'anno precedente e all'importo di euro 15.000; 2) per le imprese senza lavoratori subordinati e parasubordinati, all'importo di euro 5.000; b) per l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, l'esistenza di un debito per premi assicurativi scaduto da oltre novanta giorni e non versato superiore all'importo di euro 5.000; c) per l'Agenzia delle entrate, l'esistenza di un debito scaduto e non versato relativo all'imposta sul valore aggiunto, risultante dalla comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche di cui all'articolo 21 bis del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, di importo superiore a euro 5.000 e, comunque, non inferiore al 10 per cento dell'ammontare del volume d'affari risultante dalla dichiarazione relativa all'anno d'imposta precedente; la segnalazione è in ogni caso inviata se il debito è superiore all'importo di euro 20.000; d) per l'Agenzia delle entrate-Riscossione, l'esistenza di crediti affidati per la riscossione, autodichiarati o definitivamente accertati e scaduti da oltre novanta giorni, superiori, per le imprese individuali, all'importo di euro 100.000, per le società di persone, all'importo di euro 200.000 e, per le altre società, all'importo di euro 500.000. 2. Le segnalazioni di cui al comma 1 sono inviate: a) dall'Agenzia delle entrate, contestualmente alla comunicazione di irregolarità di cui all'articolo 54 bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e, comunque, non oltre centocinquanta giorni dal termine di presentazione delle comunicazioni di cui all'articolo 21 bis del decreto-legge n. 78 del 2010; b) dall'Istituto nazionale della previdenza sociale, dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e dall'Agenzia delle entrate-Riscossione, entro sessanta giorni decorrenti dal verificarsi delle condizioni o dal superamento degli importi indicati nel medesimo comma 1.

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