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Gli adeguati assetti ex art. 2086 c.c. e la prevenzione del contenzioso: una ricerca sul campo

Diego Comba, Avvocato in Torino
Alessandro Turchi, Dottore Commercialista in Milano
Alessandra Zanaria, Dottore Commercialista in Novara

3 Maggio 2024

Gli autori compiono un’indagine empirica tesa a rilevare le criticità diffuse e a definire i margini di possibile implementazione in ambito di adeguati assetti organizzativi. 
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
Uno degli aspetti innovativi più rilevanti della riforma ad opera del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, pubblicato sulla G.U. il 14 febbraio 2019 (in seguito “Codice della crisi” o “CCII”), è rappresentato dall’introduzione, ad opera dell’art. 375 CCII, del secondo comma dell’art. 2086 c.c., il quale dispone che «L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale».
Come noto, le norme del Codice della crisi hanno trovato applicazione a partire dal 15 luglio 2022 (l’originaria entrata in vigore era fissata al 16 agosto 2020), mentre le norme che incidono sul Codice civile, e più specificatamente la modifica apportata all’art. 2086, sono entrate in vigore dal 16 marzo 2019. Nonostante l’entrata in vigore anticipata del secondo comma dell’art. 2086 c.c. rispetto al corpus normativo sulla crisi d’impresa, già prima dello scoppio della pandemia da Covid-19, scarsa attenzione era stata posta sull’implementazione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili. Infatti, molte attenzioni del mondo imprenditoriale, oltre che di quello professionale, sono state dedicate agli indici e indicatori della crisi, da concepirsi quali strumenti in grado di far ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa e favorire il rispetto degli obblighi di segnalazione posti a carico dei soggetti di cui ai previgenti articoli 14 e 15 del Codice della crisi. In realtà, tuttavia, il sistema portante della rilevazione tempestiva della crisi è rappresentato proprio dall’implementazione di adeguati assetti gestionali, di cui gli indici della crisi ne rappresentavano soltanto una piccola componente di un complesso di procedure e protocolli molto più articolato e completo. Infatti, è soltanto con la corretta implementazione degli assetti gestionali che l’imprenditore è in grado di produrre e disporre di quell’insieme di informazioni che gli consentono, tra le altre, di rilevare tempestivamente la crisi e, altrettanto prontamente, di attivarsi per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero del going concern
L’integrazione della disciplina sugli assetti societari, i quali rappresentano il cuore della funzione gestoria di tutte le imprese, si inserisce come opportuno raccordo tra il diritto societario e il diritto della crisi di impresa, motivo per cui le disposizioni introdotte dal CCII non sono indirizzate esclusivamente a quelle in crisi, bensì a tutte le imprese, ivi incluse quelle in bonis. Infatti, l’epoca della censura netta tra il diritto dell’impresa in bonis e il diritto della crisi è tramontata e il sistema attuale prevede una commistione di regole che si basano su due assunti fondamentali: il primo è che la crisi rappresenti un evento fisiologico della vita dell’impresa che non coincide necessariamente con la cessazione della stessa; il secondo è che la crisi dell’impresa sia tanto più gestibile e superabile quanto più tempestivamente si intervenga su di essa. Tali assunti rappresentano la presa d’atto di un dato ineludibile: il valore dell’azienda deve essere salvaguardato e l’imprenditore deve avere a disposizione degli strumenti che gli consentano di rimettersi in gioco facendo tesoro dell’esperienza pregressa[1]
Sebbene si tratti di una novità rilevante, il tema dell’adeguatezza degli assetti organizzativi in realtà è ben conosciuto e già disciplinato dal quadro normativo antecedente alle modifiche apportate dal CCII. La nuova disposizione, infatti, si inserisce sulla scia del principio di adeguatezza introdotto per le società per azioni, agli artt. 2381 e 2403 c.c., dalla riforma del diritto societario del 2003 (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6). In relazione a tale principio, la dottrina aveva già avuto modo di sottolineare che, con riferimento alle imprese azionarie, gli assetti organizzativi devono risultare adeguati non solo to a going concern, ma altresì ad un’efficace, completa, puntuale e tempestiva rilevazione dei segnali della crisi[2]. Tuttavia, l’art. 2381 c.c. si è rivelato, in concreto, non sempre adeguato ad intercettare tempestivamente i primi indizi di crisi aziendali[3]. Proprio a tal fine, il legislatore del CCII ha integrato la formulazione dell’art. 2086 c.c., esplicitando il concetto che l’adeguatezza degli assetti societari debba essere funzionale alla rilevazione tempestiva della crisi e alla perdita della continuità aziendale.
Invero, le modifiche apportate all’art. 2086 c.c. muovono dalla presa d’atto del ritardo con cui generalmente gli imprenditori reagiscono alle situazioni di difficoltà che interessano le loro imprese. Spesso, infatti, questi ultimi cercano di rinviare il problema, a volte negandolo anche a sé stessi, tanto che in buona parte delle imprese che si trovano costrette a ricorrere ad una procedura concorsuale, si riscontrano segnali di crisi la cui manifestazione risale a un momento di molto antecedente rispetto a quello in cui è stato effettuato l’accesso alla procedura stessa. Tuttavia, la finalità dell’emersione tempestiva della crisi può essere raggiunta unicamente a seguito di una forte evoluzione culturale delle imprese caratterizzate, sovente, da uno scarso orientamento alla formalizzazione dei processi di gestione e programmazione. Infatti, come anticipato, il cambio di prospettiva appena descritto richiede necessariamente una commistione tra il diritto societario delle imprese in bonis e il diritto della crisi, che cessano di essere due universi paralleli, convergendo nel sistema unitario della gestione dell'impresa[4]. Infatti, come rilevato dai primi autorevoli commentatori, le modifiche al Codice civile introdotte dalla riforma del 2019 hanno una portata applicativa che eccede i confini della sola disciplina della crisi dell'impresa e arriva a regolare l’attività di quest’ultima anche nella sua fisiologia[5]
Attuare un cambiamento culturale che induca all’implementazione di adeguati assetti societari, significa anche comprendere che la crisi, fenomeno che può manifestarsi nella lunga vita di una società, se individuata tempestivamente e affrontata attraverso gli opportuni interventi, può rappresentare una opportunità di crescita e di ripartenza, sviluppando la c.d. rescue culture a favore della second chance, spesso teorizzata e applicata in altri ordinamenti, tra cui il più noto è senz’altro il Chapter 11 dello U.S. Bancruptcy Code. 
Il fatto che il legislatore attribuisca specifica rilevanza agli assetti sia in relazione alla fisiologica condizione in cui deve trovarsi l’impresa, sia in funzione della rilevazione tempestiva della crisi si rinviene anche dalla previsione letterale della norma. Infatti, il dovere di istituire adeguati assetti è previsto «anche» in funzione della tempestiva rilevazione della crisi e della perdita della continuità aziendale. In altre parole, dal dato letterale della norma pare che il legislatore intenda evidenziare come le ordinarie e fisiologiche condizioni in cui opera la società devono essere tali da consentire di prevedere e prevenire possibili condizioni di squilibrio, in un contesto in cui la predisposizione di adeguati presidi gestionali consente di gestire il rischio, elemento mai assente nell’attività d’impresa. Pertanto, l’avverbio «anche» dovrebbe evidenziare come l’adeguatezza richiesta dal legislatore risponda ad un’esigenza di ordine più ampio, investendo il modo stesso di gestire l’impresa, anche a prescindere dall’eventualità di una crisi[6]
Una delle principali criticità connesse agli assetti societari auspicati dal legislatore del Codice della crisi è rappresentata dalla difficoltà di adeguamento dei piccoli e medi imprenditori, i quali spesso percepiscono tali assetti come un ulteriore aggravio della struttura dei costi, sovente già molto appesantita, non riuscendo, invece, a percepirne l’elevata potenzialità in funzione di un più efficiente governo societario. Infatti, essere compliant alle regole sugli adeguati assetti poste dal Codice della crisi non significa soltanto sottostare ad un obbligo imposto dal legislatore, bensì induce al rispetto di un principio di sana ed efficiente conduzione dell’azienda, attraverso una consapevole valutazione ex ante dell’effetto, anche quantitativo, delle decisioni strategiche che vengono assunte. Tuttavia, parlare di previsioni e di prevenzione, per molti imprenditori, può risultare complesso: la modesta managerializzazione ed informatizzazione del mercato e delle tecnologie, e la scarsa digitalizzazione del nostro sistema imprenditoriale, rappresentano un ostacolo che riduce la fiducia dell’imprenditore nei confronti dell’efficacia dei metodi di prevenzione e previsione, scoraggiandolo dall’adottare strumenti diagnostici adeguati. Sovente, infatti, taluni imprenditori ritengono che il budget sia un processo che mal si adatta alla propria realtà aziendale, a causa di una ritenuta modesta visibilità temporale sia dei volumi che dei prezzi.
2 . La ricerca: i campioni esaminati, le interviste ai CEO, le domande formulate e le risposte ottenute
Tenuto conto, da un lato, della centralità del ruolo assunto dagli adeguati assetti di cui all’art. 2086 c.c. e, dall’altro, della difficoltà di implementazione degli stessi nel tessuto imprenditoriale italiano, l’indagine conoscitiva, oggetto del presente elaborato, prende le mosse dalla collaborazione con Confindustria Novara Vercelli Valsesia (in seguito “CNVV”), l’associazione di categoria degli imprenditori delle aziende site in Piemonte nelle Province di Novara e di Vercelli. Le aziende aderenti a CNVV sono oltre 700, con quasi 48.000 unità di forza lavoro impiegate sul territorio, e sono suddivise in 15 sezioni merceologiche: Alimentare e bevande, Carta, Editoriali e grafici, Chimico e farmaceutico, Edilizia, Energia, Acqua e ambiente, Estrattivo, Materiale da costruzione, Legno e vetro, Gomma e materie plastiche, Ict, Logistica e trasporti, Metalmeccanico, Rubinetterie e valvolame, Sanità e assistenza, Servizi alle imprese, Tessile-moda e accessori, Turismo. Di queste aziende: 
· il 75% appartiene all’industria manifatturiera; 
· il 94% ha meno di 250 dipendenti; 
· l’80% ha un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro[7]

Figura 1. Imprese associate a CNVV al 31 dicembre 2023

Sono stati presi in esame, in primo luogo, gli aspetti quantitativi legati allo stato di salute delle aziende indagato e misurato con indici di bilancio, margini e specifiche attività di controllo dei processi e delle procedure messe in atto dall’imprenditore all’interno dell’organizzazione, trovando spesso conferma l’assunto che si possa controllare tutto ciò che risulti misurabile. 
In secondo luogo, sono stati esaminati gli aspetti qualitativi legati a tematiche quali la governance, la vision, la mission, la storia dell’azienda, la prevenzione e soluzione dei conflitti all’interno dell’impresa. Questi temi, seppur caratterizzati da una minor possibilità di mappatura e formalizzazione e, quindi minor controllabilità, si sono rilevati il nerbo della continuità aziendale. 
Per poter analizzare questa duplice sfumatura è stato isolato un cluster più ristretto di aziende, individuato tra quelle, delle suddette 700, non quotate in borsa e con ricavi compresi tra i cinque ed i venti milioni di euro nell’ anno 2022. 
La scelta di questa selezione deriva dalla necessità di verificare gli impatti, operativi e culturali, in realtà imprenditoriali che, vista la dimensione, sono storicamente dotate di una minor abitudine e propensione a formalizzare i processi di amministrazione e controllo tipici delle realtà più grandi. 
Del campione così selezionato, comprensivo di circa 200 aziende, sono stati esaminati i bilanci e le principali determinanti di redditività degli ultimi dieci anni. Dall’analisi effettuata nel periodo considerato (2013-2022) si evince quanto segue: 
· il fatturato medio è aumentato del 10,51% passando dai circa 9,3 milioni di euro ai 10,3 milioni di euro registrati nel 2022, al netto di un calo evidente verificatosi a causa della pandemia nel 2020 e 2021; 
· l'andamento del personale impiegato ha osservato un aumento dell’1,61% manifestando una ripresa solo nel 2022 rispetto al minimo storico post covid del 2021. 

Figura 2. Fatturato e dipendenti del cluster esaminato
(Fonte: Banca dati AIDA – Analisi Informatizzata delle Aziende - Bureau van Dijk S.p.A) 
Tali dati evidenziano un sensibile aumento dell’efficienza per addetto negli ultimi dieci anni. 
Per quanto concerne la redditività aziendale (ROE) si evidenzia un aumento del 154,24%; le motivazioni sono da imputarsi a diversi fattori tra cui: 
· la redditività del capitale investito (ROI) aumentata del 42,82%. Tale indicatore esprime la capacità dell’azienda di remunerare il capitale investito a prescindere dal modo in cui esso sia finanziato, escludendo la gestione finanziaria e tributaria; 
· il grado di indebitamento medio, inteso come il rapporto tra mezzi di terzi e mezzi propri, calato del 26,38% nel periodo considerato; 
· la redditività delle vendite (ROS) aumentata del 68,37%; 
· la rotazione del capitale investito migliorata del 7,89%, con particolare focus sulla gestione del capitale circolante netto operativo, migliorata del 10,53%. 

Figura 3. ROE, ROI, Leverage del campione esaminato

Figura 4. ROS, ROT, percentuale del circolante investito netto
 
A completamento della analisi quantitativa svolta con riferimento all’azienda assunte a campione, si è ritenuto opportuno effettuare un’intervista in presenza del legale rappresentante (tipicamente inquadrabile come CEO) supportata da un questionario composto da una circa sessanta domande, alcune delle quali a risposta chiusa e altre a risposta aperta, consentendo di indagare anche a livello qualitativo l’implementazione degli assetti. 
L’intervista è stata effettuata a circa il 10% delle aziende oggetto del cluster ed è volta ad approfondire: 
· l’assetto organizzativo intendendosi con esso: (i) il sistema di funzionigramma e di organigramma e, in particolare, il complesso delle direttive e delle procedure stabilite per garantire che il potere decisionale sia assegnato ed effettivamente esercitato a un appropriato livello di competenza e responsabilità, (ii) il complesso procedurale di controllo. Un assetto organizzativo è adeguato se presenta una struttura compatibile alle dimensioni della società, nonché alla natura e alle modalità di perseguimento dell’oggetto sociale, nonché alla rilevazione tempestiva degli indizi di crisi e di perdita della continuità aziendale e possa quindi consentire, agli amministratori preposti, una sollecita adozione delle misure più idonee alla sua rilevazione e alla sua composizione[8]
· l’assetto amministrativo-contabile intendendosi con esso come l’insieme delle direttive, delle procedure e delle prassi operative dirette a garantire la completezza, la correttezza e la tempestività di una informativa societaria attendibile, in accordo con i principi contabili adottati dall’impresa. Un sistema amministrativo-contabile risulta adeguato se permette: - la completa, tempestiva e attendibile rilevazione contabile e rappresentazione dei fatti di gestione; - la produzione di informazioni valide e utili per le scelte di gestione e per la salvaguardia del patrimonio aziendale; - la produzione di dati attendibili per la formazione dell’informativa societaria[9]
Le interviste hanno avuto inizio il 18 Luglio 2023 e sono terminate il 26 Marzo 2024. 
3.1 . Focus sull’assetto organizzativo
Per ogni azienda intervistata si è provveduto dapprima a verificare la presenza e successivamente ad analizzare il funzionigramma (inteso come configurazione orizzontale dei compiti, funzioni e competenze[10]), l’organigramma (inteso come configurazione verticale di relazioni di sovra e subordinazione, poteri e responsabilità[11]) e il mansionario. Per ogni documento sono stati verificati inoltre i soggetti incaricati alla redazione, il periodico aggiornamento e la condivisione agli interessati. Tutte le interviste hanno evidenziato una chiara identificazione delle funzioni, dei compiti e delle linee di responsabilità: le aziende oggetto di analisi si sono dimostrate compliance su questi aspetti. Invero, è emersa la netta individuazione delle attività che devono essere svolte, dei livelli gerarchici cui far riferimento e delle responsabilità operative di ogni singolo addetto. È stato riscontrato che tale formalizzazione è anche strettamente correlata alla presenza della certificazione di Qualità ISO 9001. 
Tutte le aziende intervistate, eccetto due, sono conformi alla ISO 9001, la quale impone, tra gli altri adempimenti, anche l’assegnazione, la comunicazione e la comprensione delle responsabilità e autorità per ruoli rilevanti. 
Si è altresì indagato sulla definizione delle competenze e della formazione del personale e sull’esistenza di procedure che assicurino la presenza di adeguate professionalità e la competenza di esse nello svolgere le funzioni assegnate. Il cluster esaminato non rileva di avere procedure standardizzate se non nella registrazione delle evidenze della certificazione ISO 9001. 
Ampio spazio e importanza vengono dati alla gestione delle informazioni: nel campione esaminato lo strumento principe per il coordinamento è l’organizzazione di riunioni periodiche, spesso mensili, con le figure apicali delle varie funzioni. L’idea maggiormente auspicata è che sia il direttore d’area a diffondere poi le informazioni in modo completo e puntuale. Non viene evidenziato nessuno strumento formale per la mappatura, come ad esempio il verbale della riunione. 
La formazione del personale a tutti i livelli riveste un ruolo fondamentale, infatti, più della metà delle aziende intervistate investe in percorsi formativi qualificanti e ha una mappatura per singolo addetto del grado di apprendimento ottenuto durante l’anno. Queste informazioni vengono desunte, tra le altre, dal sistema informativo aziendale in grado inoltre di raccogliere, classificare, elaborare e distribuire i dati, sia esterni che interni. 
Tutte le aziende oggetto dell’intervista dichiarano di avere un gestionale interno in grado di supportare i fabbisogni informativi. Più della metà utilizzano questo strumento anche per la produzione di business plan, budget trimestrale o annuale, piano di tesoreria; quasi la totalità pur essendo conscia delle funzionalità del sistema informativo preferisce continuare ad utilizzare per la raccolta e l’elaborazione dei dati il programma Microsoft Excel. Tutti gli intervistati confermano che le dotazioni hardware e software sono adeguate alle dimensioni e alle caratteristiche dell’impresa. 
Al fine di concludere efficacemente la trattazione dell’assetto organizzativo è stato affrontato il tema del risk management, inteso come la capacità dell’impresa di presidiare le principali aree di gestione del rischio (ad esempio di mercato, finanziari, di credito, informatico, salute e sicurezza e di contenzioso) allo scopo di garantire la continuità aziendale. Tutti gli intervistati evidenziano l’intenzione di potenziare il sistema di gestione e controllo interno dei rischi, spesso demandato a figure esterne all’organizzazione (ad esempio consulenti, avvocati, commercialisti, compagnie di assicurazione). Un dato significativo è rappresentato dalla evidenza per cui nessuna delle aziende intervistate ha al suo interno una funzione adibita al contenzioso, spesso demandato a figure professionali esterne all’azienda. 
Infine, la disamina dell’assetto organizzativo è stata sviluppata in primo luogo a partire dal riscontro della compagine societaria con le evidenze della visura camerale. È stato evinto dagli atti che alla presenza dell’amministratore unico o del consiglio di amministrazione corrisponde la relativa formalizzazione dei poteri, dei compiti assegnati a ciascun componente e delle deleghe attribuite. È stata riscontrata inoltre la corrispondenza tra la struttura decisionale aziendale e le deleghe depositate presso il Registro imprese. È pertanto pienamente verificabile che l’attività direttiva viene svolta dai soggetti ai quali sono attribuiti i relativi poteri.
3.2 . Focus sull’assetto contabile e amministrativo
L’analisi si è successivamente concentrata sull’analisi del controllo di gestione declinato come implementazione di sistemi di contabilità industriale, analitica e di analisi per indici. A parer di chi scrive, nel contesto attuale dotarsi di adeguati strumenti di pianificazione e controllo delle performance aziendali costituisce un passaggio di fondamentale importanza per permettere all’imprenditore di operare con una consapevolezza “maggiormente formalizzata” e di valutare per tempo gli effetti delle decisioni intraprese. Infatti, la funzione primaria del sistema di programmazione e controllo consiste nel favorire la probabilità che gli individui che nell’azienda formano il sistema umano assumano le decisioni e orientino le loro azioni in modo da garantire il raggiungimento delle linee strategiche più efficaci per l’unità o, comunque, si comportino in maniera coerente con tali finalità[12]. Tale definizione è certamente coerente con la finalità del riformato art. 2086 c.c. di favorire la salvaguardia della continuità aziendale mediante una maggior consapevolezza del governo societario. Infatti, i sistemi di programmazione e controllo permettono all’impresa, in coerenza con le finalità del CCII, di avere una visione chiara sul futuro, e non solo perché si preoccupano di programmare la gestione prospettica e di controllare che essa abbia raggiunto gli scopi assegnati, ma anche perché si poggia sulla strategia, ossia su quell’insieme di decisioni mediante il quale l’azienda si pone degli obiettivi e formalizza i diversi percorsi tramite i quali è possibile raggiungerli. Inoltre, il sistema di programmazione e controllo, fuori dall’ottica meramente preventiva, diviene l’elemento principale nel superamento della crisi in quanto consente una più efficace redazione del piano di risanamento che, per sua natura, implica la fissazione di precisi obiettivi e la verifica del loro effettivo raggiungimento. 
Nel campione analizzato la quasi totalità degli intervistati ha predisposto un processo per la formazione e la redazione del budget economico e finanziario. Tale strumento rappresenta il cronoprogramma delle operazioni di gestione delle diverse unità funzionali da attuare nel breve periodo, finalizzato al raggiungimento di determinati obiettivi globali d’azienda. Esso assolve al ruolo primario di predisposizione delle risorse e delle capacità necessarie per realizzare i programmi di azione, assicurandone la preventiva fattibilità tecnica, economica e finanziaria. Ulteriori finalità del budget, scarsamente implementate, sono il coordinamento delle attività delle diverse unità aziendali, la responsabilizzazione e motivazione dei manager ed il supporto delle valutazioni delle performance conseguite. 
Molta attenzione è posta alla stesura del budget degli investimenti. 
Dalle interviste emerge inoltre un minor presidio del sistema di reporting, inteso come lo strumento di sintesi ed il meccanismo principale di misurazione e valutazione delle performance dell’azienda. Esso ha il compito di rendere visibili, chiare e soprattutto fruibili le informazioni rilevate dai risultati effettivi, di comparazione degli stessi con gli obiettivi di budget, di analisi degli scostamenti tra risultati ed obiettivi, di individuazione di aree problematiche e delle cause degli scostamenti. 
La maggior parte delle aziende dichiara di voler porre maggior attenzione sul controllo di gestione ovvero l’insieme di strumenti necessari a supportare i processi di analisi e di valutazione interni all’impresa andando a riconfigurare il risultato conseguito in base alle sue determinanti. Per fare ciò si rende necessaria una produzione di informazioni che, rispetto a quelle della contabilità generale, si riferisca non solo all’azienda nel suo complesso ma ad una sua segmentazione parziale (ad esempio per linee di prodotto, clienti, mercati). Rilevanza e tempestività risultano di conseguenza fattori determinanti per l’applicazione di tali strumenti, in modo da ottenere una capacità di rappresentazione della realtà attuale ed una predittiva di eventuali anomalie o cambiamenti. La contabilità industriale in questo caso risulta quindi sartoriale e specifica per ogni azienda e deve necessariamente essere tarata in base alle sue caratteristiche. 
A conclusione dell’analisi si è provveduto ad indagare sulla raccolta dei dati e sulla loro trasformazione in informazione. 
Tutti gli intervistati hanno un sistema informativo contabile integrato e la contabilità viene tenuta internamente con registrazioni a cadenza mensile e predisposizione di bilanci infrannuali. Le aziende oggetto di intervista dichiarano che la contabilità generale consente di rispettare i termini per la formazione del progetto di bilancio e per garantire la tempestiva informativa ai sindaci. Anche il ruolo del soggetto incaricato della revisione legale è fondamentale, sebbene non abbia funzioni di controllo ma debba esprimere un giudizio sul bilancio e, pertanto, il suo operato non può prescindere dall’analisi dei dati contabili, che devono essere affidabili e dalla pianificazione e verifica delle voci del bilancio. 
L’assetto strettamente contabile risulta, quindi, quello maggiormente attenzionato con una rischiosità di inadeguatezza decisamente inferiore rispetto ai precedenti, se non altro perché le regole del gioco sono chiaramente definite dalla normativa, verificate puntualmente dai sindaci e sotto la lente di ingrandimento del revisore. L’oggettività del controllo è maggiore ed è supportata da best practices, carte di lavoro, check list, quindi meno demandata ad aspetti più soggettivi. La sua formalizzazione è percepita dagli intervistati come più agevole nella gestione essendo strettamente legata ai dettami normativi e a una prassi di controllo consolidata. 
A parere di chi scrive, tuttavia, per conseguire le finalità insite nel nuovo impianto normativo, è necessario che imprese ed imprenditori recepiscano consapevolmente una cultura d'impresa maggiormente orientata alla pianificazione ed al controllo, introducendo modelli volti alla gestione proattiva ed integrata dei rischi perseguendo obiettivi di creazione di valore nel lungo periodo, consentendo in questo modo una miglior e più supportata analisi dell’incertezza e della complessità aziendale in uno scenario in continua evoluzione. 
4 . Il tema della governance come aspetto ulteriore rispetto ai precedenti
 Durante le interviste si è altresì provveduto ad approfondire con l’imprenditore la storia dell’azienda, il settore di attività, il mercato di riferimento, le dimensioni e le complessità interne ed esterne. In questa fase sono sempre emerse in modo chiaro e preciso la vision e la mission dell’impresa. Ampio spazio è stato dato all’ascolto dell’idea e dello spirito imprenditoriale, dei valori aziendali e di come questi concetti legati alla vision vengano esplicitati e definiti nella mission aziendale. Gli intervistati si sono soffermati sulle caratteristiche intrinseche ed estrinseche della propria attività e sulle sue peculiarità distintive rispetto al mercato concorrenziale in cui si trovano ad operare. 
Il tratto comune emerso è sicuramente la presidiata pianificazione strategica da parte della governance e la sua trasposizione all’interno dell’organizzazione. Le scelte strategiche vengono assunte dalla proprietà e condivise con i responsabili di funzione, a cui vengono affidate le responsabilità decisionali, la pianificazione degli obiettivi, l’impiego delle risorse e la gestione dei processi che devono essere in linea con la strategia globale. 
Le storie imprenditoriali raccolte hanno un altro fil rouge che le accomuna: sono storie di famiglie che rappresentano la governance che è anche il top management. Sono famiglie che stanno affrontando o hanno affrontato uno o più passaggi generazionali con la lungimiranza di coglierne l’importanza e la delicatezza affidandosi spesso a consulenti terzi per una miglior gestione e inserimento delle nuove generazioni all’interno della struttura. 
Tutti gli intervistati sono consci che alla crescita della complessità interna ed esterna corrisponda la necessità di standardizzare le procedure per permettere un maggior controllo e una miglior gestione dei rischi e sono inoltre consapevoli che per consentire il funzionamento della struttura con i suoi programmi, processi e funzioni non si possa prescindere dal coinvolgimento delle risorse interne, che vanno valorizzate, coinvolte e, soprattutto, formate. 
5 . Gli adeguati assetti come fattore di rilevanza esterna (e non soltanto interna) all’impresa
È stato scritto recentemente che “stanno scorrendo fiumi d’inchiostro sui nuovi doveri e obblighi che il CCII ascrive, in capo ai creditori dell’impresa in crisi… Se è vero che il creditore non può disinteressarsi delle sorti del suo debitore, è altrettanto indiscutibile che lo stesso creditore deve poter fare affidamento su un’organizzazione dell’imprenditore-debitore …” [13]. 
In tale contesto alcuni obblighi dell’imprenditore si sostanziano nell’obbligo di “mantenere la continuità aziendale” assicurando l’efficacia e l’efficienza della gestione dei rischi non soltanto attraverso l’implementazione di un adeguato controllo interno ma attraverso una cura specifica dell’attività a rilevanza esterna ossia un’attività contrattuale che coinvolga efficacemente le controparti esterne, tenendo conto di tutti i soggetti coinvolti nel rapporto (stakeholders) e un’attività di prevenzione del contenzioso svolta tramite un’attività di negoziazione e mediazione opportunamente strutturata [14]. 
In quest’ottica volta a “prevenire” la crisi e, in primo luogo, a mantenere la continuità aziendale assume grande rilevanza l’implementazione di un modello organizzativo, il quale tenga conto delle specifiche caratteristiche della singola impresa. Si tratta di fornire agli organi gestori e agli organi di controllo strumenti sufficienti per mostrare, in caso di crisi, che sono state poste in essere tutte le precauzioni e tutte le pratiche “universalmente riconosciute” come atte ad escludere ogni responsabilità soggettiva non soltanto dal punto di vista quantitativo e interno (ad esempio procedure di sicurezza e stesura dei bilanci), ma anche dal punto di vista qualitativo e avente rilevanza esterna (rapporti con dipendenti, fornitori, clienti e consulenti e più in generale “responsabilità sociale dell’impresa”). Salta agli occhi il confronto con le linee guida di pratica clinica spesso utilizzate e invocate nelle singole materie mediche per esimere da colpa la condotta del medico in caso di danni verificatisi in capo al paziente. 
Nell’ottica di chi scrive, il tema degli adeguati assetti societari e della verifica della loro implementazione nelle imprese può essere, dunque, declinato non soltanto in un’ottica di rilevazione di eventuali negligenze o episodi di mala gestio da parte degli amministratori o degli organi di controllo (ottica sanzionatoria), bensì in primo luogo in un’ottica performativa di miglioramento delle prestazioni aziendali che consideri la continuità aziendale quale elemento fisiologico da mantenere con grande attenzione ai rapporti con i partners contrattuali. 
6 . Gli elementi che consentono di implementare gli adeguati assetti: parametri qualitativi. La valorizzazione degli stakeholders
Un ulteriore elemento di natura qualitativa che impatta, per quanto emerge dalla ricerca, sugli adeguati assetti è il rapporto “personale”, anche di fiducia e di coinvolgimento del singolo, esistente tra i diversi dipendenti e i componenti della struttura gestoria. Continuità e durata di tali rapporti trovano una loro simmetria nella continuità e nella durata dei rapporti con specifiche figure esterne di clienti, fornitori e consulenti. Si tratta di un parametro qualitativo che può essere definito come il grado di valorizzazione e di coinvolgimento di ogni singolo stakeholder
La nozione di stakeholder, ben conosciuta nel mondo anglosassone, comprende tutti i soggetti con i quali l’impresa stabilisce rapporti continuativi e interattivi: lavoratori dipendenti, soci, collaboratori interni ed esterni, consulenti, clienti, fornitori, banche e assicurazioni di riferimento, intermediari commerciali, subfornitori, licenziatari e licenzianti di know-how e di marchi, franchisor e franchisee, distributori, pubbliche amministrazioni locali [15]. Il controllo sull’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili nei confronti degli stakeholders può tradursi in una mera rendicontazione protocollare (pur spesso necessaria o utile) ai fini di una certificazione fatta “dall’esterno e dall’alto”. 
Una tale forma di controllo può non rivelarsi efficace quando l’impresa ha un fatturato annuo di dieci milioni e un numero di dipendenti non superiore alle trenta persone, quale si è rivelata la maggioranza delle imprese appartenenti al campione esaminato. In tali casi, la valorizzazione di ogni singolo stakeholder viene effettuata con criteri che sfuggono alla formalizzazione dei protocolli standard di compliance maggiormente utilizzati nelle imprese medio-grandi. Tuttavia, molte delle imprese esaminate hanno una propria modalità di valorizzazione, coinvolgimento e riconoscimento dei singoli stakeholders, della loro organizzazione e incentivazione, che spesso costituisce il cuore stesso dell’impresa pur non essendo sovente formalizzato e talvolta neppure consapevole. Quanto appena rilevato è significativo anche ai fini del passaggio generazionale o del passaggio di proprietà: infatti le modalità sistemiche di relazione tra l’imprenditore e i singoli stakeholders comportano delicati effetti di retroazione non facilmente formalizzabili usando procedure adottate nelle imprese medio-grandi il cui modello viene proposto al di fuori dell’Italia. 
7 . Gli elementi che consentono di implementare gli adeguati assetti: parametri qualitativi. Il tema della prevenzione e della soluzione non contenziosa dei conflitti
Nel contesto tratteggiato nel paragrafo che precede, il tema della prevenzione e della soluzione non contenziosa dei conflitti all’interno dell’impresa e con i suoi partners esterni può essere vista a pieno titolo come parte degli adeguati assetti aziendali [16]. 
In primo luogo, quale assetto organizzativo, la mappatura dei rapporti con ciascun stakeholder implica la mappatura dei possibili conflitti e la formalizzazione di adeguate forme di negoziazione, mediazione e soluzione di tali conflitti. Questo ambito richiede la creazione di indici qualitativi che misurino il tasso di conflittualità e che introducano all’interno dell’impresa competenze negoziali e mediatorie. La mappatura consentirà di individuare l’apporto dei singoli dipendenti, collaboratori e soggetti esterni esprimendo quanto già realizzato, spesso non del tutto consapevolmente, nella pratica quotidiana dell’imprenditore. 
La prevenzione dei rischi e la loro gestione, non soltanto il rischio di insoluto (di credito), ma anche il rischio finanziario, politico, di mercato, commerciale e patrimoniale, esigono dal canto loro una mappatura e una formalizzazione sempre più articolata. 
L’esito di questa ricerca qualitativa è stato senz’altro deludente. Dalle interviste è emerso che la soluzione dei conflitti viene delegata quasi esclusivamente al contenzioso processuale e che l’attività di redazione dei contratti e di negoziazione dei conflitti è minima, che l’attività di gestione dei rischi è delegata quasi totalmente alle compagnie di assicurazione e alle società di recupero crediti. 
Ciò manifesta un notevole squilibrio: da un lato sono state recepite, o sono in via di recepimento, e sono state comprese le esigenze di compliance, soprattutto in materia di assetti contabili, dall’altra non vi è sufficiente consapevolezza e di conseguenza non vi è azione efficace in materia di prevenzione dei rischi e di prevenzione del contenzioso.
8 . La contrattualizzazione dei rapporti con gli stakeholders
Dalle interviste è emerso che la contrattualistica con gli stakeholders esterni è mutuata da modelli standard spesso risalenti nel tempo o scelti casualmente su internet, talvolta non è neanche formalizzata per iscritto in contratti coerenti sui quali è stato scambiato un preciso consenso tra le parti. Spesso, in ogni caso, gli accordi vengono integrati e/o sostituiti da scambi di e-mail non sempre coerenti in assenza della consapevolezza che le stesse saranno considerate ex post dai giudici come regole contrattuali in vigore tra le parti. 
Ai fini dell’adeguatezza delle azioni contrattuali e della loro formalizzazione, è opportuno che le imprese effettuino un check costante dei rapporti commerciali in essere con i partners strategici esterni: fornitori, intermediari commerciali (procacciatori d’affari, agenti di commercio, distributori), clienti spot o continuativi, licenziatari di marchi e brevetti. 
Al fine di prevenire eventuali contenziosi, è infatti di estrema importanza che le relazioni commerciali vengano formalizzate in contratti adeguati e cuciti su misura per la specifica realtà aziendale: “Sarà solo l’esame della singola fattispecie e della funzione economico-individuale del singolo contratto a consentire di mettere a fuoco tutte le implicazioni. E questo esame sarà il compito futuro degli avvocati: il loro lavoro premium prima e dopo la conclusione del contratto[17]. Si tratta di una discussione risalente tra i giuristi che si sono occupati di contratti, la quale ha opposto la vecchia funzione economico-sociale agli scopi che si pongono le parti nel singolo contratto [18]. Essa mantiene, a nostro avviso, tutta la sua forza. 
Nella nostra esperienza, infatti, può rivelarsi importante svolgere un’adeguata formazione aziendale in materia contrattuale coinvolgendo CEO, CFO, responsabili degli uffici amministrativi, commerciali e tecnici: in tali occasioni, infatti, emergono - attraverso esempi concreti legati alla pratica della singola impresa - le lacune e le problematiche che più spesso si verificano. Grazie al confronto tra le differenti figure interne all’impresa, è possibile individuare congiuntamente le pratiche aziendali virtuose da implementare attraverso l’adozione di modelli contrattuali studiati ad hoc da adattare in modo sartoriale ai prodotti/servizi offerti dall’azienda. I modelli contrattuali che emergono da tale confronto costituiscono una solida base per tutte le trattative dell’azienda, salvo le revisioni che di volta in volta verranno apportate sulla base di specifiche esigenze negoziali. Si pensi alla possibilità per il venditore di prevedere una clausola di variazione del prezzo con il proprio cliente nel caso in cui la logistica o la materia prima da lui acquistata subisca un incremento rilevante successivamente alla stipula del contratto: in assenza di una clausola contrattuale che lo preveda, come si è verificato frequentemente negli ultimi anni, il venditore può trovarsi un prezzo bloccato con il proprio cliente. Altra ipotesi frequente nel commercio internazionale è la previsione di un termine di resa DAP o DAT il quale – in assenza di una clausola che preveda la giurisdizione di un tribunale italiano o un arbitrato in Italia – comporta secondo il diritto UE il radicamento della causa nel Paese estero in cui ha sede il cliente. 
La stessa esigenza si manifesta nella formalizzazione delle mansioni dei dipendenti e delle deleghe agli amministratori della società: essa consente di individuare con precisione i compiti e i confini degli incarichi e delle relative responsabilità di ciascuna figura all’interno dell’azienda. 
I testi contrattuali, per essere efficaci, devono recepire le posizioni di tutte le parti coinvolte, il che esige un’attività di “ascolto” nei confronti dell’interlocutore che lo coinvolga nella produzione del testo per il tramite di un’adeguata negoziazione. Il dipendente, il cliente, il subfornitore devono essere messi in condizione di esprimere le loro specifiche esigenze, le quali vengono in qualche modo prese in considerazione dall’accordo. La contrattualizzazione dei rapporti integra così, in un’ottica performativa e non sanzionatoria, il potenziamento degli adeguati assetti di cui l’impresa si deve dotare al fine di prevenire il contenzioso e rendere efficace e proficuo il rapporto.
9 . La gestione del rischio di insoluto e la mediazione ADR quali adeguati assetti
Nell’ottica della gestione del rischio di insoluto, le imprese sono state intervistate sulla modalità di monitoraggio in azienda, indagando altresì se la gestione del recupero crediti sia demandata a risorse interne o esterne. Se quanto sopra avvenga attraverso una corretta profilazione dei clienti, un’analisi aggiornata degli insoluti e un credit management che descriva le modalità e performance di pagamento del singolo cliente, l’elenco crediti scaduti in ordine di rilevanza dell’importo e anzianità, il livello di esposizione complessivo dell’azienda, l’andamento dei flussi di incasso complessivo, la verifica sulla sussistenza di un’assicurazione crediti rispetto al credito insoluto. 
Una puntuale elencazione delle voci sopra indicate - nel complesso e con riferimento a singoli clienti - consente infatti di avviare una più ordinata ed efficace strategia del recupero crediti agendo tempestivamente e così evitando che le situazioni patrimoniali dei clienti o aggredite da altri creditori più organizzati nel frattempo degenerino e impediscano di recuperare anche solo una parte del credito. 
È emersa dalle interviste una prevalente esternalizzazione delle attività sopra indicate ed uno sbilanciamento e complessivamente una scarsa attenzione al problema, lasciato all’attività episodicamente condotta da legali incaricati a fronte del singolo contenzioso. In altri termini non si è generalmente riscontrata un’attività di monitoraggio sistematico in preventivo avente per oggetto l’assesment e la gestione del rischio di insoluto. 
In proposito, si fa notare che alcuni tribunali iniziano a sanzionare la condotta degli amministratori che non pongono la dovuta attenzione alle misure di recupero del credito. La giurisprudenza ha evidenziato che sotto il profilo contabile la società non possedeva un efficace sistema di gestione dei crediti commerciali e non risultavano procedure o tecniche finalizzate a minimizzare l'emersione di perdite su crediti o pagamenti tardivi, non veniva redatto un rapporto periodico sullo stato complessivo dei crediti, sul comportamento della clientela in relazione ai pagamenti e su ogni altra informazione utile per formulare le scelte più corrette in funzione della salvaguardia della continuità aziendale [19]. 
Le interviste hanno inoltre colto una generale mancanza di informazione sulle recenti tecniche di ADR (mediazione, negoziazione assistita, perizia contrattuale) strutturate dalla pratica e dalla legge al fine di prevenire il contenzioso giudiziale [20]. Le parti di un contratto aziendale possono oggi affidare infatti ad un terzo in via preventiva la conciliazione della loro lite prima di andare in giudizio[21]. Di più: esse possono prevedere direttamente nel contratto l’obbligo, in caso di insorgenza di un contrasto, di nominare un terzo facilitatore/mediatore il quale favorisca una soluzione non contenziosa della loro lite, con un notevole risparmio di tempi e di costi. Tale attività di prevenzione si inserisce nel contesto delle strategie che mirano a predeterminare l’eventuale lite che verrà, indicando sin da ora in contratto il giudice di fronte al quale essa verrà discussa e, ancor meglio, il mediatore che potrà aiutare le parti a raggiungere le parti a raggiungere un accordo senza andare in giudizio[22]. 
In questa direzione si è altresì mosso il legislatore interno con l’introduzione della composizione negoziata, che, come noto, rappresenta un percorso di facilitazione, condotto sotto l’egida di un esperto terzo e indipendente, dei rapporti tra imprenditore in crisi, creditori e le altre parti interessate[23]. In realtà, le tecniche di mediazione assumono un ruolo centrale non soltanto nell’ambito della composizione negoziata. Infatti, nelle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza, trascurando la liquidazione giudiziale, è lasciato ampio spazio alla natura privatistica degli accordi negoziali tra le parti interessate, per il cui raggiungimento le tecniche di mediazione possono senz’altro trovare spazio per facilitare il dialogo e giungere ad un punto di incontro. Non a caso, il D.Lgs. n. 83/2022 ha introdotto un nuovo compito in capo al commissario giudiziale nel caso di concordato in continuità aziendale, riecheggiando in un certo senso le funzioni proprie dell’esperto nella composizione negoziata. L’ultimo periodo del terzo comma dell’art. 92 del Codice dispone, infatti, che «Nel concordato in continuità aziendale, nel termine concesso ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera a), il commissario giudiziale, se richiesto o in caso di concessione delle misure protettive di cui all’articolo 54, comma 2, affianca il debitore e i creditori nella negoziazione del piano formulando, ove occorra, suggerimenti per la sua redazione».
10 . Conclusioni
L’adozione degli adeguati assetti societari ex art. 2086 c.c. rappresenta un’opportunità per integrare i propri modelli di gestione con una prospettiva forward-looking, necessaria, all’interno di un mercato competitivo e in costante mutamento, non soltanto per la sopravvivenza delle imprese italiane, ma soprattutto per la crescita e la difesa del proprio vantaggio competitivo e la valutazione del posizionamento sul mercato. Nell’ottica di chi scrive, il nuovo comma 2 dell’art. 2086 del Codice Civile rappresenta non solo un obbligo normativo sanzionabile di conformità dell’Amministratore o del CdA nel rispetto delle loro scelte di gestione, ma anche un'opportunità per le piccole e medie imprese italiane di miglioramento della performance della propria attività. Un’interpretazione del dovere di implementare adeguati assetti di cui all’art. 2086 c.c. intesa come performativa, dunque, e non soltanto sanzionatoria. 
È necessario a tal fine, nell’operatività dell’impresa, accrescere la circolazione delle conoscenze e delle informazioni con l’intento di coinvolgere tutti gli attori contrattualmente rilevanti - interni ed esterni all’impresa (stakeholders) - raccogliendo da ognuno il proprio contributo, facendoli sentire parte attiva della struttura. 
Il contesto macroeconomico nel quale si trovano ad operare le imprese ha, tra gli altri, messo in luce l’inefficacia dell’approccio manageriale di tipo “giorno per giorno” e quindi l’obbligatorietà dell’adozione di uno stile di gestione razionale, anticipatorio e di adeguato trattamento dei rischi. Adottare una prospettiva forward-looking e affrontare in modo anticipato il futuro consiste nel prefigurare gli scenari ambientali, i fabbisogni informativi, i piani d’azione più adatti per il raggiungimento degli obiettivi e definire la migliore combinazione tra risorse e risultati. Inoltre, significa anticipare una serie di decisioni che, se assunte tardivamente ossia soltanto nel momento in cui si coglie il sintomo espressivo del problema da risolvere, raramente porterebbe verso situazioni desiderate. 
L’indagine sopra esposta ha messo in luce come, pur a fronte dell’implementazione di talune procedure e strumenti che possono portare a definire come adeguati taluni componenti degli assetti di all’art. 2086 c.c., ci sono ancora ampi margini di intervento e di miglioramento. 
È emersa certamente una carenza nella contrattualistica con gli stakeholders esterni, infatti, spesso, gli accordi vengono integrati e/o sostituiti da scambi di e-mail non sempre coerenti in assenza della consapevolezza che le stesse saranno considerate ex post dai giudici come regole contrattuali in vigore tra le parti. Tuttavia, al fine di prevenire eventuali contenziosi, è di estrema importanza che le relazioni commerciali vengano formalizzate in contratti adeguati e cuciti su misura per la specifica realtà aziendale. 
Inoltre, in tema di monitoraggio e recupero dei crediti, è emerso come sovente tale tematica sia stata sottovalutata e lasciata all’attività episodicamente condotta da legali incaricati a fronte del singolo contenzioso. In altri termini non si è generalmente riscontrata un’attività di monitoraggio sistematico in preventivo avente per oggetto l’assesment e la gestione del rischio di insoluto. 
Infine, ma non per ordine di importanza, è emersa una generale mancanza di informazione sulle recenti tecniche di ADR (mediazione, negoziazione assistita, perizia contrattuale) strutturate dalla pratica e dalla legge al fine di prevenire il contenzioso giudiziale. Invero, in questo contesto possono assumere un ruolo dirimente le tecniche di mediazione, poiché alla base degli strumenti di regolazione della crisi vi è una continua e costante negoziazione tra le parti interessate al risanamento dell’impresa. Infatti, si contrappongono due distinte esigenze: la prima, quella dell’imprenditore, di risanare l’esposizione debitoria e salvaguardare la continuità aziendale e la seconda, quella dei creditori, di non essere pregiudicati dalle iniziative assunte dall’imprenditore in crisi. Partendo dall’analisi circa l’esistenza di concrete prospettive di risanamento, le tecniche di mediazione possono contribuire ad eliminare la diffidenza iniziale che caratterizza le trattative tra le parti interessate e favorire l’individuazione della soluzione, giungendo al risanamento dell’impresa. Certo è che il buon esito delle trattative, nella composizione negoziata della crisi o in un altro percorso di risanamento, richiede che ogni parte coinvolta nelle trattative stesse dia un proprio contributo fattivo, generando un lavoro sinergico nel quale ognuno deve fare la propria parte in modo attivo e informato. 

Note:

[1] 
Cfr M. Arato, La governance delle società private dopo il d.lgs. 14/2019, in M. Arato, G. D’Attorre, M. Fabiani (a cura di), Le nuove regole societarie dopo il codice della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2020, p. 19.
[2] 
P. Montalenti, Diritto dell’impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi: appunti, in Giurisprudenza Commerciale I/2018, p. 77.
[3] 
A. Guiotto, I sistemi di allerta e l’emersione tempestiva della crisi, in Il Fallimento n. 4/2019, p. 410.
[4] 
R. Rordorf, Prime osservazioni sul codice della crisi e dell’insolvenza, in I Contratti, 2019, 2, p. 134, dà atto che “uno degli obiettivi del progetto di riforma consisteva nel realizzare un miglior coordinamento tra la disciplina concorsuale e quella societaria contenuta nel codice civile”.
[5] 
P. Benazzo, Il Codice della crisi di impresa e l’organizzazione dell’imprenditore ai fini dell’allerta: diritto societario della crisi o crisi del diritto societario?, in Riv. soc., 2019, p. 275. Per riprendere le parole del “padre” della riforma del 2019, R. Rordorf, op. cit., p. 134, “l’impresa è sempre un’attività economica organizzata, e perciò qualunque imprenditore, quale che sia la dimensione della sua impresa, deve comunque porsi in condizione di sapere per tempo se la sua attività è in grado di proseguire efficientemente o se vi siano sintomi di una crisi che potrebbe preludere all’insolvenza danneggiando così anche i suoi creditori”.
[6] 
In giurisprudenza, tra gli altri, v. Trib. Cagliari 19 gennaio 2022 in Dirittodellacrisi.it, ove si evince che “una volta manifestatasi la crisi, sfuma la gravità dell’adozione di adeguati assetti e viene in massimo rilievo, invece, la mancata adozione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per fronteggiarla”. In altre parole, conclude il Collegio, “la violazione dell’obbligazione di predisporre adeguati assetti è più grave quando la società non si trova in crisi, anche perché, del resto, proprio in tale fase essa ha le risorse anche economiche per predisporre con efficacia le misure organizzative, contabili e amministrative”.
[7] 
Dati aggiornati al 31 dicembre 2023 Fonte: CNVV.
[8] 
(Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate, 20 Dicembre 2023, p. 56). Ulteriori utili indicazioni derivanti dalle best practices si rinvengono nel documento predisposto dal Gruppo di Studi Diagnosi precoce e crisi d’impresa di Sidrea a marzo 2021.
[9] 
(Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate, 20 Dicembre 2023, p. 62).
[10] 
(Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate, 20 Dicembre 2023, p. 57).
[11] 
(Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate, 20 Dicembre 2023, p. 57).
[12] 
Cfr. R. Ferraris Franceschi, Il sistema manageriale di pianificazione e controllo, in R. Ferraris Franceschi (a cura di), Programmazione e controllo, Torino, 2017, p. 5.
[13] 
A. Palma, “Gli adeguati assetti” di cui all’art. 2086 c.c. e il contratto, Sole24Ore 20.10.2023. 
[14] 
D. Comba (a cura di), Manuale di mediazione, Formazione Giuridica, 2023. 
[15] 
D. Comba-M. Rosano, La mediazione nelle controversie sui contratti commerciali, Manuale di mediazione, a cura di D. Comba, Formazione Giuridica, 2023, pag. 258.
[16] 
D. Comba- A. T Urchi, Adeguato assetto amministrativo e organizzativo, la trattativa contrattuale, in Mediazione e negoziazione nella soluzione della crisi d’impresa, Collana Nuovo Codice della crisi d’impresa Vol. II, a cura di A. Danovi-G. Acciaro, Milano, 2022, pag. 11. 
[17] 
A. Palma, Gli adeguati assetti di cui all’art. 2086 CC e il contratto, Sole 24ore, 7.4.2024. 
[18] 
G. Gorla, Causa, consideration e format nell’atto d’alienazione inter vivos, Rivista Diritto Commerciale 1952, pag. 173 (vedi anche del medesimo autore Il Contratto, Parte I). 
[19] 
Tribunale di Cagliari, 19 gennaio 2022, in Dirittodellacrisi.it, con commento ad opera di F. Aliprandi-A. Turchi, Spunti operativi sugli adeguati assetti alla luce della recente pronuncia del Tribunale di Cagliari, 12 aprile 2022 in Dirittodellacrisi.it
[20] 
Si segnala la Riforma del Processo Civile introdotta dal Ministro Cartabia L. n. 206/2021 e successivo Decreto delegato 10 ottobre 2022 n° 149 nonché D.M. attuativo n° 150/2023. Vedi commento Matteo Lupano, La mediazione e la Riforma del Processo Civile in Manuale di mediazione, cit., pag. 38. 
[21] 
Sul tema della mediazione nella prevenzione della crisi d’impresa si rimanda a G. Acciaro-D. Comba-A. Turchi, La mediazione nella prevenzione e gestione della crisi d’impresa, in ADR e legal design. Manuale di mediazione, a cura di D. Comba, Formazione Giuridica, 2023.
[22] 
Come ricorda E. Di Capua , i vantaggi della mediazione individuati ormai dalla dottrina e dalla giurisprudenza sono molteplici e tra tutti spicca l’abbattimento dei rischi e dei costi della causa; la mediazione può essere inoltre utilizzata, secondo il magistrato autore dell’articolo, “come un prezioso strumento di soluzione della crisi d’impresa il cui esercizio richiede anche una gestione tempestiva, competente ed efficace delle (frequenti) situazioni di criticità onde evitare che diventino irreversibili”, in E. Di Capua, La mediazione civile, il punto di vista di un magistrato, in Mediazione e negoziazione nella soluzione della crisi d’impresa, Collana Nuovo Codice della crisi d’impresa Vol. II, a cura di A. Danovi-G. Acciaro, Milano, 2022, p. 101.
[23] 
La figura dell’esperto è delineata in buona parte riprendendo attribuzioni e doveri previsti per il mediatore civile introdotto dal D.Lgs. n. 28/2010: indipendenza, terzietà, neutralità e dovere di riservatezza. In questo senso, l’attività di mediazione posta in essere dall’esperto terzo e indipendente è funzionale a ristabilire il dialogo tra l’imprenditore in crisi e i creditori nella ricerca di soluzioni eque e rispettose delle esigenze delle parti interessate, lasciando alle stesse il potere di decidere l’esito della controversia. Compito dell’esperto, al pari di quello del mediatore, è stimolare attivamente le parti a trovare una soluzione per loro soddisfacente, auspicabilmente portandole a raggiungere un accordo condiviso che eviti il ricorso a procedure concorsuali dove l’intervento dell’autorità giudiziaria è più invasivo. L’esperto, in altre parole, costituisce una figura centrale per superare l’impasse del conflitto tra non soltanto nell’ambito della composizione negoziata. Infatti, nelle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza, trascurando la liquidazione giudiziale, è lasciato ampio spazio alla natura privatistica degli accordi negoziali tra le parti interessate, per il cui raggiungimento le tecniche di mediazione possono senz’altro trovare spazio per facilitare il dialogo e giungere ad un punto di incontro. Non a caso, il D.Lgs. n. 83/2022 ha introdotto un nuovo compito in capo al commissario giudiziale nel caso di concordato in continuità aziendale, riecheggiando in un certo senso le funzioni proprie dell’esperto nella composizione negoziata. L’ultimo periodo del terzo comma dell’art. 92 del Codice dispone, infatti, che «Nel concordato in continuità aziendale, nel termine concesso ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera a), il commissario giudiziale, se richiesto o in caso di concessione delle misure protettive di cui all’articolo 54, comma 2, affianca il debitore e i creditori nella negoziazione del piano formulando, ove occorra, suggerimenti per la sua redazione».

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