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Saggio

Progetto Phoebe:la costruzione degli adeguati assetti*

Marco Lucchesini, Dottore in Economia

7 Novembre 2024

*Lo studio è il prodotto del progetto di ricerca curato dall’A. in virtù dell’assegnazione, il 7 ottobre 2022, di una delle tre borse di studio bandite il 3 giugno dello stesso anno.
Lo scritto rappresenta l’esito del Progetto Phoebe, proposto dall’A. a Diritto della Crisi, e avente come oggetto l’obbligo di istituire assetti organizzativi adeguati alla previsione tempestiva dell’eventuale insorgere della crisi, tema affrontato con un approccio empirico nell'ottica di indagare lo stato dell’organizzazione delle imprese italiane rispetto all’attuazione delle prescrizioni della normativa.

The paper shows the outcome of Progetto Phoebe, proposed by A. to Diritto della Crisi, and having as topic the obligation to establish adequate organizational arrangements for the timely prediction of the possible emergence of the crisis, The topic is addressed with an empirical approach to analyse the state of the structure of Italian companies regardingimp the fulfilment of the requirements of the legislation.
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
Uno dei pilastri dell’impianto normativo relativo alla crisi d’impresa è rappresentato dagli assetti organizzativi: questi ultimi devono essere adeguati sia nell’ottica di prevenzione della crisi sia per una più efficiente gestione dell’attività ordinaria. E devono anche tenere conto delle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività svolta. 
L’obiettivo del Progetto Phoebe, finanziato e sostenuto dalla Rivista “Diritto della Crisi”, è indagare lo stato delle PMI presenti sul territorio nell’ottica di riuscire ad ipotizzare un modello di supporto che permetta l’adozione di adeguati assetti organizzativi: un modello non “rigido”, viste le caratteristiche diverse di ogni realtà aziendale, sia a livello di business sia per quanto concerne le risorse umane a disposizione di ogni sistema. Un modello, inoltre, che tenga conto del fatto che, poiché anche le imprese individuali devono dotarsi, se non di assetti organizzativi veri e propri, di misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi, le dimensioni dell’impresa non escludono la necessità della predisposizione di una organizzazione che consenta di rilevare gli eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, sia pure rapportati alle specifiche caratteristiche dell’attività. 
In prima battuta, per tentare di comprendere quale fosse effettivamente lo stato delle imprese italiane in relazione all’adozione degli adeguati assetti organizzativi, si è optato per un’indagine da svolgersi attraverso la somministrazione di un questionario che, grazie soprattutto al supporto della Fondazione Nazionale di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e di alcuni professionisti che collaborano con Diritto della Crisi, è stato fatto circolare su tutto il territorio nazionale. La ricerca, in una prima fase, è stata quindi svolta non presentando direttamente il questionario alle imprese oggetto di analisi, ma per il tramite dei professionisti di fiducia delle stesse. 
E’ doveroso osservare, a tal riguardo, come sebbene anche questo tipo di canale riesca ad ottenere risultati concreti e meritevoli di attenzione, per una rappresentazione maggiormente affidabile della realtà imprenditoriale (anche suddivisa per settori merceologici) sarebbe preferibile riuscire a raggiungere direttamente le imprese, in modo che l’esercizio della compilazione del questionario potesse diventare anche per i soggetti apicali un’occasione di verifica dello stato della propria gestione. Proprio per questo motivo, in una seconda fase, si è ritenuto opportuno proseguire la ricerca attraverso interviste nelle quali sono state poste in maniera diretta le domande presenti nel questionario a soggetti titolari di attività imprenditoriali nelle città di Firenze e Torino, tentando così di intercettare ancor più da vicino la sensibilità di tali soggetti in merito alla funzionalità degli adeguati assetti a rilevare tempestivamente situazioni quali la crisi d’impresa o la perdita della continuità. Ovviamente, per una più capillare rilevazione dello stato dell’arte direttamente presso le imprese, sarebbe opportuno, in un eventuale sviluppo futuro della ricerca, poter contare sul sostegno delle Associazioni di categoria: questa considerazione non inficia la bontà dei risultati raggiunti col progetto, data l’omogeneità delle risposte che sono state raccolte nelle interviste porta a porta rispetto a quelle che sono pervenute tramite i professionisti. 
Il Codice della crisi, nella versione che è entrata in vigore il 15 luglio 2022, chiarisce in maniera precisa cosa sia necessario perché un assetto organizzativo possa risultare adeguato: stante quanto previsto dall’art. 3, comma 3, tramite di esso, l’impresa deve essere capace di ragionare in un’ottica forward looking, monitorando l’evoluzione di alcune poste contabili. In particolare viene richiesto di i) rilevare squilibri patrimoniali o economico-finanziari rapportati alla specificità dell’impresa, ii) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per dodici mesi (oltre ai “segnali” di cui tra poco diremo), e iii) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata nonché a effettuare il test pratico per la verifica della perseguibilità del risanamento previsti all’art. 13 dello stesso Codice della crisi e finalizzati al percorso di composizione negoziata della crisi, senza che, all’evidenza, la lista e il test debbano essere necessariamente correlati soltanto a tale percorso (come dimostra, del resto, la modifica all’art. 5 bis contenuta nello schema di decreto correttivo approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 10 giugno). 
Giova ricordare che la prescrizione in merito alla necessità di dotarsi di adeguati assetti organizzativi, in realtà, è in vigore dal 2019, grazie alle modifiche apportate all’art. 2086 c.c., e che il Codice della Crisi ha inteso soprattutto chiarire il contenuto della prescrizione, dando indicazioni più puntuali circa quel che deve intendersi per adeguatezza dell’assetto. In tale ottica, come evidenziato da più contributi, alcune utili informazioni circa la struttura dell’assetto possono evincersi dalla sezione II del decreto dirigenziale del 21 marzo 2023 relativa alla checklist (lista di controllo particolareggiata) per la redazione di un piano di risanamento e per l’analisi della sua coerenza.
La lista di controllo ha il pregio di rappresentare una vera e propria radiografia dell’impresa, di qualsiasi dimensione essa sia: attraverso la lettura delle domande che vi vengono poste è possibile anche capire l’importanza che certe risposte possono avere in una logica imprenditoriale.
A quanto sopra, vanno ad aggiungersi le indicazioni fornite dall’art.3, comma 4, del Codice della Crisi, che determina anche quali poste contabili – rectius i “segnali” nel lessico impiegato dal Codice – occorre osservare con maggiore attenzione: in tal senso, l’adeguatezza sarà raggiunta a patto che siano tenuti sotto controllo i debiti per retribuzioni, i debiti verso fornitori, l’esposizione nei confronti delle banche e i debiti nei confronti di Erario e Previdenza. 
È doveroso osservare come le soglie indicate nell’art. 3, comma 4, sono volutamente più basse di quelle che avrebbero fatto scattare le segnalazioni previste originariamente dal Codice[1], e la scelta origina dalla necessità di “allertare” l’impresa in anticipo così da consentirle di poter apportare le contromisure necessarie a prevenire la crisi. Lo spirito del novellato art. 3, infatti, non è quello di segnalare una condizione già manifestata, come nell’abrogato art. 13 che prevedeva gli indicatori della crisi, ma quello di consentirne una rilevazione sufficientemente anticipata da impedirne la piena manifestazione. Inoltre, lo schema di decreto correttivo al Codice della Crisi parrebbe intervenire proprio sull’art. 3, nell’ottica di chiarire ancor meglio che i segnali di cui sopra sono da ritenere utili per prevedere e intercettare tempestivamente, e non a rilevare, i segnali di crisi.  
In questo contesto, l’art. 3 vorrebbe consentire all’impresa di prevenire la crisi, rendendo l’imprenditore maggiormente consapevole della necessità di agire in una fase “di difficoltà” anteriore alla manifestazione di un’eventuale crisi, il che va chiaramente nella direzione dell’early warning : una cultura, più che un metodo, che dovrà essere una vera e propria bussola nella gestione dell’impresa. Del resto, come stabilisce l’art. 2086 c.c. e come ripete l’art. 3 Codice della crisi, una volta manifestatasi la crisi, l’imprenditore – o l’organo di amministrazione – è tenuto ad attivarsi senza indugio per l’adozione e la (successiva) attuazione di uno dei meccanismi previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale: proprio per evitare eventuali responsabilità risulterà decisiva la tempestività nella reazione da parte delle imprese.
Si può dire, quindi, che si è creato un ideale coordinamento tra istituzione di adeguati assetti organizzativi, nell’ottica di prevenzione della crisi d’impresa, e composizione negoziata per la ricerca di soluzioni stragiudiziali appropriate alle specificità della crisi e dell’attività, con il precipuo obiettivo di evitare, anticipando l’intervento in una fase precoce, la condizione in cui la crisi d’impresa trasmodi in insolvenza irreversibile, così da provocare il ricorso previsto dall’art. 40 CCII per l’apertura della liquidazione giudiziale.
Ciò premesso, si ritiene che, considerato il substrato imprenditoriale che connota la nostra economia, numerose difficoltà potrebbero incontrare le piccole o micro imprese – in particolare quelle che non possono beneficiare di un sistema di contabilità interna – nel tenere sotto controllo le poste passive previste dal terzo comma dell’art. 3; si intende dire che non è semplice riuscire a ipotizzare e a immaginare, senza la presenza di un ausilio esterno, un modello che possa essere seguito dall’imprenditore meno strutturato per avere la certezza di operare con un adeguato assetto organizzativo[2].
Prescindendo dalle soluzioni individuate e indipendentemente dalla bontà o meno degli strumenti impiegati nelle attività di verifica e valutazione, ciò che i dati elaborati nell’ambito di questa ricerca significativamente evidenziano è la scarsa consapevolezza da parte dell’imprenditore – o degli amministratori, nelle imprese collettive – dell’importanza del controllo di gestione e del monitoraggio di determinati indicatori e dei correlati benefici che l’attività d’impresa potrebbe ottenere dallo sfruttamento di un tale livello di analisi. E ciò non solo perché una maggiore consapevolezza, unitamente a un’adeguata formazione degli stessi imprenditori[3] consentirebbe di comprendere l’importanza che la tempestività dell’azione ha in situazioni di difficoltà, ma, più in generale, perché permetterebbe di intercettare le congiunture di mercato e gli altri fattori che suggeriscono un diverso modello di business, una diversa organizzazione del lavoro, o diverse modalità di svolgimento dell’attività o di presentazione del prodotto, migliorandone i risultati. 

Alcune indicazioni metodologiche
Con l’obiettivo di cogliere le peculiarità delle imprese meno strutturate, il questionario in oggetto è composto da quattordici domande, ideate in modo tale da permettere di accorpare i risultati in gruppi: i quesiti tengono conto della tipologia di attività, delle dimensioni delle imprese (sia come numero di dipendenti che volumi di attività) e del livello di adeguatezza che le stesse sono riuscite a dare ai propri assetti.
In tal senso, si è optato per una serie di domande chiuse (tendenzialmente quantitative) e per altra serie di domande aperte (di carattere qualitativo) che possano diventare anche una “guida” per comprendere lo stato della gestione e del controllo dell’attività da parte dell’imprenditore che si ritrova a compilare il questionario.
A differenza di quanto avviene solitamente nelle ricerche statistiche, il campionamento è non probabilistico: non è stato possibile selezionare preventivamente il campione oggetto di analisi, ma si è di fatto scelto il canale attraverso il quale ottenere i risultati. Perciò, perciò il campione si può definire “di convenienza”, rappresentato cioè da coloro che hanno scelto di completare il questionario. Lo stesso principio vale anche per i risultati ottenuti attraverso la modalità dell’intervista, in quanto il metodo “porta a porta” ha volutamente seguito un approccio randomico, senza preventivamente selezionare un campione specifico, nell’ottica di mantenere un livello uniforme, grazie alla possibile differenza delle risposte, nei risultati che sarebbero potuti derivare dalle interviste.
Non è stato possibile, né era un obiettivo della ricerca del Progetto Phoebe, ottenere i dati anagrafici dei rispondenti, sia per questioni di privacy, sia perché tale indagine esulerebbe dalla finalità di questo lavoro, che è esclusivamente di carattere accademico e non ha finalità di “mappatura” di tipo economico (i.e. ricerca di mercato). Anche nei confronti dei soggetti intervistati direttamente, si è preferito non tenere traccia dei nominativi delle attività, ma piuttosto ordinarli attraverso un progressivo numerico.
Da questo angolo visuale, è importante sottolineare che i risultati che verranno presentati nel prosieguo dell’elaborato sono relativi a ciò che è stato possibile ricavare grazie al campione oggetto di analisi e che non vi è la presunzione di ipotizzare che le conclusioni a cui si giunge dalla lettura di questo documento siano valide per tutte le realtà presenti sul mercato.
Fatte queste dovute premesse, è infine opportuno precisare che si è scelto di analizzare i risultati ottenuti senza considerare il totale dei rispondenti come un unico campione, ma dividendo i dati che sono stati ricavati dalle interviste da ciò che è emerso dal questionario online; tale scelta è dovuta a una serie di motivi.
Innanzitutto, occorre considerare che le imprese raggiunte grazie al questionario online sono, per forza di cose, in numero decisamente maggiore rispetto a quelle intervistate, in un rapporto di circa otto a uno.
Inoltre, vi sono numerose differenze all’interno delle due tipologie di campioni, a partire dalla grandezza delle imprese oggetto di analisi: se infatti il questionario, grazie anche all’aiuto di professionisti, è riuscito a raggiungere soggetti di grandi dimensioni, lo stesso non si può dire per i risultati derivanti dalle interviste, in quanto, nonostante l’impegno profuso, non è stato possibile svolgere interviste con figure apicali di realtà maggiormente strutturate. In questo senso, fondere i risultati ottenuti tramite i due canali avrebbe avuto l’effetto di spostare notevolmente verso il basso la magnitudine media dei soggetti oggetto di indagine, andando così a “viziare” l’analisi dei risultati. Si è perciò scelto di analizzare separatamente i risultati ottenuti, concentrando l’attenzione in questo contributo su quelli ottenuti tramite il questionario online (considerato il maggior numero) e, da ultimo, indagare le differenze rispetto a quanto è stato possibile ricavare dalle interviste.
Da ultimo, occorre considerare un importante aspetto che differenzia notevolmente l’intervista diretta dalla compilazione di un questionario: parlando a tu per tu con coloro che hanno accettato di partecipare alle interviste, è stato possibile notare dettagli e sfumature che hanno poi portato a formulare una migliore risposta (nelle domande aperte) che si confacesse all’attività oggetto di analisi. Sotto questo punto di vista, occorre chiarire che tale osservazione non pregiudica in alcun modo il valore dei risultati ottenuti grazie alla compilazione online, ma piuttosto pone l’accento sul fatto che l’intervista diretta riesce senza dubbio a trasmettere all’intervistatore la consapevolezza con la quale vengono fornite le risposte da parte dell’intervistato. Questa diversa condizione, come si avrà modo di analizzare nel paragrafo relativo alle differenze tra i due campioni oggetto di analisi, permette di osservare i dati ottenuti attraverso una più ampia prospettiva.
2.1 . Il campione oggetto di analisi
Come mostrato nella Tabella 1, ove si riporta una suddivisione del campione in base al livello di fatturato e al numero dei dipendenti, la maggior parte dei rispondenti (62,70%) è rappresentato da società di capitali (s.r.l., s.r.l.s., s.p.a., s.a.p.a.), seguite da ditte individuali (19,38%), società di persone (8,96%), società cooperative (5,37%) e, in numero veramente minimo, associazioni in partecipazione e imprese familiari. 
A fini metodologici, quest’ultime, vista la scarsità dei rispondenti, non sono state prese in considerazione nell’analisi dei dati successivamente elaborati. 

Tabella 1
- Il campione oggetto di analisi

Tabella 2 - Il campione oggetto di analisi: fatturato e numero di dipendenti


È sembrato utile, al fine di avere una visione più dettagliata in merito alle caratteristiche del campione analizzato, incrociare i dati relativi al numero di dipendenti e al livello di fatturato per valutare come fossero collocati i soggetti rispondenti in relazione ad entrambi i parametri. 
Da ciò emerge che buona parte dei rispondenti (47,88%) ha un livello di fatturato inferiore ad un milione di euro e il 93,8% di questi ha meno di dieci dipendenti, il che avvalora da un lato i risultati ottenuti, dall’altro l’obiettivo della ricerca che è, come accennato, quello di analizzare lo stato delle PMI. Il 18% dei rispondenti, con un fatturato tra uno e cinque milioni di euro, presenta per la maggior parte un numero di dipendenti fra le 10 e le 50 unità, ma vi è anche un 40% che riesce ad ottenere certi risultati con meno di 10 unità. 
Appare interessante notare che soltanto il 5% dei rispondenti riesce a raggiungere un fatturato maggiore di 5 milioni con meno di 10 unità; emerge, infatti, che per ottenere risultati superiori ai 5 milioni di euro (tendenzialmente vi riescono soltanto società di capitali) la maggior parte delle realtà oggetto di analisi necessita di più di 10 dipendenti. Inoltre, la ricerca è riuscita a raggiungere anche soggetti con livello di fatturato superiore a 50 milioni di euro che presentano un numero di dipendenti che varia tra le 100 e più di 250 unità.
2.2 . La gestione dell’attività
Esaurita l’analisi sulla composizione del campione, si è fornita evidenza delle caratteristiche qualitative inerenti alla gestione dell’attività imprenditoriale da parte dei soggetti rispondenti. In questo senso, è stata condotta un’analisi in merito a due caratteristiche fondamentali: l’adozione o meno di un sistema gestionale e la tenuta della contabilità. 

Grafico 1 -
Utilizzo di un software gestionale




Come si evince dal grafico 1, più di quattro quinti dei rispondenti utilizza un software gestionale per gestire più facilmente la propria attività; dalle risposte è emerso anche quali tipologie di software vengono utilizzate, ma si opta per non riportarle in questa sede perché non appare un argomento coerente con quanto stiamo trattando. 

Grafico 2 -
Contabilità interna o esterna
I risultati relativi alla tenuta della contabilità sono da considerarsi tendenzialmente correlati a quanto riportato nel grafico precedente inerente all’utilizzo di software gestionali: è evidente che imprese strutturate nella gestione della propria attività hanno la possibilità di beneficiare sia dell’uno che dell’altro, ma è altrettanto vero che alcuni degli strumenti utilizzati per migliorare la gestione non sono così efficienti da fornire dati completi in ausilio di un’attività di gestione contabile interna, motivo per il quale molte aziende preferiscono comunque “appoggiarsi” a consulenti esterni per avere maggiore sicurezza in relazione alla tenuta contabile. 

Tabella 3 - La gestione dell’attività
Si è ritenuto opportuno approfondire i risultati ottenuti operando una suddivisione degli stessi in relazione alla forma giuridica dei rispondenti, per provare a comprendere in maniera più precisa le dinamiche della gestione dell’attività. Dai dati emerge che l’80% delle società di capitali, delle società cooperative e delle ditte individuali utilizza un software gestionale per lo svolgimento della propria attività, mentre i numeri sono leggermente più bassi per quanto concerne le società di persone (76%). Per quanto riguarda la tenuta della contabilità, il 70% delle società cooperative rispondenti gestisce autonomamente la contabilità, così come il 62% delle ditte individuali, il 58% delle società di capitali e il 41% delle società di persone.
Da ultimo, è sembrato utile valutare le possibili combinazioni ottenibili con i dati raccolti, da cui emergono spunti interessanti: quasi il 50% dei rispondenti ha una contabilità interna e beneficia al contempo dell’utilizzo di un software gestionale, binomio di fattori che dovrebbe consentire un maggior controllo dell’attività. In tale situazione, tra i rispondenti, si ritrovano il 52,94% delle ditte individuali, il 50,13% delle società di capitali, il 32,73% delle società di persone e il 60% delle società cooperative. Al contrario, nella situazione completamente opposta, ovvero quando la tenuta della contabilità è effettuata da parte di un soggetto terzo e vi è mancato utilizzo di un software gestionale, vi sono il 9,12% dei rispondenti, di cui il 14,55% delle società di persone, il 10,08% delle ditte individuali e l’8,31% delle società di capitali. 
Inoltre, in ordine alle modalità con cui l’impresa è gestita, è stata posta una domanda qualitativa in merito alla tipologia di gestione che viene adottata. Si è chiesto, in tal senso, se siano i previsti sistemi di delega delle decisioni o, più in generale, se siano presenti adeguati flussi informativi. Si è optato per procedere ad un’analisi di tali risposte, anche tenendo conto del livello di fatturato dei rispondenti come approssimazione per poter ragionare in merito all’adeguatezza degli assetti gestionali. 

Tabella 4 - La gestione dell’attività tramite un sistema di deleghe[4]
Sono state fornite ai rispondenti più opzioni – da scegliere in base a come viene gestita l’attività all’interno delle proprie organizzazioni – che riportiamo di seguito per facilitare l’interpretazione delle risposte:
·  svolgo la mia attività con persone di cui mi fido e che partecipano alla realtà aziendale con grande partecipazione ed ascolto coloro che ne fanno parte per prendere le decisioni più importanti;
· gestisco in prima persona la mia attività, ma sono quotidianamente in contatto con i miei professionisti di fiducia per farmi consigliare in merito alle decisioni da prendere;
· ho delegato un responsabile amministrativo per il controllo di gestione e finanziario e con cui mi confronto prima di assumere decisioni rilevanti;
·   prima di prendere qualsiasi decisione, riunisco i responsabili delle varie aree dell'attività, valutiamo insieme la situazione e li rendo partecipi del percorso decisionale e del ruolo che avranno nell'implementazione della decisione;
·  ho organizzato un sistema di deleghe che mi permette periodicamente di tenere sotto controllo tutti i vari aspetti dell'attività con cadenza giornaliera/settimanale, così da poter avere una reazione tempestiva rispetto a ciò che accade;
·  gestisco in prima persona la mia attività e tendo a non delegare decisioni in merito ad essa
Appare importante soffermarsi sul fatto che il 10,84% dei rispondenti, la maggior parte dei quali con un livello di fatturato inferiore al milione di euro, ritiene di gestire l’attività in prima persona senza delegare decisioni: ciò evidenzia una cultura imprenditoriale incentrata su una gestione personalistica, del resto tipica delle PMI italiane, che anche la previsione relativa agli adeguati assetti organizzativi, vorrebbe in qualche modo fosse superata. Inoltre, sebbene supportato dalle competenze dei propri professionisti, un ulteriore 21,35% dei rispondenti gestisce l’attività in prima persona concentrando su di sé le decisioni e circa il 75% tra questi raggiunge livelli di fatturato fino a cinque milioni di euro. 
Al contempo, la maggior parte dei rispondenti (67,82%) pare essersi dotata di un adeguato sistema di deleghe: in particolare, il 22,21% prevede una collaborazione continua fra le varie aree aziendali, l’14,81% prevede una collaborazione che contempli anche maggiore responsabilità in capo ai vertici delle varie aree aziendali e il 16,42%, attraverso un sistema di deleghe, riesce a tenere sotto controllo quotidianamente la realtà aziendale. Altrimenti, (il 14,38% dei rispondenti) si è optato per individuare un responsabile amministrativo con cui confrontarsi prima di assumere le scelte più rilevanti: tale scelta, pur evidenziando un certo grado di organizzazione, non appare comunque essere la più efficiente per un adeguato controllo gestionale in quanto un'unica figura delegata al controllo potrebbe non essere sufficiente nel caso non siano previsti adeguati flussi informativi. 
2.3 . Il monitoraggio dei risultati
Una delle più importanti analisi da compiere per una corretta gestione dell’attività imprenditoriale, così come sottolineato nel decreto dirigenziale del Ministero della giustizia del 21 marzo 2023, è quella derivante dalla predisposizione di un budget di tesoreria e dalla successiva valutazione dei risultati. In tale ottica, l’indagine vuole approfondire se effettivamente tale strumento è utilizzato e/o, in alternativa, quanto le aziende si affidino a strumenti previsionali o indicatori di performance atti a tenere sotto controllo l’attività; inoltre, strettamente correlata è la necessità di comprendere la periodicità con la quale tali risultati vengono analizzati e se, in conseguenza di essi, vengano implementati o, se già presenti (ma carenti), modificati, gli assetti aziendali. 
In questa fase del monitoraggio, rispetto a quanto analizzato in precedenza, emerge nettamente un’importante distonia fra ciò che viene richiesto dalla normativa e la realtà in cui le PMI italiane operano. 

Grafico 3 - Budget di Tesoreria
Grafico 4 - Cadenza di valutazione dei risultati
I risultati che si traggono dai quesiti riferiti alla tenuta o meno e al continuo aggiornamento di un budget di tesoreria vanno letti necessariamente tenendo conto delle tempistiche con cui viene svolta una valutazione dei risultati da parte delle imprese oggetto di analisi.
Il dato fondamentale che emerge è che quasi la metà dei rispondenti (45,93%) non sfrutta uno strumento previsionale come il budget di tesoreria, essenziale ai fini di una attenta e consapevole gestione dell’attività. Ci si interroga, dunque, su come tali realtà riescano a poter avere una visione dettagliata di ciò che le attende in futuro e, in tal senso, in che modo possano gestire l’attività consapevolmente. Inoltre, la circostanza che il 54,56% dei rispondenti operi una valutazione della propria attività almeno ogni mese, che di per sé sarebbe un dato confortante, è in netto contrasto con le modalità di risposta precedenti: ci si chiede come sia possibile riuscire ad ottenere una reale valutazione se non si dispone dei numeri sottostanti ai flussi che le realtà si attendono di avere. Verrebbe da pensare, e ciò accade in non rari casi, che la valutazione di cui sopra non venga effettuata in ottica prognostica, ma sia una valutazione ex post dei risultati ottenuti in un periodo immediatamente precedente. Tale esercizio è certamente meritevole di attenzione – perché esaminare il passato per non ripetere gli errori commessi può avere comunque una sua efficacia – ma allo stesso tempo un approccio di questo tipo è assai limitante perché il mercato tende a modificarsi continuamente e senza un piano d’azione ogni azienda rischia di trovarsi in una situazione peggiore delle aspettative. 

Grafico 5 - Utilizzo di KPIs (Key Performance Indicators)
Quanto affermato in precedenza assume ancora maggiore rilevanza quando si nota che il 63,35% dei rispondenti non utilizza alcun tipo di KPIs e addirittura quando il 52,43% di questi opera una valutazione analizzando unicamente le entrate e le uscite (Grafico 5): ciò avvalora ancor di più la tesi secondo la quale la maggior parte delle imprese opera una valutazione soltanto successiva all’ottenimento di risultati consuntivi. Al contempo, poco meno di un quarto dei rispondenti è riuscito ad impostare un sistema di reportistica che possa permettere di conoscere i risultati degli indicatori previsionali con tempestività: ci si aspetta che tali realtà riescano ad essere molto più reattive ai cambiamenti del mercato e ad avere un maggior controllo della gestione delle attività.
In conclusione, parrebbero esistere degli spazi di intervento su circa il 23% dei rispondenti, buona parte dei quali non ha mai sentito parlare di KPIs[5] e altri che, pur riconoscendone l’importanza, non riescono a ricavare dati che possano rendere funzionanti tali indicatori. 

Tabella 5
- Monitoraggio dei risultati
Si è dunque ritenuto opportuno approfondire ulteriormente le dinamiche sottostanti il monitoraggio dei risultati da parte delle realtà oggetto di analisi, sia nell’ottica di avere una visione più completa delle risposte, sia per provare a comprenderne più precisamente l’effettiva coerenza. In considerazione di ciò, riprendendo quanto affermato in precedenza, è doveroso evidenziare come soltanto il 60% di coloro che affermano di svolgere una valutazione della propria attività almeno ogni mese lo fa avendo a disposizione un budget di tesoreria; perciò due soggetti su cinque si trovano in una situazione che difficilmente consentirà una valutazione previsionale dei risultati delle attività. Inoltre, il 18,73% del totale dei rispondenti non utilizza alcun tipo di strumento previsionale e si ritrova a svolgere una piena valutazione della propria attività soltanto ogni sei mesi o ogni anno e, si ipotizza, attraverso i risultati consuntivi derivanti dai bilanci di esercizio: questi soggetti sono senza alcun dubbio coloro che hanno il minor controllo della gestione della propria attività. Infine, un ulteriore dato che emerge dalla tabella sopra riportata è che il 16% dei rispondenti non utilizza KPIs e non predispone neanche un budget di tesoreria: abbiamo già accennato a quanto complesso possa essere operare una valutazione critica dell’attività senza l’ausilio di alcuno strumento, ma sembra importante, in tale sede, avvalorare l’analisi anche grazie a questo ulteriore dato. 
2.4 . Gli adeguati assetti organizzativi
In questa sezione del questionario si è tentato di comprendere, in primo luogo, se i rispondenti fossero o meno a conoscenza dell’entrata in vigore del Codice della Crisi, per approfondire, successivamente, se fossero anche consci delle novità apportate dalla suddetta normativa in merito agli assetti organizzativi. 
Posto che l’85% dei rispondenti ha evidenziato di essere a conoscenza dell’entrata in vigore del Codice della Crisi, si è ritenuto opportuno indagare se vi fosse da parte degli stessi l’intenzione di adeguare il proprio sistema di controllo interno conformandosi alla normativa. 

Grafico 6 - Rispetto della normativa

I risultati riportati nel grafico 6 sono piuttosto disomogenei: circa il 60% dei rispondenti intende adeguarsi alla normativa, anche se un terzo degli stessi ritiene che occorra tempo e che sia un esercizio di grande complessità; il 13,84% dichiara di essere intenzionato ad adeguare i propri assetti organizzativi alla normativa, ma non ha chiaro che tipo di controllo occorra e anche qui, come evidenziato nel paragrafo precedente in relazione agli strumenti previsionali, sembrerebbero esistere spazi di intervento che prevedano un supporto esterno per questi soggetti.
Allo stesso tempo, sembrerebbe che più di un terzo dei rispondenti non intenda adeguarsi a quanto richiesto dalla normativa, un dato questo che sembra suggerire una tendenziale mancanza di consapevolezza in merito all’importanza della predisposizione di adeguati assetti organizzativi. Si è ritenuto perciò di particolare interesse provare ad analizzare se vi fosse una corrispondenza tra questa tendenza e i risultati relativi all’utilizzo di strumenti previsionali o budget di tesoreria per una migliore gestione dell’attività. 

Tabella 6 – Adeguati assetti organizzativi

Come si ipotizzava, circa il 50% dei rispondenti che non ritiene di doversi adeguare alla normativa corrisponde a coloro che non utilizzano strumenti previsionali o un budget di tesoreria per tenere sotto controllo la propria attività; quanti si trovano in questa situazione rappresentano circa il 75% del totale di coloro che, fra i rispondenti, non intendono adeguare i propri assetti organizzativi. Ciò sembrerebbe attestare, sempre stando ai dati che si è potuto raccogliere con l’inoltro del questionario, che una parte dell’imprenditoria italiana non intende modificare l’organizzazione dell’attività, restando ancorata ad una tipologia di gestione che potrebbe rivelarsi non sufficientemente idonea per affrontare le dinamiche che contraddistinguono il mercato odierno, messo a dura prova da fattori esogeni all’impresa.
Al contempo sono minime, seppur da tenere in considerazione, le percentuali di risposte negative in merito all’adozione di adeguati assetti organizzativi da parte di coloro che hanno un budget di tesoreria aggiornato in modo continuativo; e tali numeri si abbassano ulteriormente se si tengono in considerazione anche coloro che sfruttano indicatori previsionali (KPIs) per lo svolgimento della propria attività: tra questi, un terzo non intende adeguare il proprio assetto organizzativo alla normativa prevista dal Codice della Crisi, probabilmente non in quanto non consapevole dell’importanza di un adeguato assetto organizzativo, ma perché ritiene che la propria organizzazione sia già efficace ed efficiente nella misura necessaria.
A coloro che hanno risposto affermativamente al quesito precedente, è stato poi chiesto, anche seguendo come traccia la checklist del decreto dirigenziale del 21 marzo 2023, quali risultati riuscissero a ottenere con gli attuali assetti organizzativi a loro disposizione, nell’ottica di comprendere quanto l’implementazione degli stessi stesse funzionando e anche per valutare una coerenza generale in relazione alle precedenti risposte.
Focalizzando l’attenzione sulla quantità di attività che riescono a porre in essere, si è verificato quante siano le aziende rispondenti che riescano a:
• tenere sotto controllo il puntuale incasso dei crediti;
• valutare la sostenibilità del debito nei successivi 12 mesi;
• redigere una situazione debitoria completa e aggiornata;
• tenere costantemente aggiornato l’ammontare del debito nei confronti di Erario e Istituti di Previdenza;
• tenere conto delle passività potenziali che potrebbero incidere sull’attività;
• simulare un budget di tesoreria a tre/sei mesi; 
• avere sempre una situazione contabile non anteriore a 120 giorni; 
• avere una costante valutazione aggiornata delle rimanenze presenti in magazzino. 

Tabella 7 – Attività possibili grazie agli assetti organizzativi[6]
La tabella sopra riportata è stata organizzata tenendo in considerazione due variabili: il numero massimo di attività che i rispondenti riescono a concludere e le tipologie di attività, suddivise in rapporto a quante delle stesse sono svolte dalle aziende oggetto di analisi. A titolo esemplificativo, il 17,66% dei rispondenti riesce a svolgere soltanto un’attività e quella che viene maggiormente posta in essere è la simulazione di un budget di tesoreria a tre/sei mesi. È importante sottolineare che soltanto il 3,89% dei rispondenti è in grado, grazie al proprio assetto organizzativo, di svolgere tutte le attività che sono previste dalla checklist del decreto dirigenziale e che comunque, stando alla stessa checklist, appaiono fondamentali per riuscire a portare avanti un’organizzazione aziendale in maniera ‘sicura’ e consapevole. 
2.5 . Spazi di intervento
In conclusione, l’indagine verte sulla percezione che hanno le aziende dell’importanza dell’utilizzo di strumenti previsionali per governare l’attività e, in tal senso, si è anche inteso domandare che tipo di figura fosse necessario coinvolgere per poter migliorare l’assetto organizzativo. 
È evidente che, in merito agli strumenti previsionali, i quesiti posti in relazione al monitoraggio dei risultati hanno fatto emergere poca attenzione per la diffusione di un’adeguata cultura imprenditoriale e manageriale all’interno delle imprese italiane e ciò viene confermato anche in questa sezione, dai cui possono evincersi spazi di intervento per favorire un diverso atteggiamento rispetto alla tematica. 

Grafico 7 - L’importanza dell’utilizzo di strumenti previsionali

Anche in questa fase, si può notare che poco più di un quarto dei rispondenti non ritiene di dover utilizzare strumenti previsionali e c’è anche qualcuno che ritiene che sia possibile sempre tenere sotto controllo la propria attività unicamente grazie all’esperienza maturata. 
Al contempo, però, il 73,62% dei rispondenti ritiene che l’utilizzo di strumenti previsionali sia cruciale per lo svolgimento della propria attività, ma circa la metà di questi si ritrova nella situazione di non avere sufficienti conoscenze per creare strumenti previsionali, oppure ritiene che non diano risultati concretamente utilizzabili: si tratta quindi di soggetti sensibili alle tematiche affrontate, imprenditori che probabilmente necessitano di un supporto esterno per poter migliorare i propri assetti organizzativi. Per cui, nella prospettiva di favorire sinergie e collaborazione con le imprese, si è proceduto ad indagare quali soggetti il campione oggetto di analisi avrebbe necessità di coinvolgere per migliorare la gestione della propria attività. 

Grafico 8 - Coinvolgimento di soggetti esterni per migliorare l’assetto organizzativo

La maggior parte dei rispondenti (53,42%) ritiene di dover coinvolgere consulenti esterni o una figura manageriale per raggiungere una maggiore efficienza gestionale.
Ritenendo opportuno approfondire, si è tentato di comprendere da quali soggetti provenissero le richieste di un supporto esterno e si è tentato di individuare anche chi fossero coloro che non ritengono di dover coinvolgere nessuno, ritenendo di essere gli unici a poter avere una visione generale sull’andamento dell’attività (29,97%). In quest’ottica, si è optato per mettere in correlazione i risultati citati con quelli che evidenziano l’importanza fondamentale dell’utilizzo di strumenti previsionali per la gestione dell’attività.

Tabella 8 – Spazi di intervento
Degni di nota sono due risultati ottenuti grazie a questo esercizio: in primis, circa il 75% di coloro che ritengono di dover coinvolgere consulenti esterni corrisponde con i soggetti che ritengono fondamentale l’utilizzo di strumenti previsionali; tale risultato emerge anche prendendo in considerazione coloro che preferirebbero inserire all’interno della propria organizzazione una figura manageriale che possa coadiuvarli nella gestione dell’attività.
Al contempo – ed è un risultato a parere di chi scrive molto importante – più della metà (59,24%) di coloro che (i) non intendono utilizzare strumenti previsionali, (ii) ritengono di avere già tutto sotto controllo e (iii) hanno un’esperienza tale da non aver bisogno di evidenze numeriche che possano confermare le proprie previsioni, in realtà vorrebbe coinvolgere una figura esterna che possa collaborare alla gestione dell’attività. Questo risultato evidenzia che per tali soggetti, evidentemente, non vi è la consapevolezza che qualsiasi tipologia di supporto esterno, senza un’adeguata organizzazione interna, non potrebbe in tempi rapidi e senza enormi difficoltà riuscire a migliorare sensibilmente la gestione di un’attività che viene svolta senza alcun tipo di controllo. Inoltre, emerge ancora una volta l’importanza di riuscire a creare una cultura di gestione più consapevole e più improntata a comprendere la necessità di tenere sotto controllo tutte le sfaccettature dell’attività d’impresa: le novità del Codice della Crisi vanno esattamente in questa direzione e l’early warning, che necessita di un’adeguata organizzazione e di un preciso controllo di gestione, pare essere l’unico metodo funzionale ad evitare una pericolosa deriva delle PMI italiane.
3 . I risultati ottenuti tramite interviste: ricerca delle differenze e spunti di riflessione
Come detto in precedenza, si è ritenuto opportuno non limitare la ricerca ai risultati ottenuti grazie alla collaborazione, tramite la compilazione del questionario, da parte di circa 650 aziende italiane, ma proseguire l’indagine attraverso interviste che sono state effettuate nel corso degli ultimi mesi nelle città di Torino e Firenze. Ciò, non solo per incrementare il numero dei soggetti analizzati, ma anche, come riportato in precedenza, per tentare di intercettare possibili differenze, di carattere qualitativo, nelle risposte a seconda della metodologia di sottoposizione delle domande. Nonostante non sia stato semplice ottenere la possibilità di confrontarsi con i soggetti titolari di attività imprenditoriali, è stato raggiunto un ulteriore campione composto da circa 100 soggetti, prevalentemente facenti capo a micro o piccole imprese, che verranno analizzati di seguito. 
3.1 . La dimensione delle attività
Come evidenziato nella tabella seguente, le interviste sono state condotte su un campione che, rispetto a quello analizzato precedentemente, presenta un livello di fatturato tendenzialmente inferiore e anche la distribuzione della forma giuridica è notevolmente spostata verso ditte individuali e società di capitali. 
 
Tabella 9 – Il campione oggetto di analisi
Non consistendo sostanziali differenze in merito all’utilizzo di software gestionali o alla tenuta della contabilità rispetto al campione analizzato grazie alla somministrazione del questionario, si ritiene invece interessante definire le modalità di gestione che, attraverso le interviste, è stato possibile analizzare in maniera più approfondita, ponendo ulteriori domande che potessero avvalorare o meno le prime risposte ottenute. In tal senso, infatti, è stato possibile intercettare anche le reazioni e le capacità di immediata comprensione dei quesiti posti, ottenendo quindi un feedback che andasse oltre le mere risposte presenti all’interno del questionario.
3.2 . L’organizzazione gestionale
Tabella 10 - La gestione dell’attività tramite un sistema di deleghe (Risultato delle interviste)

Rispetto ai risultati presentati nella Tabella 4, appaiono tendenzialmente stabili (+2,75%) coloro che ritengono di gestire la propria attività in prima persona senza delegare decisioni: tali soggetti, anche di non piccolissime dimensioni, nel corso dell’intervista hanno dimostrato di considerare il coinvolgimento nell’attività di soggetti terzi un’eventualità che non verrà presa in considerazione a meno di ingenti difficoltà, preferendo mantenere pienamente il controllo delle proprie realtà, sia per evitare un costo incrementale per qualcuno ritenuto non necessario, sia per il timore di dover gestire rapporti interni oltre a quelli con la clientela. Si rileva stabile anche il numero di imprese che vengono gestite usufruendo, all’occorrenza, del supporto dei professionisti (+2,1%).
In relazione alla capacità di delega da parte dei soggetti intervistati, pare importante sottolineare una tendenziale mancanza di piena fiducia nei confronti dei soggetti facenti parte della realtà aziendale, soprattutto in relazione alla capacità da parte degli stessi di poter essere in grado di suggerire adeguate decisioni a coloro che sono alla guida dell’impresa: sebbene i risultati non siano distanti da quelli emersi grazie al questionario online, occorre però sottolineare come tendenzialmente la scelta di usufruire di un ausilio in relazione al controllo di gestione sia dettata più dalla mancanza di competenze dei soggetti apicali, rispetto all’effettiva consapevolezza di quanto possa essere fondamentale ottenere un aggiornamento continuo dei risultati ottenuti dalla propria azienda. Quanto appena descritto, inoltre, si accompagna al fatto che si è rilevato, grazie al confronto, che non vi è molta attenzione alla qualità dei dati che vengono trasmessi e ai flussi informativi che ne fanno da canale, evidenza che verrà ulteriormente approfondita nelle conclusioni di questo elaborato.
3.3 . La sostenibilità dell’attività e gli strumenti di valutazione
Abbiamo poco fa sottolineato che, nonostante non siano così marcate le differenze in relazione alle risposte ottenute, vi sia una chiara evidenza che l’approccio in relazione alla gestione tende ad essere accentratore e con una chiara mancanza di attenzione ai possibili sviluppi negativi dell’attività, nonostante la stessa, per molti degli intervistati, sia ritenuta la principale fonte di reddito e soddisfazioni lavorative. 
In tal senso, un importante risultato si è ottenuto grazie ai quesiti relativi al monitoraggio dei risultati: 

Grafico 9 - Budget di tesoreria - Interviste

È immediato riscontrare che quasi due terzi degli intervistati non predispongono e non monitorano i flussi di cassa grazie ai risultati derivanti da un budget di tesoreria, ergo procedendo alla cieca in mercati che sono sempre più in rapida e continua evoluzione. Rispetto ai risultati ottenuti tramite il questionario, che già sottolineavano un’inadeguata organizzazione da parte del 45,93% dei rispondenti, si ha un ulteriore incremento del +15,8% e, al contempo, diminuiscono anche i soggetti che, tra coloro che predispongono uno strumento per la valutazione dei flussi prospettici come il budget di tesoreria, riescono ad operare un aggiornamento con cadenza settimanale (-3,3%). Inoltre, le interviste hanno concesso l’opportunità di comprendere che per più della metà dei soggetti che sono stati oggetto di analisi non vi era la benché minima consapevolezza di come si costruisse un budget di tesoreria, con difficoltà a distinguere se dovesse far riferimento unicamente al primo margine (tipicamente, in scienza aziendalistica, la differenza tra ricavi e costi connessi all’acquisto di beni o servizi oggetto di vendita), oppure contenere previsioni relative a tutte le voci di entrate e uscite che l’attività avrebbe dovuto ottenere o sostenere. Una volta appurato che l’esercizio, per essere funzionale, avrebbe dovuto coinvolgere ogni tipo di espressione monetaria concernente l’attività, si è rilevata la tendenziale incapacità di poter addivenire ad un simile risultato. 


Grafico 10 –
La valutazione dei risultati da parte degli intervistati
Come evidenziato in precedenza, è importante affiancare i risultati di cui sopra con quelli relativi alla cadenza di valutazione dello stato di “salute” dell’attività: rispetto al campione analizzato grazie al questionario online, emerge un incremento di coloro che svolgono una valutazione ogni anno (+8,5%) o ogni semestre (+2%), anche se, in un primo momento, la risposta più immediata faceva riferimento alla capacità di operare una valutazione ogni giorno. È stato perciò necessario far presente che l’analisi richiesta per una valutazione non poteva prescindere da un approfondimento volto a intercettare possibili segnali di crisi, non individuabili, se nonquelli meramente qualitativi (quali ad esempio la perdita di un fornitore o di un collaboratore strategico), senza analizzare con una certa profondità dati numerici consuntivi e previsionali. 

Grafico 11 – L’utilizzo di KPIs per la valutazione dell’attività 

Di conseguenza, risultano piuttosto prevedibili i risultati presenti nel grafico in relazione all’utilizzo dei KPIs: rispetto ai riscontri precedenti, vi è un netto incremento di coloro che non ritengono affidabili tali indicatori (+12,7%) o comunque non riescono ad utilizzarli per la difficoltà di ricavare i dati (+9%). Per di più, soltanto il 7,4% degli intervistati (-13,9% rispetto al campione rilevato online) è stato in grado di impostare un sistema di reportistica atto a conoscere i risultati dei KPIs inerenti alla propria attività con la dovuta tempestività. 
3.4 . Gli adeguati assetti organizzativi
Attraverso l’analisi del campione precedente, è emerso che più dell’85% dei rispondenti è a conoscenza del Codice della Crisi e della sua entrata in vigore. Tra gli intervistati, questo dato scende a poco più del 60%, probabilmente in quanto in questo caso ci si riferisce a soggetti di dimensioni minori rispetto a quelli raggiunti online, che – si ipotizza - non beneficiano di un continuo confronto con i propri consulenti.
Ciò detto, anche all’interno delle interviste si è scelto di approfondire il tema degli adeguati assetti organizzativi, non soltanto in riferimento a quanto previsto dall’art. 3 del Codice, ma anche per cercare di trarre spunti di valutazione dalle risposte precedenti da parte degli intervistati: si è ritenuto opportuno, infatti, oltre a porre le domande, provare a operare una sorta di iniezione di consapevolezza nei confronti di coloro che si trovavano a dover rispondere tentando, per quanto possibile, di sensibilizzare gli stessi in merito ad aspetti quali il rispetto della normativa o l’importanza di poter mettere in atto azioni utili a portare avanti un’attività imprenditoriale.
In questo senso, si è optato per una leggera modifica alla domanda che nel questionario era posta come “Sta adeguando il sistema di controllo interno per poter rispettare la nuova normativa? ”, trasformandola in “Ritiene di dover adeguare il sistema di controllo interno per poter rispettare la nuova normativa? ”, nell’ottica di provare a capire se anche l’intervista stessa potesse essere stata fonte di “aggiornamento” per coloro che sono stati coinvolti. 

Grafico 12 – Il rispetto della normativa

Vi è stata quindi, in qualche modo, da parte dei rispondenti, una sorta di presa di coscienza dell’importanza di ciò che si stava chiedendo loro: addirittura il 45,68% ha compreso la complessità del cambiamento richiesto (+26,8% rispetto al questionario online) e in generale coloro che ritengono di avere già tutto sotto controllo o ai quali non interessa aggiornarsi sono diminuiti del -10,8%. In un certo senso, un termometro della sincerità dei rispondenti può intercettare la rilevazione del fatto che vi è quasi un 20% in meno di soggetti rispetto al questionario online che risulta lavorare costantemente per adeguarsi alla normativa, mostrando un colpevole ritardo nella reazione alle novità introdotte dal legislatore. 
In ultimo, sulla scorta di quanto sopra, appare significativo evidenziare le risposte fornite da coloro che si sono mostrati consapevoli e volenterosi di adeguare il proprio assetto organizzativo alla normativa, in merito alla capacità degli stessi di svolgere le attività fondamentali per la rilevazione immediata di squilibri economico-finanziari e per una corretta gestione aziendale. 

Tabella 11 - La capacità di svolgere determinate attività
Anche in relazione a ciò, emerge la sincerità degli intervistati, che evidenzia carenze superiori rispetto a quanto era stato possibile intercettare grazie al questionario online: in primis, nessun soggetto all’interno di questo campione ristretto è in grado di porre in essere tutte le attività cui si faceva riferimento e scende anche notevolmente (-16,5%) il numero di imprese che hanno la capacità di svolgerne più di quattro.
In generale, un dato che emerge e che pare importante sottolineare, è la difficoltà per la maggior parte dei rispondenti di riuscire ad intercettare e tenere conto di passività potenziali che potrebbero incidere sull’attività, mostrando, in tal senso, una pericolosa tendenza di sottovalutazione dei rischi. Stante l’instabilità dei mercati e la crescente pressione sulle filiere da parte dei soggetti maggiormente strutturati, riuscire a colmare questo gap organizzativo per le imprese più piccole è l’unica soluzione per attuare l’early warning che fa da stella polare al più recente intervento del legislatore. 
4 . Conclusioni
Dall’analisi dei risultati della ricerca è possibile trarre degli spunti di riflessione che non necessariamente debbono portare a una valutazione negativa dello stato dell’arte, ma piuttosto suggerire una presa di coscienza dello spazio di intervento possibile nell’area delle PMI[7], tenendo sempre in considerazione l’imprescindibilità del principio della proporzionalità dei presidi da adottare in relazione alle dimensioni ed alla complessità dell’impresa[8].
In tal senso, posto che in questo elaborato il focus è proprio su realtà di minori dimensioni, si proverà a declinare concetti tendenzialmente applicati alle grandi organizzazioni cercando di offrire suggerimenti che possano rivelarsi utili a strutturare un assetto al contempo efficiente ed efficace in considerazione delle realtà sulle quali si è concentrata la ricerca. Infatti, la valutazione di adeguatezza di per sé non può non tenere in considerazione le dimensioni dell’impresa oggetto di analisi e la variabilità degli scenari che la stessa si trova ad affrontare nel corso della propria attività, suggerendo che non esiste una soluzione univoca e rigida che possa fare al caso di ogni entità.
Inoltre, l’evoluzione delle teorie aziendalistiche ha dimostrato, se ce ne fosse stato bisogno, che la norma contenuta nell’art. 2214 c.c., che, riferendosi ai soli assetti contabili, esonera il piccolo imprenditore dalla tenuta delle scritture contabili, è ormai “insignificante e inapplicabile”: in quanto la produzione dei flussi informativi che derivano dalle registrazioni contabili degli eventi di gestione, costituisce elemento essenziale all’attività produttiva anche di piccole dimensioni[9]. Ciò che certamente emerge e viene confermato dall’art. 3 CCII è la necessità che, indipendentemente dalla struttura dimensionale, vi sia l’obbligo di dotarsi di misure idonee al rilievo tempestivo dello stato di crisi, ovvero che sia disegnato, strutturato e continuamente monitorato un modello di gestione che contempli precisi e tempestivi flussi informativi che consentano una reazione senza indugio allorquando vi siano all’orizzonte situazioni di squilibrio economico-finanziario.
Ciò che evidentemente potrà differenziare un assetto organizzativo di una grande impresa rispetto ad una di dimensioni minori è il grado di formalizzazione dell’organizzazione, in particolare in merito a rigidità dei flussi informativi o flessibilità con la quale vengono distribuite le mansioni ai vari soggetti facenti parte la catena informativa[10]. Oltretutto, la costruzione di un assetto organizzativo non potrà mai prescindere da una approfondita analisi di costi/benefici, ovvero di efficienza dell’assetto rispetto alla struttura da tenere sotto controllo: in tal senso, “risulterà efficiente un presidio che consente di raggiungere l’obiettivo con l’impiego minimo delle risorse indispensabili[11]”, pur avendo sempre come riferimento l’obiettivo minimo accettabile che, come detto, dovrà sempre tener conto del principio di proporzionalità.
Non è un caso, infatti, che il legislatore abbia optato per la clausola generale di “adeguatezza” dell’assetto organizzativo, in quanto tale concetto ‘relazionale’ indica proporzione, congruenza, convenienza ed opportunità rispetto anche al modello di business dell’attività: quest’ultimo, pur mantenendo certe peculiarità, tende, nel corso dell’attività d’impresa, a mutare ed evolversi a seconda dell’andamento del mercato e perciò anche un assetto organizzativo potrà risultare oggetto di sviluppo a seconda dei rischi che l’impresa corre, nell’ottica di un approccio votato all’early warning e ad intercettare i possibili segnali di squilibrio.
Perciò in un certo senso appariva condivisibile l’orientamento giurisprudenziale[12] che si era in un primo momento formato in merito alla discrezionalità da parte degli amministratori in relazione alla scelta di soluzioni diverse nella creazione di assetti organizzativi, privilegiando il principio della business judgement rule: non veniva messo in dubbio che vi potesse essere libero arbitrio in relazione alla scelta di dotarsi o meno di un adeguato controllo di gestione, ma piuttosto, come poc’anzi evidenziato, fornire l’occasione di determinare autonomamente quale possa essere l’organizzazione maggiormente funzionale a rispettare quanto richiesto dalla normativa. Quindi, stante il principio secondo il quale la valutazione di adeguatezza per ritenere congruo o meno l’operato degli amministratori deve necessariamente essere condotta ex ante, ovvero non in considerazione del risultato di un eventuale percorso di risanamento intrapreso, ma prendendo in esame la struttura organizzativa che era presente nel momento in cui si è manifestato uno squilibrio economico-patrimoniale, risultava comunque imprescindibile - quale condizione necessaria ma non sufficiente - l’adozione di strumenti di monitoraggio c.d. “manifesto” che possano evidenziare la presenza di pianificazione economico-finanziaria[13],  di un adeguato sistema contabile, di una ben definita struttura organizzativa e di un efficace sistema di reporting.
Con l’entrata in vigore del CCII però, e in particolare tenendo in considerazione quanto previsto dall’art.3, l’orientamento giurisprudenziale in merito alla dotazione di adeguati assetti organizzativi sembra aver subito una metamorfosi in senso restrittivo rispetto alla business judgement rule e, anzi, si nota in più casi che l’approccio dei tribunali tende a valorizzare l’importanza di indagare all’interno delle aziende oggetto del contendere la concreta sussistenza e lo stato effettivo degli assetti organizzativi. In tal senso, recenti provvedimenti sono contraddistinti da una più marcata intenzione da parte del Tribunale di far luce sull’effettivo stato degli assetti nel momento in cui avviene la segnalazione, tipicamente da parte del collegio sindacale, per tramite delle analisi svolte da parte di ispettori giudiziari. Ad esempio, l’irregolarità gestionale, nonostante l’attività non si trovasse in crisi, è stata accertata dal Tribunale di Cagliari[14], che ha evidenziato l’assenza di adeguati presidi gestionali, fornendo anche spunti operativi attraverso un dettaglio delle carenze organizzative riscontrate, riportate nella tabella di seguito riportata: 


Il Tribunale, in tale fattispecie, ha perciò ordinato all’organo amministrativo di adottare gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati, nominando un amministratore giudiziario, ai sensi dell’art. 2409 c.c., nell’ottica di verificare in un secondo momento l’adeguatezza degli interventi messi in atto. Non solo, in siffatta situazione il Tribunale ha voluto specificare che “una volta manifestatasi la crisi, sfuma la gravità dell’adozione di adeguati assetti e viene in massimo rilievo, invece, la mancata adozione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per fronteggiarla” e in tal senso “la violazione dell’obbligazione di predisporre adeguati assetti è più grave quando la società non si trova in crisi, anche perché, del resto, proprio in tale fase essa ha le risorse anche economiche per predisporre con efficacia le misure organizzative, contabili e amministrative”.
Un altro caso in cui si è assistito ad un simile approccio, è riferibile al provvedimento con il quale il Tribunale di Catania[15], a seguito di verifiche di un professionista indipendente, ha concluso che “il rispetto degli obblighi imposti dall’art. 2086, comma 2, c.c., non può limitarsi alla distribuzione delle deleghe agli amministratori, ma impone un precisa individuazione ed indicazione di tutti gli altri aspetti organizzativi, amministrativi e contabili, che, nel caso di specie, risultano del tutto assenti.”, ritenendo che non potesse neanche essere tenuto in considerazione il principio della business judgement rule in quanto “E’ evidente che nella specie, in carenza di assetti organizzativi ex art. 2086, comma 2, c.c., che non risultano essere mai stati sollecitati neppure dal collegio sindacale, non si pone alcun problema di limiti di sindacabilità delle scelte operate dal CdA, configurandosi, di contro, un grave inadempimento degli obblighi gravanti sull’organo gestorio.”.
L’orientamento giurisprudenziale restrittivo non è però del tutto consolidato in quanto esito opposto è rinvenibile in un altro provvedimento del Tribunale di Bologna[16], successivo ad un ricorso da parte del socio di minoranza che denunziava gravi irregolarità nella gestione dell’attività da parte dell’amministratore unico: provando a sintetizzare quanto emerso in sede giudiziale, l’iniziativa successiva a contestazioni perlopiù generiche sull’inidoneità degli assetti organizzativi, amministrativi, contabili, è stata rigettata dal Tribunale di Bologna anche tenendo conto che i dati economico-finanziari, non confutati dalle analisi del professionista incaricato, attestavano una equilibrata e proficua operatività dell’impresa. Inoltre, è stata rilevata l’assenza di alcun segnale di crisi, né presente, né potenziale, e/o di perdita della continuità aziendale ragionevolmente suscettibile di rilevazione. Perciò, il Tribunale ha concluso che l’inidoneità dell’assetto adottato dagli amministratori deve essere provata da parte ricorrente con motivazioni sostanziali a supporto di una potenzialità lesiva della condotta omissiva degli amministratori e che quindi non sia sufficiente una astratta inadeguatezza (ovvero in mancanza di segnali di crisi) per portare alla rimozione dell’amministratore.
Orbene, esulando per un attimo da principi tradizionalmente aziendalistici, occorre tener conto anche della rilevazione e la gestione dei rischi di sostenibilità, in considerazione dei presidi di governance e controllo proposti alla sfera ESG, nonché dell’impatto che eventualmente i rischi di sostenibilità possano avere sugli equilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario dell’azienda[17]. Inoltre, di medesima importanza, risulterà l’adeguamento ai contenuti del D.Lgs. n. 81/2008 in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro attraverso formazione specifica, investimenti e manutenzioni e il continuo aggiornamento del DVR (“Documento di valutazione dei rischi”). Fermo resta anche l’obbligo di dotarsi del Modello 231 (“Modello di organizzazione e gestione”) nell’ottica di garantire la prevenzione della commissione di reati attraverso una serie di procedure aziendali. 
In merito alla struttura organizzativa da un punto di vista aziendalistico, può essere utile far riferimento alle Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate che, sebbene in fase di aggiornamento, evidenziano che un assetto organizzativo può definirsi adeguato quando: 
· dia evidenza dell’organizzazione gerarchica; 
· presenti un organigramma aziendale con chiara identificazione delle funzioni, dei compiti e delle linee di responsabilità; 
· dia evidenza dell’attività decisionale e direttiva della società da parte dell’amministratore delegato nonché dei soggetti ai quali sono attribuiti i relativi poteri;
· includa procedure che assicurino l’efficienza e l’efficacia della gestione dei rischi e del sistema di controllo, nonché la completezza, la tempestività, l’attendibilità e l’efficacia dei flussi informativi anche con riferimento alle società controllate; 
· comprenda procedure che assicurino la presenza di personale con adeguata professionalità e competenza a svolgere le funzioni assegnate e che garantiscano un ordinato e regolare andamento della gestione; 
· preveda chiare direttive e procedure aziendali, loro aggiornamento ed effettiva diffusione.[18] 
Ciò che però appare il fulcro necessario ai fini di una gestione consapevole dell’attività[19] è un piano d’impresa, ad orizzonte temporale variabile, che deve necessariamente contenere una traduzione numerica delle idee e dei progetti che l’amministratore intende mettere in atto per la propria attività: anche dalle interviste che si è avuto modo di condurre spesso è emerso come, sebbene vi sia una certa prosperità di idee e convincimenti circa la probabile evoluzione della gestione dell’attività, manchino evidentemente le proiezioni economico-finanziarie delle stesse. Un ausilio in questo senso può certamente essere tratto dalla checklist (Lista di controllo) particolareggiata per la redazione del piano di risanamento contenuta nel Decreto dirigenziale 21 marzo 2023: sebbene le indicazioni contenute facciano riferimento ad un piano di risanamento, queste possono proficuamente essere utilizzate anche per la redazione di un piano d’azione che non contempli una situazione già di pre-crisi o crisi. Con particolare riferimento alla prima sezione, quella relativa ai requisiti organizzativi, questa può riuscire a fotografare con precisione la situazione organizzativa in cui un’impresa si ritrova, dando anche suggerimenti in merito a dove porre l’attenzione per un’attenta valutazione della situazione; in particolare, i quesiti sono inerenti: 
a) la presenza o meno di un monitoraggio continuo dell’andamento aziendale che, come detto, presuppone che vi siano adeguati flussi informativi e un sistema di reporting adatto al modello gestionale e di business; 
b) la capacità di stimare l’andamento gestionale ricorrendo anche, come già evidenziato, ad indicatori chiave gestionali (KPIs). L’analisi degli stessi è fondamentale, ma occorre che vi sia una consapevolezza in merito ai risultati ottenuti e alla qualità del dato, cui faremo a breve riferimento; 
c) l’utilizzo o meno di un piano di tesoreria a sei mesi.
In questa sede, però, si vuole porre particolare attenzione alle prime due domande della sezione cui si faceva riferimento, che richiamano le risorse chiave (umane e tecniche) per la conduzione dell’attività e le competenze tecniche occorrenti per le iniziative industriali che si intendono adottare. In tal senso, risulta imprescindibile evidenziare quanto il fattore umano sia decisivo in qualsiasi tipo di organizzazione: si può infatti beneficiare del modello gestionale più evoluto, informatizzato e strutturato, ma vi saranno sempre dei profili di manualità per i quali saranno fondamentali le capacità e le competenze dei soggetti chiamati ad intervenire su di essi. La capacità di lettura dei dati che provengono dai KPIs, una adeguata analisi dei profili di rischio, un attento studio dei documenti contabili, il continuo monitoraggio degli obiettivi di budget e la precisa identificazione di eventuali margini di miglioramento sono tutte azioni che non possono non presupporre una qualità umana che ad oggi risulta complesso reperire sul mercato del lavoro, in quanto solo negli ultimi anni vi è una specifica formazione di figure professionali (i.e. ingegneri gestionali) di questo genere all’interno dei percorsi accademici, e spesso l’effettivo apprendimento avviene direttamente in azienda e tende a essere limitato ai paradigmi che rispecchiano l’attività oggetto di controllo.
Volendo operare un focus sulle realtà di minori dimensioni, a titolo meramente esemplificativo, si richiamano due indicatori di redditività che, grazie all’approccio ‘confidenziale’ delle interviste svolte nel corso della ricerca, è stato possibile riconoscere come tendenzialmente mancanti in siffatte realtà: il margine di contribuzione e il BEP (“Break Even Point”). Questi due parametri sono di fatto la pietra miliare di ogni attività in quanto rappresentano rispettivamente la marginalità del prodotto venduto[20] e il punto di pareggio[21] dell’attività che ne è una derivata. Senza avere a disposizione questo tipo di informazioni, che siano di carattere consuntivo o stimate sulla base di ciò che il management si aspetta di raggiungere, risulta pressoché impossibile governare un’attività con consapevolezza. Non è un caso, infatti, che buona parte delle realtà che hanno confessato di non avere contezza di tali indicatori, riesca ad operare una valutazione giornaliera, settimanale o mensile facendo unicamente riferimento alle risultanze finanziarie, ovvero alla cassa disponibile al termine di tali periodi. Facendo riferimento all’importanza di avere la capacità di stimare quale sia il BEP della propria attività, è capitato che un ristoratore confessasse di non avere idea di quanti coperti fosse per lui necessario occupare per poter valutare positivo o meno l’andamento di una serata: si può immaginare che tipo di conseguenze questo approccio possa portare nel corso del tempo, con ricadute su fornitori, dipendenti e, infine, il sistema che concede credito a questo tipo di attività. Il risultato di fatto è simile a quello di un automobilista che deve raggiungere il traguardo senza sapere quanta benzina ha a disposizione e quanta ne consuma durante il tragitto: nella maggior parte dei casi avendo fatto un pieno riuscirà ad arrivare a destinazione, ma nel momento in cui ciò rischierà di non avverarsi non avrà alcuno strumento per poter comprendere lo stato in cui si trova. Infatti, oltretutto, non conoscere questo tipo di informazioni circa la propria attività, non solo non consente di reagire, ma neanche di costruire piani, budget o stime in quanto non si hanno a disposizione i dati necessari o, se si hanno, nella maggior parte dei casi si tratta di informazioni errate.
Infatti, un altro problema che rischia di incidere sul monitoraggio dei risultati, ma che potrebbe essere intercettato grazie alle competenze cui si faceva riferimento poc’anzi, è la qualità del dato che i responsabili del controllo di gestione sono in grado di ottenere tramite gli strumenti a disposizione della struttura: dovrebbe essere garantito il mantenimento della qualità del dato sia nel momento di estrazione dei risultati (in particolar modo consuntivi, ma anche previsionali) sia nelle successive fasi di condivisione e ciò dovrebbe essere assicurato dalla qualità dei flussi informativi, i quali non basta che siano presenti, ma devono risultare completi e adeguati rispetto ai dati che necessitano di essere trasmessi.
Tale impostazione non può in alcun modo prescindere, ed essere ulteriormente potenziata, dalle capacità del management: questi dovrebbe ritenere fondamentale strutturare un meccanismo virtuoso che gli consenta di avere sempre a disposizione dati aggiornati, precisi e veritieri. La capacità di valutazione della bontà di tali parametri da parte dei soggetti apicali, anche nelle società di minori dimensioni, risulta fondamentale nell’ottica di strutturare un efficace sistema di controllo facendo sì che lo stesso sistema, oltre ai dati ottenuti, sia continuamente oggetto di analisi volta ad approfondire le dinamiche aziendali e intercettare le aree migliorabili.
È in merito a ciò, più che in considerazione dell’adozione di adeguati assetti organizzativi tout court, che le nuove frontiere informatiche possono effettivamente agevolare l’ottenimento di risultati affidabili e migliorare con continuità la qualità dei dati ottenuti. Nei paragrafi precedenti si è anticipato che non si ritiene che le nuove frontiere informatiche siano la soluzione ai problemi che stiamo analizzando in quanto non consentirebbero una gestione consapevole dell’attività, ma anzi potrebbero tendere ad operare una sostituzione del management limitando ancor di più le capacità di gestione. Al contempo, però, l’intelligenza artificiale, che ha il pregio di poter essere in qualche modo allenata da chi la possiede, nei prossimi decenni potrebbe divenire in grado di agevolare notevolmente l’estrazione di dati qualitativi in merito allo svolgimento dell’attività, sia in relazione ai risultati consuntivi che l’IA sarà in grado di analizzare autonomamente, sia per quanto concerne la rapidità di valutazione del risultato prognostico che l’impresa si aspetta di ottenere. 
In ultimo, occorre evidenziare che il fatto che il legislatore abbia inteso prevedere obbligatorio dotarsi di adeguati assetti organizzativi non dovrebbe essere inteso soltanto come un dovere dall’imprenditoria italiana, ma piuttosto come un’opportunità di rendere maggiormente virtuosa la gestione della propria attività; nel corso di alcune delle interviste che si è avuto modo di condurre è emersa esattamente questa considerazione da parte degli intervistati, alcuni tra i quali si sono mostrati interessati a capire con maggiore chiarezza i vantaggi di cui avrebbero potuto beneficiare attraverso la costruzione di un assetto organizzativo. La volontaria omissione di “adeguato” a corredo della frase appena conclusa intende sottolineare come, allo stato, molti degli intervistati non siano dotati di alcun assetto organizzativo, come dimostra la quantità di soggetti che hanno evidenziato una gestione basata sulla propria sensibilità e su una totale ignoranza in merito all’utilizzo di strumenti previsionali, primo tra i quali un piano di azione che contempli una declinazione numerica dell’evoluzione attesa dell’attività. 
In conclusione, appare evidente quanto in questa fase di globalizzazione estrema e continua metamorfosi dei mercati, risulti di fondamentale importanza il supporto dei professionisti di fiducia alle attività che seguono: non può certamente più bastare un servizio che presupponga la sola consulenza fiscale senza che, nella maggior parte dei casi, vi sia un adeguato controllo in continuum, anziché interventi sporadici su richiesta dell’imprenditore per singoli adempimenti. Le peculiarità tecniche della scienza aziendale, accompagnate dalla capacità di bilanciare la necessità di adeguati assetti organizzativi alle effettive dimensioni e risorse delle realtà, saranno nei prossimi anni caratteristiche imprescindibili per i professionisti del domani: in tal senso, non occorre necessariamente avere come focus la crisi d’impresa e le ristrutturazioni aziendali per comprendere l’importanza rivestita dalla capacità di prendere coscienza di quale sia la condizione reale nella quale l’impresa si trova e, di conseguenza, assumere le iniziative più corrette ed adeguate. 



 

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Note:

[1] 
L’art.13 del D.Lgs. n. 14/2019, abrogato nella versione finale del Codice della Crisi, era così strutturato:
1. Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi. A questi fini, sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi. Costituiscono altresi’ indicatori di crisi ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24. 
2. Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, tenuto conto delle migliori prassi nazionali ed internazionali, elabora con cadenza almeno triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica secondo le classificazioni I.S.T.A.T., gli indici di cui al comma 1 che, valutati unitariamente, fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi 
dell’impresa. Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili elabora indici specifici con riferimento alle start-up innovative di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012, n.179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, alle PMI innovative di cui al decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, alle società in liquidazione, alle imprese costituite da meno di due anni. Gli indici elaborati sono approvati con decreto del Ministero dello sviluppo economico. 
3. L’impresa che non ritenga adeguati, in considerazione delle proprie caratteristiche, gli indici elaborati a norma del comma 2 ne specifica le ragioni nella nota integrativa al bilancio di esercizio e indica, nella medesima nota, gli indici idonei a far ragionevolmente presumere la sussistenza del suo stato di crisi. Un professionista indipendente attesta l’adeguatezza di tali indici in rapporto alla specificità dell’impresa. L’attestazione è allegata alla nota integrativa al bilancio di esercizio e ne costituisce parte integrante. La dichiarazione, attestata in conformità al secondo periodo, produce effetti per l’esercizio successivo.
[2] 
Tenuto conto di queste caratteristiche dell’imprenditoria italiana, sono allo studio alcune soluzioni tecnologiche per consentire alle imprese di dotarsi meccanicamente di un assetto organizzativo che, grazie alla capacità di aggiornamento continuo, aspira a risultare adeguato: ciò avviene attraverso software che sfruttano l’intelligenza artificiale per essere continuamente aggiornati e poter tenere sotto controllo tutti i dati che occorrono ad avere una visione prospettica.
[3] 
Abbinata ad una adeguata formazione dell’imprenditore sulle tematiche della crisi d’impresa e sui nuovi istituti disciplinati nel Codice della crisi; in termini, si veda, il parere n. 832 sullo schema di decreto legislativo contenente le modifiche al Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della direttiva 2019/1023/UE reso dal Consiglio di Stato in data 13 maggio 2022.
[4] 
Nel quesito è stata prevista la possibilità di fornire risposte multiple; per questo motivo le percentuali emergenti potrebbero non essere perfettamente in linea con quelle contenute nel resto del documento.
[5] 
Uno degli obiettivi finali del Progetto Phoebe è favorire forme di collaborazione fra università e mondo imprenditoriale nell’ottica di incrementare le conoscenze di coloro che gestiscono attività d’impresa.
[6] 
Si rammenta che tale analisi coinvolge solamente coloro che ritengono di volere adeguare in breve tempo o avere già adeguato i propri assetti organizzativi ai sensi dell’art. 3 del Codice della Crisi. 
[7] 
 Dal 1 gennaio 2024 sono in vigore le nuove soglie dimensionali delle imprese, in quanto sono stati modificati i criteri dimensionali per micro, piccole, medie e grandi imprese ai sensi della direttiva UE 2023/2775 emanata dalla Commissione Europea il 17.10.2023 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 21 dicembre 2023. Questi i nuovi parametri dimensionali per le imprese: 
Microimprese: Imprese che alla data di chiusura del bilancio non superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti: 
a) totale dello stato patrimoniale: 450.000,00 euro; 
b) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 900.000,00 euro; 
c) numero medio dei dipendenti occupati durante l'esercizio: 10 
Piccole imprese: Imprese che alla data di chiusura del bilancio non superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti: 
a) totale dello stato patrimoniale: 5.000.000,00 euro; 
b) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 10.000.000,00 euro; 
c) numero medio dei dipendenti occupati durante l'esercizio: 50 
Medie imprese: Imprese che non rientrano nella categoria delle microimprese o delle piccole imprese e che alla data di chiusura del bilancio non superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti: 
a) totale dello stato patrimoniale: 25.000.000,00 euro; 
b) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 50.000.000,00 euro; 
c) numero medio dei dipendenti occupati durante l'esercizio: 250 
Grandi imprese: Imprese che alla data di chiusura del bilancio superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti: 
a) totale dello stato patrimoniale: 25.000.000,00 euro; 
b) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 50.000.000,00 euro; 
c) numero medio dei dipendenti occupati durante l'esercizio: 250.
[8] 
R. Ranalli, Le misure di allerta. Dagli adeguati assetti sino al procedimento davanti all’Ocri, Milano, 2019.
[9] 
S. Fortunato, Assetti organizzativi dell’impresa nella fisiologia e nella crisi, in Giur.comm., 2023.
[10] 
M. De Mari, Gli assetti organizzativi societari, in Assetti adeguati e modelli organizzativi, opera diretta da M. Irrera, Bologna, 2016, 28. 
[11] 
R. Ranalli, Le misure di allerta. Dagli adeguati assetti sino al procedimento davanti all’Ocri, Milano, 2019, p. 33. 
[12] 
Trib. Roma, 15 settembre 2020, in Ilsocietario.it: “L’operato degli amministratori in attuazione dei doveri di cui all’art. 2086 c.c., come novellato dal d.lgs. n. 14/2019, codice della crisi (adozione di adeguati assetti organizzativi con la finalità di rilevare tempestivamente la crisi e di intervento tempestivo per il suo superamento) è insindacabile nei limiti del principio della business judgement rule. Di conseguenza, la mancata adozione di qualsivoglia misura organizzativa comporta sempre una responsabilità dell’organo gestorio, mentre ove una struttura organizzativa sia stata adottata, è possibile sottoporla al sindacato giudiziale, ex art. 2409 c.c., nei limiti e secondo i criteri della proporzionalità e della ragionevolezza, sulla base di una valutazione ex ante”. Sempre in giurisprudenza, cfr. altresì Cass., 23 novembre 2021, n. 36365; Trib. Roma, 8 aprile 2020, in RDS, 2021, 279 ss.; Trib. Torino, 20 novembre 2018, in Giurisprudenzadelleimprese.it
[13] 
A corredo del piano, a titolo esemplificativo, sono da considerarsi utili strumenti di pianificazione economico-finanziaria il budget, il piano di tesoreria con articolazione variabile tra settimanale e mensile, il piano di investimenti, il funding plan volto a individuare le fonti di copertura del fabbisogno finanziario o, ancora, nei casi maggiormente virtuosi, il contingency funding plan, utile ad individuare con anticipo gli interventi da porre in atto in caso di potenziali situazioni di squilibrio rispetto alle previsioni. 
[14] 
Trib. Cagliari, 19 gennaio 2022, in Dirittodellacrisi.it
[15] 
Trib. Catania, 8 febbraio 2023, in Dirittodellacrisi.it.
[16] 
Trib. Bologna, 19 maggio 2022, in Ristrutturazioniaziendaliilcaso.it
[17] 
S. Pacchi, Sostenibilità, fattori ESG e crisi d’impresa, in Ristrutturazioni aziendali, 26 maggio 2023, 16 e ss. 
[18] 
C. Bauco, R. De Luca, N. Lucido, A.Pagani, Assetti organizzativi, amministrativi e contabili: profili civilistici e aziendalistici, Documento di Ricerca del CNDCEC, 7 luglio 2023. 
[19] 
“Per effetto del Codice della Crisi, la stima dell’andamento aziendale è passata dal rango di best practice nel governo aziendale a vero e proprio obbligo organizzativo grazie alla precisazione contenuta nel novellato art. 2086 c.c.” R. Ranalli, Le misure di allerta. Dagli adeguati assetti sino al procedimento davanti all’Ocri, Milano, 2019, p. 36. 
[20] 
È la differenza tra il prezzo di vendita del prodotto e i costi variabili che sono associati alla sua produzione. 
Il margine di contribuzione può essere utilizzato per calcolare la quantità di denaro che un’impresa guadagna da ogni prodotto venduto e, a seconda del risultato, si può quindi determinare la redditività dell’impresa. Più in particolare, un’attività operativa può presentare tre situazioni: 
· Il margine di contribuzione è uguale ai costi fissi: in questo caso l’azienda non sta nè guadagnando nè perdendo e quindi è nel suo punto di pareggio (BEP); 
· Il margine di contribuzione è maggiore dei costi fissi: in questo caso l’azienda ha un profitto. 
· Il margine di contribuzione è minore dei costi fissi: questo significa che i ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non coprono i costi, quindi l’azienda è in perdita. 
Inoltre, il margine di contribuzione unitario consente di approfondire ulteriormente l’analisi concentrandosi non più unicamente sulla redditività dell’attività, ma più in particolare su ogni singolo prodotto venduto attraverso i medesimi calcoli ma riferiti unicamente allo stesso.
[21] 
Il BEP offre una prospettiva fondamentale sulla salute finanziaria di un’azienda, consentendo di comprendere a quale livello di produzione e vendite l’impresa riesce a coprire tutti i costi sostenuti. Si tratta quindi del punto in cui i ricavi totali generati dalla vendita di beni o servizi eguagliano i costi totali sostenuti per produrli e distribuirli. In altre parole, è il punto in cui non si verifica né profitto né perdita. Oltrepassare il BEP significa entrare nella zona di profitto, mentre rimanerne al di sotto porta a una situazione di perdita. 

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  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

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