Saggio
Progetto Phoebe:la costruzione degli adeguati assetti*
Marco Lucchesini, Dottore in Economia
7 Novembre 2024
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The paper shows the outcome of Progetto Phoebe, proposed by A. to Diritto della Crisi, and having as topic the obligation to establish adequate organizational arrangements for the timely prediction of the possible emergence of the crisis, The topic is addressed with an empirical approach to analyse the state of the structure of Italian companies regardingimp the fulfilment of the requirements of the legislation.
Sommario:
2 . I risultati ottenuti tramite il questionario online
2.1 . Il campione oggetto di analisi
2.2 . La gestione dell’attività
2.3 . Il monitoraggio dei risultati
2.4 . Gli adeguati assetti organizzativi
3 . I risultati ottenuti tramite interviste: ricerca delle differenze e spunti di riflessione
3.1 . La dimensione delle attività
3.2 . L’organizzazione gestionale
3.3 . La sostenibilità dell’attività e gli strumenti di valutazione
La lista di controllo ha il pregio di rappresentare una vera e propria radiografia dell’impresa, di qualsiasi dimensione essa sia: attraverso la lettura delle domande che vi vengono poste è possibile anche capire l’importanza che certe risposte possono avere in una logica imprenditoriale.
A quanto sopra, vanno ad aggiungersi le indicazioni fornite dall’art.3, comma 4, del Codice della Crisi, che determina anche quali poste contabili – rectius i “segnali” nel lessico impiegato dal Codice – occorre osservare con maggiore attenzione: in tal senso, l’adeguatezza sarà raggiunta a patto che siano tenuti sotto controllo i debiti per retribuzioni, i debiti verso fornitori, l’esposizione nei confronti delle banche e i debiti nei confronti di Erario e Previdenza.
È doveroso osservare come le soglie indicate nell’art. 3, comma 4, sono volutamente più basse di quelle che avrebbero fatto scattare le segnalazioni previste originariamente dal Codice[1], e la scelta origina dalla necessità di “allertare” l’impresa in anticipo così da consentirle di poter apportare le contromisure necessarie a prevenire la crisi. Lo spirito del novellato art. 3, infatti, non è quello di segnalare una condizione già manifestata, come nell’abrogato art. 13 che prevedeva gli indicatori della crisi, ma quello di consentirne una rilevazione sufficientemente anticipata da impedirne la piena manifestazione. Inoltre, lo schema di decreto correttivo al Codice della Crisi parrebbe intervenire proprio sull’art. 3, nell’ottica di chiarire ancor meglio che i segnali di cui sopra sono da ritenere utili per prevedere e intercettare tempestivamente, e non a rilevare, i segnali di crisi.
Si può dire, quindi, che si è creato un ideale coordinamento tra istituzione di adeguati assetti organizzativi, nell’ottica di prevenzione della crisi d’impresa, e composizione negoziata per la ricerca di soluzioni stragiudiziali appropriate alle specificità della crisi e dell’attività, con il precipuo obiettivo di evitare, anticipando l’intervento in una fase precoce, la condizione in cui la crisi d’impresa trasmodi in insolvenza irreversibile, così da provocare il ricorso previsto dall’art. 40 CCII per l’apertura della liquidazione giudiziale.
Ciò premesso, si ritiene che, considerato il substrato imprenditoriale che connota la nostra economia, numerose difficoltà potrebbero incontrare le piccole o micro imprese – in particolare quelle che non possono beneficiare di un sistema di contabilità interna – nel tenere sotto controllo le poste passive previste dal terzo comma dell’art. 3; si intende dire che non è semplice riuscire a ipotizzare e a immaginare, senza la presenza di un ausilio esterno, un modello che possa essere seguito dall’imprenditore meno strutturato per avere la certezza di operare con un adeguato assetto organizzativo[2].
Prescindendo dalle soluzioni individuate e indipendentemente dalla bontà o meno degli strumenti impiegati nelle attività di verifica e valutazione, ciò che i dati elaborati nell’ambito di questa ricerca significativamente evidenziano è la scarsa consapevolezza da parte dell’imprenditore – o degli amministratori, nelle imprese collettive – dell’importanza del controllo di gestione e del monitoraggio di determinati indicatori e dei correlati benefici che l’attività d’impresa potrebbe ottenere dallo sfruttamento di un tale livello di analisi. E ciò non solo perché una maggiore consapevolezza, unitamente a un’adeguata formazione degli stessi imprenditori[3] consentirebbe di comprendere l’importanza che la tempestività dell’azione ha in situazioni di difficoltà, ma, più in generale, perché permetterebbe di intercettare le congiunture di mercato e gli altri fattori che suggeriscono un diverso modello di business, una diversa organizzazione del lavoro, o diverse modalità di svolgimento dell’attività o di presentazione del prodotto, migliorandone i risultati.
Con l’obiettivo di cogliere le peculiarità delle imprese meno strutturate, il questionario in oggetto è composto da quattordici domande, ideate in modo tale da permettere di accorpare i risultati in gruppi: i quesiti tengono conto della tipologia di attività, delle dimensioni delle imprese (sia come numero di dipendenti che volumi di attività) e del livello di adeguatezza che le stesse sono riuscite a dare ai propri assetti.
In tal senso, si è optato per una serie di domande chiuse (tendenzialmente quantitative) e per altra serie di domande aperte (di carattere qualitativo) che possano diventare anche una “guida” per comprendere lo stato della gestione e del controllo dell’attività da parte dell’imprenditore che si ritrova a compilare il questionario.
A differenza di quanto avviene solitamente nelle ricerche statistiche, il campionamento è non probabilistico: non è stato possibile selezionare preventivamente il campione oggetto di analisi, ma si è di fatto scelto il canale attraverso il quale ottenere i risultati. Perciò, perciò il campione si può definire “di convenienza”, rappresentato cioè da coloro che hanno scelto di completare il questionario. Lo stesso principio vale anche per i risultati ottenuti attraverso la modalità dell’intervista, in quanto il metodo “porta a porta” ha volutamente seguito un approccio randomico, senza preventivamente selezionare un campione specifico, nell’ottica di mantenere un livello uniforme, grazie alla possibile differenza delle risposte, nei risultati che sarebbero potuti derivare dalle interviste.
Non è stato possibile, né era un obiettivo della ricerca del Progetto Phoebe, ottenere i dati anagrafici dei rispondenti, sia per questioni di privacy, sia perché tale indagine esulerebbe dalla finalità di questo lavoro, che è esclusivamente di carattere accademico e non ha finalità di “mappatura” di tipo economico (i.e. ricerca di mercato). Anche nei confronti dei soggetti intervistati direttamente, si è preferito non tenere traccia dei nominativi delle attività, ma piuttosto ordinarli attraverso un progressivo numerico.
Da questo angolo visuale, è importante sottolineare che i risultati che verranno presentati nel prosieguo dell’elaborato sono relativi a ciò che è stato possibile ricavare grazie al campione oggetto di analisi e che non vi è la presunzione di ipotizzare che le conclusioni a cui si giunge dalla lettura di questo documento siano valide per tutte le realtà presenti sul mercato.
Fatte queste dovute premesse, è infine opportuno precisare che si è scelto di analizzare i risultati ottenuti senza considerare il totale dei rispondenti come un unico campione, ma dividendo i dati che sono stati ricavati dalle interviste da ciò che è emerso dal questionario online; tale scelta è dovuta a una serie di motivi.
Innanzitutto, occorre considerare che le imprese raggiunte grazie al questionario online sono, per forza di cose, in numero decisamente maggiore rispetto a quelle intervistate, in un rapporto di circa otto a uno.
Inoltre, vi sono numerose differenze all’interno delle due tipologie di campioni, a partire dalla grandezza delle imprese oggetto di analisi: se infatti il questionario, grazie anche all’aiuto di professionisti, è riuscito a raggiungere soggetti di grandi dimensioni, lo stesso non si può dire per i risultati derivanti dalle interviste, in quanto, nonostante l’impegno profuso, non è stato possibile svolgere interviste con figure apicali di realtà maggiormente strutturate. In questo senso, fondere i risultati ottenuti tramite i due canali avrebbe avuto l’effetto di spostare notevolmente verso il basso la magnitudine media dei soggetti oggetto di indagine, andando così a “viziare” l’analisi dei risultati. Si è perciò scelto di analizzare separatamente i risultati ottenuti, concentrando l’attenzione in questo contributo su quelli ottenuti tramite il questionario online (considerato il maggior numero) e, da ultimo, indagare le differenze rispetto a quanto è stato possibile ricavare dalle interviste.
Da ultimo, occorre considerare un importante aspetto che differenzia notevolmente l’intervista diretta dalla compilazione di un questionario: parlando a tu per tu con coloro che hanno accettato di partecipare alle interviste, è stato possibile notare dettagli e sfumature che hanno poi portato a formulare una migliore risposta (nelle domande aperte) che si confacesse all’attività oggetto di analisi. Sotto questo punto di vista, occorre chiarire che tale osservazione non pregiudica in alcun modo il valore dei risultati ottenuti grazie alla compilazione online, ma piuttosto pone l’accento sul fatto che l’intervista diretta riesce senza dubbio a trasmettere all’intervistatore la consapevolezza con la quale vengono fornite le risposte da parte dell’intervistato. Questa diversa condizione, come si avrà modo di analizzare nel paragrafo relativo alle differenze tra i due campioni oggetto di analisi, permette di osservare i dati ottenuti attraverso una più ampia prospettiva.
Tabella 1 - Il campione oggetto di analisi
Tabella 2 - Il campione oggetto di analisi: fatturato e numero di dipendenti
È sembrato utile, al fine di avere una visione più dettagliata in merito alle caratteristiche del campione analizzato, incrociare i dati relativi al numero di dipendenti e al livello di fatturato per valutare come fossero collocati i soggetti rispondenti in relazione ad entrambi i parametri.
Da ciò emerge che buona parte dei rispondenti (47,88%) ha un livello di fatturato inferiore ad un milione di euro e il 93,8% di questi ha meno di dieci dipendenti, il che avvalora da un lato i risultati ottenuti, dall’altro l’obiettivo della ricerca che è, come accennato, quello di analizzare lo stato delle PMI. Il 18% dei rispondenti, con un fatturato tra uno e cinque milioni di euro, presenta per la maggior parte un numero di dipendenti fra le 10 e le 50 unità, ma vi è anche un 40% che riesce ad ottenere certi risultati con meno di 10 unità.
Appare interessante notare che soltanto il 5% dei rispondenti riesce a raggiungere un fatturato maggiore di 5 milioni con meno di 10 unità; emerge, infatti, che per ottenere risultati superiori ai 5 milioni di euro (tendenzialmente vi riescono soltanto società di capitali) la maggior parte delle realtà oggetto di analisi necessita di più di 10 dipendenti. Inoltre, la ricerca è riuscita a raggiungere anche soggetti con livello di fatturato superiore a 50 milioni di euro che presentano un numero di dipendenti che varia tra le 100 e più di 250 unità.
Grafico 1 - Utilizzo di un software gestionale
Come si evince dal grafico 1, più di quattro quinti dei rispondenti utilizza un software gestionale per gestire più facilmente la propria attività; dalle risposte è emerso anche quali tipologie di software vengono utilizzate, ma si opta per non riportarle in questa sede perché non appare un argomento coerente con quanto stiamo trattando.
Grafico 2 - Contabilità interna o esterna
I risultati relativi alla tenuta della contabilità sono da considerarsi tendenzialmente correlati a quanto riportato nel grafico precedente inerente all’utilizzo di software gestionali: è evidente che imprese strutturate nella gestione della propria attività hanno la possibilità di beneficiare sia dell’uno che dell’altro, ma è altrettanto vero che alcuni degli strumenti utilizzati per migliorare la gestione non sono così efficienti da fornire dati completi in ausilio di un’attività di gestione contabile interna, motivo per il quale molte aziende preferiscono comunque “appoggiarsi” a consulenti esterni per avere maggiore sicurezza in relazione alla tenuta contabile.
Si è ritenuto opportuno approfondire i risultati ottenuti operando una suddivisione degli stessi in relazione alla forma giuridica dei rispondenti, per provare a comprendere in maniera più precisa le dinamiche della gestione dell’attività. Dai dati emerge che l’80% delle società di capitali, delle società cooperative e delle ditte individuali utilizza un software gestionale per lo svolgimento della propria attività, mentre i numeri sono leggermente più bassi per quanto concerne le società di persone (76%). Per quanto riguarda la tenuta della contabilità, il 70% delle società cooperative rispondenti gestisce autonomamente la contabilità, così come il 62% delle ditte individuali, il 58% delle società di capitali e il 41% delle società di persone.
Da ultimo, è sembrato utile valutare le possibili combinazioni ottenibili con i dati raccolti, da cui emergono spunti interessanti: quasi il 50% dei rispondenti ha una contabilità interna e beneficia al contempo dell’utilizzo di un software gestionale, binomio di fattori che dovrebbe consentire un maggior controllo dell’attività. In tale situazione, tra i rispondenti, si ritrovano il 52,94% delle ditte individuali, il 50,13% delle società di capitali, il 32,73% delle società di persone e il 60% delle società cooperative. Al contrario, nella situazione completamente opposta, ovvero quando la tenuta della contabilità è effettuata da parte di un soggetto terzo e vi è mancato utilizzo di un software gestionale, vi sono il 9,12% dei rispondenti, di cui il 14,55% delle società di persone, il 10,08% delle ditte individuali e l’8,31% delle società di capitali.
Inoltre, in ordine alle modalità con cui l’impresa è gestita, è stata posta una domanda qualitativa in merito alla tipologia di gestione che viene adottata. Si è chiesto, in tal senso, se siano i previsti sistemi di delega delle decisioni o, più in generale, se siano presenti adeguati flussi informativi. Si è optato per procedere ad un’analisi di tali risposte, anche tenendo conto del livello di fatturato dei rispondenti come approssimazione per poter ragionare in merito all’adeguatezza degli assetti gestionali.
Sono state fornite ai rispondenti più opzioni – da scegliere in base a come viene gestita l’attività all’interno delle proprie organizzazioni – che riportiamo di seguito per facilitare l’interpretazione delle risposte:
· svolgo la mia attività con persone di cui mi fido e che partecipano alla realtà aziendale con grande partecipazione ed ascolto coloro che ne fanno parte per prendere le decisioni più importanti;
· gestisco in prima persona la mia attività, ma sono quotidianamente in contatto con i miei professionisti di fiducia per farmi consigliare in merito alle decisioni da prendere;
· ho delegato un responsabile amministrativo per il controllo di gestione e finanziario e con cui mi confronto prima di assumere decisioni rilevanti;
· prima di prendere qualsiasi decisione, riunisco i responsabili delle varie aree dell'attività, valutiamo insieme la situazione e li rendo partecipi del percorso decisionale e del ruolo che avranno nell'implementazione della decisione;
· ho organizzato un sistema di deleghe che mi permette periodicamente di tenere sotto controllo tutti i vari aspetti dell'attività con cadenza giornaliera/settimanale, così da poter avere una reazione tempestiva rispetto a ciò che accade;
· gestisco in prima persona la mia attività e tendo a non delegare decisioni in merito ad essa.
Appare importante soffermarsi sul fatto che il 10,84% dei rispondenti, la maggior parte dei quali con un livello di fatturato inferiore al milione di euro, ritiene di gestire l’attività in prima persona senza delegare decisioni: ciò evidenzia una cultura imprenditoriale incentrata su una gestione personalistica, del resto tipica delle PMI italiane, che anche la previsione relativa agli adeguati assetti organizzativi, vorrebbe in qualche modo fosse superata. Inoltre, sebbene supportato dalle competenze dei propri professionisti, un ulteriore 21,35% dei rispondenti gestisce l’attività in prima persona concentrando su di sé le decisioni e circa il 75% tra questi raggiunge livelli di fatturato fino a cinque milioni di euro.
Al contempo, la maggior parte dei rispondenti (67,82%) pare essersi dotata di un adeguato sistema di deleghe: in particolare, il 22,21% prevede una collaborazione continua fra le varie aree aziendali, l’14,81% prevede una collaborazione che contempli anche maggiore responsabilità in capo ai vertici delle varie aree aziendali e il 16,42%, attraverso un sistema di deleghe, riesce a tenere sotto controllo quotidianamente la realtà aziendale. Altrimenti, (il 14,38% dei rispondenti) si è optato per individuare un responsabile amministrativo con cui confrontarsi prima di assumere le scelte più rilevanti: tale scelta, pur evidenziando un certo grado di organizzazione, non appare comunque essere la più efficiente per un adeguato controllo gestionale in quanto un'unica figura delegata al controllo potrebbe non essere sufficiente nel caso non siano previsti adeguati flussi informativi.
In questa fase del monitoraggio, rispetto a quanto analizzato in precedenza, emerge nettamente un’importante distonia fra ciò che viene richiesto dalla normativa e la realtà in cui le PMI italiane operano.
Grafico 4 - Cadenza di valutazione dei risultati
Il dato fondamentale che emerge è che quasi la metà dei rispondenti (45,93%) non sfrutta uno strumento previsionale come il budget di tesoreria, essenziale ai fini di una attenta e consapevole gestione dell’attività. Ci si interroga, dunque, su come tali realtà riescano a poter avere una visione dettagliata di ciò che le attende in futuro e, in tal senso, in che modo possano gestire l’attività consapevolmente. Inoltre, la circostanza che il 54,56% dei rispondenti operi una valutazione della propria attività almeno ogni mese, che di per sé sarebbe un dato confortante, è in netto contrasto con le modalità di risposta precedenti: ci si chiede come sia possibile riuscire ad ottenere una reale valutazione se non si dispone dei numeri sottostanti ai flussi che le realtà si attendono di avere. Verrebbe da pensare, e ciò accade in non rari casi, che la valutazione di cui sopra non venga effettuata in ottica prognostica, ma sia una valutazione ex post dei risultati ottenuti in un periodo immediatamente precedente. Tale esercizio è certamente meritevole di attenzione – perché esaminare il passato per non ripetere gli errori commessi può avere comunque una sua efficacia – ma allo stesso tempo un approccio di questo tipo è assai limitante perché il mercato tende a modificarsi continuamente e senza un piano d’azione ogni azienda rischia di trovarsi in una situazione peggiore delle aspettative.
Quanto affermato in precedenza assume ancora maggiore rilevanza quando si nota che il 63,35% dei rispondenti non utilizza alcun tipo di KPIs e addirittura quando il 52,43% di questi opera una valutazione analizzando unicamente le entrate e le uscite (Grafico 5): ciò avvalora ancor di più la tesi secondo la quale la maggior parte delle imprese opera una valutazione soltanto successiva all’ottenimento di risultati consuntivi. Al contempo, poco meno di un quarto dei rispondenti è riuscito ad impostare un sistema di reportistica che possa permettere di conoscere i risultati degli indicatori previsionali con tempestività: ci si aspetta che tali realtà riescano ad essere molto più reattive ai cambiamenti del mercato e ad avere un maggior controllo della gestione delle attività.
In conclusione, parrebbero esistere degli spazi di intervento su circa il 23% dei rispondenti, buona parte dei quali non ha mai sentito parlare di KPIs[5] e altri che, pur riconoscendone l’importanza, non riescono a ricavare dati che possano rendere funzionanti tali indicatori.
Tabella 5 - Monitoraggio dei risultati
Posto che l’85% dei rispondenti ha evidenziato di essere a conoscenza dell’entrata in vigore del Codice della Crisi, si è ritenuto opportuno indagare se vi fosse da parte degli stessi l’intenzione di adeguare il proprio sistema di controllo interno conformandosi alla normativa.
I risultati riportati nel grafico 6 sono piuttosto disomogenei: circa il 60% dei rispondenti intende adeguarsi alla normativa, anche se un terzo degli stessi ritiene che occorra tempo e che sia un esercizio di grande complessità; il 13,84% dichiara di essere intenzionato ad adeguare i propri assetti organizzativi alla normativa, ma non ha chiaro che tipo di controllo occorra e anche qui, come evidenziato nel paragrafo precedente in relazione agli strumenti previsionali, sembrerebbero esistere spazi di intervento che prevedano un supporto esterno per questi soggetti.
Allo stesso tempo, sembrerebbe che più di un terzo dei rispondenti non intenda adeguarsi a quanto richiesto dalla normativa, un dato questo che sembra suggerire una tendenziale mancanza di consapevolezza in merito all’importanza della predisposizione di adeguati assetti organizzativi. Si è ritenuto perciò di particolare interesse provare ad analizzare se vi fosse una corrispondenza tra questa tendenza e i risultati relativi all’utilizzo di strumenti previsionali o budget di tesoreria per una migliore gestione dell’attività.
Come si ipotizzava, circa il 50% dei rispondenti che non ritiene di doversi adeguare alla normativa corrisponde a coloro che non utilizzano strumenti previsionali o un budget di tesoreria per tenere sotto controllo la propria attività; quanti si trovano in questa situazione rappresentano circa il 75% del totale di coloro che, fra i rispondenti, non intendono adeguare i propri assetti organizzativi. Ciò sembrerebbe attestare, sempre stando ai dati che si è potuto raccogliere con l’inoltro del questionario, che una parte dell’imprenditoria italiana non intende modificare l’organizzazione dell’attività, restando ancorata ad una tipologia di gestione che potrebbe rivelarsi non sufficientemente idonea per affrontare le dinamiche che contraddistinguono il mercato odierno, messo a dura prova da fattori esogeni all’impresa.
Al contempo sono minime, seppur da tenere in considerazione, le percentuali di risposte negative in merito all’adozione di adeguati assetti organizzativi da parte di coloro che hanno un budget di tesoreria aggiornato in modo continuativo; e tali numeri si abbassano ulteriormente se si tengono in considerazione anche coloro che sfruttano indicatori previsionali (KPIs) per lo svolgimento della propria attività: tra questi, un terzo non intende adeguare il proprio assetto organizzativo alla normativa prevista dal Codice della Crisi, probabilmente non in quanto non consapevole dell’importanza di un adeguato assetto organizzativo, ma perché ritiene che la propria organizzazione sia già efficace ed efficiente nella misura necessaria.
A coloro che hanno risposto affermativamente al quesito precedente, è stato poi chiesto, anche seguendo come traccia la checklist del decreto dirigenziale del 21 marzo 2023, quali risultati riuscissero a ottenere con gli attuali assetti organizzativi a loro disposizione, nell’ottica di comprendere quanto l’implementazione degli stessi stesse funzionando e anche per valutare una coerenza generale in relazione alle precedenti risposte.
Focalizzando l’attenzione sulla quantità di attività che riescono a porre in essere, si è verificato quante siano le aziende rispondenti che riescano a:
• tenere sotto controllo il puntuale incasso dei crediti;
• valutare la sostenibilità del debito nei successivi 12 mesi;
• redigere una situazione debitoria completa e aggiornata;
• tenere costantemente aggiornato l’ammontare del debito nei confronti di Erario e Istituti di Previdenza;
• tenere conto delle passività potenziali che potrebbero incidere sull’attività;
• simulare un budget di tesoreria a tre/sei mesi;
• avere sempre una situazione contabile non anteriore a 120 giorni;
• avere una costante valutazione aggiornata delle rimanenze presenti in magazzino.
È evidente che, in merito agli strumenti previsionali, i quesiti posti in relazione al monitoraggio dei risultati hanno fatto emergere poca attenzione per la diffusione di un’adeguata cultura imprenditoriale e manageriale all’interno delle imprese italiane e ciò viene confermato anche in questa sezione, dai cui possono evincersi spazi di intervento per favorire un diverso atteggiamento rispetto alla tematica.
Anche in questa fase, si può notare che poco più di un quarto dei rispondenti non ritiene di dover utilizzare strumenti previsionali e c’è anche qualcuno che ritiene che sia possibile sempre tenere sotto controllo la propria attività unicamente grazie all’esperienza maturata.
Al contempo, però, il 73,62% dei rispondenti ritiene che l’utilizzo di strumenti previsionali sia cruciale per lo svolgimento della propria attività, ma circa la metà di questi si ritrova nella situazione di non avere sufficienti conoscenze per creare strumenti previsionali, oppure ritiene che non diano risultati concretamente utilizzabili: si tratta quindi di soggetti sensibili alle tematiche affrontate, imprenditori che probabilmente necessitano di un supporto esterno per poter migliorare i propri assetti organizzativi. Per cui, nella prospettiva di favorire sinergie e collaborazione con le imprese, si è proceduto ad indagare quali soggetti il campione oggetto di analisi avrebbe necessità di coinvolgere per migliorare la gestione della propria attività.
La maggior parte dei rispondenti (53,42%) ritiene di dover coinvolgere consulenti esterni o una figura manageriale per raggiungere una maggiore efficienza gestionale.
Ritenendo opportuno approfondire, si è tentato di comprendere da quali soggetti provenissero le richieste di un supporto esterno e si è tentato di individuare anche chi fossero coloro che non ritengono di dover coinvolgere nessuno, ritenendo di essere gli unici a poter avere una visione generale sull’andamento dell’attività (29,97%). In quest’ottica, si è optato per mettere in correlazione i risultati citati con quelli che evidenziano l’importanza fondamentale dell’utilizzo di strumenti previsionali per la gestione dell’attività.
Tabella 8 – Spazi di intervento
Al contempo – ed è un risultato a parere di chi scrive molto importante – più della metà (59,24%) di coloro che (i) non intendono utilizzare strumenti previsionali, (ii) ritengono di avere già tutto sotto controllo e (iii) hanno un’esperienza tale da non aver bisogno di evidenze numeriche che possano confermare le proprie previsioni, in realtà vorrebbe coinvolgere una figura esterna che possa collaborare alla gestione dell’attività. Questo risultato evidenzia che per tali soggetti, evidentemente, non vi è la consapevolezza che qualsiasi tipologia di supporto esterno, senza un’adeguata organizzazione interna, non potrebbe in tempi rapidi e senza enormi difficoltà riuscire a migliorare sensibilmente la gestione di un’attività che viene svolta senza alcun tipo di controllo. Inoltre, emerge ancora una volta l’importanza di riuscire a creare una cultura di gestione più consapevole e più improntata a comprendere la necessità di tenere sotto controllo tutte le sfaccettature dell’attività d’impresa: le novità del Codice della Crisi vanno esattamente in questa direzione e l’early warning, che necessita di un’adeguata organizzazione e di un preciso controllo di gestione, pare essere l’unico metodo funzionale ad evitare una pericolosa deriva delle PMI italiane.
Rispetto ai risultati presentati nella Tabella 4, appaiono tendenzialmente stabili (+2,75%) coloro che ritengono di gestire la propria attività in prima persona senza delegare decisioni: tali soggetti, anche di non piccolissime dimensioni, nel corso dell’intervista hanno dimostrato di considerare il coinvolgimento nell’attività di soggetti terzi un’eventualità che non verrà presa in considerazione a meno di ingenti difficoltà, preferendo mantenere pienamente il controllo delle proprie realtà, sia per evitare un costo incrementale per qualcuno ritenuto non necessario, sia per il timore di dover gestire rapporti interni oltre a quelli con la clientela. Si rileva stabile anche il numero di imprese che vengono gestite usufruendo, all’occorrenza, del supporto dei professionisti (+2,1%).
In relazione alla capacità di delega da parte dei soggetti intervistati, pare importante sottolineare una tendenziale mancanza di piena fiducia nei confronti dei soggetti facenti parte della realtà aziendale, soprattutto in relazione alla capacità da parte degli stessi di poter essere in grado di suggerire adeguate decisioni a coloro che sono alla guida dell’impresa: sebbene i risultati non siano distanti da quelli emersi grazie al questionario online, occorre però sottolineare come tendenzialmente la scelta di usufruire di un ausilio in relazione al controllo di gestione sia dettata più dalla mancanza di competenze dei soggetti apicali, rispetto all’effettiva consapevolezza di quanto possa essere fondamentale ottenere un aggiornamento continuo dei risultati ottenuti dalla propria azienda. Quanto appena descritto, inoltre, si accompagna al fatto che si è rilevato, grazie al confronto, che non vi è molta attenzione alla qualità dei dati che vengono trasmessi e ai flussi informativi che ne fanno da canale, evidenza che verrà ulteriormente approfondita nelle conclusioni di questo elaborato.
In tal senso, un importante risultato si è ottenuto grazie ai quesiti relativi al monitoraggio dei risultati:
È immediato riscontrare che quasi due terzi degli intervistati non predispongono e non monitorano i flussi di cassa grazie ai risultati derivanti da un budget di tesoreria, ergo procedendo alla cieca in mercati che sono sempre più in rapida e continua evoluzione. Rispetto ai risultati ottenuti tramite il questionario, che già sottolineavano un’inadeguata organizzazione da parte del 45,93% dei rispondenti, si ha un ulteriore incremento del +15,8% e, al contempo, diminuiscono anche i soggetti che, tra coloro che predispongono uno strumento per la valutazione dei flussi prospettici come il budget di tesoreria, riescono ad operare un aggiornamento con cadenza settimanale (-3,3%). Inoltre, le interviste hanno concesso l’opportunità di comprendere che per più della metà dei soggetti che sono stati oggetto di analisi non vi era la benché minima consapevolezza di come si costruisse un budget di tesoreria, con difficoltà a distinguere se dovesse far riferimento unicamente al primo margine (tipicamente, in scienza aziendalistica, la differenza tra ricavi e costi connessi all’acquisto di beni o servizi oggetto di vendita), oppure contenere previsioni relative a tutte le voci di entrate e uscite che l’attività avrebbe dovuto ottenere o sostenere. Una volta appurato che l’esercizio, per essere funzionale, avrebbe dovuto coinvolgere ogni tipo di espressione monetaria concernente l’attività, si è rilevata la tendenziale incapacità di poter addivenire ad un simile risultato.
Grafico 10 – La valutazione dei risultati da parte degli intervistati
Di conseguenza, risultano piuttosto prevedibili i risultati presenti nel grafico in relazione all’utilizzo dei KPIs: rispetto ai riscontri precedenti, vi è un netto incremento di coloro che non ritengono affidabili tali indicatori (+12,7%) o comunque non riescono ad utilizzarli per la difficoltà di ricavare i dati (+9%). Per di più, soltanto il 7,4% degli intervistati (-13,9% rispetto al campione rilevato online) è stato in grado di impostare un sistema di reportistica atto a conoscere i risultati dei KPIs inerenti alla propria attività con la dovuta tempestività.
Ciò detto, anche all’interno delle interviste si è scelto di approfondire il tema degli adeguati assetti organizzativi, non soltanto in riferimento a quanto previsto dall’art. 3 del Codice, ma anche per cercare di trarre spunti di valutazione dalle risposte precedenti da parte degli intervistati: si è ritenuto opportuno, infatti, oltre a porre le domande, provare a operare una sorta di iniezione di consapevolezza nei confronti di coloro che si trovavano a dover rispondere tentando, per quanto possibile, di sensibilizzare gli stessi in merito ad aspetti quali il rispetto della normativa o l’importanza di poter mettere in atto azioni utili a portare avanti un’attività imprenditoriale.
In questo senso, si è optato per una leggera modifica alla domanda che nel questionario era posta come “Sta adeguando il sistema di controllo interno per poter rispettare la nuova normativa? ”, trasformandola in “Ritiene di dover adeguare il sistema di controllo interno per poter rispettare la nuova normativa? ”, nell’ottica di provare a capire se anche l’intervista stessa potesse essere stata fonte di “aggiornamento” per coloro che sono stati coinvolti.
Vi è stata quindi, in qualche modo, da parte dei rispondenti, una sorta di presa di coscienza dell’importanza di ciò che si stava chiedendo loro: addirittura il 45,68% ha compreso la complessità del cambiamento richiesto (+26,8% rispetto al questionario online) e in generale coloro che ritengono di avere già tutto sotto controllo o ai quali non interessa aggiornarsi sono diminuiti del -10,8%. In un certo senso, un termometro della sincerità dei rispondenti può intercettare la rilevazione del fatto che vi è quasi un 20% in meno di soggetti rispetto al questionario online che risulta lavorare costantemente per adeguarsi alla normativa, mostrando un colpevole ritardo nella reazione alle novità introdotte dal legislatore.
In ultimo, sulla scorta di quanto sopra, appare significativo evidenziare le risposte fornite da coloro che si sono mostrati consapevoli e volenterosi di adeguare il proprio assetto organizzativo alla normativa, in merito alla capacità degli stessi di svolgere le attività fondamentali per la rilevazione immediata di squilibri economico-finanziari e per una corretta gestione aziendale.
In generale, un dato che emerge e che pare importante sottolineare, è la difficoltà per la maggior parte dei rispondenti di riuscire ad intercettare e tenere conto di passività potenziali che potrebbero incidere sull’attività, mostrando, in tal senso, una pericolosa tendenza di sottovalutazione dei rischi. Stante l’instabilità dei mercati e la crescente pressione sulle filiere da parte dei soggetti maggiormente strutturati, riuscire a colmare questo gap organizzativo per le imprese più piccole è l’unica soluzione per attuare l’early warning che fa da stella polare al più recente intervento del legislatore.
In tal senso, posto che in questo elaborato il focus è proprio su realtà di minori dimensioni, si proverà a declinare concetti tendenzialmente applicati alle grandi organizzazioni cercando di offrire suggerimenti che possano rivelarsi utili a strutturare un assetto al contempo efficiente ed efficace in considerazione delle realtà sulle quali si è concentrata la ricerca. Infatti, la valutazione di adeguatezza di per sé non può non tenere in considerazione le dimensioni dell’impresa oggetto di analisi e la variabilità degli scenari che la stessa si trova ad affrontare nel corso della propria attività, suggerendo che non esiste una soluzione univoca e rigida che possa fare al caso di ogni entità.
Inoltre, l’evoluzione delle teorie aziendalistiche ha dimostrato, se ce ne fosse stato bisogno, che la norma contenuta nell’art. 2214 c.c., che, riferendosi ai soli assetti contabili, esonera il piccolo imprenditore dalla tenuta delle scritture contabili, è ormai “insignificante e inapplicabile”: in quanto la produzione dei flussi informativi che derivano dalle registrazioni contabili degli eventi di gestione, costituisce elemento essenziale all’attività produttiva anche di piccole dimensioni[9]. Ciò che certamente emerge e viene confermato dall’art. 3 CCII è la necessità che, indipendentemente dalla struttura dimensionale, vi sia l’obbligo di dotarsi di misure idonee al rilievo tempestivo dello stato di crisi, ovvero che sia disegnato, strutturato e continuamente monitorato un modello di gestione che contempli precisi e tempestivi flussi informativi che consentano una reazione senza indugio allorquando vi siano all’orizzonte situazioni di squilibrio economico-finanziario.
Ciò che evidentemente potrà differenziare un assetto organizzativo di una grande impresa rispetto ad una di dimensioni minori è il grado di formalizzazione dell’organizzazione, in particolare in merito a rigidità dei flussi informativi o flessibilità con la quale vengono distribuite le mansioni ai vari soggetti facenti parte la catena informativa[10]. Oltretutto, la costruzione di un assetto organizzativo non potrà mai prescindere da una approfondita analisi di costi/benefici, ovvero di efficienza dell’assetto rispetto alla struttura da tenere sotto controllo: in tal senso, “risulterà efficiente un presidio che consente di raggiungere l’obiettivo con l’impiego minimo delle risorse indispensabili[11]”, pur avendo sempre come riferimento l’obiettivo minimo accettabile che, come detto, dovrà sempre tener conto del principio di proporzionalità.
Non è un caso, infatti, che il legislatore abbia optato per la clausola generale di “adeguatezza” dell’assetto organizzativo, in quanto tale concetto ‘relazionale’ indica proporzione, congruenza, convenienza ed opportunità rispetto anche al modello di business dell’attività: quest’ultimo, pur mantenendo certe peculiarità, tende, nel corso dell’attività d’impresa, a mutare ed evolversi a seconda dell’andamento del mercato e perciò anche un assetto organizzativo potrà risultare oggetto di sviluppo a seconda dei rischi che l’impresa corre, nell’ottica di un approccio votato all’early warning e ad intercettare i possibili segnali di squilibrio.
Perciò in un certo senso appariva condivisibile l’orientamento giurisprudenziale[12] che si era in un primo momento formato in merito alla discrezionalità da parte degli amministratori in relazione alla scelta di soluzioni diverse nella creazione di assetti organizzativi, privilegiando il principio della business judgement rule: non veniva messo in dubbio che vi potesse essere libero arbitrio in relazione alla scelta di dotarsi o meno di un adeguato controllo di gestione, ma piuttosto, come poc’anzi evidenziato, fornire l’occasione di determinare autonomamente quale possa essere l’organizzazione maggiormente funzionale a rispettare quanto richiesto dalla normativa. Quindi, stante il principio secondo il quale la valutazione di adeguatezza per ritenere congruo o meno l’operato degli amministratori deve necessariamente essere condotta ex ante, ovvero non in considerazione del risultato di un eventuale percorso di risanamento intrapreso, ma prendendo in esame la struttura organizzativa che era presente nel momento in cui si è manifestato uno squilibrio economico-patrimoniale, risultava comunque imprescindibile - quale condizione necessaria ma non sufficiente - l’adozione di strumenti di monitoraggio c.d. “manifesto” che possano evidenziare la presenza di pianificazione economico-finanziaria[13], di un adeguato sistema contabile, di una ben definita struttura organizzativa e di un efficace sistema di reporting.
Con l’entrata in vigore del CCII però, e in particolare tenendo in considerazione quanto previsto dall’art.3, l’orientamento giurisprudenziale in merito alla dotazione di adeguati assetti organizzativi sembra aver subito una metamorfosi in senso restrittivo rispetto alla business judgement rule e, anzi, si nota in più casi che l’approccio dei tribunali tende a valorizzare l’importanza di indagare all’interno delle aziende oggetto del contendere la concreta sussistenza e lo stato effettivo degli assetti organizzativi. In tal senso, recenti provvedimenti sono contraddistinti da una più marcata intenzione da parte del Tribunale di far luce sull’effettivo stato degli assetti nel momento in cui avviene la segnalazione, tipicamente da parte del collegio sindacale, per tramite delle analisi svolte da parte di ispettori giudiziari. Ad esempio, l’irregolarità gestionale, nonostante l’attività non si trovasse in crisi, è stata accertata dal Tribunale di Cagliari[14], che ha evidenziato l’assenza di adeguati presidi gestionali, fornendo anche spunti operativi attraverso un dettaglio delle carenze organizzative riscontrate, riportate nella tabella di seguito riportata:
Il Tribunale, in tale fattispecie, ha perciò ordinato all’organo amministrativo di adottare gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati, nominando un amministratore giudiziario, ai sensi dell’art. 2409 c.c., nell’ottica di verificare in un secondo momento l’adeguatezza degli interventi messi in atto. Non solo, in siffatta situazione il Tribunale ha voluto specificare che “una volta manifestatasi la crisi, sfuma la gravità dell’adozione di adeguati assetti e viene in massimo rilievo, invece, la mancata adozione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per fronteggiarla” e in tal senso “la violazione dell’obbligazione di predisporre adeguati assetti è più grave quando la società non si trova in crisi, anche perché, del resto, proprio in tale fase essa ha le risorse anche economiche per predisporre con efficacia le misure organizzative, contabili e amministrative”.
Un altro caso in cui si è assistito ad un simile approccio, è riferibile al provvedimento con il quale il Tribunale di Catania[15], a seguito di verifiche di un professionista indipendente, ha concluso che “il rispetto degli obblighi imposti dall’art. 2086, comma 2, c.c., non può limitarsi alla distribuzione delle deleghe agli amministratori, ma impone un precisa individuazione ed indicazione di tutti gli altri aspetti organizzativi, amministrativi e contabili, che, nel caso di specie, risultano del tutto assenti.”, ritenendo che non potesse neanche essere tenuto in considerazione il principio della business judgement rule in quanto “E’ evidente che nella specie, in carenza di assetti organizzativi ex art. 2086, comma 2, c.c., che non risultano essere mai stati sollecitati neppure dal collegio sindacale, non si pone alcun problema di limiti di sindacabilità delle scelte operate dal CdA, configurandosi, di contro, un grave inadempimento degli obblighi gravanti sull’organo gestorio.”.
L’orientamento giurisprudenziale restrittivo non è però del tutto consolidato in quanto esito opposto è rinvenibile in un altro provvedimento del Tribunale di Bologna[16], successivo ad un ricorso da parte del socio di minoranza che denunziava gravi irregolarità nella gestione dell’attività da parte dell’amministratore unico: provando a sintetizzare quanto emerso in sede giudiziale, l’iniziativa successiva a contestazioni perlopiù generiche sull’inidoneità degli assetti organizzativi, amministrativi, contabili, è stata rigettata dal Tribunale di Bologna anche tenendo conto che i dati economico-finanziari, non confutati dalle analisi del professionista incaricato, attestavano una equilibrata e proficua operatività dell’impresa. Inoltre, è stata rilevata l’assenza di alcun segnale di crisi, né presente, né potenziale, e/o di perdita della continuità aziendale ragionevolmente suscettibile di rilevazione. Perciò, il Tribunale ha concluso che l’inidoneità dell’assetto adottato dagli amministratori deve essere provata da parte ricorrente con motivazioni sostanziali a supporto di una potenzialità lesiva della condotta omissiva degli amministratori e che quindi non sia sufficiente una astratta inadeguatezza (ovvero in mancanza di segnali di crisi) per portare alla rimozione dell’amministratore.
Orbene, esulando per un attimo da principi tradizionalmente aziendalistici, occorre tener conto anche della rilevazione e la gestione dei rischi di sostenibilità, in considerazione dei presidi di governance e controllo proposti alla sfera ESG, nonché dell’impatto che eventualmente i rischi di sostenibilità possano avere sugli equilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario dell’azienda[17]. Inoltre, di medesima importanza, risulterà l’adeguamento ai contenuti del D.Lgs. n. 81/2008 in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro attraverso formazione specifica, investimenti e manutenzioni e il continuo aggiornamento del DVR (“Documento di valutazione dei rischi”). Fermo resta anche l’obbligo di dotarsi del Modello 231 (“Modello di organizzazione e gestione”) nell’ottica di garantire la prevenzione della commissione di reati attraverso una serie di procedure aziendali.
In merito alla struttura organizzativa da un punto di vista aziendalistico, può essere utile far riferimento alle Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate che, sebbene in fase di aggiornamento, evidenziano che un assetto organizzativo può definirsi adeguato quando:
Volendo operare un focus sulle realtà di minori dimensioni, a titolo meramente esemplificativo, si richiamano due indicatori di redditività che, grazie all’approccio ‘confidenziale’ delle interviste svolte nel corso della ricerca, è stato possibile riconoscere come tendenzialmente mancanti in siffatte realtà: il margine di contribuzione e il BEP (“Break Even Point”). Questi due parametri sono di fatto la pietra miliare di ogni attività in quanto rappresentano rispettivamente la marginalità del prodotto venduto[20] e il punto di pareggio[21] dell’attività che ne è una derivata. Senza avere a disposizione questo tipo di informazioni, che siano di carattere consuntivo o stimate sulla base di ciò che il management si aspetta di raggiungere, risulta pressoché impossibile governare un’attività con consapevolezza. Non è un caso, infatti, che buona parte delle realtà che hanno confessato di non avere contezza di tali indicatori, riesca ad operare una valutazione giornaliera, settimanale o mensile facendo unicamente riferimento alle risultanze finanziarie, ovvero alla cassa disponibile al termine di tali periodi. Facendo riferimento all’importanza di avere la capacità di stimare quale sia il BEP della propria attività, è capitato che un ristoratore confessasse di non avere idea di quanti coperti fosse per lui necessario occupare per poter valutare positivo o meno l’andamento di una serata: si può immaginare che tipo di conseguenze questo approccio possa portare nel corso del tempo, con ricadute su fornitori, dipendenti e, infine, il sistema che concede credito a questo tipo di attività. Il risultato di fatto è simile a quello di un automobilista che deve raggiungere il traguardo senza sapere quanta benzina ha a disposizione e quanta ne consuma durante il tragitto: nella maggior parte dei casi avendo fatto un pieno riuscirà ad arrivare a destinazione, ma nel momento in cui ciò rischierà di non avverarsi non avrà alcuno strumento per poter comprendere lo stato in cui si trova. Infatti, oltretutto, non conoscere questo tipo di informazioni circa la propria attività, non solo non consente di reagire, ma neanche di costruire piani, budget o stime in quanto non si hanno a disposizione i dati necessari o, se si hanno, nella maggior parte dei casi si tratta di informazioni errate.
Infatti, un altro problema che rischia di incidere sul monitoraggio dei risultati, ma che potrebbe essere intercettato grazie alle competenze cui si faceva riferimento poc’anzi, è la qualità del dato che i responsabili del controllo di gestione sono in grado di ottenere tramite gli strumenti a disposizione della struttura: dovrebbe essere garantito il mantenimento della qualità del dato sia nel momento di estrazione dei risultati (in particolar modo consuntivi, ma anche previsionali) sia nelle successive fasi di condivisione e ciò dovrebbe essere assicurato dalla qualità dei flussi informativi, i quali non basta che siano presenti, ma devono risultare completi e adeguati rispetto ai dati che necessitano di essere trasmessi.
Tale impostazione non può in alcun modo prescindere, ed essere ulteriormente potenziata, dalle capacità del management: questi dovrebbe ritenere fondamentale strutturare un meccanismo virtuoso che gli consenta di avere sempre a disposizione dati aggiornati, precisi e veritieri. La capacità di valutazione della bontà di tali parametri da parte dei soggetti apicali, anche nelle società di minori dimensioni, risulta fondamentale nell’ottica di strutturare un efficace sistema di controllo facendo sì che lo stesso sistema, oltre ai dati ottenuti, sia continuamente oggetto di analisi volta ad approfondire le dinamiche aziendali e intercettare le aree migliorabili.
È in merito a ciò, più che in considerazione dell’adozione di adeguati assetti organizzativi tout court, che le nuove frontiere informatiche possono effettivamente agevolare l’ottenimento di risultati affidabili e migliorare con continuità la qualità dei dati ottenuti. Nei paragrafi precedenti si è anticipato che non si ritiene che le nuove frontiere informatiche siano la soluzione ai problemi che stiamo analizzando in quanto non consentirebbero una gestione consapevole dell’attività, ma anzi potrebbero tendere ad operare una sostituzione del management limitando ancor di più le capacità di gestione. Al contempo, però, l’intelligenza artificiale, che ha il pregio di poter essere in qualche modo allenata da chi la possiede, nei prossimi decenni potrebbe divenire in grado di agevolare notevolmente l’estrazione di dati qualitativi in merito allo svolgimento dell’attività, sia in relazione ai risultati consuntivi che l’IA sarà in grado di analizzare autonomamente, sia per quanto concerne la rapidità di valutazione del risultato prognostico che l’impresa si aspetta di ottenere.
In ultimo, occorre evidenziare che il fatto che il legislatore abbia inteso prevedere obbligatorio dotarsi di adeguati assetti organizzativi non dovrebbe essere inteso soltanto come un dovere dall’imprenditoria italiana, ma piuttosto come un’opportunità di rendere maggiormente virtuosa la gestione della propria attività; nel corso di alcune delle interviste che si è avuto modo di condurre è emersa esattamente questa considerazione da parte degli intervistati, alcuni tra i quali si sono mostrati interessati a capire con maggiore chiarezza i vantaggi di cui avrebbero potuto beneficiare attraverso la costruzione di un assetto organizzativo. La volontaria omissione di “adeguato” a corredo della frase appena conclusa intende sottolineare come, allo stato, molti degli intervistati non siano dotati di alcun assetto organizzativo, come dimostra la quantità di soggetti che hanno evidenziato una gestione basata sulla propria sensibilità e su una totale ignoranza in merito all’utilizzo di strumenti previsionali, primo tra i quali un piano di azione che contempli una declinazione numerica dell’evoluzione attesa dell’attività.
In conclusione, appare evidente quanto in questa fase di globalizzazione estrema e continua metamorfosi dei mercati, risulti di fondamentale importanza il supporto dei professionisti di fiducia alle attività che seguono: non può certamente più bastare un servizio che presupponga la sola consulenza fiscale senza che, nella maggior parte dei casi, vi sia un adeguato controllo in continuum, anziché interventi sporadici su richiesta dell’imprenditore per singoli adempimenti. Le peculiarità tecniche della scienza aziendale, accompagnate dalla capacità di bilanciare la necessità di adeguati assetti organizzativi alle effettive dimensioni e risorse delle realtà, saranno nei prossimi anni caratteristiche imprescindibili per i professionisti del domani: in tal senso, non occorre necessariamente avere come focus la crisi d’impresa e le ristrutturazioni aziendali per comprendere l’importanza rivestita dalla capacità di prendere coscienza di quale sia la condizione reale nella quale l’impresa si trova e, di conseguenza, assumere le iniziative più corrette ed adeguate.
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