Sappiamo che il tempo dell’automatic stay tendenzialmente stabile nel tempo, in forza di quanto previsto dalla Direttiva 1023/2019, è ormai terminato. La ristrutturazione dell’impresa deve realizzarsi in tempi brevi (o comunque meno dilatati rispetto al passato) e la tutela dei diritti dei creditori non può essere compressa a tempo indefinito: perciò, la legge deve stabilire una durata massima delle misure e far sì che su di esse si eserciti la verifica giudiziale.
Questi pilastri portanti della regolazione della crisi secondo il modello unionale si sono tradotti, nel DL 118/2021, (i) nella prescrizione di una durata massima delle misure protettive (duecentoquaranta giorni) e (ii) nella previsione di una immediata conferma da parte del tribunale.
Poiché la scelta di fondo è stata quella di prevedere l’intervento della autorità giudiziaria in singoli momenti, senza immaginare un tribunale che sovraintende all’intero percorso, e viste le somiglianze con le finalità della tutela cautelare, il legislatore, anche per l’esigenza di ricorrere ad uno strumento informatico esistente, ha ritenuto opportuno basarsi sul procedimento cautelare uniforme. Il contenitore prescelto è, così, quello degli artt. 669-bis / 669-terdecies c.p.c., con gli opportuni adattamenti.
Il fatto che si sia optato per quel contenitore pone, indubbiamente, il tema se unitamente al procedimento debbano essere richiamati anche i principi che presidiano la tutela cautelare, ed in particolare la caratteristica della strumentalità.
Senza entrare in una questione che tocca temi di vertice (verificare se in questa sede vi siano posizioni riconducibili a diritti soggettivi o potestativi, e quali), possiamo limitarci a evidenziare che nella composizione negoziata le misure protettive sono strumentali ad assicurare l’esito positivo delle trattative nei termini di cui all’art. 11 DL 118/2021.
Le misure possono, dunque, essere confermate quando (i) il tribunale si convince che esiste una ragionevole probabilità di perseguire il risanamento (fumus boni iuris) e quando (ii) il tribunale reputa che le misure, nella gradazione necessaria, siano funzionali a raggiungere quel risultato, sicché la loro assenza potrebbe pregiudicare il risanamento (periculum in mora).
Nel momento in cui è chiamato a confermare o meno le misure protettive, o a rilasciare le misure cautelari richieste dal debitore, il ruolo del tribunale si rivela centrale per l’intera architettura, perché il giudice è chiamato ad operare un bilanciamento tra gli interessi del debitore e le aspettative dei creditori[23]: un ruolo nevralgico, di grande responsabilità, che impone una adeguata professionalità da ricercare in mirati percorsi formativi.
Il vero salto di qualità che si richiede è quello di cogliere le dinamiche dell’impresa da una prospettiva diversa, non quella del giudice che a posteriori valuta le condotte, ma quella di chi, ex ante, è chiamato a verificare l’utilità di un percorso che dovrebbe restituire valore e benessere collettivo ai consociati e nuove opportunità all’imprenditore, senza pregiudicare ingiustamente[24] i creditori. Questa è la ragione per la quale il tribunale può fare ricorso ad un ausiliario – che, ovviamente, non potrà mai essere l’esperto - che dovrà essere designato con grande accuratezza perché dovrà aiutare il giudice a misurare le potenzialità dell’impresa e al contempo a fare emergere le criticità dell’attività svolta.
Certo, si tratta di compiti nuovi, probabilmente complessi, ma che dovrebbero esaltare (e non deprimere) la forza della giurisdizione.
Tornando al procedimento, alcune sollecitazioni emerse dai primi commenti richiedono un confronto dialettico, sebbene possibile qui soltanto per accenni.
In primo luogo, dobbiamo chiederci quale sia il rapporto tra misure protettive e misure cautelari.
Il codice della crisi, nell’art. 2, lett. p e q, descrive le une e le altre[25]. Il DL non poteva fare rinvio a quella norma, non ancora vigente, e tuttavia, diversamente da quanto da taluno opinato, non vi è disomogeneità tra le definizioni del codice e quelle della composizione negoziata.
Le misure protettive sono quelle elencate nell’art. 6 DL 118/2021 che, a ben vedere, hanno uno spettro definitorio non dissimile da quanto previsto nel codice della crisi e che coincidono, in larga parte, con quelle oggi disciplinate nell’art. 168 l.fall.
Si è discusso se l’elenco dell’art. 6 sia onnicomprensivo o se vi sia spazio per altre forme di protezione, al netto di quanto previsto nell’art. 8 DL 118/2021 in ordine alla sospensione degli obblighi di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c.
Per rispondere al quesito dobbiamo partire da una constatazione: poiché le misure protettive prendono effetto (immediato, ancorché provvisorio) nel momento in cui l’imprenditore formula l’istanza di nomina dell’esperto o la successiva istanza presentata con le modalità di cui all’articolo 5 (una istanza che, oltretutto, non è un ricorso), non possono che essere quelle predeterminate dal legislatore nell’art. 6, 1° comma, DL 118/2021[26]: ossia il divieto – tutt’al più operante in modo selettivo, se l’imprenditore lo formula in tal modo - di acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore o di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa.
Il che non significa che altre non se ne possano aggiungere, da sottoporre al giudice col ricorso giurisdizionale che accompagna la pubblicazione della richiesta e della accettazione dell’esperto: l’art. 7 DL 118/2021 lo consente, prevedendo che il debitore, nel ricorso, possa chiedere l’adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative.
Del resto, non dissimile è la definizione delle misure cautelari nel codice della crisi: “i provvedimenti cautelari emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio o dell’impresa del debitore, che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza”.
I provvedimenti cautelari del codice sono strumentali ad assicurare gli effetti delle procedure, mentre quelli del DL sono strumentali a condurre a termine le trattative: l’obiettivo è solo parzialmente diverso ma la strada è la stessa, perché per assicurare gli effetti delle procedure e per proteggere le trattative occorrono misure che, del pari, proteggano il patrimonio del debitore o i beni che compongono l’impresa.
Possiamo pertanto concludere che i provvedimenti cautelari del DL 118/2021 possano avere, intrinsecamente, una funzione protettiva: ciò in vista del buon esito delle trattative e cioè del perseguimento del risanamento tramite una delle soluzioni di cui all’art. 11 DL 118/2021.
Un secondo tema di discussione si è incentrato sulla struttura del contraddittorio.
La parte istante che avvia il procedimento è l’imprenditore; l’esperto viene sentito nella più classica delle attività istruttorie del procedimento cautelare; l’ausiliario che può essere nominato dal giudice assume i compiti del consulente tecnico e coadiuva il tribunale nella comprensione del percorso intrapreso dal debitore.
Quali sono, dunque, le parti del procedimento evocate dall’art. 7, che stabilisce l’onere della notificazione (del decreto di fissazione dell’udienza) a cura del ricorrente? Debbono essere messi a conoscenza della pendenza del procedimento tutti i creditori o solo quelli indicati nel ricorso (ovverosia i primi dieci per ammontare del credito), o solo quelli specificati nel decreto del giudice?
La risposta è semplice: vanno messi a conoscenza della pendenza del procedimento tutti i creditori nei confronti dei quali si chiede la conferma delle misure protettive; quindi potenzialmente tutti, a meno che una selezione non sia già stata fatta al momento della pubblicazione dell’istanza. L’onere, in astratto, potrebbe essere complesso ma potrà trovare una adeguata semplificazione sia per la possibilità che si utilizzino i mezzi di comunicazione elettronica, sia perché il giudice può stabilire le forme di comunicazione più opportune. Quanto alla ragione della indicazione dei maggiori creditori, è quella di dar modo al tribunale di assumere informazioni, quand’anche costoro non volessero partecipare all’udienza. Per espressa previsione, poi, sono parti necessarie del procedimento i soggetti nei cui confronti si chiedono specifiche misure cautelari.
Un terzo tema di dibattito attiene al rapporto tra misure cautelari e giudizio di merito.
All’esito della conferma delle misure protettive non è necessario incardinare alcun giudizio, mentre la questione si pone con riguardo alle misure cautelari.
Se la misura cautelare è funzionale alla prosecuzione e al buon esito delle trattative, la strumentalità è certamente allentata: se ipotizziamo che il debitore chieda al giudice di inibire la segnalazione dell’inadempimento alla Centrale rischi della Banca d’Italia perché una siffatta segnalazione potrebbe pregiudicare la trattativa con tutti gli altri creditori finanziari, la funzione del provvedimento cautelare che concede l’inibitoria si esaurisce una volta che il risultato avuto di mira è stato raggiunto, con la conclusione che il debitore, una volta che il provvedimento cautelare è stato emesso, non è obbligato a radicare il giudizio di merito. Fatte le debite distinzioni, la situazione non è diversa da quella che si ritrova nell’art. 54, 1° comma, CCII, laddove si parla di provvedimenti cautelari idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza che omologa un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione.
Infine, un argomento di discussione, anch’esso particolarmente delicato, è quello delle interferenze tra le misure (protettive e cautelari) del DL 118/2021 e le misure cautelari dell’art. 15 l.fall.
Il procedere della composizione negoziata è causa di impedimento della dichiarazione di fallimento[27] ma non è causa ostativa dell’apertura del procedimento di cui all’art. 15 l.fall.
Nell’ambito del c.d. procedimento prefallimentare il tribunale, su istanza delle parti, può concedere misure cautelari che potranno coincidere con alcune misure nominate (essenzialmente, i sequestri conservativi). L’esperienza, però, si è consolidata in un’altra direzione e cioè quella delle misure innominate, e segnatamente della nomina (più o meno pervasiva, a seconda dei contorni che si leggono nei provvedimenti) di un soggetto che possa, finanche, sostituirsi all’imprenditore nella gestione dell’impresa.
Lasciando in disparte qualche avventurosa fuga in avanti[28], vi è una diffusa applicazione da parte dei tribunali fallimentari della nomina di un amministratore giudiziario[29].
Dobbiamo, allora, valutare se i provvedimenti cautelari concessi dal tribunale fallimentare, e particolarmente quelli innominati, siano impermeabili alla composizione negoziata o se siano destinati ad essere impediti dalle misure di cui all’art. 6 DL 118/2021.
La questione è certamente delicata ma può essere proprio il campo di elezione di quel bilanciamento di interessi cui è chiamato il giudice in tutti i momenti di intervento previsti dal decreto-legge.
Guardando al riferimento letterale che l’art. 6 fa ai ‘creditori’, potremmo dire che le azioni inibite sono quelle individuali, e che perciò le misure cautelari dell’art. 15, 8° comma, l.fall. non dovrebbero venire colpite dal divieto dato che, sebbene siano anch’esse chieste dai creditori, vengono concesse, tuttavia, a protezione di un interesse collettivo.
Una lettura di sistema, tuttavia, ci porta a ritenere che debba essere, invece, il giudice della composizione negoziata a stabilire se le misure concesse dal tribunale fallimentare possano continuare a produrre effetti nella composizione negoziata. Al modo di un esempio, ove il tribunale fallimentare avesse nominato un amministratore giudiziario con pieni poteri, la composizione negoziata dovrebbe essere avviata proprio dall’amministratore giudiziario; qualora, invece, fosse stato nominato un custode, il giudice della composizione negoziata dovrebbe adottare i provvedimenti volti ad armonizzare i rapporti tra il custode e l’imprenditore. Non si intende, dunque, che il giudice delle misure del DL 118/2021 possa revocare i provvedimenti concessi dal tribunale fallimentare: si intende piuttosto affermare che nel pronunciarsi sulle misure dell’art. 6 il giudice debba armonizzarle con le cautele disposte ai sensi dell’art. 15 l.fall., stabilendo le modalità opportune per rendere praticabile la composizione negoziata.
Situazioni di ‘conflitto’ come quelle appena indicate potranno dunque presentarsi ma dovranno essere considerate come vicende gestibili grazie al ruolo equilibratore del giudice.
Qualche considerazione va spesa con riferimento alla previsione del quinto comma dell’art. 6 (secondo cui tra le misure protettive vi è il divieto, per i creditori interessati dalle misure protettive, di rifiutare l’adempimento dei contratti o provocarne la risoluzione, o anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore) e alla previsione dell’art. 8, che consente la sospensione degli obblighi di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c. senza sottoporre quest’ultima alla conferma del tribunale.
Quanto alla prima, ad evitare timori di una ampiezza invasiva della previsione, è sufficiente considerare che i “creditori interessati dalle misure protettive” non sono i creditori ‘potenzialmente’ interessati, ma piuttosto quelli ‘concretamente colpiti’ dalle misure in questione (e dunque soggetti ad una verifica del tribunale, che, come più volte ripetuto, è chiamato a intervenire in tempi brevissimi), i quali hanno perciò lo strumento della richiesta di revoca se la misura appaia sproporzionata rispetto al pregiudizio loro arrecato.
Quanto alla seconda, è vero che la sospensione non è collegata al COVID, come quella – peraltro di durata assai più lunga (fino all’assemblea che approverà il bilancio dell’esercizio 2025) - prevista dall’art. 6 DL 23/2020, novellato dalla legge di bilancio per l’anno 2021, ma è altrettanto vero che, appunto, si tratta di una sospensione di durata limitata ai sei mesi della composizione negoziata, e che la sospensione non offre un vantaggio competitivo all’imprenditore che dichiari di volersene avvalere sol che si rifletta sul fatto che l’istanza prevista dall’art. 6, comma 1, con la quale la dichiarazione viene resa, è soggetta ad una pubblicità che rende evidente a tutti quale sia la situazione nella quale il debitore versa, aprendo la porta, così, a tutte le iniziative che, in difetto della richiesta di divieto di azioni esecutive e cautelari (nel qual caso si avrà, di nuovo l’intervento del giudice), il debitore si troverà a subire.
È opportuno chiarire, a tale proposito, che il fatto di utilizzare il veicolo del primo comma dell’art. 6 non impone all’imprenditore di richiedere la protezione del patrimonio se non ne ha bisogno, tanto che l’art. 8 è stato volutamente concepito come previsione a se stante e la modifica apportata in sede di conversione ribadisce questa separatezza: ma che, per l’ipotesi in cui la richiesta di protezione e la dichiarazione dell’art. 8 si cumulino, il tribunale potrà valutare, su iniziativa di uno dei creditori intervenuti nel procedimento cautelare, se la sospensione degli obblighi in quanto arrechi pregiudizio non giustifichi la revoca delle altre misure.
Senza contare che, non troppo diversamente da quanto previsto dall’art. 20 CCII (che considerava però il differimento degli obblighi e la non operatività della causa di scioglimento come una misura protettiva e la assoggettava perciò, correttamente, al medesimo regime di concessione e di revoca), l’impossibilità di addivenire ad una soluzione concordata della crisi, che l’art. 20 CCII contemplava come motivo di revoca, è causa di archiviazione della composizione negoziata col conseguente venir meno anche della sospensione degli obblighi di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c.