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Vademecum analitico della fiscalità degli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza del CCII

Giuliano Buffelli e Giovanni Pietro Rota, Dottori Commercialisti in Bergamo

9 Dicembre 2022

Il D.Lgs. n. 83/2022 (2° correttivo) è intervenuto sul Codice della crisi e dell’insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019) con decorrenza 15 luglio 2022 apportando al testo originario notevoli modifiche ed integrazioni, introducendo nuovi istituti di composizione della crisi, aggiornando e rielaborando quelli preesistenti. 
Il legislatore fiscale non ha (ancora) operato alcun adeguamento, neppure terminologico, con conseguenti incertezze nell’individuazione della corretta applicazione tributaria da utilizzare nell’ambito del complessivo studio della gestione della crisi d’impresa. 
Il presente studio si prefigge di fornire una lettura interpretativa in chiave fiscale sia degli istituti di regolazione della crisi di impresa rielaborati che a quelli di nuova introduzione. 
Il lavoro, passando in rassegna i vari istituti, focalizzerà l’attenzione sulla disciplina tributaria in ambito imposte dirette (Ires/Irpef e Irap) e sull’Iva.
Riproduzione riservata

Sommario:

1 . Premessa

2 . Le diverse procedure e strumenti di gestione della crisi nel CCII

3 . Analisi per singola procedura o strumento di gestione della crisi di impresa delle implicazioni ai fini delle imposte dirette

3.1 . Liquidazione giudiziale (già Fallimento) di cui al Titolo V CCII

3.2 . Concordato nella Liquidazione giudiziale (già Concordato fallimentare) di cui al Capo VII CCII

3.3 . Concordato Preventivo di cui al Capo III, Titolo IV CCII

3.4 . Concordato preventivo con assuntore di cui al Capo III Titolo IV CCII

3.5 . Concordato minore di cui al Titolo IV Sezione III CCII

3.6 . Concordato semplificato per la Liquidazione del patrimonio all’esito della Composizione negoziata di cui al Titolo II Capo II CCII

3.7 . Accordi di ristrutturazione dei debiti di cui al Titolo IV Sezione II CCII

3.8 . Accordi di ristrutturazione agevolati di cui al Titolo IV Sezione II CCII

3.9 . Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e convenzione di moratoria di cui al Titolo IV Sezione II CCII

3.10 . Piani attestati di risanamento di cui al di cui al Titolo IV Sezione I CCII

3.11 . Piano di ristrutturazione soggetto ad Omologazione di cui al di cui al Titolo IV Sezione II Capo I bis CCII

3.12 . Procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento

3.13 . Composizione negoziata della crisi

3.14 . Liquidazione coatta amministrativa

4 . Approfondimenti ai fini Irap

4.1 . Sopressione dell’area straordinaria ed effetti sulla base imponibile Irap

4.2 . Il principio di derivazione rafforzata nelle imposte dirette: brevi cenni

4.3 . Le plusvalenze da cessione dei beni ai creditori nel concordato preventivo e il bonus da esdebitazione nelle procedure di gestione delle crisi: trattamento fiscale previgente al D.Lgs. n. 139/2015 (ante 2016)

4.4 . L’eliminazione dell’area straordinaria dal conto economico per effetto del D.Lgs. n. 139/2015 (post 2016)

4.5 . Componenti di natura straordinaria: le indicazioni aggiornate dei principi contabili nazionali

4.6 . Base imponibile Irap e trattamento bonus da esdebitazione

4.7 . Plusvalenze da cessioni di beni nel concordato preventivo ex articolo 86, comma 5, TUIR – riflessi sulle procedure di composizione della crisi di impresa di cui al CCII

5 . Approfondimenti ai fini Iva

6 . Considerazioni conclusive

1 . Premessa
L’entrata in vigore della riforma del diritto della crisi attuata dal D. Lgs. n. 14/2019, originariamente fissata al 15 agosto 2020, come è noto, è stata oggetto di numerosi rinvii. 
Come primo intervento si ricorda quello del decreto cd. liquidità (D.L. n. 23/2020) di cui alla L. n. 40/2020 che in considerazione dell’emergenza pandemica ha differito l’entrata in vigore del Codice al 01 settembre 2021 a cui è succeduto quello del D.L. n. 118/2021 (conv. nella L. n. 147/2021) che, anche per motivazioni connesse alla Direttiva UE n. 2019/1023 (cd. Direttiva Insolvency), ne ha differito l’entrata in vigore al 16 maggio 2022 eccezion fatta per la parte riferita alle procedure di allerta che sarebbe dovuta entrare in vigore al 31 dicembre 2023. Il decreto-legge n. 36/2022 del 30 aprile 2022, conv. in L. n. 79/2022, ne ha infine prorogato l’entrata in vigore, senza eccezioni[1], al 15 luglio 2022.Con l’intervento sul testo del Codice del D.Lgs. n. 83/2022 del 17 giugno 2022 l’entrata in vigore è stata confermata nel 15 luglio 2022. 
Come si evidenzierà nel prosieguo, il Codice della crisi e dell’insolvenza (a seguire anche CCII), tratta della materia fiscale pressoché esclusivamente nell’art. 25 bis (“misure premiali” nell’ambito della procedura di composizione negoziata) con una norma che riferisce , oltre che a riduzione di interessi e sanzioni, a rateazione dei carichi fiscali ricorrendo particolari condizioni, all’articolo 88, comma 4 ter del D.P.R. n. 917/1986 (a seguire anche TUIR) che tratta del cd bonus da esdebitazione e all’art. 101, comma 5 in tema di deducibilità fiscale delle perdite su crediti. Gli altri riferimenti del CCII all’ambito fiscale riguardano la transazione su crediti tributari e contributivi nell’ambito della procedura degli accordi di ristrutturazione (art. 63 CCII) nonché il trattamento di questi ultimi nell’ambito della procedura di concordato preventivo (art. 88 CCII). 
Il “nuovo” codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza introduce nuove procedure o ne definisce in modo diverso altre (sia rispetto alla legge fallimentare – R.D. 16 marzo 1942, n. 267 – in prosieguo anche L. fall. – in vigore sino al 14 luglio 2022 e comunque per le procedure aperte sino a tale data sia rispetto alla normativa fiscale). 
Nell’ambito della corretta gestione delle crisi di impresa tema di rilievo, è quello di poter correttamente prevedere, in sede di predisposizione del piano di ristrutturazione o di risanamento, il carico fiscale che il progetto presuppone. 
Tale valutazione risulta fondamentale considerata l’elevata incidenza che l’onere tributario può avere. 
Su tale premessa, nel prosieguo dello studio si offriranno spunti interpretativi anche per i nuovi istituti introdotti dal Codice nella speranza che il legislatore fiscale da un lato e l’Agenzia delle entrate, dall’altro - nello spirito della riforma che privilegia il recupero dell’impresa in ottica di continuità - favoriscano anch’essi la salvaguardia dei valori produttivi di tali soggetti, tenendo presente, nel contesto generale, l’importanza che la leva fiscale ha in tale ambito. 
Nel presente studio si analizzerà la normativa fiscale vigente in tema di imposte dirette (Ires, Irap) e Iva; in estrema sintesi introduttiva le norme fiscali che trattano dell’argomento sono: 
Per le imposte sul reddito gli articoli del TUIR: 
- l’art. 86, comma 5 che testualmente recita: “la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo di plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e al valore di avviamento”; 
- l’art. 88, comma 4 ter che nell’ambito del non considerare tassabili le sopravvenienze attive da bonus da esdebitazione fa riferimento al concordato preventivo liquidatorio o di risanamento, al concordato fallimentare, all’accordo di ristrutturazione omologato ai sensi dell’art. 182 bis L. fall., al piano attestato ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d) L. fall. e alle procedure estere equivalenti;
- l’art. 101, comma 5 che, nell’ambito delle perdite su crediti rilevanti fiscalmente, fa riferimento alle procedure concorsuali, all’accordo di ristrutturazione dei debiti omologati ex art. 182 bis L. fall., al piano attestato ai sensi dell’art. 67, comma 3. lett. d) L. fall. e alle procedure estere equivalenti. 
Con riferimento all’Irap di interesse sono gli articoli 5 e 5 bis del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 che, in particolare sanciscono la determinazione della produzione netta delle società di capitali, degli enti commerciali e delle società di persone e delle imprese individuali.
Per l’IVA: l’art. 26 D.P.R. n. 633/1972 trattando delle variazioni dell’imponibile e dell’imposta fa riferimento a procedura concorsuale o a un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis L. fall. o al piano attestato ai sensi dell’art. 67, comma 3. lett. d) L. fall. 
                                                                                                ***
Posto che le terminologie utilizzate dal legislatore fiscale in parte non coincidono con quelle del CCII di recente entrata in vigore, è utile, secondo chi scrive, una attenta ricognizione delle varie procedure e strumenti previsti dal nuovo codice a cui far seguire lo sviluppo delle correlate considerazioni in ambito fiscale.
2 . Le diverse procedure e strumenti di gestione della crisi nel CCII
Va subito evidenziato che mentre il CCII individua in modo specifico gli strumenti o i mezzi per regolare la crisi, il legislatore fiscale fa usualmente riferimento alle procedure concorsuali. 
Il CCII regola la classificazione degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza nel Titolo III e nel Titolo IV creando qualche perplessità sulla metodica classificatoria. 
Il dott. Filippo La Manna [2] così chiarisce tale metodica: “la verità è che leggendo la rubrica del titolo V -intestata alla “liquidazione giudiziale” forse si intuisce il rozzo tentativo classificatorio che aveva in mente il legislatore, che nel titolo III voleva probabilmente dettare norme di carattere generale comuni a tutti gli strumenti, nel titolo IV norme relative agli strumenti alternativi alla liquidazione giudiziale …”. 
Passiamo ora a individuare, con specifica elencazione, gli strumenti e le procedure che il CCII individua per gestire la crisi di impresa. A seguire si esamineranno per singolo strumento o procedura gli aspetti fiscali. 
1) Liquidazione giudiziale
Con la locuzione “liquidazione giudiziale” il CCII ricalca la procedura di fallimento di cui alla L. fall. provvedendo nel Titolo V (artt. dal 121 al 267 e dal 278 al 281) a disciplinarne il trattamento. (Si osserva come nella legislazione fiscale, come detto, non rilevando ancora alcun adeguamento terminologico, rilevi ancora il termine fallimento). 
2) Concordato nella liquidazione giudiziale 
Nel CCII è trattato negli articoli dal 240 al 253. Nella L. fall. lo strumento è nominato come concordato fallimentare; la normativa fiscale vigente prevede ancora tale ultima terminologia. 
3) Concordato preventivo 
La procedura è disciplinata nel capo III del Titolo IV articoli da 84 a 120 CCII; viene inoltre ripresa nella sezione VI bis artt. da 120 bis a 120 quinquies con riferimento alla regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società. 
Come nella L. fall. anche nel CCII il concordato preventivo è diviso tra “concordato in continuità aziendale “e “concordato con liquidazione del patrimonio”. 
La normativa fiscale fa riferimento al “concordato preventivo liquidatorio” e al “concordato di risanamento”.  
4) Concordato preventivo con assuntore 
La procedura è trattata dall’art. 84 CCII e ripresa nell’art. 112 CCII per quanto riguarda il giudizio di omologazione. 
5) Concordato minore 
La procedura è inclusa nella sezione III, Capo II, del Titolo IV dagli articoli dal 74 a 83 del CCII. Trattasi di nuova procedura non trattata né nella L. fall. né prevista dalla normativa fiscale vigente. 
6) Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio all’esito della composizione negoziata 
Lo strumento è disciplinato dagli articoli dal 25 sexies al 25 septies CCII. 
Novità dapprima introdotta nel 2021 da D.L. n. 118/2021, conv. in L. n. 147/2021, che ha anticipato l’entrata in vigore di alcuni istituti disciplinati nel Codice della crisi. Trattasi di procedura non trattata né dalla L. fall. né dalla normativa fiscale vigente. 
7) Accordi di ristrutturazione dei debiti 
Procedura prevista dagli artt. dal 57 al 59 del CCII. 
La L. fall. all’art. 182 bis, con medesima terminologia tratta dello strumento; anche la normativa tributaria prevede uguale terminologia. 
8) Accordi di ristrutturazione agevolati 
Procedura di neo introduzione rubricata all’art. 60 CCII. 
Lo strumento non è previsto né nella LF né nella normativa fiscale. 
9) Accordi di ristrutturazione a efficacia estesa e Convenzione di moratoria 
Trattasi di procedure rispettivamente trattate dall’art. 61 CCII e dall’art. 62 CCII; nella legge fallimentare disciplinate dagli artt. 182 septies e octies (assenza di previsioni in tale ambito nella legislazione fiscale vigente). 
10) Piano attestato di risanamento 
Strumento di regolazione della crisi previsto dall’art. 56 CCII già disciplinato dalla legge fallimentare nell’art. 67, comma 3, lett. d) L. fall. e dalla normativa fiscale con indicazione “Piano attestato ai sensi dell’art. 67 terzo comma lett. d) del RD 16/3/1942 n. 267”. 
11) Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione 
Nuovo strumento introdotto dal CCII negli articoli dal 64 bis al 64 quater; non previsto né nella LF né nella normativa fiscale. 
12) Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento 
Nell’alveo delle dette procedure è opportuno, considerando lo spettro di operatività, fare una breve premessa quanto all’ambito soggettivo. 
Sono ammessi alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento i debitori in stato di crisi o di insolvenza di cui all’art. 2, comma 1 lett. c) CCII e precisamente: 
- il consumatore; 
- il professionista; 
- l’imprenditore minore; 
- l’imprenditore agricolo; 
- le start up innovative ex D.L. n. 179/2012 conv. nella L. n. 221/2022; 
- ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o di insolvenza.
Le procedure a cui possono accedere detti soggetti sono: 
a. il consumatore (persona fisica) può ricorrere:
- alla ristrutturazione dei debiti del consumatore di cui agli artt. da 67 a 73 CCII;
- alla liquidazione controllata del sovraindebitamento di cui agli artt. da 268 a 277 CCII; 
- alla esdebitazione del sovraindebitato incapiente di cui all’art. 283 CCII.
Il consumatore non può ricorrere al concordato minore così come è chiaramente previsto dall’art. 74, comma 1 CCII. 
In esito alla procedura di liquidazione controllata da sovraindebitamento, il consumatore può beneficiare, ricorrendone le condizioni, dell’esdebitazione ex artt. dal 278 al 281 (CCII) ossia, all’esdebitazione di diritto prevista dall’art. 282 CCII. 
b. i soggetti diversi dal consumatore che possono utilizzare i di seguito indicati strumenti di gestione del sovraindebitamento e cioè: 
- il concordato minore (di cui è stata data indicazione in precedenza); 
- la liquidazione controllata del sovraindebitamento (artt. da 268 a 277 CCII).
In esito alla procedura di liquidazione controllata da sovraindebitamento, il soggetto sovraindebitato può beneficiare, ricorrendone le condizioni, dell’esdebitazione ex artt. dal 278 al 281 (CCII), ossia all’esdebitazione di diritto prevista dall’art. 282 CCII.
13) Composizione negoziata della crisi
Strumento trattato negli artt. dal 12 al 25 quinquies CCII e dall’art. 25 octies all’art. 25 undecies CCII. 
Novità dapprima introdotta nel 2021 da D.L. n. 118/2021, conv. in L. n. 147/2021, che ha anticipato l’entrata in vigore di alcuni istituti disciplinati nel Codice della crisi. Trattasi di procedura non trattata dalla LF né dalla normativa fiscale vigente. 
Come già segnalato, in tale contesto, rileva l’art. 25 bis CCII che richiama espressamente gli artt. 88, comma 4 ter e 101, comma 5 TUIR oltre prevedere riduzioni o moratoria per sanzioni e interessi. 
14) Liquidazione coatta amministrativa 
E’ strumento disciplinato negli artt. dal 293 al 316 del CCII. 
La procedura è analogamente prevista sia dalla L. fall. che dalla normativa fiscale vigente. 
                                                                                              ***
Come si è visto elencando le procedure (o strumenti) di gestione della crisi d’impresa e dell’insolvenza numerosi sono i problemi che dal punto di vista fiscale il debitore dovrà affrontare posto che molti nuovi strumenti o procedure previsti dal CCII non sono trattati dall’attuale normativa tributaria e che altri assumono diversa evidenza lessicale. 
Nei capitoli a seguire si proverà a fornire indicazioni operative in ordine alle diverse implicazioni fiscali precisando che lo studio si focalizzerà, come osservato, su analisi ai fini delle imposte dirette (Ires/ Irap) e dell’Iva.
3.1 . Liquidazione giudiziale (già Fallimento) di cui al Titolo V CCII
Con la locuzione “liquidazione giudiziale” il nuovo testo del Codice ricalca la procedura di fallimento del R.D. n. 267/1942 provvedendo al Titolo V a definirne puntuale disciplina. 
La diversa denominazione, nel caso specifico, non dovrebbe creare particolari problemi interpretativi considerato trattarsi di procedura che sia nella forma che nella sostanza non si differenzia dal “Fallimento”.
La norma del testo unico delle imposte sul reddito (TUIR) che principalmente riguarda la procedura in esame è l’art. 183 nel quale il legislatore tributario disciplina: 
- al primo comma il trattamento del reddito generatosi nel periodo compreso tra l’inizio dell’esercizio e la dichiarazione di fallimento (ora liquidazione giudiziale), al quale applicare le ordinarie regole sulla tassazione del reddito d’impresa, come emergente da una dichiarazione presentata dal curatore sulla base di uno specifico bilancio redatto da quest’ultimo entro l’ultimo giorno del nono mese successivo a quello della nomina (art. 5, comma 4, D.P.R. n. 322/98); 
- al secondo comma il trattamento del reddito generatosi nel periodo compreso tra l’inizio e la chiusura del procedimento concorsuale[3], risultante da apposita dichiarazione dei redditi predisposta e presentata dal curatore – entro l’ultimo giorno del nono mese successivo a quello della chiusura della procedura – e determinato dalla differenza tra il residuo attivo a fine procedura e il patrimonio netto dell’impresa all’inizio del procedimento concorsuale a valori fiscalmente riconosciuti. In tale maxi periodo fallimentare la determinazione del reddito (perdita) d’impresa è svincolata dal principio di derivazione fiscale delle risultanze civilistiche poiché connessa ad un criterio squisitamente patrimoniale derivante, come detto, dalla differenza tra le due seguenti componenti: 
·residuo attivo” al termine della procedura (ossia l’insieme degli elementi attivi – denaro, crediti, beni etc – residuati nel patrimonio dell’impresa fallita dopo la soddisfazione di tutti i creditori partecipanti al concorso, il compenso del curatore e le spese di procedura);
·patrimonio netto dell’impresa o della società all’inizio del procedimento, determinato in base ai valori fiscalmente riconosciuti” ossia la differenza tra attività e passività come risultante dal bilancio d’esercizio ad inizio procedura redatto dal curatore fallimentare ai sensi del primo comma dell’art. 183 tuir, su rappresentato, dove le poste devono essere valutate a valori fiscalmente rilevanti. 
Approfondimenti di interesse sulla tematica si rinvengono in specifica circolare dell’amministrazione finanziaria (Circ. n. 26/E del 22/03/2002) avente ad oggetto l’applicazione della normativa tributaria relativa alle procedure concorsuali disciplinate dal Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267.
Sul tema giova anche richiamare una recente ordinanza della Suprema Corte (n. 5623 del 02 marzo 2021) dove gli ermellini, pur in assenza di una esplicita norma, hanno ritenuto che il curatore sia obbligato a presentare anche la dichiarazione per il periodo antecedente il fallimento, inteso come periodo anteriore a quello di dichiarazione di fallimento. Ciò, secondo quanto argomentato dalla Suprema Corte, in virtù delle previsioni dell’art. 1 del D.P.R. n. 600/1973 a mente del quale il dovere di presentazione della dichiarazione dei redditi risulta in capo alla generalità dei soggetti passivi, e quindi nel caso di fallimento, al curatore, subentrato, con la nomina, nel “governo della persona giuridica”. 
L’ordinanza si pone, ai fini delle imposte dirette, come assoluta novità e in contrasto con dottrina e giurisprudenza che sino ad oggi si sono pronunciate. Sul tema si segnala, di diverso avviso la Cassazione n. 1549/2011[4] che richiamando la sentenza n. 299/2005 precisa che “spetta al fallito presentare la dichiarazione dei redditi per i periodi di imposta anteriori al fallimento, mentre il curatore deve presentare quelle successive alla dichiarazione di fallimento, comprese quelle relative al periodo di imposta compreso tra l’inizio del periodo di imposta e la dichiarazione di fallimento”. La citata ordinanza del marzo 2021 si discosta da un principio consolidato creando sul tema non pochi problemi in capo ai curatori.
In ambito imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) il cui presupposto impositivo, si ricorda, ai sensi dell’art. 3, comma 1 D.Lgs. n. 446/1997 è “l’esercizio abituale di un’attività diretta allo scambio di beni o di servizi”, il curatore, dovrà provvedere, nei medesimi termini di cui alla dichiarazione dell’art. 183, comma 1 TUIR, alla presentazione di specifica dichiarazione per il periodo intercorrente tra l’apertura dell’esercizio e la sentenza dichiarativa di fallimento per consentire l’emersione di eventuale materia imponibile generatasi in tale frazione di periodo per la citata imposta. 
Nel corso della procedura invece, così come nel maxi periodo fallimentare, non si determina materia imponibile ai fini irap, salvo l’ipotesi di esercizio provvisorio ex art. 104 L. fall., nel qual caso, sulla base degli artt. 5 D.P.R. n. 322/98 e 19, comma, 6 D.Lgs. n. 446/97, il curatore dovrà presentare, in pendenza della procedura, le dichiarazioni annuali successive a quella iniziale nei termini di legge ossia, allo stato, entro il 30 novembre dell’anno successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta. 
Sempre in ambito imposte dirette appare necessario un richiamo anche all’art. 101, comma 5 TUIR teso a disciplinare il trattamento delle perdite registrate dai soggetti che vantano crediti nei confronti di debitori assoggettati a detta procedura. In tale contesto l’articolo menzionato prevede espressamente che tali perdite siano deducibili “… se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali ...”. La stessa amministrazione finanziaria, nel richiamo del passaggio normativo, precisa come in presenza di tali procedure operi un automatismo di deducibilità che prescinde da ogni ulteriore verifica della definitività degli elementi certi e precisi invece richiesti in tutti gli altri casi (Agenzia Entrate circ. n. 26/E del 01 agosto 2013). 
Per quanto testualmente previsto dall’art. 101, comma 5 TUIR “… il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento …”; per effetto del co. 5-bis del medesimo articolo “la deduzione della perdita su crediti è ammessa … nel periodo di imputazione in bilancio, anche quando detta imputazione avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui … il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale, sempreché l’imputazione non avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione del credito dal bilancio”.[5]
3.2 . Concordato nella Liquidazione giudiziale (già Concordato fallimentare) di cui al Capo VII CCII
Anche per la procedura in esame la diversa terminologia rispetto al R.D. n. 267/1942 L. fall. non si ritiene possa creare ambiguità in materia fiscale trattandosi di strumento che si pone esattamente in linea con il “concordato fallimentare”. 
La procedura di concordato fallimentare disciplinata negli articoli dal 124 al 141 del R.D. n. 267/1942 (che si rammenta essere causa di chiusura della procedura di fallimento), così come la procedura del “Concordato nella liquidazione giudiziale” di cui al capo VII del Titolo V CCII, non sono oggetto di specifica considerazione nel TUIR, non presentando peculiari elementi atti ad incidere sulla determinazione del reddito imponibile dell’impresa fallita/in liquidazione giudiziale, se si eccettua il richiamo alle previsioni dell’art. 88, comma 4 ter TUIR a mente del quale “Non si considerano, altresì, sopravvenienze attive le riduzioni dei debiti dell’impresa in sede di concordato fallimentare … (omissis) …” .
Peraltro, l’ambito applicativo di tale norma nel contesto del concordato nella liquidazione giudiziale (così come nel concordato fallimentare) pare di difficile individuazione posto che tutti gli aspetti reddituali che interessano l’eventuale materia imponibile generatasi nella procedura di liquidazione giudiziale vengono assorbiti dalla dichiarazione ex art. 183, comma 2 TUIR. Con la locuzione “riduzione dei debiti” (ex art. 88 di cui sopra) si intende infatti il bonus da concordato ossia la differenza tra l’entità dei debiti del debitore e quanto proposto in sede di concordato; e con l’omologazione della proposta di concordato nella liquidazione giudiziale approvata dei creditori si chiude la procedura, cristallizzandosi di fatto la soddisfazione dei creditori nella misura indicata nella proposta di concordato medesima (che si rammenta prevede una percentuale di pagamento in favore del ceto chirografario ed eventualmente un pagamento ridotto anche per il ceto privilegiato). 
Per meglio chiarire la portata normativa dell’art. 88, comma 4 ter L. fall. nella disciplina del concordato è utile ripercorrere le differenti modulazioni che possono interessare la proposta concordataria: 
- Concordato nella liquidazione giudiziale con intervento di un assuntore: in questa fattispecie tutto l’attivo della procedura è ceduto ad un assuntore che ne provvede alla liquidazione o gestione. In tale contesto nessun attivo può quindi residuare in capo alla società in liquidazione giudiziale, così come nessun risultato positivo può essere ricondotto alla connessa gestione (Cass. n. 15568/2000). In senso conforme una specifica risoluzione dell’amministrazione finanziaria (Ris. Agenzia Entrate n. 118 del 28.05.2007) chiarisce che il valore fiscale delle attività cedute all’assuntore coincide con il valore fiscale delle passività da quest’ultimo accollatesi, essendo di fatto rappresentative del corrispettivo versato a fronte delle attività acquisite.
- Concordato nella liquidazione giudiziale con cessione dei beni ai creditori: ad analoga conclusione si perviene nel caso di specie ove, come espressamente previsto dall’art. 124 L. fall. (art. 240 del CCII), l’attivo della procedura viene messo a disposizione dei creditori affinché questi trovino, sullo stesso, soddisfazione. Anche in questo caso, non può esservi alcun residuo attivo in capo al debitore così come nemmeno alla procedura in esame.
- Concordato nella liquidazione giudiziale con terzo fideiussore-garante delle obbligazioni del fallito: in questa ipotesi il debitore soddisfa i creditori nella misura validata dall’omologazione della proposta di concordato, garantito tuttavia da un soggetto terzo. Con il passaggio in giudicato del decreto di omologazione ritornano nella sfera patrimoniale del soggetto in liquidazione giudiziale tanto l’attivo, quanto il passivo che dovrà trovare soddisfazione nella misura stabilità dal concordato. L’eventuale residuo attivo che interesserà la dichiarazione del curatore (ex art. 183, comma 2 TUIR) sarà dato dalla differenza tra attivo a valori fiscalmente riconosciuti ed il passivo della procedura (comprendente anche la quota di bonus concordatario frutto degli accordi intercorsi). Tale residuo sarà poi confrontato con il patrimonio netto dell’impresa all’inizio del procedimento concorsuale a valori fiscalmente rilevanti. Rileverà materia imponibile qualora da tale differenza dovesse risultare un avanzo.
3.3 . Concordato Preventivo di cui al Capo III, Titolo IV CCII
La procedura di concordato preventivo è trattata nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (CCII) negli articoli dal 84 al 120 quinquies. Nella procedura di concordato preventivo (sia esso liquidatorio o in continuità), a norma dell’art. 167 L. fall., e come confermato nell’art. 94 del CCII, l’amministrazione dei beni e l’esercizio di impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale, permane in capo al debitore il quale, conservando anche la legale rappresentanza dell’impresa, deve curare il corretto adempimento di tutti gli adempimenti fiscali e tributari che proseguono secondo le regole ordinarie e senza deroghe. 
Le implicazioni fiscali, in ambito imposte dirette, che interessano la procedura in esame risultano in particolare: i) dall’art. 86, comma 5 TUIR; ii) dall’art. 88, comma 3 bis TUIR; iii) dall’art. 88, comma ter TUIR e iv) dall’art. 101, comma 5 TUIR che regolano rispettivamente: 
i) il trattamento impositivo delle minusvalenze e plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni nel concordato preventivo; 
ii) il trattamento dei contributi percepiti dall’impresa a titolo di liberalità dai soggetti sottoposti alle procedure concorsuali; 
iii) il trattamento delle sopravvenienze attive (cd. bonus da concordato) derivanti dalla riduzione dei debiti dell’impresa per effetto della procedura; 
iv) il conseguente trattamento fiscale, in capo al creditore, della perdita su crediti rispetto a debitori assoggettati a procedure concorsuali.
Richiamandone analiticamente la disciplina: 
- l’art. 86, comma 5 TUIR recita: “La cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento”. Seppur talvolta dibattuto se la previsione rilevasse esclusivamente per il concordato con cessione dei beni, o anche per forme diverse di concordato, ad avviso di chi scrive, è agevole ritenere che la normativa si riferisca non già alla forma del concordato in quanto caratterizzata dalla cessione dei beni, quanto piuttosto all’istituto della cessione dei beni nel concordato preventivo e quindi valevole per tutti quei beni per i quali la proposta di concordato preveda la cessione a prescindere dalla forma. Conseguentemente il precetto si ritiene applicabile a tutte le forme di concordato preventivo siano esse di liquidazione, di continuità ovvero miste[6].
Rispetto poi alle plusvalenze/minusvalenze – dopo una prima interpretazione secondo cui le stesse dovessero essere solo quelle relative alla cd. cessio bonorum – tale orientamento è stato superato confermando l’irrilevanza fiscale per tutte le plusvalenze/minusvalenze derivanti dalla cessione dei beni nel concordato preventivo. In senso conforme la stessa amministrazione finanziaria con la risoluzione n. 29 del 01 marzo 2004 dove si conferma, richiamando la Sent. 04 giugno 1996, n. 5112, della Suprema Corte, che la ratio della norma è quella di “ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione giudiziale”.
-  l’art. 88, comma 3 bis TUIR, introdotto dall’art. 14 del D.L. n. 18/2016 (cd. Riforma delle banche) prevede testualmente che: “Non costituiscono sopravvenienze attive, in quanto esclusi, i contributi percepiti a titolo di liberalità dai soggetti sottoposti alle procedure concorsuali …(omissis) … ad esclusione di quelli provenienti da società controllate dell’impresa o controllate dalla stessa società che controlla l’impresa”; in particolare l’articolo prevede l’esclusione da tassazione quali sopravvenienze attive per i contributi percepiti a titolo di liberalità dalle società in procedura concorsuale, anche nei 24 mesi successivi alla chiusura della procedura, con esclusione di quelli derivanti nell’ambito dei rapporti infragruppo.
- l’art. 88, comma 4 ter, TUIR dispone che “non si considerano … sopravvenienze attive le riduzioni dei debiti dell’impresa in sede di concordato … preventivo liquidatorio”. E’ quindi prevista nell’ambito del concordato preventivo liquidatorio una detassazione piena per il cd. “bonus da concordato” ossia per la differenza tra il debito iscritto in bilancio e la percentuale offerta ai creditori; il momento in cui fiscalmente emerge il beneficio è da individuarsi con il giudizio di omologa ovvero con la chiusura della procedura.
Mentre per il concordato preventivo liquidatorio, come detto, l’articolo in commento prevede una detassazione piena per le sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione dei debiti, nell’ambito del concordato preventivo di “risanamento”, l’articolo come modificato dal D. Lgs. n. 147/2015 (cd. decreto Internazionalizzazione) e da successivi interventi ne introduce un regime di detassazione parziale. E’ previsto che la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisca sopravvenienza attiva per la sola parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all’articolo 84, senza considerare il limite dell’ottanta per cento, la deduzione di periodo e l’eccedenza relativa all’aiuto alla crescita economica di cui all’articolo 1, comma 4, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati di cui al comma 4 dell’articolo 96 del presente testo unico.
Come evidenziato in circolare Assonime n. 17 del 14 giugno 2016 la ratio dell’intervento normativo che ha introdotto una detassazione parziale per i concordati di risanamento è da individuare nella “volontà del legislatore di voler far scattare la detassazione in parola solo dopo aver consumato le poste che potrebbero dar luogo ad una riduzione degli imponibili dei successivi periodi di imposta”. L’applicazione della norma pone sicuri interrogativi, facendo peraltro riferimento alla nozione di “concordato di risanamento” rispetto alla diversa locuzione di “concordato con continuità aziendale” dell’art. 186 bis L. fall. (locuzione anche ripresa nel testo del nuovo CCII), risultando forse, per chi scrive, poco coerente con le finalità normative e della procedura.
Sul tema in esame di interesse è una presa di posizione dell’Agenzia delle entrate che desta perplessità.
Con una risposta ad interpello, la numero 201/2022, l’Agenzia delle Entrate torna sul tema del trattamento fiscale delle sopravvenienze attive che, per effetto dello stralcio dei debiti di cui alla proposta concordataria, si manifestano all’omologazione del concordato stesso.
Le analisi dell’Agenzia muovono da un’ipotesi particolare, che riporta altresì alla tematica della decorrenza dei termini di prescrizione delle spettanze dei creditori in sede di concordato. Nell’ambito di un concordato preventivo di natura liquidatoria la cui esecuzione è durata più di dieci anni, e per il quale la proposta omologata prevedeva il pagamento dei creditori chirografari al 40% tramite la liquidazione di tutti gli attivi, un socio della società debitrice ha eccepito la prescrizione di parte delle spettanze dei creditori, per intervenuta decorrenza del termine decennale di cui all’articolo 2496 del c.c. sostenendo che nel corso della procedura concordataria il decorso del termine di prescrizione non sia sospeso, come invece è previsto apertis verbis nel fallimento.
Ne sono scaturite in particolare procedure di mediazione assistita con singoli creditori, ovvero giudizi ordinari.
All’esito degli stessi, una serie di posizioni di debito è stata definita con una ulteriore riduzione delle spettanze dei creditori, rispetto alla percentuale del 40% prevista dalla proposta, ovvero con l’integrale annullamento per intervenuta prescrizione.
L’aspetto dell’interpello su cui ci si vuole focalizzare è quello della applicabilità o meno delle prescrizioni dell’art. 88 Tuir a questo ulteriore stralcio.
A giudizio dell’istante, l’effetto esdebitatorio si determina alla fine del periodo concorsuale assorbendo tutta l’operatività sviluppata nel corso della procedura e l’intero risultato rientra nelle ipotesi agevolative di cui all’art. 88 comma 4 ter TUIR, sottolineandosi che tal prescrizione normativa “non subordina in alcun modo la detassazione delle sopravvenienze di cui trattasi alla causa sottostante, ovvero ad una particolare causa”. 
Replica diversamente l’Agenzia delle Entrate, secondo cui “in relazione alla riduzione dei debiti derivanti dalle procedure poste in essere dal socio della società, le relative sopravvenienze concorrono interamente alla formazione della base imponibile ires ai sensi dell’art. 88 Tuir”. 
L’Agenzia poggia la propria affermazione sulla circostanza per cui “si tratta di componenti di reddito che, sebbene conseguiti in fase di esecuzione di concordato, esulano dall’originario concordato omologato”. 
L’interpretazione è particolarmente restrittiva, e si presta ad una serie di considerazioni in direzione contraria. 
Innanzitutto, il dato letterale della norma non è tale da consentire una distinzione tra la fase di formazione della proposta concordataria (fino all’omologazione) e la fase esecutiva del concordato omologato. La norma, opportunamente, richiama “le riduzioni di debiti in sede di concordato”. E la “sede” del concordato è certamente anche quella della fase esecutiva, alla quale oltretutto sono connaturate evoluzioni e modifiche degli originari termini del piano concordatario, pur nella direzione della sua tenuta ed esecuzione. 
D’altro canto, giova risalire ai principi ispiratori della norma. Come ricorda la relazione accompagnatoria all’articolo 55 del D.P.R. N. 917/86 (confluito poi nell’articolo 88 in commento) “si è ritenuto di escludere la tassabilità inserendo una norma espressa, allo scopo di non rendere più difficoltoso il concordato stesso”. Le finalità normative sono state riprese e cristallizzate dalla Corte di Cassazione con la sentenza 5112 del 3 aprile 1996 che, pur in tema di articolo 86 Tuir, aveva chiaramente enunciato l’obiettivo “di ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concordataria”. 
Recente dottrina[7] ha rimarcato la circostanza per cui “il soddisfacimento dell’obbligazione tributaria in relazione all’ammontare delle sopravvenienze attive originate dalla riduzione dei crediti chirografari avrebbe comportato l’impossibilità di dare attuazione al concordato preventivo e conseguentemente avrebbe provocato la sentenza dichiarativa di fallimento, rendendo quindi del tutto inapplicabile la normativa civilistica del concordato stesso”. 
In definitiva, l’arrocco dell’Agenzia sullo schema del piano omologato non pare in linea:
· con l’iter complessivo della procedura, che evolve in una fase esecutiva necessariamente interessata da variazioni applicative del piano, ai fini di una sua esecuzione;
· con la conseguente possibilità che in tale fase esecutiva le posizioni passive possano conoscere variazioni qualitative e quantitative rispetto al piano come portato alla votazione dei creditori;
· con il concetto stesso di piano, che comporta una fase esecutiva con le relative differenti declinazioni; 
con le chiare finalità della norma di neutralizzare dal punto di vista fiscale le “riduzioni dei debiti” legate al piano concordatario. In senso conforme i primi commenti all’interpello, secondo cui “la limitazione individuata dalle Entrate non appare conforme alla ratio della norma … che è quella di non gravare di oneri fiscali un’impresa già soggetta a procedure come concordato liquidatorio o fallimento in considerazione della sua effettiva capacità contributiva”.[8] 
Non si ravvisa un mutamento di visuale tra concordato liquidatorio e concordato in continuità. Anche in ipotesi di continuità, infatti, le diminuzioni della passività concordatarie, ancorché successive alla omologa del concordato, possono rientrare a pieno titolo tra le variazioni di passivo neutrali dal punto di vista fiscale, in quanto finalizzate alla tenuta della proposta e comunque correlate al suo adempimento (sotto la vigilanza, si rammenta, del commissario giudiziale). 
Un ulteriore aspetto merita un riordino sistematico e terminologico. 
Tanto l’istanza di interpello, quanto la risposta dell’Agenzia delle Entrate, che riguardano un concordato liquidatorio, richiamano il concetto possibile di “residuo attivo” alla chiusura della procedura, asserendo come lo stesso “deve essere assoggettato ad imposizione” (così l’istanza) e “assume rilevanza ai fini fiscali” (così il parere dell’Agenzia). 
La rappresentazione non convince. 
Si ricorda che nel concordato preventivo la gestione rimane all’imprenditore e fiscalmente l’impresa in procedura è soggetta alle ordinarie disposizioni in tema di reddito di impresa, eccezion fatta per quelle che in modo specifico trattano del concordato preventivo (in particolare artt. 86 e 88 TUIR). 
Il risultato reddituale viene determinato al termine di ogni esercizio, e l’eventuale utile netto potrà essere accantonato a riserva. Ove al termine di un concordato liquidatorio residuasse della finanza, questa potrà eventualmente essere distribuita ai soci, in primis quale rimborso di capitale e, se del caso, come distribuzione di riserve. 
In altri termini, non si determina come nel fallimento un “residuo attivo” da assoggettare ad imposta autonomamente, come invece previsto per la procedura fallimentare dell’articolo 183 TUIR. 
- quanto all’art. 101, comma 5 TUIR si rammenta come regoli invece il trattamento degli effetti sui creditori del debitore nell’operazione di risanamento che per effetto della procedura di concordato preventivo possono trovarsi a rilevare una perdita su crediti. L’articolo recita: “Le perdite di beni … e le perdite su crediti … sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali …”. La disposizione tutela l’evidente interesse del creditore di svalutare con riconoscimento fiscale il proprio credito in ragione della inferiore misura di soddisfazione oggetto della proposta concordataria e quindi avuto riguardo alla parte non soddisfatta. Secondo quanto previsto dall’articolo, il momento in cui può essere rilevato l’evento è quello del decreto di ammissione del debitore alla procedura di concordato preventivo. Sul punto la Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate della Lombardia ha tuttavia precisato che il riferimento è al decreto definitivo di ammissione alla procedura di concordato preventivo e non già il decreto di ammissione alla procedura ai sensi dell’art. 161, comma 6 L. fall. (concordato preventivo cd. “in bianco”).
In ogni caso, per quanto espresso nel comma 5 bis dell’art. 101 la deduzione della perdita su crediti è ammessa nel periodo di imputazione in bilancio, ovvero anche in un periodo di imposta successivo a quello in cui il debitore, secondo quanto precede, si considera assoggettato a procedura concorsuale, purché tale imputazione non avvenga in un periodo di imposta “successivo a quello in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione del credito di bilancio”. Il richiamo sul tema è al principio contabile OIC 15 che provvede ad individuare ai paragrafi 71-77 i corretti principi contabili per la cancellazione del credito dal bilancio per cui, in attuazione del principio di derivazione rafforzata ex art. 83 TUIR, si determina l’estinzione con valenza anche fiscale. 
In ambito imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) non rilevano particolarità ai sensi della L. n. 244/2007, dovendosi applicare, come per l’imposta sul reddito, le regole ordinarie. Come noto la base imponibile dell’imposta regionale è determinata dalla differenza tra il valore della produzione (A) e dei costi della produzione di cui alla lettera (B) del conto economico ex art. 2425 c.c. con esclusione, dai costi, delle seguenti voci: 
B9) – Costi del personale 
B10), lettera c) – altre svalutazioni delle immobilizzazioni 
B10), lettera d) – svalutazione dei crediti dell’attivo circolante e delle disponibilità liquide 
B12) – accantonamenti per rischi 
B13) – altri accantonamenti. 
Ritiene chi scrive che, pur in assenza di uno specifico richiamo normativo nella L. n. 244/2017, le plusvalenze ex art. 86, comma 5 così come le sopravvenienze attive ex art. 88, comma 4 ter TUIR – trattandosi di componenti straordinarie[9] (connesse alla falcidia concordataria) – non siano soggette ad IRAP. 
In favore di tale interpretazione (con riferimento ai bilanci relativi agli esercizi finanziari a tutto il 31/12/2015) risulta utile il richiamo al provvedimento dell’Agenzia delle entrate n. 5378 del 15 gennaio 2014 e, per quanto attiene l’art. 88 TUIR, la risposta n. 904-211/2016 dell’amministrazione finanziaria che sostiene che “per quanto esposto, questa direzione condivide la soluzione prospettata dalla società istante relativamente alla non tassabilità, ai fini irap, delle sopravvenienze attive derivanti dalla falcidia concordataria”. 
Il D.Lgs. n. 139/2015 con riferimento ai bilanci relativi agli esercizi finanziari con inizio a partire dal 1 gennaio 2016, ha soppresso l’area straordinaria del conto economico di cui all’art. 2425 c.c. ex voce E), determinando conseguenze sulla determinazione della base imponibile IRAP. 
Il D.L. n. 244/2016 convertito nella L. n. 19/2017 è intervenuto sull’art. 5, comma 1 del D.Lgs. n. 446/1997 con modifiche tese a coordinare la nuova disciplina di bilancio prevista dal D.Lgs. n. 139/2015 con la disciplina tributaria, introducendo il cd. principio di derivazione rafforzata (art. 83 TUIR) sulla base del quale i componenti positivi e negativi sono imputati secondo corretta qualificazione, imputazione temporale e classificazione così come previsto dai principi contabili (OIC 12 e 19). 
Con riferimento a quanto precede, come verrà meglio analizzato nel capitolo “Approfondimenti ai fini Irap”, le plusvalenze ex art 86, comma 5 le sopravvenienze attive ex art. 88 commi 3 bis e 5 TUIR, non concorrono alla formazione della base imponibile Irap, venendo classificati nell’area finanziaria del conto economico voce C16 d). Il principio contabile (OIC 12 par. 92) include infatti nella voce di conto economico C16d) “Proventi diversi dai precedenti” le componenti positive di reddito derivanti da ristrutturazione del debito con la conseguenza che le stesse risultano escluse dalla base imponibile IRAP.
3.4 . Concordato preventivo con assuntore di cui al Capo III Titolo IV CCII
Particolare attenzione va prestata, secondo chi scrive, all’istituto dell’assuntore nel concordato preventivo previsto espressamente dall’art. 160, comma 1, lett. b) L. fall. ovvero dall’art. 84, comma 1 CCII, secondo cui il debitore in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che preveda: “l’attribuzione delle attività ad un assuntore…”. In tale contesto l’assuntore, acquisendo i beni e le attività dell’impresa in concordato preventivo, si fa carico degli impegni concordatari ossia di adempiere alle indicazioni contenute nella proposta. 
E’ sicuramente necessario, in tale contesto, riflettere sulle implicazioni fiscali dell’art. 86 TUIR concernente l’irrilevanza fiscale delle plus/minusvalenze derivanti dal trasferimento dei beni d’impresa all’assuntore così come le eventuali implicazioni dell’art. 88, comma 4 TUIR sulla fattispecie in esame. 
Ancorché certa dottrina (in virtù di una lettura strettamente testuale della norma) ritenga non applicabile al concordato con assuntore l’irrilevanza fiscale di cui all’art. 86 TUIR, ad avviso di chi scrive l’irrilevanza dovrebbe invece operare anche nel caso di specie posto che la specifica norma – come argomentato – non pare riferirsi alla forma di concordato quanto piuttosto alla cessione dei beni nella siffatta procedura e quindi correlata ai beni per i quali nel piano è prevista la cessione. Sul punto giova richiamare l’indicazione della Suprema Corte n. 22168 del 16 ottobre 2006 secondo cui “l’articolo 54, co. 6 Dpr 917/86 (ora art. 86, co. 5 Tuir) il quale dispone che la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze, deve essere inteso nel senso che il trasferimento a terzi dei beni ceduti, effettuato in esecuzione del concordato, non comporta la realizzazione di plusvalenze tassabili”; peraltro la precedente sentenza n. 790 del 21 gennaio 1993 della Cassazione precisava come “l’obiettivo che si intendeva raggiungere con la disposizione in esame [art. 54, comma 6, ora art. 86, comma 5 TUIR] era proprio quello di ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concordataria”. Sul punto sovviene anche l’amministrazione finanziaria, che con la risoluzione n. 29 del 01 marzo 2004, richiamando la sentenza della Suprema Corte n. 5112 del 04 giugno 1996, riconosceva la ratio normativa in quella di “ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concordataria”. 
Per quanto attiene all’art. 88, comma 4 TUIR non pare che la modulazione del concordato preventivo con assuntore abbia ricadute – o determini specificità - sull’operatività di tale previsione normativa, che perpetuerà i propri effetti come già argomentato, sulla base del piano proposto, per quanto attiene alle sopravvenienze attive da bonus da esdebitazione.
3.5 . Concordato minore di cui al Titolo IV Sezione III CCII
Trattasi di nuova procedura concorsuale prevista per il soggetto non “fallibile” (ossia non assoggettabile alla liquidazione giudiziale), ad eccezione del consumatore, e disciplinata negli articoli dal 74 a 83 del CCII. Quanto al presupposto soggettivo, dalla lettura combinata dell’art. 74 CCII, con l’art. 2, comma 1, lett. c) CCII si desume che la stessa possa interessare:
- il professionista;
- l’imprenditore minore;
- l’imprenditore agricolo;
- le start-up innovative ex D.L. n. 179/2012 conv. nella L. n. 221/2012;
- ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o di insolvenza. 
In particolare trattasi:
- dell’imprenditore commerciale soggetto a liquidazione giudiziale cancellato dal Registro delle Imprese da oltre un anno;
- dell’artigiano;
- dei soci illimitatamente responsabili di società personali;
- dei fideiussori;
- di società tra professionisti;
- di associazioni, enti no profit e fondazioni;
- dell’erede dell’imprenditore defunto che abbia accettato l’eredità con beneficio di inventario decorso un anno dal decesso.
Sul tema sono necessarie alcune precisazioni: 
- in primis con riferimento al concetto di impresa minore o sottosoglia: ciò al fine di verificare se tra tali soggetti, oltre all’imprenditore individuale e alle società personali rientrino le persone giuridiche ed in particolare le S.r.l. con i requisiti dimensionali di cui all’art. 2435 ter c.c. (micro-imprese)[10]. L’art. 2, al primo comma, lettera d) definisce l’ “impresa minore” quella che presenta congiuntamente i seguenti requisiti:
1. un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 
2. ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 
3. un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
I predetti valori possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministero della Giustizia adottato a norma dell’art. 348 CCII. 
- in secundis con riferimento alla necessità dell’iscrizione nel Registro delle Imprese per gli imprenditori che intendessero aderire alla composizione negoziata cd. “minore” ai sensi dell’art. 25 quater CCII (requisito previsto indirettamente facendo riferimento all’art. 13 co. 1 CCII) accedendo quindi al concordato minore dell’art. 74 e ss. CCII solo qualora non fosse possibile raggiungere un accordo con i creditori. 
Nella qualificazione delle cd. imprese minori soccorre l’art. 25 quater CCII che, nell’ambito della composizione negoziata della crisi, così definisce al primo comma le imprese sottosoglia:
L’imprenditore commerciale e agricolo che presenta congiuntamente i requisiti di cui all’art. 2 co. 1 lett. d) CCII e che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale ed economico che rendono probabile la crisi o l’insolvenza …” 
La chiara indicazione contenuta nella norma surichiamata ci porta a ricomprendere nella categoria di “imprese minori” anche le società di capitali che presentino i requisiti dell’art. 2, comma 1, lett. d) summenzionati ed in particolare le società a responsabilità limitata ex art. 2435 ter c.c. alla condizione, si ripete, che oltre a rispettare i citati limiti dimensionali si trovino anche in situazione di sovraindebitamento (ossia in stato di crisi o di insolvenza).
Il concordato minore è utilizzabile da tutti i soggetti sopra indicati, come detto, con esclusione del consumatore; si tratta quindi di soggetti che, fatta eccezione per il professionista, svolgono attività imprenditoriale. Quanto alla natura (finalità) della procedura, pur rilevando una chiara “prevalenza” per la continuità a parere di chi scrive, potrà anche rilevare la finalità liquidatoria, purché, nelle parole del secondo comma dell’art. 74 sia “previsto l’apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori”.
Il riferimento terminologico al “concordato”, così come il suo inquadramento sistematico e la natura concorsuale della procedura, confermano secondo chi scrive un’assimilazione legislativa di tale procedura alla procedura “maggiore” di concordato preventivo trattandosi nel caso in esame di procedura concorsuale che, come quest’ultima, prevede analogo sviluppo: domanda con piano, votazione dei creditori ed omologa da parte del Tribunale.
Per quanto attiene ai temi di carattere fiscale, in considerazione della suindicata assimilazione alla procedura di concordato preventivo, anche confermata da autorevole dottrina alla quale si rinvia[11], si ritengono applicabili alla procedura in esame le già descritte normative di carattere fiscale previste per la procedura di concordato preventivo.
3.6 . Concordato semplificato per la Liquidazione del patrimonio all’esito della Composizione negoziata di cui al Titolo II Capo II CCII
L’art. 25 sexies del CCII introduce la procedura del concordato semplificato prevista dall’abrogato art. 18 D.L. n. 118/2021. 
La struttura di tale istituto può, in sintesi, come di seguito riassumersi: 
- si tratta di una forma di concordato preventivo con cessione dei beni utilizzabile in caso di insuccesso della composizione negoziata (ex artt. 12 e seguenti CCII) quando le trattative non abbiano portato ad altre soluzioni ed alla condizione che l’esperto, nella relazione finale, dichiari che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede. 
Tale nuovo istituto, secondo chi scrive, è assimilabile al concordato preventivo con cessione dei beni; ciò, oltre che dalla locuzione “concordato” è desumibile dai continui richiami che la norma in esame, al comma 2 ed al comma 8, fa rispettivamente agli articoli 46, 94 e 96 nonché agli articoli 106, 117, 118, 119, 324 e 341; tutte norme riferite al concordato preventivo. 
Anche la dottrina che sul tema si è interessata ha attribuito allo strumento tale natura confermandone l’assimilazione alla procedura concordataria maggiore.[12] 
Per quanto interessa l’analisi degli aspetti di carattere fiscale, è opportuno inquadrarne le implicazioni nell’ambito della specifica natura liquidatoria. Il concordato semplificato può difatti assumere esclusivamente la forma di concordato liquidatorio come previsto dal comma 1 dell’art. 25 sexies CCII. 
Trattasi a tutti gli effetti di procedura concorsuale in cui il Tribunale, valutata la ritualità della proposta, acquisita la relazione finale dell’esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e delle garanzie offerte, nomina un ausiliario il cui parere, unitamente alla relazione finale dell’esperto, verranno inviati a cura del debitore ai creditori. 
Il Tribunale viste le citate relazioni, e considerate le indicazioni di cui al comma 5 dell’articolo in commento procederà all’omologa se la domanda del debitore non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale e comunque assicura un’utilità a ciascun creditore.
In conseguenza di quanto precede si è propensi a ritenere che dal punto di vista fiscale, possano ritenersi applicabili a questo strumento di gestione della crisi le indicazioni fornite trattando del concordato preventivo (di carattere liquidatorio).
3.7 . Accordi di ristrutturazione dei debiti di cui al Titolo IV Sezione II CCII
Con lo strumento degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis L. fall., trattato nel nuovo Codice all’art. 57, l’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza può richiedere al tribunale l’omologazione di un accordo raggiunto con i propri creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti. Il piano a supporto della ristrutturazione del debito deve essere attestato da un professionista indipendente che dovrà altresì attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, con la particolare idoneità di questo a garantire il pagamento integrale dei creditori non aderenti all’accordo negli specifici termini previsti dalla norma. 
Per i più[13] l’istituto non era da annoverarsi tra le procedure concorsuali pur essendo collocato nella legge fallimentare, sebbene la giurisprudenza ne avesse talvolta riconosciuto la natura concorsuale (Cass. n. 9087/2018); e ciò convince di più alla luce delle modificazioni apportate allo strumento da parte del nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. Ed infatti, elementi quali l’introduzione di un procedimento unitario per l’ingresso nei vari istituti di regolazione della crisi, la possibile nomina di un commissario giudiziale nella procedura degli accordi, la necessità che le misure protettive, ove richieste, vengano concesse dal giudice, ne hanno di fatto confermato la concorsualità. 
In linea con la previsione della legge fallimentare (art. 160, comma 3 L. fall.) per cui per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza, il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza prevede espressamente all’art. 57 che gli accordi di ristrutturazione dei debiti possono essere conclusi dall’imprenditore sia in stato di crisi che in insolvenza. Di conseguenza la procedura in esame si ritiene possa essere: 
- di natura liquidatoria o mista; 
- di continuità o di recupero dell’impresa. 
In ambito tributario, per quanto attiene alle imposte dirette, come per il concordato preventivo, non vi sono specificità operative, trovando applicazione le ordinarie disposizioni del testo unico. Anche nella procedura degli accordi assumono tuttavia valenza gli artt. 88, comma 4 ter TUIR e 101, comma 5 TUIR già analizzati per il concordato preventivo, con la peculiarità che, negli accordi, la detassazione prevista per le sopravvenienze attive è solo parziale posto che è riconosciuta, alla stregua del concordato di risanamento, solo “per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all’articolo 84, senza considerare il limite dell’ottanta per cento, la deduzione di periodo e l’eccedenza relativa all’aiuto alla crescita economica di cui all’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati di cui al comma 4 dell’articolo 96 del presente testo unico.” In tal senso la chiara indicazione contenuta nell’art. 88 comma 4 ter secondo periodo del TUIR.
Per quanto riguarda l’operatività dell’art. 101, comma 5 TUIT è opportuno precisare che la deducibilità della perdita su crediti (per i creditori) è subordinata all’intervenuta omologazione ’dell’accordo ai sensi dell’art. 182 bis L. fall. (ora da intendersi, in mancanza di adattamento terminologico, dell’omologazione ai sensi dell’art. 48 CCII).
Anche l’IRAP è applicata secondo le regole ordinarie. Quanto alla sopravvenienza attiva derivante dalla decurtazione dei debiti prevista da un accordo di ristrutturazione, la stessa, come confermato dall’amministrazione finanziaria (DRE Marche 910-78/2015) non concorre alla formazione della base imponibile del tributo regionale (quanto precede con riferimento ai bilanci relativi agli esercizi finanziari chiusi a tutto il 31/12/2015). 
Per quanto attiene ai bilanci relativi agli esercizi finanziari con inizio dal 01/01/2016 si veda quanto sul tema rappresentato nel capitolo “Approfondimenti ai fini Irap”.
3.8 . Accordi di ristrutturazione agevolati di cui al Titolo IV Sezione II CCII
La norma in esame (art. 60 CCII) introduce nel sistema concorsuale tale nuovo strumento da collocarsi nell’ambito delle procedure di gestione delle crisi nei due sottotipi di accordi previsti dal Codice (accordi di ristrutturazione agevolati e accordi di ristrutturazione a efficacia estesa). 
Con il termine “agevolati” la norma mette in rilievo i benefici concessi al debitore (esenzione dall’azione revocatoria e possibilità esdebitazione) per accordi anche stipulati con creditori che rappresentano la metà della ordinaria soglia (60%) ossia pari al 30%. Secondo il dettato normativo tale agevolazione può avvenire solo a condizione che il debitore non proponga moratoria per il pagamento dei creditori estranei e non richieda (e rinunci a chiedere) norme protettive. 
Nell’ambito della specifica procedura rilevano le stesse regole fiscali/tributarie già previste per gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII.
3.9 . Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e convenzione di moratoria di cui al Titolo IV Sezione II CCII
Nel solco della normativa degli accordi di ristrutturazione del debito, dal 27 giugno 2015, sono stati introdotti all’art. 182 septies L. fall. gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e la convenzione di moratoria (riproposti con modifiche nel CCII negli artt. 61 e 62 rispettivamente sotto la rubrica “Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa” e “Convenzione di Moratoria”). 
Mentre gli accordi di ristrutturazione “con intermediari finanziari” di cui all’art. 182 septies L. fall. ovvero quelli, nel CCII, “ad efficacia estesa” rappresentano una species di accordo di ristrutturazione dei debiti, la convenzione di moratoria consiste in un accordo stipulato tra imprenditore e i suoi creditori, in particolare, per la definizione di una moratoria temporanea dei pagamenti. 
Per gli aspetti fiscali riferiti a dette procedure, per quanto attiene gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari ovvero ad efficacia estesa, si ritiene possano pedissequamente riprendersi le indicazioni già menzionate per la procedura degli accordi di ristrutturazione ex art. 57 CCII che precede. Quanto alla convenzione di moratoria, non rilevano particolarità degne di nota, dovendosi quindi applicare le regole ordinarie di carattere generale per la determinazione del reddito d’impresa senza alcuna deroga.
3.10 . Piani attestati di risanamento di cui al di cui al Titolo IV Sezione I CCII
I piani attestati di risanamento di cui all’art. 67, comma lett. d) L. fall. nel CCII sono disciplinati dall’art. 56; trattasi di procedura di stampo privatistico negoziale con la finalità di consentire al debitore (imprenditore) di conseguire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa ed assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria. Tali piani devono essere attestati da professionista indipendente con riferimento alla veridicità dei dati aziendali e alla fattibilità economica del piano. 
Il piano di risanamento ex art. 56 CCII ricalca quello di cui all’art. 67, comma 3 lett. d) L. fall.; per quanto attiene alle implicazioni fiscali in ambito imposte dirette, valgono le indicazioni già trattate per la procedura degli accordi di ristrutturazione del debito che precede posto che le specificità previste dall’art. 88, comma 4 ter TUIR e dell’art. 101, comma 5 TUIR richiamano anche la specifica procedura del piano attestato. Pur in assenza di peculiarità operative, rilevando le ordinarie disposizioni del TUIR per la determinazione del reddito fiscale, risultano quindi applicabili l’art. 88 comma 4 ter TUIR e l’art. 101, comma 5 bis TUIR, con la precisazione, quanto alla detassazione prevista per le sopravvenienze attive, che la stessa è solo parziale considerata la chiara indicazione di cui al secondo periodo del comma 4 ter dell’art. 88 ed è condizionata alla circostanza che il piano sia pubblicato nel registro delle imprese. 
Secondo le previsioni dell’art. 101, comma 5 bis TUIR la deduzione della perdita su crediti registrata dai creditori rispetto a soggetti che hanno concluso un piano attestato di risanamento, è ammessa nel periodo di imputazione in bilancio, purché non avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, secondo corretti principi contabili, si sarebbe dovuto provvedere con la cancellazione del credito dal bilancio (OIC 15 par. 71-77).
3.11 . Piano di ristrutturazione soggetto ad Omologazione di cui al di cui al Titolo IV Sezione II Capo I bis CCII
Con gli articoli 64 bis e 64 ter il CCII introduce nell’ordinamento il nuovo istituto del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO); strumento inedito che consente al debitore proponente che si trovi in condizione di crisi o di insolvenza di soddisfare i creditori sulla base di un piano contenente una proposta da rimettere alla votazione dei creditori e che deve ottenere l’omologa del tribunale. 
Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologa può essere utilizzato dall’imprenditore commerciale “che non dimostra il possesso congiunto dei requisiti di cui all’art. 2 co. 1 lett. f” (art. 64 bis, comma 1) e quindi non rientrante nella categoria dell’impresa minore. 
Pur rilevando analogie con la procedura concordataria e presentando nel testo degli articoli 64 bis e 64 ter richiami ad alcune disposizioni sul concordato preventivo (art. 64 bis con il comma 2 che richiama l’art. 46 ed il comma 7 con richiamo agli articoli 107, 108, 109 commi 2,4,6,7, 110 e 111) che potrebbero indurre a rendere ipotizzabile, ai fini fiscali, una assimilazione del nuovo istituto alla richiamata procedura, la diversa rubrica, così la diversa collocazione sistematica, non ne consente un immediato rimando. 
Per quanto tratteggiato non rilevano peculiarità tributarie in ambito imposte dirette dovendo la società attenersi alle ordinarie regole di determinazione del reddito imponibile. Permangono dubbi sulla possibile applicazione a tale procedura delle specificità tributarie previste dall’art. 86, 88 e 101 TUIR.
3.12 . Procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento
Si ricorda che le procedure che regolano la composizione negoziata della crisi da sovraindebitamento sono le seguenti: 
a) ristrutturazione dei debiti del consumatore (articoli dal 67 al 73 CCII): che sostituisce il piano del consumatore della L. n. 3/2012. Per consumatore si intende la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale sovra indebitata; 
b) concordato minore (articoli dal 74 al 83 CCII): che sostituisce l’accordo di composizione della crisi di cui agli artt. da 10 a 12 L. n. 3/2012;
c) liquidazione controllata del sovraindebitamento (articoli dal 268 al 277 CCII): che sostituisce la liquidazione dei beni di cui all’art. 14 ter e seguenti della L. n. 3/2012; 
d) esdebitazione del sovraindebitato incapiente di cui all’art. 283 CCII che sostituisce la disciplina dell’art. 14 quaterdecies della L. n. 3/2012 in tema di debitore incapiente.
La natura concorsuale delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento era già desumibile dalla lettura dell’art. 6, comma 1, della L. n. 3/2012 dove il primo periodo recita: “al fine di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo”. 
Con riferimento alle quattro procedure con le quali si può gestire il sovraindebitamento dei soggetti in precedenza indicati riepilogando si osserva: 
a. che il consumatore (persona fisica) può ricorrere: 
- alla ristrutturazione dei debiti del consumatore di cui agli artt. da 67 a 73 CCII; 
- alla liquidazione controllata del sovraindebitamento di cui agli artt. da 268 a 277 CCII; 
- alla esdebitazione del sovraindebitato incapiente di cui all’art. 283 CCII;
il consumatore non può ricorrere al concordato minore così come è chiaramente previsto dall’art. 74, comma 1 CCII. 
In esito alla procedura di liquidazione controllata da sovraindebitamento, il consumatore può beneficiare, ricorrendone le condizioni, dell’esdebitazione ex artt. dal 278 al 281 (CCII) ossia all’esdebitazione di diritto prevista dall’art. 282 CCII. 
b. che i soggetti diversi dal consumatore che possono utilizzare i di seguito indicati strumenti di gestione del sovraindebitamento e cioè: 
- il concordato minore (di cui è stata data indicazione in precedenza);
- la liquidazione controllata del sovraindebitamento (artt. da 268 a 277 CCII).
In esito alla procedura di liquidazione controllata da sovraindebitamento, il soggetto sovraindebitato può beneficiare, ricorrendone le condizioni, dell’esdebitazione ex artt. dal 278 al 281 (CCII) ossia all’esdebitazione di diritto prevista dall’art. 282 CCII.
Va peraltro ricordato che, se l’imprenditore commerciale e agricolo sottosoglia ricorrono alla composizione negoziata minore ex art. 25 quater CCII, potranno far ricorso alle diverse procedure previste dalla citata norma. 
Del concordato minore si è trattato in precedenza. Con riferimento alle procedure che interessano il consumatore quale persona fisica, a livello fiscale, ricorrono le normali disposizioni che riguardano tale soggetto in ambito Irpef non rilevando ricadute in tale ambito per effetto della procedura intrapresa. 
Rimangono da esplorare la liquidazione controllata del sovraindebitato e l’esdebitazione. I due istituti sono trattati: il primo dagli articoli dal 268 al 277 CCII e il secondo dall’art. 283 CCII. 
Gli articoli dal 268 al 277 CCII trattano della liquidazione controllata del sovraindebitato la quale mutua la struttura da quella disciplinata dagli artt. 14 ter e ss della Legge n. 3/2012 e definita, vigente la citata legge, “fallimento del debitore civile”. A detta procedura possono ricorrere il consumatore, il professionista, l’imprenditore agricolo, e ogni altro debitore “non fallibile” e quindi non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ricorrendo, ovviamente, lo stato di insolvenza. Si ricorda che sono soggetti alla liquidazione giudiziale ex art. 121 CCII gli imprenditori commerciali che non dimostrano il possesso congiunto dei requisiti di cui all’art. 2, comma 1, lett. d) e che siano in stato di insolvenza. 
Di conseguenza la procedura rispecchia, anche se in formato ridotto, nell’ambito del sovraindebitamento, la procedura di liquidazione giudiziale (ex Fallimento). 
Considerate tali premesse e tornando all’ambito fiscale oggetto di approfondimento l’estensione applicativa delle norme di carattere fiscale del fallimento (liquidazione giudiziale) [art. 183 TUIR e art. 101 comma 5 TUIR] alla procedura di liquidazione controllata, rileverà a parere di chi scrive solo per l’imprenditore commerciale (anche minore) e non per gli altri soggetti. Ciò per il combinato disposto degli articoli 183 D.P.R. n. 917/86 (che fa espresso riferimento al reddito di impresa) e all’art. 121 CCII (che fa riferimento all’imprenditore commerciale). 
Ciò posto, quanto alle indicazioni operative di natura fiscale, per il caso di specie, quanto all’imprenditore commerciale sovraindebitato, potrà farsi riferimento a quanto già argomentato trattando della liquidazione giudiziale.
3.13 . Composizione negoziata della crisi
La composizione negoziata della crisi trae origine dal D.L. 29 agosto 2021, n. 118 successivamente assorbita nel CCII negli articoli dal 12 al 25 quinquies
La Relazione illustrativa precisa che con la composizione negoziata “si intende agevolare il risanamento di quelle imprese che, pur trovandosi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato, anche mediante la cessione dell’azienda o di un ramo di essa (…) La scelta compiuta è quella di affiancare all’imprenditore un esperto nel campo della ristrutturazione, terzo e indipendente e munito di specifiche competenze, al quale è affidato il compito di agevolare le trattative necessarie per il risanamento dell’impresa”. 
Nell’ambito del contesto in trattazione si è già esaminato il “concordato semplificato per la liquidazione di patrimonio all’esito della composizione negoziata” procedura utilizzabile in esito alla composizione negoziata ricorrendo particolari situazioni e cioè nell’ipotesi in cui le trattative non abbiano avuto esito positivo e che soluzioni quali la convenzione di moratoria e l’accordo di ristrutturazione dei debiti (anche nella versione “agevolata” o “ad efficacia estesa”) non siano praticabili. 
Lo strumento della composizione negoziata, eccezion fatta per il “concordato semplificato” e gli altri strumenti suindicati, ha natura privatistica ed è coperto dal riserbo, in linea con la finalità che ispira il diritto della crisi rispetto a soluzioni concordate di risanamento delle imprese che abbiano le potenzialità necessarie per restare sul mercato; viene di conseguenza previsto un percorso (non poco complesso e articolato) al fine di consentire il superamento della contingenza dell’impresa. 
Ai fini fiscali l’impresa che accede a detto strumento deve comportarsi applicando le regole generali sia per le imposte dirette che per l’iva fatta eccezione per alcune particolarità, previste dall’art. 25 bis CCII (misure premiali) che rappresentano l’unica previsione che il CCII riserva in ambito fiscale. 
In particolare, la norma richiamata prevede: 
- al comma 1 è previsto che gli interessi che maturano sui debiti tributari sono ridotti alla misura legale per il periodo che va dalla data di accettazione dell’incarico da parte dell’esperto sino alla conclusione della composizione negoziata qualora la stessa si concluda con una delle soluzioni previste dall’art. 23 commi 1 e 2 (convenzione di moratoria, accordo di ristrutturazione dei debiti, accordi di ristrutturazione agevolati, accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa); 
- al comma 2 è previsto che le sanzioni tributarie per le quali sia prevista l’applicazione in misura ridotta in caso di pagamento entro un determinato termine dalla comunicazione che le irroga sono ridotte alla misura minima nel caso in cui il termine per il pagamento cada dopo la presentazione dell’istanza di cui all’art. 17 (istanza per la nomina dell’esperto indipendente);
- al comma 3 è previsto che le sanzioni e gli interessi sorti prima dell’istanza di nomina dell’esperto (art. 17) e oggetto della composizione negoziata siano ridotte alla metà nel caso in cui la detta procedura di composizione negoziata si concluda ai sensi dell’art. 23 comma 2 (piano attestato di risanamento, omologazione di un accordo di ristrutturazione, domanda di concordato semplificato o con uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza);
- al comma 4 che “in caso di pubblicazione nel registro delle imprese del contratto di cui all’art. 23 co. 1 lett. a) e dell’accordo di cui all’art. 23 co. 1 lett. d)” l’Agenzia delle entrate conceda all’imprenditore che lo richiede con istanza sottoscritta dall’esperto un piano di rateazione fino a un massimo di 72 rate mensili delle somme dovute e non versate a titolo di imposte sul reddito, ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d’imposta, Iva, Irap, non ancora iscritte a ruolo e relativi accessori;
- al comma 5 dove è previsto che dalla pubblicazione nel registro delle imprese del contratto o dell’accordo di cui all’art. 23, comma 1, lett. a) e c) o degli accordi di cui all’art 23, comma 2, lett. b) rispettivamente (contratto ritenuto idoneo dall’esperto ai fini della continuità aziendale per un periodo non inferiore a 2 anni e di un accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto che produce gli effetti di cui agli artt. 166, comma 3, lett. d) e 324 del decreto di omologazione di un accordo di ristrutturazione ai sensi degli art. 57, 60, 61) si applicano gli articoli 88, comma 4 ter e 101, comma 5 del TUIR. 
Con riferimento ai commenti circa l’operatività degli articoli del TUIR citati si fa rinvio a quanto indicato in tema di concordato preventivo ricordando come la loro applicabilità presuppone la pubblicazione nel registro delle imprese; quanto all’Irap si fa rinvio allo specifico capitolo “Approfondimenti ai fini Irap”.
3.14 . Liquidazione coatta amministrativa
Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) ha poco considerato le indicazioni di cui alla legge delega (art. 15) sulla liquidazione coatta amministrativa di fatto accogliendo le indicazioni della Commissione Giustizia del Senato di confermare la vigente normativa sulla procedura in esame. 
Le norme del CCII che trattano della materia sono previste negli articoli dal 293 al 315 riprendendo di fatto le previsioni contenute nel R.D. n. 267/1942 apportandovi correzioni pressoché esclusivamente lessicali. 
La liquidazione coatta amministrativa è una procedura concorsuale alternativa al fallimento (liquidazione giudiziale) essendo applicabile a particolari categorie di imprese individuate dalla legge quali: le imprese di assicurazione, le banche, le società cooperative, le agenzie territoriali per la casa, i consorzi obbligatori, le società fiduciarie e di revisione, le Sim, le Sicav, le Sgr ed altre ancora. 
La più rilevante differenza esistente tra la liquidazione giudiziale e la liquidazione coatta amministrativa risiede nella partecipazione nello svolgimento della procedura dell’autorità amministrativa (Es. Banca d’Italia) o da organi da questi nominati. 
Dal punto di vista fiscale si osserva: 
La procedura in esame riguarda, come osservato solo alcuni soggetti; per la determinazione dell’imponibile fiscale ai fini delle imposte dirette trova applicazione l’art. 183 TUIR mentre per quanto attiene alle formalità connesse alla dichiarazione dei redditi rileva l’art. 5, comma 4 D.P.R. n. 322/1998. 
Quanto alle indicazioni connesse all’art. 183 TUIR (periodi di imposta, determinazione dell’imponibile nei diversi periodi di imposta etc) si richiama quanto sul tema si è indicato trattando della liquidazione giudiziale. 
Si precisa che per la procedura in esame non trovano applicazione l’art. 86, comma 5 TUIR, l’art. 88, comma 4 TUIR, mentre trova applicazione l’art. 101, comma 5 TUIR posto che detta norma fa riferimento in modo generale “a procedure concorsuali” prevedendo espressamente che il debitore si consideri assoggettato a procedura concorsuale, tra altri, dal provvedimento … “che ordina la liquidazione coatta amministrativa… ”. 
Per quanto attiene all’Irap si rimanda a quanto argomentato allo specifico capitolo in “Approfondimenti ai fini Irap”.
4.1 . Sopressione dell’area straordinaria ed effetti sulla base imponibile Irap
Il D.Lgs. n. 139/2015, con riferimento ai bilanci relativi agli esercizi finanziari con inizio a partire dal 1 gennaio 2016, ha soppresso l’area straordinaria del conto economico di cui all’articolo 2425 del Codice civile ex voce E), determinando conseguenze sulla determinazione della base imponibile Irap; risulta pertanto d’interesse approfondire il corretto trattamento delle plusvalenze da cessione dei beni ai creditori nel concordato preventivo e delle sopravvenienze attive che si  realizzano nell’ambito di procedure di ristrutturazione del debito di cui a CCII (sono escluse la liquidazione giudiziale e quella coatta amministrativa per le quali l’I rap si applica solo in caso di esercizio provvisorio) che – in quanto componenti straordinari - risultavano prima del menzionato intervento, pacificamente escluse dalla base imponibile dell’imposta regionale. 
Ai fini Irap, il “decreto milleproroghe” (D.L. 30 dicembre 2016, n. 244, convertito, con modificazioni, nella legge 19 del 27 febbraio 2017) è intervenuto sull’articolo 5, comma 1, del D.Lgs. n. 446/1997 che individua le modalità di determinazione del valore della produzione netta delle società di capitali e degli enti commerciali. L’intervento del legislatore sulla citata norma esclude dalla determinazione della base imponibile Irap i soli componenti di natura straordinaria derivanti da trasferimenti di azienda o di rami d’azienda. Non prevedendosi nel citato decreto altre esclusioni da tale base imponibile, posta l’eliminazione dallo schema di conto economico dell’area straordinaria, ci si interroga sull’imponibilità di altre componenti precedentemente non soggette all’imposta in quanto classificate nella voce E20 di conto economico.
4.2 . Il principio di derivazione rafforzata nelle imposte dirette: brevi cenni
Quanto alle imposte dirette si ricorda che il principio di derivazione rafforzata introdotto dal “decreto milleproroghe” (D.L. n. 244/2016 conv. in L. n. 19/2017) con le modifiche apportate all’articolo 83 e seguenti del Tuir attiene alle regole di qualificazione, imputazione temporale e classificazione delle operazioni in bilancio non riguardando le regole riferite alle valutazioni e quantificazioni; la conseguenza è che le norme specifiche che prevedono limiti quantitativi alla deduzione di componenti negativi o la loro esclusione nonché quelle che esentano o escludono parzialmente o totalmente dalla formazione del reddito imponibile componenti positivi sono applicate secondo le specifiche regole (articolo 2 D.m. n. 48/2009, richiamato dall’articolo 60 della legge n. 244/2007, richiamato dall’articolo 13 bis, comma 2, del “decreto milleproroghe”).
4.3 . Le plusvalenze da cessione dei beni ai creditori nel concordato preventivo e il bonus da esdebitazione nelle procedure di gestione delle crisi: trattamento fiscale previgente al D.Lgs. n. 139/2015 (ante 2016)
Come già rappresentanto, nell’ambito delle normative fiscali che regolano le imposte sul reddito, rilevano agli articoli 86, comma 5, e all’articolo 88, comma 4 ter, del TUIR, specifiche disposizioni che esonerano dall’imponibilità le risultanze attive derivanti: 
- dalla cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo (plusvalenze). 
- dalle riduzioni dei debiti in sede di concordato fallimentare (articolo 124 e seguenti della L. fall.), concordato preventivo (articolo 160 e seguenti L. fall.), accordo di ristrutturazione del debito (articolo 182 bis L. fall.) e piani attestati ex articolo 67, comma 3, lettera d), L. fall. (sopravvenienze attive). 
In ambito Irap non rilevano analoghe disposizioni di esenzione; la detassazione di tali poste (plusvalenze da cessione ex articolo 86, comma 5, del Tuir e sopravvenienze attive ex articolo 88, comma 4 ter del TUIR) sino all’ intervento del D.Lgs. n. 139/2015 era riconosciuta per la natura “straordinaria” di tali componenti. 
Confermava tale orientamento anche l’Amministrazione finanziaria, che con risoluzione del 01 marzo 2004, n. 29, aveva chiarito che la plusvalenza conseguita a fronte della cessione dei beni in sede di concordato preventivo non figurasse quale componente reddituale imponibile ai fini Irap poiché le plusvalenze così realizzate erano di natura straordinaria in quanto non derivanti dal deperimento economico tecnico subito dai beni nell’esercizio della normale attività produttiva d’impresa. L’agenzia delle Entrate in detto contributo evidenziava difatti come tali componenti straordinarie avrebbero dovuto essere annotate alla voce E20 del conto economico e pertanto escluse dalla base imponibile Irap per effetto delle disposizioni contenute nell’articolo 5, comma 1, del D.Lgs. n. 446/1997. 
Analoghe considerazioni erano svolte per le sopravvenienze attive: come in precedenza indicato, la base imponibile Irap, ai sensi dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 446/1997, non ricomprende nel conteggio le componenti straordinarie non riconducibili a elementi positivi e negativi che avevano avuto rilievo Irap in periodi di imposta precedenti. La stessa norma agli articoli 3, 4, e 5 deroga a tale principio per l’indeducibilità delle perdite su crediti, per il principio di correlazione, in base al quale i componenti positivi e negativi concorrono alla formazione della base imponibile se collegati a componenti rilevanti imponibili in periodi d’imposta precedenti ovvero successivi, e per il principio di derivazione che, indipendentemente dall’effettiva collocazione nel conto economico, accerta i componenti positivi e negativi del valore della produzione secondo corretti criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in accordo ai principi contabili adottati. Di fatto era necessario verificare se elementi imputati all’area straordinaria del conto economico andavano comunque considerati in quanto correlati a componenti rilevanti[14]. 
La sopravvenienza attiva da bonus da concordato, per effetto del richiamato principio di derivazione, aveva totalmente valenza straordinaria rappresentando un beneficio[15] che l’ordinamento tributario offre nella particolare situazione del concordato preventivo. 
Si era pertanto accreditata la volontà del legislatore di eliminare gli effetti distorsivi che si sarebbero determinati nella rilevazione del reddito imponibile di componenti derivanti dalle procedure concorsuali. In tal senso va la relazione di accompagnamento al TUIR, in cui si chiarisce anche la differente natura dell’esenzione insita nelle due principali forme di concordato preventivo di cui si è già menzione: per quello con cessione dei beni, la riduzione dei debiti non può assurgere ad elemento indice di capacità contributiva dato che il debitore perde tutto il suo patrimonio; mentre nell’ipotesi di continuità, la finalità della norma deve riscontrarsi nel riservare a detta procedura un particolare beneficio fiscale[16]. Per quanto precede si era ritenuto che il bonus da concordato non concorresse alla determinazione della base imponibile Irap. Sul tema, di rilievo, va segnalato il provvedimento del 15 gennaio 2014, prot. 5378/14 con cui l’agenzia delle Entrate ha risposto ad un interpello concernente l’interpretazione dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 446/1997 con particolare riguardo al trattamento fiscale Irap da applicare alle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti nel concordato preventivo. Anche se, come noto, gli interpelli rilevano esclusivamente per il caso di specie trattato, l’agenzia delle Entrate con detto intervento aveva confermato che le sopravvenienze attive da bonus da concordato, da classificare nella voce E20 del conto economico, non concorrono alla formazione della base imponibile Irap perché non torna applicabile nel caso il principio di correlazione.
4.4 . L’eliminazione dell’area straordinaria dal conto economico per effetto del D.Lgs. n. 139/2015 (post 2016)
Il D.Lgs. n. 139/2015 ha modificato gli schemi di stato patrimoniale e di conto economico, intervenendo sugli articoli 2424 e 2425 del Codice civile. Fra le modifiche apportate al conto economico, assume particolare rilevanza l’eliminazione della sezione straordinaria. 
Fino all’intervento portato dal D.Lgs. n. 139/2015 lo schema di conto economico, all’aggregato E), accoglieva i proventi ed oneri straordinari. Il principio contabile OIC 12 “Composizione e schemi del bilancio d’esercizio” nella versione 2014, previgente a quella 2016, aggiornata con le novità del D.Lgs. n. 139/2015, includeva nei costi e ricavi di natura straordinaria: 
1. le plusvalenze, le minusvalenze e le sopravvenienze attive e passive derivanti da fatti per i quali la fonte del provento o dell’onere è estranea alla gestione ordinaria dell’impresa; 
2. i componenti positivi e negativi relativi ad esercizi precedenti (inclusi gli errori di rilevazione di fatti di gestione o di valutazione di poste di bilancio e le imposte relative ad esercizi precedenti);
3. i componenti reddituali che costituiscono l’effetto di variazioni dei criteri di valutazione.
Nello specifico l’OIC 12 distingueva costi e ricavi straordinari nelle seguenti categorie: 
1. oneri, plusvalenze e minusvalenze derivanti da operazioni con rilevanti effetti sulla struttura dell’azienda; 
2. plusvalenze e minusvalenze derivanti dall’alienazione di immobili civili ed altri beni non strumentali all’attività produttiva e non afferenti la gestione finanziaria;
3. plusvalenze e minusvalenze da svalutazioni e rivalutazioni di natura straordinaria;
4. sopravvenienze attive e passive derivanti da fatti naturali o da fatti estranei alla gestione dell’impresa;
5. componenti di reddito relativi ad esercizi precedenti;
6. componenti straordinari conseguenti a mutamenti nei principi contabili adottati;
7. imposte relative ad esercizi precedenti. 
Per effetto delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 139/2015, in vigore per i bilanci dall’esercizio 2016, le suddette fattispecie devono essere riclassificate nell’ambito degli altri elementi di costo e di ricavo, con un evidente impatto sul risultato operativo societario. 
Il nuovo principio contabile OIC 12 indica la corretta collocazione dei costi e dei proventi che la precedente versione dell’OIC qualificava come “straordinari”, prevedendone la riclassificazione nella macroclasse A, relativa alla gestione caratteristica o nella macroclasse C, relativa alla gestione finanziaria. 
Nonostante l’eliminazione dell’area straordinaria dagli schemi di bilancio, permane l’obbligo di fornire in nota integrativa specifica informativa sugli elementi aventi carattere eccezionale. L’articolo 2427, comma 1, n. 13, del Codice civile prevede espressamente l’indicazione circa «l’importo e la natura dei singoli elementi di ricavo o di costo di entità o incidenza eccezionali». L’OIC 12, revisionato nel 2016, identifica l’obiettivo di tale informativa in quello «di consentire al lettore del bilancio di apprezzare il risultato economico privo di elementi che, per l’eccezionalità della loro entità o della loro incidenza sul risultato d’esercizio, non sono ripetibili nel tempo”. Alcuni esempi di elementi di ricavo o di costo che potrebbero presentare le caratteristiche dell’informazione richiesta dal n. 13, comma 1, dell’articolo 2427 sono i seguenti: 
- picchi non ripetibili nelle vendite o negli acquisti; 
- cessioni di attività immobilizzate; 
- ristrutturazioni aziendali; 
- operazioni straordinarie (cessioni, conferimenti di aziende o di rami d’azienda ecc.)».[17]
Ante D.Lgs. n. 139/2015 la sezione straordinaria includeva proventi e oneri la cui fonte era estranea all’attività tipica/ordinaria dell’impresa. Ora il concetto di eccezionalità, richiamato dalla citata norma, prescinde dalla classificazione ordinaria dell’attività con la conseguenza che qualunque ricavo o costo può rientrare in tale ambito.
4.5 . Componenti di natura straordinaria: le indicazioni aggiornate dei principi contabili nazionali
L’avvento del D.Lgs. n. 139 del 18 agosto 2015, che ha completato l’iter di recepimento della Direttiva 34/2013/Ue per l’aggiornamento del Codice civile in materia di bilancio e del D.Lgs. n. 127/1991 in tema di bilancio consolidato, ha determinato una profonda revisione dei principi contabili nazionali. L’articolo 12 del predetto decreto, difatti, ha previsto espressamente che l’Organismo italiano di contabilità, nel suo ruolo di standard setter nazionale[18], provveda ad aggiornare i principi contabili nazionali per coordinarli alle disposizioni contenute nel citato decreto. 
Come espressamente specificato nella relazione ministeriale al D.Lgs. n. 139/2015, i principi contabili aggiornati dall’OIC «risulteranno di particolare utilità con riferimento alla prima applicazione delle nuove disposizioni e dei principi in esse contenuti. Ai principi contabili nazionali occorrerà fare riferimento per quanto riguarda la necessaria declinazione pratica, ivi compresa la descrizione delle possibili casistiche. Analogamente, i principi contabili nazionali potranno fornire elementi applicativi ed indicazioni per aspetti specifici di carattere tecnico riguardanti, ad esempio, le operazioni di copertura, il costo ammortizzato e l’attualizzazione». 
Un prima profonda attività di revisione dei principi contabili si è conclusa con la pubblicazione, nel dicembre 2016, di 20 principi aggiornati a cui sono succedute, negli anni successivi, diverse attività di emendamento. 
Per la tematica in trattazione risultano essere di grande utilità tre principi aggiornati nel 2016 completi degli emendamenti pubblicati nel dicembre 2017: 
- l’OIC 12 “Composizione e schemi del bilancio di esercizio”; 
- l’OIC 19 “Debiti”; 
- l’OIC 29 “Cambiamenti di principi contabili, cambiamenti di stime contabili, correzione di errori, fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio”. 
Un utile richiamo va operato all’OIC 6 “Ristrutturazione del debito e informativa di bilancio” che pur abrogato nel 2017 contiene spunti di interesse. 
L’OIC 6, non revisionato dall’Organismo di contabilità nel 2016, seppur abrogato nel dicembre 2017, delineava gli aspetti principali caratterizzanti le operazioni di ristrutturazione. Il principio contabile, in sintesi, enunciava le diverse forme di ristrutturazione, analizzandone il trattamento contabile e la connessa informativa. 
Il suddetto principio esemplificava dieci casi di ristrutturazione rappresentanti le differenti forme e modalità con cui può realizzarsi la ristrutturazione del debito: 
1. ristrutturazione del debito che comporta una modifica dei termini originari del debito (valore originario del credito vantato, ammontare dei crediti per interessi, tempistica dei pagamenti, ecc.); 
2. ristrutturazione del debito che riduce l’ammontare del capitale da rimborsare o degli interessi maturati ma non pagati;
3. ristrutturazione del debito nella quale si modifica l’ammontare degli interessi maturandi lungo la vita residua del debito e/o modifica della tempistica originaria dei pagamenti; 
4. ristrutturazione del debito con riclassificazione del debito oggetto di ristrutturazione; 
5. ristrutturazione del debito con rinuncia dei versamenti da parte del socio/creditore; 
6. ristrutturazione del debito con sospensione nel pagamento della quota capitale implicita nei canoni di leasing finanziario; 
7. ristrutturazione del debito con informativa sul valore economico del debito; 
8. ristrutturazione del debito con estinzione del debito con cessione di attività; 
9. ristrutturazione del debito con estinzione del debito con conversione in capitale; 
10. ristrutturazione del debito con estinzione di un debito con emissione di un prestito obbligazionario convertibile. 
Secondo il principio contabile, le riduzioni del capitale da rimborsare o degli interessi maturati ma non pagati (ipotesi sub 2) determinavano l’iscrizione in bilancio di un utile da ristrutturazione da iscriversi nei proventi straordinari del conto economico (indicazione superata quanto alla classificazione per effetto del D.Lgs. n. 139/2015 che ha eliminato la parte straordinaria) pari alla riduzione del capitale da rimborsare e/o degli interessi maturati e non rimborsati. 
Diversamente, ipotesi come quella prevista al numero 3, invece, non determinavano l’iscrizione immediata di alcun ricavo nel conto economico. Sebbene il valore economico del debito, in tali ipotesi, per effetto della ristrutturazione, risultasse inferiore rispetto al valore contabile del debito ante-ristrutturazione, il beneficio per il debitore non verrà immediatamente rilevato al conto economico in quanto si considera un provento non realizzato alla data della ristrutturazione; sarà invece rilevato per competenza lungo la durata residua del debito. 
Nell’ipotesi prevista al numero 5, la rinuncia del socio/creditore ai versamenti effettuati a titolo di finanziamento, consegue in capo al debitore il trasferimento del valore del debito a cui il creditore rinuncia, direttamente a riserva senza transitare dal conto economico, fornendo adeguata informativa in nota integrativa del bilancio. Come previsto dall’OIC 28 “Patrimonio netto”, la rinuncia da parte del socio/creditore è simile ad un versamento in conto capitale. 
Ed ancora, nell’ipotesi invece prevista al numero 8, alla data della ristrutturazione, la differenza tra il valore contabile dell’attività ceduta va rilevata nel conto economico tra i proventi o gli oneri straordinari quale utile (o perdita) da ristrutturazione. Se rilevante, tale differenza è evidenziata nello schema di conto economico mediante un apposito dettaglio informativo nella voce E20 “Proventi straordinari” o E21 “Oneri straordinari” (indicazione superata quanto alla classificazione per effetto del D.Lgs. n. 139/2015 che ha eliminato la parte straordinaria). 
Rammentate in sintesi le precisazioni dell’OIC 6 sul trattamento da riservare alle componenti derivanti dalla ristrutturazione del debito, risulta ora opportuno spostare l’analisi sui tre principi (29, 12 e 19) revisionati dall’OIC nel 2016 per assorbire le novità portate dal D.Lgs. n. 139/2015. 
Partendo dall’OIC 29 si ricorda come detto principio definisce le regole per la contabilizzazione dei cambiamenti di principi contabili derivanti da nuove norme o da nuovi principi (cambiamenti obbligatori di principi contabili). Di conseguenza tale principio viene considerato, nel caso di specie, per l’eliminazione dall’articolo 2425 del Codice civile della sezione straordinaria dallo schema di conto economico. In tale ambito si precisa che gli effetti dei cambiamenti di principi contabili sono determinati retroattivamente. Ciò comporta, salvo deroghe, che il cambiamento di un principio contabile è rilevato nell’esercizio in cui viene adottato il nuovo principio e i relativi effetti sono contabilizzati sul saldo d’apertura del patrimonio netto dell’esercizio in corso. 
Solitamente la rettifica viene rilevata negli utili portati a nuovo. Tuttavia, precisa il principio, la rettifica potrebbe essere apportata a un’altra componente del patrimonio netto qualora più appropriata[19]. 
Determinanti per l’esame dell’argomento in trattazione, e per l’individuazione della corretta collocazione delle risultanze della ristrutturazione, risultano in particolare le previsioni contenute nei principi contabili aggiornati OIC 12 e OIC 19, quest’ultimo completo di specifica appendice “A” quale parte integrante del principio e concernente le “operazioni di ristrutturazione del debito”. 
Il principio contabile OIC 12 
L’OIC 12 analizza gli schemi di bilancio e la loro composizione; nella parte conclusiva del principio vengono illustrate le motivazioni alla base delle scelte fatte dall’OIC per tenere conto delle modifiche di cui al D.Lgs. n. 139/2015 con particolare riferimento all’eliminazione dallo schema di conto economico della sezione straordinaria. Quanto al conto economico, nel principio, vengono pertanto ridelineati i perimetri di attività caratteristica, attività accessoria ed attività finanziaria: 
• l’attività caratteristica “identifica i componenti positivi di reddito generati da operazioni che si manifestano in via continuativa e nel settore rilevante per lo svolgimento della gestione, e che identificano e qualificano la parte peculiare e distintiva dell’attività economica svolta dalla società, per la quale la stessa è finalizzata”[20]; 
• l’attività accessoria “è costituita da operazioni che generano componenti positivi di reddito che non rientrano nell’attività caratteristica e finanziaria”[21]; 
• l’attività finanziaria «è costituita da operazioni che generano: proventi e oneri; plusvalenze e minusvalenze da cessione; svalutazioni e ripristini di valore tutti relativi a titoli, partecipazioni, conti bancari, crediti iscritti nelle immobilizzazioni e finanziamenti di qualsiasi natura attivi e passivi; utili e perdite su cambi e variazioni positive e negative del fair value degli strumenti finanziari derivati attivi e passivi secondo quanto disciplinato dai paragrafi 32-34 dell’Oic 32 “Strumenti finanziari derivati”»[22]. 
Nella parte conclusiva del principio è fornita una tabella di raffronto delle fattispecie di costo e ricavo straordinarie classificate secondo il nuovo OIC 12 in parallelo alla versione del principio del 2014 (Motivazioni alla base delle decisioni assunte). Per quanto qui interessa è meritevole di attenzione l’indicazione secondo cui i “componenti reddituali derivanti da ristrutturazioni del debito” vengono, sulla base delle previsioni dell’OIC in esame, classificati nella voce C16 d) del conto economico: «La ristrutturazione del debito può dare origine a componenti positivi di reddito di tipo finanziario e pertanto tali componenti sono stati inclusi nella voce C16d) proventi diversi dai precedenti». Peraltro, il principio include in tale voce anche «l’eventuale differenza, se negativa/positiva, tra il valore rideterminato del debito/credito alla data di revisione della stima dei flussi futuri e il suo precedente valore contabile alla stessa data»[23]. 
Nessuna particolare previsione rileva invece per le cessioni di beni rientranti in un’operazione di ristrutturazione. L’OIC provvede in tale ambito a disciplinare generalmente le “plusvalenze di natura non finanziaria” (alienazioni dei cespiti, operazioni sociali straordinarie etc.) prevedendone la collocazione nella voce A5) di conto economico[24]. 
L’OIC 12, infine, nel capitolo “Motivazioni alla base delle decisioni assunte” precisa: «per gli oneri e proventi straordinari indicati nell’Oic 12 (versione 2014) per cui non è stato possibile identificare ex ante una classificazione sarà il redattore del bilancio, sulla base della sua analisi della tipologia di evento che ha generato il costo o il ricavo, ad individuare la corretta classificazione»[25]. 
Il principio contabile OIC 19 
L’OIC 19, in tema di debiti, fornisce ulteriori e preziosi elementi all’analisi confermando l’impostazione già evidenziata nel principio in precedenza analizzato. Ai paragrafi 61, 62 l’OIC 19 prevede rispettivamente che: 
«se, successivamente alla rilevazione iniziale, la società rivede le proprie stime di flussi finanziari futuri (es.: prevede che il debito sarà rimborsato anticipatamente rispetto alla scadenza), essa deve rettificare il valore contabile del debito per riflettere i rideterminati flussi finanziari stimati. La società ricalcola il valore contabile del debito alla data di revisione della stima dei flussi finanziari attualizzando i rideterminati flussi finanziari al tasso di interesse effettivo calcolato in sede di rilevazione iniziale. La differenza tra il valore attuale rideterminato del debito alla data di revisione della stima dei flussi finanziari futuri e il suo precedente valore contabile alla stessa data è rilevata a conto economico negli oneri o nei proventi finanziari» … «Nel caso di estinzione anticipata di un debito a condizioni o in tempi non previsti nell’ambito della stima dei flussi finanziari futuri, la differenza tra il valore contabile residuo del debito al momento dell’estinzione anticipata e l’esborso di disponibilità liquide è rilevata nel conto economico tra i proventi o tra gli oneri finanziari. Ciò si applica anche nel caso di estinzione anticipata di un prestito obbligazionario». 
Prosegue, inoltre, al paragrafo 71 statuendo che «nel caso di estinzione anticipata di un debito (rispetto alle originarie scadenze contrattuali): - l’eventuale differenza tra il valore contabile residuo del debito e l’esborso relativo all’estinzione è rilevata nel conto economico tra i proventi o tra gli oneri finanziari; - l’eventuale valore contabile residuo dei costi di transazione iscritti tra i risconti attivi è addebitato a conto economico tra gli oneri finanziari». 
Degna d’attenzione è anche la statuizione di cui al paragrafo 73 sull’eliminazione contabile di un debito: «La società elimina in tutto o in parte il debito dal bilancio quando l’obbligazione contrattuale e/o legale risulta estinta per adempimento o altra causa, o trasferita. L’estinzione di un debito e l’emissione di un nuovo debito verso la stessa controparte determina l’eliminazione contabile se i termini contrattuali del debito originario differiscono in maniera sostanziale da quelli del debito emesso. Quando, in costanza del medesimo debito, vi sia una variazione sostanziale dei termini contrattuali del debito esistente o di parte dello stesso, attribuibile o meno alla difficoltà finanziaria del debitore (cfr. le fattispecie di ristrutturazione del debito di cui all’Appendice A – Operazioni di ristrutturazione del debito), contabilmente si procede all’eliminazione del debito originario con contestuale rilevazione di un nuovo debito.” 
Il principio 19 – al paragrafo 73A – provvede per le operazioni di ristrutturazione del debito ad individuare la data dalla quale si rilevano gli effetti dell’eliminazione contabile che coincide con il momento a partire dal quale l’accordo diviene efficace tra le parti. Secondo il principio, nei casi di ristrutturazione del debito, la data coincide: 
a) in caso di concordato preventivo … con la data in cui il concordato viene omologato da parte del Tribunale; 
b) in caso di accordo di ristrutturazione dei debiti … con la data in cui l’accordo viene pubblicato presso il Registro delle Imprese; laddove l’accordo prevede che la sua efficacia sia subordinata all’omologa da parte del Tribunale, la data della ristrutturazione coincide con il momento dell’omologa 
in caso di piano di risanamento attestato …. qualora risulti formalizzato un accordo con i creditori, con la data di adesione dei creditori. Prosegue il principio ai paragrafi 73B, 73C, rispettivamente dedicati alle società che applicano (e che non applicano) il criterio del costo ammortizzato prevedendo: 
73B. …(omissis) … La differenza tra il valore di iscrizione iniziale del nuovo debito e l’ultimo valore contabile del debito originario costituisce un utile o una perdita da rilevare a conto economico nei proventi o negli oneri finanziari … 
73C. … (omissis) … Nel caso di riduzione dell’ammontare del debito da rimborsare, il debitore iscrive un utile tra i proventi finanziari come differenza tra il valore di iscrizione iniziale del nuovo debito e l’ultimo valore contabile del debito originario … 
Diversamente dal passato quindi, la nuova impostazione contabile, determina un pieno riconoscimento a conto economico degli effetti dell’operazione al momento dell’efficacia giuridica dei nuovi accordi. Tale indicazione risulta applicabile anche ad operazioni di ristrutturazione realizzate in esercizi precedenti all’introduzione dei nuovi principi qualora le stesse non abbiano ancora esaurito i loro effetti in bilancio.
4.6 . Base imponibile Irap e trattamento bonus da esdebitazione
Come noto la base imponibile Irap è determinata dalla differenza tra il valore ed i costi della produzione, assoggettati ad un’imposta ad aliquota ordinaria del 3,9%[26]. Non rientrano nel calcolo del valore della produzione i proventi e gli oneri finanziari. 
L’imposta regionale sulle attività produttive, nell’attuale formulazione del D.Lgs. n. 446/1997, è principalmente frutto dell’intervento legislativo del 2007[27] di “sganciamento” del tributo regionale dall’imposta sul reddito. La scelta del legislatore di abrogare l’articolo 11 bis del D.Lgs. n. 446/1997 – che riconosceva la rilevanza nell’Irap delle variazioni effettuate ai fini delle imposte sul reddito – ha consentito di adeguare le modalità di calcolo del tributo rendendole più aderenti ai criteri adottati per la redazione del bilancio. Rileva un principio di derivazione piena dell’Irap dalle risultanze di bilancio: le voci considerate rilevanti ai fini impositivi prevengono dalle voci del bilancio. Utile alle riflessioni sul tema in esame è la disamina del meccanismo di determinazione della base imponibile ai fini Irap in sintesi riassunto nella tabella che segue:
Come precisato nella tabella che precede le componenti dell’area finanziaria (voce C del conto economico) rimangono escluse dalla base imponibile Irap. 
L’Amministrazione finanziaria, con la finalità di evitare comportamenti elusivi, può controllare che i componenti positivi e negativi che compongono la base imponibile Irap siano imputati secondo corretta qualificazione, imputazione temporale e classificazione così come previsti dai principi contabili (D.Lgs. n. 446/1997, comma 5: principio di derivazione).  
                                                                                                   ***
Tutto quanto in precedenza analizzato, in particolare con riferimento ai principi contabili OIC 12 e 19 consente di affermare che le sopravvenienze attive da esdebitazione, trovando collocazione nell’area finanziaria non siano da ricomprendere, in base al principio di derivazione, nella base imponibile Irap così come prevista dall’articolo 5 del D.Lgs. n. 446/1997. L’OIC 12 come l’OIC 19 precisano a più riprese come i “componenti reddituali derivanti da ristrutturazioni del debito” vengano classificati nella voce C16 d) del conto economico.
4.7 . Plusvalenze da cessioni di beni nel concordato preventivo ex articolo 86, comma 5, TUIR – riflessi sulle procedure di composizione della crisi di impresa di cui al CCII
Diverse implicazioni rilevano invece per le plusvalenze derivanti da cessioni di beni ai creditori nel concordato preventivo ex articolo 86, comma 5, del TUIR. 
Nell’ambito del codice della crisi e dell’insolvenza al concordato preventivo ex art. 64 si aggiungono quelli previsti dagli artt. 84, 74, 25 sexies. Eliminata dal D.Lgs. n. 139/2015 l’area straordinaria dal conto economico, tali plusvalenze devono collocarsi (in ossequio alle previsioni dell’OIC 12) nella voce A5) del conto economico. Non esistendo in ambito Irap una norma analoga all’articolo 86 del TUIR che esclude da tassazione tali attività, le stesse allo stato, diversamente dal passato, sconteranno l’Irap. 
L’approccio normativo di limitare l’esclusione dalla base imponibile Irap alle sole componenti straordinarie derivanti dai trasferimenti d’azienda o rami d’azienda, ad avviso di chi scrive, risulta criticabile rispetto alle dinamiche concorsuali che avrebbero richiesto che tali plusvalenze venissero incluse nel novero degli elementi “straordinari” esclusi dalla base imponibile Irap. Già in precedenza, l’indirizzo dell’Amministrazione finanziaria, ai fini Irap, riconosceva la straordinarietà delle plusvalenze classificate nella voce D) del conto economico solo se effettivamente straordinarie in quanto riferite ad operazioni di trasferimento d’azienda (in tema cfr. circolare 27/E 2009). La stessa Amministrazione finanziaria, tuttavia, come peraltro già indicato[28], riconosceva tale esclusione anche alle plusvalenze derivanti dalla cessione di beni nel concordato preventivo in quanto non derivanti dal deperimento economico tecnico subito dai beni nell’esercizio della normale attività produttiva d’impresa. L’agenzia delle Entrate riconosceva l’annotazione di tali componenti, straordinarie, alla voce E20 del conto economico evidenziandone pertanto l’esclusione dalla base imponibile Irap per effetto delle disposizioni contenute nell’articolo 5, comma 1, del D.Lgs. n. 446/1997. 
Sulla base del principio di derivazione presente nella normativa Irap e considerate le indicazioni dei principi contabili, tali plusvalenze andranno, come osservato, collocate nella voce A5 del conto economico concorrendo di conseguenza alla determinazione della base imponibile Irap. 
Eccezione a tale regola rileva:
- per le plusvalenze/minusvalenze scaturenti da cessione di azienda o rami di azienda considerato il chiaro tenore dell’articolo 5, comma 1, D.Lgs. n. 446/1997 post modifiche di cui al “decreto milleproroghe”;
- per le plusvalenze da alienazione (compresa la permuta) di titoli a reddito fisso iscritti nell’attivo immobilizzato considerato che in ossequio all’OIC 12 (paragrafo 90) vanno ricompresi negli altri proventi finanziari.
5 . Approfondimenti ai fini Iva
Prefiggendosi il presente studio di sviluppare approfondimento anche sulle implicazioni fiscali in ambito IVA, nelle procedure di gestione della crisi di impresa trattate dal codice della crisi e dell’insolvenza (CCII) in vigore dal 15/7/2022, nel capitolo in esame, l’attenzione verterà in particolare sull’art. 26 D.P.R. n. 633/1972 dopo le modifiche apportate dall’art. 18, comma 1, D.L. n. 73/2021 convertito con modificazioni nella L. n. 106/2021 (Decreto sostegni bis) che innovando la disciplina previgente ha sancito che nel caso di mancato pagamento del corrispettivo connesso a procedure concorsuali o a omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis L. fall. non si debba più attendere la conclusione delle stesse. Il nuovo articolo 26, al comma 3 bis prevede difatti che l’emissione della nota di variazione, e quindi il diritto per il cedente del bene o prestatore del servizio di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25, possa avvenire in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario committente: 
a) a partire dalla data in cui quest'ultimo é assoggettato a una procedura concorsuale o dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'articolo 182-bis del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, o dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267; 
La norma in esame è stata oggetto, nel corso del tempo, di una serie di modifiche che ne hanno reso la lettura articolata. 
Il testo previgente a quello sopra riportato (per le procedure avviate prima del 26 maggio 2021) prevedeva, in sintesi, “in capo al cedente/prestatore la possibilità di rettificare in diminuzione l’imposta applicata quando l’operazione veniva meno o se ne riduceva l’ammontare imponibile in conseguenza di mancato pagamento comprovato da procedure esecutive individuali o procedure concorsuali rimaste infruttuose (con la definitiva conclusione delle procedure stesse), da accordi di ristrutturazione dei debiti omologati ai sensi dell’art. 182 bis del Regio Decreto 16/3/1942 n. 267 (legge fallimentare) o piani attestati ai sensi dell’art. 67 terzo comma lett. d) della citata legge fallimentare” . 
Nel citato contesto l’emissione della nota di variazione, secondo la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 77/E del 17/4/2000, era consentita: 
- per il fallimento alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto oppure, ove non vi sia stato, alla scadenza del termine per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento stesso; 
- per la liquidazione coatta amministrativa decorsi i termini previsti dall’art. 213 R.D. n. 267/1942 in relazione all’autorizzazione da parte dell’autorità preposta al deposito del piano di riparto; 
- per il concordato fallimentare passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato (artt. 130 e 131, R.D. n. 267/1942) anche per quello che chiude la liquidazione coatta amministrativa; 
- per il concordato preventivo passaggio in giudicato della sentenza di omologazione (art. 181, R.D. n. 267/1942), nonché momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato. L’infruttuosità della procedura riguarda solamente i creditori chirografari per la parte percentuale del loro credito che non trova accoglimento con la chiusura del concordato. Se il concordato si trasforma in fallimento, occorre seguire le regole di questa procedura. 
Per le procedure avviate successivamente al 26 maggio 2021, applicando la novella legislativa (e mantenendo le procedure previste nella norma), il termine di emissione della nota di variazione è anticipato alla data di apertura della procedura concorsuale, ossia dalla data: 
- della sentenza dichiarativa di fallimento; 
- del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa; 
- del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo; 
- dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis L. fall.; 
- dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese del piano attestato ex art. 67, comma 3, lett. d) L. fall.; 
- del passaggio in giudicato della sentenza di omologa del concordato fallimentare ex art. 130 L. fall.; 
- del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo con assuntore. 
Con riferimento alle procedure di gestione delle crisi di impresa di cui al CCII, aggiornando la terminologia della legge fallimentare con quella del nuovo Codice, di seguito, sulla base delle novità apportate all’art. 26 D.P.R. n. 633/72 dall’art. 18, comma 1, D.L. n. 73/2021 convertito, e dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 20/E del 29/12/2021 riteniamo, quanto alle decorrenze dell’emissione della nota di variazione, che le indicazioni che precedono possano rilevare: 
- dalla sentenza dichiarativa della liquidazione giudiziale; 
- dal provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa; 
- dalla ammissione alla procedura di concordato preventivo anche con assuntore ex art. 40 CCII; 
- dalla data di ammissione alla procedura di concordato minore ex art. 40 CCII; 
- dalla data di ammissione alla procedura di concordato semplificato ai sensi dell’art. 25 sexies CCII; 
- dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 48 CCII; 
- dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione agevolato ai sensi dell’art. 48 CCII; 
- dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione a efficacia estesa ex art. 48 CCII; 
- dalla pubblicazione nel registro delle imprese del piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII; 
- dalla data del decreto che omologa il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione ex art. 64 bis CCII. 
                                                                                                  ***
Con riferimento alla composizione negoziata della crisi di cui agli artt. 12 e 11 del CCII le note di variazione ex art. 26 Iva seguono l’ordinaria operatività non risultando applicabili alla procedura di specie le previsioni su descritte per le procedure concorsuali e per quelle di gestione della crisi di impresa. 
Infine, con riferimento alle procedure connesse al sovraindebitamento, eccezion fatta per il concordato minore di cui si è detto, l’art. 26, anche nella nuova versione normativa non contempla tra le procedure che prevedono la possibilità di attuare la nota di variazione, quelle connesse al sovraindebitamento.
Se la natura di procedura concorsuale può essere ascritta in tale ambito l’applicazione della norma in esame, con riferimento alle note di variazione e alla data di emissione potrebbe ricorrere per la liquidazione controllata ex art. 268 CCII. 
Il richiamo in nota[29] dovrebbe consentire di considerare che per le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento sopra ricordate, rientrando tra le procedure concorsuali, le note di variazione possano emettersi alla data di apertura della procedura.
6 . Considerazioni conclusive
Come osservato il legislatore fiscale è stato assente nell’ambito della riforma del diritto della crisi di cui al codice della crisi e dell’insolvenza ex D.Lgs. n. 14/2019 come modificato dal D.Lgs. n. 83/2022. 
Tale assenza lascia e lascerà enormi dubbi applicativi, in particolare per quanto attiene alle nuove procedure di gestione della crisi, che, come noto, sulla “spinta” della Direttiva UE 1023/2019 (riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione, le interdizioni e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e esdebitazione) hanno quale precipua finalità quella di sostenere le imprese in crisi con l’obiettivo del recupero della operatività aziendale e la conservazione dei posti di lavoro. 
Tale finalità avrebbe dovuto (a parere di chi scrive) essere confortata da adeguati interventi di natura fiscale al fine di adeguatamente supportare la corretta politica economica disegnata dalla Direttiva Insolvency 2019/1023 e recepita dal codice della crisi volta al recupero dell’impresa in crisi ed alla salvaguardia della continuità aziendale. 
L’auspicio è che il legislatore fiscale intervenga quanto prima con misure adeguate a sostegno dell’economia reale in un momento, come noto, in cui il supporto alle imprese in crisi meritevoli è estremamente necessario.

Note:

[1] 
Con l’intervento del D.Lgs. n. 83/2022 sono state espunte le “procedure di allerta e di composizione assistita della crisi” previste nell’originario testo del D.Lgs. n. 14/2019 al Titolo II.
[2] 
In Il codice della crisi e dell’insolvenza dopo il secondo correttivo, ed. Giuffré cap. III par. 1 (2022).
[3] 
Qualunque sia la durata della procedura ed anche qualora vi sia stato l’esercizio provvisorio.
[4] 
Successivamente confermato anche da Cass. n. 16638/2018 e Cass. n. 11590/2021.
[5] 
L’OIC 15 provvede ad individuare ai paragrafi 71/77 i corretti principi contabili per la cancellazione del credito dal bilancio.
[6] 
Di parere contrario Agenzie Entrate, risposta interpello n. 462 del 31.10.2019.
[7] 
M. Leo, Le imposte sui redditi nel testo unico, Milano, 2020, pagg. 1619 e seguenti.
[8] 
G. Adreani e A. Tubelli, Il residuo attivo tassabile anche nel concordato, in Ilsole24ore, 21 aprile 2022.
[9] 
Nell’attuale struttura del conto economico si ricorda che le plusvalenze e le sopravvenienze sono state soppresse dalla sezione riservata ai proventi e oneri di natura straordinaria ad opera del D.Lgs. n. 139/2015.
[10] 
Ossia, ai sensi dell’art. 2435 ter c.c., quelle imprese che nel primo esercizio o successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti: 1) totale attivo stato patrimoniale: 175.000; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 350.000; 3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 5 unità.
[11] 
F. La Manna, op. cit., Ed. Giuffrè Capo IV, par. 5.4 “Il riferimento al “concordato” tra motivo dalla assimilazione che può anche farsi tra questa figura e il concordato preventivo …”; Tribunale di Vicenza, 30/09/2021 secondo cui “Peraltro, attesa la pacifica assimilazione del cd. concordato minore al concordato previsto dalla legge fallimentare …”.
[12] 
F. La Manna, op. cit., Ed. Giuffrè cap. II part. 1.3; G. Bozza, Il concordato semplificato convertito con modifiche nella L. n. 147 del 2021 secondo cui “Il concordato semplificato non è una sottospecie del concordato preventivo ordinario, ma una figura giuridica a sé, retta da una propria e autonoma disciplina che contiene disposizioni proprie e specifici richiami di norme dettate per l’ordinario concordato preventivo, ma non un rinvio generalizzato alle stesse”.
[13] 
Vedasi tra gli altri, M. Fabiani, La nomenclatura delle procedure concorsuali e le operazioni di ristrutturazione, in Il Fall., 2018; Ambrosini, nota a Cass.18 gennaio 2018, in Osservatorio-oci.org.
[14] 
G. Buffelli - P. D’Andrea, Le crisi d’impresa, IlSole24Ore, p. 333.
[15] 
In tema è opportuno rilevare come il concetto di “agevolazione tributaria” abbia guidato la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 5112/1996 che, trattando di plusvalenze previste dall’allora vigente articolo 54 del TUIR, aveva stabilito che detto componente straordinario non rilevasse a tassazione perché riferito ad una “agevolazione tributaria” concessa dall’ordinamento.
[16] 
Si veda Cassazione n. 7800/1995 secondo cui la detassazione prevista dal TUIR per il concordato preventivo trova applicazione per qualunque tipo di concordato in quanto espressione di un principio generale.
[17] 
OIC 12, paragrafo 115.
[18] 
Il D.L. n. 91/2014, convertito in legge n. 116/2014, ha normativamente riconosciuto l’Organismo italiano di contabilità (OIC) come «l’istituto nazionale per i principi contabili».
[19] 
OIC 29, paragrafo n. 17.
[20] 
OIC 12, paragrafo 43.
[21] 
OIC 12, paragrafo 45.
[22] 
OIC 12, paragrafo 46.
[23] 
OIC 12, paragrafo 92.
[24] 
OIC 12, paragrafo 56b.
[25] 
OIC 12, Motivazioni alla base delle decisioni assunte.
[26] 
Articolo 5, comma 1, D.Lgs. n. 446/1997, ante intervento del “decreto milleproroghe”, «… la base imponibile è determinata dalla differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell’articolo 2425 del Codice civile, con esclusione delle voci di cui ai numeri 9), 10), lettere c) e d), 12) e 13), così come risultanti dal conto economico dell’esercizio».
[27] 
Legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge Finanziaria per il 2008).
[28] 
Risoluzione Agenzia Entrate n. 29 del 01 marzo 2004.
[29] 
L’art. 6, comma 1, della L. n. 3/2012 al primo periodo stabilisce: “Al fine di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo…”.

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