L’adeguamento del codice alla Direttiva Insolvency è stato perseguito dal legislatore del post pandemia in modo ambizioso ed articolato.
La seconda versione del codice, approvata con il D.Lgs. n. 83/2022 ed oggi in vigore, ha fatto giustizia di talune scelte attuate con la prima versione e con il decreto correttivo del 2020, che avevano eccessivamente irrigidito la disciplina soprattutto in tema di concordato preventivo, ed ha consentito che nel nostro ordinamento entrassero nuovi istituti previsti o quantomeno consentiti dalla Direttiva.
Il piano attestato e gli accordi di ristrutturazione, ora articolati nella triplice categoria degli accordi ordinari, di quelli agevolati e di quelli ad efficacia estesa, sono rimasti molto simili al modello originario, anche se si è accentuato il controllo sull’imprenditore che, mentre in passato era un soggetto pienamente in bonis, ora viene quasi automaticamente assoggettato al controllo di un commissario giudiziale, con estensione anche a questa procedura della responsabilità penale per i reati di bancarotta.
Al concordato preventivo, oramai articolato in termini più ampi rispetto al passato, nella previsione di maggior libertà di forme che non lo esauriscono nel binomio concordato in continuità – concordato liquidatorio, si aggiunge il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione o PRO. Il concordato liquidatorio mantiene quasi tutti i vincoli che erano stati introdotti nella prima versione comportando la necessità di erogare ai creditori non meno del 20% oltre ad incrementare l’attivo con risorse esterne di almeno il 10% rispetto a quanto costoro potrebbero ottenere in caso di liquidazione, salvo che nel nuovo istituto del concordato liquidatorio semplificato che presuppone il preventivo esperimento della composizione negoziata, cui occorre accedere in buona fede ed in condizioni, secondo una convincente lettura, che consentano almeno in teoria un esito diverso. Il concordato in continuità assume tratti di libertà molto più ampi.
Il legislatore consente di derogare alla par condicio, strumento coerente con le finalità liquidatorie, ma poco utile in caso di ristrutturazione, ed al rispetto dell’ordine delle cause di prelazione dettato dall’art. 2741 c.c. Tale deroga non riguarda però lo zoccolo duro della tutela dei creditori, secondo la Direttiva, rappresentato da quanto essi avrebbero diritto di ottenere anche in caso di liquidazione. Per questa parte dell’attivo distribuibile, il c.d. valore di liquidazione, i creditori hanno infatti diritto a che sia seguita la absolute priority rule, il vecchio sistema già in vigore con la legge fallimentare. Per la differenza, per il plusvalore da continuità, approssimativamente tutto ciò che deriva dall’attuazione del piano in continuità, il debitore può applicare la relative priority rule e quindi attribuire ai creditori di grado poziore più di quanto possono avere i creditori di grado inferiore, ma non tutto quello che potrebbero avere con la priorità assoluta.
Il codice ha mutuato dalla Direttiva la regola per cui votano i creditori comunque affected, cioè incisi dal piano che attribuisca loro un trattamento diverso da quello negozialmente previsto, in primo luogo tra di essi i creditori privilegiati, che in precedenza erano sempre esclusi dal voto salvo che non trovassero capienza nella garanzia. Il legislatore ha tuttavia introdotto il contemperamento che l’estensione del voto ai creditori privilegiati non si applica quando essi percepiscono l’intero corrispettivo del loro credito entro 180 giorni dall’omologazione (i lavoratori entro 30 giorni). Si tratta di principio diverso da quello espresso dalla Direttiva che non prevede deroghe alla regola per cui tutti i creditori affected votano e che per i lavoratori stabilisce che i loro crediti debbono essere pagati e non possono essere oggetto di sospensione delle azioni esecutive.
Per il concordato in continuità il codice prevede, in attuazione della Direttiva, la formazione obbligatoria delle classi ed il voto nelle classi a maggioranza semplice, che può essere anche dei soli votanti con un quorum dei due terzi degli aventi diritto, che equivale a dire che si può avere la maggioranza nella classe con il voto favorevole del 33% degli aventi diritto. Si può dissentire dalla scelta del legislatore di facilitare la formazione del consenso sulla proposta di concordato, ma il silenzio se non è manifestazione di assenso, non è neppure manifestazione di dissenso e quindi la previsione di una maggioranza sui soli creditori votanti, contemperata dalla previsione di un quorum elevato, è del tutto ragionevole.
Dall’attuazione della Direttiva segue un regime di maggioranze che muta a seconda che la proposta del debitore sia approvata da tutte le classi, dalla maggioranza delle classi o anche da una sola classe con la ristrutturazione trasversale (cross class cram down). Il legislatore non ha previsto il silenzio assenso, nella vigenza della legge fallimentare introdotto per un breve lasso di tempo, e previsto oggi nel concordato minore. Le regole sono fatte, nel rispetto della Direttiva, per favorire l’approvazione della proposta, ma in presenza di un’effettiva maggioranza di classi e nell’irrilevanza del dissenso di quelle classi di creditori che, in caso di liquidazione giudiziale, non riceverebbero un trattamento più favorevole secondo il principio del no creditor worse off.
Diversamente dal passato, l’ingresso in procedura non può essere fermato dal tribunale in sede di giudizio di ammissibilità della domanda che ai sensi dell’art. 7 può essere dichiarata inammissibile soltanto quando il piano non sia manifestamente inadeguato a raggiungere gli obiettivi prefissati (art.7, comma 2, lett. b). La valutazione di fattibilità è sostituita all’art. 112 nel caso di approvazione da parte di tutte le classi dalla verifica che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza. Nel caso di approvazione da parte della maggioranza delle classi o di ristrutturazione trasversale non sono previsti requisiti diversi e un’interpretazione letterale potrebbe condurre a ritenere che neppure questa valutazione sia richiesta.
L’opposizione del creditore riguarda soltanto la mancanza di convenienza intesa come mancanza di un trattamento che comporti una soddisfazione non inferiore a quella prevista nel caso di liquidazione giudiziale.
È ragionevole ritenere, sulla base del passato orientamento dei tribunali, che il tribunale verificherà d’ufficio in modo congiunto tutte le condizioni elencate dall’art. 112 per il concordato in continuità indipendentemente dal tipo di maggioranza tra le classi che si è formata e dall’esistenza di un’opposizione.
Tuttavia, l’art. 112 esclude che il rispetto della distribuzione dell’attivo secondo absolute e relative priority rule debba essere verificato dal tribunale quando vi sia l’approvazione di tutte le classi.
Nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) a fronte di una molto maggior libertà del debitore, che è sostanzialmente in bonis anche se soggetto ad un controllo da parte del commissario giudiziale più stringente di quello dell’esperto nella composizione negoziata, sarà possibile al debitore derogare non soltanto alla ripartizione secondo l’ordine delle cause di prelazione, ma anche al fondamentale principio dettato dall’art. 2740 c.c. per cui il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutto il proprio patrimonio.
Senza entrare nella questione, controversa, se la Direttiva Insolvency sia neutra rispetto alla deroga al principio sancito dall’art. 2740 c.c. o facoltizzi tale tipo di intervento (ne deriverebbe nel primo caso che vi sarebbe stato un eccesso di delega rispetto ai principi dettati dalla legge n. 155/2017), va osservato che il sistema disegnato dal codice della crisi è indubbiamente complesso. Non vi è a disposizione dell’imprenditore in difficoltà una sola procedura di crisi, come in molti Paesi, ma addirittura cinque diversi tipi, oltre alle soluzioni liquidatorie, ed al percorso negoziale rappresentato dalla composizione negoziata. Il novero delle scelte si complica se si considera che l’art. 44 consente di accedere alla maggior parte delle procedure facendo ricorso al procedimento con riserva di presentazione della proposta da rimettere ai creditori, beneficiando nelle more delle misure protettive, e che tale scelta è in concorrenza per taluni versi con l’accesso alla composizione negoziata.
Vi è dunque necessità di grande competenza e capacità di previsione se non da parte dell’imprenditore, da parte dei suoi advisors. Inoltre, il voto per classi può portare ad esiti non facilmente prevedibili per il debitore. Se infatti la formazione delle classi è concepita nell’interesse del debitore, che può in questo modo creare una proposta che incontri i diversi segmenti del ceto creditorio, offrendo a ciascuno di essi la soluzione più idonea, tale opportunità rischia di essere compromessa dal fatto che il grande numero di cause di prelazione esistenti nel nostro ordinamento e la mancanza di una soglia medio-alta all’applicazione del voto per classi ( come si è scelto di fare in Francia) rischia di moltiplicare le classi stesse e di rendere difficilmente prevedibile l’esito della votazione. Non senza tacere che la regola prevista dal nostro ordinamento a tutela dei creditori per cui la proposta deve indicare per ogni creditore l’utilità specifica, valutabile in denaro, che questi deve conseguire, regola che non è prevista dalla Direttiva Insolvency, può ulteriormente rendere difficoltosa l’elaborazione del piano.
La distinzione tra valore di liquidazione e valore di continuità, legata comunque al valore di stima dell’azienda nel caso di liquidazione, è un ulteriore fattore di complicazione e di incertezza. Non è forse un caso che tra i principali ordinamenti europei solo l’Italia si sia avvalsa della relative priority rule, sostituita in altri ordinamenti da una absolute priority con contemperamenti affidati alla valutazione del giudice.
Di questi temi tratteranno Massimo Fabiani, Salvatore Leuzzi, Alida Paluchowski, Oreste Cagnasso e Lorenzo Stanghellini per quanto concerne i riflessi sulla corporate governance ed Antonio Caiafa, cui è affidato un tema di particolare rilievo, le sorti dei rapporti di lavoro. La Direttiva Insolvency e con essa il codice ha dedicato un particolare spazio alla tutela dei lavoratori.