Come si è già avuto modo di sottolineare, lo scopo della conduzione unitaria delle trattative relativa a più società appartenenti a un medesimo gruppo è quello di agevolare una valutazione coordinata in merito alla necessità – o, comunque, all’opportunità – di ricorrere a una soluzione della crisi (o pre-crisi), alla sussistenza del presupposto per l’esperimento di quest’ultima e alle concrete prospettive di risanamento, in una logica unitaria destinata a tradursi anche in una riduzione dei costi (in ossequio alle direttive in tal senso di matrice comunitaria). La presentazione di un’istanza unitaria per il gruppo (o almeno per le componenti che presentano i presupposti di cui all’art. 12, comma 1, CCII) potrebbe invero agevolare la valutazione in merito all’esistenza di concrete prospettive di risanamento da parte dell’esperto, al cui vaglio, prima, e inveramento, poi, è diretta la composizione negoziata. Ed è in questa prospettiva che viene previsto un vero e proprio «consolidamento» delle trattative, che si svolgono in modo unitario, con l’intervento auspicabilmente maieutico di un singolo esperto[37].
Il decreto si limita a richiedere un requisito «negativo», prevedendo che lo svolgimento unitario delle trattative possa essere impedito qualora l’esperto reputi che tale soluzione sia eccessivamente gravosa (art. 25, comma 6); per contro, non è contemplata alcuna precondizione «positiva». Va qui segnalata una differenza rispetto alle regole dettate nel titolo sesto, che subordinano la procedural consolidation ad un vaglio di convenienza rispetto all’interesse dei creditori[38]: differenza che trova giustificazione nel carattere interlocutorio che connota la fase di avvio delle trattative e, più in generale, il percorso della composizione negoziata.
Si è peraltro già avvertito che gli amministratori della holding e delle società controllate sono chiamati a un supplemento di attenzione in ordine alla opzione prescelta, considerando comparativamente i corollari positivi e negativi della nomina di un unico esperto preposto alla procedura negoziata. Sul primo fronte la conduzione unitaria delle trattative è destinata a rendere più semplice, effettivo e rapido l’espletamento della negoziazione, come conseguenza del fatto che l’esperto può conoscere direttamente l’insieme delle relazioni e delle transazioni infragruppo e non solo quelle relative alla società, per la cui composizione negoziata è stato nominato; in tal modo si evitano i potenziali conflitti fra più esperti preposti alle diverse procedure negoziali e, più in generale, si favorisce lo svolgimento coordinato del percorso negoziale volto al risanamento di tutte le componenti, conformemente all’unità economica dell’impresa di gruppo[39].
Sul versante opposto lo svolgimento congiunto delle trattative può implicare inconvenienti che vanno oltre quelli additati dal decreto, con una formulazione («renda eccessivamente gravose le trattative») che parrebbe evocare soltanto l’eccessivo carico di lavoro per l’unico esperto[40]. Il profilo più delicato è infatti costituito dai conflitti di interessi che possono insorgere in capo a un soggetto incaricato di agevolare il risanamento di società che svolgono attività fortemente interconnesse e i cui obiettivi potrebbero divergere in vista della ristrutturazione; conflitti resi ancor più evidenti nell’ipotesi, che ricorre quasi sistematicamente nella pratica, di crediti infragruppo, in relazione ai quali si contrappongono gli interessi, da un lato, delle società creditrici (e dei relativi creditori) ad ottenere la maggior soddisfazione del proprio credito e, dall’altro, le società debitrici a pagare il minor importo possibile, eccependo in presenza dei relativi presupposti la natura postergata dei crediti.
In linea di principio, sembra doversi escludere che questi elementi siano valorizzabili attraverso una nozione più lata della «gravosità» delle trattative; e tale dubbio pare tanto più giustificato ove si consideri che la decisione in ordine allo svolgimento delle trattative in modo disgiunto per ogni singola entità del gruppo è qui rimessa, ai sensi dell’art. 25, comma 6, all’esperto, la cui valutazione si sovrappone – in termini inappellabili – alla impostazione unitaria prospettata dalle imprese del gruppo (recte, dalla capogruppo). Sotto questo versante, si coglie la peculiarità della dimensione privatistica della composizione negoziata e la sua differenza rispetto alla disciplina del titolo sesto, che sembra legittimare il tribunale adito a negare, a monte, l’apertura di una procedura unitaria con un unico organo (così, con riguardo alla procedura di liquidazione giudiziale, l’art. 287, comma 2, CCII), con conseguente applicazione dell’art. 288 CCII, che ammette, come alternativa alla procedura unitaria ex art. 287 CCII, distinte procedure per ogni singola componente, con organi diversi.
La differenza fondamentale fra le due previsioni risiede nel diverso soggetto al quale è demandata la valutazione in merito alla opportunità o meno dello svolgimento unitario delle trattative, che nel caso della composizione negoziata è, in linea con il suo carattere stragiudiziale, non già il tribunale, ma l’unico esperto che era stato nominato dalla camera di commercio competente su richiesta unitaria delle società del gruppo[41].
Meno giustificata è l’ulteriore differenza rappresentata dalla regola, contemplata per la sola composizione negoziata, che prevede la possibilità di pervenire a uno svolgimento concentrato delle trattative, nonostante ab origine siano state presentate diverse istanze di nomina di esperti da differenti società del gruppo. Come nella fattispecie simmetrica della separazione successiva, anche in questo caso l’evoluzione deriva da una valutazione degli esperti già nominati, i quali concordino sull’opportunità di una prosecuzione in termini unitari delle trattative «con l’esperto designato di comune accordo tra quelli nominati»[42].
Questa importante novità avrebbe suggerito un opportuno adeguamento della disciplina contenuta nel titolo sesto, che invece continua a non prevedere la possibilità di giungere alla gestione unitaria del concordato in un momento successivo rispetto all'apertura di singole procedure (ai sensi dell’art. 288 CCII), in tal modo parendo escludere l’ammissibilità di quello che viene denominato dalla dottrina straniera come cumulo successivo del concorso[43]. Si tratta di una lacuna che meriterebbe di essere colmata, per la rilevanza operativa dell’istituto, che si manifesta in particolare nelle ipotesi in cui diverse unità del gruppo non soddisfino contemporaneamente il presupposto di ammissione alla procedura concorsuale o quando la convenienza del trattamento unitario per i creditori (condizione prevista tanto dall’art. 284, comma 4, quanto dall’art. 287, comma 1, CCII) non esista ab origine e trovi evidenza soltanto una volta aperte le diverse procedure.
In ogni caso, qualora le trattative siano state avviate in modo disgiunto per le singole imprese del gruppo, è evidente che, anche in assenza di una unificazione successiva, nella maggior parte dei casi rimane ineludibile l’istanza di cooperazione e coordinamento fra i diversi esperti nominati per ciascuna entità. Tale istanza di coordinamento, contemplata espressamente dal titolo sesto per la sola liquidazione giudiziale e per il concordato preventivo (art. 288 CCII), non può non valere anche per gli eventuali accordi di ristrutturazione o piani attestati di risanamento, che si intendessero strutturare in modo autonomo per ciascuna entità del gruppo; e sarà parimenti configurabile con riguardo ai vari esperti chiamati a condurre le trattative nella composizione negoziata in funzione della individuazione della soluzione della crisi che offra il miglior soddisfacimento dei creditori. Pertanto, anche nel contesto di trattative avviate e condotte in modo separato andrà verificata la possibilità di pervenire a un esito unitario di gruppo o, quanto meno, ad una coordinazione delle rispettive trattative e dei relativi approdi, così da offrire maggiori chance di conservazione della continuità aziendale e di soddisfacimento dei creditori rispetto ai risultati conseguibili a livello atomistico[44].
Anche in tale prospettiva sembra doverosa una interpretazione coordinata dell’art. 25 e dell’art. 17 CCII (come già dell’art. 13 e dell’art. 5 del D.L. n. 118), tale da imporre alle società appartenenti a un gruppo – quand’anche optino per la presentazione di separate istanze di nomina dell’esperto – una integrazione della documentazione richiesta da quest’ultima norma con adeguate informazioni sui legami che intercorrono con le società rientranti nel medesimo perimetro della direzione e coordinamento, così da permettere ai singoli esperti di operare di comune intesa la valutazione comparativa tra la prosecuzione in termini atomistici delle trattative o la loro convergenza in termini unitari.
Da ultimo, va sottolineato come, al pari della conduzione ab initio unitaria, anche nell’ipotesi di unificazione successiva non è prevista la possibilità di una pluralità di esperti; dato, quest’ultimo, che potrebbe offrire una indicazione sui limiti del ruolo dell’esperto e sulla netta differenza rispetto a figure che hanno funzione e responsabilità incomparabilmente diverse, quale il commissario giudiziale del concordato preventivo e il curatore della liquidazione giudiziale, rispetto alle quali occorre pertanto evitare trasposizioni in primo luogo nell’approccio e nel modus operandi.
Una ulteriore importante novità, già posta in rilievo nei paragrafi introduttivi, è rappresentata dal possibile coinvolgimento nelle trattative delle società in bonis. Si tratta di un profilo di grande rilevanza, in quanto non è infrequente che, quand’anche la crisi riguardi soltanto alcune entità del gruppo, le imprese in bonis abbiano comunque un loro interesse – autonomo, collegato all’interesse di gruppo o connesso a vantaggi conseguiti e suscettibili di (o destinati a) essere compensati – a intervenire a supporto delle prime[45]. A differenza del titolo sesto, che non affronta espressamente la questione, il settimo comma della norma in esame prevede che le imprese partecipanti al gruppo, che pure non si trovino in una situazione riconducibile neppure alla probabilità di crisi «possono, anche su invito dell’esperto, partecipare alle trattative». Tale disposizione muove dal riconoscimento che la partecipazione anche delle società del gruppo in bonis può risultare economicamente efficiente e quindi decisiva per il risanamento del gruppo. La previsione riflette il naturale «polimorfismo» dei gruppi di società, che può risultare ulteriormente accentuato dalla emersione di crisi. Se, come accennato, il perimetro del gruppo propriamente coinvolto nella composizione negoziata e nei suoi esiti (negoziali o procedurali) non coincide necessariamente con quello del gruppo in funzionamento fisiologico, rimanendo circoscritto alle entità in crisi, ciò non esclude un coinvolgimento proattivo di altre entità del gruppo ai fini del risanamento delle prime in una logica unitaria corrispondente ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale.
A questo proposito va ricordato che le guide lines sovranazionali ammettono senz’altro che una società del sodalizio possa prendere parte su base volontaria alla ristrutturazione del gruppo alla quale sia estranea perché in bonis al fine di supportare la realizzazione di un piano di ristrutturazione delle entità che vi sono coinvolte[46]; ciò sul presupposto che tale partecipazione può costituire uno strumento rilevante ai fini del risanamento di quelle in crisi. In particolare, il coinvolgimento in una soluzione unitaria della crisi di società appartenenti al gruppo in bonis costituisce una scelta la cui opportunità è direttamente proporzionale al grado di integrazione e interdipendenza delle entità che lo compongono. In un tale contesto, la società in going concern del gruppo potrebbe ritenere corrispondente al proprio interesse sostenere, tramite la propria partecipazione, il tentativo di soluzione della crisi esperito rispetto a quelle unità con le quali sussistevano sinergie operative o finanziarie. Anche in assenza di vantaggi ricevuti da precedenti operazioni intragruppo (e come tali suscettibili di «doverosa compensazione», ai sensi dell’art. 2497, comma 2, c.c.), questi interventi non andrebbero considerati, in linea di principio, contrari all’interesse sociale, né tantomeno estranei all’oggetto della società che li compie[47].