Con il disposto della lettera b) del terzo comma dell’art. 11 viene indicato, come ulteriore procedura accessibile dall’imprenditore dopo la conclusione delle trattative il concordato semplificato liquidatorio[2].
È questa, unitamente alla composizione assistita, la vera novità della riforma, non solo e non tanto perché introduce una nuova tipologia di concordato nell’ordinamento ma per il messaggio che il legislatore sembra lanciare, tanto da far ritenere che non sia frutto della legislazione di emergenza ma destinato a costituire uno strumento duraturo.
Se non si vuole parlare di controriforma è certo che la nuova disciplina sconfessa le più recenti scelte sia del legislatore del 2015 che di quello del Codice della crisi in quanto non solo viene rivitalizzato il concordato liquidatorio, che sembrava destinato ad una sostanziale marginalizzazione, eliminando i vincoli costituiti dalla necessità di assicurare il soddisfacimento dei creditori chirografari almeno nella misura del 20% e di incrementare il valore del patrimonio di almeno il 10% con apporti esterni, ma vengono anche ridotte le occasioni di intervento del tribunale, la cui valutazione sul merito della proposta sotto il profilo della fattibilità viene riservato all’omologazione e il cui potere di dettare le modalità della liquidazione viene quasi escluso in caso di offerte di acquisto; in controtendenza è altresì l’esclusione di ogni rilevanza alla volontà dei creditori, la cui approvazione non viene richiesta e che possono unicamente interferire con l’opposizione all’omologa sostanzialmente solo per sostenere la maggior convenienza del fallimento rispetto al piano di liquidazione, così come lo è clamorosamente la circostanza che viene quasi privilegiata la proposta preconfezionata semplificando la procedura di ricerca di soluzioni maggiormente convenienti.
Quella del concordato liquidatorio semplificato è una soluzione vincolata alla trattiva nel senso che è ammissibile solo se vi è stato il previo accesso alla composizione negoziata, posto che si prevede (art. 18, c. 1) che il ricorso per l’omologazione possa essere proposto entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione della relazione conclusiva dell’esperto con cui si dà atto che soluzioni costituite dai nuovi strumenti o dagli accordi di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa speciale non sono praticabili e, al fine di evitare ogni dubbio, con le modifiche intervenuto in sede di conversione, al comma 3, lett. b) è stata aggiunta la precisazione che la domanda di concordato semplificato può essere presentata (solo) “all’esito delle trattative”.
Non è agevole stabilire perché solo per questa soluzione e non per le altre previste dal terzo comma e quindi per tutte quelle previste dalla legge fallimentare e dalla disciplina sulle grandi imprese, sia prevista una specifica dichiarazione dell’esperto nella relazione finale ma una spiegazione potrebbe consistere nella volontà del legislatore di consentire all’imprenditore di trovare una via alternativa al fallimento, salvando il complesso aziendale dallo smembramento, allorquando il confronto con i creditori ha evidenziato che nessuna soluzione che comportasse il consenso anche solo di qualcuno di loro sarebbe stata possibile. In altri termini, non si deve essere trattato di una soluzione perseguita dall’imprenditore fin dall’inizio della negoziazione ma dell’esito di un percorso in cui lo stesso ha ricercato in buona fede una qualche forma di accordo con i creditori, poi non raggiunto per indisponibilità degli stessi o per ragioni oggettive; se ciò poteva già desumersi in via interpretativa, costituisce conferma della volontà del legislatore di consentire l’accesso alla procedura de qua quasi come misura premiale la precisazione, apportata dalla legge di conversione al primo comma dell’art. 18, che ora dispone che il concordato in discorso può essere proposto “Quando l’esperto nella relazione finale dichiara che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede, che non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni individuate ai sensi dell’art. 11, commi 1 e 2, non sono praticabili”.
Rinviando per un esame più approfondito all’intervento sullo specifico tema possono rilevarsi i seguenti punti salienti della procedura.
Il ricorso, per il quale è presumibilmente necessario il patrocinio legale, deve essere proposto avanti al tribunale competente in base al luogo in cui l’impresa ha la sede principale. Non è richiamato espressamente l’art. 9 L.fall. e quindi anche il principio della sterilizzazione degli spostamenti di sede nell’ultimo anno ma la disposizione deve comunque essere ritenuta applicabile in quanto potrebbe diversamente verificarsi un ingiustificato disallineamento tra l’ufficio competente per le misure protettive e le autorizzazioni di cui all’art. 10, individuato invece in base al disposto dell’art. 9 citato.
Mentre non vi sono particolari differenze di disciplina circa gli effetti della presentazione della domanda, con piano di liquidazione e proposta, tra il concordato ordinario e quello semplificato una prima difformità si nota nell’elenco dei documenti da depositare in quanto non è prevista espressamente l’attestazione del professionista qualificato sulla veridicità dei dati e la fattibilità né è richiamato l’art. 161 L.fall. Questo trova la sua ragione nella circostanza che il tribunale deve acquisire non solo la relazione dell’esperto di cui si è dato conto ma anche il parere del medesimo “con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte”. Nulla si dice in ordine al giudizio sulla veridicità dei dati aziendali in quanto questa dovrebbe essere logicamente il presupposto delle trattative portate avanti dall’esperto e dovrebbe quindi risultare dalla relazione.
La circostanza che il documento dell’esperto sia qualificato parere e non attestazione è presumibilmente un modo per non attribuire al professionista una particolare responsabilità ma pare indubbio che questa sussista se il parere è tecnicamente insufficiente.
A tutela dei creditori e a conforto delle valutazioni spettanti al tribunale è prescritta la nomina da parte del medesimo di un ausiliario. È abbastanza curioso che questo organo non sia qualificato come commissario giudiziale (ragioni di limitazione del compenso? diversità di compiti?); certo è che tale scelta comporta, in difetto di altre precisazioni, che per la nomina non sia necessaria alcuna qualifica benché svolga funzioni di sorveglianza analoghe a quelle del commissario (è richiamato l’art. 173 L.fall.) e possa anche assumere il ruolo di liquidatore in determinate circostanze.
Si è messo in rilievo anche nella Relaziona illustrativa che manca la fase dell’ammissione. Questo è senz’altro vero in senso formale in quanto non è prevista una specifica pronuncia in tal senso, come d’altra parte non è prevista nemmeno nella disciplina del Codice della crisi. Che poi non sia previsto lo stesso ambito di valutazione ormai riconosciuto quanto al concordato preventivo comune dovrebbe effettivamente desumersi dalla lettera della norma che prevede solo un giudizio di “ritualità”, e quindi di regolarità, della proposta ma anche dalla considerazione che non è prevista alcuna interlocuzione con il proponente circa l’esistenza e la possibilità di emendare eventuali criticità, presumibilmente sul presupposto che la natura liquidatoria del concordato non comporti problematiche particolari problematicità.
D’altra parte, la valutazione del tribunale in questa fase non può che essere limitata alla ritualità della proposta, terminologia che non rimanda certamente a valutazioni di merito, posto che il giudice ha il supporto unicamente della relazione finale dell’esperto e del parere che, a richiesta del tribunale, lo stesso deve redigere “con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte”, garanzie che, peraltro, potrebbero anche mancare in quanto nessuna disposizione ne impone la sussistenza.
Superato positivamente lo scrutinio della ritualità, il tribunale, come anticipato, provvede alla nomina dell’ausiliario (figura prevista dall’art. 68 c.p.c.) il quale, dopo aver accertato l’incarico, deve redigere un parere sul cui contenuto nulla si precisa ma che evidentemente non può che attenere alla fattibilità del piano concordatario e alle possibilità di soddisfacimento dei creditori in vista della valutazione di convenienza di cui infra.
Sulla sequenza degli adempimenti è opportuno fare ordine in quanto l’incipit del quarto comma (“Con lo stesso decreto”) parrebbe prevedere che con il decreto che nomina l’ausiliario, unico provvedimento previsto nel comma precedente, il tribunale proceda all’ordine di comunicazione ai creditori della relazione dell’esperto (ma ovviamente anche del parere dallo stesso redatto, come opportunamente chiarito in sede di conversione) e del parere dell’ausiliario. Poiché non è ovviamente possibile che il parere dell’ausiliario sia allegato al provvedimento che lo nomina, l’espressione “Con il medesimo decreto” deve essere letta come dicesse “Con un unico decreto” e quindi riferita non già al decreto di nomina dell’ausiliario ma al decreto da emettere dopo il deposito del parere di tale organo con il quale si fissa l’udienza di omologa e contestualmente si dispone la comunicazione ai creditori della relazione e dei pareri di cui si è trattato.
Queste precisazioni importano al fine di individuare i momenti processuali in cui rileva la connessione tra l’andamento della composizione negoziata e concordato semplificato.
Non vi è dubbio che il tribunale possa scrutinare, ai fini dell’ammissibilità della domanda introduttiva non solo la connessione formale rappresentata dalla successione temporale tra percorso di negoziazione e concordato ma anche il collegamento sostanziale tra l’attività di ricerca di una soluzione e l’esito consistente nel deposito della proposta di concordato semplificato. Non pare nemmeno dubbio che il tribunale possa valutare se sussista il presupposto di un rituale accesso alla negoziazione e quindi si pone la questione della legittimazione dell’impresa già in stato di insolvenza. In realtà, se l’esperto ha dato corso alla composizione dovrebbe ritenersi che detta situazione apparisse all’inizio reversibile e che solo l’andamento degli incontri e degli approfondimenti abbia dimostrato che l’unica soluzione possibile fosse il concordato liquidatorio semplificato. È ben difficile, in ogni caso, che una tale valutazione possa essere fatta solo in base alla relazione dell’esperto, visto che la negoziazione si deve necessariamente essere conclusa con un sostanziale via libera al concordato ed è quindi maggiormente plausibile che solo il parere dell’ausiliario possa evidenziare l’insussistenza ab origine del presupposto della possibilità di risanamento.
Discorso diverso può essere fatto circa l’eventuale abuso sia della negoziazione che del concordato semplificato consistente nella preordinata volontà di accedere alla composizione negoziata al solo fine di poter proporre domanda di concordato semplificato in quanto già della relazione dell’esperto il tribunale potrebbe trarre sufficienti elementi indicanti una conduzione delle trattative da parte del debitore del tutto disinteressata a soluzioni diverse e pur praticabili. In tal caso la pronuncia di inammissibilità della proposta potrebbe intervenire già nell’ambito del preliminare esame di ritualità e senza necessità di acquisizione del parere dell’esperto e di nomina dell’ausiliario.
Quanto all’omologazione si è già anticipata l’assenza di voto, così che la contrarietà dei creditori può esprimersi solo con l’opposizione che in sostanza nulla aggiunge al perimetro di valutazione del tribunale che deve comunque d’ufficio accertare “che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare e comunque assicura un’utilità a ciascun creditore”.
È previsto anche espressamente un giudizio di fattibilità che, trattandosi di concordato liquidatorio, è limitato alla prospettiva del soddisfacimento di tutti i creditori in misura non irrisoria.
Un discorso a parte merita il sostanziale revirement compiuto dal legislatore un tema di concordati preconfezionati in cui la destinazione dei beni da liquidare viene sostanzialmente scelta dal proponente.
E’ nota la non lontana avversione del legislatore per tale tipologia di concordati evidenziata con l’introduzione nel 2015 dell’art. 163-bis sulla disciplina delle offerte concorrenti, poi confermata nella sostanza e ancor più di recente dal legislatore del Codice, che subordina l’accettazione del piano del debitore alla ricerca formalizzata di altre offerte e l’effettuazione di una gara avanti allo stesso tribunale cui l’originario offerente può partecipare solo incrementando l’offerta e garantendola.
Con il nuovo istituto il principio viene formalmente mantenuto ma la ricerca di soluzioni alternative è, affidata, piuttosto genericamente, alla verifica da parte del liquidatore dell’assenza di soluzioni migliori sul mercato; questa ricerca, dunque, può essere effettuata in qualunque modo e giustificare un giudizio di assenza di alternative anche sulla sola prova di inutili sondaggi condotti dal debitore; in ogni caso, e questa è un’ulteriore variante, se vengono individuati altri interessati, non viene riproposto il procedimento avanti al tribunale ma la competizione può essere perseguita con procedure competitive anche del tutto deformalizzate, come consente l’art. 182 L.fall. espressamente richiamato.
Da notare, con riferimento al ruolo non marginale dell’ausiliario anche se non qualificato, che lo stesso può assumere quello di liquidatore se il piano prevede che questa se l’offerta debba essere accettata (più razionalmente: se il trasferimento debba essere effettuato) prima dell’omologazione e quindi prima che il tribunale effettui la valutazione di fattibilità e di convenienza, non certo surrogata dalla necessaria autorizzazione alla cessione anticipata.