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Saggio

La nuova disciplina della composizione negoziata di gruppo: primi spunti di riflessione*

Lorenzo Benedetti, Ricercatore di diritto commerciale nell'Università di Pisa, abilitato al ruolo di professore associato

25 Gennaio 2022

*Saggio sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’Autore svolge una articolata riflessione sulla fenomenologia dei gruppi d’impresa nel perimetro inedito della composizione negoziata.
Riproduzione riservata
1 . Premessa
Tra le novità più rilevanti introdotte dal recente d.l. 118/2021 va senz'altro annoverata la previsione di una disciplina ad hoc del gruppo di imprese in crisi, che consente di colmare – almeno per quanto riguarda la composizione negoziata di una situazione di crisi o di precrisi – una vistosa e non più tollerabile lacuna del nostro ordinamento consistente nella mancanza – nell’attesa dell’entrata in vigore degli artt. 284 ss. c.c.i. – di strumenti specifici per la ristrutturazione unitaria di più società assoggettate all’eterodirezione.
Prevedendo la possibilità dello svolgimento di una trattativa unica per tutte le società del gruppo sotto la supervisione di un unico esperto, il d.l., da un lato, ripropone per la composizione negoziata una soluzione assimilabile a quella prevista dagli artt. 284 ss. c.c.i. per il concordato preventivo (e, con i dovuti distinguo, anche per gli accordi di ristrutturazione e per i piani attestati): una soluzione volta a preservare a fronte di una situazione di crisi l’unitarietà che connota il gruppo in giong concern, in base all’assunto per cui una ristrutturazione di gruppo che conservi i legami sinergici creati dall’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento genererebbe un plusvalore che si traduce in una soddisfazione dei creditori migliore di quella attingibile in caso di ricorso a ristrutturazioni individuali per ciascuna società del gruppo[1]. Dall’altro, la novella colma una delle lacune più evidenti della disciplina del gruppo in crisi contemplata dal c.c.i.: quella costituita dalla mancanza – già segnalata[2] – di regole relative al gruppo per l’allerta e per la composizione assistita. È noto infatti che nelle intenzioni del legislatore del d.l. la composizione negoziata rappresenta una sorta di anticipazione dell’allerta prevista dal c.c.i. – sottratta la fase dell’allerta c.d. esterna – e della composizione assistita dagli OCRI, introdotta per sperimentare l’efficienza e l’efficacia di quegli strumenti e per far fronte alle esigenze delle imprese in difficoltà – soprattutto a fronte della crisi post-pandemica – nell’attesa della revisione della relativa disciplina (v. la relazione illustrativa al d.l.)[3]. La disciplina della composizione negoziata di gruppo estende quindi il principio del trattamento unitario della crisi a una fase anteriore all’apertura di una procedura concorsuale propriamente detta e comunque anche al ricorso a uno strumento di regolazione della crisi, potendosi utilizzare il meccanismo di nuovo conio addirittura quando sussiste una mera “probabilità di crisi” (art. 2. comma 1, d.l.). Si amplia dunque la portata applicativa del principio menzionato rispetto alle norme in materia di gruppo contenute nel c.c.i. 
Scopo del presente contributo è quello di svolgere qualche considerazione su alcuni aspetti della composizione negoziata di gruppo, non potendo evidentemente l’intero contenuto precettivo dell’art. 13 d.l. 118/2021 essere esaustivamente trattato nei limiti della seguente riflessione.
2 . La nozione di gruppo
L’art. 13, comma 1, d.l. definisce il gruppo richiamando l’art. 2497 c.c. e dunque l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento. Anche a fini concorsuali si mutua dalla disciplina codicistica la presunzione relativa di esercizio dell’eterodirezione fondata sull’obbligo di redigere il bilancio consolidato e sul controllo, che nel d.l. viene estesa anche all’ipotesi di controllo congiunto. Si deve rilevare peraltro che il d.l. – come già il c.c.i. – non richiama – come invece fa l’art. 2497 sexies c.c. – la fattispecie codicistica del controllo di cui all’art. 2359 c.c.[4]. Sicché parrebbero suscettibili di far presumere l’esistenza del gruppo ai fini del d.l. anche fattispecie di controllo ulteriori, fra le molte presenti nel nostro ordinamento, rispetto a quella codicistica. È stato peraltro sottolineato che in ambito concorsuale – tanto nel d.l. quanto nel c.c.i. – le presunzioni in esame hanno una funzione diversa da quella che gioca nel codice civile. Non si tratta infatti di agevolare la prova della sussistenza della direzione e coordinamento a tutela dei soci e dei creditori delle società del gruppo, ma di semplificare la presentazione dell’unica istanza di accesso alla composizione negoziata da parte delle imprese – di regola, la capogruppo alla quale non può che spettare la decisione in merito alle sorti delle altre componenti del gruppo al manifestarsi di una situazione di crisi o pre-crisi[5] – del gruppo[6]. 
Come già nel c.c.i., anche nel d.l. la vera novità della definizione di gruppo in ambito concorsuale è l’estensione della nozione di gruppo sino a comprendervi anche la fattispecie della holding persona fisica, la quale ha generato un ampio dibattito in relazione all’ambito di applicazione dell’art. 2497, comma 1, c.c.[7]. Tale estensione della definizione di gruppo alla holding personale non è però esente da criticità, giacché le presunzioni dell’esistenza del sodalizio non operano rispetto alla persona fisica, in quanto entrambe riferite – al pari di quelle contemplate dal c.c.i. – all’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento da parte della «società o ente».
Va peraltro osservato che la dilatazione in funzione anticipatoria del presupposto oggettivo della composizione negoziata – il cui ventaglio spazia dalla mera “probabilità di crisi” sino alla insolvenza, purché reversibile – determina un ampliamento, rispetto alla disciplina del c.c.i., del perimetro delle società del gruppo suscettibili di essere coinvolte nel percorso unitario di ristrutturazione. Né la riformulazione del presupposto oggettivo a seguito degli emendamenti introdotti in sede di conversione sembra interferire con tale conclusione, ove si consideri che il riferimento all’insolvenza è stato eliminato «in quanto concetto già ricompreso in quello di crisi», rimanendo ferma – ed anzi, in qualche misura accentuata – «la funzione della composizione negoziata quale strumento di recupero delle imprese risanabili», attivabile dal tutte le entità del gruppo «in stato di illiquidità reversibile» al fine di perseguire il proprio risanamento[8].
3 . L’attività di direzione e coordinamento e la composizione negoziata
Interessante appare la questione concernente l’eventuale impatto della composizione negoziata sull’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, costituente – com’è noto – la condicio sine qua non dell’esistenza del gruppo[9]. Il d.l. 118/2021 prescrive il dovere dell’imprenditore di gestire «l’impresa nel prevalente interesse dei creditori» quando nel corso delle trattative risulti che lo stesso è insolvente sebbene esistano concrete prospettive di risanamento (art. 9, comma 1)[10]. Nel contesto del gruppo questa prescrizione implica che, a seguito del ricorso alla composizione negoziata, l’interesse sociale o l’interesse di gruppo cessa di rappresentare – come evidenziato dalla dottrina tedesca in relazione alla crisi del gruppo – il criterio fondamentale di governo sia delle singole società del sodalizio sia dell’impresa unitaria ad esso sottesa, sostituito dall’obiettivo del miglior possibile soddisfacimento per i creditori di ciascuna singola società. In altri termini, la norma citata pone un vincolo alla discrezionalità gestoria della holding e degli amministratori delle dominate diverso da quello dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale a cui l’una e gli altri devono attenersi, pena la loro responsabilità risarcitoria, nel gruppo in funzionamento fisiologico. Ciò posto, considerata l’intima connessione esistente fra attività di direzione e coordinamento e interesse di gruppo[11], è difficile negare la cessazione della direzione unitaria – per come essa si caratterizza nel gruppo in going concern – a fronte del nuovo obiettivo della gestione individuato ex lege[12].
Strettamente connessa con quella sinora esaminata è l’ulteriore ipotesi nella quale i presupposti per l’avvio della composizione negoziata sussistano rispetto alle società eterodirette, ma non nei confronti della capogruppo. In tale frangente, infatti, può realizzarsi un potenziale contrasto fra l’interesse di gruppo – nel perseguimento del quale la holding continua a impartire le proprie direttive – e l’interesse prioritario dei creditori che diviene per gli amministratori delle eterodirette coinvolte nella composizione negoziata l’obiettivo fondamentale della gestione dell’impresa ai sensi del menzionato art. 9, comma1, d.l. Siffatta situazione è suscettibile di determinare una modificazione rispetto all’attività di direzione e coordinamento della capogruppo: l’eterodirezione, se non funzionalizzata al prioritario perseguimento dell’interesse dei creditori delle dominate in procedura, troverebbe un ostacolo alla sua attuazione nella funzione di “filtro” assolta dagli amministratori delle stesse rispetto all’ingerenza contraria al nuovo paradigma gestorio imposto dalla disposizione citata[13].
4 . I presupposti della composizione negoziata di gruppo
La legge non fornisce una soluzione riguardo alla modalità di accertamento dei presupposti per ricorrere alla composizione negoziata della crisi da parte delle componenti il gruppo. De iure condito e in relazione alle procedure concorsuali tradizionali la giurisprudenza e la dottrina propendono per la necessaria sussistenza del presupposto in capo a ciascuna società[14]. Probabilmente la medesima soluzione dovrebbe essere recepita anche al fine dell’applicazione della nuova disciplina, poiché appare principio generale del nostro ordinamento concorsuale – alla luce delle norme del venturo codice della crisi – quello del rispetto della distinta personalità giuridica dei singoli membri del gruppo[15]. 
Rimane invece incerto se, fermo quanto appena rilevato, si debba attribuire rilievo all’esistenza del gruppo e ai rapporti sinergici, soprattutto a livello finanziario, ad esso sottesi al fine di valutare la sussistenza della probabilità di crisi o di insolvenza – individuati quali presupposti di ricorso alla composizione negoziata – rispetto alle diverse componenti del gruppo.
Al riguardo si deve richiamare, in primo luogo, la riflessione svolta sul problema simile se la valutazione della sussistenza dei due presupposti ai quali il 2 comma dell’art. 2467 c.c. connette la postergazione debba essere condotta «in modo “atomistico”, e cioè con riguardo alla situazione economica e patrimoniale della sola società finanziata» ovvero, piuttosto, «secondo una valutazione complessiva della realtà di gruppo, la quale tenga conto della tipologia di legami e connessioni esistenti tra le varie società che ne fanno parte e del grado del loro accentramento»[16]. Parte della dottrina ha al riguardo sottolineato che il comma 2 dell’art. 2467 c.c. necessiti di essere adattato alla realtà di gruppo. Tale considerazione rileva in particolare in relazione al fatto che, pur nella notevole varietà di opinioni in merito alla ricostruzione delle due pre-condizioni della subordinazione, alle quali fa riferimento l’art. 2467, comma 2, c.c., si può con ragionevole sicurezza affermare che valutare la sussistenza di un rapporto di indebitamento eccessivamente squilibrato significhi verificare il merito di credito della società da sovvenzionare[17]. Ciò posto, la rilevanza dell’appartenenza al gruppo della società finanziata al fine di accertare l’anomalia del prestito a essa concesso sembra trovare un preciso fondamento normativo – sebbene avente carattere settoriale – nelle disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche di cui alla circolare della Banca d’Italia del 27 dicembre 2006 n. 263, Titolo V, capitolo, I, sezione V, ove si prevede che «nel caso di imprese organizzate sotto forma di gruppo…la valutazione del merito creditizio riguarda anche il gruppo nel suo complesso»[18]; e una corrispondenza anche nei criteria utilizzati dalle principali agenzie di rating nell’esprimere la valutazione su società raggruppate[19]. D’altronde, se gli indici di anomalia ex art 2467, comma 2, c.c. impongono di valutare le prospettive di sopravvivenza della società destinataria del finanziamento ovvero la probabilità che la società non sia in grado, rimborsando il finanziamento anomalo, di far fronte regolarmente alle pretese degli altri creditori, appare ulteriormente confermata la necessità di considerare la specificità della posizione della società di gruppo. Pur essendo vero, infatti, che nessuna norma impone alla capogruppo l’obbligo di garantire la permanenza in vita delle società dirette e coordinate[20], è altrettanto certo che in molti casi concreti l’ente in posizione apicale interviene, direttamente o indirettamente, per il pagamento dei debiti delle società dominate, avendo uno specifico interesse a mantenere queste ultime in bonis[21]. Sicché la qualità di società eterodiretta della finanziata pare da annoverare fra le caratteristiche del caso concreto da tenere nella dovuta considerazione, per verificare quando la situazione della stessa sia tale da porre a repentaglio la sua capacità di onorare i debiti[22]. Altrimenti detto: nel contesto del gruppo potrebbe risultare logico svincolare il predetto accertamento da una visione atomistica e condurlo tenendo conto della prassi seguita dalla capogruppo nell’assumere le proprie decisioni di finanziamento o attribuendo rilievo alla situazione del gruppo nel suo insieme al fine di valutare la ragionevolezza della singola scelta di finanziamento della controllata[23].
Simili considerazioni paiono assumere rilevanza anche al fine dell’accertamento dei presupposti del ricorso alla composizione negoziata in presenza di un gruppo di società[24]. Perché, in primo luogo, ampia parte della dottrina ha riconosciuto che i presupposti della postergazione di cui all’art. 2467, comma 2, c.c. si accompagnano generalmente a uno stato di crisi o, addirittura, vengono ritenuti condizioni necessarie sebbene non sufficienti della sua esistenza o coincidenti con esso[25]. Assimilazione che sembra trovare conferma i) in un’ottica generale, nel fatto che decisivi per accertare l’insolvenza sono ritenuti tanto l’incapacità del debitore di ottenere credito quanto lo sbilancio fra attivo e indebitamento[26]; ii) in una prospettiva maggiormente concentrata sul dato normativo, nel fatto che il nuovo codice prevede all’art. 13, comma 1, c.c.i. come «indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario», fra i quali sono annoverabili pure le situazioni contemplate dall’art. 2467, comma 2, c.c.[27]. Ne consegue che l’ottica unitaria riferita al gruppo nel suo complesso che parrebbe dover essere assunta in relazione all’accertamento dei due indici di cui all’art. 2467, comma 2, c.c., risulta trasponibile altresì alla valutazione della sussistenza della crisi o della probabilità della stessa[28]. 
Alle superiori considerazioni deve aggiungersi che l’accertamento della crisi o dell’insolvenza – oggi distinte dal nuovo c.c.i., almeno a livello formale –, così come della probabilità di crisi che l’art. 2, comma 1, d.l. prevede come nuovo presupposto per l’avvio della composizione negoziata, implica una valutazione concernente la situazione finanziaria della società, sulla quale impatta in modo rilevante la struttura finanziaria del gruppo a cui quest’ultima eventualmente appartenga: è difficile condurre l’accertamento del livello di liquidità di una singola società senza tenere conto dei flussi che si realizzano all’interno dell’intero gruppo, e in particolare della gestione degli stessi quale è operata dalla holding nell’ambito dello svolgimento del servizio di tesoreria. «Tutto questo comporta che, pure se l’accertamento dello stato di insolvenza [o di crisi] vada condotto con riferimento alla singola società, non possa prescindersi dall’interdipendenza sul piano soprattutto finanziario esistente tra le società del gruppo, e dunque che si possa tenere conto, secondo le tecniche di consolidamento dei bilanci di gruppo, della capacità di soddisfare con l’attivo esistente i debiti facenti capo a ciascuna delle società del gruppo»[29].
Le considerazioni sinora articolate sulla base dell’ordinamento positivo italiano trovano una ulteriore e significativa conferma nella riflessione sulla questione svolta dalla dottrina tedesca: essa sostiene che non è significativo l’accertamento dei presupposti di apertura dell’Insolvenzverfaren relativamente alla singola società del gruppo (: Zahlungsunfähigkeit, Uberschuldung, drohende Zahlungsunfähigkeit) in conseguenza dell’interconnessione finanziaria che sussiste fra le diverse componenti, per cui gli elementi costitutivi di tali presupposti (per es. la Fortbestehensprognose per l’Uberschuldung e la Zahlungsstockung per la Zahlungsunfähigkeit) vanno verificati a livello consolidato (i.e. in riferimento al gruppo nel suo complesso)[30].
5 . Il contenuto dell’istanza unitaria
La domanda di composizione negoziata di gruppo è proposta dalle imprese interessate nelle forme ordinarie, per il tramite dell’inserimento nella piattaforma telematica prevista dall’art. 3 del d.l. In questo caso ai documenti normalmente richiesti in caso di impresa monade si aggiunge «una relazione contenente informazioni analitiche sulla struttura del gruppo e sui vincoli partecipativi o contrattuali, l’indicazione del registro delle imprese o dei registri delle imprese in cui è stata effettuata la pubblicità ai sensi dell'articolo 2497 bis del codice civile e il bilancio consolidato di gruppo, ove redatto»[31]. Anche sotto questo profilo il d.l. non fa altro che riproporre nella sostanza le previsioni del codice della crisi (artt. 284, comma 4, e 289).
La norma citata costituisce il naturale corollario della scelta legislativa di consentire una gestione “aggregata” delle trattative per il gruppo di società, poiché i legami fra le componenti dello stesso, il grado e la forma delle loro reciproche connessioni, la loro posizione nel sodalizio e, più in generale, la struttura di quest’ultimo rivestono, in generale, un rilievo decisivo al fine di implementare forme sia di coordinamento sia di consolidamento procedurale – come peraltro già evidenziato nella Legislative Guide dell’Uncitral[32] – e, con specifico riferimento all’argomento in esame, per consentire all’esperto di svolgere adeguatamente la propria funzione di agevolatore della composizione negoziata[33]. Non si può infatti non ammettere che un’adeguata conoscenza della composizione, della struttura e delle dinamiche – anche sotto il profilo dei rapporti finanziari – del gruppo costituiscano il presupposto fondamentale per consentire all’esperto sia la valutazione sulle concrete prospettive di risanamento (da cui dipende l’esperimento del tentativo di composizione negoziata o l’archiviazione: art. 5, comma 5, d.l.), da compiere, allora, a livello unitario e “molecolare” (e non “atomistico”); sia la prospettazione di possibili strategie di intervento (art. 5, comma 5). 
La prescrizione in esame, inoltre, esplica una funzione anche nei confronti dei creditori coinvolti nelle trattative, al fine di consentire a costoro l’espressione di un eventuale consenso informato e adeguatamente ponderato rispetto alle proposte provenienti dalle società debitrici. L’esplicitazione del carattere unitario delle trattative deve sollecitare i creditori a esprimere una valutazione di convenienza sulla soluzione della crisi (o precrisi) concernente il gruppo nella sua interezza. Ciò presuppone l’accesso alle informazioni relative alla sua struttura e alle relazioni intercorrenti fra le diverse componenti che la legge mira appunto a rendere disponibili.
6 . Le modalità di svolgimento delle trattative
L’art. 13, comma 2, d.l. prevede che l’istanza per la nomina dell’esperto possa essere unica per tutte le società. Ciò implica a monte una decisione in tale direzione della capogruppo nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento[34].
La soluzione prospettata dalla nuova regola si uniforma a quella prevista in relazione al concordato preventivo e alla liquidazione giudiziale dal c.c.i. per quanto concerne l’unicità degli organi della procedura.
Lo scopo dell’unica richiesta di nomina dell’esperto per più società del gruppo è quello di agevolare una valutazione coordinata in merito alla necessità/opportunità di ricorrere a una soluzione della crisi (o precrisi), alla sussistenza del presupposto per l’esperimento di quest’ultima e alle concrete prospettive di risanamento, oltre che quello di ridurre i costi (in ossequio alle direttive in tal senso di matrice comunitaria). In altri termini, la presentazione di un’istanza unitaria per il gruppo (o almeno per le componenti che presentano i presupposti di cui all’art. 2, comma 1, d.l.) agevola la valutazione fondamentale – che l’art. 5, comma 5, d.l. demanda all’esperto – in merito all’esistenza di concrete prospettive di risanamento, costituente lo scopo – la causa, si può dire – della composizione negoziata.
Ai sensi dell’art. 13, comma 6, d.l. si prevede un vero e proprio “consolidamento” delle trattative (ossia: le trattative si svolgono in modo unitario), con l’intervento di un singolo esperto che svolge i compiti di agevolazione della composizione della crisi di cui all’art. 2, comma 2, d.l. Ciò si evince dallo stesso tenore letterale della disposizione menzionata, dove in relazione alle trattative prodromiche alla composizione negoziata si utilizza l’espressione «svolgimento congiunto» – che trova corrispondenza anche nella sezione III, 3.6 del decreto dirigenziale («trattazione unitaria») – in contrapposizione all’ipotesi nella quale le trattative debbano svolgersi, su decisione dell’esperto, «per singole imprese». 
Nell’ottica della flessibilità della disciplina in funzione della molteplicità delle forme organizzative del gruppo, il decreto dirigenziale ammette, in alternativa all’iniziativa unitaria per la nomina dell’esperto, la possibilità di più istanze presentate dalle imprese del medesimo gruppo, alle quali possono conseguire due diverse modalità di svolgimento delle trattative: sia quella delle trattative congiunte alle quali è preposto un esperto per ogni singola componente il gruppo; sia quella delle trattative separate per ciascuna impresa del gruppo con esperti differenti, ma in presenza di flussi informativi fra le imprese, in modo da realizzare un coordinamento delle distinte trattative modellato sulla previsione dell’art. 288 c.c.i. (sezione III, 3.7). Si noti che quest’ultima previsione del decreto dirigenziale, nel prefigurare obblighi di cooperazione fra le imprese che intendano fruire della composizione negoziata sub specie di reciproci flussi informativi al fine di veicolare informazioni rilevanti per le trattative anche a favore dei differenti esperti ad esse preposti pare costituire una conferma della soluzione proposta da chi scrive anche per ricostruire i rapporti fra imprese di gruppo in concordato al ricorrere dell’ipotesi del mero coordinamento di procedure distinte per correggere l’inadeguata previsione al riguardo dell’art. 288 c.c.i.[35].
Il decreto dirigenziale prevede che in caso di nomina di un unico esperto, questi deve tener conto nella conduzione delle trattative dell’interesse dei creditori di ogni singola impresa del gruppo. Si tratta di precisazione che, sebbene riferita letteralmente soltanto allo svolgimento delle trattative, pare rilevante anche al fine dell’espletamento da parte dell’esperto della valutazione richiesta dai commi 3 e 4 dell’art. 9 d.l. in relazione agli atti di straordinaria amministrazione. Il riferimento all’interesse dei creditori di ogni singola impresa è ovviamente espressione del principio della separazione delle masse attive e passive scolpito anche nella legge delega 155/2017 e riprodotto anche nel c.c.i.
Il d.l. non prevede alcuna precondizione per lo svolgimento unitario della trattative relative al gruppo. Si tratta di un silenzio difficile da giustificare, se si pensa che le più recenti discipline in materia di crisi del gruppo favoriscono ristrutturazioni unitarie purché la concentrazione sia valutata conveniente rispetto all’interesse dei creditori (v. art. 284, comma 4, c.c.i. e i §§ 3a, Abs. 2 e 13a, Abs. 2, Inso, § 37, Abs. 2, StaRUG). 
Come accennato, l’art. 13, comma 6, d.l. prevede però che lo svolgimento unitario delle trattative possa essere impedito dall’unico esperto nominato dalla camera di commercio, qualora costui reputi che tale soluzione sia eccessivamente gravosa[36]. La norma sottende l’assunto per cui la nomina di un unico esperto preposto alla procedura negoziata se, da una parte, rende più semplice, effettivo e rapido l’espletamento delle sue funzioni[37]; dall’altra, implica anche degli inconvenienti, fra i quali il d.l. attribuisce rilevanza giuridica soltanto all’eccessivo carico di lavoro per l’unico esperto (mentre il decreto dirigenziale allude anche alla difficoltà di una trattativa congiunta qualora le imprese del gruppo non mettano a disposizione dell’esperto flussi informativi adeguati), trascurando invece quello maggiormente rilevante costituito dai conflitti di interessi che possono insorgere in capo a un soggetto incaricato di agevolare il risanamento di società che svolgono attività fortemente interconnesse e i cui obiettivi potrebbero divergere in vista della ristrutturazione (si pensi per es. all’ipotesi, ricorrente nella pratica, dei crediti infragruppo: da un lato la società debitrice ha interesse a pagare il minor importo possibile; dall’altro la società creditrice ha un interesse esattamente opposto). La soluzione individuata dal legislatore dell’ultima novella non è assimilabile a quella prevista dall’art. 287, comma 2, c.c.i. per il medesimo problema che insorga in relazione all’organo unico della procedura di liquidazione giudiziale: sebbene non sia possibile in questa sede dar conto dei complessi risvolti applicativi che detta norma può avere[38], mentre il tenore letterale della stessa consente al tribunale adito di nominare organi distinti (per es. più curatori), pur rimanendo ferma l’unitarietà per l’intero gruppo della liquidazione giudiziaria[39]; ai sensi dell’art. 13, comma 6, d.l. l’esperto può decidere che le trattative si svolgano disgiuntamente per ogni singola componente del gruppo. Non è chiaro però se a fronte di singole trattative per ciascuna società del gruppo, l’esperto rimanga unico o si debba procedere a nominare un esperto preposto a ogni singola trattativa. Dubbio che potrebbe però trovare una risposta nel dato sistematico, dal quale può desumersi che ai sensi del d.l. le trattative separate implicano la presenza di un esperto per ognuna di esse[40].
Migliorativa rispetto alla disciplina della crisi del gruppo contenuta nel c.c.i. appare la previsione di cui all’art. 13, comma 8, d.l., ai sensi del quale è possibile pervenire a uno svolgimento concentrato delle trattative nonostante ab origine siano state presentate dalle differenti componenti il gruppo diverse istanze di nomina di esperti ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.l.[41], a condizione che gli esperti già nominati concordino sull’opportunità di uno svolgimento unitario delle trattative con l’intervento di uno soltanto di costoro. Infatti, il c.c.i. nulla dispone circa la possibilità di giungere alla gestione unitaria del concordato in un momento successivo rispetto all'apertura di singole procedure (ai sensi dell’art. 288 c.c.i.), ossia in merito alla ammissibilità di quello che viene denominato dalla dottrina straniera come cumulo successivo del concorso[42]. 
Ebbene, l’art. 13, comma 8, d.l. supera tale mancanza della disciplina del c.c.i. rispetto alla composizione negoziata. Però la previsione pare lacunosa in particolare laddove non menziona i parametri in base ai quali la decisione sull’eventuale riunione delle trattative può essere assunta, sebbene si possa ipotizzare di attribuire rilievo al tal fine al più agevole perseguimento dell’obiettivo del risanamento proprio in generale della composizione negoziata[43]. 
Se si condivide questa prospettiva, appare forse possibile ridimensionare la critica che in sede di primo commento è stata mossa contro tale previsione: quella per cui essa consentirebbe agli esperti separatamente nominati il potere di optare per la formula della conduzione unitaria della composizione negoziata come conseguenza del fatto che i legami accertati dagli stessi fra le imprese aspiranti a prendervi parte vengono ritenuti suscettibili di rendere scarsamente proficua la strada della composizione atomistica, che pure le imprese interessate, nell’esercizio della propria autonomia imprenditoriale, avevano valutato coerente con le rispettive esigenze e con le peculiarità della specifica aggregazione di gruppo. Potere che parrebbe anche comportare una sovrapposizione della scelta degli esperti rispetto a quella contraria compiuta dalla holding nell’esercizio dell’eterodirezione incidente sulla scelta dello strumento per il trattamento della crisi o della precrisi[44]. La disciplina del d.l. può infatti essere giustificata per quanto attiene alla limitazione della libertà di iniziativa economica che essa implica dall’enfasi che essa pone sul risanamento dell’impresa intesa in senso oggettivo (ossia come organizzazione produttiva): se la soluzione unitaria viene giudicata più idonea al conseguimento di quest’ultimo, costituente la migliore alternativa per tutti i creditori[45], la limitazione alla libertà di iniziativa economica trova la propria legittimazione nella tutela del risparmio, avente anch’essa copertura costituzionale nell’art. 47 così come nell’art. 41 Cost.[46]. 
Affinché i diversi esperti eventualmente nominati in conseguenza della presentazione delle plurime istanze per diverse imprese del gruppo possano proporre che la composizione negoziata si svolga in modo unitario assumono rilievo i flussi informativi fra gli stessi, senza i quali diviene difficile per il singolo agevolatore sia essere informato della situazione di crisi o di insolvenza che colpisce altre componenti del gruppo, sia valutare l’opzione alternativa a quella intrapresa dalle diverse società dell’assoggettamento a strumenti negoziali individuali per la composizione della crisi o dell’insolvenza. Di tali flussi, tuttavia, la disciplina legale non fa menzione[47]. Sebbene al proposito possa essere valorizzato per colmare la lacuna la previsione della sezione III 3.6 del decreto dirigenziale, che prevede una decisione di “concerto” dei diversi esperti in carica.
Al riguardo si è sostenuto che per la riunione successiva delle trattative sarebbe necessario non solo che gli esperti concordino su tale soluzione, ma anche che le imprese istanti aderiscano. Ciò in quanto la composizione negoziata di gruppo si apre soltanto su istanza delle imprese del gruppo: si tratterebbe di una regola generale ritenuta non derogabile nel caso in esame[48]. A chi scrive tuttavia tale interpretazione – peraltro praeter legem – non pare inattaccabile. Le imprese facenti parte del gruppo hanno già volontariamente proposto – ognuna individualmente – l’istanza di composizione negoziata. Sicché non sembra che il carattere volontario del nuovo strumento stragiudiziale imponga il consenso delle stesse per passare da trattative individuali a trattative riguardanti congiuntamente tutte le unità del gruppo, ossia per modificare la modalità di svolgimento della composizione negoziata che comunque – seppure in forma “atomistica” – le imprese del gruppo hanno richiesto. Del resto, se la funzione dell’esperto è, ai sensi dell’art. 2, comma 2, d.l., quella di agevolare le trattative al fine del superamento delle condizioni di cui al comma 1 della medesima disposizione e del risanamento; e se gli esperti originariamente designati ritengono nell’ipotesi in esame che l’unificazione delle trattative sia maggiormente funzionale al conseguimento di tali obiettivi, appare allora del tutto congruente che la disciplina positiva riconosca a tale soggetto il potere di scegliere (non già l’an bensì) il quomodo di svolgimento della negoziazione.
7 . Il coinvolgimento delle società in bonis
Diversamente dal c.c.i., che non affronta la questione del coinvolgimento delle società in bonis nella soluzione unitaria della crisi o dell’insolvenza, il d.l. introduce nel comma 7 dell’art. 13 una previsione al riguardo, riconoscendo che la partecipazione delle società che non versino nelle condizioni di cui all’art. 2, comma 1 può risultare economicamente efficiente e quindi decisiva per il risanamento del gruppo. Anzi, la nuova disciplina attribuisce all’esperto la facoltà di invitare eventuali componenti del gruppo che non presentino i requisiti per la partecipazione alla composizione negoziata a prendervi parte.
La previsione trova corrispondenza nelle guide lines sovranazionali[49], le quali ammettono senz’altro che una società del sodalizio possa prendere parte su base volontaria alla ristrutturazione del gruppo alla quale sia estranea perché in bonis al fine di supportare la realizzazione di un piano di ristrutturazione delle entità che vi sono coinvolte.
Il coinvolgimento in una soluzione unitaria della crisi di società appartenenti al gruppo ma in bonis costituisce una scelta opportuna nel caso di gruppi fortemente integrati e connotati da una marcata interdipendenza delle componenti. 
L’art. 13, comma 7, d.l., peraltro, non richiede che si tratti di imprese in bonis aventi sede nel territorio dello Stato. E’ pertanto da ritenere che potranno partecipare alle trattative anche le imprese del gruppo che abbiano la loro sede all’estero e il cui coinvolgimento possa in qualche modo consentire di raggiungere un accordo con i creditori, ad esempio quando occorra procedere alla dismissione di asset che si trovano fuori dall’Italia[50].
8 . I finanziamenti infragruppo
L’art. 10, comma 1, lett. c), d.l. accorda la prededucibilità, se autorizzati dal giudice, anche ai crediti da finanziamenti a favore di società appartenenti a un gruppo come definito dall’art. 13 d.l.
Stando al suo tenore letterale, la norma non disciplina i finanziamenti infragruppo – ossia quelli intercorrenti fra un finanziatore e un sovvenzionato entrambi appartenenti al gruppo –, ma quelli contratti da una o più società appartenenti a un gruppo, senza che venga specificato se il finanziatore debba o meno far parte dello stesso. Ciò nonostante, pare plausibile sostenere che il legislatore minus dixit quam voluit, in quanto le ipotesi in cui il finanziatore di una società del gruppo sia un qualunque soggetto terzo o un socio ricadono già nell’ambito di applicazione dell’art. 10, comma 1, lett. a) e b), per cui l’esigenza di una previsione ad hoc ulteriore si pone soltanto presupponendo che quest’ultima debba regolare i finanziamenti infragruppo non sussumibili entro le fattispecie delle due prescrizioni menzionate. 
Se si accoglie tale ricostruzione, si deve riconoscere allora che la novella esplicita a livello normativo il trattamento degli stessi a differenza di quanto avviene nella vigente legge fallimentare[51]: in quest’ultima la mancanza di una regola espressa dedicata ai finanziamenti infragruppo strumentali a una soluzione extrafallimentare della crisi ha costretto la dottrina a elaborare complesse costruzioni interpretative per determinarne il regime[52].
La ratio della prededuzione quale incentivo dell’erogazione di prestiti infragruppo in caso di crisi è analoga a quella sottesa alla prededuzione accordata dal medesimo art. 10 d.l. a favore dei prestiti da parte dei soci: incentivare il sostegno finanziario fra società appartenenti al medesimo gruppo, che altrimenti – in mancanza della previsione incentivante – sarebbero verosimilmente soggette alla postergazione di cui all’art. 2497 quinquies c.c., qualora eroghino nuova finanza a un’impresa che presenti i presupposti di cui all’art. 2, comma 1, d.l. 
Si tratta di una regola suscettibile di acquisire una portata applicativa particolarmente ampia, perché il sostegno finanziario infragruppo costituisce in generale uno dei fenomeni caratterizzanti le aggregazioni di imprese e perché esso tende a divenire ancora più rilevante in caso di crisi quando insorge l’esigenza di strutturare una soluzione per quanto possibile unitaria del gruppo – nel senso di capace di preservare, nonostante il sopravvenire di una situazione patologica, quelle sinergie e quelle interazioni fra le sue diverse componenti che connotano il gruppo in funzionamento fisiologico –, rendendo così altamente probabile che le imprese eventualmente sane intervengano a sostengo di quelle in crisi così da rendere fattibili soluzioni non attingibili da queste ultime con le loro sole risorse. Evenienza oggetto – come detto – di una specifica previsione normativa nell’ambito della nuova composizione negoziata all’art. 13, comma 7, d.l.
Il legislatore ha utilizzato una tecnica normativa per la quale i parametri per la concessione dell’autorizzazione del tribunale sono premessi nell’incipit dell’art. 10, comma 1, d.l., valendo allora per tutte e tre le seguenti ipotesi di finanziamenti alla composizione negoziata previsti dalle successive lett. a), b), e c).
Si deve tuttavia sottolineare la difficoltà di una trasposizione dei due presupposti della funzionalità alla continuità aziendale e al miglior soddisfacimento dei creditori nel contesto di un gruppo di imprese, con conseguenti delicati problemi interpretativi ai fini di un loro puntuale accertamento.
In merito alla continuità aziendale viene da chiedersi se il finanziamento debba essere valutato dal giudice funzionale a preservare la stessa rispetto alla sola società sovvenzionata o all’intero sodalizio. Come già ricordato, e come conferma la prassi delle ristrutturazioni aziendali di questi ultimi anni, nelle realtà di gruppo il mancato risanamento di una delle componenti può pregiudicare anche quello delle altre in ragione dei legami sinergici esistenti al suo interno. D’altro canto il raggiungimento di una soluzione unitaria per l’intero gruppo (o almeno per quelle unità affette dalla crisi) costituisce l’obiettivo di tutte le più moderne discipline concorsuali in materia[53], compresa quella contenuta nel d.l. in esame che, sul punto, mantiene ferma rispetto alla composizione negoziata l’impostazione già propria del codice della crisi per il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione e i piani attestati. 
Queste ultime considerazioni inducono allora quantomeno a ipotizzare che i finanziamenti funzionali al successo della composizione negoziata unitaria di gruppo debbano essere valutati, al fine della loro autorizzazione, nella prospettiva della loro funzionalità a preservare la continuità aziendale (ovvero il risanamento) di tutte le componenti coinvolte nel tentativo stragiudiziale di ristrutturazione. Del resto, anche chi seguisse una opzione ermeneutica di tipo “atomistico”, secondo la quale la funzionalità alla continuità aziendale andrebbe accertata facendo riferimento alla sola società del gruppo sovvenzionata, non potrebbe non considerare che la valutazione alla quale è chiamato il tribunale assumerebbe comunque connotati peculiari rispetto a quella che esso deve compiere in caso di società monade, essendo – come detto – il risanamento della singola componente inevitabilmente condizionato dall’esito della soluzione della crisi delle altre unità facenti parte del gruppo.
Ancora più complicato in caso di gruppo risulta stabilire quando posa dirsi sussistere la funzionalità del finanziamento da autorizzare al miglior soddisfacimento dei creditori. 
Si tratta, come noto, di un presupposto che già ricorre in varie prescrizioni normative relative al gruppo in crisi del codice della crisi (v. gli artt. 284, comma 4 e 285, comma 2, c.c.i.) e rispetto alla cui interpretazioni si confrontano tesi divergenti.
Al riguardo la dottrina si interroga su quale fra le possibili ricostruzioni di tale clausola generale riferita al gruppo sia suscettibile di essere trasposta all’accertamento del presupposto di cui all’art. 10 d.l. In particolare, si tratta di decidere se il miglior soddisfacimento dei creditori: i) vada inteso in senso “paretiano”, richiedendosi semplicemente che il finanziamento avvantaggia i creditori di una società, senza pregiudicare quelli delle altre entità del gruppo oppure ii) vada accertato rispetto ai creditori di ogni società del gruppo coinvolta nella composizione negoziale, o ancora, all’opposto, iii) vada verificato con esclusivo riguardo alle prospettive di soddisfacimento della sola società che riceve il finanziamento oggetto di autorizzazione.
Nonostante vi siano argomenti a favore di ciascuna di tali soluzioni, parrebbe comunque preferibile l’ultima tra le opzioni interpretative sopra prospettata. Ciò in quanto il presupposto della funzionalità al miglior soddisfacimento dei creditori viene prescritto dalla legge per tutelare l’interesse dei creditori anteriori al finanziamento, che potrebbe essere pregiudicato dall’incremento dell’esposizione debitoria determinata, per di più, dall’insorgere di nuovi crediti antergati nell’ordine di pagamento. Ne consegue allora che la valutazione rimessa al tribunale al riguardo debba essere riferita soltanto ai creditori della singola società sovvenzionata, perché per il principio di separazione delle masse attive e passive che rimane fermo nel gruppo (sia in funzionamento fisiologico, sia in crisi) stante la diversa personalità giuridica delle sue singole componenti il finanziamento da autorizzare può arrecare danno soltanto a costoro, non a quelli delle altre società eterodirette. In altri termini, la valutazione di convenienza del finanziamento esplica la propria funzione di garanzia solo se riferita ai creditori della società finanziata. In tal senso sembrerebbe deporre anche la già menzionata indicazione fornita dal decreto dirigenziale, il quale prescrive che l’esperto nella conduzione delle trattative deve tener conto dell’interesse dei creditori delle singole imprese (sezione III, 3.2). Lo stesso dovrebbe allora valere anche rispetto alla valutazione di competenza del tribunale.
Il regime dei finanziamenti infragruppo è completato dalla previsione di cui all’art. 13, comma 9, d.l., la quale deroga la disciplina della postergazione legale dettata dall’art. 2497 quinquies (che rinvia all’art. 2467 c.c.) per i prestiti eseguiti dopo l’istanza di cui all’art. 2, comma 1, d.l., purché essi siano stati segnalati all’esperto ai sensi dell’art. 9, comma 2 e in relazione a essi l’esperto non abbia iscritto il proprio dissenso ai sensi dell’art. 9, comma 4, d.l.
La ragione della previsione di tale ulteriore previsione sui prestiti infragruppo può forse essere individuata nell’intento di superare un disincentivo al compimento di tali operazioni di sostegno finanziario. Si delineerebbe dunque una tripartizione di finanziamenti infragruppo, i quali possono essere suddivisi fra i finanziamenti postergati in base alle regole generali dettate dal codice civile, i quelli “incentivati” dalla prededuzione, configurabili in presenza dei presupposti più stringenti prescritti dall’art. 10 d.l. (la valutazione di convenienza e di funzionalità alla continuità d’impresa da parte del tribunale e conseguente autorizzazione) e, in una posizione intermedia, quelli “non disincentivati” di cui alla previsione in esame, svincolati da qualsiasi vaglio giudiziale e ricollegati ad un semplice requisito temporale – l’essere stati eseguiti dopo l’istanza per la nomina dell’esperto – e alla mancata iscrizione del dissenso da parte dell’esperto. 
Tuttavia, il senso del regime delineato dal legislatore per i finanziamenti infragruppo risulta poco perspicuo se si pensa che la disattivazione della postergazione legale presuppone la comunicazione del finanziamento infragruppo all’esperto, il quale deve valutare – anche al fine dell’iscrizione del proprio dissenso ai sensi dell’art. 9, comma 4, d.l. – se l’operazione è o meno pregiudizievole per i creditori e per le prospettive di risanamento. Si vuol dire cioè che appare poco probabile che una società del gruppo segua questo iter per ottenere nuova finanza da un’altra componente del gruppo che acquisterebbe il rango di creditore chirografario, quando invece chiedendo l’autorizzazione – fondata su precondizioni non molto dissimili da quelle che deve valutare l’esperto ai sensi dell’art. 9 d.l. – a contrarre il medesimo finanziamento ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c), d.l. potrebbe incentivare il potenziale finanziatore con il beneficio (assai più allettante della disapplicazione dell’art. 2497 quinquies c.c.) della prededuzione. Gli unici motivi che si possono ipotizzare per ricorrere a un finanziamento infragruppo concesso nelle forme dell’art. 13, comma 9 piuttosto che in quelle dell’art. 10, comma 1, lett. c), d.l. è quello per cui la società in crisi non riesca a provare che l’operazione è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori, ma solo la diversa precondizione per cui esso non è pregiudizievole per i medesimi; oltre che la volontà delle società del gruppo di non richiedere l’intervento del tribunale, mantenendo la composizione negoziata in quella dimensione squisitamente stragiudiziale che la connota in via di principio[54].
Sempre in tema di interferenza fra l’art. 13, comma 9 e l’art. 10, comma 1, lett. c), d.l. va rilevato che la prima disposizione si applica soltanto ai finanziamenti down stream dalla holding alle eterodirette o cross stream fra società sorelle. I finanziamenti ascendenti non sono invece menzionati, probabilmente in base all’assunto – per la verità non pacifico[55] – che essi non sono compresi nell’ambito di applicazione dell’art. 2497 quinquies c.c., essendo perciò inutile disporne l’esenzione dalla postergazione. Al contrario la lettera dell’art. 10 d.l. parrebbe ammettere al beneficio della prededuzione qualunque tipo di finanziamento infragruppo, purché ovviamente autorizzato. 

Note:

[1] 
L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, su dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021, 43.
[2] 
L. Benedetti, “Frammenti di uno statuto organizzativo delle società del gruppo in crisi ricavabili dal sistema dell’allerta: prime considerazioni”, in Riv. dir. comm., 2020, I, 715 ss.
[3] 
S. Pacchi, Le misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale (ovvero: i cambi di cultura sono sempre difficili), su ilcaso.it, 9 agosto 2021, 4, secondo la quale la nuova composizione negoziata pare costituire “un edulcoramento concettuale dell’allerta” – sostanzialmente sovrapponibile all’allerta c.d. interna – con conseguente soppressione della fase esterna all’impresa della stessa – realizzato tramite il recepimento pedissequo delle linee guida dettate al riguardo dal legislatore eurocomunitario. Insomma un allerta “riveduta e corretta”; D. Galletti, Breve storia di una (contro)riforma “annunciata”, su ilfallimentarista.it, 1 settembre 2021; Leuzzi, Una rapida lettura dello schema di D.L. recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, su dirittodellacrisi.it, 5 agosto 2021, 1 ss., in cui si afferma che la composizione negoziata costituisce un importante tentativo «di rimozione delle involuzioni strutturali e cadenze burocratiche dell’allerta e della composizione codicistica, adesso disciolte in un procedimento “per la negoziazione” agile e destrutturato»; S. Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, su dirittodellacrisi.it, 28 settembre 2021, 1 ss.
[4] 
Sul punto v. Arato, Il gruppo di imprese nella composizione negoziata della crisi, su dirittodellacrisi.it, 23 novembre 2021, 2 ss.
[5] 
Per ampio approfondimento al riguardo Benedetti, (nt. 2), 715 ss.
[6] 
Panzani, (nt. 1), 45.
[7] 
V. Benedetti, La responsabilità “aggiuntiva” ex art. 2497, 2° co., c.c., Milano, 2012, 189 ss.
[8] 
Così il commento agli emendamenti proposti all’art. 2 d.l.
[9] 
La questione dell’impatto del concordato preventivo e del fallimento sull’esercizio dell’attività di eterodirezione è stata affrontata da Abriani, Holding e continuità aziendale nelle procedure di regolazione della crisi dei gruppi, su dirittodellacrisi.it, 25 marzo 2021, 1 ss.
[10] 
La disposizione trova parziale corrispondenza in quanto prescrive l’art. 19 della direttiva UE, che però anticipa alla fase della crisi il momento nel quale devono essere considerati anche gli interessi dei creditori: «1. Member States shall ensure that, where there is a likelihood of insolvency, directors, as a minimum, have due regard to the following: (b) the interests of creditors, other stakeholders and equity holders…» (su quest’ultima e sui suoi rapporti con la disposizione menzionata nel testo si rinvia a Benedetti, L’organo gestorio fra interesse dei soci e interessi altri: i principi della direttiva sui preventive restructuring frameworks, di prossima pubblicazione).
[11] 
Maugeri, Interesse sociale, interesse dei soci e interesse del gruppo, in Giur. comm., 2012, I, 66 ss.
[12] 
Per considerazioni analoghe riferite all’ordinamento tedesco v. Frege-Nicht, Der Konzern in Insolvenzverfahren, in Flöther, Handbuch zum Konzerninsolvenzrecht, München, 2019, 177 ss. (ma in relazione all’Insolvenzverfahren). In relazione alla disciplina del d.l. 118/2021 v. Abriani-G. Scognamiglio, Crisi dei gruppi e composizione negoziata, su dirittodellacrisi.it, 23 dicembre 2021, 1 ss. Affermano l’operatività della direzione e coordinamento anche nel corso dello svolgimento del concordato Miola, Le operazioni riorganizzative infragruppo nel codice della crisi di impresa, su Rivista ODC, 2021, 649 ss., argomentando, fra l’altro, dal fatto che «la stessa nozione di gruppo di imprese fornita dal c.c.i.i….pure nella sua specialità ha come termine di riferimento la direzione e coordinamento». Si potrebbe però sostenere in senso contrario che il riferimento a quest’ultima rilevi solo al fine dell’accesso a un concordato consolidato o a più concordati coordinati, senza necessariamente implicare la permanenza dell’eterodirezione civilistica nel corso della procedura o delle procedure; Abriani, (nt. 9), 1 ss.
[13] 
Sulla funzione di “filtro” propria degli amministratori delle eterodirette rispetto alla conformità delle direttive impartite dalla capogruppo ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale v. Tombari, Diritto dei gruppi di imprese, Milano, 2010, 111; e con particolare riferimento all’esercizio di tale funzione nella società dominata che non sia in condizione di equilibrio e di solvibilità v. Nieddu Arrica, I principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale nella prospettiva di tutela dei creditori, Milano, 2017, 131.
[14] 
R. Santagata, Sulla ristrutturazione del gruppo mediante costituzione di una società in nome collettivo funzionale al concordato preventivo, in Dir. fall., 2015, II, 641 nt. 4; Poli, Il concordato di gruppo: ii) verifica degli approdi giurisprudenziali con tentativo di ricavare dal sistema le chiavi per un parziale superamento del dogma della separazione delle masse (attive) (Parte II), in Contr. impr., 2015, 109; Cass., 21 aprile 2011, n. 9260, in Dir. fall., 2012, II, 279, con nota di Dell’Osso; Cass., 18 novembre 2010, n. 23344, in Fallimento, 2011, 565, con nota di Signorelli; Cass., 16 luglio 1992, n. 8656, ivi, 1993, 247; Cass., 2 luglio 1990, n. 6769, in Societa`, 1990, 1613; Cass., 18 novembre 2010, n. 23344, in ilcaso.it.; Cass., 8 febbraio 1989, n. 795, in Fallimento, 1989, 609; Cass., 27 giugno 1990, n. 6548, in Dir. fall., 1990, 1349; Cass., 2 luglio 1990, n. 6769, in Fallimento, 1991, 47; Cass., 25 settembre 990, n. 9704, in Fallimento, 1991, 265; Cass., 14 aprile 1992, n. 4550, ivi, 1992, 811; Cass., 9 maggio 1992, n. 5525, ivi; Cass., 7 luglio 1992, n. 8271, ivi, 1993, 33; Cass., 16 luglio 1992, n. 8656, ivi, 1993, 247; Trib. Pavia, 26 maggio 2004; Trib. Roma, 22 maggio 2014, entrambe in ilfallimentarista.it. Analoga posizione è sostenuta dalla dottrina spagnola: M. Flores Segura, op. cit., 98. Peculiare la posizione di Cass., 21 aprile 2011, n. 9260, ivi, 2011, 1163, e ivi, 2011, 1173, che giunge ad ammettere che l’insolvenza di una delle società del gruppo sia condizionata dai collegamenti economici e finanziari all’interno del gruppo e, tuttavia, attribuisce rilevanza agli interventi di sostegno finanziario effettuati dalla capogruppo solo se diretti al ripristino della liquidità di tale specifica società e non del gruppo nel suo insieme.
[15] 
Uncitral Legislative Guide, cit., 21; Frege-Nicht, (nt. 13), 177; Maugeri, Finanziamenti infragruppo e codice della crisi, in Fallimento, 2021, 1311 e nt. 78 dove ulteriori riferimenti.
[16] 
Si tratta, più specificamente, del problema se l’esistenza dei presupposti dell’art. 2476, comma 2, c.c. vada condotto secondo gli stessi criteri applicabili alla società indipendente anche nel caso di prestiti infragruppo. Più specificamente, ci si deve chiedere se sia rilevante per la stima del merito creditizio della società beneficiaria del finanziamento la situazione patrimoniale ed economico-finanziaria della capogruppo o del gruppo nel suo complesso. Al riguardo, Maugeri, Art. 2497 quinquies, in Le società per azioni, diretto da Abbadessa-Portale, Milano, 2016, II, 3130; e Benedetti, Art. 2497 quinquies, destinato al Commentario romano al nuovo diritto delle società, diretto da d’Alessandro; Lolli, Art. 2497 quinquies, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, III, Padova, 2005, 2420.
[17] 
Balp, (nt. 18), 365; M. Campobasso, Art. 2467, in S.r.l. Commentario dedicato a Portale, Milano, 2011, 241. 
[18] 
Tale conclusione ha trovato riscontro anche in dottrina: v. Miola, Attività di direzione e coordinamento e crisi d’impresa, in Società, banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, diretto da M. Campobasso-Cariello-Di Cataldo-Guerrera-Sciarrone Alibrandi, II, Torino, 2014, 2693 ss., Lolli, Art. 2497 quinquies, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, III, Padova, 2005, 2420. Anche con riferimento ai finanziamenti bancari, già de jure condito, non può prescindersi, al fine di verificare la solvibilità della società direttamente finanziata, dalla sussistenza dei legami di gruppo e dalla situazione delle altre società in esso ricomprese, in considerazione della possibile incidenza della crisi di una società sui rapporti creditizi intrattenuti dalle altre: v. la disciplina sui limiti alla concentrazione dei rischi nelle banche, che individua la categoria dei «gruppi di clienti connessi», in quanto costituenti un insieme unitario sotto il profilo dei rischi, sulla base di rapporti di controllo o, comunque, di legami sul piano economico in virtù dei quali, con tutta probabilità, se uno di essi si trova in difficoltà finanziaria l’altro o tutti gli altri potrebbero incontrare difficoltà di rimborso dei debiti (cfr. art. 53, comma 1, t.u.b. e Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia, Titolo V, Cap. 1). Meno intenso appare, viceversa, il meccanismo di segnalazione sulla posizione globale di rischio detenuta da soggetti legati da rapporti economici quali i gruppi di società previsto dalle disposizioni per la segnalazione dei rischi alla Centrale dei rischi della Banca d’Italia, Cap. 1.8 (v. Panzani, Relazione introduttiva al Convegno “Crisi di impresa e risanamento: le responsabilità in caso di default, in Nuovo dir. soc., 2012, 37; e Abriani, Le responsabilità nelle crisi dei gruppi, ivi, 2012, 103): e infatti, anche la giurisprudenza tende a escludere che ai fini della segnalazione dei rischi sia sufficiente la circostanza che altre società dello stesso gruppo presentino una cospicua esposizione debitoria (Trib. Milano, 17 marzo 2004, in Banca borsa, tit. cred., 2004, II, 528).
[19] 
V. M. Campobasso, (nt. 17), 241 il quale equipara il giudizio in merito alla sussistenza dell’eccessivo squilibrio ex art. 2467, 2 comma, c.c. a quello espresso dagli analisti nel formulare un rating. Fra i criteria utilizzati da Fitch, Moody’s e Standard and Poor’s per l’assegnazione di quest’ultimo rientra anche «l’appartenenza ad un gruppo finanziario» ed in particolare la «capacità giuridica e …l’efficacia del gruppo nel sostenere la [società] in caso di crisi» (v. l’indagine di Gibilardo-Mattaroci, La relazione tra rating di gruppo e rating dei membri del gruppo: evidenze dal mercato finanziario italiano, consultabile su http://www.adeimf.it/new/images/stories/Convegni/capri/Mattarocci_Gibilaro_Rating_gruppi.pdf ).
[20] 
Balp, (nt. 18), 364 ove a nt. 81 altri riferimenti.
[21] 
L’interesse può consistere, nell’ipotesi più semplice, nel fatto che la holding partecipa alla società eterodiretta, e ha quindi interesse a mantenere il valore della sua partecipazione. Ma l’interesse della capogruppo può sussistere anche a prescindere dalla partecipazione nella eterodiretta, come dimostra la casistica ricavabile dalla giurisprudenza in materia di revocatoria di revocatoria fallimentare di atti infragruppo per i quali sia consentito rinviare a Benedetti, Gratuità e onerosità delle garanzie per debito altrui a seguito della riforma della revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 2010, I, 864 ss. Uno spunto in merito a quanto si sostiene nel testo si trova anche in Balp, Art. 2467, in Direzione e coordinamento, diretto da Sbisà, Milano, 2012, 292, la quale afferma che per stabilire l’eccessivo squilibrio può rilevare anche la «valutazione…circa l’incidenza di grandezze di natura reddituale, considerato che a una redditività volatile, dipendente da fattori non controllabili, si accompagna un più elevato rischio di instabilità finanziaria». Ora sono frequenti nella pratica ipotesi nelle quali una società fruisce di una stabile fonte di reddito grazie ai rapporti commerciali stabilmente intercorrenti con altra società del medesimo gruppo, riconducibili all’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento. Ne risulta ulteriormente confermata la peculiarità della società di gruppo rispetto all’applicazione dei parametri di anomalia ex art. 2467, 2 co., c.c.  
[22] 
Così si esprime in ordine all’accertamento del requisito dell’eccessivo squilibrio, M. Campobasso, (nt. 19), 241. In altri termini, se in via generale può affermarsi che l’indebitamento è eccessivo quando è tale da porre la società debitrice a rischio di insolvenza, non si vede come sulla sussistenza di una simile situazione di crisi non possa incidere la circostanza per cui la società considerata può fruire, al fine di onorare regolarmente i propri debiti, del sostegno finanziario di altre entità del gruppo che intervengano regolarmente in attuazione di una strategia unitaria.
[23] 
Maugeri, Art. 2497 quinquies, cit., 3130.
[24] 
Al riguardo da ultimo A. Rossi, I presupposti della CNC, tra debiti dell’imprenditore e risanamento dell’impresa, su dirittodellacrisi.it, 30 novembre 2021, 4 ss., il quale riconosce, per un verso, che non esistono presupposti della cnc in senso tradizionale, ma anche, per altro verso, che l’art. 2.1 d.l. riserva ad alcuuni soggetti soltanto che si trovino nelle condizioni previste dalla norma la possibilità si chiedere al segretaria della CCIAA la nomina dell’esperto, per cui «è utile interrogarsi sul perimetro esatto della fattispecie cui possa applicarsi la disciplina in materia di CNC».
[25] 
V., seppure con diverse sfumature, le opinioni di Tombari, Principi e problemi di diritto societario della crisi, in Riv. soc., 2013, 1149; Bonfatti, Il sostegno finanziario dell'impresa nelle procedure di composizione negoziale delle crisi, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2010, 603 ss.; Brizzi, Le fattispecie dei crediti prededucibili da finanziamento nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Dir. fall., 2013, 841; Presti, I crediti dei soci finanziatori nel concordato della società a responsabilità limitata, in Studi in ricordo di Pier Giusto Jaeger, Milano, 2011, 925; D’Aiello, Stato di crisi e finanziamenti “anomali” nella s.r.l., in Banca, borsa, tit. cred., 2014, 2, 355 e nt. 55; Abriani, Finanziamenti “anomali” dei soci e regole di corretto finanziamento nella società a responsabilità limitata, in Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze, a cura di Benazzo-Cera-Patriarca, Torino, 2011, 438; M. Campobasso, Finanziamento del socio, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, 444; Angelici, La riforma delle società di capitali, Padova, 2006, 62; Maugeri, Dalla struttura alla funzione della disciplina sui finanziamenti dei soci, in questa Rivista, 2008, I, 133 ss.; Vattermoli, Crediti subordinati e concorso dei creditori, Milano, 2012, 163 nt. 226; Benedetti, I finanziamenti dei soci e infragruppo alla società in crisi, Milano, 2017, in part. 317 ss.; Trib. Prato, 22 aprile 2014; T. Reggio Emilia, 10 giugno 2015, entrambe su ilcaso.it; Trib. Milano, 4 febbraio 2015, su DeJure. Da ultimo, per una posizione più sfumata di quella proposta nel testo, v. Garesio, I finanziamenti dei soci al banco di prova della crisi, paper presentato al XII convegno dell’associazione Orizzonti del diritto commerciale, Roma, 17-18 settembre 2021, 10 ss.
[26] 
Ambrosini, Crisi e insolvenza nel passaggio fra vecchio e nuovo assetto ordinamentale: considerazioni problematiche, su ilcaso.it, 14 gennaio 2019; Cass., 20 novembre 2018, n. 29913, cit.; Trib. Palermo, 17 febbraio 2006, in Fallimento, 2006, 570.
[27] 
Tombari, (nt. 27), 1149 ss. e M. Campobasso, (nt. 19), 242 che affermano come i presupposti della postergazione si muovano in una prospettiva sia finanziaria che patrimoniale.
[28] 
Per considerazioni analoghe in ordine all’accertamento dei presupposti dell’Insolvenzverfahren, Balthasar, Sanierungsfähigkeit des Konzerns, in Konzerninsolvenzrecht (nt. 13), 56; e nella dottrina aziendalistica italiana Bastia, Crisi e piani di risanamento nei gruppi aziendali, su osservatorio-oci.org. La prospettiva assunta nel testo è fatta propria anche da Ricciardiello, Gli strumenti di prevenzione della crisi dei gruppi tra principi generali e discipline speciali, in Banca Impresa Società, 2018, 347; Id., La crisi dell’impresa di gruppo tra strumenti di prevenzione e di gestione, Milano, 2020, 33 ss.
[29] 
Miola, (nt. 20), 2693 ss., ad avviso del quale il liquidity test va tenuto in considerazione in particolare nei gruppi di società, in quanto esso risulta idoneo a misurare la situazione finanziaria con riferimento all’intero gruppo, e dunque ricomprendendo il complesso delle cross-guarantees esistenti al suo interno. Infatti, attraverso le garanzie prestate reciprocamente da ciascuna delle società del gruppo per i debiti di tutte le altre, sarebbe possibile in astratto valutare la solvibilità in termini consolidati, con riferimento all’insieme delle società del gruppo e all’ammontare complessivo dei crediti vantati nei loro confronti, consentendosi in questo modo, in caso di crisi, di raggiungere risultati analoghi a quelli ottenibili tramite il ricorso a tecniche di consolidamento sostanziale; Abriani-Panzani, Crisi ed insolvenza nei gruppi di società, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, II, a cura di Cagnasso-Panzani, Torino, 2016, 3033. Da ultimo, Ferri jr, Il concordato preventivo di gruppo: profili sostanziali, in I gruppi nel codice della crisi, a cura di Vattermoli, Pisa, 2020, 35; Maugeri, (nt. 16), 1311 nt. 80. 
[30] 
Balthasar, (nt. 28), 52 e 56.
[31] 
Panzani, (nt. 1), 47.
[32] 
Guida legislativa Uncitral, parte III, sez. II, 21.
[33] 
La previsione esaminata nel testo riprende il contenuto normativo del § 13a InsO, ai sensi del quale al fine della richiesta della competenza del fòro di gruppo per la procedura di insolvenza si devono indicare nella domanda una serie di informazioni: Hoffmann, Kooridnierungsmechanismen des deutschen Konzerninsolvenzrechts, Berlino, 2020, 226 ss.; Harder-Lojowsky, Der Diskussionsentwurf für ein Gesetz zur Erleichterung der Bewältigung von Konzerninsolvenzen – Verfahrensoptimierung zur Sanierung von Unternehmensverbänden?, in NZI, 2013, 328; Nella Ley concursal spagnola (2020) v. per la documentazione che deve accompagnare la domanda di apertura del concorso in caso di gruppo di società l’art. 8.2.
[34] 
Abriani-G. Scognamiglio, (nt. 13), 1 ss. 
[35] 
Benedetti, La nuova disciplina della crisi del gruppo: primi spunti di riflessione su talune questioni problematiche, paper presentato al XI convegno dell’Associazione Orizzonti del Diritto Commerciale, Roma, 14-15 febbraio 2020, che confluirà in un più ampio lavoro monografico in preparazione.
[36] 
Per una critica a tale previsione e per una possibile replica alla stessa v. oltre nel testo in relazione alla trattazione dell’art. 13, comma 8 d.l.
[37] 
Tirado, Los administradores concursales, Madrid, 2005, 414. Per ulteriori indicazioni sui vantaggi derivanti dalla nomina di un unico Insolvenzverwalter v. Piepenburg, Faktisches Konzerinsolvenzrecht, cit., 234; Frind, § 56a, in Schmidt (Hrsg.), Hamburger Kommentar zum Insolvenzrecht, Hamburg, 2019, Rn. 23.
[38] 
Per la quale sia consentito rinviare a un lavoro più ampio sul concordato di gruppo in corso di preparazione.
[39] 
In senso conforme a quanto detto nel testo anche G. Scognamiglio, I gruppi di imprese nel CCII: fra unità e pluralità, Società, 2019, 420; Sciuto, Le ragioni della liquidazione giudiziale di gruppo, in AA.VV., I gruppi nel Codice della crisi, a cura di Vattermoli, Pisa, 2020, 66. 
[40] 
Abriani-G. Scognamiglio, (nt. 13), 1 ss. dove si rileva però che la nomina di ulteriori esperti oltre quello originariamente unico comporta un rallentamento della composizione negoziata contro le esigenze di celerità enfatizzate dalla relazione di accompagnamento al d.l.
[41] 
L’art. menzionato nel testo prevede allora un’ipotesi di svolgimento di una composizione negoziata di gruppo che ha un presupposto di avvio diverso da quello previsto dall’art. 13, comma 2, d.l.
[42] 
Flores Segura, (nt. 41), 132 e art. 25 bis l.c.
[43] 
Sul concetto di risanamento come fulcro logico del nuovo istituto V. Minervini, La “composizione negoziata” nella prospettiva del recepimento della direttiva “insolvency”. Prime riflessioni, su ilcaso.it, 17 ottobre 2021, 8 ss.
[44] 
Abriani-G. Scognamiglio, (nt. 13), 1 ss.
[45] 
Così la relazione al d.l. 118/2021.
[46] 
Fabiani, Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi d’impresa, in Nuove leggi civ. comm., 2016, 20, ove a nt. 26 ampi riferimenti alla dottrina che riconduce all’art. 41 Cost. anche la tutela del credito.
[47] 
Le difficoltà applicative sottese alla previsione nel testo sono rilevate anche da Abriani-G. Scognamiglio, op. loc. ultt. cit.
[48] 
Panzani, (nt. 1), 47.
[49] 
V. la parte III della Legislative Guide dell’Uncitral, consultabile su https://www.uncitral.org/pdf/english/texts/insolven/Leg-Guide-Insol-Part3-ebook-E.pdf, 22 ss. e 82 ss. 
[50] 
Panzani, (nt. 1), 46.
[51] 
Per il codice della crisi v. invece l’art. 292, comma 2 che rinvia all’art. 102.
[52] 
V. per alcuni spunti e per riferimenti Benedetti, I finanziamenti dei soci e infragruppo alla società in crisi, Milano, 2017, 79 ss. Nel venturo codice della crisi v. invece il combinato disposto degli artt. 292 e 102.
[53] 
V. la parte III della Legislative Guide dell’Uncitral, consultabile su https://www.uncitral.org/pdf/english/texts/insolven/Leg-Guide-Insol-Part3-ebook-E.pdf, alla quale va aggiunta l’ulteriore model law dell’Uncitral sull’enterprise group insolvency del luglio 2019 (consultabile su unictral.un.org e sulla quale v. anche la draft guide to enactment e il commento del CERIL del 25 novembre 2019 su ceril.eu); la recente riforma dell’Insolvenzordnung tedesca sull’insolvenza del gruppo, entrata in vigore nell’aprile del 2018 (Gesetz zur Erleichterung der Bewältigung von Konzerninsolvenzen); il Reg. del Parlamento europeo e del Consiglio 2015/848 del 20 maggio 2015 sull’insolvenza transfrontaliera, rifusione, nella gazzetta UE 141/19 del 5 giugno 2015 e consultabile su eur-lex.europa.eu.; v., infine, la disciplina spagnola dei concursos conexos ex art. 25 ss. ley concursal. Per ulteriori riferimenti, sia consentito rinviare a Benedetti, I flussi informativi nella crisi di gruppo, in Giur. comm., 2017, I, 271 ss. Sulla distinzione fra un entity law e un enterprise law approach per disciplinare la crisi del gruppo v. Mevorach, Is the future bright for enterprise groups in insolvency? –analysis of UNCITRAL’s new recommendations on the domestic aspects, su http://eprints.nottingham.ac.uk/1677/1/Mevorach_Analysis_of_UNCITRAL_recommendations_for_groups.pdf; Kothari-Bansal, Entity vs. Enterprise: Dealing with Insolvency of Corporate Groups, su ssrn.com, 2019.
[54] 
Devo lo spunto a Niccolò Abriani.
[55] 
Per tutti v. Benedetti, La disciplina dei finanziamenti up-stream della società eterodiretta alla capogruppo in situazione di difficoltà finanziaria, in Riv. soc., 2014, 747 ss.

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