I primi dati relativi all’operatività della composizione negoziata della crisi d’impresa non sono molto confortanti.
Nel primo anno dall’entrata in vigore della procedura di composizione negoziata delle crisi di impresa (CNC), quindi dal 15 novembre 2021 al 15 novembre 2022, in Italia so no state depositate 475 istanze, di cui 32 rifiutate, 95 chiuse e il resto in corso di trattazione [5]. Nei mesi successivi, fino al 15 maggio 2023, si è assistito a un incremento delle domande – salite in totale a 767 –, a un fisiologico (le trattative durano in media 170 giorni) aumento percentuale delle chiusure (in totale 316, pari al 41,7 %), con decremento, però, delle domande rifiutate e aumento di quelle archiviate con esito positivo (39, pari al 12 % delle chiusure), pur rimanendo molto elevato il numero degli esiti negativi (287, pari al 87% delle chiusure) [6].
I principali problemi posti dalla crisi d’impresa sono essenzialmente due. Anzitutto un problema di credito, con conseguente restrizione, da parte dei creditori, della possibilità di ottenerne di nuovo. Occorre poi considerare che la prospettiva dei creditori è tendenzialmente recuperatoria e di breve periodo, dunque liquidatoria, a fronte della naturale – o istituzionale, per le banche – difficoltà a erogare nuovo credito [7]. La condizione è di riuscire a convincere i creditori che, essendo stato messo in campo un piano industriale o comunque di soluzione della crisi [8], dilazionando o decurtando le proprie pretese, otterranno un beneficio maggiore di quello che otterrebbero da una procedura concorsuale.
In secondo luogo, un problema di organizzazione e collocazione sul mercato dell’impresa in crisi, in una situazione complessiva che ha prodotto la crisi e che dalla crisi è stata aggravata.
L’esperto, per costruire una soluzione alla crisi, non potrà che affidarsi alla dialettica tra i soggetti che si fronteggiano [8]: l’imprenditore in crisi, con i limiti operativi e strutturali già evidenziati, creditori lesi e indispettiti da mancati pagamenti preannunciati e spesso già verificatisi, clienti che temono inadempimenti.
La situazione non ottimizza le possibilità dell’impresa di uscita dalla crisi, da un lato perché il potere dei creditori è esercitato molto discrezionalmente, secondo interessi non allineati tra loro, dall’altro perché l’azienda difficilmente da sola – specie quando la crisi emerge in ritardo – riesce a rigenerarsi, dall’altro ancora perché la prospettiva concorsuale genera su tutti i soggetti un effetto distorsivo nelle scelte da assumere.
Se questo è vero, allora è opportuno aprire un altro orizzonte di possibilità cui possano guardare sia l’imprenditore in crisi, sia i creditori, sia l’esperto preposto ad agevolare la soluzione della crisi.
Si tratta, appunto di costruire un mercato delle imprese in crisi, nel senso più ampio del termine cioè delle partecipazioni, delle aziende, dei finanziamenti delle imprese in crisi. In questo mercato la domanda è evidentemente espressa dall’imprenditore in crisi, che chiede soluzioni [9], ma non meno dai suoi creditori, interessati a massimizzare la percentuale di recupero e magari a continuare a erogare credito, in condizioni fisiologiche, al cliente risanato.
Il legislatore non è riuscito a vedere il lato dell’offerta, che invece esiste e deve essere opportunamente sfruttata a beneficio di tutti.
Il lato dell’offerta è costituito da tutte quelle istituzioni finanziarie – in particolare fondi e organismi di gestione, fondi di venture capital dediti al turnaround – che si occupano di e sono specializzati in investimenti in imprese in crisi [10]. Costoro, infatti, esprimono istituzionalmente l’interesse a investire in imprese in crisi, nelle forme più svariate e ovviamente adatte alla diversa e singola situazione.
Invero il capitale privato, quale fondamentale attore del mercato, non può non essere protagonista nella soluzione delle crisi di impresa.
Con l’interessamento di questi soggetti è infatti possibile fornire all’imprenditore e all’esperto agevolatore, un’effettiva ulteriore possibilità operativa di soluzione della crisi aziendale, quando altra non sia praticabile in assenza di fonti di nuova finanza e/o di soluzioni di ristrutturazione aziendale interna.
A quest’ultimo proposito, va sottolineato che i soggetti investitori di cui si tratta dovranno essere selezionati non soltanto per la capacità di credito ma per capacità di dare alle crisi aziendali anche soluzioni imprenditoriali, gestorie, di continuità.
Orbene, costruire il mercato delle imprese in crisi significa istituzionalizzare il contatto tra il tipo di domanda che abbiamo descritto e il tipo di offerta che abbiamo descritto.
Si può notare che anche oggi, quotidianamente, si vendono e si comprano società e imprese, ma la costruzione di un mercato comporterebbe alcuni decisivi vantaggi: - concentrazione della domanda e dell’offerta; - incremento della sicurezza delle transazioni; - incremento del numero delle transazioni; - incremento della velocità delle transazioni [11]. Tutto ciò nell’intento di massimizzare numero e qualità di soluzioni di crisi aziendali e di recupero della continuità.