Saggio
Il dovere di istituire adeguati assetti tra "littera legis", interpretazioni sistematiche ed applicazioni concrete: esiste un obbligo legale di redigere un business plan ed un budget di tesoreria?*
Emanuele Artuso e Renato Bogoni, Dottori Commercialisti in Padova
29 Novembre 2022
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Anche alla luce della nota composizione del tessuto imprenditoriale italiano, gli Autori si interrogano pertanto se la nuova disciplina imponga l’adozione di definite e specifiche misure – quali, ad esempio, la predisposizione di un budget di tesoreria a 12 mesi “rolling” – ovvero la stessa possa essere interpretata in modo “elastico”, seppur nel rispetto complessivo tanto degli obbiettivi del Legislatore quanto dei principi sistematici (coerenza, ragionevolezza, ecc.).
Sommario:
Infatti, conformemente ai principi della normativa comunitaria [1], il Codice della Crisi mira a favorire l’introduzione di meccanismi che consentano alle imprese di rilevare tempestivamente la crisi [2], tramite l’adozione di un’ottica di forward looking, ossia di pianificazione economico e finanziaria, mediante l’implementazione di assetti amministrativi adeguati.
In tale ottica, il primo, ineliminabile tassello normativo è costituito dall’art. 2086, comma 2, c.c., siccome novellato dagli interventi che già dal 2019 lo hanno interessato e che sono stati prodromici all’innesto del Codice della Crisi “vero e proprio” nel coacervo ordinamentale.
Tutto ciò dimostra che se, da un lato, il tema dell’adeguatezza degli assetti organizzativi presenta elementi innovativi introdotti dal Codice della Crisi in funzione della precoce rilevazione della crisi, dall’altro lato trattasi di principio comunque già radicato nell’ordinamento. Come già accennato, infatti, la norma ben si sposa con quanto innovato dalla riforma del diritto societario sin dal 2003 (D.Lgs. n. 6/2003) per le società per azioni negli artt. 2381 e 2403 c.c.: un principio in relazione al quale, in letteratura, già era stato autorevolmente affacciato che, con riferimento alle imprese azionarie, gli assetti organizzativi devono risultare adeguati non solo nella prospettiva di going concern, ma anche per un’efficace, completa, puntuale e tempestiva rilevazione dei segnali della crisi ([5]).
A ben vedere, di questo trittico di disposizioni, solo quanto dettato dalla lettera sub b) pare implicare l’implementazione di uno strumento di pianificazione aziendale, rivelandosi quanto sub a) e c) piuttosto rivolti a fissare gli obbiettivi di pianificazione in termini astratti.
D’altro canto, imporre alle piccole imprese la elaborazione di articolati e puntuali budget di tesoreria significherebbe richiedere un adempimento abnorme, sproporzionato ed avulso da parametri di razionalità, considerata la tipica struttura sulla quale poggiano le stesse. Per tacere, poi, di situazioni tutt’altro che trascurabili ed infrequenti nel tessuto produttivo italiano, quali imprenditori individuali, imprese familiari, piccole società di persone, ecc., che fanno leva proprio sulla snellezza e sulla destrutturazione quale chiave competitiva e che – ex lege – godono di specifiche semplificazioni sul versante adempimentale, latamente inteso (contabile, fiscale, ecc.). In definitiva, in termini se vogliamo semplicistici, ma necessariamente concreti ed icastici, può aver senso imporre al fruttivendolo o al salumiere “sotto casa” l’obbligo di implementare un sistema di budgeting finanziario mensile rolling, a 12 mesi?
- l’art. 18 del D.P.R. n. 600/1973, che consente la tenuta della contabilità semplificata per le piccolissime imprese, il che non è in re ipsa conforme a questo tipo di pianificazione. Infatti, la normativa tributaria prevede sotto certi parametri (400 mila Euro di ricavi, se esercente attività di prestazione di servizi; 700 mila Euro se esercente attività di cessione di beni) una consistente serie di semplificazioni (registri contabili obbligatori, modalità di determinazione del reddito, ecc.), che implica una destrutturazione degli adempimenti di base, ossia quelli attinenti alla registrazione delle operazioni ([13]);
Il quadro così succintamente tratteggiato evidenzia, a nostro avviso, come una lettura dell’intero corpus normativo improntata ai suddetti criteri di ragionevolezza, razionalità, proporzionalità e – soprattutto – coerenza, suggerisca una interpretazione “elastica” delle novellazioni recate dal Codice della Crisi, che tenga sì conto delle disposizioni di Legge, tuttavia “filtrandole” anche alla luce di quanto in concreto utilmente applicabile.
In altri termini, apparirebbe non coerente con il nostro sistema contabile un assetto che impone ad ogni impresa di redigere un budget di tesoreria mensile (con le caratteristiche sopra citate), ma al contempo consente a quelle di minore dimensione (i) di non tenere la contabilità di magazzino, (ii) di non redigere un business plan finanziario (almeno una volta all’anno) per la valutazione delle immobilizzazioni, (iii) o addirittura consente alle imprese di ridottissime dimensioni di tenere la contabilità semplificata.
Innanzitutto, può essere utilmente spesa qualche altra considerazione sulla portata dell’art. 3, comma 3, lett. b), laddove aggancia intimamente la sostenibilità dei debiti, la continuità aziendale e l’arco temporale dei dodici mesi successivi.
- il punto da cui muovere sarà costituito proprio, ed imprescindibilmente, da una tenuta regolare ed aggiornata del proprio impianto contabile, di talché esso possa costituire in ogni momento la base di partenza per qualsivoglia elaborazione;
In definitiva, quindi, la verifica della sostenibilità dei debiti per (almeno) i dodici mesi successivi potrà essere implementata secondo vari sistemi, da intendersi aventi perimetro “a geometria variabile” e non secondo dogmi predefiniti, così da cesellarli in modo adeguato alla natura ed alle dimensioni dell’impresa
Essi potranno certamente articolarsi, nelle imprese più strutturate, mediante l’implementazione di sistemi di budgeting finanziario con aggiornamento mensile, ma nella generalità dei casi potranno essere configurati diversamente; per arrivare, nelle imprese di minime dimensioni, a meccanismi estremamente semplificati, ma che in ogni caso non potranno prescindere da un puntuale e costante aggiornamento contabile, idoneo a fornire all’imprenditore una corretta informazione sullo “stato di salute” dell’impresa.
Note:
Sul coordinamento tra art. 3, Codice della Crisi, e art. 2086, c.c., cfr. ancora F. Lamanna, Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza dopo il secondo correttivo, Milano, 2022, 93 e ss.; nonché, in prospettiva ulteriormente sistematica di raccordo con l’art. 4, Codice della Crisi, L. Panzani, I doveri delle parti, in Dirittodellacrisi.it, 14 settembre 2022, par. 4; nonché, infine, per l’intreccio con le altre disposizioni civilistiche, F. Macario, La riforma dell’art. 2086 c.c. nel contesto del codice della crisi e dell’insolvenza e i suoi riflessi sul sistema della responsabilità degli organi sociali, in Dirittodellacrisi.it, 26 maggio 2022.