Dall’esame complessivo emerge dunque che il codice della crisi rafforza il rapporto tra poteri e responsabilità[93] dell’organo di controllo: dalla tempestiva segnalazione agli amministratori della sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza di accesso alla composizione negoziata, alla vigilanza sull’andamento delle trattative, dall’adeguato perseguimento degli obiettivi del piano di risanamento alle iniziative da assumere, sempre tempestivamente, quando l’insolvenza sia vicina o conclamata. Da questo rafforzamento derivano una serie di conseguenze a cominciare dalla divaricazione delle competenze rispetto a quelle degli amministratori nella prevenzione che diviene più marcata, alla responsabilità che pur rimanendo indiretta, assume profili più autonomi, sempre connessi ai nuovi poteri di iniziativa.
L’inerzia dell’organo di amministrazione, nelle varie fasi, non esonera dalla responsabilità quello di controllo per le relative omissioni per cui è possibile immaginare un concorso nel fatto o nell’omissione ai sensi dell’articolo 2407 c.c.[94]. In tal senso si è espressa anche Assonime con la circolare n. 34 del 7 dicembre 2021, secondo cui qualora l’organo amministrativo non fornisca risposta alla segnalazione, o la fornisca in modo inadeguato, l’organo di controllo può: verbalizzare le proprie ragioni in sede di riunione dell’organo amministrativo (norma di comportamento 3.3.) ed esprimere dissenso sulle norme di corretta amministrazione, evidenziando la possibilità che i sindaci convochino l’assemblea nel caso di mancata attivazione da parte dell’organo amministrativo o per omissione o ingiustificato ritardo da parte dello stesso (ex art. 2406 c.c.), situazione che potrebbe configurare (comma secondo dello stesso articolo) anche un fatto censurabile che legittima la convocazione (norma di comportamento 6.1).
Di conseguenza, al verificarsi di tale ipotesi è auspicabile l’attivazione della dialettica societaria che faccia uso degli “strumenti reattivi” disciplinati dall’ordinamento (convocazione dell’assemblea ex art. 2406, secondo comma, c.c.) previa comunicazione all’organo di amministrazione, per informare i soci sia dell’inerzia, sia delle verifiche e degli accertamenti svolti durante l’attività di vigilanza, sia dello stato di squilibrio della società, sia della concreta prospettiva di risanamento.
Dinanzi ad un’eventuale ritrosia dei soci, il dissidio tra gli organi dovrebbe essere portato all’attenzione del Tribunale, terzo e indipendente, con un ricorso per controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. [95], in sintonia con quanto tipizzato dal Tusp per le società pubbliche. Peraltro, sul piano civilistico un esposto-denuncia al pubblico ministero non è equipollente al rimedio tipico del ricorso per sospetto di gravi irregolarità gestionali, visto che nelle società chiuse non può neppure più provocarne la legittimazione, né può essere finalizzato ad una declaratoria di insolvenza considerato che come vedremo tra poco, l’organo di controllo può provvedervi direttamente. Va peraltro ricordato che il collegio sindacale, a norma dell’art. 2393 comma 3, c.c., può deliberare l’azione di responsabilità a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti nei confronti degli amministratori nelle S.p.a. e per effetto del rinvio dell’articolo 2477, comma 5, cod. civ., nelle S.r.l. E ancora nel caso in cui la situazione di crisi abbia determinato la perdita del capitale minimo della società, i sindaci dovrebbero attivarsi per richiedere al tribunale di accertare la causa di scioglimento della società ex art. 2485 c.c. Senza dimenticare che ove l’organo di controllo risulti a sua volta inadempiente nei vari obblighi i soci potranno revocarlo per giusta causa sia pure con la garanzia dell’approvazione giudiziale prevista dall’art. 2400, secondo comma, c.c.[96]
Nelle società con azioni quotate – con esclusione delle società con azioni quotate solo in mercati regolamentati di altri paesi UE – il collegio sindacale comunica alla Consob le irregolarità riscontrate nell’attività di vigilanza e trasmette i relativi verbali delle riunioni e degli accertamenti svolti e ogni altra utile documentazione (art. 149, terzo comma, TUF). La segnalazione alla Consob rientra nel legittimo esercizio dei poteri strumentali ispettivi che l’ordinamento attribuisce al collegio sindacale. [97]
A questo punto dobbiamo affrontare un tema a nostro avviso finora del tutto sottovalutato dalla dottrina e dirompente sul piano sistematico, ben più rilevante della superata segnalazione all’Ocri[98]. All’organo di controllo è infatti ora consentito di richiedere, direttamente, la liquidazione giudiziale della società a norma dell’art. 37, comma 2, c.c., in deroga alle regole generali di attribuzione della legittimazione alla presentazione di ogni altro strumento di regolazione della crisi[99]. La vecchia legge fallimentare all’art. 6, comma 1 della legge sanciva che “il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero”. Tali disposizioni avevano indotto la dottrina prevalente a ritenere inammissibile l’intervento dell’organo di controllo finalizzato a chiedere il fallimento della società poiché, in relazione al citato articolo 6 L. fall., tale iniziativa spettava esclusivamente ai soggetti a ciò delegati. Nella migliore delle ipotesi i componenti dell’organo di controllo avrebbero potuto indirettamente avere legittimazione solo nella qualità di titolari di pretese creditorie per compensi[100]. Peraltro anche una legittimazione indiretta, per il tramite del P.M., andava esclusa visto che l’art. 7 ne consentiva l’attivazione solo quando l’insolvenza risultasse nel corso di un procedimento penale o nel corso di un giudizio civile[101], ovvero in altre specifiche situazioni espressamente previste dalla norma (fuga, irreperibilità o latitanza degli amministratori, chiusura dei locali dell’impresa, trafugamento, sostituzione o diminuzione fraudolenta dell’attivo)[102].
Ora l’art. 37 CCII prevede che “la domanda di apertura della liquidazione giudiziale è proposta con ricorso del debitore, degli organi e delle autorità amministrative che hanno funzioni di controllo e di vigilanza sull’impresa, di uno o più creditori o del pubblico ministero”. Di conseguenza, come si legge nella relazione ministeriale, viene riconosciuta, in modo innovativo, la legittimazione ad agire anche dei soggetti con funzioni di controllo e vigilanza che devono intendersi “declinati come «organi» (dunque interni alla organizzazione del debitore)” a parte poi gli organi di controllo esterno [103].
Tale legittimazione spetta ora a tutti gli organi di controllo endosocietari, cioè al collegio sindacale e al sindaco unico, così come, nel modello dualistico e monistico, al consiglio di sorveglianza e al comitato di controllo, mentre la domanda di apertura della liquidazione giudiziale non dovrebbe rientrare nella legittimazione propria del revisore esterno, come per gli altri poteri di iniziativa, stante peraltro il più limitato flusso informativo del quale può disporre[104]. Parlando di organi la norma risolve anche la questione dell’esercizio concreto dei nuovi poteri di iniziativa, nel senso che sono collegiali e non individuali, come d’altra parte si ritiene che accada per la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c., la denunzia al Tribunale ex art. 2409 c.c., o l’esercizio dell’azione di responsabilità. E’ chiaro che nel caso di organo collegiale il singolo componente farà valere le sue determinazioni nei confronti degli altri e nel caso in cui resti in minoranza farà emergere in modo opportuno il relativo dissenso, visto che peraltro può in qualsiasi momento procedere, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo (2403 bis, comma 1, c.c.)[105].
Nei casi in cui ve ne siano le premesse (omissioni e ingiustificato ritardo o gravi irregolarità degli amministratori), ci si chiede se la richiesta di liquidazione giudiziale dovrà essere necessariamente preceduta dalla richiesta agli amministratori e\o dalla convocazione dell’assemblea (art. 2406 c.c.) e\o dalla richiesta di controllo giudiziario (art. 2409 c.c. ). Non ci sembra che occorra, alla luce della norma, seguire un iter procedimentale di tipo prudenziale diretto ad evitare iniziative dannose per eccesso di zelo dell’organo, anche se nella normale dialettica tra organi può essere opportuno. Anche perché sarà comunque il Tribunale a verificare l’esistenza dell’insolvenza e semmai a valutare ipotesi alternative che nel frattempo gli amministratori abbiano posto in essere anche per sospendere ogni effetto del ricorso per la liquidazione giudiziale.
Tutto ciò a maggior ragione perché, considerata la natura omissiva della responsabilità[106] dell’organo di controllo, la regola di solidarietà esterna già costituisce un forte deterrente all’accettazione della carica delle migliori professionalità oltre che un incentivo verso la massificazione della delega esterna [108] con funzioni di limitazione della regola della solidarietà (in forza dell’ultimo inciso del primo comma dell’art. 2392 c.c.) [107] e quindi uno strumento così forte attribuisce all’organo una capacità di “moral suation” che probabilmente gli consentità di incidere meglio sulle dinamiche gestionali e sulla dialettica con l’organo amministrativo.
Peraltro i nuovi doveri proattivi dei sindaci fanno rivedere la tradizionale base sistematica della loro perseguibilità anche quali autori eventuali delle fattispecie penali dell’insolvenza. E questo anche col venir meno della vecchia norma dell’art. 14, CCII, vista la permanenza della legittimazione all’istanza per la declaratoria di insolvenza. Con l’abbandono della disciplina della composizione assistita e dell’Ocri in favore della composizione negoziata, è stata eliminata la forte limitazione, per via normativa, della responsabilità solidale dei sindaci rispetto agli amministratori assicurata dall’originario comma 3 della disposizione [109]. Perciò non esistono più forme di dissociazione tipizzate tali da impedire, già a livello normativo, di configurare la responsabilità ex art. 2407 comma 2, c.c., . Non va sottovalutato, quindi, il significato della previsione normativa di poteri proattivi che mirano a incentivare comportamenti la cui omissione ingiustificata si ritorce contro i membri dell’organo di controllo nella valutazione dei presupposti per la responsabilità solidale. Nella riflessione giurisprudenziale l’obbligo della vigilanza comporta dunque, in ragione di tale assetto, che i sindaci possano essere considerati titolari di una posizione di garanzia ex art. 40, comma 2, c.p., avente ad oggetto l’obbligo di impedire le azioni delittuose degli amministratori. [110]