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Saggio

Il Giano Bifronte della Composizione Negoziata della crisi*

Marco Greggio, Avvocato in Padova

27 Aprile 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Leggendo i dati resi disponibili da Unioncamere, appare evidente come dopo più di cinque mesi l’istituto della composizione negoziata della crisi d’impresa non abbia finora incontrato il successo atteso (e auspicato). Tuttavia il numero dei percorsi di CNC, unitamente a quello delle procedure in essere, non pare un efficace “termometro” dello stato di salute della nostra economia. Viviamo in una specie di “bolla”, artificialmente costruita con gli interventi pubblici di sostegno previsti dai decreti emergenziali. Lo stato di crisi delle c.d. zombie firms è destinato, inevitabilmente, a venire alla luce: in questo quadro problematico, la CNC rappresenta un experimentum crucis per il diritto della crisi d’impresa. Cruciale per la virtuosa applicazione della CNC pare essere il rapporto tra l’imprenditore e l’esperto, che può essere metaforicamente rappresentato come Giano Bifronte, la divinità dell’antica Roma simbolo del cambiamento: la dualità tra l’imprenditore e l’esperto dovrà essere composta in unità.
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1 . La quiete prima della tempesta
Dopo più di cinque mesi di vigenza della composizione negoziata della crisi è possibile un primo, seppur parziale, bilancio sull’applicazione del nuovo istituto.
Leggendo i dati resi disponibili da Unioncamere, appare evidente come l’istituto non abbia finora incontrato il successo, se così si può dire, atteso (e auspicato dal Legislatore). Le istanze di composizione negoziata avviate in Italia risultano ancora poche: al 22 aprile erano 175). A detenere il “primato” la Lombardia (con 37 istanze), seguita dal Lazio (24); secondo quanto mostrano i dati, l’istituto sembrerebbe essere utilizzato più nel Nord e nel Centro Italia: al momento, ancora non è stata presentata alcuna istanza in Molise, Valle d’Aosta e nelle province autonome di Bolzano e Trento.
A fronte del numero molto basso di composizioni avviate, gli esperti già iscritti agli albi al 22 aprile erano 1621: 444 iscritti in più rispetto al 15 marzo (e tale numero è destinato ad aumentare esponenzialmente). Tra gli iscritti, v’è una marcata prevalenza dei dottori commercialisti (n. 1607, per una percentuale dell’85%) rispetto agli avvocati (solo 254, per una percentuale del 13%); solo 2 i consulenti del lavoro. Anche in tal caso, il primato spetta alla Lombardia, con quasi un quarto di esperti accreditati sul totale complessivo degli iscritti; in Veneto, per esempio, a fronte di 8 istanze presentate vi sono 197 esperti iscritti: il dato rilevante è che al 22 aprile soltanto il 6% degli esperti ha ricevuto un incarico.
Il 63% dei debitori che hanno avviato il percorso hanno richiesto le misure protettive del patrimonio (ex art. 6). Le imprese sotto soglia rappresentano circa il 6% del totale. Un terzo delle imprese (il 35%) ha effettuato il test pratico (art. 3).
Much ado about nothing? Verrebbe da chiederselo, visti i numeri.
Invero all’indomani dell’introduzione del nuovo istituto molti avevano previsto un utilizzo massiccio della composizione negoziata;[1] d’altronde l’istituto era stato introdotto dal Legislatore proprio per arginare la prevista e prevedibile marea montante delle crisi d’impresa a seguito della pandemia da Covid-19, lasciando il più possibile al di fuori delle aule del tribunale i procedimenti di ristrutturazione aziendale.
Così tuttavia non è stato e v’è da domandarsi il motivo: forse perché l’economia è florida e la crisi è un tema archiviato? Vedendo l’esiguo numero delle procedure (fallimentari e di concordato preventivo) presenti nei tribunali italiani verrebbe da rispondere in senso positivo. Ma così non è, né può essere.
È innegabile che la crisi della (terribile) guerra in Ucraina, innestatasi sulla precedente crisi pandemica (purtroppo non ancora terminata) ha aggravato il quadro economico: il Centro studi di Confindustria ha reso nota una survey su circa 2mila aziende, da cui emerge che il 16,4% di queste ha già ridotto la produzione per l’aumento dei costi e le difficoltà di approvvigionamento causate dalla guerra; un altro 35,9% delle imprese, inoltre, prevede una tenuta della capacità di produzione fino a massimo tre mesi.[2]
Il numero delle procedure e dei percorsi di composizione negoziata non pare essere, attualmente, un efficace “termometro” dello stato di salute della nostra economia. Viviamo in una specie di “bolla”, artificialmente costruita con gli interventi pubblici di sostegno previsti dai decreti emergenziali. Lo stato di crisi delle c.d. zombie firms è destinato, inevitabilmente, a venire alla luce:[3] è recente la notizia che 500 mila imprese, pari al 43% dei contribuenti, non sono state in grado di pagare le rate delle imposte pregresse e sospese a seguito della normativa emergenziale Covid-19.[4]
Trattasi quindi, probabilmente, di uno stato di quiete prima della tempesta.
In questo quadro problematico, la composizione negoziata rappresenta un experimentum crucis per il diritto della crisi d’impresa: riuscirà il nuovo istituto ad essere un valido strumento per aiutare le imprese ad uscire dallo stato di squilibrio economico-finanziario e, quindi, essere risanate?
Per spingere gli imprenditori ad utilizzare l’istituto, ora sono in discussione alcune modifiche al Codice della Crisi (la cui entrata in vigore è stata - nuovamente – posticipata - con il “decreto PNRR 2” - di circa due mesi, dal 16 maggio al 15 luglio 2022): modifiche che prevedono, tra l’altro, la segnalazione per iscritto dell’organo di controllo (ove presente) all’organo amministrativo della sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza di composizione negoziata, nonché la segnalazione (sempre all’imprenditore) da parte dei creditori pubblici qualificati (Agenzia delle entrate, INPS, INAIL e Agente della riscossione).[5]
Staremo a vedere se le modifiche proposte diverranno diritto positivo: il cantiere del diritto della crisi d’impresa è sempre aperto. Parafrasando Eraclito, il flusso del diritto della crisi è in continuo divenire e non si tramuta (mai) nell’Essere immutabile (parmenideo).
2 . Le due teste del Giano Bifronte: l’esperto e l’imprenditore
Fin dall’introduzione dell’istituto si è osservato come la riforma portata dal decreto n. 118 e dalla successiva legge di conversione comportano un cambio di cultura nell’approccio al tema della crisi d’impresa e nella gestione delle soluzioni.[6]
Cambio di cultura che, necessariamente, richiederà tempo per gemmare non solo tra gli imprenditori ma anche tra i professionisti. E una delle problematiche cruciali per la virtuosa applicazione della composizione della crisi è proprio il rapporto tra l’imprenditore e l’esperto.[7]
Rapporto nella composizione negoziata che può essere metaforicamente rappresentato come un Giano Bifronte, la divinità dell’antica Roma degli inizi e del cambiamento da cui, peraltro, deriva la propria etimologia il mese di gennaio (Ianuarius) che apre le porte del nuovo anno; dio raffigurato con due volti, uno che guarda al futuro e l’altro al passato.
La (necessaria) dualità tra l’imprenditore e l’esperto dovrà essere composta in unità (e pluribus unum) per una virtuosa applicazione dell’istituto; le due teste (esperto/imprenditore) dell’istituto, che hanno ruoli e funzioni diverse, dovranno fattivamente collaborare per la riuscita delle trattative, dialogare e capirsi; il passato, a cui naturalmente tende l’imprenditore in crisi (memore dei “bei tempi antichi”) dovrà coniugarsi con il futuro, cui dovrà guardare l’esperto (analizzando il business plan e le prospettive di continuità aziendale e di risanamento); al vecchio, dovrà sostituirsi il nuovo, in un’ottica di cambiamento e tournaround.
Per fare ciò è necessario quindi un cambio culturale di non poco momento, sia imprenditoriale che professionale: imprenditoriale, affinchè gli imprenditori non guardino con diffidenza ai professionisti che rivestono il ruolo degli esperti (come spesso accade nelle procedure disciplinate dalla legge fallimentare), ma li considerino quasi al pari di “ausiliari” dell’impresa il cui compito è aiutare l’imprenditore stesso a uscire dalle sabbie mobili della crisi; professionale, in quanto l’esperto non è (e deve capire di non essere) un curatore o un commissario giudiziale. Sarà quindi necessario formare dei professionisti con una nuova forma mentis, diversa da quella di veri e propri undertakers, vicini (e non ostili) all’impresa, preparati nel campo della continuità aziendale (e non esperti della sola discontinuità e liquidazione dei beni).
A tal fine la Circolare del Ministero della Giustizia del 29 dicembre 2021 [8] ha chiarito quali sono gli incarichi attestanti l’esperienza maturata nel campo della ristrutturazione aziendale e della crisi d’impresa: commissario giudiziale e commissario straordinario; attestatore; gestore della crisi incaricato della ristrutturazione dell'impresa agricola; advisor, anche legale, con incarico finalizzato alla predisposizione e presentazione di piani di risanamento attestati, di piani in accordi di ristrutturazione dei debiti, di convenzioni e/c accordi di moratoria con più creditori, nonché di piani e proposte di concordati preventivi o fallimentari in continuità o misti; advisor, anche legale, con incarico finalizzato alla soluzione delle problematiche fiscali per la ristrutturazione del debito tributario e previdenziale ovvero con incarico in ambito giuslavoristico funzionale alla gestione dei rapporti con dipendenti; attività di amministrazione, direzione e controllo in imprese interessate da operazioni di ristrutturazione concluse con piani di risanamento attestati e di accordi di ristrutturazione dei debiti e concordati preventivi con continuità aziendale se omologati relativi ad aziende. Di fatto il Ministero ha sposato la linea del CNDCEC, escludendo i curatori fallimentari (attirandosi al riguardo non poche critiche).[9]
Allo stato – la figura dell’esperto come descritta nell’articolato di legge pare più esistere nella mente del legislatore che nel mondo professionale. I necessari corsi di formazione di 55 ore rappresentano certamente un passo in avanti, necessario ma non sufficiente, nella direzione della rescue culture auspicata dalla Direttiva Insolvency.[10] Serve un deciso cambio di mentalità rispetto a quanto sinora – con rare eccezioni – si è registrato nell’ambito della crisi d’impresa. E anche l’imprenditore dovrà fare la sua parte: al riguardo si dovrebbero rendere obbligatori anche appositi corsi di formazione per la classe imprenditoriale (e non solo ai professionisti).
3 . Il principio di buona fede
Il principio su cui si fonda il rapporto esperto/imprenditore è che il primo non si sostituisce al secondo. L’imprenditore - come noto - mantiene la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa (art. 9, comma 1).[11]
Affiancandosi all’imprenditore, l’esperto viene nominato per (cercare di) perseguire il risanamento dell’impresa; a tal fine, agevola le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati, onde individuare una soluzione per il superamento della situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza (art. 2, comma 1). L’esperto assiste l’imprenditore nel dialogo con i creditori e le altre parti interessate per tutta la durata della procedura di composizione negoziata: la sua figura, in forza della terzietà ed indipendenza dovrebbe fornire ai creditori e alle parti interessate un maggiore affidamento sull’assenza di intenti dilatori o poco trasparenti dell’imprenditore in crisi, essendo chiamato a verificare (i) la funzionalità delle trattative rispetto al risanamento e (ii) l’assenza di atti pregiudizievoli per i creditori.[12]
In generale, il rapporto tra l’imprenditore e l’esperto, al pari del rapporto con tutte le parti coinvolte nelle trattative, dovrà essere improntato ai principi di buona fede e correttezza. Trattasi del canone previsto dagli articoli 1175 e 1137 del codice civile: vera e propria “clausola generale” di comportamento delle parti nelle trattative e nel percorso di composizione negoziata in generale.
Nell’applicare tale principio, in particolare da un lato l’imprenditore ha il dovere di rappresentare la propria situazione all’esperto - oltre che ai creditori e agli altri soggetti interessati - in modo completo e trasparente, fornendogli tutte le informazioni utili o necessarie all’espletamento del proprio incarico (laddove tra le “informazioni” v’è da ricomprendere anche tutta la documentazione richiesta dall’esperto), nonché di gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori (art. 4, comma 5).
Dall’altro lato, l’esperto dovrà operare in modo professionale, riservato, imparziale e indipendente (art. 4): ciò dovrebbe essere garanzia per l’imprenditore che le informazioni date all’esperto non siano utilizzate impropriamente e fuoriescano dal perimetro della composizione negoziata. Il decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia emanato in data 28.9.21 (il “Decreto dirigenziale”) precisa (art. 8.4) che l’esperto “salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, è tenuto alla riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante le trattative”.[13]
4 . I doveri dell’imprenditore in pendenza delle trattative
Per evitare che la dualità del rapporto imprenditore/esperto diventi un ossimoro, il d.l. 118 disciplina partitamente alcuni aspetti riguardanti il rapporto tra l’imprenditore e l’esperto, imponendo precisi doveri.
Ove risulti nel corso della composizione negoziata che l’impresa è insolvente ma sussistono concrete prospettive di risanamento, l’impresa deve essere gestita nel prevalente interesse dei creditori (art. 9, comma 1, secondo periodo). A tal riguardo il Decreto dirigenziale precisa che (articolo 7.5) “non vi è di norma pregiudizio per la sostenibilità economico-finanziaria quando nel corso della composizione negoziata ci si attende un margine operativo lordo positivo, al netto delle componenti straordinarie, o quando, in presenza di margine operativo lordo negativo, esso sia compensato dai vantaggi per i creditori, derivanti, secondo una ragionevole valutazione prognostica, dalla continuità aziendale (ad esempio, attraverso un miglior realizzo del magazzino o dei crediti, il completamento dei lavori in corso, il maggior valore del compendio aziendale rispetto alla liquidazione atomistica dei beni che lo compongono). Con le trattative in corso e ancora sussistendo concrete prospettive di risanamento, la gestione, in caso di insolvenza, dovrà avvenire nel prevalente interesse dei creditori.”
L’imprenditore dovrà dunque agire in un’ottica conservativa: si tratta pertanto dello stesso dovere già vigente in presenza di una causa di scioglimento della società (artt. 2446, 2447, 2482-bis, 2482-ter, 2484 c.c.).
Il comma 2 dell’art. 9 dispone che l’imprenditore debba informare preventivamente l’esperto del compimento di atti di straordinaria amministrazione, nonché dell’esecuzione di pagamenti che non siano coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento. Sul punto il Decreto dirigenziale precisa (articolo 7.2) che “è opportuno che l’esperto, nel corso del primo incontro, faccia presente all’imprenditore che, con preavviso adeguato, deve informarlo preventivamente per iscritto e tramite la Piattaforma Telematica quando intenda porre in essere atti di straordinaria amministrazione e tutte le volte che i pagamenti che intende eseguire possano non risultare coerenti con l’andamento delle trattative e le prospettive di risanamento. A tal fine è opportuno che l’esperto indichi i tempi in cui l’informativa dovrà intervenire”.
A) Gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione che necessitano di preventiva comunicazione all’esperto da parte dell’imprenditore sono elencati, ancorchè in via soltanto esemplificativa, nel Decreto dirigenziale (Sez. III, articolo 7.3): le operazioni sul capitale sociale e sull’azienda; la concessione di garanzie; i pagamenti anticipati delle forniture; la cessione pro soluto di crediti; l’erogazione di finanziamenti a favore di terzi e di parti correlate; la rinunzia alle liti e le transazioni; le ricognizioni di diritti di terzi; il consenso alla cancellazione di ipoteche e la restituzione di pegni; l’effettuazione di significativi investimenti; i rimborsi di finanziamenti ai soci o a parti correlate; la creazione di patrimoni destinati e forme di segregazione del patrimonio in generale; gli atti dispositivi in genere.
Visto che quello portato dal Decreto dirigenziale è un elenco esemplificativo, e non esaustivo, qualche considerazione in merito pare opportuna. In generale, come noto, gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione sono quelli che modificano o alterano la consistenza del patrimonio su cui incidono. In particolare, in tema di crisi d’impresa il perimetro degli atti di straordinaria amministrazione è stato precisamente delimitato dalla giurisprudenza: sono gli atti idonei ad incidere negativamente sul patrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenza o compromettendone la capacità a soddisfare le ragioni dei creditori, in quanto ne determinano la riduzione ovvero lo gravano di vincoli e di pesi cui non corrisponde l’acquisizione di utilità reali prevalenti su questi.[14]
Costituiscono invece atti di ordinaria gestione dell’azienda quelli strettamente aderenti alle finalità e alle dimensioni del suo patrimonio, che - ancorché comportanti una spesa elevata - lo migliorino o anche solo lo conservino, nonché quelli relativi alla prosecuzione dei rapporti negoziali pendenti, ove inerenti alla gestione caratteristica dell’impresa e non incidenti in modo innovativo sul suo patrimonio.[15]
Pertanto, la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione dovrà essere valutata di volta in volta, alla luce dell’attività concretamente svolta dall’impresa, della sua dimensione, della natura dell’atto e della sua incidenza sul patrimonio aziendale. In ogni caso, anche alla luce dell’applicazione di tale concetto nelle procedure, per esempio nei concordati preventivi, laddove la consuetudine di richiedere autorizzazioni ex art. 161 settimo comma l.f. è oramai divenuta di ampia latitudine, nonché del rapporto virtuoso e collaborativo tra debitore ed esperto auspicato dal legislatore, sarà buona prassi che l’imprenditore, laddove incerto sulla natura dell’atto che intende porre in essere, non esiti a notiziare prontamente l’esperto di tale atto.
B) Anche riguardo i pagamenti la loro “non coerenza” andrà valutata caso per caso, in relazione sia allo stato delle negoziazioni in essere con i creditori, sia alle concrete possibilità di risanamento dell’impresa e quindi di uscita dallo stato di crisi della stessa. Tale clausola, assai generica, rischia di portare a difficolta applicative di non poco momento: per esempio in tema di pagamento dei crediti indifferibili o dei creditori c.d. “strategici” (che poi risultano due facce della stessa medaglia), laddove si potranno prevedibilmente registrare visioni differenti tra l’imprenditore (per il quale spesso tutto è urgente e indifferibile) e l’esperto, che sarà normalmente portato a valutare in un’ottica più prudenziale i pagamenti necessari per la gestione dell’impresa e coerenti con le trattative in corso e le prospettive di risanamento.
Cercando di risolvere a monte i problemi, il Decreto dirigenziale – con uno sforzo apprezzabile e di non poco momento - suggerisce (Sez. III, articolo 7.4) “di fare particolare attenzione ai pagamenti diversi dai seguenti: il pagamento di retribuzioni a dipendenti; il pagamento di provvigioni ad agenti e di compensi a collaboratori coordinati e continuativi; il pagamento di debiti fiscali e contributivi; il pagamento di debiti commerciali, nei confronti di coloro che non siano parti correlate, e comunque nei termini d’uso o se finalizzati a non pregiudicare il ciclo degli approvvigionamenti di beni o servizi; il pagamento di rate di mutuo e canoni di leasing alle scadenze contrattuali, quando non sia in essere una moratoria dei pagamenti; tutte le ipotesi in cui il mancato pagamento determini la perdita del beneficio del termine in caso di rateazione.” I pagamenti non ricompresi in tale elenco, quindi, potenzialmente possono essere non coerenti – in virtù di una specie di presunzione legale – e devono valutati con particolare attenzione dall’imprenditore e, quindi, anche dall’esperto.
In ogni caso è certamente auspicabile che l’imprenditore coinvolga ab ovo i propri consulenti nel rapporto con l’esperto, per instaurare una fattiva interlocuzione volta ad evitare da un lato il compimento di atti non consentiti dalla norma, dall’altro le relative conseguenti responsabilità. Difficile, anche per tale verso, ipotizzare per il debitore l’accesso ad una composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa senza l’assistenza di un professionista di fiducia durante tutto il “percorso” della composizione negoziata.
5 . I doveri dell’esperto
Nella fase delle trattative l’esperto ha precisi doveri in relazione agli atti che l’imprenditore sta per compiere. 
Anzitutto deve segnalare per iscritto – e attraverso la Piattaforma Telematica (meglio descritta nella Sezione 5 del Decreto dirigenziale) - all’imprenditore e all’organo di controllo (se nominato) l’atto che ritiene possa arrecare pregiudizio (i) ai creditori, (ii) alle trattative o (iii) alle prospettive di risanamento. L’imprenditore può fornire chiarimenti in proposito (Sez. III, art. 7.9 del Decreto dirigenziale) e allorquando ritenga ugualmente di compiere l’atto, nonostante la predetta segnalazione, l’esperto può iscrivere il proprio dissenso nel registro delle imprese nei successivi dieci giorni. Tale facoltà diviene invece un preciso dovere allorquando l’atto compiuto pregiudica gli interessi dei creditori.
Alcune considerazioni, in ordine sparso, riguardo i doveri dell’esperto.
Il Decreto dirigenziale evidenzia (Sez. III, articolo 7.6) che l’esperto, nel valutare il pregiudizio ai creditori, tiene anche conto della sostenibilità economico-finanziaria dell’impresa e dei vantaggi per i creditori, derivanti, secondo una ragionevole valutazione prognostica, dalla continuità aziendale. Non vi è pregiudizio, ad esempio, quando i finanziamenti richiesti siano necessari ad assicurare la continuità aziendale e l’impresa sia in grado di rimborsare i finanziamenti attraverso i soli flussi derivanti dalla continuità stessa. Vi è viceversa pregiudizio, ad esempio, quando le utilità per i creditori vengano compromesse, anche solo parzialmente, dalla maggiore esposizione debitoria derivante dal finanziamento (Sez. III, art. 7.9).
Inoltre il Decreto dirigenziale precisa, in più parti, ciò che “è opportuno” l’esperto compia (per es. nella Sez. III, agli articoli 1.4, 3.5, 3.6, 7.2, 7.5, 8.7, 8.10, 8.12 etc.), limitando così di fatto la discrezionalità dell’azione dell’esperto, imbrigliato in veri e propri pattern comportamentali (con ciò denotando una certa sfiducia da parte del legislatore nell’operato dei professionisti esperti laddove lasciati liberi di agire).
6 . Le conseguenze della mancata informazione da parte dell’imprenditore
I doveri dell’esperto indicati dall’art. 9 della Sez. III, sono invero collegati e, in qualche modo, subordinati, al preciso dovere di informazione che ha l’imprenditore: informazione all’esperto ex ante rispetto all’atto che vuole compiere ovvero ex post laddove, nonostante la segnalazione dell’esperto, l’imprenditore abbia ritenuto ugualmente di compiere l’atto. L’art. 9 si limita a disciplinare le conseguenze degli atti compiuti dall’imprenditore nonostante il dissenso dell’esperto (previamente notiziato degli atti stessi), ma nulla prevede in caso di mancata informazione da parte dell’imprenditore (scientemente ovvero per negligenza, imprudenza o ancora imperizia) degli atti che ricadono nell’ambito del comma 2.
Tali conseguenze sono ricavabili comunque da una lettura sistematica delle norme.
(i) Come precisato dal Decreto dirigenziale (Sez. III, art. 7.10), l’esperto, venuto a conoscenza dell’atto o del pagamento, può esprimere in ogni momento il proprio dissenso, se ne sussistono i presupposti, attraverso l’iscrizione nel registro delle imprese. 
Facile prevedere come tale iscrizione, visibile a qualsiasi interessato, possa avere effetti deleteri per l’impresa debitrice.
(ii) L’art. 12, comma 4, del d.l. 118/21 prevede la “responsabilità dell’imprenditore per gli atti compiuti” (e quindi ancor più nonostante la segnalazione per iscritto dell’esperto).
Responsabilità civile non solo per violazione dei doveri di informazione imposti dall’art. 9 ma anche dei più generali doveri di comportarsi secondo buona fede e correttezza (art. 4, comma 4) e di gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori (art. 4, comma 5). E il danno causato da tale omissione sarà commisurato al pregiudizio causato agli interessi dei creditori.
(iii) Vi saranno inoltre eventuali responsabilità penali, ricavabili a contrario dall’ultimo comma dell’art. 12, laddove si prevede l’inapplicabilità dei reati di bancarotta fraudolenta e di bancarotta semplice per i pagamenti e le operazioni compiute nel periodo successivo all’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto effettuati in coerenza con l’andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell’impresa (nonché per gli atti autorizzati dal tribunale a norma dell’art. 10).
(iv) Infine, ma non da ultimo, gli atti di straordinaria amministrazione ed i pagamenti effettuati nel periodo successivo all’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto, compiuti nonostante l’espresso dissenso dell’esperto iscritto nel registro delle imprese, sono assoggettati all’azione revocatoria ordinaria e fallimentare (artt. 66 e 67 l.f.). Al riguardo, l’art. 12 comma 3 lascia aperta la possibilità di revocatoria anche per gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere nel corso del percorso di composizione negoziata laddove non coerenti con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti.
7 . La segnalazione e il dissenso
La segnalazione dell’esperto ha la valenza di potenziale deterrente nei confronti dell’imprenditore dal compiere atti ritenuti lesivi dell’interesse dei creditori sociali ovvero delle trattative in corso o ancora delle prospettive di risanamento. La formulazione della norma porta a prevedere che nella prassi con tutta probabilità la frequenza delle segnalazioni per iscritto dell’esperto sarà ampia, finanche per tutelarsi da eventuali proprie future responsabilità.
Peraltro potrebbero sorgere responsabilità anche in capo all’organo di controllo, ancora più dopo l’eventuale fallimento della società debitrice, laddove - a seguito della segnalazione dell’esperto rimasta “lettera morta”– i sindaci non abbiano provveduto a segnalare al tribunale l’irregolarità di gestione compiuta (ex art. 2409 c.c.).
L’iscrizione del dissenso dell’esperto nel registro delle imprese – che è una facoltà nel caso in cui l’atto sia compiuto dall’imprenditore nonostante la segnalazione ma un obbligo nel caso in cui l’atto pregiudichi gli interessi dei creditori - ha la funzione, invece, di notiziare i creditori del compimento di atti potenzialmente dannosi, con le conseguenze sopra enunciate laddove posti in essere ugualmente dall’imprenditore.
Nel caso di concessione delle misure protettive o cautelari (artt. 6 e 7) l’iscrizione del dissenso dell’esperto rende obbligatorio per l’esperto inviare al tribunale la segnalazione prevista dall’articolo 7 comma 6: il giudice che ha emesso le misure così potrà, sentite le parti interessate, (i) revocare le misure stesse o (ii) abbreviarne la durata quando esse non soddisfino l’obbiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori.
Nel caso di conduzione delle trattative in presenza di un gruppo d’imprese, il comma 9 dell’art. 13 prevede l’esclusione della postergazione dei finanziamenti eseguiti in favore di società controllate oppure sottoposte a comune controllo, in qualsiasi forma pattuiti (quindi parrebbe anche crediti commerciali non riscossi) e dopo la presentazione dell’istanza per la nomina dell’esperto presso la Camera di commercio competente, laddove l’esperto abbia ritenuto di segnalare il potenziale pregiudizio per i creditori ma non di iscrivere il proprio dissenso presso il registro delle imprese.
8 . Considerazioni conclusive
Il successo del nuovo istituto della composizione negoziata si misurerà in gran parte sul comportamento degli stakeholders nel corso dalla fase delle trattative, e in particolare degli istituti di credito, oltre che dell’imprenditore (anche – e soprattutto - nei confronti dell’esperto).
Fermo restando che l’accesso all’istituto non può costituire causa di revoca degli affidamenti concessi alla società debitrice (art. 4, comma 6), v’è da evidenziare tuttavia la problematica del rapporto con gli istituti di credito: la circostanza che l’impresa auto-dichiari una situazione di crisi comporterà - con tutta probabilità - che la banca classifichi a UTP [16] la posizione non appena aperta la negoziazione, ancora più ogni volta che vengano richieste misure protettive.[17] A tacer della circostanza dei probabili (leggasi: sicuri) mancati rinnovi degli affidamenti alla loro scadenza naturale nella fase delle trattative.[18] Bisognerà valutare, sul piano empirico, quale sarà la concreta reazione degli istituti di credito nei confronti delle imprese che accederanno alla composizione negoziata, anche alla luce delle stringenti norme regolamentari che di fatto imbrigliano (e irrigidiscono) il comportamento degli istituti di credito: vero è che l’art. 6 prevede il dovere delle parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza nel corso delle trattative (comma 4) e di collaborare lealmente e in modo sollecito con l’imprenditore (comma 7), ma tali clausole generali rischiano di divenire “di stile” nella concreta applicazione dell’istituto, laddove nulla pare impedire agli istituti di rifiutare il rinnovo degli affidamenti a seguito della loro scadenza. A tacer del fatto che la norma parla soltanto di “revoca” e non menziona l’ipotesi della “sospensione” degli affidamenti stessi.
Per altro verso, cruciale sarà – come detto - il rapporto tra l’imprenditore e l’esperto, anch’esso – nella penna del legislatore - improntato ai principi di buona fede e collaborazione: principii, che si estrinsecano in un preciso /e costante) dovere di informazione in capo all’imprenditore, la cui concreta applicazione andrà valutata caso per caso. Il Decreto dirigenziale sembra condurre per mano l’esperto nella propria attività, fornendo una serie di suggerimenti riguardo comportamenti “opportuni”, divenendo un vero e proprio vademecum di best practice la cui inosservanza potrà comportare la responsabilità dell’esperto.
Va infine rilevato come tale istituto si innesta in un contesto non certo facile: nel nostro Paese manca la cultura della prevenzione e della precoce emersione della crisi, l’imprenditore si rivolge ai professionisti esperti di crisi, normalmente, allorquando la situazione è già compromessa, spesso irrimediabilmente. Sicchè il ricorso ad un istituto volto a comporre la crisi diventa un rimedio “di ultima istanza”: quando non c’è più nulla da fare l’imprenditore capisce che…bisogna fare qualcosa. Quasi un ossimoro. In mancanza di un retroterra culturale favorevole, quindi, difficilmente il nuovo istituto avrà il successo auspicato dal Legislatore.

Note:

[1] 
Cfr. G. Negri, Attese 10.000 procedure di composizione della crisi, 5.11.21, in Il Sole 24 Ore.
[2] 
Cfr. Centro Studi di Confindustria, L’economia italiana alla prova del conflitto in Ucraina, 2 aprile 2022, in www.confindustria.it
[3] 
Al riguardo si veda il recente paper di Banca d’Italia n. 650 del novembre 2021, Zombie firms and the take-up of support measures during Covid-19, a cura di M. Pelosi, G. Rodano e E. Sette: il numero delle imprese zombie era stimato alla fine del 2019 in circa il 3-5% delle società esistenti e la previsione è che aumenterà sensibilmente quest’anno.
[4] 
M. Pollio - F. Pongiglione, Le imprese rischiano una valanga di fallimenti, in Italia Oggi, n. 55, p. 2 del 7.3.22.
[5] 
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il 17 marzo 2022 lo schema di decreto legislativo recante “Modifiche al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in attuazione della direttiva (UE) 2019/1023“ (c.d. direttiva “Insolvency”). Le modifiche sono frutto delle proposte avanzate dalla Commissione per l’elaborazione di interventi sul Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, istituita con decreto del 22 aprile 2021 dalla Ministra Cartabia e prorogata con successivo decreto del 22 settembre 2021.
[6] 
Cfr. S. Pacchi, Le misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale (ovvero: i cambi di cultura sono sempre difficili), in Ristrutturazioni Aziendali, 9 agosto 2021, p. 14.
[7] 
Tra i primi commenti al nuovo istituto (in ordine di pubblicazione) cfr. Fabiani, La proposta della Commissione Pagni all’esame del Governo: valori, obiettivi, strumenti, in Dir. crisi, 2 agosto 2021; Leuzzi, Una rapida lettura dello schema di D.L. recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e risanamento aziendale, in Dir. crisi, 5 agosto 2021; Pacchi, Le misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale (ovvero: i cambi di cultura sono sempre difficili), in Ristr. Az., 9 agosto 2021; Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in Dir. crisi, 25 agosto 2021; Farolfi, Le novità del D.L. 118/2021: considerazioni sparse “a prima lettura”, in Dir. crisi, 6 settembre 2021; Jorio, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, in Dir. crisi, 28 settembre 2021; Jorio, Alcune riflessioni sulle misure urgenti: un forte vento di maestrale soffia sulla riforma!, in Dir. crisi, 1 ottobre 2021; Rossi, I presupposti della CNC, tra debiti dell’imprenditore e risanamento dell’impresa, in Dir. crisi, 30 novembre 2021; Fauceglia, Qualche riflessione, “in solitudine”, sulla composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, in Ristr. Az., 12 dicembre 2021; Panzani, La composizione negoziata alla luce della Direttiva Insolvency, in Ristr. Az., 1 febbraio 2022; Guidotti, La composizione negoziata e la direttiva Insolvency: prime note, in Dir. crisi, 2 febbraio 2022; Ranalli, Dall’allerta alla composizione negoziata. Flessibilità, semplificazione e trasparenza del nuovo strumento, in Dir. crisi, 24 febbraio 2022; Pacchi, L’allerta tra la reticenza dell’imprenditore e l’opportunismo del creditore. Dal codice della crisi alla composizione negoziata, in Ristr. az., 14 marzo 2022. 
[8] 
Rubricata “Linee di indirizzo agli Ordini professionali per l’attività di selezione delle domande per la formazione degli elenchi regionali degli esperti indipendenti nella composizione negoziata della crisi d’impresa (articolo 3, decreto-legge 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 ottobre 2021, n. 147)”, in www.giustizia.it.
[9] 
I Consigli Nazionali dei Dottori Commercialisti e degli Avvocati hanno emanato, rispettivamente in data 27/10/2021 e 17/12/2021, i propri Regolamenti sulle modalità di formazione, tenuta e aggiornamento dei dati raccolti dagli Ordini territoriali e comunicazione alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la formazione dell’Elenco di cui all’articolo 3, comma 3, decreto legge 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147.
[10] 
Direttiva del Parlamento e del Consiglio, 20 giugno 2019, n. 2019/1023 UE riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva (c.d. “Direttiva insolvency”). Al riguardo: cfr. V. Minervini, La “composizione negoziata” nella prospettiva del recepimento della direttiva “insolvency”. Prime riflessioni, in www.ilcaso.it, 17 ottobre 2021; M. Perrino, Disciplina italiana dell’allerta e Direttiva Insolvency: un’agenda per il legislatore, in www.dirittodellacrisi.it, 31 agosto 2021.
[11] 
D’altronde la stessa Relazione illustrativa al d.l. 118/21 specifica come “l’istanza di nomina dell’esperto non apre il concorso dei creditori e non determina alcuno spossessamento del patrimonio dell’imprenditore”. Al riguardo cfr. S. Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in Ristrutturazioni Aziendali, www.ilcaso.it, 23 agosto 2021.
[12] 
Sul ruolo dell’esperto cfr. P. Riva, Ruoli e funzioni dell’esperto facilitatore, in Ristrutturazioni Aziendali www.ilcaso.it, 30 settembre 2021.
[13] 
Sempre nell’ottica della riservatezza, l’esperto potrà redigere un “sintetico verbale” degli incontri con l’imprenditore e le parti interessate, contenente l’elenco (non il contenuto) della documentazione trasmessa (art. 8.5 del Decreto dirigenziale) e, “in ogni caso l’esperto non è tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nell’esercizio delle sue funzioni, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità” (salvo quanto previsto dall’articolo 7, comma 4).
[14] 
Cass., 20 ottobre 2005, n. 20291; Trib Treviso, 28 giugno 2017; Trib. Padova, 21 febbraio 2014; Trib. Pinerolo, 9 gennaio 2013; Trib. Terni, 28 dicembre 2012, tutte in www.ilcaso.it.
[15] 
Ex multis cfr. Cass., 21 ottobre 2011, n. 2194; nel merito cfr. Trib. Milano, 11 dicembre 2012 e Trib. Prato, 14 giugno 2012, entrambe in www.ilcaso.it; Trib. Terni, 12 ottobre 2012, in www.osservatorio-oci.org.
[16] 
Unlikely To Pay, ovvero inadempienze probabili: cfr. Quaderno n. 88 della Commissione Proc. Concorsuali ODCEC Milano e SAF Lombardi, a cura di P. Rinaldi-G. Rocca in www.dirittodellacrisi.it.
[17] 
P. Rinaldi, La difficile compatibilità tra insolvenza e credito bancario nella composizione negoziata, 15 febbraio 2022, in www.dirittodellacrisi.it. Per l’Autore l’istanza di composizione comporta certamente un evento SICR, con un passaggio a stage 2 della posizione del debitore, anche se nota che allo stato mancano istruzioni da parte del regolatore bancario sulla classificazione di queste esposizioni. 
[18] 
Al riguardo cfr. P. Rinaldi, La composizione negoziata della crisi e i rapporti con gli intermediari creditizi, in Riv. Ristrutturazioni Aziendali, www.ilcaso.it, 9 settembre 2021.

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