Dal discorso sull’oggetto della proposta nel concordato con continuità diretta si può utilmente passare alla trattazione del tema, assai dibattuto, della destinazione dei flussi di cassa derivanti dalla continuità. La discussione verte sulla possibilità di considerare i flussi di cassa come finanza esterna e sulla conseguente possibilità di destinarli al pagamento dei creditori senza necessità di rispettare l’ordine delle cause legittime di prelazione[50].
Secondo la tesi favorevole, siccome i flussi della continuità futura non esistono nel patrimonio dell’imprenditore nel momento in cui si potrebbe/dovrebbe procedere alla liquidazione del suo patrimonio (il momento in cui viene presentata la domanda di concordato), essi sarebbero da considerare come finanza esterna, sulla quale i creditori non vantano diritti, con la conseguenza che il debitore potrebbe farne quello che vuole, in particolare, distribuirli a suo piacimento tra i creditori, in deroga al divieto di “alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione” (art. 160, comma 2, legge fall.[51]).
Messa in questi termini, non c’è da stupirsi che l’impostazione del tema abbia avuto scarsa fortuna nella giurisprudenza di merito[52], fino al rifiuto netto espresso dalla Corte di Cassazione[53]. I flussi della continuità diretta, in quanto generati dall’utilizzazione del patrimonio del debitore (vincolato alla soddisfazione dei creditori ai sensi dell’art. 2740 c.c.), sono finanza nuova, ma non possono essere considerati finanza esterna, la quale consiste in risorse messe a disposizione dei creditori da qualcun altro, nei confronti del quale i creditori non vantano alcun diritto.
Tenuto fermo questo principio, il tema della destinazione dei flussi di cassa della continuità diretta merita tuttavia di essere trattato e analizzato tenendo ben distinti tre diversi piani: quello dell’oggetto della proposta di concordato con continuità diretta; quello del presupposto per la degradazione al chirografo dei crediti privilegiati; quello, infine, del trattamento da riservare ai crediti privilegiati degradati.
Se è vero, come si è scritto sopra, che l’imprenditore che propone ai creditori un concordato con continuità diretta deve offrire pagamenti in esatte percentuali sull’ammontare dei loro crediti, discende che, qualora i risultati della continuità siano superiori alle aspettative di piano, gli utili eccedenti rispetto a quanto necessario per adempiere al concordato resteranno all’imprenditore e, una volta adempiuti integralmente gli obblighi concordatari, potranno anche essere distribuiti ai soci. In questo fortunato caso, solo apparentemente si distribuiscono utili ai soci senza avere pagato integralmente i creditori, perché, in realtà, l’omologazione del concordato ha trasformato gli originari diritti dei creditori (con il loro consenso espresso nelle forme di legge) in quelli corrispondenti alla proposta del debitore, sicché la distribuzione degli utili ai soci avviene dopo che sono stati integralmente pagati i debiti, quali risultanti all’esito dell’omologazione del concordato. Tale eventuale surplus rispetto alle previsioni di piano e alle risorse necessarie per adempiere il concordato, se può essere distribuito ai soci, ben potrebbe essere attribuito liberamente anche a taluni creditori, senza alcuna necessità di considerare e rispettare le cause legittime di prelazione. In quanto risorse disponibili dopo che il concordato è stato integralmente adempiuto, e che sono stati quindi estinti i debiti risultanti all’esito dell’omologazione, esse possono effettivamente essere considerate finanza esterna[54].
Se si resta, invece, all’interno del perimetro della proposta di concordato, non c’è dubbio che essa deve tenere nel debito conto l’esistenza delle cause di prelazione, peraltro distinguendosi il presupposto per la degradazione dei crediti privilegiati e il trattamento dei crediti degradati.
L’art. 160, comma 2, legge fall., per ammettere la degradazione dei crediti privilegiati richiede che il piano (rectius: la proposta) ne preveda la soddisfazione “in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d)” [55]. Se per i privilegi speciali, il pegno e l’ipoteca l’applicazione di tale norma è abbastanza semplice, il problema interpretativo si pone per i privilegi generali mobiliari, in quanto ci si domanda se i flussi di cassa generati dalla continuità durante l’esecuzione del piano siano “diritti” sui quali grava il privilegio. Se la risposta fosse affermativa, non sarebbe possibile degradare al chirografo i crediti privilegiati generali prima di avere esaurito tutti i flussi generati dalla continuità aziendale e, quindi, non sarebbe consentito destinare i flussi al pagamento dei crediti chirografari, se non dopo avere pagato per intero tutti i crediti privilegiati generali; né destinarli al pagamento di crediti privilegiati di rango inferiore, se non dopo avere pagato per intero i crediti privilegiati di rango superiore. In tale prospettiva, poiché il concordato deve garantire una qualche utilità a tutti i creditori, o i flussi previsti sono più che sufficienti a pagare tutti i crediti privilegiati generali, in modo che resti qualche risorsa per un riparto residuo ai chirografari, oppure il concordato in continuità necessita di un contributo di (vera) finanza esterna che possa essere liberamente destinato ai chirografari, nonostante il pagamento solo parziale dei crediti privilegiati generali.
Ma la disposizione contenuta nell’art. 160, comma 2, legge fall. (così come quella dell’art. 85, comma 7, CCII) non sembra consentire una interpretazione così rigorosa. Essa pretende che i crediti privilegiati siano soddisfatti in misura non inferiore a quella realizzabile dai beni e dai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione “in caso di liquidazione”. Il confine oltre il quale c’è la degradazione al chirografo è delineato dal confronto con la liquidazione “dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”, dunque senza considerare i redditi che possono derivare dal futuro sfruttamento di quei beni e diritti. Certo, trattandosi di beni e diritti organizzati in compendio aziendale, viene in rilievo anche il valore immateriale che potrebbe essere realizzato allo stesso modo nella liquidazione fallimentare mediante la vendita dell’azienda, ma non altro. Si dovrà considerare anche l’utile che il curatore potrebbe ottenere dall’esercizio provvisorio o dall’affitto dell’azienda eventualmente disposti in funzione della successiva cessione e per il tempo strettamente necessario. Ma il programma di liquidazione del curatore, per quanto brillante e attento a non disperdere i valori immateriali, mai potrebbe trasformarsi in un piano industriale di medio o lungo termine finalizzato a realizzare tramite la risanata continuità le risorse necessarie per pagare i creditori, perché in quel caso non sarebbe più un “programma di liquidazione”. Dunque i flussi di cassa attesi dalla futura continuità aziendale non devono essere considerati al fine di stabilire il limite di valore oltre il quale i crediti con privilegi mobiliari generali possono essere degradati al chirografo. Non perché questi flussi debbano essere considerati finanza esterna, estranea all’ambito della responsabilità patrimoniale del debitore, ma semplicemente perché la disposizione che prevede il presupposto della degradazione al chirografo è scritta in un altro modo.
Appurato così che una proposta di concordato con continuità diretta può prevedere la degradazione dei crediti privilegiati generali prima di stabilire la destinazione dei flussi della continuità futuri, ciò non basta per giungere alla conclusione che il debitore possa liberamente disporre di quei flussi, perché si deve ancora considerare il terzo e ultimo aspetto del problema, ovverosia quello relativo al trattamento da riservare ai crediti privilegiati degradati. Sempre l’art. 160, comma 2, legge fall.[56] dispone che, quando sussiste il presupposto per la degradazione dei creditori privilegiati, “la quota residua del loro credito è trattata come credito chirografario”. Ciò significa che a tutti i crediti degradati può essere attribuito il medesimo trattamento, comune anche ai creditori chirografari originari, in perfetto ossequio a quanto disposto dall’art. 2741, comma 1, c.c. Significa anche che è possibile proporre trattamenti differenziati, ma solo previo raggruppamento dei creditori in classi omogenee per posizione giuridica e interessi economici, in modo che siano necessariamente trattati allo stesso modo i creditori inseriti nella medesima classe e che sia invece possibile il trattamento differenziato delle varie classi (art. 160, comma 1, lett. c) e d), legge fall.[57]). Sennonché, a questo punto rimane da inserire nel quado la disposizione secondo cui “Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione” (art. 160, comma 2, ultimo periodo, legge fall.[58]).
Da questa disposizione si comprende che, se è vero che ogni credito privilegiato incapiente “è trattato come credito chirografario”, per altro verso esso continua a essere, in nuce, un credito privilegiato; la legge mantiene memoria della sua passata nobiltà; si può considerare un credito privilegiato affievolito. Infatti, tale disposizione, in quanto si riferisce ai crediti inseriti in una classe, si riferisce certamente ai crediti privilegiati (almeno parzialmente) incapienti, perché i crediti privilegiati pienamente capienti non vengono classati per proporne un determinato trattamento, ma vengono semplicemente pagati alla scadenza (se del caso alla scadenza moderatamente differita, come consentito dalla legge). E, tuttavia, proprio per questi crediti da trattare come chirografari, la legge si ricorda che sono (quindi, in qualche modo, continuano a essere) crediti privilegiati, perché vieta di “alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione”.
Ecco, allora, che l’affermazione secondo cui i flussi di cassa non sono finanza esterna, se da un lato non impedisce la degradazione dei crediti privilegiati generali prima di proporre la distribuzione dei flussi tra i creditori, dall’altro lato impone di rispettare il divieto di alterare l’ordine dei privilegi, divieto che opera proprio dopo che i crediti privilegiati sono stati (in ipotesi legittimamente) degradati perché incapienti. Tale divieto non può essere inteso nel senso di impedire che si proponga un pagamento ai chirografari o agli ex privilegiati di rango inferiore prima che sia stato interamente pagato l’ex privilegiato di rango superiore. Infatti, così ragionando, perderebbe senso la stessa previsione della possibilità di degradare i crediti privilegiati e di formare una pluralità di classi coinvolgendo anche i creditori ex privilegiati. Allora, il divieto potrà essere interpretato, o nel senso che il trattamento delle classi deve essere tale per cui le classi in cui vengono inseriti gli ex privilegiati di rango superiore devono sempre avere un trattamento migliore di quelle in cui vengono inseriti gli ex privilegiati di rango inferiore, oppure, meglio, nel senso che le classi in cui vengono inseriti gli ex privilegiati di rango superiore non devono avere un trattamento deteriore rispetto a quello riservato a classi in cui si raggruppano crediti con rango inferiore. Proprio in quest’ultimo senso intende la regola – per quanto riguarda i crediti privilegiati fiscali e previdenziali – l’art. 182-ter legge fall.[59].
Non è questa, tuttavia, la soluzione adottata dalla citata ordinanza della Corte di Cassazione n. 10844 del 2020, che ha confermato l’inammissibilità (già conformemente pronunciata nei due gradi di giudizio di merito) di una proposta di concordato in continuità che prevedeva “una misura, progressivamente discendente, del soddisfacimento dei creditori” e, quindi, pagamenti in favore dei privilegiati di rango inferiore e dei creditori chirografari, senza il previo pagamento integrale dei creditori preferiti. Secondo tale provvedimento della Corte di Cassazione, il pagamento dei creditori chirografari, in mancanza di pagamento integrale dei privilegiati generali, sarebbe consentito solo con (vera) finanza esterna ovvero con i proventi della vendita di beni immobili che residuino dopo il pagamento degli eventuali creditori ipotecari[60]. Peraltro, dalla lettura della motivazione dell’ordinanza sembra di capire che si trattasse, in quel caso, di una continuità indiretta, con riferimento alla quale sarebbe stato corretto giungere al medesimo risultato dell’inammissibilità della proposta mediante l’affermazione, a monte, dell’illegittimità della degradazione al chirografo dei crediti dotati di privilegio mobiliare generale, perché il concordato con continuità indiretta è un concordato liquidatorio del patrimonio (organizzato in azienda) che raggiunge il medesimo risultato finanziario che potrebbe essere ottenuto anche nella liquidazione fallimentare e che la proposta di concordato non può quindi distrarre dalla destinazione in favore dei creditori muniti di privilegio generale mobiliare[61].