L’art. 25 sexies CCII ricalca senza sostanziali modifiche il contenuto dell’art. 18 D.L. n. 118/2021, disciplinando una procedura concordataria agevolata, quale exitus possibile di una composizione negoziata svoltasi secondo correttezza e buona fede, eppure improduttiva di soluzioni efficaci[1].
A tenore del comma 1 della norma l’istituto trova nella composizione negoziata il suo necessario corridoio d’ingresso, presupponendo che nella relazione finale commissionata dall’art. 17, comma 8, CCII all’esperto negoziatore, come adempimento conclusivo del suo mandato, siano certificate in simmetria due circostanze: per un verso, l’avvenuto svolgimento, secondo gli accennati canoni di correttezza e buona fede, di trattative ciononostante naufragate[2]; per altro verso, l’impraticabilità sperimentata di tutte le altre soluzioni contemplate dall’art. 23, commi 1 e 2, lett. b), CCII, ai fini della proficua regolazione della crisi a conclusione del percorso camerale intrapreso, soluzioni che oscillano fra il contratto di risanamento e l’accordo di ristrutturazione dei debiti.
Solo in questa documentata situazione, l’imprenditore, nei sessanta giorni successivi alla comunicazione della relazione in parola, è legittimato a presentare una proposta concordataria, anche (ma non indefettibilmente) incentrata su una suddivisione in classi dei creditori, prevedente la cessione dei beni e un piano di liquidazione, oltre al dettagliato corredo documentale previsto in linea generale dall’art. 39 CCII per l’accesso ad uno qualsiasi degli strumenti di regolazione della crisi o ad una procedura di insolvenza.
Il termine di sessanta è decadenziale e soggetto alla sospensione feriale in quanto inerisce al procedimento condizionandone l’ammissibilità[3].
Il concordato semplificato è iscritto da rubrica nel novero dei concordati liquidatori, benché non ne riproduca in senso tradizionale le funzioni tipicamente disgregative. Ciò che in forza della disposizione si tende a semplificare è il passaggio in capo a terzi di un residuo attivo del compendio aziendale, reimpiegabile in quanto tale nell’esercizio di un’attività economico-produttiva[4].
Parzialmente diversa sembra l’opinione che sottolinea la matrice strettamente liquidatoria del semplificato, segnalando che quand’anche avvenga la cessione dell’azienda, la stessa “non è … funzionalizzata alla continuità ma alla massimizzazione del valore”, quindi all’ottenimento di un “ricavato migliore” per i creditori.
In realtà, il riferimento alla liquidazione non postula una finalità meramente dismissiva e parcellizzata di beni e diritti del debitore in funzione esclusivamente satisfattoria di crediti, sembrando, piuttosto, volto ad escludere, per taglio netto, l’applicazione dello statuto della continuità aziendale, che infatti non è richiamato.
Lo strumento semplificato ben si presta, pertanto, a favorire, anche la salvaguardia di quanto rimane della continuità dell’impresa decotta, assicurandone il passaggio a terzi della realtà produttiva mentre essa, pur annaspando, è ancora in vita[5]. Il deragliamento dal binario delle regole del concordato ordinario e l’abbassamento di voce dei creditori in tanto si giustificano in quanto collegate, non tanto e non solo alla tutela a basso costo dei crediti, quanto all’imperativo unionale della difesa a spada tratta dei valori aziendali.
Ogni imprenditore commerciale o agricolo è abilitato al deposito della domanda di composizione negoziata – scevra da limiti dimensionali – dunque, nell’evenienza dell’insuccesso di quell’esperimento, ha la facoltà di invocare l’omologazione di un concordato semplificato, procedura alla quale hanno accesso in linea generale anche le imprese commerciali minori (art. 2, lett. d, CCII), benché sottratte, al pari delle agricole, all’alveo della liquidazione giudiziale[6].
L’imprenditore che aspiri al semplificato dev’essere necessariamente iscritto nel registro delle imprese, posto che l’art. 13 CCII prevede che solo in quanto lo sia egli può accedere alla piattaforma telematica nazionale attraverso la quale il percorso in larga parte si dipana.
Il semplificato ha l’indole dell’extrema ratio, cui affidarsi quando tutti gli altri strumenti di regolazione della crisi di cui al richiamato art. 23, commi 1 e 2, lett. b) CCII – tanto contrattuali, quanto concorsuali – siano attestati dall’esperto come inagibili. A quel punto attraverso il veicolo concordatario può addivenirsi ad una rapida cessione dell’azienda, finanche in anticipo sull’omologa.
L’imprenditore deve metabolizzare l’idea dell’irraggiungibilità del risanamento dell’impresa, persuadendosi che la documentata insussistenza di soluzioni alternative sia un dato condivisibile e che l’unica opportunità operativa rimasta sia quella liquidatoria del “non fallimento”[7].
Quest’opzione rassegnata il debitore finisce per esercitarla dinanzi ad un tribunale “gemello” rispetto a quello “fallimentare”, giacché chiedendo l’omologazione del concordato semplificato di fatto consuma la propria resa, spogliandosi anzitempo del complesso aziendale, per alienarlo a terzi in favore dei creditori. Guadagnare l’esonero dalla liquidazione giudiziale è di per sé un beneficio. Ex latere debitoris la funzione che contrassegna ontologicamente il concordato – quindi pure il semplificato – è quella esdebitatoria: si raggiunge l’obiettivo di appianare, pur pagando lo scotto di lasciare ad altri l’azienda, le esposizioni passive dell’impresa, smarcandola dalle obbligazioni originarie con riferimento al residuo non corrisposto. Il debitore esce di scena e percorre il senso di marcia obbligato della dismissione dell’azienda al miglior offerente. È la stessa operazione che si compirebbe, sotto l’egida del curatore, in una futuribile liquidazione giudiziale, ma a distanza di mesi, quando dell’azienda sarebbe spirato il restante soffio vitale.
Poco condivisibile l’avviso affacciatosi nella giurisprudenza di merito, a tenore del quale, sebbene la struttura del concordato semplificato sia delineata alla stregua di “concordato per cessione dei beni”, sarebbe in linea di principio configurabile la previsione di una continuità diretta in funzione di una successiva liquidazione, purché i costi di gestione non vadano a detrimento dei creditori nelle more della dismissione dell’intero patrimonio aziendale, in misura tale da inficiare l’equivalenza della proposta concordataria in rapporto all’aspettativa di soddisfacimento nell’ipotesi liquidatoria[8]. In realtà, l’istituto neonato sembra destinato a scongiurare lo smembramento del compendio aziendale, ma in una prospettiva indilazionabile di soddisfazione dei crediti analoga a quella propria della liquidazione giudiziale, nel cui ambito non è ipotizzabile la permanenza nella detenzione dell’azienda del debitore. Quest’ultimo viene immantinente disarcionato dal compendio produttivo, potendo l’esercizio dell’impresa proseguire semmai sotto la guida del curatore (art. 211 CC).
Più convincente, appare l’arresto giurisprudenziale che ha ritenuto ipotizzabile, attraverso il concordato semplificato, uno scenario “migliorativo” imperniato su un accordo con le organizzazioni sindacali idoneo a ridurre il passivo e su una continuità aziendale indiretta volta a valorizzare, ma nel breve periodo, i complessi aziendali in funzione di una più proficua loro cessione[9].
In realtà, il trasferimento impone indefettibilmente una cessione dell’attività, non del solo godimento, come pure taluno ha anche in dottrina argomentato[10]. La ragione è evidente: il concordato liquidatorio non concede i tempi supplementari all’impresa decotta, né spalanca lo scenario underground dell’esercizio in via indiretta della stessa attività. Piuttosto, si risolve in una corsia esdebitatoria alternativa al fallimento, che importa la cessione totale e definitiva dei beni che nel fallimento verrebbero spossessati e monetizzati. Come è stato osservato da altra dottrina il concordato semplificato “deve comunque prevedere la liquidazione del patrimonio dell’imprenditore”[11]. La cessione immaginata dal riformatore rientra nell’arco delle cessioni traslative, volte a monetizzare i beni per destinarne il ricavato in via diretta al riparto fra i creditori, non per finanziarne l'esercizio d’impresa.
D’altronde, il presupposto del concordato semplificato è l’irreversibilità dell’insolvenza. Il risanamento non è possibile neppure in via mediata. La procedura a quel punto tende necessariamente a realizzare, non il recupero dell'equilibrio economico ormai svanito e la riconduzione dell'impresa nell'area della redditività, ma la funzione (più modesta) del mantenimento dell'unità operativa in capo ad altri al fine di ottenere liquidità per soddisfare i creditori. L'intento del risanamento dell'impresa è del tutto estraneo alla procedura liquidatoria semplificata, che tiene luogo del fallimento, pur evitandone lo stigma.
La logica, quand’anche non disgregatrice dell'impresa insolvente, rimane orientata alla tutela primaria dei diritti dei creditori. Lo scopo non è più rimettere in sesto l'impresa, ma non disperdere il valore unitario del complesso aziendale dal momento che la vendita dell’intero massimizza l’attivo.
L’azienda è fatta sopravvivere all’insolvenza sulla considerazione che, sino a quando l’unità produttiva e organizzativa conserva una funzionalità all'esercizio dell'impresa, essa risponde ai requisiti di cui all’art. 2555 c.c. e non v’è ragione di sottrarla al suo impiego dinamico da parte di un terzo finanziariamente non compromesso.
In ogni caso, l’eventuale vendita unitaria dell’azienda deve doverosamente connotarsi alla stregua di modalità funzionale ad acquisire un maggior ricavo rispetto ad una successiva alienazione parcellizzata di macchinari.
Il varco d’accesso al concordato è stretto ed è l’ultimo transitabile, quando non si scorge altro bivio possibile, il che giustifica come necessaria la divaricazione del nuovo strumento dal concordato liquidatorio ordinario in punto di percentuale di soddisfacimento dei creditori: vi è un imprenditore che passa la mano; vi è da proteggere il brandello di continuità che rimane e suo tramite le posizioni dei creditori. Nel quadro di un imprenditore che cede l’azienda è fisiologico non vi sia alcunché da potere o dovere “assicurare”: non la misura minima del 20%, non un soddisfacimento addirittura incrementale del 10% rispetto a quello ritraibile in ipotesi di liquidazione concorsuale (art. 84, comma 4, CCII). La norma sul semplificato è allo stato un addendum imposto da un’impossibilità diffusa: quella degli imprenditori prostrati da un triennio di pandemia e dalle ripercussioni del conflitto russo-ucraino di avvalersi del concordato ordinario, troppo rigido nelle forme, ipertrofico nelle pretese. Quando lo squilibrio è incolmabile e a nulla è valso l’intervento dell’esperto facilitatore, l’unico obiettivo non velleitario coincide con un risultato equipollente a quello conseguibile in una liquidazione giudiziale ipotetica; il solo mezzo spendibile diviene allora una procedura snella e celere che nel garantire contraddittorio, ne sterilizza tempi, costi e incombenti, imperniandosi, inoltre, su un sondaggio non schematico del mercato, col contrappeso di un’accresciuta responsabilità decisionale del giudice.
L’itinerario concordatario è facilitato in quanto, nel segmento della composizione, sono state scrutate e discusse le possibili alternative all’attuazione della garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c., ed evidentemente non se ne è ravvisata alcuna. La liquidazione giudiziale apparirebbe a quel punto un rimedio farraginoso e sovradimensionato rispetto all’urgenza esclusiva della massimizzazione del ricavato e della salvaguardia di un pezzo resiliente di produttività dell’azienda[12].
Normale, su questa scia, che l’approdo del concordato semplificato non possa reggersi concettualmente sul miglior soddisfacimento dei creditori, dovendosi contentare dell’assenza di pregiudizio. Quando l’imprenditore varca l’uscita di sicurezza dal mercato, perché ogni altra possibilità è sbarrata, ciò a cui si può aspirare è la ripartizione tra i creditori delle utilità ricavabili, a ognuno di essi dovendosene riservare almeno una, quale che sia (art. 25 sexies, comma 5).
È la garanzia patrimoniale generica ad essere indifferibilmente attuata. E poiché nel contesto del semplificato non vi è una cessione accettata dai creditori, sembra esclusa in radice la cedibilità solo parziale dei beni. Il debitore non può, d’altronde, restringere la garanzia generica ex art. 2740 c.c. se non sulla scorta di un accordo coi creditori, che qui non sussiste.
Certo, un’azienda ancora in piedi finisce per passare di proprietà senza il voto dei titolari delle pretese, ma è la partecipazione dei creditori nella fase della composizione negoziata a spiegare “la semplificazione degli adempimenti”[13]. Il bilanciamento delle esigenze avviene, peraltro, su altri due piani convergenti: il primo attiene all’estensione onnicomprensiva del rimedio dell’opposizione all’omologa, utile ad agitare ogni contestazione di forma, di sostanza, di convenienza; il secondo riposa nel correlato ampliamento del perimetro del sindacato giurisdizionale in ambito di omologa, nel quale ricade un vaglio tout court e senza distinguo di fattibilità. L’ampliamento del vaglio è evidenziato dalla dottrina, che segnala “uno spostamento del baricentro dai creditori (non chiamati al voto e facoltizzati semplicemente a opporsi all’omologazione) al tribunale, deputato a concedere l’imprimatur al concordato senza che questo sia stato, per l’appunto, approvato dai creditori” con un conseguente “rafforzamento delle prerogative giudiziali”[14].
Vi è al fondo di questo concordato coattivo un equilibrio di interessi, fra il debitore provvido, che non ha occultato le proprie difficoltà e ha spalancato i portoni dell’azienda, invocando l’opportunità di risanarla, e i creditori, che pervasi a loro volta di buona fede, hanno legittimamente respinto le contromisure prospettate dall’imprenditore in affanno. L'esigenza di sistema, a quel punto, alligna nell’impellenza di dare ordine allo squilibrio incolmabile, al minimo costo e col miglior risultato, tenendo insieme tutela del credito e salvaguardia di ciò che avanza della produttività dell’azienda.
In quel contesto, il presidio delle regole e delle necessità non è nella perpetuazione dell’insanabile conflitto fra debitore e creditori o fra le opposte fazioni in cui questi ultimi si radunano, ma nella valorizzazione del giudice, del suo ruolo di regista di interessi, di metronomo di posizioni.
Al pari del concordato ordinario, il semplificato presenta le caratteristiche più ricorrenti dell’archetipo “procedura concorsuale”. Intanto, perché postula un accertamento della crisi-insolvenza da parte dell’autorità giudiziaria, cui si accompagna un successivo controllo da parte di essa sull’appendice gestoria del dissesto concorsualizzato. Inoltre, perché in esso si assiste alla realizzazione attraverso i beni del debitore della garanzia patrimoniale, con la creazione di un vincolo su un complesso di risorse in funzione satisfattiva dei creditori, sotto lo stendardo della par condicio (o di quel che ne rimane). Ancora, perché viene in rilievo una larga sequela di esenzioni da revocabilità, sia di atti che di pagamenti[15].
Proprio dalla circostanza della riconducibilità entro l'alveo delle procedure concorsuali, la Suprema Corte, cimentandosi col nuovo istituto, ha tratto la regola dell’irrilevanza – ai fini della individuazione della competenza per territorio – del trasferimento della sede sociale nell'anno che precede il deposito del ricorso[16].
La corrispondenza perfetta di sembianze fra ordinario e semplificato è solcata da alcuni segni particolari di diversità. L’art. 18, comma 2, D.L. n. 118 del 2021, prevedeva un meccanismo di protezione patrimoniale, articolato in un arresto totale delle iniziative cautelari ed esecutive e nel freno all’accaparramento delle prelazioni; il blocco era identico a quello del concordato ordinario, stante il richiamo all’art. 168 L. fall. L’automatic stay è stato soppresso nel contesto codicistico, ove l’assenza di richiami a meccanismi alternativi di salvaguardia patrimoniale, pone il problema dell’applicabilità al concordato semplificato delle disposizioni di cui agli artt. 54 e 55 CCII in tema di misure protettive e cautelari (v. infra 4.).
La seconda peculiarità attiene la fisionomia del procedimento: il concordato liquidatorio ordinario è procedura concorsuale negoziata coi creditori, laddove lo strumento di nuovo conio si connota come procedura imposta. La negoziazione, d’altronde, si è già districata dinanzi all’esperto, rivelandosi improduttiva. Proprio l’anima di concordato imposto che contraddistingue il semplificato, lo rende procedura autonoma, non mera variante del concordato preventivo ordinario[17]. Il che esclude l’applicazione diretta delle norme dedicate alla regolazione di quest’ultimo di cui non consti espresso richiamo[18].
L’accessibilità in extremis di una procedura concorsuale che prescinde dall’approvazione dei creditori costituisce un incentivo alle parti a trattare per tempo. Proprio lo sfondo eventuale della semplificazione liquidatoria ha un’intrinseca valenza di sollecito, soprattutto nei confronti dei creditori più refrattari, incoraggiati a mettersi in ascolto, anziché a rimanere passivamente in attesa e in disparte. Il debitore è in grado di paventare uno scenario di dismissione in favore del miglior offerente o dell’unico in circolazione (nulla esclude sia un soggetto che orbita nei paraggi dell’impresa in composizione negoziata). Ciò consente all’imprenditore in difficoltà di uscire dall’angolo per esprimere una formidabile forza contrattuale al tavolo dell’esperto. I creditori sono meglio indotti a prender fattivamente parte alle negoziazioni, ricercando già a monte e in quell’ambito soluzioni adeguate e cogliendone tutte le opportunità e le sfumature, posto che a valle non ne scorgerebbero di più vantaggiose, anzi, forse, non ne rinverrebbero alcuna.
Il decreto dirigenziale del 28 settembre 2021 in materia di composizione negoziata assegna all’esperto il compito “in qualunque momento risulti utile per le trattative” di stimare le risorse derivanti dalla liquidazione dell’intero patrimonio del debitore, il che serve a offrire alle parti la possibilità di apprezzare in modo avveduto i diversi scenari a quel punto possibili di affronto della crisi[19].
Il debitore, dovendo comportarsi secondo buona fede e correttezza (art. 25 sexies, comma 1, CCII), dev’essersi mosso per tempo. Non è ipotizzabile che l’impresa giunga esanime dinanzi alla camera di commercio, tanto da infrangersi nell’archiviazione dell’istanza di composizione per l’assenza, stimata senza indugio dall’esperto, di “concrete prospettive di risanamento all’esito della convocazione o in un momento successivo” (art. 17, comma 5, CCII). L’archiviazione immediata tendenzialmente esclude si siano svolte “in buona fede” trattative fra le parti, quindi, testimonia la mancanza di quella negoziazione proattiva che rappresenta, in uno con la certificata impraticabilità di soluzioni alternative, la porta d’ingresso al concordato semplificato[20].