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Saggio

La presunta incompatibilità tra lo stato di liquidazione (recte il piano di liquidazione) e la composizione negoziata della crisi d’impresa: un equivoco da evitare*

Eugenio Bissocoli, Avvocato in Milano

31 Agosto 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il contributo analizza alcune pronunce di merito in materia di composizione negoziata della crisi in cui i Tribunali hanno rigettato l’istanza di conferma delle misure protettive richieste da società in liquidazione volontaria o da società che avevano proposto un piano di risanamento sostanzialmente “liquidatorio”. L’orientamento dei Tribunali appare eccessivamente severo e ingiustificato alla luce sia del quadro normativo applicabile alla composizione negoziata sia delle finalità della medesima. In particolare, anche un piano liquidatorio, presentato o meno da una società in liquidazione, dovrebbe beneficiare della conferma delle misure protettive se appare prima facie idoneo a consentire la possibilità di un accordo con i creditori che consenta il risanamento dell’esposizione debitoria tramite i proventi della liquidazione e lo stralcio del debito eventualmente residuo.
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1 . L’orientamento giurisprudenziale di merito contrario alla concessione delle misure protettive alle imprese in liquidazione (o che presentino un piano liquidatorio)
Come noto, la composizione negoziata della crisi d’impresa (di seguito in breve “CNC”) è stata introdotta dal D.L. n. 118 del 24 agosto 2021, convertito con legge n. 147 del 21 ottobre 2021 (di seguito in breve il “D.L. n. 118/2021”). La CNC è stata recepita negli artt. 12 e ss. del codice della crisi d'impresa e dell’insolvenza, previsto dal D.Lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019, entrato in vigore lo scorso 15 luglio 2022 (di seguito in breve “CCII”).  In sintesi, la CNC consiste in un percorso di mediazione, condotto sotto l’egida di un esperto indipendente, finalizzato al raggiungimento di un accordo tra i creditori e il debitore per rimediare allo stato di squilibrio, crisi o insolvenza (reversibile) di quest’ultimo. 
Nell’ambito della CNC, l’imprenditore continua a gestire l’impresa in sostanziale autonomia e il Tribunale è relegato ad un ruolo marginale relativo ad alcuni procedimenti autorizzativi di finanziamenti prededucibili e della cessione dell’azienda in deroga all’art. 2560, secondo comma, c.c. (art. 10 D.L. n. 118/2021 e art. 22 CCII). Al Tribunale è anche richiesto di confermare (prorogare o revocare) le misure protettive e cautelari di cui l’imprenditore eventualmente si avvalga al momento della richiesta della nomina dell’esperto. Trattasi in sintesi di misure finalizzate al buon esito delle trattative (quali ad es. il blocco delle azioni esecutive dei creditori o della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale ovvero il divieto di scioglimento di contratti fondato essenzialmente sull’inadempimento del debitore) che l’imprenditore ottiene immediatamente tramite una semplice richiesta pubblicata nel Registro delle Imprese e che il Tribunale, su richiesta del debitore stesso a pena di inefficacia delle misure medesime, deve confermare nell’ambito di un procedimento in contraddittorio con i creditori (artt. 6 e 7 D.L. n. 118/2021 e artt. 18 e 19 CCII)[1].
Benché la CNC sia operativa dal 15 novembre 2021, allo stato il ricorso a tale strumento è ancora inferiore alle sue effettive potenzialità (al 22 luglio 2022, secondo i dati di Unioncamere, le istanze di composizioni presentate erano 317). Nondimeno, diversi Tribunali di merito hanno avuto modo di pronunciarsi indirettamente (con esiti non sempre condivisibili) sui “presupposti” per l’ammissione alla CNC nei predetti procedimenti di conferma delle misure protettive e cautelari. Nel corso del 2022, in particolare, alcuni Tribunali di merito hanno rigettato la richiesta di conferma delle misure protettive sull’assunto che le società in “liquidazione volontaria” non potrebbero essere ammesse alla CNC per la presunta incompatibilità tra lo stato di liquidazione di tali imprese (o meglio delle società che svolgono tale attività d’impresa) e la possibilità di un loro risanamento.  Secondo tali pronunce, la possibilità di risanamento dell’impresa presupporrebbe una prosecuzione in continuità (evidentemente in condizione di equilibrio economico-finanziario) dell’attività di per sé incompatibile con lo stato di “liquidazione” dell’impresa.  Quest’ultimo, infatti, presuppone a sua volta, il verificarsi di una “causa di scioglimento” ex art. 2484 c.c., determina l’obbligo per l’assemblea di nominare dei liquidatori ex art. 2487 c.c. con il compito di liquidare l’attivo sociale, pagare i creditori sociali e distribuire dell’eventuale eccedenza ai soci, il tutto, quindi, nell’ottica di arrivare alla cessazione dell’attività d’impresa. Pertanto, l’accesso da parte di una società in liquidazione alla CNC costituirebbe un’”ossimoro” stante le finalità opposte e inconciliabili della CNC (il risanamento con prosecuzione dell’attività di impresa) e la liquidazione della società (finalizzata appunto alla cessazione dell’attività) [2].  
Conseguentemente, secondo tali pronunce di merito, l’accesso alla CNC da parte di una società in liquidazione sarebbe possibile solo a fronte della previsione della revoca di tale stato, finalizzata ad una prosecuzione dell’attività d’impresa in esecuzione del piano di risanamento predisposto con la domanda di accesso [3].  
A ben vedere, il tema sotteso alle predette pronunce di merito, non è tanto (o meglio non è solo) la valutazione della compatibilità dello stato di liquidazione volontaria dell’impresa con l’accesso alla CNC, ma la compatibilità di quest’ultima con un piano di liquidazione tout court.  Se infatti il presupposto per il risanamento dell’impresa è la sua prosecuzione in continuità (diretta o indiretta), parrebbe lecito dubitare anche della possibilità che una società pienamente operativa possa legittimamente accedere alla CNC ove il piano allegato all’istanza sia finalizzato al raggiungimento di un accordo tra il debitore e i propri creditori che preveda il soddisfacimento di questi ultimi con i proventi della dismissione dei beni del debitore. Tale conclusione risulta già dal provvedimento del Tribunale di Ferrara (cit. sub nota 3) in cui il giudice, in aggiunta al fatto che la società istante era in stato di liquidazione, nel rigettare la richiesta di conferma delle misure protettive e cautelari, ha affermato anche che l’accesso alla CNC sarebbe inammissibile ogni qualvolta il piano dell’impresa sia meramente “liquidatorio”[4]. 
Conferma implicita dell’irrilevanza del fatto che la società istante sia (o meno) in stato di liquidazione si ha nel provvedimento del Tribunale di Bergamo del marzo 2022, in cui il giudice di merito ha rigettato l’istanza di conferma di misure protettive e cautelari richieste da una società immobiliare pienamente operativa che prevedeva di pagare i propri creditori liquidando sostanzialmente l’intero suo patrimonio (nello specifico, il pagamento dei creditori finanziari sarebbe dovuto avvenire attraverso un saldo e stralcio con il ricavato della cessione di alcuni immobili e il pagamento dei crediti erariali e dell’IMU, previa rateizzazione, con la cassa disponibile e i flussi di cassa derivanti dalla locazione di alcuni immobili). Nel proprio provvedimento, il giudice orobico si è discostato dal parere dell’esperto (che aveva confermato la fattibilità del risanamento dell’impresa) e ha affermato che i benefici della CNC sarebbero riservati solo alle imprese che (direttamente o indirettamente) proseguano (in tutto o in parte) la propria attività in quanto un “risanamento” tramite un piano che preveda unicamente la liquidazione dell’attività d’impresa (senza quindi alcuna ipotesi prosecuzione) sarebbe inammissibile[5].  
Conferma ulteriore della correttezza di tale interpretazione si avrebbe, sempre secondo il giudice orobico, dalla ricostruzione sistematica delle disposizioni del D.L. n. 118/2021 e, in particolare, dal fatto che l’art. 11 non prevede alcuna soluzione “liquidatoria” come sbocco delle trattative della CNC ma solo soluzioni di continuità (diretta o indiretta) dell’attività di impresa.  La soluzione liquidatoria del concordato semplificato, invero, secondo il medesimo giudice, sarebbe accessibile solo nel caso di impossibilità di risanamento (in continuità) a seguito di fallimento delle trattative comunque condotte secondo buona fede (accertata nel parere dell’esperto ex art. 18, comma 1, D.L. n. 118/2021). Pertanto, la conferma delle misure protettive all’inizio delle trattative dovrebbe essere concessa solo a fronte di un piano “in continuità” che, secondo la valutazione prognostica dell’esperto (condivisa evidentemente dal Tribunale), abbia la possibilità, almeno in linea teorica, di portare ad un accordo con i creditori o comunque ad una delle soluzioni previste dall’art. 11 D.L. n. 118/2021[6]. 
2 . Le finalità e i rischi del ricorso “abusivo” alla CNC
Il predetto orientamento giurisprudenziale riflette la corretta esigenza di evitare il ricorso alla CNC da parte di imprese prive di un’effettiva possibilità di risanare il proprio squilibrio (o di uscire dalla propria crisi) e di scoraggiare così anche il rischio di un abusivo ricorso allo strumento in pregiudizio dei diritti dei creditori.  E’, infatti, evidente il rischio che le imprese ricorrano alla CNC a fini meramente dilatori nei confronti dei propri creditori o, peggio, per tentare di beneficiare dei vantaggi rilevanti derivanti da un eventuale accesso al concordato semplificato (in cui i creditori sono privi del diritto di voto e il debitore, diversamente dal concordato liquidatorio ordinario, non ha l’obbligo di garantire, a pena di inammissibilità della proposta, alcuna percentuale minima di soddisfacimento dei creditori)[7].
Neppure è lecito dubitare che la CNC sia stata concepita con l’evidente primaria finalità di incentivare l’emersione anticipata della crisi e di agevolarne il rapido superamento. Depongono in tal senso gli incentivi al suo utilizzo in termini sia di flessibilità, sia di costi contenuti (specie se rispetto ad altri strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, quali ad es. il concordato ordinario in continuità o liquidatorio), l’estensione del presupposto soggettivo anche al solo rischio di crisi (ossia il mero squilibrio che rende probabile la crisi) dell’impresa, gli obblighi di segnalazione di tale squilibrio all’organo amministrativo da parte dei sindaci e dei creditori pubblici qualificati e, in generale, tutto l’impianto dello strumento finalizzato alla conservazione della continuità d’impresa in via diretta o indiretta. 
Nondimeno, per le ragioni infra esposte, l’interpretazione dei requisiti di accesso alla CNC da parte dei giudici di merito sopra esposti appare eccessivamente restrittivo, ingiustificato alla luce anche della lettura sistematica delle norme del D.L. 118/21 (come trasfuse nel CCII) e penalizzante rispetto anche ai possibili vantaggi derivanti dall’utilizzo della CNC in ottica liquidatoria rispetto agli alternativi strumenti liquidatori di regolazione della crisi e dell’insolvenza.
3 . La legittimazione all’accesso alla CNC in caso di proposta di accordo fondata su un piano di liquidatorio che rende ragionevole il superamento della crisi
In primo luogo, diversamente da quanto affermato dai giudici di merito, è lecito dubitare che il “risanamento di un’impresa” debba avvenire necessariamente tramite una prosecuzione dell’impresa in (“continuità diretta” o “indiretta”) escludendone un’ipotesi di liquidazione (totale o parziale).  L’esclusione della possibilità di risanamento tramite liquidazione non si giustifica in base al disposto dell’art. 2 del D.L. 118/21 (ora art. 12 CCII) ai sensi del quale l’impresa che “si trovi in condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza” può chiedere la nomina dell’esperto quando “risulti ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”. Anzi, il medesimo art. 2, comma 2, D.L. 118/21 prevede che “l’esperto agevola le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati al fine di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni … [di squilibrio], anche mediante il trasferimento dell’azienda o rami di esso”[8]. Pertanto, tale norma conferma che la cessione dell’azienda (ipotesi di continuità indiretta) è solo uno dei modi possibili per conseguire il  “risanamento” dell’impresa.
Depongono, invece, nel senso della possibilità di risanare l’impresa attraverso un piano di liquidazione (totale o parziale), le modalità di calcolo del test pratico sulla difficoltà del risanamento del debito previsto nella Sez. I del Decreto Ministeriale del 28 settembre 2021, adottato ai sensi dell’art. 3 del D.L. 118/21 (espressamente richiamato nel CCII dagli artt. 13, comma 2, e 17, comma 3, lett. b).  Come noto, tale test correla la difficoltà del risanamento al numero di anni necessari al rimborso del debito dell’impresa che si ottiene dividendo in sintesi l’importo del debito da ristrutturare per i flussi di cassa annuali al servizio del rimborso del debito. Ebbene, a conferma della possibilità di addivenire ad una ristrutturazione del debito tramite liquidazione dei beni, tale test precisa nei criteri di calcolo dell’importo complessivo del debito da ristrutturare che quest’ultimo deve essere ridotto sia dei proventi della cessione dei cespiti dell’impresa (immobili, partecipazioni, impianti e macchinari oltre che di ramo di azienda) che dell’eventuale stralcio ipotizzabile con i creditori[9].  Parimenti, conferma indiretta della risanabilità dell’impresa (recte del debito dell’impresa) tramite ipotesi liquidatorie si ha anche nella parte in cui il D.M. 28 settembre 2021, di fronte ad un esito particolarmente negativo del test di risanabilità del debito dell’impresa, fa riferimento alla necessità di “iniziative in discontinuità” rispetto alla normale conduzione dell’attività d’impresa[10]. Benché non sia espressamente menzionata, è ragionevole che la liquidazione dell’impresa rientri in tali "iniziative di discontinuità”. 
Ancora, coerente con il fatto che il piano possa essere liquidatorio è la previsione che la CNC sia applicabile anche ad imprese “insolventi”, condizione pacificamente distinta da quella di “crisi” e, in linea di principio, prodromica ad una liquidazione dell’impresa (più che ad una prosecuzione di attività in equilibrio economico-finanziario)[11].  L’art. 9 del D.L. 118/21 (art. 21 CCII) prevede, infatti, che: “Quando nel corso della composizione negoziata, risulta che l’imprenditore è insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento, lo stesso gestisce l’impresa nel prevalente interesse dei creditori…”.  Parimenti, conferma del fatto che, in linea di principio, un’impresa “insolvente” possa accedere alla CNC si ha anche nell’art. 23 D.L. n. 118/21 (recepito in parte nell’art. 25-quinquies CCII) in cui si precisa che un’impresa non può accedere alla CNC “in pendenza del procedimento introdotto con domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione o con un ricorso per l’ammissione al concordato preventivo, anche ai sensi dell’art. 161, sesto comma, …” (procedimenti questi ultimi che presuppongono, tra l’altro, lo stato di insolvenza dell’impresa richiedente). Infine, il documento allegato al D.M. del 28 settembre 2021 prevede la possibilità che accedano alla CNC anche le imprese affette da “insolvenza reversibile” in cui la reversibilità è da intendersi come la possibilità di rendere il debito sostenibile tramite stralci o proventi della dismissione di azienda [12]. 
A ben vedere, quindi, l’applicazione del test pratico e i chiarimenti della lista di controllo del D.M. 28 settembre 2021 rendono evidente che nell’espressione, di per sé generica, “ragionevole perseguibilità del risanamento dell’impresa” di cui all’art 2 D.L. 118/21 (art. 12 CCII) debba, a seconda dei casi e, in particolare della gravità della crisi dell’istante, ricomprendersi tanto il risanamento dell’”impresa” tramite una sua prosecuzione (totale o parziale) della sua attività in “continuità diretta” o “indiretta” quanto il risanamento dell’”esposizione debitoria dell’impresa” tramite la soddisfazione dei creditori anche con i proventi della liquidazione dell’attività.
Neppure è vero che, da un punto di vista sistematico, la possibilità del risanamento dell’impresa (recte dell’esposizione debitoria dell’impresa) tramite un piano liquidatorio sia esclusa dalle soluzioni previste dall’art. 11 D.L. 118/21 (art. 23 CCII) come esito delle trattative (v. supra nota 6 e testo cui la nota si riferisce). Il piano liquidatorio non potrà certamente sfociare in un contratto con i creditori “idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni” ex art. 11, comma 1, lett. a), D.L. 118/21 (art. 23, comma 1, lett. a), CCII). Un piano (in parte) liquidatorio potrebbe, invero, consentire all’impresa di sottoscrivere un accordo avente finalità anche (o prevalentemente) liquidatoria ex art. 11, comma 1, lett. c) (art. 23, comma 2, lett. c), CCII).  L’utilizzabilità per finalità meramente liquidatorie degli accordi esecutivi di un piano attestato ex art. 67, comma 3, lett. d), L.F. (art. 56 CCII), è sempre stata dubbia in considerazione delle finalità dell’istituto di “assicurare il riequilibrio della situazione economico-finanziaria” (in aggiunta a “consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa”). Peraltro, facendo leva sull’aspetto meramente privatistico e ai casi di applicazione alle imprese “insolventi”, nella prassi, gli accordi esecutivi dei piani attestati sono stati applicati ad ipotesi di ristrutturazione del debito che comportavano anche una liquidazione dei beni e una ridotta prosecuzione dell’attività di impresa[13]. 
Un’applicazione meramente liquidatoria del “nuovo” accordo ex art. 23, comma 1, lett. c), CCII appare, inoltre, possibile in quanto l’art. 23 CCII distingue l’ipotesi in cui l’imprenditore predisponga un “piano attestato di risanamento di cui all’art. 56” (art. 23, comma 2, lett. a), CCII) da quella dell’”accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto che produce gli effetti di cui agli articoli 166 comma 3 lett. d) e 324”, in relazione a cui si limita a specificare che “con la sottoscrizione dell’accordo l’esperto dà atto che il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o dell’insolvenza” (art. 23, comma 2, lett. c), CCI). Pertanto, non si può escludere a priori la possibilità che tale ultimo sbocco delle trattative si riferisca all’ipotesi di un accordo che abbia unicamente gli effetti dell’esenzione da revocatoria previsti dall’art. 166, comma 3, lett. d), CCII senza dover comportare necessariamente il “riequilibrio della situazione economico finanziario” dell’impresa previsto dall’art. 56 CCII). 
Certamente utilizzabile per finalità liquidatorie è la possibilità di chiedere l’omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex artt. 57, 60 e 61 CCII (ex artt. 182-bis, 182-septies e 182-novies LF) (di seguito in breve “ADR”). Tale strumento, infatti, diversamente dal piano attestato ex art. 67 L.F. (art. 56 CCIII) non ha come finalità il “riequilibrio della situazione economico-finanziaria” ma unicamente “la ristrutturazione dei debiti” e, pertanto, ben può avere finalità liquidatorie (tra l’altro, beneficiando di una riduzione della percentuale dal 75% al 60% se il raggiungimento dell’accordo risulta dalla relazione finale dell’esperto) (art. 11, comma 2, D.L. 118/21 e art 23, comma 2, lett. b), CCII)[14].
Infine, l’orientamento giurisprudenziale di merito in questione appare eccessivamente rigido e foriero di applicazioni inique.  Basti pensare che, secondo i giudici di merito sopracitati, le misure protettive dovrebbero essere confermate (e quindi garantire la possibilità di buon esito di trattative) in caso di piano di liquidazione che preveda la continuità indiretta tramite la cessione di rami di azienda, mentre non potrebbero essere confermate nel caso di piani di liquidazione che prevedono la cessione di beni fruttiferi che garantiscano flussi di cassa anche ingenti. Si pensi ad esempio ad un piano di liquidazione che preveda la cessione di immobili di pregio condotti in locazione, terreni di valore affittati o concessi in superficie a imprese produttrici di energie rinnovabili (quali parchi eolici o solari) o ancora importanti marchi o brevetti concessi in licenza a terzi. E’ evidente che, a seconda dei casi, la distinzione tra “ramo di azienda” e “bene fruttifero” rischi di essere alquanto labile e soprattutto di scarsa rilevanza da un punto di vista economico e finanziario. 
4 . L’irrilevanza dello stato di liquidazione dell’impresa ai fini della conferma delle misure protettive
Da quanto sopra, consegue inevitabilmente che lo stesso status di “liquidazione volontaria” dell’impresa richiedente non pare un elemento di per sé dirimente ai fini dell’accesso alla CNC. In un’ottica sostanziale, si aggiunga altresì che, se tra le finalità della CNC vi è anche la tutela della prosecuzione dell’attività di impresa, è ben possibile (e lecito) che un’impresa in liquidazione continui la propria attività nei limiti delle stesse finalità della liquidazione.  In alcuni casi, tale attività può protrarsi anche per anni e avere ad oggetto la prosecuzione dell’attività d’impresa finalizzata alla conservazione del suo valore[15].
Parimenti irragionevole sarebbe poi escludere dalla CNC un’impresa in liquidazione che abbia affittato l’azienda (o un ramo di essa) ai fini di una sua successiva cessione, prima di effettuare l’istanza di nomina ovvero subito dopo la nomina dell’esperto. In questo caso, si arriverebbe al risultato paradossale di escludere dalla CNC (o meglio di non poter proseguire nelle trattative per mancata conferma delle misure protettive) un’impresa che la legge prevede espressamente possa essere risanata tramite il ricorso alla CNC (l'art. 2 D.L. 188/21 fa infatti riferimento alla possibilità in cui il risanamento avvenga tramite la cessione dell’azienda)[16].
5 . Conclusione
In conclusione, lo stato di liquidazione di un’impresa che chiede di accedere alla CNC o la predisposizione di un piano liquidatorio (anziché di continuità diretta o indiretta) da parte dell’impresa istante (in liquidazione o meno) non dovrebbero essere di per sé tali da impedire l’accesso alla CNC (o meglio determinare il rigetto da parte del Tribunale della conferma delle misure protettive eventualmente richieste). Se il valore dei beni da liquidare, insieme ad eventuali altri attivi disponibili, accompagnato da uno stralcio, consente di predisporre un piano potenzialmente accettabile da parte dei creditori (o comunque che possa apparire come ragionevole punto di partenza di una trattativa) non dovrebbe esservi motivo di impedire lo svolgimento della trattativa (e quindi di negare la conferma delle misure protettive). 
Tale dovrebbe essere certamente un piano che sia auspicabilmente migliorativo per tempi e/o valore rispetto ad una liquidazione giudiziale, ipotesi assai frequente tenuto conto anche della durata limitata delle trattative della CNC e delle lungaggini, inefficienze e incertezze dalla liquidazione fallimentare (e ragionevolmente anche della nuovissima liquidazione giudiziale). 
Per contro, lo stato di liquidazione dell’impresa richiedente protratto da tempo e l’esiguità del valore dei beni da liquidare e dell’attivo disponibile rispetto al debito complessivo dell’impresa ben possono essere elementi che il Tribunale, insieme alle altre circostanze rilevanti del caso, dovrà considerare ai fini di valutare se il ricorso alla CNC (accompagnato alla richiesta di misure protettive) da parte dell’impresa sia effettivamente da considerarsi “abusivo” ovvero meramente “dilatorio”. 

Note:

[1] 
Invero, il procedimento relativo alle misure protettive è piuttosto articolato, coinvolge diverse parti ed è suscettibile di applicazioni ed esiti diversi. In primo luogo, a tale procedimento partecipa anche l’esperto che, a conferma del ruolo cardine in tutta la CNC, all’udienza di conferma deve esprimere un parere “sulla funzionalità delle misure richieste ad assicurare il buon esito delle trattative” (Art. 19, comma 4, CCI) (analogo parere deve essere espresso anche in caso di richiesta di proroga delle misure).  All’udienza, inoltre, il Tribunale, inoltre, “può assumere informazioni dai creditori” principali dell’impresa istante e “deve sentire” i terzi nel caso in cui le misure protettive o provvedimenti cautelari incidano sui loro diritti (art. 19, comma 4, CCII).  Il Tribunale può “limitare le misure a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori”.  (art. 19, comma 4, CCII). La durata delle misure è stabilita dal Tribunale va da un minimo di 30 giorni ad un massimo di 120 giorni. Su istanza delle parti e sentito il parere dell’esperto, il Tribunale, può “prorogare” tale durata “per il tempo necessario ad assicurare il buon esito delle trattative” (in ogni caso, non oltre 240 giorni); “revocare le misure protettive o abbreviarne la durate quando esse non soddisfano l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti“ (art. 19, commi 5 e 6, CCII). 
[2] 
Trib. di Bergamo 15 febbraio 2022 Est. De Simone, in Diritto della Crisi:  “La società …. risulta essere inattiva e in liquidazione dal 14.12.2012, e ciò nonostante la ricorrente non valuta di dedicare neppure un rigo del ricorso a tale aspetto e al proposito di revocare questo stato a mente dell’art. 2487 ter c.c. L’art. 2 del D.L. 118 è chiaro nel riservare il procedimento di composizione negoziata alle ipotesi in cui risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa, per cui si palesa un ossimoro l’accesso al procedimento da parte di una società in liquidazione … senza che neppure sia dedotta (oltre che documentata) la sussistenza dei presupposti per la revoca della causa di scioglimento e dello stato di liquidazione.  Rimane oscuro come, dopo un lasso di tempo decennale, un’impresa in fase di chiusura liquidatoria dei rapporti possa veder ripristinato un equilibrio economico-finanziario atto a resuscitare la continuità, mettendola in condizione di produrre valore”. 
[3] 
Trib. di Ferrara del 21 marzo 2022 Est. Ghedini, in il Fallimentarista: “…[l’accesso alla composizione negoziata è riservato] alle ipotesi in cui risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa, per cui si palesa un ossimoro l’accesso al procedimento da parte da una società in liquidazione senza che neppure sia dedotta (oltre che documentata) la sussistenza attuale dei presupposti per la revoca della causa di scioglimento e dello stato di liquidazione…”. V. anche Trib. di Bergamo 15 febbraio 2022, cit. supra sub nota 2.
[4] 
Trib. di Ferrara del 21 marzo 2022, cit. supra, “… essendo la finalità immediata della composizione negoziata – così come rappresentata dalla ricorrente – quella della liquidazione dell’attivo a favore della correlata con conseguente pagamento falcidiato dei creditori, ed essendo la ripresa della continuità del tutto astratta e meramente ipotetica, anche nella stessa prospettazione del ricorrente, può affermarsi che la ricorrente non presenti … una seria e ragionevole possibilità di risanamento e che quindi manchi lo stessi presupposto per accedere alla composizione negoziata”.
[5] 
Trib. di Bergamo 15 marzo 2022, Est. Gelato, in Diritto della Crisi: “La prospettata dismissione dell’intero patrimonio della società, già allo stato ritenuta dall’esperto (e dallo stesso imprenditore) quale condicio sine qua non per addivenire ad un soddisfacimento delle ragioni dei creditori, non si accompagna ad alcuna concreta, quand’anche embrionale, ipotesi di risanamento funzionale alla prosecuzione dell’attività d’impresa. 
Non è stato invero neppure adombrato che lo sblocco dell’attività liquidatoria possa essere la continuità aziendale ovvero in altri termini che, a seguito e per effetto della liquidazione dell’attivo patrimoniale, si possa generare un surplus tale da consentire la ripresa dell’attività caratteristica  …  
A conferma dell’assunto è del resto la considerazione dell’assoluta carenza di indicazioni in ordine alle iniziative di carattere imprenditoriale che, in ipotesi, la ricorrente intenderebbe assumere al fine di proseguire la propria attività, in esito alla liquidazione del patrimonio ed all’estinzione delle sue esposizioni debitorie.  Se ne deve dedurre che, al di là del nominale riferimento ad un futuro risanamento dell’impresa funzionale alla prosecuzione della sua attività, la prospettiva postulata dalla ricorrente sia già allo stato di natura meramente liquidatoria
[6] 
Trib. di Bergamo 15 marzo 2022, cit. supra: “…Ebbene, tale sbocco [liquidatorio della composizione] non è contemplato quale possibile esito positivo della procedura di negoziazione assistita a noma dell’art. 11, commi 1, 2 e 3 lett. a) del d.l. 118/21 … rispetto al quale, in chiave prognostica, possa ammettersi la concessione di una misura protettiva o cautelare. 
Al contrario un simile scenario è considerato, dall’art. 18 dello stesso testo normativo, quale esito della procedura di negoziazione nell’opposto caso del fallimento delle trattative tra il debitore e i creditori, agevolate dall’esperto, tale da condurre all’apertura di un concordato semplificato funzionale alla liquidazione del patrimonio dell’impresa (ovvero, in assenza dell’attestazione dell’esperto ai sensi dell’art. 18, all’accesso di un concordato ordinario).
[7] 
Per una disamina critica della CNC e in particolare del possibile ricorso abusivo al “concordato semplificato” v. inter alios F. Lamanna, Nuove misure sulla crisi d’impresa del D.L. 118/2021: Penelope disfa il Codice della crisi recitando il "de profundis" per il sistema dell'allerta, in il Fallimentarista, 25 agosto 2021. In giurisprudenza, sull’abusività del ricorso alla CNC, v. Trib. di Roma del 22 giugno 2022 che rigetta la richiesta di conferma di misure cautelari in quanto l’accesso della CNC, nel caso di specie, sarebbe stato finalizzato unicamente a procrastinare l’esecuzione di un sequestro giudiziario su alcuni beni dell’impresa (in evidente violazione del principi di correttezza e buona fede). A conferma dell’illegittimità delle finalità dilatorie della CNC v. Trib. di Viterbo 14 febbraio 2022, Est. Geraci, in cui, previo rigetto di un’istanza di proroga, si revocano le misure protettive e si segnala l’insolvenza della società al PM sul presupposto che l’impresa istante si era limitata sostanzialmente a dedurre l’esistenza di generiche trattative relative ad una cessione di azienda senza neppure indicarne il prezzo.
[8] 
Conferma il sostanziale favor dello strumento per il conseguimento del risanamento tramite continuità indiretta anche l’art. 10  D.L. 118/21 (ora art. 22 CCII) prevede che “Su richiesta dell’imprenditore, il tribunale, verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, può … d) autorizzare l’imprenditore a trasferire in qualunque forma l’azienda o più dei suoi rami senza gli effetti di cui all’art. 2560, secondo comma, del codice civile …”.
[9] 
L’Allegato al D.M. 28 settembre 2021 “Sez. I – Test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento” prevede che “L’entità del debito che deve essere ristrutturato è pari a: - debito scaduto di cui relativo ad iscrizioni a ruolo - (più) debito riscadenziato o oggetto di moratorie - (più) linee di credito bancarie utilizzate delle quali non ci si attende il rinnovo - (più) rate di mutui e finanziamenti in scadenza nei successivi 2 anni 1 - (più) investimenti relativi alle iniziative industriali che si intendono adottare - (meno) ammontare delle risorse ritraibili dalla dismissione di cespiti (immobili, partecipazioni, impianti e macchinario) o rami di azienda compatibili con il fabbisogno industriale - (meno) nuovi conferimenti e finanziamenti, anche postergati, previsti - (meno) stima dell’eventuale margine operativo netto negativo nel primo anno, comprensivo dei componenti non ricorrenti TOTALE [A] Tale debito, nel caso in cui si ritenga ragionevole ottenere uno stralcio di parte di esso, può essere figurativamente ridotto, ai soli fini della conduzione del test, dell’ammontare di tale stralcio”.
[10] 
L’Allegato al D.M. 28 settembre 2021 “Sez. I – Test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento”, punto 4, prevede che: “… se, invece, l’impresa si presenta in disequilibrio economico a regime, si rendono necessarie iniziative in discontinuità rispetto alla normale conduzione dell’impresa (ad esempio, interventi sui processi produttivi, modifiche del modello di business, cessioni o cessazione di rami di azienda, aggregazioni con altre imprese)”.
[11] 
A fortiori, se l’art. 9 del D.L. 118/21 prevede l’applicazione della CNC alle imprese affette da “insolvenza” (reversibile), se ne deduce che la CNC è applicabile anche ad imprese in stato di “crisi” considerato che l’art. 2 del D.L. 188/2021 (art. 12 CCII) consente il ricorso alla CNC alle imprese affette da uno “squilibrio” che rende probabile la “crisi”.
[12] 
Nell’Allegato al D.M. 28 settembre 2021 “Sez. II - Protocollo per la conduzione della composizione negoziata”, punto 2.4, si prevede che “Se l’esperto ravvisa, diversamente dall’imprenditore, anche a seguito dei primi confronti con i creditori, la presenza di uno stato di insolvenza, questo non necessariamente gli impedisce di avviare la composizione negoziata. Occorre però che l’esperto reputi che vi siano concrete prospettive di risanamento che richiedano, per essere ritenute praticabili, l’apertura delle trattative, perché dovranno essere valutate sulla base della effettiva possibilità di accordi con i creditori o di una cessione dell’azienda i cui proventi consentano la sostenibilità del debito. Si terrà conto del fatto che, a fronte (i) di una continuità aziendale che distrugge risorse, (ii) dell’indisponibilità dell’imprenditore a immettere nuove risorse, (iii) dell’assenza di valore del compendio aziendale, le probabilità che l’insolvenza sia reversibile sono assai remote indipendentemente dalle scelte dei creditori, e dunque che in questi casi è inutile avviare le trattative”.
[13] 
G. Fauceglia, Il Piano di risanamento nel Codice della crisi e dell’insolvenza: finalità e struttura, con una nota su qualche aporia normativa, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 3-4, 2020.
[14] 
La finalità liquidatoria dell’ADR è confermata per tabulas dalle modifiche alla legge fallimentare introdotte dall’art. 20 del D.L. 118/21 che, nel nuovo testo dell’art. 182-septies L.F., ha previsto che l’ADR ad “efficacia estesa” debba essere in continuità (diretta o indiretta) quando si applichi ai creditori non aderenti non finanziari, mentre possa essere anche liquidatorio quando si applichi unicamente a creditori non aderenti finanziari (v. anche art. 61, comma 2, lett. b e comma 5, CCII).
[15] 
L’art 2487, comma 1, c.c. dispone che assemblea convocata dagli amministratori per accertare la causa di scioglimento debba deliberare tra l’altro su “… i criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione; i poteri dei liquidatori, con particolare riguardo alla cessione dell’azienda sociale, di rami di essa ovvero anche di singoli beni o diritti, o blocchi di essi; gli atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio, anche di singoli rami, in funzione del miglior realizzo”.
[16] 
A conferma della sostanziale irrilevanza dello stato di liquidazione della società richiedente v. Trib. Arezzo 16 aprile 2022: “… ad essere incompatibile con la composizione negoziata non è tanto lo stato di liquidazione societaria, in sé e per sé considerato, quanto la sussistenza di un insolvenza irreversibile e l’assenza di una concreta prospettiva di risanamento, inteso come riequilibrio finanziario e patrimoniale che consenta all’impresa di restare sul mercato, se del caso previa revoca dello stato di liquidazioneLa società ricorrente si trova in stato di insolvenza irreversibile e … non ha in animo di perseguire un risanamento”.

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