La rivoluzione del concordato liquidatorio semplificato
Luigi Amerigo Bottai, Avvocato in Roma
9 Agosto 2021
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Facendo seguito ai contributi di più ampio respiro di Massimo Fabiani e Salvo Leuzzi, nelle presenti note si soffermerà l’attenzione sul solo strumento del concordato semplificato di liquidazione, che di per sé costituisce una novità assoluta nel panorama dei concordati e permette di sciogliere l’equivoco del concordato in continuità indiretta, posto che disciplina proprio la rapida cessione dell’azienda all’esito negativo delle negoziazioni.
L’art. 18 dell’articolato divulgato in bozza prevede che se l’esperto nella relazione finale dichiari che le ipotizzate soluzioni negoziali non appaiono praticabili, l’imprenditore possa presentare, nei sessanta giorni successivi, una “proposta di concordato per cessione dei beni unitamente al piano di liquidazione e ai documenti indicati” nell’art. 161, 2° comma, L. fall.
Due sono le direttrici che inducono a non poter collocare la misura in discorso fra i tipi concordatari disciplinati dalla legge fallimentare: 1) l’assenza del vaglio giudiziale di ammissibilità preventiva – sindacato che, in via anticipata, esiste soltanto in Italia (fra i Paesi avanzati) e di cui non si è mai saputa giustificare la sopravvivenza pur dopo l’inserimento della figura indipendente del professionista attestatore - e 2) la mancanza della votazione dei creditori, che accomuna il nuovo istituto ai concordati coattivi delle procedure amministrative e al concordato fallimentare (segno inequivoco che qualunque proposta liquidatoria deve essere favorita nell’approvazione rispetto all’ordinario svolgimento della procedura “madre”).
Tali caratteristiche essenziali suggeriscono la massima prudenza nell’approccio esegetico. Perché si è addivenuti ad una simile opzione radicale? Le ragioni sembrano chiaramente riconducibili all’insuccesso del tentativo di bonario componimento, che ha già causato la “consumazione” di tempo prezioso, e alla conseguente superfluità di ricorrere a tutte le fasi della procedura ordinaria di concordato preventivo, come anticipato su questa Rivista da S. Leuzzi (Una rapida lettura dello schema di D.L. recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, 5.8.2021); si viene, in tal guisa, a risparmiare tanto sui compensi professionali dell’attestatore e delle spese presuntive di procedura, quanto sui lunghi tempi dedicati all’interpello dei creditori (i mesi che precedono l’adunanza, i 20 giorni per la votazione e le settimane successive fino all’udienza di omologa), i quali, essendo stati coinvolti nelle precedenti trattative senza esprimere il loro appoggio, non debbono esser più chiamati a pronunciarsi, salvo il pieno diritto di ciascuno ad opporsi all’omologazione anche per motivi di convenienza.
Diritto divenuto individuale, rispetto all’attuale limite del 20% dei crediti di cui all’art. 180, comma 4, L. fall. proprio quale bilanciamento della sottrazione del filtro di ammissione e dell’adunanza. In tal senso milita anche la Direttiva UE 2019/1023 (c.d. PRD, artt. 11 e 14).
E soprattutto i debitori non dovranno più garantire il pagamento almeno del 20% ai creditori chirografari, balzello introdotto surrettiziamente in sede di conversione del D.L. n. 83/2015, al pari del sistema di voto del silenzio-rifiuto, senza che ve ne fosse alcuna ragione di necessità e urgenza.
Altro importante capovolgimento di prospettiva risiede nell’oggetto del giudizio di omologazione, che verterà sulla verifica che la proposta non arrechi “pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare e comunque assicur(i) un’utilità a ciascun creditore”. Dunque, rileva l’assenza di danno per ciascun creditore. Detto requisito è stato recentemente approfondito in dottrina (da I. Donati, Crisi d'impresa e diritto di proprietà. Dalla responsabilità patrimoniale all'assenza di pregiudizio, Riv. Soc., 2020, 164), deducendone in sostanza come, nella sua estensione minima imposta dal diritto di proprietà (del credito), esso richieda che ciascun creditore dissenziente riceva un trattamento economico almeno pari a quello che gli sarebbe spettato nello scenario attuativo della responsabilità patrimoniale in concreto più probabile. Si deve, pertanto, procedere a una comparazione tra scenari (quello della liquidazione giudiziale semplificata e quello alternativo fallimentare), riempiendo così di contenuto il principio dell’assenza di pregiudizio nella soglia minima di pagamento inderogabile. Ne consegue il divieto di utilizzare il concordato liquidatorio semplificato per perseguire finalità contrastanti con l’interesse dei creditori, quali ad es. il mantenimento dei livelli occupazionali, la salvaguardia dell’indotto o la tutela di creditori “deboli” a scapito dei sopraordinati in grado.
Restano, invece, applicabili dal momento di pubblicazione del ricorso gli effetti di cui agli artt. 111, 167, 168 e 169 L. fall., mentre solo “in quanto compatibili” le disposizioni di cui agli artt. 173, 184, 185, 186 e 236 L. fall. Quest’ultima norma, di natura penalistica, potrebbe provocare contrasti interpretativi, allorché lo strumento concordatario semplificato non fosse considerato come un vero e proprio concordato preventivo; di conseguenza, anche l’estensione ad esso delle fattispecie di bancarotta fraudolenta diverrebbe problematico in quanto le stesse non sono espressamente richiamate in via diretta e il doppio rinvio non sembrerebbe una tecnica idonea a perseguire tutte le possibili condotte depauperatorie che si dovessero riscontrare in una fase di mera crisi aziendale. D’altro canto non si può trascurare che la soppressione del filtro di ammissibilità e della votazione non alterano la natura concorsuale e procedurale del nuovo istituto.
Per quanto concerne il regime disciplinare degli atti compiuti nella fase precedente di composizione negoziata, si osserva come il richiamo all’art. 173 L. fall. nell’ambito della procedura semplificata consenta di colpire i comportamenti fraudolenti precedenti, ma non i pagamenti di debiti scaduti, anteriori al deposito del ricorso e in ipotesi non strategici ai fini della continuità aziendale o le cessioni di beni o le prestazioni di servizi non bilanciate dall’incasso dei corrispettivi (bensì con appostazione dei relativi crediti per il prezzo). Tali atti sono, invero, esplicitamente dichiarati legittimi (stridendo con il divieto di azioni esecutive e cautelari in presenza di misure protettive ex art. 6, come ebbe a rilevare già Cass. n. 578/2007). Da ciò potrebbe inferirsi che nella successiva procedura concordataria liquidatoria semplificata il proponente si venga a trovare già privato di parte consistente dei propri prodotti (e/o della liquidità) apparentemente in maniera regolare, risultando però i relativi crediti inesigibili. Il dissenso dell’esperto, in tali casi di ordinaria gestione, non emergerebbe in quanto non rientrerebbe nelle ipotesi previste dall’art. 9. Si tratta, tuttavia, di rischio difficilmente evitabile, proprio a causa della libertà concessa al debitore di proseguire la gestione dell’impresa.
Il tribunale, poi, valutata la ritualità della proposta, acquisiti la relazione finale e il parere dell’esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte, fissa la data dell’udienza per l’omologazione dopo oltre 30 giorni, nominando un ausiliario ai sensi dell’art. 68 del codice di procedura civile, il quale prende il posto del commissario giudiziale (per mere ragioni di costi o di minor durata della procedura?) e dovrà unicamente redigere un parere sulla fattibilità del piano liquidatorio.
Tutti detti documenti dovranno essere comunicati, a cura del debitore, ai creditori risultanti dall’elenco depositato, ove possibile a mezzo posta elettronica certificata.
I creditori e qualsiasi interessato possono proporre opposizione all’omologazione costituendosi nel termine perentorio (oggi l’art. 180 L. fall. non lo definisce così) di dieci giorni prima dell’udienza fissata. Il tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio e omologa il concordato quando, verificata la regolarità del contraddittorio e del procedimento, nonché il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione e la fattibilità del piano di liquidazione, rileva – come detto - che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare e comunque assicura un’utilità a ciascun creditore.
Il decreto, pubblicato ai sensi dell’art. 17 L. fall., è immediatamente esecutivo ed è soggetto a reclamo dinanzi alla corte di appello ex art. 183 L. fall. e a successivo ricorso per cassazione entro trenta giorni dalla comunicazione.
Per la fase della liquidazione post omologa il tribunale nomina un liquidatore – si rammenta che secondo Cass. 29.7.2021, n. 21815, l’indicazione della persona del liquidatore proveniente dal debitore, ai sensi dell’art. 182, comma 1, L. fall. ha portata di designazione vincolante, qualora rispettosa dei requisiti di professionalità e di indipendenza prescritti dall’ordinamento -, il quale, se il piano contempla un’offerta di acquisto dell’azienda o di uno o più rami o di specifici beni, non dovrà necessariamente procedere alla gara competitiva prescritta negli artt. 163-bis e 182 L. fall., ma potrà “verifica(re) l’assenza di soluzioni migliori sul mercato” (art. 19 della bozza), dando direttamente esecuzione all’offerta pervenuta; egualmente potrà disporre l’ausiliario (che sostituisce il commissario giudiziale) qualora la cessione debba avvenire prima dell’omologa, previa autorizzazione del tribunale. Siffatta modalità acceleratoria sembra provvidenziale – ed è infatti la prassi usuale negli ordinamenti anglosassoni -, attesa la frequente impellenza di mettere al sicuro detti rami/beni in un contesto di crisi. Del resto la verifica di diverse soluzioni di mercato si può realizzare tanto interpellando i competitors del debitore, quanto pubblicando un annuncio sui siti specializzati o sui quotidiani nazionali (come già accade oggi: v. Trib. Roma, 3.8.2017, ilcaso.it).
Date le croniche lentezze, specialmente degli istituti di credito, nel “rispondere” alle situazioni di crisi delle imprese “normali” (cfr. L. Panzani, Il tempo della pandemia e lo spazio del diritto, in questo sito, 1.4.2021, che ne attribuisce le cause alla riottosità di molte imprese, prevalentemente a conduzione familiare, a prendere atto della crisi che si delinea all’orizzonte, oltre che ai tempi eccezionalmente lunghi delle trattative con il sistema bancario, anche per via delle difficoltà connesse alle dismissioni di NPL ed UTP), appare agevole pronosticare che la composizione negoziata appena introdotta impegnerà tutto il periodo concesso dalla legge, proroghe incluse, e forse andrà ben oltre i termini massimi; ergo, la probabilità di avviare le proposte concordatarie semplificate di liquidazione diviene assai elevata.
L’agilità e l’economicità dello strumento depongono per i migliori auspici di successo, poiché sia la fase propriamente “procedurale”, sia quella esecutiva, rappresentano un percorso rapido e conveniente per la soluzione della crisi, che avvicina il nostro sistema a quelli anglosassoni, notoriamente più efficienti.
In conclusione, il diritto speciale dell’emergenza ha finalmente partorito due soluzioni idonee ad affrontare il difficile momento, dopo la non brillante riuscita del c.d. piano attestato rafforzato. In altri ordinamenti le scelte sono state di diverso tipo, ma trovandoci in un contesto di “dure disuguaglianze” bisogna almeno “cercare di evitare la coincidenza tra scelte tragiche e altre ingiustizie specifiche” (come nota F. Denozza, Tragic choices in Covid times: reaping the bitter fruits of social inequality, rivistaodc.eu, fasc. 3/2020). E il Decreto-legge in arrivo pare riuscire nell’intento.