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Saggio

La (rafforzata) continuità aziendale nel contesto dei rinnovati strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza*

Marina Spiotta, Associato di diritto commerciale e di diritto fallimentare nell’Università del Piemonte Orientale

31 Marzo 2025

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Da una riconduzione “a sistema” delle principali integrazioni introdotte nel D.Lgs. n. 14/2019 (Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza) dal D.Lgs. n. 136/2024, pare evincersi un up-grading della continuità aziendale da scopo-mezzo a scopo-fine. 
Senza voler ravvivare il dibattito, peraltro mai del tutto sopito, nel contributo si passeranno brevemente in rassegna le novità più rilevanti nell’ottica del rafforzamento del going concern per poi lasciare ai Lettori (rectius, al mercato) ogni giudizio. 
Riproduzione riservata
1 . Il baricentro della viability of the business
La salvaguardia della continuazione dell’attività imprenditoriale (ma anche professionale[1]) è sicuramente il Leitmotiv del Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza (breviter, CCII), una sorta di fil rouge che attraversa l’ordito codicistico[2] ed una “stella polare”[3] che dovrebbe guidare gli studiosi ed operatori nell’interpretazione ed applicazione delle norme. 
Per la precisione, il sintagma “continuità aziendale” (non definito dall’art. 2 CCII)[4] è usato in due distinte accezioni: 
i) una più contabile ed aziendalistica (che rievoca il principio di revisione ISA Italia 570[5]) al fine di verificare la prospettiva di funzionamento dell’azienda per almeno i dodici mesi successivi (art. 3, comma 3, lett. b, CCII), aumentati a due anni affinché il primo sbocco della composizione negoziata della crisi (per brevità, CNC) delle imprese sopra-soglia possa garantire le misure premiali (art. 23, comma 1, lett. a, CCII); 
ii) l’altra più giuridica, come parametro di qualificazione di un concordato (ma anche di altri strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza: breviter SRCI) e d’individuazione della disciplina applicabile[6]. 
É importante rimarcare che le due accezioni non vanno di pari passo ben potendo una società in liquidazione proporre un concordato in continuità[7] e viceversa. 
Nulla quaestio sul fatto che oggi la continuità aziendale possa essere: 
- “non prevalente” essendo sufficiente che i creditori vengano soddisfatti, in qualsivoglia misura, dal ricavato prodotto dalla continuazione dell’attività[8]; 
- indiretta, ossia perseguita tramite un altro imprenditore e, quindi, intesa in senso oggettivo (e non soggettivo); 
- configurabile anche in assenza di dipendenti[9]; 
- “discontinua”, in quanto è consentita anche la “ripresa dell’attività” (art. 84, comma 2, CCII) e perfino un’impresa in stato di insolvenza, purché reversibile, potrebbe accedere alla composizione negoziata della crisi (CNC) prospettando la revoca dello stato di liquidazione 
L’importante è che la continuità aziendale sia effettiva[10], rispettosa della c.d. clausola di funzionalità[11] e attentamente soppesata[12].
2 . Il dibattito sulla continuità aziendale come valore-mezzo o valore-fine, dogma o realtà
Sotto il vigore del R.D. n. 267/1942, la procedura fallimentare era incentrata esclusivamente sul miglior soddisfacimento dei creditori[13], mentre la salvaguardia dei plessi produttivi era possibile solo tramite l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese disciplinata dal D.Lgs. n. 270/1999 (c.d. Legge Prodi-bis). Poi, sotto l’influenza della legislazione francese[14] e delle direttive unionali, è iniziato un trend normativo sempre più finalizzato alla tempestiva emersione anticipata della crisi al fine di favorire la continuità aziendale, obiettivo enunciato tra i “principi generali” dall’art. 2, comma 1, lett. g), della legge delega n. 155/2017. 
Fin dalle prime bozze del D.Lgs. n. 14/2019 (ancor prima della sua entrata in vigore), si è registrata una vexata quaestio, dai toni accesi e vivaci (soprattutto dopo la promulgazione della normativa emergenziale[15] e le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 83/2022 di recepimento della Direttiva Insolvency[16]), sulla continuità aziendale come valore-mezzo (strumentale alla tutela dei diritti dei creditori) o valore-fine (ossia come un valore autonomo e prioritario, da perseguire indipendentemente dagli interessi dei singoli creditori, in quanto l’impresa ha una funzione sociale oltre che economica e l’ordinamento giuridico deve favorirne il mantenimento nel tempo per il raggiungimento di obiettivi ulteriori, quali: la tutela degli stakeholders, la preservazione del know-how aziendale e la salvaguardia dell’occupazione)[17]. 
Le implicazioni dell’adesione all’una o all’altra tesi sono facilmente intuibili, anche se, talvolta, si ha l’impressione che nobili ed astratte affermazioni di principio (come quella secondo la quale la liquidazione concorsuale dovrebbe rappresentare l’extrema ratio) si scontrino con il rigore di una parte della giurisprudenza (nel chiamare l’organo gestorio/liquidatorio a risarcire il danno per il solo fatto di aver ragionevolmente creduto di potersi giocare una chance di ristrutturazione che, poi, non ha avuto successo)[18]. 
Il dibattito involge scelte di politica legislativa e non si è mai sopito, anzi si è andato arricchendo di sempre nuovi interrogativi: continuità aziendale basata solo sulla crisi o anche sull’insolvenza? A quale costo? Fine solo dichiarato o concretamente perseguito? 
In uno scritto (successivo al D.Lgs. n. 83/2022, ma anteriore al D.Lgs. n. 136/2024) si è espresso il convincimento secondo cui “forse, piuttosto che enfatizzare questa continuità ritrovata, bisognerebbe andare alla ricerca della continuità perduta”, alludendo a quella disciplinata prima dell’intervento del decreto Insolvency (talora impropriamente considerato il secondo decreto correttivo). 
In un recente Convegno i termini della disputa sono, invece, stati declinati come antitesi tra “dogma e realtà”[19], titolo, a sua volta, decrittabile in vario modo, potendo il dogma essere tanto quello europeo quanto quello nazionale e la realtà essere rappresentata sia dal dato normativo che dalle pronunce giurisprudenziali, talora più aderenti ad un’esegesi unionisticamente orientata (al rispetto della Direttiva UE 2019/1023) che alla formulazione letterale delle norme del nostro Codice. 
Il settario nel contrasto tra dogma e realtà, direbbe che è sbagliata la realtà perché non ha inverato il suo dogma; il pragmatico dovrebbe smentire il dogma. 
In questa sede, si cercherà di essere il più possibile neutrali, analizzando i dati normativi senza preconcetti ideologici[20] (nella piena consapevolezza che nessuna interpretazione può essere del tutto irrealistica e nessuna realtà priva d’interpretazione) e lasciando in disparte la questione (prettamente dogmatica e classificatoria) relativa alla differente classificazione della cessione d’azienda a seconda del contesto in cui viene inquadrata e degli obiettivi perseguiti[21].
3 . Stato dell’arte prima del D.Lgs. n. 136/2024
Fino all’ultimo decreto correttivo del 2024, la tesi maggioritaria (anche se non unanimemente condivisa[22]) riteneva che la continuità aziendale fosse rimasta, anche nel D.Lgs. n. 14/2019, un valore-mezzo, strumentale al soddisfacimento dei creditori, intesi (non uti singuli, ma) come comunità[23] e, con la non trascurabile differenza rispetto al passato, della sostituzione del best-interest of creditor test con la clausola del no creditor worse off (NCWO) in quanto l’obiettivo finale è il loro soddisfacimento (non più “migliore”[24], ma) “in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale” (l.g.). In sede di commento al nuovo ordito codicistico si è, quindi, generalmente riconosciuto lo sforzo del Legislatore di bilanciare le due prospettive, privilegiando la continuità solo se “economicamente sostenibile”[25], perseguendo così il salvataggio dell’impresa, senza sacrificare ingiustamente[26] gli interessi dei creditori. 
Proprio sulle colonne di questa Rivista, era stata proposta una breve riflessione sulle tante deroghe alla disciplina civilistica e societaria giustificate “in nome della salvaguardia della continuità aziendale”, soffermandosi, in particolare, sull’art. 10, comma 2, del D.L. n. 118/2021 (convertito nella legge n. 147/2021)[27], unica norma non abrogata del citato decreto, nato come risposta emergenziale (e la sua numerazione è stata profetica) alla crisi economica post-pandemia. 
Ebbene, praticamente tutte le suddette misure sono state trasfuse nel D.Lgs. n. 14/2019 e successivamente rafforzate dal decreto correttivo (comunemente, ma impropriamente) indicato come ter
- il divieto di autotutela contrattuale, ossia il divieto per i creditori nei cui confronti operano le misure protettive di, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti, provocarne la risoluzione, anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore, è ora riferito anche alle banche e agli intermediari finanziari, nonché ai mandatari e cessionari dei loro crediti (art. 18, comma 5, CCII) ed è stato anticipato alla fase interinale aperta dalla presentazione di una domanda con riserva (artt. 64, comma 3, e 94 bis, comma 1, CCII); 
- la sospensione della regola trasforma, ricapitalizza o liquida (c.d. del TRoL) è stata anch’essa anticipata alla fase di ammissione con riserva (art. 44, comma 1 bis, CCII) ed opera nel contesto della CNC (art. 20), degli a.d.r. (art. 64, comma 1), del c.p. (art. 89) e del PRO (v. il rinvio contenuto nell’art. 64 bis, comma 9, CCII) sull’implicito presupposto che l’obbligo di gestione meramente conservativa (art. 2486 c.c.) sia incompatibile con l’obiettivo del risanamento; 
- la possibilità di contrarre finanziamenti prededucibili è contemplata nella CNC (art. 22, comma 1, prime tre lettere); negli a.d.r. (v. comma 4 bis aggiunto all’art. 57) e nel c.p. (artt. 99, 101 e 102), anche di gruppo (probabilmente a causa di un refuso, nell’art. 292, comma 2, CCII si continua a richiamare, come unica eccezione alla regola della postergazione dei finanziamenti dei soci, soltanto l’art. 102 CCII); 
- il trasferimento dell’azienda in deroga alla responsabilità solidale per i debiti civili risultanti dalla contabilità (sancita dal capoverso dell’art. 2560 c.c.),  inizialmente prevista solo per il c.p. (art. 118, comma 8, CCII) e la l.g. (art. 214, comma 3, CCII), oggi è applicabile alla CNC (art. 22, comma 1, lett. d, CCII); al c.l.s. (v. il rinvio contenuto nell’art. 25 sexies, comma 8, CCII) e al PRO (art. 64 bis, comma 9 bis CCII, che ricalca il citato art. 22) ed è stata estesa dalla giurisprudenza anche alla fase della domanda con riserva[28]. 
L’elenco potrebbe proseguire perché, come si vedrà, molte altre (per non dire tutte le) novità introdotte dall’ultimo restyling possono essere interpretate attraverso la lente d’ingrandimento della continuità aziendale.
4 . Rassegna degli indici normativi aggiunti dall’ultimo correttivo
Nel prosieguo ci si soffermerà solo sulle integrazioni (di diritto sostanziale)[29] più significative, che talora sfuggono ad una ricerca testuale per parole-chiave (non comparendo nelle norme interpolate il sopra citato sintagma[30]), ma che, se “messe a sistema”, rafforzano il Leitmotiv della salvaguardia del going concern e paiono davvero in grado di rappresentare un cambio di paradigma. 
Per comodità dei Lettori, il paragrafo è stato suddiviso in brevi punti[31], che non seguono necessariamente la numerazione codicistica e nei quali si è cercato di raggruppare le novità più significative nell’ottica della preservazione della continuità aziendale. 
 
A) A parità di approvazione, prevale la proposta in continuità 
Ad “instilla[re] il dubbio che la continuità sia, solo, un ‘valore-mezzo’”[32] è il comma 5 bis aggiunto all’art. 109 CCII, ai sensi del quale, “in caso di approvazione di più proposte di concordato” (preventivo, ma forse anche di concordato nella liquidazione giudiziale, quantomeno di gruppo[33]) “che si fondano su piani differenti è sottoposta a omologazione la proposta che prevede la continuità aziendale” e “se sono approvate più proposte in continuità aziendale è sottoposta a omologazione quella che ha ottenuto la maggioranza più elevata dei crediti chirografari ammessi al voto”. 
È un’innovativa regola tecnica che può non essere condivisa perché riduce la libertà decisionale dei creditori[34] portando all’omologa la proposta, non già più votata (id est, “che abbia conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto” come prescrive il comma 2), bensì fondata su un piano in continuità aziendale. Se non si commettono errori d’interpretazione, anche laddove la proposta liquidatoria offrisse un soddisfacimento superiore o uguale, dovrebbe comunque essere preferita quella in continuità, il che potrebbe comportare effetti distorsivi sulle dinamiche competitive[35] e trasformare il going concern in un dogma assoluto, trascurando le situazioni nelle quali la liquidazione potrebbe garantire un miglior risultato per i creditori, la cui volontà negoziale viene sacrificata sull’altare dell’interesse (superiore) alla salvaguardia dell’impresa ancora viable
Nonostante tali rilievi critici e aspetti problematici, la nuova previsione può essere compresa e giustificata alla luce dell’obiettivo di privilegiare la continuità aziendale, scelta coerente con la Direttiva Insolvency e tutt’altro che arbitraria, in quanto fondata sulla constatazione che la continuità preserva il valore aziendale e garantisce maggiore soddisfazione per il ceto creditorio nel medio-lungo periodo. Non è poi del tutto esatto affermare che il comma 5 bis “pon[ga] nel nulla”[36] il voto dei creditori, in quanto detta un criterio di selezione finale tra proposte plurime disomogenee. La volontà dei creditori resta, quindi, determinante per l’approvazione delle singole proposte e rientra tra le prerogative del Legislatore orientare le scelte in base a finalità di politica economica. 
 
B) L’affiancamento dei revisori ai sindaci e dei liquidatori agli amministratori  
La crescente attenzione per la preservazione della continuità, non solo aziendale, ma anche sociale, emerge anche dall’affiancamento ai sindaci dei revisori legali nel dovere di segnalare uno stato di crisi o di insolvenza (art. 25 octies CCII) e agli amministratori dei liquidatori “civilistici” nella riserva di competenza a decidere l’accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza (art. 120 bis, comma 1, CCII). 
Entrambi gli accostamenti, sebbene non perfettamente coordinati tra loro e all’interno della stessa norma[37], sono densi d’implicazioni sistematiche. 
L’inserimento del soggetto incaricato della revisione legale dei conti consente la segnalazione tempestiva della crisi anche nelle S.r.l. che abbiano optato, ai sensi dell’art. 2477, comma 2, c.c. per la sola nomina di un revisore e (contrariamente a quanto sostenuto da coloro che criticano l’integrazione) non va letto come un’indebita equiparazione tra organo di controllo sulla gestione e soggetto deputato al controllo contabile in quanto la segnalazione deve essere effettuata “nell’esercizio delle rispettive funzioni” e tra i compiti del revisore rientra anche quello di “acquisire elementi probativi sufficienti e appropriati per verificare l’utilizzo appropriato del presupposto della continuità aziendale nel bilancio e giungere a una conclusione al riguardo” (cfr. il principio 570 Continuità Aziendale ISA Italia). A ben vedere, anche la precisazione (aggiunta all’ultimo periodo del comma 2) secondo la quale “la segnalazione è in ogni caso considerata tempestiva se interviene nel termine di sessanta giorni dalla conoscenza” (o, come si evince dalla Relazione illustrativa, conoscibilità) del solo stato di crisi è volta ad accelerare i tempi e a stimolare una vigilanza proattiva, in quanto, secondo l’id quod plerumque accidit, la segnalazione avente ad oggetto lo stato di insolvenza non potrebbe, per definizione, considerarsi tempestiva e, quindi, non sarebbe valutabile ai fini dell’attenuazione o esclusione della responsabilità prevista dagli artt. 2407 c.c. e 15 del D.Lgs. n. 39/2010. 
La seconda integrazione, se portata alle estreme conseguenze, comporta diversi corollari[38]: 
i) il venir meno della libertà dei soci di decidere lo scioglimento anticipato e volontario della società in crisi[39] e di nominare i liquidatori per svolgere il loro tradizionale compito, insito nel nomen della qualifica; 
ii) il riconoscimento ai liquidatori del potere-dovere di revocare lo stato di liquidazione a prescindere dalla volontà dei soci e di accedere così al percorso della CNC purché risulti ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa[40]. 
Senza ipotizzare un esercizio extra-societario (id est, oltre i confini della singola società) dei doveri gravanti sugli organi societari di controllo della holding nel contesto dei gruppi di imprese e una rivisitazione della nozione di “interesse sociale” (continuando a far oscillare il pendolo tra la tesi istituzionalistica e la teoria dello Shareholder Value) occorre rileggere l’art. 41 Cost. prendendo atto che, in nome dei limiti alla libertà d’iniziativa economica privata, il Legislatore (prima ancora del Giudice) consente di sacrificare gli interessi dei creditori, ma anche dei soci, realizzando una sorta di personificazione della “funzione sociale” della proprietà (art. 42 Cost.) e bilanciando la tutela del credito con quella del lavoro (art. 35 Cost.). 
 
C) Sull’ammissibilità di un risanamento parzialmente liquidatorio e di un concordato “finale” a supporto della continuità aziendale 
Riallacciandoci al corollario sub ii), l’ultimo decreto correttivo, pur senza snaturare gli istituti, dovrebbe consentire un risanamento parzialmente liquidatorio, ossia perseguito tramite la dismissione dei cespiti non strumentali alla prosecuzione dell’attività. 
Questa era almeno la voluntas legis espressa dalla Relazione di accompagnamento al decreto del 2024[41], che si è tradotta nella possibilità di nominare un liquidatore a prescindere dal tipo di concordato[42], mentre rischia di essere tradita dalla formulazione dell’art. 64 bis, comma 9, CCII, che, a ben vedere, non ha reso applicabile l’art. 114 bis, bensì l’art. 114 CCII. 
L’equivoco ingenerato dal rinvio alle “disposizioni sulla liquidazione nel concordato liquidatorio” (C.p.Li) e non a quelle sulla liquidazione nel concordato in continuità (c.p.Co) è, probabilmente, alla base di alcune pronunce giurisprudenziali che ammettono un piano di ristrutturazione di natura eminentemente liquidatoria[43], che, rispetto al C.p.Li, sarebbe sottratto al doppio vincolo sancito dall’art. 84, comma 4, CCII (apporto di risorse esterne che incrementino di almeno il 10% l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda e soddisfacimento dei creditori sia chirografari che privilegiati degradati per incapienza in misura non inferiore al 20% del loro ammontare complessivo). 
Lo stesso interrogativo continua a porsi per la CNC, ma in questo caso, nonostante il concordato semplificato liquidatorio abbia perso (almeno sulla carta) la sua accezione di esito negativo[44], la giurisprudenza più recente ha ritenuto “maggiormente condivisibili gli assunti sottesi all’orientamento giurisprudenziale di merito che esclude la conferma delle misure protettive del patrimonio in ipotesi di un piano squisitamente liquidatorio, all’esito del quale non sussista una ragionevole possibilità di perseguire l'obiettivo del risanamento dell'impresa e la prosecuzione della sua attività, al cui perseguimento dette misure possano ritenersi strumentali. Difatti l’obiettivo del risanamento, perseguibile anche indirettamente mediante la cessione o l’affitto dell’azienda stessa (art. 12, comma 2), in coerenza con la disciplina attualmente vigente in ambito di concordato preventivo, non può che essere perseguito con soli strumenti che consentano la conservazione dei valori aziendali”[45]. 
Riallacciandoci alle considerazioni svolte sub a), una lettura in filigrana delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 136/2024 al concordato nella liquidazione giudiziale (c.d. finale o incidentale) consente di concepirlo come uno strumento di risoluzione dell’insolvenza a supporto della continuità aziendale, soprattutto indiretta, attraverso la previa stipulazione di un contratto d’affitto ovvero l’esercizio (non più provvisorio) dell’impresa[46] e l’affidamento al curatore del potere di compiere gli atti e le operazioni riguardanti l’organizzazione e la struttura finanziaria della società previsti nel programma di liquidazione, dandone adeguata e tempestiva informazione ai soci ed ai creditori sociali (art. 264 CCII). Avremmo così un “concordato endoconcorsuale in continuità aziendale”[47] (che potremmo ribattezzare un concordato ‘evolutivo’ o ‘di transizione’), che, fino a poco tempo fa, sarebbe apparso un ossimoro e che oggi rientrerebbe nella nozione di strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza offerta dall’art. 2, lett. m-bis, CCII. 
 
D) Purgazione “funzionale” 
Altra novità in linea con il dichiarato favor per la continuità aziendale è senza dubbio la deroga al capoverso dell’art. 2560 c.c., anticipata dalla giurisprudenza alla fase introdotta da una domanda con riserva[48] ed estesa dall’ultimo decreto correttivo anche al PRO (cfr. l’art. 64 bis, comma 9 bis CCII che, al pari degli artt. 22, comma 1, lett. d, e 52, comma 2, CCII, considera la salvaguardia della continuità aziendale e la migliore soddisfazione dei creditori valori pari-ordinati). 
Questo parallelismo, unito alla circostanza che al PRO si applica l’art. 114 CCII potrebbe forse offrire un (sia pur debole) appiglio per riconoscere alle vendite operate nel contesto della CNC, sebbene non coattive, un “effetto purgativo” (non in senso tecnico, ma) “funzionale” alla preservazione del going concern
Altro ‘scudo incentivante’ la prosecuzione dell’attività è ricavabile dall’ampia formulazione dell’art. 16, comma 6, del D.Lgs. n. 173/2024, che deroga alla responsabilità solidale per i debiti fiscali ogniqualvolta la cessione avvenga nell’ambito della composizione negoziata della crisi “o di uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza giudiziale” (dizione che sembrerebbe ricomprendere anche agli a.d.r.). 
 
E) Coinvolgimento delle parti interessate e contro(interessate) 
Altro indice normativo “pro” (id est, “a favore” della) continuità aziendale è poi l’art. 116 CCII (ora applicabile anche agli a.d.r. in forza del richiamo contenuto nell’art. 57, comma 2, CCIII) che, in un delicato gioco di checks and balances[49], coinvolge nel processo di superamento della crisi persino i creditori sociali di società non in crisi, parti delle operazioni straordinarie di fusione e scissione, “costretti” al solo rimedio dell’opposizione in ambito extra-societario e all’interno del procedimento di cui all’art. 48 CCII (lasciando intendere, a fortiori, che una siffatta limitazione dovrebbe operare anche per i soci). 
Ragionando sul combinato disposto degli artt. 116 e 118 bis CCII si potrebbe applicare la prima norma in via estensiva anche in casi diversi dalle operazioni espressamente contemplate[50], inibendo ai soci il diritto di exit, che finirebbe per ostacolare il risanamento. 
In merito al coinvolgimento di terzi nel processo di ristrutturazione, non può poi sfuggire l’estensione dei doveri di cui all’art. 4 CCII anche ai “soggetti interessati” (per esempio, soci e garanti[51]), che possono stipulare i contratti e gli accordi di cui agli artt. 23 e 24 quater, lett. a, e c), CCII e gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento ai sensi dell’art. 56, comma 4, CCII. 
 
F) Superamento del principio dell’intangibilità del debito tributario e doppio cram down (fiscale e generale) 
Oltre alla transizione dal principio della “neutralità” a quello della “centralità” organizzativa[52], l’ultimo decreto correttivo ha, altresì, infranto anche il dogma dell’intangibilità del debito tributario, contemperando le ragioni del fisco con quelle dell’impresa. 
Il sistema che ne scaturisce presenta sensibili differenze: 
- nel contesto del percorso camerale della CNC, la proposta non può riguardare risorse proprie dell’Unione europea; 
-il cram down non è ammesso nella (fase negoziale della) CNC e nel PRO perché ontologicamente incompatibile con, rispettivamente, la mancanza di una fase di votazione e la richiesta dell’unanimità dei consensi ed è disciplinato in maniera diversa nel c.p. (art. 88 CCII), negli a.d.r. (art. 63, comma 2, CCII) e nel c.l.g. (art. 245, comma 5, CCII). 
Sebbene siano tutte differenze comprensibili e giustificabili anche ponendo mente a noti casi (v. Reggina Calcio), l’entità e le caratteristiche del debito erariale finiscono così per diventare un fattore decisivo nella scelta dello strumento di regolazione della crisi. 
Altro nodo gordiano sciolto dal correttivo concerne il vecchio (s)combinato disposto dell’originaria formulazione degli artt. 88, comma 2 bis e 112 CCII, ossia il connubio fra cram down fiscale-contributivo e cross-class-cram-down o ristrutturazione trasversale dei debiti (breviter, RTD). 
Come il Lettore ricorderà, l’iniziale formulazione del comma 2 bis dell’art. 88[53] e quella, non facilmente intellegibile, della lett. d) dell’art. 112 CCII[54] aveva sollevato il dubbio sull’applicabilità del cram down fiscale anche al concordato preventivo in continuità, già agevolato dalla RTD. 
La nuova stesura delle norme è più didascalica[55]: 
- il comma 4 aggiunto all’art. 88 CCII ha sciolto il dilemma concernente l’applicazione del cram down anche al concordato preventivo in continuità, nel qual caso il parametro è rappresentato (non dalla convenienza, ma) dalla non deteriorità; 
- la lett. d) del comma 2 dell’art. 112 CCII continua a ritenere sufficiente per la ristrutturazione trasversale il placet sulla proposta della maggioranza delle classi, una delle quali composta di prelatizi, ma interviene sull’ipotesi subordinata in cui una maggioranza non si formi affatto, accontentandosi del voto di una sola classe di creditori c.d. in the money
Dal combinato disposto delle nuove norme (ora perfettamente coordinate tra loro) si evince che il dissenso del creditore pubblico non può essere superato al fine di omologare il concordato secondo le regole previste per l’unanimità o per far scattare l’approvazione monoclasse[56], mentre il capovolgimento (o la neutralizzazione) del voto del creditore fiscale o contributivo può servire per conseguire l’approvazione a maggioranza.  Riprendendo un’osservazione proposta in altro scritto, questo doppio cram down non dovrebbe risolversi in un “doppio salto mor(t)ale”[57] giacché dalle modifiche normative sopra sinteticamente ricordate si desume che non è mai consentito omologare un concordato in continuità mediante il sistema delle ristrutturazioni trasversali quando vi è solo il consenso forzato del creditore fiscale o contributivo (indipendentemente dalla suddivisione in classi e dal numero di classi coinvolte). In futuro, non dovrebbe quindi più essere consentito ‘spacchettare’ la categoria dei creditori pubblici in più classi, così da ritenere formalmente rispettato il requisito della maggioranza delle classi (il cui voto è stato convertito) e poi omologare un concordato bocciato all’unanimità, senza ricorrere all’approvazione monoclasse[58]. 
Sempre a proposito del cross-class cram-down l’art. 112, modificando il comma 2, CCII ha chiarito che il consenso del debitore (che avrebbe potuto essere un fattore ostativo all’omologazione, tramite la ristrutturazione trasversale, di una proposta concorrente) è necessario solo qualora l’impresa sia piccola nell’accezione europea, ossia non superi i requisiti di cui all’art. 85, comma 3, secondo periodo, CCII. 
Resta il dubbio sull’applicabilità della RTD al concordato minore laddove sia prevista la divisione in classi come sembrerebbe consentire il richiamo all’art. 112 contenuto nell’art. 78, comma 2 bis, lett. b, CCII. 
 
G) Garanzia patrimoniale e par condicio creditorum recessive rispetto all’esigenza di risanamento 
In questa rapida carrellata delle principali correzioni/integrazioni apportate dal D.Lgs. n. 136/2024 per favorire la continuità aziendale non si può dimenticare: 
- l’estensione della facoltà di dividere i creditori in classi (anche c.d. “a zero”, in cui l’utilità sia rappresentata dalla salvezza dei rapporti commerciali) anche al c.l.s. (art. 25 sexies, comma 1, CCII) e al concordato minore (art. 74, comma 3, CCII); 
- il chiarimento circa l’ammissibilità di una moratoria nel pagamento dei crediti privilegiati o garantiti nell’ambito del piano di ristrutturazione del consumatore (art. 67, comma 4, ultima parte, CCII) con la previsione del termine massimo di due anni (anziché uno, come nella legge n. 3/2012) per contemperare l’esigenza di agevolare i processi di ristrutturazione con la necessità di approntare idonea tutela delle ragioni dei creditori che, nel piano del consumatore, non sono chiamati a votare, mentre detto limite temporale è stato opportunamente depennato per il concordato in continuità, che richiede solo il pagamento dei lavoratori nel termine di sei mesi (art. 86 CCII); 
- l’estensione dell’esenzione dall’azione revocatoria prevista dalla lett. e) del comma 3 dell’art. 166 CCII anche agli atti (pagamenti e garanzie) esecutivi del c.l.s.[59]. 
Tutte queste integrazioni potrebbero essere (e, generalmente, sono) lette come un’ulteriore deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c.; in realtà, anticipando le conclusioni, anche tale garanzia risulta rafforzata grazie alla sopravvivenza dell’impresa. 
 
H) Potere del debitore di sciogliersi dai rapporti giuridici pendenti vs il rafforzamento del divieto delle clausole ipso facto 
Come si è anticipato nel § 3, anche la disparità di trattamento tra, da un lato, l’imprenditore in crisi o insolvente, che può sciogliersi dai rapporti pendenti (artt. 97 e 172 CCII dettati, rispettivamente, per il c.p. e la l.g.) e, dall’altro, i creditori, che invece vedono paralizzati i loro poteri di autotutela contrattuale (arg. desunto dagli artt. 18, comma 5; 64, commi 3 e 4 e 94 bis, commi 1 e 2, CCII) serve a favorire la continuità aziendale. 
La formulazione delle norme che vietano le clausole ipso facto non è del tutto equivalente. Il minimo comun denominatore consiste nel divieto di unilateralmente: rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti (in corso di esecuzione) o provocarne la risoluzione, anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell'imprenditore. 
Solo l’art. 18, comma 5, CCII ricomprende espressamente nella categoria dei creditori anche “le banche e gli intermediari finanziari, i loro mandatari e i cessionari dei loro crediti”[60], inibendo di “revocare in tutto o in parte le linee di credito già concesse” per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza di cui al comma 1. Analoga precisazione non è stata inserita negli artt. 64, comma 3 e 94 bis, comma 1, CCII che parlano genericamente di creditori, vietando loro le reazioni sopra elencate “per il solo fatto del deposito della domanda di accesso” allo SRCI o della richiesta della concessione di misure protettive e cautelari. 
Infine, in base alla formulazione degli artt. 64, comma 4, CCII (in tema di a.d.r.) e 94 bis, comma 2, CCII (dettato per il C.P.Co., ma applicabile anche al PRO), nel caso di “contratti essenziali” per la prosecuzione degli approvvigionamenti dell’impresa (ivi espressamente definiti), i creditori non possono azionare gli strumenti di autotutela negoziale neppure qualora non siano stati pagati[61]. 
Sempre nell’ottica di favorire la ristrutturazione, il D.Lgs. n. 136/2024, ha cercato di tranquillizzare le banche rispetto al rischio di essere convenute in giudizio con un’azione di responsabilità per concessione abusiva di credito (v. gli artt. 16, comma 5 e 18, commi 5 e 5 bis CCII) e, richiamandole al dovere di motivare le loro decisioni prese in ossequio alla disciplina sulla vigilanza prudenziale, dovrebbe aver ottenuto anche l’effetto (indiretto) di scoraggiarle dall’effettuare interruzioni brutali di credito, ferma restando la possibilità di porvi rimedio tramite la riattivazione delle linee di credito sospese (art. 22, comma 1, lett. a, CCII). 
 
I) PdL “virtuale”, strategico ed “alternativo” degli stakeholders 
Un’altra novità dell’ultimo decreto correttivo che, sia pure indirettamente, dovrebbe agevolare il superamento del test di non deteriorità del trattamento offerto ai creditori rispetto a quello ritraibile dalla l.g. è l’aver definito (nell’art. 87, comma 1, lett. c, CCII) la nozione di valore di liquidazione (VL) in termini realistici, precisando i criteri di calcolo e il parametro temporale (momento della presentazione della domanda di accesso ad uno SRCI alternativo alla liquidazione concorsuale). Per la precisione, la citata lettera lo definisce come “corrispondente al valore realizzabile, in sede di liquidazione giudiziale, dalla liquidazione dei beni e dei diritti, comprensivo dell’eventuale maggior valore economico realizzabile nella medesima sede dalla cessione dell’azienda in esercizio nonché delle ragionevoli prospettive di realizzo delle azioni esperibili, al netto delle spese”. Dalle parole evidenziate in corsivo si evince che non può essere una cifra scritta nel libro dei sogni, irrealisticamente ottimistica; al contrario, occorre tener conto della difficoltà di riuscire a cedere l’azienda in esercizio; dei tempi e dei costi della liquidazione; delle reali prospettive di realizzo delle azioni giudiziarie esperibili, parametrate alla solvibilità dei convenuti (sarebbe inutile ed anzi controproducente agire in responsabilità nei confronti di soggetti nullatenenti essendo la tassa di registro calcolata sulle somme oggetto di condanna).  
La nozione di VL acquista una rilevanza sistematica centrale, essendo richiamata in numerose altre norme e dovrebbe auspicabilmente comportare un diverso modus procedendi dei professionisti degli altri SRCI che (prima del curatore della l.g.) dovranno redigere un programma di liquidazione “virtuale”[62]. 
Forse, de jure condendo, per favorire un effettivo cambio di paradigma e di mentalità (oggi la l.g. è ancora vista come una fase terminale e, nonostante il mutamento lessicale, quasi “punitiva”) servirebbe incentivare una ‘liquidazione rigenerativa’, ‘guidata’ in modo più proattivo dagli stakeholders coinvolti (ad esempio, tramite un coinvolgimento diretto dei creditori strategici nella pianificazione del programma). Come già accade per le proposte concorrenti (ammissibili anche per il c.l.g. senza restrizioni temporali: art. 240, comma 1, CCII), si potrebbe permettere ai creditori[63] di proporre un loro programma di liquidazione alternativo, ‘sfidando’ quello del curatore, il cui contenuto andrebbe integrato con l’analisi del potenziale valore prospettico degli asset e non solo del loro valore di realizzo immediato (una sorta di “programma di liquidazione strategica” o “rigenerativa”)[64]. 
Si realizzerebbe così una “continuità concettuale” tra strumenti di regolazione negoziata della crisi e una liquidazione giudiziale “negoziata”. 
 
L) Potere di modificare il piano di c.p.Co. senza tradire la scommessa sulla continuità aziendale 
Last but not least, il Legislatore, assecondando una richiesta proveniente dagli operatori del settore, ha previsto (attraverso il nuovo art. 118 bis CCII) la possibilità di modificare il piano di c.p.Co (e di concordato minore[65]) eventualmente anche con l’ausilio del commissario giudiziale (art. 92, comma 3, ultimo periodo, aggiunto dal D.Lgs. n. 136/2024). 
Si tratta di una previsione alquanto opportuna che non può giustificare un “tradimento della continuità aziendale” tramite la “sostituzione” del tipo di piano, che richiederebbe, oltre ad una verifica del tribunale e all’esame delle eventuali opposizioni dei creditori, una rinnovazione del loro voto basata sulle differenti regole per l’approvazione applicabili al concordato liquidatorio (che ammette anche la RTD) rispetto a quelle dettate per il concordato in continuità[66]. 
Se ben si riflette, la ratio di tale previsione (id est, bilanciare i precetti sintetizzabili nei due brocardi pacta sunt servanda e rebus sic stantibus) è simile a quella sottostante la rinegoziazione dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita in cui la prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa o sia alterato l’equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute (art. 17, comma 5, CCII).
5 . Un “whatever it takes” all’italiana?
Prendendo abbrivio dall’ultimo indice sistematico e riprendendo il titolo di una nota a sentenza[67], ci si potrebbe chiedere se oggi l’obiettivo della salvaguardia della continuità aziendale venga perseguito a qualunque costo e se non riaffiori il (vecchio) rischio di patologici accanimenti terapeutici a spese dei creditori, in particolare pubblici, il cui finanziamento (e consenso) forzoso (e forzato) potrebbe surrettiziamente trasformare il Bail-in in un Bail-out
A modesto avviso di chi scrive e, quel che più conta, di quella dottrina che aveva parlato di “risanamento finanziato dai creditori”[68], la risposta dovrebbe essere tranquillizzante per una serie di concorrenti ragioni. 
La prima emerge da un raffronto sinottico tra l’accesso alla CNC e la domanda con riserva:  il Legislatore ha introdotto nuovi incentivi al primo percorso e scoraggiato una domanda giudiziale (non solo ‘in bianco’, ma) ‘al buio’ ed è tangibile la preoccupazione di evitare abusi. Basti pensare come siano subordinati alla presentazione di un progetto di piano: l’accesso alla CNC (art. 17, comma 3, lett. b, CCII); la conferma delle misure protettive e l’eventuale adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative (art. 19, comma 2, lett. d, CCII); la proroga del termine per completare la domanda (art. 44, comma 1, lett. a, CCII) e la possibilità per il debitore di giovarsi, nella fase con riserva, del regime giuridico proprio dello strumento specificamente individuato (art. 44, comma 1 quater, CCII)[69]. 
In secondo luogo, il D.Lgs. n. 136/2024, codificando le migliori prassi, ha integrato l’art. 87, comma 1, CCII sul contenuto del piano di risanamento nel concordato preventivo (norma applicabile anche al PRO e al concordato minore in virtù dei richiami rispettivamente contenuti negli artt. 64 bis, comma 9, e 74, comma 4, CCII)[70] attraverso la previsione (v. lett. p-bis) di un apposito fondo rischi per i finanziamenti garantiti da SACE/MCC. 
Non si può poi sottovalutare l’attenzione (rafforzata dal correttivo) che il codice presta alla tutela dell’ambiente e alla sicurezza dei lavoratori (artt. 56, comma 2, lett. g-bis; 87, comma 1, lett. f, CCII), offrendo nuova linfa alla responsabilità sociale dell’impresa anche in materia concorsuale[71]. 
Se ben si riflette, fenomeni di ‘accanimento terapeutico’ dovrebbero essere scongiurati in partenza considerando che il periodo aggiunto all’art. 37, comma 1, CCII ha infranto la no-failure zone accordando alle start-up innovative, diverse dalle imprese minori, il potere (dovere) di chiedere di essere sottoposte la l.g. e che ai sensi dell’art. 43 CCII il P.M., a dispetto della desistenza del ricorrente e in nome dell’emersione tempestiva della crisi, può proseguire il procedimento per l’apertura della l.g. 
Infine, nonostante le osservazioni (forse provocatorie, ma sicuramente non prive di fondamento) avanzate da quella giurisprudenza che fa dottrina[72], è rimasta confinata al Cp.Co la previsione che consente alla Corte d’Appello di confermare la sentenza di omologazione, nonostante l’accoglimento del reclamo, “se l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante, riconoscendo a quest’ultimo il risarcimento del danno” (art. 53, comma 5 bis, CCII)[73] e il Legislatore non si è spinto a disciplinare l’ipotesi speculare, consentendo al giudice di seconde cure di sostituire la sentenza (corretta) di rigetto con una di omologazione con tutela risarcitoria. 
Senza contare che spesso le critiche all’operato del Legislatore si elidono a vicenda[74] e ciò dovrebbe rappresentare la migliore riprova che il sistema delineato dal Codice della crisi realizza un “equilibrio strategico”, mentre potrebbero (ri)affiorare i dubbi sull’eccessiva compromissione dei diritti e del ruolo dei creditori nel contesto della procedura di amministrazione straordinaria, nella quale la continuità è un valore-fine da perseguire “anche quando si esauriscono le risorse per i creditori”[75].
6 . Risultati conseguibili de jure condito e de jure condendo in nome della continuità aziendale
Dalle schematiche considerazioni sopra svolte, dovrebbe emergere che, in nome (o, per i detrattori del Codice, nel miraggio) della salvaguardia della continuità aziendale, il D.Lgs. n. 14/2019, così come novellato dall’ultimo correttivo, consente di coinvolgere non solo i diritti (patrimoniali ed amministrativi) dei soci e terzi interessati, ma anche di terzi “controinteressati” come i creditori delle società in bonis
Oggi la responsabilità patrimoniale è “a tempo”[76], ma più realistica perché estesa, oltre che ai beni futuri (includendo i valori relativi alla redditività dell’azienda), a “beni di secondo grado” (arg. desunto dagli artt. 120 bis e 120 quinquies CCII) rappresentati dalle partecipazioni sociali[77] e tutelata non solo ex post tramite l’azione revocatoria e surrogatoria, ma presidiata ex ante dagli artt. 3 e 4 CCII, delineando un nuovo concetto di diligenza nell’assumere obbligazioni (sostenibili) più che nell’adempierle[78] e dettando stringenti doveri di comportamento secondo correttezza e buona fede[79]. 
Anche le norme e novità apparentemente più eretiche ed eversive rispetto alla tradizione possono essere metabolizzate pensando che, nel nostro ordinamento giuridico, non è mai esistito “il carcere per debiti” per cui dal nullatenente, privo di reddito (anche prima dell’introduzione dell’art. 283 CCII) i creditori nulla avrebbero comunque potuto ottenere. 
Alla critica secondo cui è una continuità aziendale solo “nominale” quella svincolata dal mantenimento delle maestranze, si potrebbe replicare che ai sensi del capoverso dell’art. 84 CCII occorre pur sempre preservare, “nella misura possibile, i posti di lavoro” e che non basta imporre ope legis il mantenimento di certi livelli occupazionali per renderla continuità ‘vera’ giacché ad impossibilia nemo tenetur. Senza contare che oggi è sempre più diffusa la figura del c.d. solopreneur (imprenditore individuale che lavora senza dipendenti, magari con collaboratori esterni o tramite l’automazione), ragion per cui imporre un vincolo occupazionale rigido potrebbe risultare anacronistico o comunque non aderente alla realtà operativa di molte imprese moderne. 
Si potrebbe sinteticamente dire che la continuità aziendale tutelata dal Codice della crisi è solo quella “sostenibile” (art. 21 CCII), ossia in grado di far fronte ai debiti per almeno dodici mesi (art. 23, lett. b, CCII), che non si traduce in una scommessa azzardata e che non potrebbe risolversi in un tradimento dei creditori. 
Naturalmente anche la dottrina e la giurisprudenza potranno (e, invero, stanno già facendo) la loro parte: 
a) valorizzando il canone della solidarietà (art. 2 Cost.) anche in materia concorsuale[80] e un principio di responsabilità condivisa nella gestione della crisi d’impresa (art. 4 CCII), laddove le norme del codice civile sulla culpa in contrahendo (art. 1337 c.c.) e il concorso del fatto colposo del creditore (art. 1227 c.c.) sono rimaste in gran parte inapplicate nella prassi; 
b) interrogandosi sulla possibilità di bypassare il termine di dodici mesi (sancito dall’art. 8 CCII) richiedendo una misura cautelare con lo stesso contenuto di quella protettiva, la cui concessione sarebbe (non automatica, ma) subordinata ad una valutazione rigorosa del fumus boni iuris e del periculum in mora[81]; 
c) proponendo il metodo del Discounted Cash Flow (DCF) per attualizzare il valore futuro del pagamento promesso al fine di garantire un’effettiva assenza di pregiudizio per i creditori dissenzienti, e, per tale via, permettere un confronto più equo con il valore di liquidazione e una selezione più rigorosa dei piani di ristrutturazione[82]; 
d) non facendosi ingannare dal criterio della quantificazione del danno basato sulla differenza dei netti patrimoniali (id est, tra il patrimonio netto al momento dello scioglimento virtuale della società e quello all’avvio della procedura concorsuale), metodo che ha avuto il merito di mitigare l’approssimazione del criterio c.d. del deficit (basato sulla differenza tra attivo e passivo), ma, al contempo, ha generato un “abbaglio” obnubilando il danno derivante (anche in assenza di insufficienza patrimoniale) dalla violazione dei doveri di corretta gestione e vigilanza e offuscando il profilo di responsabilità degli organi societari per “perdita di valore” da parte della stessa società[83], rimedio azionabile dal curatore in quanto “azione di massa” o, se si vuole, “pro massa”[84]; 
e) portando alle estreme conseguenze la centralità dell’art. 2086 c.c., facendo risalire il canone dell’adeguatezza organizzativa dal piano dell’impresa a quello societario con conseguente riconducibilità alla causa dissolutiva dell’impossibilità giuridica (e non materiale[85]) di conseguire l’oggetto sociale (cfr. il n. 2 degli artt. 2272 e 2484 c.c.) dell’inadeguatezza organizzativa e configurabilità del vizio della nullità delle deliberazioni assembleari e consiliari incompatibili con tale canone[86]. 
Sono tutte tesi suggestive e ben motivate, che meriterebbero, ciascuna, un autonomo approfondimento, non consentito in questa sede. 
L’opinione sub c) sottolinea il pericolo di aggiramento del principio dell’assenza di pregiudizio (in forza del quale i creditori dissenzienti non possono ricevere un trattamento peggiore di quello che avrebbero ottenuto in una liquidazione giudiziale) insito nel confronto tra un valore di pagamento futuro ed incerto ed un valore di liquidazione attuale e certo e rimarca i limiti dell’approccio nominale, che non terrebbe conto del rischio e della variabilità del pagamento futuro. Tuttavia il metodo proposto, sebbene coerente con le prassi finanziarie, potrebbe risultare non agevole da applicare in concreto (poiché richiede la definizione di un tasso di sconto adeguato al rischio specifico del piano) e ridurre il numero di piani omologabili, rendendo più difficile il salvataggio di imprese in crisi. 
Quanto alle ultime due proposte, pur con tutte le difficoltà pratiche legate alla quantificazione del danno, chi scrive non nasconde la sua preferenza per la tesi volta a sanzionare la violazione dell’art. 2086 c.c. sul piano risarcitorio (con un’azione di responsabilità per perdita del valore) anziché sul piano reale (con lo scioglimento della società). Gli Autori attribuiscono un diverso peso alla continuità aziendale: Fabiani vede la perdita del capitale sociale come un indicatore, ma non necessariamente un motivo di scioglimento della società; Benazzo, viceversa, considera la continuità aziendale come un principio cardine dell’ordinamento e una condizione imprescindibile per la legittimazione stessa dell’impresa. Le posizioni non sono totalmente inconciliabili, ma l’una privilegia un approccio più flessibile, basato sulla valutazione concreta della gestione, mentre l’altra adotta una prospettiva più rigorosa e strutturale che forse finirebbe per anticipare troppo l’operare della causa dissolutiva e per trasformare quella che, nei primi commenti, era stata giudicata una norma “imperfetta” (perché priva di sanzione) in una norma fin troppo “severa”. In fondo - senza voler sminuire l’importante insegnamento ritraibile dalla novella dell’art. 2086 c.c. ad opera del D.Lgs. n. 14/2019 - non si può escludere a priori che anche un’impresa disorganizzata, per una serie di circostanze fortunate, sia in grado di conseguire l’oggetto sociale, obiettivo invece per definizione irrealizzabile per un’impresa priva della prospettiva della continuità aziendale senza ricorrere a piani di turnaround.
7 . Upgrade del going concern: cram-down o cram-up interpretativo?
Prescindendo dall’ultima impostazione dogmatica, che la giurisprudenza non pare ancora pronta ad accogliere (altrimenti, buona parte delle PMI dovrebbero ritenersi ‘sciolte’) e riallacciandoci al dibattito sintetizzato all’inizio di questo contributo, non pare azzardato affermare che oggi la continuità aziendale sia un valore-fine (a sé stesso) o, se si preferisce, un valore-mezzo strumentale all’obiettivo della risoluzione della crisi[87]. Si potrebbe forse parlare di uno “scopo-strutturale”, una sorta di principio guida dell’ordinamento (non solo concorsuale)[88] capace d’indirizzare le scelte gestionali e le soluzioni della crisi, senza tuttavia imporsi in modo inderogabile qualora la sua preservazione risulti incompatibile con la tutela di altri interessi e diritti altrettanto importanti. 
Riprendendo e usando in termini atecnici e figurati il concetto di cram-up[89], verrebbe da chiedersi se il qui tratteggiato upgrade della continuità aziendale, segni un passo indietro o un passo avanti nella tutela dei creditori. 
Qualunque risposta sconta un ampio margine di opinabilità e, ad oggi, risulterebbe prematura e condizionata da fattori ideologici e conviene pertanto aspettare la prova dei fatti: se il nuovo ordito codicistico aiuterà a conseguire un “risultato di mercato”[90] (ossia a tutelare il tessuto produttivo in cui l’impresa opera), allora, volenti o nolenti, anche i più scettici dovranno rassegnarsi all’evidenza e quella famosa “corsa ad ostacoli” culminata nella “beffa”[91] (ma con risarcimento dei danni) dell’art. 53, comma 5 bis, CCII potrebbe non apparire più tale. 
Non si tratta di schierarsi tra un approccio debtor-oriented o creditor-oriented, d’indossare i panni del debitore o dei creditori, ma di adottare un’impostazione firm oriented[92] nell’interesse di tutti e di leggere le norme in maniera distaccata, pensando ai creditori (non solo di ieri, bensì anche) del domani, senza cedere alla tentazione di valutazioni etiche perché anche i valori si evolvono e i precetti costituzionali vanno contestualizzati. La stessa possibilità per il debitore di organizzare le classi e di distribuire il valore non deve essere vista soltanto come un vantaggio unilaterale, ma anche come un incentivo alla negoziazione e alla ricerca di soluzioni sostenibili. 
8 . Coltivando la metafora dei “battelli del Reno”
Parafrasando e ‘attualizzando’ alla luce delle moderne teorie di corporate governance e dell’evoluzione del diritto concorsuale la celebre citazione secondo cui la società (di navigazione) non esiste per «distribuire dividendi a Lorsignori, ma per far andare i battelli sul Reno», si potrebbe dire che una società non nasce solo per distribuire utili ai soci[93], ma per operare in modo sostenibile, preservando la continuità aziendale, tutelando gli stakeholders e contribuendo alla crescita economica. In altri termini e mantenendoci più fedeli alla metafora originale, un’azienda di trasporto non esiste solo per arricchire gli investitori, ma per far viaggiare persone e merci in modo efficiente e sostenibile. 
Coltivando l’aforisma del giurista tedesco Walter Rathenau e tenendo conto che (ai sensi degli artt. dal 120 bis al 120 quinquies CCII) anche le partecipazioni sociali e i diritti dei soci non sono più intoccabili, ma possono essere limitati, ridotti o riconfigurati (ad esempio, attraverso un aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione) qualora sia funzionale alla ristrutturazione dell’impresa in crisi, potremmo dire che “i battelli non devono fermarsi solo perché i proprietari delle cabine di prima classe non vogliono cambiare posto: se necessario, gli assetti proprietari vanno ripensati per mantenere la nave in navigazione”. In fondo, se l’obiettivo è far arrivare i battelli a destinazione, talvolta è necessario ridistribuire gli spazi a bordo e anche gli armatori devono contribuire, se questo serve a evitare il naufragio. 
Se ben si riflette, l’idea sottostante al concetto secondo cui la continuità aziendale è prioritaria rispetto alla staticità degli assetti proprietari (ragion per cui, se l’impresa è in difficoltà, anche i soci devono essere pronti ad adattarsi per consentire il viaggio della società verso il risanamento), non è molto dissimile dalla logica macroeconomica che ha portato all’introduzione nel nostro ordinamento giuridico dell’istituto dell’esdebitazione (anche delle società)[94], dall’idea del “concorso” come “unione delle forze” che connota la composizione negoziata della crisi[95] e lo stesso concordato con attribuzione ai soci (art. 120 quater)[96]. 
Proprio con riferimento agli artt. 4 e 120 bis CCII, si è osservato che tali norme e alcuni recenti provvedimenti giurisprudenziali “propongono – e a volte impongono – modelli di comportamento nella gestione della impresa non egoistici”, che possono “ritenersi espressione - sia pure embrionale - di quella funzionalizzazione dell’attività economica al raggiungimento degli obiettivi di utilità sociale già considerati dalla nostra Costituzione, nei noti termini negativi dell’assenza di contrasto”[97]. E qualora si facesse ancora fatica a metabolizzare ed accettare l’idea di una solidarietà nei rapporti commerciali, si potrebbe usare il tramite del dovere di buona fede e correttezza ed il (connesso) divieto di venire contra factum proprium
In sintesi e in chiusura: navigare necesse est, mutare quoque avendo come bussola il going concern, che oggi, a tutti gli effetti, è diventata una nuova ratio decidendi[98].

Note:

[1] 
Arg. desunto dalla modifica dell’art. 75, comma 3, CCII, giustificata (come spiega la Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 136/2024) dalla circostanza che, essendo il concordato minore utilizzabile anche dal professionista, la possibilità di prosecuzione del mutuo è estesa ai contratti garantiti da beni strumentali all’esercizio dell’attività professionale. 
[2] 
V. in particolare A. Picardi, F. Di Marzio, G. Ivone, L. Vaccarella, La continuità aziendale, Milano, 2024; F. Pacileo, Continuità e solvenza nella crisi di impresa, Milano, 2017. 
[3] 
N. Soldati, La Direttiva (UE) 2019 /1023 e l’evoluzione delle procedure concorsuali nell’ottica della continuità aziendale e dell’emersione tempestiva della crisi d’impresa, in Diritto del commercio internazionale, 2020, n. 1, p. 217 ss.; M. Spiotta, La continuità aziendale: una nuova “stella polare” per il legislatore, in AA.VV., UE e disciplina dell’insolvenza, a cura di L. Boggio, in Giur. it., 2018, p. 265 ss. 
[4] 
Sul (non sempre facile) discrimen rispetto alle nozioni (definite dalle prime due lettere dell’art. 2 CCII) di crisi ed insolvenza si rinvia a S. Fortunato, Insolvenza, crisi e continuità aziendale nella riforma delle procedure concorsuali: ovvero la commedia degli equivoci, in Dir. fall., 2021, I, p. 3 ss.; G. Buffelli, Il rapporto tra le nozioni di perdita di continuità aziendale e crisi d'impresa, in Guida alla contabilità & bilancio, 2019, n. 10, p. 32. Su rapporto con l’art. 2423 bis n. 1 c.c. v. R. Rordorf, La continuità aziendale tra disciplina di bilancio e diritto della crisi, in Società, 2014, p. 917 ss. 
[5] 
In argomento v. F. Ballarin, Proposte di modifica all’ISA 570 - Continuità aziendale, in Amministrazione e finanza, 2023, p. 43 ss. 
[6] 
In dottrina si è emblematicamente parlato di uno “statuto” della continuità aziendale: così S. Ambrosini, Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano: gli interessi protetti e lo “statuto” della continuità aziendale, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 10 marzo 2024 e in Dir. fall., 2024, I, p. 449 ss. 
[7] 
Cfr. V. Chionna, Società di capitali in liquidazione e concordato preventivo in “continuità aziendale”, in Dir. fall., 2023, I, p. 203 ss.; G. Garesio, Impresa in liquidazione e principio del going concern: un falso ossimoro?, in Giur. it., 2018, p. 121 ss.; M.G. Musardo, La problematica individuazione dei criteri di redazione del bilancio in caso di perdita di continuità aziendale, in Nuove leggi civili commentate, 2016, p. 1075 ss. V. anche N. Abriani, Continuità aziendale, avvio della composizione negoziata e giustificato ritardo nella redazione del bilancio. Parere pro veritate, in Dirittodellacrisi.it, 18 ottobre 2022. 
[8] 
V. l’art. 84, comma 3, e l’art. 285, comma 1, CCII, modificati al fine di evitare quella che è stata emblematicamente definita (da L. Stanghellini) la “maledizione delle imprese ricche”. 
[9] 
Secondo Trib. Pavia, 13 febbraio 2025, in ilcaso.it, “la continuità aziendale indiretta è configurabile anche in assenza di dipendenti, quando il piano preveda la prosecuzione dell’attività aziendale mediante la cessione del ramo d’azienda a un terzo, secondo il principio della massimizzazione del valore per i creditori”. 
[10] 
E non apparente: così G.P. Macagno, Continuità aziendale effettiva verso apparente: i confini mobili del concordato preventivo hanno trovato un argine?, in Fallimento, 2018, p. 894 ss. Una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass., 8 gennaio 2025, n. 348, in Dirittodellacrisi.it), sebbene riferita ratione temporis alla disciplina previgente, ha chiarito che «la continuità, implicando la prosecuzione della pregressa attività d’impresa, ove sia soltanto parziale deve comunque riguardare una porzione significativa del nucleo aziendale, vale a dire (mutuando la terminologia utilizzata dall’art. 2112, comma 5, c.c.) un’articolazione funzionalmente autonoma dell’attività economica precedentemente organizzata che conservi la propria identità ed alla quale i beni sottratti alla liquidazione siano effettivamente strumentali. Pertanto, l’attività precedente, pur quantitativamente ridimensionata, deve proseguire con le peculiari caratteristiche già assunte e mantenere la sua identità sotto un profilo qualitativo, senza essere completamente destrutturata e sostituita con un’attività di impresa altra e differente da quella precedentemente svolta». La conservazione di questa identità deve essere accertata in base al complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano la specifica operazione prevista in piano (tra cui, ad esempio, il tipo d’impresa, l’identità dell’attività produttiva, l’utilizzo, almeno in parte, della medesima forza lavoro e degli stessi beni materiali, il tendenziale mantenimento della stessa clientela). 
[11] 
Il Legislatore del 2024 (correttamente) non ha accolto la richiesta, proveniente dalle Commissioni giustizia di Camera e Senato, di elidere, dall’art. 84, comma 2, CCII, l’inciso “purché in funzione della presentazione del ricorso”, in quanto reputata incoerente con i principi della Direttiva Insolvency (che si occupano di salvaguardare la continuità connessa alla ristrutturazione) e tale da rendere troppo indefinita la c.d. continuità indiretta, provocando rilevanti problemi applicativi e interpretativi. 
[12] 
Nella lett. f) del comma 1 dell’art. 87 CCII l’ultimo decreto correttivo ha inserito, quale requisito del piano, anche l’indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla continuità assicurata dal cessionario dell’azienda. 
[13] 
L’unica eccezione era rappresenta dall’art. 104-bis, comma 2, L. fall. che, nel disciplinare l’affitto d’azienda endo-concorsuale, attribuiva rilievo alla “salvaguardia dei livelli occupazionali”. V., per tutti, G.M. Rivolta, L’affitto e la vendita dell’azienda nel fallimento, Milano, 1975. 
[14] 
V. per tutti A. Jorio, La nuova legge francese sull’insolvenza: “ca ira, ca ira, ca ira, les creanciers on les pendrà!”, in Giur. comm., 1986, I, p. 625 ss. 
[15] 
L’art. 7 del decreto n. 23/2020 (c.d. Decreto Liquidità), per un certo tempo (poi prorogato), ha consentito di presumere tale postulato, una misura emergenziale che ha destato alcune perplessità: cfr. ex multis R. Vivaldi, La continuità aziendale al tempo dell’emergenza: un’illusione o una sfida?, in Fallimento, 2020, p. 1215; F. Foggetta, La legislazione d’emergenza e la continuità aziendale nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: problemi di coordinamento tra fictio contabile e obblighi degli amministratori, in Il diritto degli affari.it, 2020, n. 2, p. 366 ss.; G. Strampelli, La preservazione (?) della continuità aziendale nella crisi da Covid-19: capitale sociale e bilanci nei decreti “Liquidità” e “Rilancio”, in Riv. soc., 2020, p. 366 ss.; M. Spiotta, La (presunzione di) continuità aziendale al tempo del Covid-19, in Crisi d’impresa e insolvenza, ilcaso.it, 11 aprile 2020; Id., Covid-19: un’occasione per ripensare le priorità (anche nel diritto concorsuale), in AA.VV., Crisi d’impresa ed emergenza sanitaria, a cura di S. Ambrosini e S. Pacchi, Bologna, 2020, p. 83 ss. ove si era (provocatoriamente) osservato che, almeno in teoria, sarebbe stata preferibile una “presunzione di continuità aziendale intermedia” (analoga a quella prevista per il possesso dall’art. 1142 c.c. 
[16] 
L’art. 84 CCII, nella sua originaria formulazione (mai entrata in vigore, ma usata come criterio interpretativo della previgente disciplina per la corretta qualificazione di un concordato “misto”, prevedeva come discrimen tra concordato in continuità e liquidatorio il criterio della prevalenza quantitativa dei flussi, introducendo anche un criterio qualitativo (v. comma 3), ossia una presunzione assoluta di sussistenza della prevalenza al ricorrere di determinate condizioni basate sulla salvaguardia di certi livelli occupazionali. Per un excursus storico si rinvia a M. Arato, Discrimen tra concordato preventivo liquidatorio e in continuità, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 22 febbraio 2025; Id., Il concordato preventivo, in Crisi d'impresa e procedure concorsuali, Trattato diretto da O. Cagnasso e L. Panzani, Torino, 2025, p. 1577 ss. 
[17] 
Nell’impossibilità di dare conto dell’ampia letteratura, si rinvia agli approfonditi contributi di S. Leuzzi, L’evoluzione del valore della continuità aziendale nelle procedure concorsuali, in Nuove leggi civili commentate, 2022,  p. 479 ss.; D. Gasparro, Il moto perpetuo della continuità aziendale, in Diritto ed economia dell’impresa, 2019, fasc. 6, p. 79 ss. (ove un’interessante overview della normativa concorsuale di alcuni paesi europei); N. Lucido, R. Marcello, S. Revellino, La continuità aziendale da valore-mezzo a valore-fine per il risanamento dell’impresa in crisi, in Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, 2023, p. 369 ss.; G.B. Nardecchia, La continuità aziendale nelle procedure concorsuali, in Questione giustizia, 2019, n. 2, p. 192 ss. Per una sintesi del dibattito sulla finalità delle procedure concorsuali v. A. Jorio, Introduzione, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da A. Jorio e B. Sassani, vol. I, Milano, 2014, p. 30 ss.; M. Fabiani, La tutela dei diritti nelle procedure concorsuali, ivi, vol. IV, Milano, 2016, p. 671 ss.  
[18] 
Come osserva G. Meo, “Business Judgement Rule” e crisi, in Riv. soc., 2024, p. 589, parte della giurisprudenza “riavvolge all’indietro il nastro al momento in cui l’amministratore ha optato per la strada dello strumento di regolazione e, frantumando illegittimamente il baluardo della BJR» impone la criticata inversione dell’onere probatorio, richiedendo all’amministratore di spiegare perché si è permesso di scegliere la strada alternativa anziché quella della liquidazione giudiziale. Ma come? non era, la liquidazione giudiziale, da posporre alla strada alternativa, se non constava che a richiederla fosse il miglior interesse dei creditori?”. 
[19] 
Questo il titolo del Convegno di studi svoltasi presso l’Università degli Studi di Napoli Parthenope - Napoli 3 maggio 2024. 
[20] 
Che forse - absit iniuria verbis - hanno condizionato chi, coniando un neologismo, ha parlato di un concordato anziché preventivo, “superativo dell’insolvenza”; di “condono fiscale per mano giudiziaria” definendo il limitato sindacato giudiziario sulla sola convenienza “una sorta di paraocchi normativo, perfetto per limitarne l’orizzonte visivo, così da non ‘vedere’ altri rilevanti profili e interessi sui quali la decisione va ad incidere, primo fra tutti l’evidente danno al funzionamento dei meccanismi concorrenziali del mercato, quando l’omologa finisca suo malgrado per premiare illecite strategie di accumulo del debito”: così G. Orano, Il concordato preventivo in continuità nell’era del cram down. Il “superamento” dell'insolvenza e il “tradimento” della tempestività, in www.questionegiustizia.it/articolo/cram-down
[21] 
La stessa operazione, all’interno dell’ordito codicistico, viene considerata come un’ipotesi tanto di continuità indiretta  quanto liquidatoria. La differente connotazione dipende dalla finalità della cessione: se il fine è puramente liquidatorio, la cessione d’azienda si colloca nel concordato liquidatorio (c.p.Li), incluso il concordato semplificato (c.l.s.); se, viceversa, l’obiettivo è garantire la continuità, anche se tramite un soggetto diverso dal debitore, allora si rientra nella continuità indiretta, tipica del concordato preventivo (c.p.Co). 
[22] 
Ad avviso di G. Bozza, La tutela dei creditori nel concordato in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 27 giugno 2023, p 7 ss., il Codice della crisi non avrebbe realizzato un equilibrio tra tutela del credito e tutela del going concern, in quanto l’ago della bilancia penderebbe a favore del secondo valore, mentre i creditori sarebbero “schiacciati dalla difesa di interessi ritenuti prevalenti dall’ordinamento, tra cui quello alla continuità dell’attività di impresa”.  
[23] 
Per la dimostrazione che le classi sono funzionali a valorizzare il consenso di una comunità v. M. Fabiani, Revisione critica dei principi in tema di classi dei creditori, in Dirittodellacrisi.it, 3 febbraio 2025.  
[24] 
Concetto rimasto in alcune norme come parametro per il compimento di singoli atti (v. per esempio l’art. 94, commi 3 e 6, CCII), subordinati ad una valutazione paritetica del miglior interesse dei creditori e della difesa del going concern (v. artt. 22, comma 1, e 64 bis, comma 9 bis, CCII). 
[25] 
Naturalmente è ben possibile (ed accade di frequente) che l’impresa possa generare, per un certo periodo di tempo, delle perdite, ma dev’essere realistica la prospettiva di un’inversione di tendenza. Cfr. Trib. Larino, 15 dicembre 2024, in Dirittodellacrisi.it
[26] 
Sul pregiudizio giusto sia consentito rinviare a M. Spiotta, Dal “danno ingiusto” (del c.c.) al “pregiudizio giusto” (del CCII): un’analisi trasversale, in Dir. fall., 2024, I, p. 1059 ss. 
[27] 
M. Spiotta, (Imprenditore) Inadimplenti (ma ancora viable) est adimplendum?, in Dirittodellacrisi.it, 12 novembre 2021. 
[28] 
Per Trib. Reggio Emilia, 2 luglio 2024 (in Ius-Crisi d’impresa, 24 gennaio 2025 con nota di C. Ravina, La cessione d’azienda nella fase di accesso con riserva ad uno strumento di regolazione della crisi) alla domanda di accesso al c.p., proposta anche con riserva ai sensi dell’art. 44 CCII, deve ritenersi applicabile l’art. 214, comma 2, CCII per una ragione sia sistematica (arg. desunto dal fatto che l’art. 114 CCII richiama, nei limiti della compatibilità, le disposizioni sulle vendite della l.g.) che pragmatica: “sarebbe, infatti, logicamente irrazionale, consentire espressamente, se ne sussistono i presupposti di urgenza, la vendita dell’azienda nel caso in cui il debitore abbia chiesto l’assegnazione del termine previsto dall’art. 44, comma 1, lett. a, CCII (art. 91, ultimo comma, CCII) senza poi applicarvi le norme conseguenti dettate per rendere concretamente possibile tale possibilità”. 
[29] 
Per non invadere altri campi d’indagine (e settori scientifici disciplinati) si è volutamente scelto di tralasciare le novità di taglio più processualistico concernenti il procedimento unitario, benché anche molte di esse si prestino ad essere analizzate in chiave di rafforzamento della tutela della continuità aziendale. Basti pensare alla ritoccata definizione di misure protettive in modo da comprendere le “condotte” e non solo le “azioni” giudiziarie; alla ridisegnata fase dell’accesso con riserva, ora consentita anche per il concordato semplificato e alla possibilità di ottenere misure protettive atipiche (art. 54, comma 2, ultimi periodi, CCII). 
[30] 
Uno dei lemmi più ricorrenti e ripetuti all’interno del Codice, ma (come il termine “assetti” e a differenza di “allerta”) non costituisce una voce autonoma dell’Enciclopedia del diritto, vol. VIII - Crisi d'Impresa, 2024, mentre non figurava mai nella versione primigenia del r.d. n. 267/1942. 
[31] 
Anche i richiami bibliografici nelle note a piè pagina sono necessariamente limitati ai contributi maggiormente incentrati sul focus della continuità aziendale.   
[32] 
Così M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, Piacenza-Roma, 2025, p. 228. 
[33] 
Arg. desunto dal rimando contenuto nell’art. 240, comma 4 bis, CCII all’art. 286, comma 5, CCII, che, a sua volta, rinvia all’ art. 109 CCII. 
[34] 
Critico nei confronti di tale previsione è G. Bozza, Quer pasticciaccio brutto del voto nelle proposte plurime di concordato, in Dirittodellacrisi.it, 10 dicembre 2024, p. 18 ss., a cui avviso la nuova disposizione “dà un ulteriore schiaffo alla libertà di espressione dei creditori, il cui voto viene posto nel nulla”. 
[35] 
Benché, nella pratica, sia difficile immaginare delle proposte concorrenti eterogenee (se non altro per le diverse attestazioni), in astratto, qualora alla proposta di concordato liquidatorio più vantaggiosa formulata da un soggetto esterno (es. un competitor) venisse preferita la proposta in continuità, si potrebbe limitare la libertà negoziale e alterare le dinamiche di mercato. 
[36] 
G. Bozza, op. cit., p. 18. 
[37] 
L’art. 25 octies, commi 1 e 2, CCII continua a prevedere che destinatario della segnalazione effettuata dai soggetti deputati al controllo (sulla gestione e contabile) sia soltanto l’“organo amministrativo” (e non anche l’organo liquidatorio) e i liquidatori non sono menzionati nei commi successivi dell’art. 120 bis CCII. Pare invece una scelta mediata l’aver previsto che gli obblighi di comunicazione posti a carico delle banche e degli intermediari finanziari abbiano come destinatari solo gli organi di controllo societari e non anche i revisori (art. 25 decies CCII). 
[38] 
Ben evidenziati da P. Benazzo, Il codice della crisi e il nuovo correttivo: il punto (storico e prospettico) sul diritto societario della crisi, in Procedure concorsuali e crisi d’impresa, 2025, p. 95, a cui avviso “a voler alzare lo sguardo, si dovrebbe prendere coscienza di come, nel passaggio da una situazione di equilibrio economico, finanziario e patrimoniale a una di crisi, l’interesse sociale si ipostatizzerebbe da una visione strettamente contrattuale a una latamente istituzionale e dunque a una lettura della società quale Unternehemen an sich”. 
[39] 
Con conseguente opportunità di una rilettura (non tanto del n. 2, quanto piuttosto) del n. 3 dell’art. 2272 c.c. e del n. 6 dell’art. 2484 c.c.: cfr. M. Spiotta, Liquidazione (giudiziale e controllata) come causa di scioglimento delle società, in Giur. comm., 2024, I, p. 1290. 
[40] 
In difetto di tale requisito (espressamente richiesto dall’art. 12, comma 1, CCII) l’accesso alla CNC da parte di una società in liquidazione e destinata all’estinzione si risolverebbe in un ossimoro non essendovi alcuna attività da risanare: cfr. ex multis Trib. Roma, 29 maggio 2024, in Ius-Crisi d’impresa, 13 febbraio 2025, con nota di L. Amendola. 
[41] 
Nella Relazione, sub art. 17, si legge che il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (c.d. PRO), pur se finalizzato alla continuità aziendale e non potendo essere meramente liquidatorio, potrebbe prevedere la liquidazione di beni non necessari per (o comunque tali da non compromettere) lo svolgimento dell’attività del debitore o della stessa azienda, o di un ramo di essa, purché in esercizio. “Il richiamo all’art. 114 quindi – che ha fatto dubitare della natura dello strumento e della possibilità di utilizzarlo anche con finalità meramente liquidatorie - è stato sostituito dal richiamo all’art. 114 bis, introdotto dallo stesso schema di decreto legislativo, contenente disposizioni applicabili alla liquidazione di beni nell’ambito del concordato in continuità aziendale”. 
[42] 
Cfr. gli artt. 114 e 115 CCII. 
[43] 
Secondo Trib. Milano, 9 novembre 2024, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/Giurisprudenza/595, alla luce delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 136/2024 all'art. 64 bis CCII, deve ritenersi ammissibile un PRO di natura eminentemente liquidatoria dove all’attività di liquidazione degli assets trova applicazione l’immanente principio della competitività delle vendite nelle procedure concorsuali, come confermato dal richiamo operato dall’art. 64 bis CCII agli artt. 91 e 114 CCII. 
[44] 
Arg. desunto dall’elisione, nell’art. 25 sexies, comma 1, CCII, del riferimento al prerequisito dell’esito “non positivo” delle trattative. 
[45] 
Trib. S.M.C. Vetere, 13 gennaio 2025, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it
[46] 
Secondo A. Pezzano e M. Ratti, Il nuovo concordato “finale”: i tratti salienti del (finalmente) incentivato concordato nella liquidazione giudiziale, in Dirittodellacrisi.it, 12 febbraio 2025, p. 10, per favorire ancora di più la continuità aziendale “sarebbe bastato poco, ad esempio eliminando, in caso di piano finalizzato alla salvaguardia della continuità, la limitazione temporale prevista contro il debitore e/o l’obbligo dell’apporto suppletivo del 10%”. Gli A. ritengono invece applicabile, quantomeno al c.l.g. di gruppo, il comma 5 bis dell’art. 109 CCII (v. supra). 
[47] 
Così M.T. della Cortiglia, I concordati in funzione di chiusura delle procedure concorsuali, ordinarie e amministrative, in AA.VV., I concordati dopo il decreto del 2024, a cura di A. Jorio e M. Spiotta, di prossima pubblicazione per i tipi della Zanichelli. 
[48] 
Per Trib. Reggio Emilia, 2 luglio 2024 (in Ius-Crisi d’impresa, 24 gennaio 2025 con nota di C. Ravina, La cessione d’azienda nella fase di accesso con riserva ad uno strumento di regolazione della crisi) alla domanda di accesso al c.p., proposta anche con riserva ai sensi dell’art. 44 CCII, deve ritenersi applicabile l’art. 214, comma 2, CCII per una ragione sia sistematica (l’art. 114 CCII richiama, nei limiti della compatibilità, le disposizioni sulle vendite della l.g.) che pragmatica: «sarebbe, infatti, logicamente irrazionale, consentire espressamente, se ne sussistono i presupposti di urgenza, la vendita dell’azienda nel caso in cui il debitore abbia chiesto l’assegnazione del termine previsto dall’art. 44, comma 1, lett. a, CCII (art. 91, ultimo comma, CCII) senza poi applicarvi le norme conseguenti dettate per rendere concretamente possibile tale possibilità». 
[49] 
Tra i contributi più recenti S. Ambrosini, Breve appunto sul bilanciamento degli interessi nel novellato art. 116 CCII, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 22 gennaio 2025; R. Santagata, Crisi d’impresa e operazioni straordinarie (primi appunti sul novellato art. 116 CCII), in Dir. fall., 2025, I, p. 1 ss. 
[50] 
A favore di un’esegesi estensiva v. L. Stanghellini, Le operazioni straordinarie nella ristrutturazione della società: profili procedimentali e tutela dei soci, in AA.VV., La s.p.a. nell’epoca della sostenibilità e della transizione ecologica (Atti del convegno di Venezia del 10 e 11 novembre 2023), Milano, 2024, p. 1130. 
[51] 
Come sottolinea Trib. Milano, 8 febbraio 2025, in Dirittodellacrisi.it, “in tema di composizione negoziata, il dovere di correttezza e buona fede sancito dall’art. 4 CCII, valendo per tutti i soggetti interessati alla regolazione della crisi e dell’insolvenza, viene in rilievo senz’altro anche per i soci e i garanti della società debitrice” e deve ritenersi violato “se il loro impegno a sostenere la ristrutturazione si sostanzia in condotte che si palesino non rispondenti all’obiettivo del risanamento”. 
[52] 
Come noto, la più compiuta elaborazione del principio della neutralità organizzativa si deve a A. Nigro, La società per azioni nelle procedure concorsuali, in Trattato Colombo-Portale, vol. 9, 2, Torino, 1993, p. 319 ss. Oggi, con riferimento al meccanismo dell’esdebitazione anticipata delle società e alla conseguente delimitazione delle ‘incursioni concorsuali’ del curatore nella sfera dell’autonomia societaria (art. 264 CCII), si è parlato di una “neutralità organizzativa sopravvenuta” della procedura concorsuale: così P.P. Ferraro, L’esdebitazione delle società in liquidazione concorsuale, in Dir. fall., 2025, I, p. 150. 
[53] 
Il cui incipit faceva salvo “quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’art. 112, comma 2” (senza precisare se la norma oggetto di rinvio valesse in aggiunta o in sostituzione) e al (soppresso) comma 2 bis richiamava 
il solo comma 1 dell’art. 109, concernente il c.p.Li, anche se poi menzionando il parametro della “non deteriorità” del trattamento rispetto al plesso liquidatorio sembrava offrire un appiglio a favore della sua applicabilità anche al c.p.Co. 
[54] 
Che aveva sollevato essenzialmente due ordini di problemi concernenti la corretta esegesi della regola suppletiva (introdotta dall’espressione “in mancanza”) e l’individuazione della classe emblematicamente definita (da M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità concordataria postmoderna, in Fallimento, 2022, p. 1489, nota 21) con l’asso nella manica.   
[55] 
Così M. Fabiani e S. Leuzzi, Il controllo giudiziale nei concordati - La ristrutturazione trasversale, in Dirittodellacrisi.it, 30 novembre 2024, p. 50, ai quali si rinvia anche per gli opportuni riferimenti bibliografici. 
[56] 
Arg. desunto dall’ultimo periodo dell’art. 88, comma 4, CCII laddove specifica che “ai fini della condizione prevista dall’art. 112, comma 2, lett. d, numeri 1 e 2, l’adesione dei creditori pubblici deve essere espressa”. 
[57] 
M. Spiotta, Il connubio cram-down fiscale-previdenziale più cross-class: “se questo è un voto”, in Fallimento, 2024, p. 380. 
[58] 
Aveva fatto ricorso a questo machiavellico escamotage Trib. Napoli, 24 aprile 2024. La cautela è tuttavia d’obbligo in quanto, secondo i primi commentatori, “se si adottasse un’interpretazione strettamente letterale della 
norma, sarebbe, invero, sempre ferma la possibilità di procedere all’omologazione del concordato anche senza l’approvazione espressa di alcuna classe di creditori (ad esempio se banalmente vi è la conversione del voto della maggioranza delle classi)”, con la conseguenza che “il divieto introdotto in merito all’approvazione mono-classe sarebbe invero facilmente superabile, dato che sarebbe sufficiente dividere quella che poteva [essere] un’unica classe, composta da creditori pubblici, in più classi: così da ritenere rispettato almeno il requisito della maggioranza (e poi 
omologare comunque il concordato)”: così N. de Luca e L. Sicignano, Il terzo correttivo al codice della crisi (parte seconda). Il concordato preventivo, in Foro it., 2024, p. 411. 
[59] 
A. Picciau, Effetti della liquidazione giudiziale sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto da O. Cagnasso e L. Panzani, Milano, 2025, p. 518. 
[60] 
Inciso aggiunto dal D. Lgs. n. 136/2024. 
[61] 
Come osservano L. Baccaglini e S. Leuzzi, Su natura, funzione e limiti delle misure protettive e cautelari nel sistema concorsuale (considerazioni a margine di un recente rinvio pregiudiziale e di altre ordinanze), in Dirittodellacrisi.it, 10 febbraio 2025, p. 21, nota 25, “il debitore che abbia fatto accesso al concordato in continuità dovrà però ricorrere alle misure protettive atipiche se intenda precludere ai creditori, parti di contratti non essenziali, di avvalersi delle clausole ipso facto, in caso di inadempimento pregresso”. 
[62] 
Espressione mutuata da F. Benassi, Dal valore di mercato al valore di liquidazione nel Codice della crisi: per chi suona la campana?, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 28 novembre 2024. 
[63] 
Giova ricordare che il decreto correttivo del 2024, modificando l’art. 213, comma 1, CCII, ha ripristinato il potere del comitato dei creditori di “proporre modifiche al programma presentato”. 
[64] 
Nella pratica, il sistema di liquidazione è ancora pensato per monetizzare il valore storico dell’impresa più che per valorizzare il suo potenziale futuro. Si trascura così come in un’impresa innovativa (oggi anche le start up innovative, diverse dalle imprese minori, sono assoggettabili alla l.g.), il valore maggiore sia rappresentato dagli asset intangibili (marchi, brevetti, know-how, relazioni commerciali), spesso non considerati in modo strategico, ma come meri beni da dismettere. 
[65] 
Arg. desunto dal generale rinvio contenuto nell’art. 74, comma 4, CCII, che dovrebbe garantire una gestione dinamica ed efficace del piano anche nelle procedure destinate a soggetti di dimensioni minori, salvaguardando l’equilibrio tra le esigenze dei creditori e la sostenibilità del piano. 
[66] 
Come osserva G. D’Attorre, La continuità aziendale tra “scommessa” e “tradimento”, in Fallimento, 2024, p. 1059, “il passaggio di fatto dal piano in continuità al piano liquidatorio si avvicina, più che alle modificazioni del piano dopo l’omologazione, all’istituto della conversione della procedura, previsto, sia pure sulla base di presupposti diversi e con regole procedimentali differenti, nell’amministrazione straordinaria (artt. 69 e 70, D.Lgs. n. 270/1999), nelle procedure di sovraindebitamento (artt. 73 e 82 CCII) e nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (art. 64- quater CCII), dove si attua appunto, nel rispetto di rigorose regole disciplinari, il passaggio da un tipo di procedura ad un altro tipo di procedura». 
[67] 
A.J. Pagano, L’estensione delle misure protettive ai soci ed ai garanti. Un whatever it takes all’italiana?, in Giur. it., 2023, p. 1862. 
[68] 
Il riferimento è a G. Meo, Risanamento finanziato dai creditori. Lettura dell’amministrazione straordinaria, Milano, 2013, passim; Id., La difficile via normativa al risanamento d’impresa, in Riv. dir. comm., 2018, I, p. 611 ss. V. anche N. Rondinone, Il mito della conservazione dell'impresa in crisi e le ragioni della “commercialità”, Milano, 2012 e D. Galletti, La considerazione “graduale” dell’interesse dei creditori nell’a.s., in ilfallimentarista, 27 maggio 2022. 
[69] 
Cfr. Trib. Modena, 18 febbraio 2025, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it
[70] 
Analoga cautela non è prevista negli altri SRCI, ma l’omissione potrebbe essere rilevante solo negli a.d.r. ad efficacia estesa, ma non negli a.d.r. ordinari e nel PAR dato che, in entrambi, l’accettazione del rischio è volontaria. 
[71] 
Tra i primi Autori che avevano ‘osato” parlare di solidarietà e RSI anche in materia concorsuale v. G. D’Attorre, Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, in Dirittodellacrisi.it, 13 aprile 2021; Id., La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, in Riv. dir. civ., 2021, p. 60 ss.; M. Fabiani, Il valore della solidarietà nell’approccio e nella gestione delle crisi d’impresa, in Fallimento, 2022, p. 5 ss.; L. Baccaglini, I processi concorsuali solidali, in Il processo civile solidale, a cura di A. Didone e F. De Santis, Milano, 2020, p. 345 ss.; S. Pacchi, Par condicio e relative priority rule. Molto da tempo è mutato nella disciplina della crisi d’impresa, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 6 gennaio 2022. In precedenza, di solidarietà non si parlava; neppure se ne fa cenno in L. Lanfranchi, Costituzione e procedure concorsuali, Torino, 2010. 
[72] 
L. Nannipieri, Dubbi irrisolti sulla conferma del concordato illegittimo con tutela risarcitoria, in Dirittodellacrisi.it, 4 settembre 2023. 
[73] 
Questa disposizione costituisce il limite estremo alla tutela della continuità aziendale giacché il diritto di credito viene riconvertito in diritto risarcitorio, ma non pregiudicato (come accadrebbe nell’a.s.): cfr. S. Leuzzi, L’evoluzione del valore della continuità aziendale nelle procedure concorsuali, cit., p. 495. Per una prima applicazione v. App. Trento, 8 ottobre 2024, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it
[74] 
A titolo esemplificativo, accanto ai numerosi gli Studiosi che contestano un’eccessiva penalizzazione dei diritti dei creditori e una sproporzionata marginalizzazione dei diritti dei soci (rispetto a quanto avrebbe richiesto l’attuazione dell’art. 13 della Direttiva n. 1023/2019), non mancano commentatori che: a) reputano irrazionale e “frutto di irrigidimenti ideologici” (O. Cagnasso e L. Panzani, Introduzione al Trattato, da loro diretto, Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Milano, 2025, p. LI) il mantenimento (nell’art. 84, comma 3, CCII) della regola (di cui non vi è traccia nella Direttiva Insolvency) per cui la proposta di concordato preventivo in continuità deve prevedere per ciascun creditore “un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile” (che, peraltro, “può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa”); b) si rammaricano dell’inapplicabilità dell’art. 120-bis CCII (in particolare del comma 4) alla CNC, forse trascurando che un’eventuale revoca degli amministratori per il solo fatto di aver indicato l’opportunità di accedere al percorso camerale esporrebbe i soci (di una società, verosimilmente, già in crisi) all’obbligo di risarcire i danni. 
[75] 
Così M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, cit., p. 39. 
[76] 
Così è stata efficacemente definita da D. Vattermoli, sub artt. 278 e 279, in AA.VV., Il Codice della Crisi. Commentario, a cura di P. Valensise, G. Di Cecco e D. Spagnuolo, Torino, 2024, p. 1488. 
[77] 
In giurisprudenza v. Trib. Palermo, 5 febbraio 2025, in ilcaso.it
[78] 
Arg. rafforzato dalla modifica dell’art. 3, comma 4, CCII. Sulla proposta d’inserire, dopo l’art. 1176, un art. 1176-bis c.c. sia consentito rinviare a M. Spiotta, Diligenza nell’assumere obbligazioni versus diligenza nell’adempimento, in ilsocietario.it, Focus del 30 luglio 2018. Sull’argomento v. amplius F.  Macario, Il concorso dei creditori nell’evoluzione della responsabilità patrimoniale: appunti per una riflessione tra diritto generale delle obbligazioni e nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 10 marzo 2025; AA.VV., La responsabilità patrimoniale “sostenibile”, a cura di A. Albanese, M. Franzoni, E. Gabrielli, G. Grisi, L. Nivarra, Torino, 2023, passim; M. Lobuono, Gli assetti organizzativi dell’impresa: spunti per una riflessione di diritto civile, in Giust. civ., 2023, p. 825 ss. 
[79] 
Cfr. Trib. Firenze, 8 gennaio 2025, in unijuris.it
[80] 
Trib. Vasto, 5 febbraio 2025, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, nel riportare quanto dichiarato in udienza dal titolare dell’omonima ditta finanziatrice, ricorda l’importanza dell’operatività del principio solidaristico (ricaduta applicativa dell’art. 2 Cost.) tra imprenditori, essenziale per la riuscita del percorso negoziale di risanamento; Trib. Brindisi, 28 gennaio 2025, segnalata da A.I. Natali, Debiti erariali, liquidazione controllata e principio solidaristico, in dirittobancario.it, 30 gennaio 2025; Trib. Brescia, 13 gennaio 2025, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, che, dopo aver ribadito l’inidoneità decettiva della mera reticenza degli amministratori in ordine alla situazione di crisi in cui versava la società, ha “rilevato come il perseguimento dell’obiettivo del salvataggio dell’azienda risulti in ogni caso idoneo a giustificare il silenzio dell’organo gestorio; né può ritenersi provato che una diversa condotta degli amministratori avrebbe realizzato condizioni di migliore soddisfazione per i creditori, tenuti, in ogni caso, anche alla luce dei – noti - obblighi di solidarietà che ispirano il nuovo diritto della crisi (a far data dalle riforme avviate dagli anni 2005/2006) a sopportare eventuali sacrifici nell’ottica del contributo comune al salvataggio della continuità aziendale”. 
[81] 
V. in rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione ex art. 363-bis c.p.c. disposto da Trib. Brindisi, 3 dicembre 2024, in Dirittodellacrisi.it e le considerazioni svolte da L. Baccaglini e S. Leuzzi, op. cit.  
[82] 
L. Sicignano, L’assenza di pregiudizio e il rischio di insuccesso nei piani concordatari, in Banca borsa tit. cred., 2024, I, p. 144 s. V. anche N. Usai, Fattibilità del piano e governo dell’incertezza negli strumenti a supporto della continuità aziendale, in Dir. fall., 2024, I, p. 834 ss. 
[83] 
Nuova prospettiva d’indagine aperta da M. Fabiani, Perdita di valore dell’impresa, responsabilità degli organi sociali e il pernicioso “abbaglio” dei netti patrimoniali, in Società, 1045, 2024 ss. e poi ripresa da B. Inzitari, Obblighi di segnalazione nel Codice della crisi: responsabilità dei sindaci e dei revisori per i danni relativi alla perdita di valore della società e dei crediti, conseguente alla mancata o tardiva attivazione delle misure e degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 24 febbraio 2025. 
[84] 
Per uno spunto in tal senso v. M. Spiotta, Le “azioni di massa” dopo il d.lgs. n. 83/2022: un aggiornamento del catalogo o un ripensamento del significato del sintagma? in Judicium,2022, fasc. 3, p. 317 ss. 
[85] 
Sulla discussa riconducibilità della perdita (definitiva ed irreversibile) della continuità aziendale all’impossibilità materiale di conseguire l’oggetto sociale v. Trib. Milano, Sez. imprese, 12 ottobre 2023, in Società, 2024, p. 1089 ss., con nota di P. Benazzo, La perdita della continuità aziendale quale causa di scioglimento di società per azioni per “sopravvenuta impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale” ai sensi dell’art. 2484, comma 1, n. 2, c.c. e in Giur. it., 2024, p. 357 ss., con nota di M. Spiotta, Sull’(in)configurabilità della perdita del going concern come causa dissolutiva della società; App. Firenze, 27 aprile 2023, in Giur. it., 2025, p. 101, con nota di C. Fucilitti, La responsabilità degli amministratori: “il danno incrementale” ed “il danno da mala gestio”
[86] 
V. per tutti P. Benazzo, Assetti organizzativi, diritto dell’impresa e diritto delle società: dal passato a un (possibile) futuro, in Dirittodellacrisi.it, 2 gennaio 2025; Gli assetti proprietari e la circolazione delle partecipazioni sociali nel prisma del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in  Riv. soc., 2023, p. 8 ss. 
[87] 
Come scrive M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, cit., p. 208; Id., Il diritto diseguale nella concorsualità concordataria postmoderna, in Fallimento, 2022, 1492, la classica visione secondo cui “la continuità è un valore-mezzo per la tutela dei diritti dei creditori e non è, invece, un valore-fine (a sé stesso), come accade nella amministrazione straordinaria” deve essere ripensata “perché lo stesso soddisfacimento dei creditori va funzionalizzato ad un obiettivo più alto, quello della risoluzione della crisi”. 
[88] 
Anche la tradizionale dicotomia tra scopo-mezzo e scopo-fine elaborata con riferimento alla nozione di (contratto di) società (art. 2247 c.c.), pur rimanendo un riferimento teorico importante, si è andata relativizzando per effetto della crescente influenza dei fattori ESG (Environmental, Social and Governance) e della teoria sulla responsabilità sociale d’impresa o Corporate Social Governance (CSR). 
[89] 
Nel Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense, il cram-up è il meccanismo attraverso cui una classe di creditori subordinati può imporre un piano di ristrutturazione anche a classi superiori dissenzienti. È il contrario del più noto cram-down, dove una classe superiore impone la sua volontà su quelle inferiori. 
[90] 
Espressione mutuata da M. Fabiani, Effetti dell’autonomia del diritto della crisi tra un breve catalogo dei principi e delle clausole generali e il nuovo lessico del Codice, in Dirittodellacrisi.it, 5 ottobre 2023, p. 5. 
[91] 
Così l’ha definita G. Bozza, La tutela dei creditori nel concordato in continuità, cit., p. 27. 
[92] 
Cfr. V. Minervini, Dalla legge fallimentare alla Direttiva Insolvency. Il diritto della crisi come strumento per la costruzione e il corretto funzionamento del mercato interno, in Giur. comm., 2023, I, 521 ss. 
[93] 
Anzi, oggi la scelta dei soci di distribuirsi gli utili anziché reinvestirli in iniziative legate alla sostenibilità potrebbe essere sindacabile: cfr. F. Sudiero, Il contributo della sostenibilità ad una teoria dell’interesse legittimo di diritto societario, in Osservatorio dir. civ. comm., 2024, p. 81 ss. 
[94] 
Per un’analisi del discharge secondo il focus di questo scritto v. P. Pellegrinelli, L’esdebitazione nella liquidazione giudiziale: evoluzione di uno strumento volto a garantire la continuità aziendale, in Dir. fall., 2023, p. 1032 ss. 
[95] 
G. Limitone, Degiurisdizionalizzazione della crisi d’impresa e composizione negoziata: una figlia naturale non (ancora) riconosciuta. Con notazioni a margine, in Ristrutturazioni Aziendali, 17 maggio 2022, 13 s., fa proprio l’esempio di “una nave (che simboleggia un Paese liberale) che naviga verso il porto del benessere con 1000 rematori a bordo. Alcuni (pochi) di questi rematori cascano in acqua, per distrazione o stanchezza o altre private ragioni. I rematori rimasti a bordo possono continuare a remare verso il benessere, perché pochi rematori in meno non incidono sulla velocità della nave. Ma se a cadere in acqua sono 100 rematori su 1000 (…), allora ne risentirà la velocità della nave, per il sensibile calo della forza motrice» e i rematori rimasti a bordo dovranno porsi il problema di che cosa fare e decideranno, se non vogliono compromettere il benessere generale (la navigazione verso il relativo porto), di recuperare i rematori mancanti al circuito produttivo, o persino al circuito del consumo, non per ragioni di solidarietà, ma per ben più prosaiche ed efficaci ragioni di utilità collettiva. 
[96] 
R. Ranalli, Con il Codice della crisi il risanamento è con i creditori e non vi è più spazio per chi li pregiudica, in Dirittodellacrisi.it, 18 luglio 2023. 
[97] 
Così R. Del Porto, Costituzione e imprese (in bonis e in crisi) a partire dal volume di Stefano Ambrosini. Brevi note a margine dell’art. 41 della Costituzione, in ristrutturazioniaziendali.it, 17 febbraio 2025, p. 12. V. anche C. Cavallini, Crisi d’impresa e Costituzione, in Dir. fall., 2024, I, p. 743 ss. Viceversa, secondo D. Lenzi, I doveri dei creditori nella crisi d’impresa, Milano, 2022, p. 309, il dovere di buona fede e di leale collaborazione dovrebbe essere letto “come funzionale al prioritario interesse dei creditori collettivamente intesi e non anche alla tutela della continuità aziendale come valore in quanto tale”. 
[98] 
M. Spiotta, Una nuova ratio decidendi: il going concern, in Giur. it., 2017, p. 403. 

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