Il misfatto più grave è quello perpetrato nel comma 2 dell’art. 109, che tratta della formazione delle maggioranze quando sono poste al voto più proposte di concordato, cui il D.Lgs. n. 136 del 2024 ha cercato invano di rimediare, aggravando vieppiù la situazione.
Si è già detto che in tal caso sono sottoposte alla votazione dei creditori tutte le proposte presentate dal debitore e dai creditori seguendo, per queste ultime, l’ordine temporale del loro deposito, sicché ogni creditore può esprimere il voto su ciascuna, in passato nella contestualità dell’adunanza ed ora in via telematica nel tempo indicato dal giudice, con la possibilità sia di diversificare il proprio parere, favorevole per una e negativo per l’altra, sia di manifestare il consenso per ognuna (quando ritenga tutte le proposte convenienti e non sappia scegliere) o il dissenso per ciascuna quando ritenga tutte le proposte non soddisfacenti[18]; e, di conseguenza, il voto di ogni creditore va conteggiato per ciascuna proposta in senso favorevole o contrario a seconda di come il votante si è espresso e, quindi, se il creditore ha votato a favore (o contro) di tutte le proposte, come tale va considerato nella determinazione delle maggioranze raggiunte da ognuna di esse[19].
Quanto alle maggioranze, il secondo comma dell’art. 109 CCII dispone che, “quando sono poste al voto più proposte di concordato, si considera approvata la proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto”; terminologia che riprende pedissequamente la parte del primo comma dall’art. 177 L. fall. introdotta con la riforma del 2015 e ripropone il criterio di approvazione di cui al primo comma dell’art. 109, dettato per i concordati liquidatori in quanto anche qui i voti favorevoli sono rapportati al monte dei crediti ammessi al voto.
L’espressione utilizzata nel comma 2 della approvazione della proposta che “ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto”, letta autonomamente potrebbe far pensare che sia preferita, nella pluralità di proposte, quella che abbia riportato le maggiori adesioni, anche se queste non raggiugono la maggioranza assoluta dei crediti ammessi al voto e che non sia richiesta la maggioranza tra classi, ma questa lettura è smentita dal prosieguo della norma lì dove prende in considerazione l’ipotesi che nessuna delle proposte “sia stata approvata con le maggioranze di cui al primo e al secondo periodo del presente comma”[20]; espressione che non avrebbe senso ove l’inizio del secondo comma dell’art. 109 fosse interpretato come approvazione a seguito del raggiungimento dì una maggioranza anche relativa, sganciata dalle maggioranze di legge, perché, salvo l’inverosimile caso che nessuno voti (neanche il creditore concorrente), vi sarà sempre una proposta che abbia ricevuto una quantità di voti che supera quelli ottenuti da un’altra opzione e, al massimo, vi potrà essere parità che la legge regola a parte. Inoltre, nel caso del mancato raggiungimento della maggioranza indicata, la norma prosegue dando incarico al giudice delegato di “rimettere al voto la sola proposta che ha conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto”, da cui si capisce come nella votazione precedente sia richiesta la maggioranza assoluta, altrimenti la norma sarebbe del tutto incongrua in quanto prevederebbe che, in mancanza del raggiungimento della maggioranza relativa su almeno una proposta, il giudice mette ai voti la proposta che ha ricevuto la maggioranza relativa.
E’ chiaro, allora, che con la disposizione in esame il legislatore ha inteso ribadire che tra tutte le proposte che abbiano raggiunto la maggioranza quantitativa anche nelle classi come richieste dal comma 1 dell’art. 109, è preferita quella che ha riportato il maggior numero di consensi. Rispetto al comma precedente, quello in esame, in considerazione della presenza di più proposte messe al voto, prevede che passa al giudizio di omologa l’’unica proposta che ha raggiunto le maggioranze richieste o, tra le più che le abbiano raggiunte, quella che ha riportato la maggioranza più elevata (e in caso di parità stabilisce quale debba prevalere); di modo che l’approvazione presuppone che almeno una delle proposte o più di una di esse abbiano coalizzato il voto dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (ossia del 50,1%) e che, qualora siano previste classi di creditori, tale maggioranza sia stata raggiunga anche nel maggior numero di classi, in conformità dello stesso principio maggioritario dettato dal primo comma per i concordati liquidatori, come confermato anche dall’ultimo periodo del comma 2, per il quale “in ogni caso si applicano le disposizioni di cui al comma 1”; ne consegue anche che, ove un unico creditore sia titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, le proposte devono superare anche il vaglio della maggioranza per teste, secondo appunto la regola dettata per i concordati liquidatori dal comma 1.
Questo criterio di selezione pone un problema di carattere sistematico di non poco conto nel momento in cui il debitore iniziale o un creditore concorrente o anche entrambi propongano una proposta di concordato in continuità, giacché, in tal caso, trovano applicazione le regole di votazione e di approvazione dettate per il concordato liquidatorio, anche se alcune o anche tutte le proposte presentate siano introduttive di un concordato in continuità, per il quale il comma 5 detta regole di approvazione e maggioranze completamente diverse. E’ appena il caso di ricordare, infatti, che nel concordato in continuità, improntato sulla obbligatorietà della formazione delle classi e sul voto favorevole di tutte le classi, i creditori prelatizi dilazionati oltre 180 giorni o non pagati integralmente o non soddisfatti in denaro votano per l’intero credito, a differenza di quanto avviene nel concordato liquidatorio, nel quale votano soltanto i creditori pregiudicati (e per la parte pregiudicata) dalla proposta, con la possibilità di tener conto anche del voto per teste in presenza di un creditore dominante; nei concordati in continuità l’approvazione si raggiunge con il voto favorevole di tutte le classi, nel mentre in quelli liquidatori è richiesta la maggioranza assoluta dei crediti ammessi al voto e nel maggior numero di classi, la cui formazione, peraltro, è obbligatoriamente richiesta per i creditori proponenti il concordato e per le parti ad essi correlate e per altre due categorie di creditori (art. 85, comma 2), ma non per tutti i creditori. E’ mutato nel nuovo codice il metro di valutazione delle maggioranze, che nei concordati liquidatori è rimasto ancorato alle maggioranze dei voti espressi in rapporto al monte crediti ammesso al voto, nel mentre nei concordati in continuità si guarda alle classi che devono essere tutte favorevoli, salvo poi stabilire i criteri di maggioranze all’interno delle classi, con l’ulteriore sviluppo, qualora non il consenso unanime di tutte le classi, di ricorrere alla ristrutturazione trasversale di cui all’art. 112, comma 2, lett. d).
Di conseguenza, i criteri applicabili per la votazione e l’approvazione di un concordato in continuità variano (illogicamente) a seconda che ci sia una proposta singola o vi siano una o più proposte concorrenti; nel primo caso, infatti, la proposta presentata dal debitore viene regolata dal comma quinto dell’art. 109, nel mentre la presenza di una proposta alternativa (di qualunque tipo essa sia) fa sì che la scelta venga effettuata secondo le maggioranze previste dal primo comma dell’art. 109, di modo che, tutte le ragioni che giustificano la formazione delle classi e l’unanimità del voto delle stesse quando viene posta al voto una proposta singola di concordato in continuità inspiegabilmente evaporano qualora vengano poste al voto più proposte di concordato in continuità[21].
Tutto ciò porta incertezza nella preparazione e predisposizione del percorso da seguire in quanto il debitore, dopo aver organizzato, con la formazione obbligatoria delle classi predisposte anche nell’ottica di arrivare alla ristrutturazione trasversale, una proposta di concordato in continuità, si trova poi a dover sottostare, per il fatto che altro creditore abbia presentato altra proposta alternativa (eventualmente anche questa in continuità), alle regole di maggioranza e all’eventuale voto per teste nel caso un unico creditore sia titolare di crediti in misura maggiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto e a non poter più contare sul voto dei creditori prelatizi per la parte capiente sui beni, che, nel concordato in continuità possono esprimere il voto anche per questa parte di credito[22].
Questa situazione per la quale una proposta di concordato in continuità è soggetta alle regole e alle maggioranze di cui al comma 5 dell’art. 109 se è l’unica in gioco, nel mentre se vi sono due proposte, anche entrambe in continuità, sono soggette alle regole e alle maggioranze di cui al primo comma dell’art. 109 è chiaramente anomala; eppure non si vedono alternative a questa soluzione.
Non è, invero, ipotizzabile un meccanismo di votazione e calcolo delle maggioranze diverso per ciascuna tipologia di proposta portata al voto[23], essendo i criteri dettati per ciascun tipo di concordato, come già ricordato, troppo discordanti tra loro e inidonei ad essere contestualmente utilizzati. Ed infatti, non a caso, il comma 2 dell’art. 109, pur regolamentando il concorso tra più proposte di concordato, non attua alcuna distinzione in base alle finalità delle diverse proposte, prevedendo un unico criterio di determinazione delle maggioranze che, come detto, è quello per il quale “si considera approvata la proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto”. Essendo questo l’unico criterio dettato dalla legge per stabilire le maggioranze quando sono poste al voto più proposte di concordato, senza altra specificazione, non è possibile far rientrare nella norma una previsione che utilizzi criteri di votazione e di calcolo delle maggioranze differenziati a seconda della tipologia di piano su cui si basano, anche perché l’utilizzo contestuale di criteri diversi falserebbe i risultati del voto in quanto la proposta liquidatoria sarebbe favorita essendo per l’approvazione di questa richiesta la maggioranza dei crediti ammessi al voto e nel caso di formazione di classi nel maggior numero di classi, nel mentre la proposta in continuità richiede che le maggioranze di legge siano raggiunte in tutte le classi.
Vi è anche chi, pur ritenendo più equilibrato il differente approccio interpretativo che ravvisa nel comma 2 dell’art. 109 CCII la norma “destinata a trovare applicazione in tutti i casi di concorso tra proposte di concordato, non solo, quindi, nei casi di proposte aventi finalità convergenti (tutte dal contenuto liquidatorio o tutte volte a garantire la continuità aziendale), ma anche nei casi di proposte aventi finalità divergenti (talune dal contenuto liquidatorio ed altre volte a garantire la continuità aziendale)”, aggiunge che “una volta individuata la proposta prevalente e accantonate le altre proposte soccombenti, il giudice delegato dovrà comunque valutare se la proposta individuata come prevalente sia stata approvata secondo le regole di legge previste per ciascuna tipologia di concordato”[24].
Questo sforzo di cercare di superare l’anomalia di una proposta di concordato in continuità che è soggetto alle regole di cui al comma 5 dell’art. 109 se unica ed a quelle di cui al comma 1 se concorre con altre, non mi sembra riuscito in quanto introduce una valutazione del giudice che non è prevista dalla legge e che non è realizzabile perché, se la votazione si è svolta applicando l’unico metro di calcolo delle maggioranze, riesce difficile capire come possa il giudice verificare che la proposta prevalente abbia conseguito l’approvazione secondo le regole tipiche della categoria di riferimento; poiché, infatti, il meccanismo del calcolo delle maggioranze dettato dal comma 2, richiama quello del comma 1 per i concordati liquidatori, una proposta in continuità risultata prevalente per essere stata approvata dalla maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto è chiaro che non ha conseguito l’approvazione secondo le regole tipiche della categoria di riferimento e non si vede come possa essere successivamente vagliata dal giudice secondo le regole proprie della continuità di cui al comma 5 che, come detto, differiscono da quelle poste per i concordati liquidatori non solo per un diverso livello delle maggioranze, che sarebbe agevole ricalcolare, ma per i differenti criteri di individuazione della piattaforma dei creditori ammessi al voto, per i diversi meccanismi di calcolo delle maggioranze, ecc.[25] .
In sostanza, appare del tutto inverosimile che si possano utilizzare criteri diversi di votazione e di calcolo delle maggioranze differenziati per ciascun tipo di proposta nell’ambito della stessa procedura o che una tale valutazione possa poi essere effettuata dal giudice dopo l’individuazione della proposta prevalente; e questo spiega perché il legislatore abbia mantenuto un meccanismo unico di votazione e calcolo delle maggioranze sulle proposte plurime per ogni tipo di concordato e abbia richiamato esclusivamente il sistema della legge fallimentare e del comma 1 dell’art. 109, precisando ulteriormente, alla fine del comma 2, che “in ogni caso si applicano le disposizioni del comma 1”, in modo da rendere chiaro e inequivoco che unico è il meccanismo proposto per selezionare tra le più proposte quella da portare all’omologa e che questo meccanismo è quello dettato per i concordati liquidatori dal comma 1, al quale bisogno “in ogni caso” fare riferimento.
Il fatto è, però, che questo sistema andava bene quando il criterio di votazione e di calcolo delle maggioranze era unico per ogni tipo di concordato; nel momento in cui sono stati differenziati tra i due tipi di concordato sia i criteri di selezione dei creditori ammessi al voto, sia le classi, sia le maggioranze, diventa palese che anche quel sistema unitario di calcolo delle maggioranze non è più utilizzabile.
Né su questo aspetto è intervenuto il terzo decreto correttivo, che in proposito, si è limitato ad introdurre nell’art. 109 il comma 5 bis secondo il quale “Quando sono approvate più proposte di concordato che si fondano su piani differenti è sottoposta a omologazione la proposta che prevede la continuità aziendale. Se sono approvate più proposte in continuità aziendale è sottoposta a omologazione quella che ha ottenuto la maggioranza più elevata dei crediti chirografari ammessi al voto”.
Come si vede la nuova norma disciplina espressamente proprio l’ipotesi di approvazione, secondo la regola esposta nel comma 2, di più proposte di concordato fondate su piani differenti, privilegiando, tra quelle che hanno raggiunto le maggioranze prescritte dal citato comma 2, il piano in continuità nell’ottica di agevolare il recupero dei valori aziendali, e, in caso di più piani in continuità, la proposta che ha ottenuto il maggior numero di voti tra i creditori maggiormente incisi dalle sue condizioni, vale a dire tra i creditori chirografari.
Questa nuova disposizione, da un lato, accentua ancor più il già intricato garbuglio del comma 2, per la difficoltà di coordinare questo con il nuovo comma 5 bis e, dall’altro, dà un ulteriore schiaffo alla libertà di espressione dei creditori, il cui voto viene posto nel nulla.
Invero, finora, il comma 2 dell’art. 109, per l’ipotesi che più proposte avessero raggiunto la maggioranza dei crediti ammessi al voto e quella nel maggior numero di classi dei crediti ammessi al voto, prevedeva un unico criterio selettivo che era quello che, prescindendo dal tipo di proposta approvata, dava preferenza a quella che aveva conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto nel rispetto della volontà manifestata dai creditori, aggiungendo che, in caso di parità, prevaleva quella del debitore o, in caso di parità fra proposte di creditori, quella presentata per prima. Ora nelle stesse condizioni di più proposte che abbiano raggiunto le maggioranze secondo le regole della votazione e delle maggioranze dettate per il concordato liquidatorio dal primo comma dell’art. 109, i criteri selettivi delle più proposte approvate vengono diversificati, in quanto, se una (o più) delle proposte approvate si fonda su un piano liquidatorio ed altra (o più) su un piano di continuità, seppur entrambe abbiano raggiunto le maggioranze di legge, viene portata all’omologa quella che salvaguarda la continuità, anche se in totale ha ricevuto meno voti dell’altra e, se sono approvate più proposte in continuità aziendale, in virtù del secondo periodo del nuovo comma 5 bis, “è sottoposta a omologazione quella che ha ottenuto la maggioranza più elevata dei crediti chirografari ammessi al voto”; di conseguenza, pur non essendo stato modificato il comma 2 dell’art. 109, il criterio selettivo da esso dettato vede ridotto il suo campo di applicazione alla sola ipotesi che siano state approvate due (o più) proposte di carattere liquidatorie, dato che in caso di approvazione di proposte disomogenee o di più proposte basate sulla continuità trova applicazione il nuovo comma 5 bis.
Leggendo, quindi, la parte in esame del comma 2 e il comma 5 bis in combinato tra loro, sembra presumibile che il legislatore abbia proposto le seguenti regole: Quando sono approvate più proposte di concordato liquidatorio va portata all’omologa la proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto; in caso di parità, prevale quella del debitore o, in caso di parità fra proposte di creditori, quella presentata per prima. Quando sono approvate più proposte di concordato in continuità aziendale è sottoposta a omologazione quella che ha ottenuto la maggioranza più elevata dei crediti chirografari ammessi al voto. Quando sono approvate più proposte che si fondano su piani differenti è sottoposta a omologazione la proposta che prevede la continuità aziendale.
In quest’ultimo caso la libertà espressiva dei creditori nell’approvazione del concordato viene ulteriormente svilita giacché, tra più proposte che abbiano superato le maggioranze richieste e, quindi, tutte parimenti approvate, viene portata all’omologa non “la proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto“, come prescrive il comma 2, bensì quella che si fonda su un piano di continuità, seppur questa abbia riportato un livello di gradimento inferiore a quella fondata su un piano liquidatorio; ciò perché il legislatore ha preferito dare, ancora una volta, prevalenza alla continuità nell’ottica di agevolare il recupero dei valori aziendali rispetto alla tutela dei creditori che, nel caso più che in altri ove si afferma la prevalenza della minoranza sulla maggioranza, vengono sottovalutati in quanto si dà preferenza ad una proposta in ragione della natura della stessa, indipendentemente dai voti riportati.
Il nuovo intervento legislativo, peraltro, non risolve un altro dei problemi che nascono dall’applicazione della prima parte del comma 2 dell’art. 109 ora in esame, e cioè cosa accade quando la proposta portata alla omologazione non venga omologata. Qualora più proposte abbiano raggiunto le maggioranze, una volta portata all’omologa quella indicata dal legislatore nel comma 5 bis, ne discende che, non omologata questa per un qualsiasi motivo, venga esaminata dal collegio l’altra proposta che ha superato la maggioranza e, nel caso che più l’abbiano superato, quella che per legge deve ritenersi preferita secondo i criteri indicati. Qualora, invece, solo la proposta che è pervenuta all’omologa aveva raggiunto le maggioranze di legge, credo che il tribunale debba disporre la regressione del procedimento e la ripetizione del voto. E, alla tesi che ritiene che, in tal caso, si proceda alla ripetizione delle operazioni di voto su tutte le altre proposte[26], a me pare preferibile che si proceda alla votazione suppletiva sulla proposta che aveva riportato la maggioranza relativa più elevata, giacché questa è la soluzione prevista dalla norma, come appena si vedrà, per il caso che nessuna delle proposte abbia raggiunto le maggioranze di legge e che può ben essere un esempio da seguire quando si ritorna alle votazioni perché quella che aveva avuto successo è stata eliminata; in realtà, bocciata la proposta portata all’omologa, la retrocessione alla fase pre omologa trova una situazione simile a quella prevista dalla seconda parte del comma 2 in esame, in cui nessuna delle proposte ha raggiunto le maggioranze di legge.
In sostanza, la recente introduzione del nuovo comma 5 bis non ha eliminato il “pasticciaccio”, che impone un criterio di votazione e di calcolo delle maggioranze unitario per qualsiasi tipologia di concordato, che, unito alla constatazione dell’impossibilità di utilizzare criteri differenziati per ciascun tipo di proposta portata al voto, avrebbe richiesto l’abbandono da parte del legislatore dei vecchi schemi della legge fallimentare e un adeguamento a nuovi criteri di selezione dei creditori votanti e di calcolo delle maggioranze. A mio avviso, sarebbe stato opportuno prevedere una votazione per selezionare, tra le più proposte presentate, quella che può proseguire il cammino sulla base o del maggior numero di voti ricevuti, come in una competizione elettorale, o della maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto, e successivamente mettere ai voti la proposta scelta seguendo le regole dettate per quel tipo di piano. In questo modo, la prima votazione servirebbe, quindi, a scegliere non la proposta da portare all’omologa, ma quella da sottoporre in via definitiva al giudizio dei creditori premiando allo scopo quella che riceve il maggior numero di voti favorevoli in senso numerico o quantitativo; così, da un lato, ci sarà sempre una maggioranza nella scelta della proposta da sottoporre ai creditori (non può infatti, verificarsi il caso previsto dall’attuale secondo periodo che nessuna delle proposte concorrenti poste al voto sia stata approvata con le maggioranze di cui al primo periodo, dato che è sufficiente una maggioranza relativa) determinata secondo regole da scegliere che valorizzano la parità tra creditori o l’entità dei crediti di cui ciascuno è portatore, e, da altro lato, la proposta scelta tra le varie sarà assoggettata al voto secondo le regole del tipo di proposta risultata vittoriosa; dall’altro ancora, almeno nella scelta della proposta da sottoporre al voto definitivo, si darebbe valore alla volontà dei creditori che, seppur viene spesso dimenticato, sono coloro che maggiormente subiscono la ristrutturazione dei debiti proposta dal debitore o da altri proponenti il concordato.
Ritornando al testo normativo, il comma 2 dell’art. 109 prescrive, come già accennato, che nel caso in cui nessuna proposta ottenga i voti necessari a raggiugere le maggioranze di legge di cui si è detto, “il giudice delegato, con decreto da adottare entro trenta giorni dal termine di cui all’articolo 110, comma 2, rimette al voto la sola proposta che ha conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto, fissando il termine per la comunicazione ai creditori e il termine a partire dal quale i creditori, nei venti giorni successivi, possono far pervenire il proprio voto per posta elettronica certificata”; disposizione che presuppone, come si diceva, che nessuna proposta abbia ottenuto le maggioranze di legge perché, se anche una sola di esse avesse raggiunto questo risultato nel termine finale fissato per il voto, si sarebbe passati direttamente al giudizio di omologa sulla proposta scelta, rendendo superflua l’iniziativa del giudice delegato di chiedere una nuova espressione di voto sulla proposta che nella votazione precedente ha ricevuto il maggior numero di consensi conseguendo la maggioranza relativa.
Anche questa parte della norma presenta varie pecche. Non è prevista alcuna conseguenza in caso di mancato rispetto del termine entro cui il giudice deve disporre questa votazione suppletiva, per cui è da ritenere che il provvedimento in questione possa essere validamente emanato anche dopo la scadenza dei trenta giorni prescritti. Non è specificato chi debba provvedere alla comunicazione ai creditori del provvedimento del giudice, e, in mancanza di una espressa disposizione che attribuisca tale compito al debitore o ad un creditore proponente, sarei propenso a credere che debba provvedere il commissario quale organo della procedura che normalmente cura le comunicazioni ai creditori, piuttosto che il cancelliere. Se è certamente opportuna l’indicazione del termine per la comunicazione del provvedimento del giudice dato che, dovendo questo essere comunicato ai creditori, non è superfluo che sia specificato il termine entro cui effettuare la comunicazione, si poteva invece evitare di fissare un termine per l’inizio della decorrenza per la manifestazione del voto, dato che, una volta posta come obbligatoria la comunicazione, il termine poteva decorrere dalla ricezione di questa. Nulla è detto in ordine all’impugnazione del provvedimento del giudice che disponga il voto su una proposta nel caso nessuna abbia raggiunto le maggioranze di legge e, rimane il dubbio se sia utilizzabile il reclamo ex art. 124 CCII o la doglianza possa essere fatta valere in sede di omologazione o siano praticabili entrambi i rimedi.
Nulla è detto, infine, neanche circa le maggioranze necessarie per l’approvazione in questa votazione supplementare. Invero, posto che, come si è detto, nella prima votazione che non ha dato alcun esisto si segue, per espressa previsione della prima parte del secondo comma dell’art. 109, la regola dell’approvazione a maggioranza assoluta dei crediti ammessi al voto dettata per i concordati liquidatori dal comma 1, c’è da chiedersi se la stessa regola sia applicabile anche nella seconda votazione.
Problema irrilevante ove la maggioranza relativa sia stata conseguita da una proposta liquidatoria giacché, in tal caso, la seconda votazione si svolgerà sul modello della prima seguendo le regole di cui al comma 1, richiamate dal comma 2 prima parte dell’art. 109; nel mentre ove sia messa al voto supplementare una proposta di concordato in continuità (per aver questa riportato la maggioranza relativa), diventa rilevante stabilire se in questa seconda votazione si seguano le stesse regole utilizzate per la prima o si applichi la disciplina del comma 5 dell’art. 109, dettata per i concordati in continuità; problematica che fino all’entrata in vigore del nuovo codice non si poneva essendo uniformi le modalità di voto e il calcolo delle maggioranze per le varie tipologie di concordato preventivo.
Una volta fissato un criterio nel calcolo delle maggioranze nella scelta tra più proposte, è logico presumere che lo stesso criterio valga per l’intero svolgimento delle votazioni per trovare quella da portare all’omologa, a meno che il legislatore non detti una regola differente, ben sapendo che sono diversi i meccanismi di voto e di calcolo delle maggioranze a seconda che si tratti di votazione nel concordato liquidatorio o in continuità e ben sapendo che il passaggio dal sistema organizzato per il concordato liquidatorio di cui al primo comma dell’art. 109 (richiamato per la prima votazione) a quello in continuità dettato dal quinto comma dell’art. 109 non è agevole in quanto nella votazione supplementare, a differenza della prima, sarebbero ammessi al voto anche i creditori prelatizi (a certe condizioni), l’approvazione si raggiungerebbe con il voto favorevole di tutte le classi, con l’ulteriore sviluppo dell’applicazione del secondo comma dell’art. 112. Non va, infine sottaciuto che nel periodo finale del comma 2, il legislatore si fa cura di precisare che “in ogni caso si applicano le disposizioni del comma 1”, e che la collocazione finale di questo richiamo lascia intendere che l’applicazione delle regole di cui al primo comma si impone anche nella votazione delle proposte plurime qualora non sia diversamente previsto; e nel comma 2 manca una espressa disposizione di legge che riservi, nella seconda votazione, la proposta concordataria alle regole proprie del tipo di concordato prospettato.
E’ anche vero, di contro, che nel caso in esame non vengono sottoposte al voto dei creditori proposte di tipo diverse, ma una sola proposta, scelta proprio perché non si è formata una volontà maggioritaria su alcuna delle varie proposte concorrenti, sicché non sono operanti in questa situazione quegli ostacoli normativi e sistematici che impediscono di applicare a ciascuna delle proposte contestualmente messe al voto le regole proprie dettate per ciascun tipo di concordato; si può quindi anche ammettere, pur in mancanza di una espressa disposizione che sarebbe comunque opportuna, che la proposta unica che viene portata al voto con decreto del giudice delegato sia assoggettata ai criteri di votazione e di maggioranza proprie del tipo di concordato portato all’approvazione dei creditori.
In conclusione, il dato determinante che si ricava dalla descrizione contenuta nel secondo comma dell’art. 109 è che nella fattispecie delle proposte plurime il concordato, sia esso basato su un piano liquidatoria che improntato alla continuità, è approvato solo se almeno una proposta ottenga il voto dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto e che, qualora siano previste classi di creditori, tale maggioranza si raggiunga anche nel maggior numero di classi, in conformità dello stesso principio maggioritario dettato dal primo comma per i concordati liquidatori. Qualora tali maggioranze siano raggiunte da più proposte, per stabilire quale di esse va portata al giudizio di omologazione operano i criteri selettivi di scelta ricavabili dal combinato disposto del comma 2 e del comma 5 bis dell’art. 109 in precedenza elencati. Qualora nessuna delle proposte messe ai voti raggiunga le maggioranze indicate, viene rimessa al voto la sola proposta che ha conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto, e le modalità di votazione e di calcolo delle maggioranze potrebbero essere le stesse di cui in precedenza o, secondo altra lettura, quelle proprie del tipo di proposta ammessa al voto.
In ogni caso, anche seguendo questa seconda linea interpretativa, rimane il “pasticciaccio” che una proposta di concordato in continuità aziendale, qualora concorra con altre (egualmente in continuità o liquidatorie) deve passare attraverso una votazione per la quale valgono le regole, anche per il calcolo delle maggioranze, dettate per i concordati liquidatori, nel mentre quella stessa proposta, ove sia unica, è assoggettata alle regole di approvazione di cui al comma 5 dell’art. 109; di modo che il debitore che presenta una proposta concordataria in continuità, qualora non sia in grado di assicurare il pagamento di almeno il 30% dell’ammontare complessivo dei crediti chirografari, oltre ad essere esposto all’alea che fino a 30 giorni prima della data iniziale stabilita per le votazioni un creditore presenti una proposta concorrente, corre l’ulteriore rischio che, a seguito di tale intervento, i criteri di votazione e di calcolo delle maggioranze che sarebbero stati applicabili alla sua domanda e su cui aveva fatto conto nel compilare la proposta, cambiano completamente e indipendentemente dalla sua volontà. Cambiamento che diventa permanente e applicabile anche nella eventuale votazione supplementare ove si segua la tesi, non peregrina, che anche in questa ulteriore votazione valgono le regole dettate per la prima.