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Saggio

Quer pasticciaccio brutto del voto nelle proposte plurime di concordato*

Giuseppe Bozza, già Presidente del Tribunale di Vicenza

10 Dicembre 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’Autore  ritorna sul tema delle votazioni nel concordato, già trattato su questa Rivista qualche anno fa, riesaminando i meccanismi di votazione e del calcolo delle maggioranze quando i creditori sono chiamati al voto su plurime proposte. Sotto questa particolare visuale il testo normativo, come  novellato dal recente correttivo, presenta qualche apprezzabile innovazione ma anche molteplici criticità, sia quanto alle modalità dell’espressione del voto che all’immanente  conflitto di interessi e alle regole applicabili per la formazione delle maggioranze. Per ciascuno degli aspetti esaminati, l’Autore cerca di dare  qualche indicazione costruttiva, utile sia all’interprete che ad un futuro legislatore, potendo alcune discrasie essere eliminate solo con un intervento legislativo.
Riproduzione riservata
1 . Modalità di espressione del voto in presenza di proposte plurime
Come nel palazzo degli Ori di via Merulana vengono commessi due reati a breve distanza di tempo in due appartamenti dello stesso pianerottolo, così nello stesso caseggiato del concordato preventivo, sullo stesso pianerottolo dell’art. 109, vengono commessi due misfatti di incongruenza in due commi vicini, se non proprio confinanti, il comma 2 e il comma 7, che creano un “nodo o groviglio, o garbuglio o gnommero” ossia un pasticciaccio difficile da districare. L’intento di confrontarsi con questo groviglio- che costituisce anche il cuore del romanzo gaddiano al di là della ricerca del o dei responsabili, cui si dedica con solerzia il commissario don Ciccio Ingravallo - è all’origine anche di queste note nel tentativo di dare qualche risposta ed evitare che, come nel romanzo, un pasticciaccio brutto rimanga senza una soluzione sicura. 
Come è noto, la possibilità per i creditori di presentare proposte di concordato preventivo concorrenti rispetto a quella formulata dal debitore è stata introdotta dall’art. 3 del D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito con modifiche nella legge 6 agosto 2015 n. 132, entrata in vigore il 21 agosto 2015, che ha arricchito di quattro commi il corpo dell’art. 163 L. fall.; disposizioni riprese, con alcune varianti, dall’art. 90 del codice della crisi. 
Il legislatore, con tale istituto, non dà ai creditori la possibilità di presentare una domanda autonoma di concordato preventivo, prima che lo abbia fatto il debitore in crisi, ma si limita a consentire che i creditori, a determinate condizioni, possano presentare proposte di concordato preventivo alternative a quella già depositata dal debitore. E’ rimasta, quindi, inalterata la prescrizione normativa che attribuisce al solo debitore la legittimazione alla presentazione del concordato preventivo, a differenza di quanto stabilito dall’art. 124 L. fall. e 240 CCII per il concordato fallimentare o per quello inserito nella liquidazione giudiziale, e “Colui o coloro che, anche per effetto di acquisti successivi alla domanda di concordato, rappresentano almeno il cinque per cento[1] dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata dal debitore, possono presentare una proposta concorrente di concordato preventivo e il relativo piano non oltre trenta giorni prima della data iniziale stabilita per la votazione dei creditori”. Inoltre, l’art. 120-bis, nel comprimere i diritti decisionali dei soci sulla soluzione da adottare in caso di crisi o di insolvenza della società partecipata lasciata alla valutazione degli amministratori o dei liquidatori[2], attribuisce ai soci che rappresentino almeno il 10% del capitale[3], la possibilità di presentare proposte concorrenti a quella della società ai sensi dell’art. 90[4], seppur poi il legislatore si dimentica di questa possibilità offerta ai soci mancando nelle varie norme riguardanti le proposte concorrenti riferimenti alle proposte concorrenti dei soci[5]. 
Il primo degli inevitabili effetti che refluiscono sulla votazione quando vi è una pluralità di proposte è la conseguenza della abolizione dell’adunanza dei creditori, che il legislatore non sembra aver ben metabolizzato in quanto ripropone in via sostitutiva una serie di relazioni che, anche nel lessico, presuppongono ancora un luogo e un momento in cui i creditori e il debitore si confrontano, allo scopo di salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione, dichiarato nell’art. 6, comma 1, lett. f) della legge delega n. 155 del 2017 e confermato nell’art. 47, comma 2, lett. c), CCII, per il quale il tribunale, con il decreto di apertura della procedura del concordato preventivo, stabilisce “la data iniziale e finale per l'espressione del voto dei creditori, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione da soggetti terzi e fissa il termine per la comunicazione del provvedimento ai creditori”. 
L’intento di salvaguardare il contraddittorio è rimasto sulla carta. Per quanto riguarda, infatti, le proposte concorrenti, l’art. 105, dopo la previsione del comma 1, che richiede al commissario giudiziale di predisporre “una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto” da depositare in cancelleria in via telematica almeno quarantacinque giorni prima della data iniziale stabilita per il voto dei creditori (e da trasmettere soltanto al Pubblico Ministero), precisa, al comma 3, che “Qualora siano depositate proposte concorrenti, il commissario giudiziale riferisce in merito ad esse con relazione integrativa da depositare e comunicare ai creditori, con le modalità di cui all'articolo 104, comma 2, almeno quindici giorni prima della data iniziale stabilita per il voto dei creditori” (copia della stessa è trasmessa al pubblico ministero)”; inoltre, nel comma 3 dell’art. 107 è aggiunto che “Almeno quindici giorni prima della data iniziale stabilita per il voto il commissario giudiziale illustra la sua relazione e le proposte definitive del debitore e quelle eventualmente presentate dai creditori con comunicazione depositata e inviata ai creditori, al debitore e a tutti gli altri interessati …. ”. 
Al di là dele imperfezioni lessicali[6] e della evidente sovrapposizione tra più relazioni, che la prassi risolve nella presentazione, nel termine di quindici giorni prima della data di inizio delle votazioni, di una unica relazione (da depositare in cancelleria in via telematica e trasmettere ai creditori e al P.M), che riassume e aggiorna quella già depositata in precedenza, espone le eventuali proposte concorrenti comparandole con quella iniziale del debitore e comunica le informazioni rilevanti ai fini dell’espressione del voto, comprese le modifiche della proposta apportate dal debitore, interessa sottolineare che, ai fini del contraddittorio, l’art. 107, comma 4, prevede che “almeno dieci giorni prima della data iniziale stabilita per il voto, il debitore, coloro che hanno formulato proposte alternative, i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso, i creditori possono formulare osservazioni e contestazioni a mezzo di posta elettronica certificata indirizzata al commissario giudiziale”[7]. Dopo di che il commissario, a norma del comma 5 dell’art. 107, oltre ad informare delle stesse il giudice delegato, comunica, presumibilmente immediatamente perché la norma nulla dice in proposito, le osservazioni e contestazioni pervenute “ai creditori, al debitore e a tutti gli altri interessati”, i quali non possono replicare in quanto non è data loro una tale possibilità, posto che il comma 6 dispone che il commissario depositi la propria relazione definitiva e la comunichi “ai creditori, al debitore ed agli altri interessati almeno sette giorni prima della data iniziale stabilita per il voto”. 
Il contraddittorio creato dal legislatore si sostanzia, quindi, nella sola possibilità di sollevare osservazioni e contestazioni, giacchè, da un lato, il creditore, titolare del credito nei confronti del quale altro creditore concorrente o il debitore abbia sollevato contestazioni, così come il creditore che abbia presentato una sua proposta contestata dal debitore, non è messo in condizioni di replicare e, dall’altro, il debitore non può “rispondere” alle osservazioni mosse sulla ammissibilità e convenienza del concordato sollevate dai creditori; di modo che la previsione del quarto comma dell’art. 107, secondo cui “il debitore ha facoltà di rispondere e contestare a sua volta i crediti” riguarda esclusivamente le contestazioni che il debitore può muovere fino a dieci giorni prima della data di inizio delle votazione (cui è riferito il comma quarto della norma citata) all’elenco dei creditori come rivisto dal commissario, in quanto il meccanismo ideato con la rigida cronologia dei vari interventi non consente la replica alle contestazioni degli altri creditori o alle pretese di altro creditore diverse da quelle che lui ha indicato nell’elenco dei creditori avallato dal commissario. Carenza di contraddittorio già normalmente grave e cui bisognerebbe porre rimedio, ma che diventa ancor più pesante ove non consente un dialogo tra il debitore e i creditori che abbiano presentato proposte concorrenti che vada al di là di una iniziale contestazione cui può dare risposta soltanto il commissario ma non il destinatario della contestazione stessa. 
In queste condizioni si perviene alla votazione. In proposito, Il tribunale, come già ricordato, stabilisce, nel decreto di apertura della procedura di concordato preventivo, una data iniziale e una finale per l’espressione del voto dei creditori e fissa il termine per le comunicazioni ai creditori del provvedimento; a sua volta, il commissario giudiziale, dopo aver proceduto alla verifica dell'elenco dei creditori e dei debitori sulla scorta delle scritture contabili, apportando le necessarie rettifiche, comunica ai creditori a mezzo posta elettronica certificata, “il piano e un avviso contenente la data iniziale e finale del voto dei creditori, la proposta del debitore, il decreto di apertura,….” (art. 104, comma 2) e i creditori votano nell’arco di tempo che viene indicato “a mezzo posta elettronica certificata inviata al commissario giudiziale (art. 107, commi 1 e 8). 
In mancanza dell’assemblea dei creditori, il nuovo legislatore ha correttamente regolamentato il tempo per l’esercizio del diritto di voto, fissando un termine iniziale e uno finale, che individuano l’arco cronologico entro cui i creditori possono esprimersi[8], ma, qualora siano presenti più proposte concorrenti, il legislatore è stato eccessivamente meticoloso in quanto l’art. 107, comma 2, dispone che, in tal caso, “Sono sottoposte alla votazione dei creditori tutte le proposte presentate dal debitore e dai creditori, seguendo, per queste ultime, l'ordine temporale del loro deposito. Il giudice delegato regola l'ordine e l'orario delle votazioni con proprio decreto”. 
In forza di tale disposizione, quindi, il giudice delegato, in caso di proposte plurime, deve in primo luogo fissare “l’ordine” da seguire nella votazione sulle varie proposte, sebbene la sequenza sia segnata dalla stessa norma che richiede che sia sottoposta alla votazione prima la proposta del debitore e poi ciascuna di quelle formulate dai creditori seguendo l’ordine cronologico; bisogna pertanto ritenere che, quando la norma aggiunge che il giudice delegato regola l’ordine, consenta a tale organo la fissazione di una cronologia diversa. Inoltre il giudice deve fissare “l’orario delle votazioni”, il che significa che è tenuto a suddividere lo spazio temporale tra la data di inizio delle votazioni e quella finale in più frazioni entro ciascuna delle quali i creditori sono chiamati ad esprimere il voto su ciascuna proposta, sicchè i creditori potranno votare sulla proposta del debitore entro una certa data e ora, sulla proposta presentata dal creditore A entro altra data e ora, sulla proposta presentata dal creditore B entro altra data e ora ancora, e così via. 
A parte lo sconcerto dei creditori di dover rispettare tali termini ed anche l’ora entro cui poter manifestare il voto, a parte il fatto che la norma non precisa le modalità dell’emissione di questo provvedimento[9], né gli effetti della violazione del termine per il caso che un creditore voti a favore o contro una proposta nel termine fissato per esprimersi sull’altra[10], si vede chiaramente che si è riprodottolo pedissequamente il meccanismo di cui al quarto comma dell’art. 175 L. fall., solo che la successione delle votazioni, una su ciascuna proposta, si spiega agevolmente nella contestualità dell’unica adunanza alla quale necessariamente va messa a votazione prima una proposta, poi un’altra e così via, per cui è logico che l’art. 175 L. fall. indichi l’ordine da seguire, ma in un sistema che, abolita l’assemblea dei creditori, prevede un termine iniziale ed uno finale entro cui ciascun di essi può esprimere il proprio voto, la previsione che “il giudice delegato regola l'ordine e l'orario delle votazioni con proprio decreto” diventa inutile e irragionevole; sarebbe stato sufficiente dire che i creditori possono esprimere nello spazio temporale concesso il loro voto su ciascuna delle proposte loro comunicate. 
Opportunamente, invece, il terzo decreto correttivo del 2024 è intervenuto sull’incipit del comma 2 dell’art. 112, secondo il quale, nei concordati in continuità aziendale, pur in mancanza del raggiungimento delle maggioranze in tutte le classi, il tribunale, ricorrendo le condizioni elencate nel citato comma, poteva omologare il concordato “su richiesta del debitore o con il consenso del debitore in caso di proposte concorrenti”. Quest’ultimo inciso, subordinando il ricorso alla ristrutturazione trasversale al consenso del debitore , limitava fortemente il ricorso al tale meccanismo essendo del tutto evidente che costui aveva sempre interesse a chiedere il cross class cram down sulla sua proposta (unica o scelta tra proposte plurime) per vederla omologata nonostante non avesse raggiunto le maggioranze e a negare il consenso a che potesse essere omologata, attraverso lo stesso meccanismo, la proposta concorrente di altro creditore. 
Questa norma, peraltro, si inseriva in un contesto normativo molto carente. Invero, qualora nei concordati in continuità aziendale nessuna delle maggioranze previste dal comma 5 dell’art. 109 fosse stata raggiunta, il concordato sarebbe dovuto arrivare al tribunale per l’eventuale apertura della procedura di liquidazione giudiziale, ma il comma 5 dell’art. 109 prevede che “In caso di mancata approvazione si applica l’art. 112, comma 2”, dando così ingresso al giudizio di omologazione, al quale si perviene, come prescrive il primo comma dell’art. 48, “se il concordato è stato approvato dai creditori ai sensi dell’art. 109”; quando, invece, nel termine stabilito non si raggiungono le maggioranze richieste, l’art. 111 dispone che “il giudice delegato ne riferisce immediatamente al tribunale, che provvede a norma dell'articolo 49, comma 1”,ossia “dichiara con sentenza l'apertura della liquidazione giudiziale” ricorrendone i presupposti. 
 Il legislatore del terzo correttivo si è reso conto che era necessario integrare le richiamate disposizioni per meglio coordinarle tra loro e ciò ha fatto precisando nel primo comma dell’art. 48 che il tribunale fissa l’udienza per l’omologa “Se il concordato è stato approvato dai creditori ai sensi dell'articolo 109 oppure se il debitore richiede l’omologazione o presta il consenso secondo quanto previsto dall’articolo 112, comma 2”, e nell’art. 111 che, in caso di mancata approvazione “il giudice delegato ne riferisce immediatamente al tribunale, che provvede a norma dell'articolo 49, comma 1, “salvo che il debitore, nei sette giorni successivi alla comunicazione di cui all’articolo 110, comma 2, richieda l’omologazione o presti il consenso secondo quanto previsto dall’articolo 112, comma 2”. A sua volta l’inizio del comma 2 dell’art. 112 è stato modificato nel senso che è ora richiesto che, in caso di proposta concorrente, è necessario il consenso del debitore sulla richiesta di omologazione avanzata dal proponente solo se si tratta di una piccola media impresa individuata secondo i parametri europei che definiscono le PMI e richiamati nel comma 3 dell’art. 85, di modo che, quando nella situazione di mancata approvazione il quinto comma dell’art. 109 statuisce che si applica il secondo comma dell’art. 112, che consente egualmente di fissare l'udienza per l’omologa, il legislatore chiarisce che questo passaggio è lasciato all’iniziativa del debitore, il quale, ricevuta la relazione del commissario che gli comunica l’esito negativo della votazione, ha sette giorni di tempo per richiedere l’omologazione o per prestare il suo consenso all’omologa in caso di proposte concorrenti solo nel caso in cui la sua l’impresa abbia i requisiti di cui all’articolo 85, comma 3, secondo periodo quale forma di tutela delle piccole medie imprese[11]; di conseguenza, al di fuori di questo caso, tale consenso non è necessario, il che vuol dire che, fuori di questo caso, la proposta arriva d’ufficio alla omologa, di modo che il commissario deve darne specifico atto nella relazione di cui all’art. 110 e il tribunale, al quale il giudice delegato ha fatto presente tale situazione, dovrà dare corso al procedimento di omologazione emettendo i provvedimenti di cui al primo comma dell’art. 48, come se il concordato fosse stato approvato. 
Rimane comunque un punto oscuro per il fatto che le disposizioni appena esaminate, nel regolare le modalità per pervenire al giudizio di omologazione in caso di mancato raggiungimento delle maggioranze, presuppongo, in tale evenienza, il passaggio immediato alla fase dell’omologa, nel mentre il comma 2 dell’art. 109 che, come si vedrà, disciplina le votazioni e le maggioranze in caso di proposte concorrenti, dispone che il mancato raggiungimento delle maggioranze di cui alla prima parte di detto comma comporta la votazione suppletiva sulla proposta che ha conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto. Nel coordinamento delle varie norme interessate appare logico ritenere che, in questa fattispecie, si proceda alla votazione suppletiva prevista dall’art. 109, comma 2, norma specifica alla votazione su proposte plurime, e si arrivi alla ristrutturazione trasversale soltanto ove anche in questa votazione la proposta che abbia contenuto continuativo non raggiunga le maggioranze di legge.
2 . Il conflitto di interessi del terzo proponente
Quelle finora esaminate sono soltanto le scie del pasticciaccio. Il primo misfatto, quello che come in via Merulana è il meno grave, prende le mosse dalla codificazione, nella parte finale del comma 6 dell’art. 109, del principio che sono “esclusi dal voto e dal calcolo delle maggioranze i creditori in conflitto di interessi”, che apre la necessità di indagare se il creditore che presenta una proposta concorrente possa esprimere il voto anche sulla propria proposta concordataria, dato che qui assume l’innaturale duplice ruolo del proponente e (parzialmente, cioè per il suo voto) dell'accettante, con possibilità anche di essere determinante nell’approvazione ove abbia un credito idoneo, nella singola fattispecie, a spostare la maggioranza; e, in caso positivo, quale strumento sia stato ideato per superare il chiaro conflitto di interessi. 
Il discorso sul conflitto di interessi del terzo proponente, pur in mancanza di una norma espressa quale quella sopra richiamata, si è già sviluppato in passato ma nell’ambito del concordato fallimentare perché, a partire dalla riscrittura dell’art. 124 ad opera del D.Lgs. n. 5 del 2006, questo tipo di concordato può essere proposto, oltre che dal debitore, anche dai creditori o terzi, senza che sia prevista alcuna disposizione sul diritto di voto da parte del creditore proponente o soggetti a lui collegati. 
In questo ambito sono intervenute le Sezioni Unite della S. Corte[12] che, dopo aver dimostrato l’inesattezza dell’assioma che l'interesse comune richiede che vi sia un soggetto giuridico collettivo che sia titolare dello stesso[13], chiariscono che “l'interesse collettivo della massa dei creditori va identificato nell'interesse comune dei creditori in quanto ammessi a partecipare al concorso, senza la necessità di andare alla ricerca di un ente cui imputare il detto interesse”, di tal che un interesse personale è configurabile quando il creditore sia portatore, per conto proprio o di terzi, di un interesse ad un vantaggio particolare da conseguirsi mediante il concordato, non condiviso dagli altri creditori e fondato non già sulla partecipazione al concorso, quanto su una situazione esterna del creditore. Da qui la conclusione che “è escluso dal voto sulla proposta di concordato fallimentare e dal calcolo delle maggioranze il creditore che abbia presentato la proposta di concordato”. 
Quando nel 2015 è stato introdotto nel concordato preventivo l’istituto delle proposte concorrenti, il legislatore non negò il diritto di voto al creditore proponente contando sul fatto che il creditore che presenta una proposta concorrente ha interesse anche a sostenerla col voto e farla approvare; l’unica limitazione che pose fu quella che i creditori che presentano una proposta di concordato concorrente, per esercitare il diritto di voto sulla medesima, debbono essere “collocati in una autonoma classe” (art. 163, comma 6, L. fall.), fermo restando che, in quanto creditori verso l’originario proponente potevano esprimersi sulla proposta di questi, indipendentemente dalla inclusione in una classe. 
Il comma settimo dell’art. 109 CCII ripropone in modo più articolato la disposizione di cui al comma sesto dell’art. 163 L. fall., ma in un contesto che esclude espressamente dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto d'interessi (comma sesto, art. 109); ciò nonostante, il citato comma 7 dell’art. 109, in deroga al principio appena affermato nel comma precedente che nega il voto al creditore che si trovi in conflitto di interessi, ammette che i creditori che formulano una proposta alternativa “possono votare soltanto se la proposta ne prevede l’inserimento in apposita classe”. Pertanto, anche nel vigore del nuovo codice il creditore che propone il concordato- il quale, a seguito delle modifiche apportate all’art. 90 dal correttivo del 2024, è sufficiente che disponga di una quota di crediti non inferiore al 5% del monte crediti- può votare sulla sua stessa proposta soltanto se questa ne prevede l'inserimento in apposita classe, anche in caso di concordato liquidatorio, rientrando il classamento dei creditori proponenti il concordato tra le fattispecie per le quali il secondo comma dell’art. 85 richiede l’obbligatoria suddivisione dei creditori in classi. 
In tal modo il legislatore riconosce il conflitto di interessi dei creditori proponenti a votare sulla propria stessa proposta, e non potrebbe essere diversamente giacché il voto dato dal creditore sulla proposta da lui presentata non può mai ritenersi dettato dalla necessità di realizzare un interesse comune a tutti i partecipanti; tuttavia ritiene di neutralizzarlo mediante la tecnica del classamento, come se le due tecniche: quella dell'esclusione dal voto e quella del classamento obbligatorio siano sovrapponibili, ma non è così, essendo chiaramente più vantaggioso per il creditore concorrente esprimere il voto sulla propria proposta piuttosto che essere escluso dal voto e dal calcolo delle maggioranze. 
Invero il proponente la proposta alternativa, seppur collocato in una apposita classe, vota e, quando esprime il voto sulla proposta da lui presentata, è in evidente conflitto di interessi, connaturato nella situazione di chi si pone come proponente e accettante, tanto che è scontato che il suo voto sia favorevole alla propria proposta; nè la sua collocazione in una autonoma classe elimina il conflitto perché il suo scontato voto favorevole alla proposta da lui presentata, seppur da solo non consente il raggiungimento dei quorum, dovendo la proposta essere approvata dalla maggioranza dei crediti ammessi al voto nelle altre classi o nella unanimità delle classi, a seconda del tipo di concordato, costituisce comunque un vantaggio in quanto permette ad un creditore di sostenere col voto, in patente conflitto di interessi, la proposta da lui stesso presentata che contribuisce a raggiungere le maggioranze di legge, nel mentre il creditore escluso dal voto per conflitto d'interessi non concorre all'approvazione del concordato, come accade al creditore proponete il concordato fallimentare secondo la ricordata costruzione delle Sezioni Unite. 
In sostanza il compromesso della classazione trovato dal legislatore è del tutto inefficace e si capisce che l’unico modo per evitare che la scelta della maggioranza rimanga inquinata in maniera decisiva dalla presenza, in capo a taluni dei suoi componenti, di un conflitto di interessi, sarebbe stato quello di seguire l’indicazione delle Sezioni Unite della Corte prevedendo la neutralizzazione o sterilizzazione del voto del creditore sulla sua stessa proposta. 
Peraltro, la soluzione adottata, non solo contiene in sé un conflitto di interessi, ma crea una altrettanto evidente inaccettabile diseguaglianza tra il terzo proponente concorrente e l’originario proponente il concordato perché mentre il primo esprime il voto sulla proposta da lui presentata facendo valere il peso del credito complessivo di cui dispone, di contro, il debitore che ha avuto accesso al concordato non vota sulla sua proposta non essendo creditore di se stesso; ma vi è di più dal momento che il primo vota anche sulla proposta presentata inizialmente dal debitore, ovviamente esprimendo voto negativo, nel mentre quest’ultimo non vota sulla proposta alternativa, non essendo creditore verso il terzo proponente per cui non si saprebbe per quale credito potrebbe votare[14]. 
In sostanza, dietro il paravento della classazione, la realtà è che il creditore che formula una proposta alternativa ha interesse a far bocciare la proposta iniziale del debitore, indipendentemente dalla bontà del contenuto e dall’utilità per i creditori, in quanto ha l’interesse personale a favorire l’approvazione della sua proposta, per la proposizione della quale ha probabilmente anche impegnato danaro per rendersi cessionario dei crediti necessari per raggiungere la soglia del 5%. E’ scontato, pertanto, che egli esprima voto favorevole sulla sua proposta e voto negativo sulla proposta del debitore, incidendo pesantemente sull’esito delle votazione in quanto contribuisce, con il peso del credito complessivo di cui dispone (che non può essere inferiore alla quota del 5% del monte crediti, ma può anche superare tale limite) all’approvazione della sua proposta e alla mancata approvazione della concorrente proposta del debitore, nel mentre l’interesse personale, in conflitto con quello generale della massa dei creditori, che egli fa valere con tali voti dovrebbe precludergli la possibilità di incidere sulla formazione della maggioranza, sia in positivo che in negativo; di contro il debitore che ha avuto accesso al concordato non vota sulla sua proposta nè vota sulla proposta del creditore proponente[15].
Ma non è tutto perché il settimo comma dell’art. 109, oltre ad ammettere al voto il creditore proponente, a condizione che sia incluso in una apposita classe, estende lo stesso trattamento alle società da questo controllate, alle società controllanti o sottoposte a comune controllo, ai sensi dell’art. 2359, primo comma, cod. civ., che quindi possono esprimere il voto purchè inseriti in apposita classe, così come il creditore alternativo col quale ricorrono i rapporti indicati. In tal modo se, da un lato, si apporta un elemento di chiarezza parificando il trattamento (quanto al voto) del creditore che presenta proposta alternativa con quello delle società lui collegate dai rapporti indicati dalla norma, dall’latro si amplifica la differenza di trattamento tra la posizione del creditore concorrente e quella del debitore che ha proposto la iniziale domanda di concordato giacchè le società controllate dal primo, le società controllanti e quelle sottoposte a comune controllo, purchè inserite in apposite classi, possono votare favorendo la formazione delle maggioranze sulla proposta del creditore ad essi collegato, nel mentre le società collegate da eguali rapporti al debitore sono esclusi dal voto sia sulla proposta del debitore, per l’espressa disposizione del sesto comma dell’art. 109, sia, evidentemente, su quella del concorrente, così come non può votare il debitore[16]. 
Il comma settimo dell’art. 109 non contiene alcun accenno al coniuge, al convivente di fatto 
del creditore proponente, alla parte a questi legata da unione civile, ai parenti e affini del creditore fino al quarto grado, né ai cessionari dei loro crediti da meno di un anno prima della domanda di concordato, soggetti tutti che il comma sesto esclude dal voto e dal computo delle maggioranze quando tali legami ricorrono con il debitore, da cui dovrebbe dedursi che il coniuge del creditore alternativo, cosi come gli altri soggetti elencati, possono esprimere il voto sulla proposta concorrente presentata dal loro parente, affine, convivente di fatto ecc.[17] e su quella del debitore, senza neanche essere necessariamente inclusi in una apposita classe, nel mentre i soggetti legati dagli stessi vincoli con il debitore non possono esprimere il voto e i loro crediti, originari o acquistati entro l’anno precedente, sono esclusi dal computo delle maggioranze. 
Si potrebbe superare la dizione letterale del sesto comma dell’art. 109 ritenendosi- anche allo scopo di evitare ulteriori disparità di trattamento, oltre quelle già evidenziate- che essa non impedisce che gli stessi divieti dettati per i soggetti collegati al debitore da vincoli di parentela, coniugio ecc. siano applicabili anche a quelli collegati al o ai terzi creditori proponenti quando si vota sulla loro proposta, dal momento che ciascuna proposta (superato il debito di dipendenza dalla necessaria presentazione della prima domanda del debitore), ha una propria autonomia, va sottoposta al vaglio dei creditori e per la votazione debbono valere le stesse regole. 
Tuttavia, anche questa soluzione presenterebbe una evidente incongruenza, consistente nel fatto che il creditore proponente, seppur inserito in apposita classe, esprime il voto sulla sua proposta, nel mentre per i soggetti a lui collegati vigerebbe il divieto di voto. Con l’ulteriore asimmetria che, se il creditore proponente è una società, questa può votare sulla propria e le altre proposte purché sia inclusa in una classe ed egualmente possono votare, sempre se inclusi in una apposita classe, le società ad essa collegate; se, invece il creditore proponente è una persona fisica, egli può ancora votare una volta che sia stato classato, ma il suo coniuge e i sui parenti, affini, conviventi, sarebbero esclusi dal voto e dal calcolo delle maggioranze, evidenziando come la regola contenuta nel sesto comma dell’art. 109- nata per evitare che il debitore proponente, che non vota, possa influenzare le votazioni tramite i soggetti collegati indicati- avrebbe dovuto essere completamente rivista per adattarla alla nuova fattispecie delle proposte concorrenti. 
Né sotto questo profilo è di aiuto il già richiamato intervento delle Sezioni Unite del 2018. E’ vero, infatti che queste hanno compreso anche i soggetti legati al creditore proponente da vincoli di coniugio, di parentela, di convivenza o di affinità quali portatori di un conflitto di interessi, sulla base dell’ovvia considerazione che se è escluso dal voto il creditore proponente il concordato fallimentare a maggior ragione lo sono questi soggetti a lui legati, altrimenti sarebbe facile eludere il divieto; nella specie, invece, il creditore proponente una proposta concorrente è ammesso al voto purché inserito in apposita classe. 
Anche sotto questo profilo, il “nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero” può sciogliersi solo ricorrendo alla neutralizzazione del voto e del credito del creditore concorrente. 
3 . Il calcolo delle maggioranze in presenza di proposte plurime
Il misfatto più grave è quello perpetrato nel comma 2 dell’art. 109, che tratta della formazione delle maggioranze quando sono poste al voto più proposte di concordato, cui il D.Lgs. n. 136 del 2024 ha cercato invano di rimediare, aggravando vieppiù la situazione. 
Si è già detto che in tal caso sono sottoposte alla votazione dei creditori tutte le proposte presentate dal debitore e dai creditori seguendo, per queste ultime, l’ordine temporale del loro deposito, sicché ogni creditore può esprimere il voto su ciascuna, in passato nella contestualità dell’adunanza ed ora in via telematica nel tempo indicato dal giudice, con la possibilità sia di diversificare il proprio parere, favorevole per una e negativo per l’altra, sia di manifestare il consenso per ognuna (quando ritenga tutte le proposte convenienti e non sappia scegliere) o il dissenso per ciascuna quando ritenga tutte le proposte non soddisfacenti[18]; e, di conseguenza, il voto di ogni creditore va conteggiato per ciascuna proposta in senso favorevole o contrario a seconda di come il votante si è espresso e, quindi, se il creditore ha votato a favore (o contro) di tutte le proposte, come tale va considerato nella determinazione delle maggioranze raggiunte da ognuna di esse[19]. 
 Quanto alle maggioranze, il secondo comma dell’art. 109 CCII dispone che, “quando sono poste al voto più proposte di concordato, si considera approvata la proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto”; terminologia che riprende pedissequamente la parte del primo comma dall’art. 177 L. fall. introdotta con la riforma del 2015 e ripropone il criterio di approvazione di cui al primo comma dell’art. 109, dettato per i concordati liquidatori in quanto anche qui i voti favorevoli sono rapportati al monte dei crediti ammessi al voto. 
L’espressione utilizzata nel comma 2 della approvazione della proposta che “ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto”, letta autonomamente potrebbe far pensare che sia preferita, nella pluralità di proposte, quella che abbia riportato le maggiori adesioni, anche se queste non raggiugono la maggioranza assoluta dei crediti ammessi al voto e che non sia richiesta la maggioranza tra classi, ma questa lettura è smentita dal prosieguo della norma lì dove prende in considerazione l’ipotesi che nessuna delle proposte “sia stata approvata con le maggioranze di cui al primo e al secondo periodo del presente comma”[20]; espressione che non avrebbe senso ove l’inizio del secondo comma dell’art. 109 fosse interpretato come approvazione a seguito del raggiungimento dì una maggioranza anche relativa, sganciata dalle maggioranze di legge, perché, salvo l’inverosimile caso che nessuno voti (neanche il creditore concorrente), vi sarà sempre una proposta che abbia ricevuto una quantità di voti che supera quelli ottenuti da un’altra opzione e, al massimo, vi potrà essere parità che la legge regola a parte. Inoltre, nel caso del mancato raggiungimento della maggioranza indicata, la norma prosegue dando incarico al giudice delegato di “rimettere al voto la sola proposta che ha conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto”, da cui si capisce come nella votazione precedente sia richiesta la maggioranza assoluta, altrimenti la norma sarebbe del tutto incongrua in quanto prevederebbe che, in mancanza del raggiungimento della maggioranza relativa su almeno una proposta, il giudice mette ai voti la proposta che ha ricevuto la maggioranza relativa. 
E’ chiaro, allora, che con la disposizione in esame il legislatore ha inteso ribadire che tra tutte le proposte che abbiano raggiunto la maggioranza quantitativa anche nelle classi come richieste dal comma 1 dell’art. 109, è preferita quella che ha riportato il maggior numero di consensi. Rispetto al comma precedente, quello in esame, in considerazione della presenza di più proposte messe al voto, prevede che passa al giudizio di omologa l’’unica proposta che ha raggiunto le maggioranze richieste o, tra le più che le abbiano raggiunte, quella che ha riportato la maggioranza più elevata (e in caso di parità stabilisce quale debba prevalere); di modo che l’approvazione presuppone che almeno una delle proposte o più di una di esse abbiano coalizzato il voto dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (ossia del 50,1%) e che, qualora siano previste classi di creditori, tale maggioranza sia stata raggiunga anche nel maggior numero di classi, in conformità dello stesso principio maggioritario dettato dal primo comma per i concordati liquidatori, come confermato anche dall’ultimo periodo del comma 2, per il quale “in ogni caso si applicano le disposizioni di cui al comma 1”; ne consegue anche che, ove un unico creditore sia titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, le proposte devono superare anche il vaglio della maggioranza per teste, secondo appunto la regola dettata per i concordati liquidatori dal comma 1. 
Questo criterio di selezione pone un problema di carattere sistematico di non poco conto nel momento in cui il debitore iniziale o un creditore concorrente o anche entrambi propongano una proposta di concordato in continuità, giacché, in tal caso, trovano applicazione le regole di votazione e di approvazione dettate per il concordato liquidatorio, anche se alcune o anche tutte le proposte presentate siano introduttive di un concordato in continuità, per il quale il comma 5 detta regole di approvazione e maggioranze completamente diverse. E’ appena il caso di ricordare, infatti, che nel concordato in continuità, improntato sulla obbligatorietà della formazione delle classi e sul voto favorevole di tutte le classi, i creditori prelatizi dilazionati oltre 180 giorni o non pagati integralmente o non soddisfatti in denaro votano per l’intero credito, a differenza di quanto avviene nel concordato liquidatorio, nel quale votano soltanto i creditori pregiudicati (e per la parte pregiudicata) dalla proposta, con la possibilità di tener conto anche del voto per teste in presenza di un creditore dominante; nei concordati in continuità l’approvazione si raggiunge con il voto favorevole di tutte le classi, nel mentre in quelli liquidatori è richiesta la maggioranza assoluta dei crediti ammessi al voto e nel maggior numero di classi, la cui formazione, peraltro, è obbligatoriamente richiesta per i creditori proponenti il concordato e per le parti ad essi correlate e per altre due categorie di creditori (art. 85, comma 2), ma non per tutti i creditori. E’ mutato nel nuovo codice il metro di valutazione delle maggioranze, che nei concordati liquidatori è rimasto ancorato alle maggioranze dei voti espressi in rapporto al monte crediti ammesso al voto, nel mentre nei concordati in continuità si guarda alle classi che devono essere tutte favorevoli, salvo poi stabilire i criteri di maggioranze all’interno delle classi, con l’ulteriore sviluppo, qualora non il consenso unanime di tutte le classi, di ricorrere alla ristrutturazione trasversale di cui all’art. 112, comma 2, lett. d). 
Di conseguenza, i criteri applicabili per la votazione e l’approvazione di un concordato in continuità variano (illogicamente) a seconda che ci sia una proposta singola o vi siano una o più proposte concorrenti; nel primo caso, infatti, la proposta presentata dal debitore viene regolata dal comma quinto dell’art. 109, nel mentre la presenza di una proposta alternativa (di qualunque tipo essa sia) fa sì che la scelta venga effettuata secondo le maggioranze previste dal primo comma dell’art. 109, di modo che, tutte le ragioni che giustificano la formazione delle classi e l’unanimità del voto delle stesse quando viene posta al voto una proposta singola di concordato in continuità inspiegabilmente evaporano qualora vengano poste al voto più proposte di concordato in continuità[21]. 
Tutto ciò porta incertezza nella preparazione e predisposizione del percorso da seguire in quanto il debitore, dopo aver organizzato, con la formazione obbligatoria delle classi predisposte anche nell’ottica di arrivare alla ristrutturazione trasversale, una proposta di concordato in continuità, si trova poi a dover sottostare, per il fatto che altro creditore abbia presentato altra proposta alternativa (eventualmente anche questa in continuità), alle regole di maggiorana e all’eventuale voto per teste nel caso un unico creditore sia titolare di crediti in misura maggiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto e a non poter più contare sul voto dei creditori prelatizi per la parte capiente sui beni, che, nel concordato in continuità possono esprimere il voto anche per questa parte di credito[22]. 
Questa situazione per la quale una proposta di concordato in continuità è soggetta alle regole e alle maggioranze di cui al comma 5 dell’art. 109 se è l’unica in gioco, nel mentre se vi sono due proposte, anche entrambe in continuità, sono soggette alle regole e alle maggioranze di cui al primo comma dell’art. 109 è chiaramente anomala; eppure non si vedono alternative a questa soluzione. 
Non è , invero, ipotizzabile un meccanismo di votazione e calcolo delle maggioranze diverso per ciascuna tipologia di proposta portata al voto[23], essendo i criteri dettati per ciascun tipo di concordato, come già ricordato, troppo discordanti tra loro e inidonei ad essere contestualmente utilizzati. Ed infatti, non a caso, il comma 2 dell’art. 109, pur regolamentando il concorso tra più proposte di concordato, non attua alcuna distinzione in base alle finalità delle diverse proposte, prevedendo un unico criterio di determinazione delle maggioranze che, come detto, è quello per il quale “si considera approvata la proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto”. Essendo questo l’unico criterio dettato dalla legge per stabilire le maggioranze quando sono poste al voto più proposte di concordato, senza altra specificazione, non è possibile far rientrare nella norma una previsione che utilizzi criteri di votazione e di calcolo delle maggioranze differenziati a seconda della tipologia di piano su cui si basano, anche perché l’utilizzo contestuale di criteri diversi falserebbe i risultati del voto in quanto la proposta liquidatoria sarebbe favorita essendo per l’approvazione di questa richiesta la maggioranza dei crediti ammessi al voto e nel caso di formazione di classi nel maggior numero di classi, nel mentre la proposta in continuità richiede che le maggioranze di legge siano raggiunte in tutte le classi. 
Vi è anche chi, pur ritenendo più equilibrato il differente approccio interpretativo che ravvisa nel comma 2 dell’art. 109 CCII la norma destinata “destinata a trovare applicazione in tutti i casi di concorso tra proposte di concordato, non solo, quindi, nei casi di proposte aventi finalità convergenti (tutte dal contenuto liquidatorio o tutte volte a garantire la continuità aziendale), ma anche nei casi di proposte aventi finalità divergenti (talune dal contenuto liquidatorio ed altre volte a garantire la continuità aziendale)”, aggiunge che “una volta individuata la proposta prevalente e accantonate le altre proposte soccombenti, il giudice delegato dovrà comunque valutare se la proposta individuata come prevalente sia stata approvata secondo le regole di legge previste per ciascuna tipologia di concordato”[24]. 
Questo sforzo di cercare di superare l’anomalia di una proposta di cordato in continuità che è soggetto alle regole di cui al comma 5 dell’art. 109 se unica ed a quelle di cui al comma 1 se concorre con altre, non mi sembra riuscito in quanto introduce una valutazione del giudice che non è prevista dalla legge e che non è realizzabile perché, se la votazione si è svolta applicando l’unico metro di calcolo delle maggioranze, riesce difficile capire come possa il giudice verificare che la proposta prevalente abbia conseguito l’approvazione secondo le regole tipiche della categoria di riferimento; poiché, infatti, il meccanismo del calcolo delle maggioranze dettato dal comma 2, richiama quello del comma 1 per i concordati liquidatori, una proposta in continuità risultata prevalente per essere stata approvata dalla maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto è chiaro che non ha conseguito l’approvazione secondo le regole tipiche della categoria di riferimento e non si vede come possa essere successivamente vagliata dal giudice secondo le regole proprie della continuità di cui al comma 5 che, come detto, differiscono da quelle poste per i concordati liquidatori non solo per un diverso livello delle maggioranze, che sarebbe agevole ricalcolare, ma per i differenti criteri di individuazione della piattaforma dei creditori ammessi al voto, per i diversi meccanismi di calcolo delle maggioranze, ecc.[25] . 
In sostanza, appare del tutto inverosimile che si possano utilizzare criteri diversi di votazione e di calcolo delle maggioranze differenziati per ciascun tipo di proposta nell’ambito della stessa procedura o che una tale valutazione possa poi essere effettuata dal giudice dopo l’individuazione della proposta prevalente; e questo spiega perché il legislatore abbia mantenuto un meccanismo unico di votazione e calcolo delle maggioranze sulle proposte plurime per ogni tipo di concordato e abbia richiamato esclusivamente il sistema della legge fallimentare e del comma 1 dell’art. 109, precisando ulteriormente, alla fine del comma 2, che “in ogni caso si applicano le disposizioni del comma 1”, in modo da rendere chiaro e inequivoco che unico è il meccanismo proposto per selezionare tra le più proposte quella da portare all’omologa e che questo meccanismo è quello dettato per i concordati liquidatori dal comma 1, al quale bisogno “in ogni caso” fare riferimento. 
Il fatto è, però, che questo sistema andava bene quando il criterio di votazione e di calcolo delle maggioranze era unico per ogni tipo di concordato; nel momento in cui sono stati differenziati tra i due tipi di concordato sia i criteri di selezione dei creditori ammessi al voto, sia le classi, sia le maggioranze, diventa palese che anche quel sistema unitario di calcolo delle maggioranze non è più utilizzabile. 
Né su questo aspetto è intervenuto il terzo decreto correttivo, che in proposito, si è limitato ad introdurre nell’art. 109 il comma 5 bis secondo il quale “Quando sono approvate più proposte di concordato che si fondano su piani differenti è sottoposta a omologazione la proposta che prevede la continuità aziendale. Se sono approvate più proposte in continuità aziendale è sottoposta a omologazione quella che ha ottenuto la maggioranza più elevata dei crediti chirografari ammessi al voto”. 
Come si vede la nuova norma disciplina espressamente proprio l’ipotesi di approvazione, secondo la regola esposta nel comma 2, di più proposte di concordato fondate su piani differenti, privilegiando, tra quelle che hanno raggiunto le maggioranze prescritte dal citato comma 2, il piano in continuità nell’ottica di agevolare il recupero dei valori aziendali, e, in caso di più piani in continuità, la proposta che ha ottenuto il maggior numero di voti tra i creditori maggiormente incisi dalle sue condizioni, vale a dire tra i creditori chirografari. 
Questa nuova disposizione, da un lato, accentua ancor più il già intricato garbuglio del comma 2, per la difficoltà di coordinare questo con il nuovo comma 5 bis e, dall’altro, dà un ulteriore schiaffo alla libertà di espressione dei creditori, il cui voto viene posto nel nulla. 
Invero, finora, il comma 2 dell’art. 109, per l’ipotesi che più proposte avessero raggiunto la maggioranza dei crediti ammessi al voto e quella nel maggior numero di classi dei crediti ammessi al voto, prevedeva un unico criterio selettivo che era quello che, prescindendo dal tipo di proposta approvata, dava preferenza a quella che aveva conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto nel rispetto della volontà manifestata dai creditori, aggiungendo che, in caso di parità, prevaleva quella del debitore o, in caso di parità fra proposte di creditori, quella presentata per prima. Ora nelle stesse condizioni di più proposte che abbiano raggiunto le maggioranze secondo le regole della votazione e delle maggioranze dettate per il concordato liquidatorio dal primo comma dell’art. 109, i criteri selettivi delle più proposte approvate vengono diversificati, in quanto, se una (o più) delle proposta approvate si fonda su un piano liquidatorio ed altra (o più) su un piano di continuità, seppur entrambe abbiano raggiunto le maggioranze di legge, viene portata all’omologa quella che salvaguarda la continuità, anche se in totale ha ricevuto meno voti dell’altra e, se sono approvate più proposte in continuità aziendale, in virtù del secondo periodo del nuovo comma 5 bis, “è sottoposta a omologazione quella che ha ottenuto la maggioranza più elevata dei crediti chirografari ammessi al voto”; di conseguenza, pur non essendo stato modificato il comma 2 dell’art. 109, il criterio selettivo da esso dettato vede ridotto il suo campo di applicazione alla sola ipotesi che siano state approvate due (o più) proposte di carattere liquidatorie, dato che in caso di approvazione di proposte disomogenee o di più proposte basate sulla continuità trova applicazione il nuovo comma 5 bis
Leggendo, quindi, la parte in esame del comma 2 e il comma 5 bis in combinato tra loro, sembra presumibile che il legislatore abbia proposto le seguenti regole: Quando sono approvate più proposte di concordato liquidatorio va portata all’omologa la proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto; in caso di parità, prevale quella del debitore o, in caso di parità fra proposte di creditori, quella presentata per prima. Quando sono approvate più proposte di concordato in continuità aziendale è sottoposta a omologazione quella che ha ottenuto la maggioranza più elevata dei crediti chirografari ammessi al voto. Quando sono approvate più proposte che si fondano su piani differenti è sottoposta a omologazione la proposta che prevede la continuità aziendale. 
In quest’ultimo caso la libertà espressiva dei creditori nell’approvazione del concordato viene ulteriormente svilita giacché, tra più proposte che abbiano superato le maggioranze richieste e, quindi, tutte parimenti approvate, viene portata all’omologa non “la proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto“, come prescrive il comma 2, bensì quella che si fonda su un piano di continuità, seppur questa abbia riportato un livello di gradimento inferiore a quella fondata su un piano liquidatorio; ciò perché il legislatore ha preferito dare, ancora una volta, prevalenza alla continuità nell’ottica di agevolare il recupero dei valori aziendali rispetto alla tutela dei creditori che, nel caso più che in altri ove si afferma la prevalenza della minoranza sulla maggioranza, vengono sottovalutati in quanto si dà preferenza ad una proposta in ragione della natura della stessa, indipendentemente dai voti riportati. 
Il nuovo intervento legislativo, peraltro, non risolve un altro dei problemi che nascono dall’applicazione della prima parte del comma 2 dell’art. 109 ora in esame, e cioè cosa accade quando la proposta portata alla omologazione non venga omologata. Qualora più proposte abbiano raggiunto le maggioranze, una volta portata all’omologa quella indicata dal legislatore nel comma 5 bis, ne discende che, non omologata questa per un qualsiasi motivo, venga esaminata dal collegio l’altra proposta che ha superato la maggioranza e, nel caso che più l’abbiano superato, quella che per legge deve ritenersi preferita secondo i criteri indicati. Qualora, invece, solo la proposta che è pervenuta all’omologa aveva raggiunto le maggioranze di legge, credo che il tribunale debba disporre la regressione del procedimento e la ripetizione del voto. E, alla tesi che ritiene che, in tal caso, si proceda alla ripetizione delle operazioni di voto su tutte le altre proposte[26], a me pare preferibile che si proceda alla votazione suppletiva sulla proposta che aveva riportato la maggioranza relativa più elevata, giacché questa è la soluzione prevista dalla norma, come appena si vedrà, per il caso che nessuna delle proposte abbia raggiunto le maggioranze di legge e che può ben essere un esempio da seguire quando si ritorna alle votazioni perché quella che aveva avuto successo è stata eliminata; in realtà, bocciata la proposta portata all’omologa, la retrocessione alla fase pre omologa trova una situazione simile a quella prevista dalla seconda parte del comma 2 in esame, in cui nessuna delle proposte ha raggiunto le maggioranze di legge. 
In sostanza, la recente introduzione del nuovo comma 5 bis non ha eliminato il “pasticciaccio”, che impone un criterio di votazione e di calcolo delle maggioranze unitario per qualsiasi tipologia di concordato, che, unito alla constatazione dell’impossibilità di utilizzare criteri differenziati per ciascun tipo di proposta portata al voto, avrebbe richiesto l’abbandono da parte del legislatore dei vecchi schemi della legge fallimentare e un adeguamento a nuovi criteri di selezione dei creditori votanti e di calcolo delle maggioranze. A mio avviso, sarebbe stato opportuno prevedere una votazione per selezionare, tra le più proposte presentate, quella che può proseguire il cammino sulla base o del maggior numero di voti ricevuti, come in una competizione elettorale, o della maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto, e successivamente mettere ai voti la proposta scelta seguendo le regole dettate per quel tipo di piano. In questo modo, la prima votazione servirebbe, quindi, a scegliere non la proposta da portare all’omologa, ma quella da sottoporre in via definitiva al giudizio dei creditori premiando allo scopo quella che riceve il maggior numero di voti favorevoli in senso numerico o quantitativo; così, da un lato, ci sarà sempre una maggioranza nella scelta della proposta da sottoporre ai creditori (non può infatti, verificarsi il caso previsto dall’attuale secondo periodo che nessuna delle proposte concorrenti poste al voto sia stata approvata con le maggioranze di cui al primo periodo, dato che è sufficiente una maggioranza relativa) determinata secondo regole da scegliere che valorizzano la parità tra creditori o l’entità dei crediti di cui ciascuno è portatore, e, da altro lato, la proposta scelta tra le varie sarà assoggettata al voto secondo le regole del tipo di proposta risultata vittoriosa; dall’altro ancora, almeno nella scelta della proposta da sottoporre al voto definitivo, si darebbe valore alla volontà dei creditori che, seppur viene spesso dimenticato, sono coloro che maggiormente subiscono la ristrutturazione dei debiti proposta dal debitore o da altri proponenti il concordato. 
Ritornando al testo normativo, il comma 2 dell’art. 109 prescrive, come già accennato, che nel caso in cui nessuna proposta ottenga i voti necessari a raggiugere le maggioranze di legge di cui si è detto, “il giudice delegato, con decreto da adottare entro trenta giorni dal termine di cui all’articolo 110, comma 2, rimette al voto la sola proposta che ha conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto, fissando il termine per la comunicazione ai creditori e il termine a partire dal quale i creditori, nei venti giorni successivi, possono far pervenire il proprio voto per posta elettronica certificata”; disposizione che presuppone, come si diceva, che nessuna proposta abbia ottenuto le maggioranze di legge perché, se anche una sola di esse avesse raggiunto questo risultato nel termine finale fissato per il voto, si sarebbe passati direttamente al giudizio di omologa sulla proposta scelta, rendendo superflua l’iniziativa del giudice delegato di chiedere una nuova espressione di voto sulla proposta che nella votazione precedente ha ricevuto il maggior numero di consensi conseguendo la maggioranza relativa.
Anche questa parte della norma presenta varie pecche. Non è prevista alcuna conseguenza in caso di mancato rispetto del termine entro cui il giudice deve disporre questa votazione suppletiva, per cui è da ritenere che il provvedimento in questione possa essere validamente emanato anche dopo la scadenza dei trenta giorni prescritti. Non è specificato chi debba provvedere alla comunicazione ai creditori del provvedimento del giudice, e, in mancanza di una espressa disposizione che attribuisca tale compito al debitore o ad un creditore proponente, sarei propenso a credere che debba provvedere il commissario quale organo della procedura che normalmente cura le comunicazioni ai creditori, piuttosto che il cancelliere. Se è certamente opportuna l’indicazione del termine per la comunicazione del provvedimento del giudice dato che, dovendo questo essere comunicato ai creditori, non è superfluo che sia specificato il termine entro cui effettuare la comunicazione, si poteva invece evitare di fissare un termine per l’inizio della decorrenza per la manifestazione del voto, dato che, una volta posta come obbligatoria la comunicazione, il termine poteva decorrere dalla ricezione di questa. Nulla è detto in ordine all’impugnazione del provvedimento del giudice che disponga il voto su una proposta nel caso nessuna abbia raggiunto le maggioranze di legge e, rimane il dubbio se sia utilizzabile il reclamo ex art. 124 CCII o la doglianza possa essere fatta valere in sede di omologazione o siano praticabili entrambi i rimedi. 
Nulla è detto, infine, neanche circa le maggioranze necessarie per l’approvazione in questa votazione supplementare. Invero, posto che, come si è detto, nella prima votazione che non ha dato alcun esisto si segue, per espressa previsione della prima parte del secondo comma dell’art. 109, la regola dell’approvazione a maggioranza assoluta dei crediti ammessi al voto dettata per i concordati liquidatori dal comma 1, c’è da chiedersi se la stessa regola sia applicabile anche nella seconda votazione. 
Problema irrilevante ove la maggioranza relativa sia stata conseguita da una proposta liquidatoria giacché, in tal caso, la seconda votazione si svolgerà sul modella della prima seguendo le regole di cui al comma 1, richiamate dal comma 2 prima parte dell’art. 109; nel mentre ove sia messa al voto supplementare una proposta di concordato in continuità (per aver questa riportato la maggioranza relativa), diventa rilevante stabilire se in questa seconda votazione si seguano le stesse regole utilizzate per la prima o si applichi la disciplina del comma 5 dell’art. 109, dettata per i concordati in continuità; problematica che fino all’entrata in vigore del nuovo codice non si poneva essendo uniformi le modalità di voto e il calcolo delle maggioranze per le varie tipologie di concordato preventivo.. 
Una volta fissato un criterio nel calcolo delle maggioranze nella scelta tra più proposte, è logico presumere che lo stesso criterio valga per l’intero svolgimento delle votazioni per trovare quella da portare all’omologa, a meno che il legislatore non detti una regola differente, ben sapendo che sono diversi i meccanismi di voto e di calcolo delle maggioranze a seconda che si tratti di votazione nel concordato liquidatorio o in continuità e ben sapendo che il passaggio dal sistema organizzato per il concordato liquidatorio di cui al primo comma dell’art. 109 (richiamato per la prima votazione) a quello in continuità dettato dal quinto comma dell’art. 109 non è agevole in quanto nella votazione supplementare, a differenza della prima, sarebbero ammessi al voto anche i creditori prelatizi (a certe condizioni), l’approvazione si raggiungerebbe con il voto favorevole di tutte le classi, con l’ulteriore sviluppo dell’applicazione del secondo comma dell’art. 112. Non va, infine. sottaciuto che nel periodo finale del comma 2, il legislatore si fa cura di precisare che “in ogni caso si applicano le disposizioni del comma 1”, e che la collocazione finale di questo richiamo lascia intendere che l’applicazione delle regole di cui al primo comma si impone anche nella votazione delle proposte plurime qualora non sia diversamente previsto; e nel comma 2 manca una espressa disposizione di legge che riservi, nella seconda votazione, la proposta concordataria alle regole proprie del tipo di concordato prospettato. 
E’ anche vero, di contro, che nel caso in esame non vengono sottoposte al voto dei creditori proposte di tipo diverse, ma una sola proposta, scelta proprio perché non si è formata una volontà maggioritaria su alcuna delle varie proposte concorrenti, sicché non sono operanti in questa situazione quegli ostacoli normativi e sistematici che impediscono di applicare a ciascuna delle proposte contestualmente messe al voto le regole proprie dettate per ciascun tipo di concordato; si può quindi anche ammettere, pur in mancanza di una espressa disposizione che sarebbe comunque opportuna, che la proposta unica che viene portata al voto con decreto del giudice delegato sia assoggettata ai criteri di votazione e di maggioranza proprie del tipo di concordato portato all’approvazione dei creditori. 
In conclusione, il dato determinante che si ricava dalla descrizione contenuta nel secondo comma dell’art. 109 è che nella fattispecie delle proposte plurime il concordato, sia esso basato su un piano liquidatoria che improntato alla continuità, è approvato solo se almeno una proposta ottenga il voto dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto e che, qualora siano previste classi di creditori, tale maggioranza si raggiunga anche nel maggior numero di classi, in conformità dello stesso principio maggioritario dettato dal primo comma per i concordati liquidatori. Qualora tali maggioranze siano raggiunte da più proposte, per stabilire quale di esse va portata al giudizio di omologazione operano i criteri selettivi di scelta ricavabili dal combinato disposto del comma 2 e del comma 5 bis dell’art. 109 in precedenza elencati. Qualora nessuna delle proposte messe ai voti raggiunga le maggioranze indicate, viene rimessa al voto la sola proposta che ha conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto, e le modalità di votazione e di calcolo delle maggioranze potrebbero essere le stesse di cui in precedenza o, secondo altra lettura, quelle proprie del tipo di proposta ammessa al voto. 
In ogni caso, anche seguendo questa seconda linea interpretativa, rimane il “pasticciaccio” che una proposta di concordato in continuità aziendale, qualora concorra con altre (egualmente in continuità o liquidatorie) deve passare attraverso una votazione per la quale valgono le regole, anche per il calcolo delle maggioranze, dettate per i concordati liquidatori, nel mentre quella stessa proposta, ove sia unica, è assoggettata alle regole di approvazione di cui al comma 5 dell’art. 109; di modo che il debitore che presenta una proposta concordataria in continuità, qualora non sia in grado di assicurare il pagamento di almeno il 30% dell’ammontare complessivo dei crediti chirografari, oltre ad essere esposto all’alea che fino a 30 giorni prima della data iniziale stabilita per le votazioni un creditore presenti una proposta concorrente, corre l’ulteriore rischio che, a seguito di tale intervento, i criteri di votazione e di calcolo delle maggioranze che sarebbero stati applicabili alla sua domanda e su cui aveva fatto conto nel compilare la proposta, cambiano completamente e indipendentemente dalla sua volontà. Cambiamento che diventa permanente e applicabile anche nella eventuale votazione supplementare ove si segua la tesi, non peregrina, che anche in questa ulteriore votazione valgono le regole dettate per la prima. 

Note:

[1] 
Percentuale così ridotta, rispetto al 10% originario, dal D.Lgs.13 settembre 2024, n. 136 e sicuramente la riduzione della quota di crediti necessaria per formulare una proposta concorrente darà nuova vitalità a questo istituto, finora non molto utilizzato. 
[2] 
Nella ultima versione dovuta al D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136, l’art. 120 bis prende in considerazione anche la domanda di accesso nella forma prenotativa e la condizione della società in liquidazione volontaria, attribuendo la competenza alla deliberazione della domanda non solo agli amministratori ma anche ai liquidatori, nel caso la società si trovi in stato di liquidazione volontaria, i quali in via esclusiva stabiliscono la proposta e le condizioni del piano. Le norme successive trattano della posizione dei soci. 
[3] 
Nell’art. 120 bis è rimasto, pur dopo il correttivo del 2024, il riferimento alla quota del 10%, riferita però al capitale sociale e non al monte crediti. Non è chiaro se in questo caso vale la preclusione di cui al comma quinto dell’art. 90 per il quale le proposte concorrenti non possono essere presentate qualora sia attestato che quella della società assicuri il pagamento di almeno il 30% dell’ammontare complessivo dei crediti chirografari o di almeno il 20% in caso di “utile avvio” della composizione negoziata; è presumibile che tali limiti ricorrano anche nella specie dato l’espresso richiamo dell’art. 90 e la sussistenza, anche per i soci, delle ragioni che hanno indotto il legislatore a fissarli in linea generale. 
[4] 
Qui i soci sono presi in considerazione non in quanto creditori per finanziamenti effettuati o tali per eventuali altre ragioni commerciali, ma per la loro qualità di soci, indipendentemente dal fatto che ad essi sia assicurata una qualche utilità dalla proposta concordataria. A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in Crisi e Insolvenza nel nuovo codice, a cura di S. Ambrosini, Bologna 2022, 1076. 
[5] 
Aspetto ben rimarcato da V. S. Ambrosio, Le proposte concorrenti dei soci, in Dir. Fall. 2023, I, 1024. 
[6] 
Le norme richiamate replicano, con la stessa terminologia, il meccanismo della legge fallimentare, in cui è centrale l’adunanza, alla quale, appunto, come dispone il primo comma dell’art. 175 L. fall., il commissario oralmente “illustra” la originaria relazione scritta, depositata in cancelleria e comunicata ai creditori, dipanando i dubbi e rispondendo ai rilievi da questi eventualmente svolti, nonchè “le proposte definitive del debitore e quelle eventualmente presentate dai creditori ai sensi dell’art. 163, comma quarto”. Replica incoerente nel nuovo sistema, ove, mancando l’adunanza, il commissario non legge nè illustra a voce la sua precedente relazione depositata 45 giorni prima della data iniziale fissata per il voto e trasmessa solo al P.M. e non ai creditori, ma comunica a costoro il contenuto della relazione già depositata, aggiornata con le eventuali novità propositive da parte del debitore stesso o dei creditori concorrenti. 
[7] 
La norma continua esponendo il contenuto delle osservazioni e contestazioni ripetendo ciò che i creditori e il debitore possono fare all’adunanza ai sensi dei commi 3 e 4 dell’art. 175 L. fall.; pertanto, “ciascun creditore può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o convenienti le proposte di concordato e sollevare contestazioni sui crediti concorrenti” e “il debitore ha facoltà di rispondere e contestare a sua volta i crediti, e ha il dovere di fornire al giudice gli opportuni chiarimenti. Il debitore, inoltre, può esporre le ragioni per le quali ritiene non ammissibili o non fattibili le eventuali proposte concorrenti”. 
[8] 
Non si affrontano, in questa sede le problematiche collegate a questo sistema, tipo la possibilità di un voto comunicato prima del tempo stabilito e quindi di formazione della volontà sulla base di una conoscenza dei dati appresa senza il sostegno relazionale del commissario o la possibilità di un tempo supplementare, successivo alla scadenza finale, entro cui i creditori possano ancora esprimersi; possibilità, a mio avviso entrambe da escludere. 
[9] 
Non è chiaro quando va preso tale provvedimento; si può individuare il termine iniziale in quello coincidente con la possibilità di presentare proposte concorrenti (30 giorni prima della data iniziale delle votazioni, art. 90, comma 1) ma non si sa quale sia quello finale.; nè è chiaro quando va comunicato ai creditori né chi debba provvedervi. 
[10] 
Su questo punto ogni ipotesi costruttiva è possibile; potrebbe, infatti, ritenersi nullo il voto perché fuori termine, ma potrebbe anche ammettersi che, essendo pervenuto nel termine ultimo fissato, il voto dovrebbe essere considerato valido, ove sia chiaramente riferibile ad una determinata proposta la volontà espressa. 
[11] 
Per la verità non è chiaro se l’impresa che non deve superare i requisiti di cui all’articolo 85, comma 3, secondo periodo, sia quella del debitore concordatario o quella del creditore che ha presentato la proposta concorrente, ma, sebbene anche quest’ultimo deve aver proposto un concordato in continuità essendo la fattispecie in esame riservata esclusivamente a questo tipo di concordati, la norma sembra orientata alla tutela del debitore, che, a seguito della modifica apportata dall’ultimo correttivo al secondo periodo del comma 3 dell’art. 85, non è più l’imprenditore minore- che non avrebbe potuto proporre un concordato ordinario- ma il piccolo medio imprenditore che il legislatore ha inteso proteggere dalle proposte concorrenti di terzi dandogli la possibilità di impedire che su questi si arrivi alla ristrutturazione trasversale. 
[12] 
Cass. sez, un. 28 giugno 2018, n. 17186, in Giur. comm. 2019, 2, II, 307; conf., Cass. 8 febbraio 2021, n. 2948.
[13] 
Così Cass10 febbraio 2011 n. 3274, in Fallimento 2011, 403, ma- spiegano le Sez. Un.- “perché sia configurabile un conflitto d'interessi di un soggetto, in quanto parte di una collettività è invero sufficiente il contrasto di un suo interesse individuale con l'interesse comune all'intera collettività, mentre non è necessario che quest'ultima costituisca un distinto soggetto o centro d'imputazione di situazioni giuridiche”, così come accade anche nelle società con personalità giuridica, ove l'interesse sociale rispetto al quale può porsi in conflitto l'interesse personale del socio “non è più da tempo considerato l'interesse della impresa in sé o l'interesse proprio della società come persona giuridica, secondo le note versioni dell'istituzionalismo, ma è qualificato nient'altro che l'interesse comune dei soci”.
[14] 
Conflitto di interessi e disparità di trattamento che si riproducono anche nel voto sulle proposte concorrenti presentate dai soci nella procedura concordataria promossa dalla società. Come in precedenza accennato, anche i soci, se rappresentano almeno il 10% del capitale sociale possono, a norma del comma 5 dell’art. 120-bis, presentare proposte concorrenti e, a loro volta, possono, a norma del comma 3 dell’art. 120 ter, “esprimere il voto in misura proporzionale alla quota di capitale posseduta anteriormente alla presentazione della domanda”, sicché, con lo stesso criterio sono legittimati al voto anche sulla proposta concorrente da essi presentata o da altri, sempre che siano stati inseriti in una classe, che per essi costituisce condizione indispensabile per esprimere il voto.
[15] 
In questa situazione sembra irrealistico dire che “Il pertinente ordito normativo di disciplina è, quindi, all'evidenza, strutturato nel porre in una posizione di sostanziale parità, quanto all'esercizio delle facoltà a ciò utili, sia l'imprenditore originariamente proponente il concordato, sia il soggetto legittimato all'inoltro di proposta concorrente e ciò perché, entrambi, propulsori di iniziative funzionali alla composizione della debitoria gravante sull'impresa, rimettendo, quindi, al ceto creditorio, all'atto del voto, le scelte finali relative al percorso da intraprendere, previa adeguata ed esaustiva informativa delle caratteristiche di ciascuno e delle pertinenti concrete finalità avute di mira”. (Trib. Roma 3 giugno 2020, in unijuris.it).
[16] 
Posto che si discute della ristrutturazione dei debiti della società debitrice che ha proposto la domanda di concordato- che, con le proposte concorrenti, altri creditori propongono di risolvere in modo diverso- le società collegate con quella iniziale vengono prese in considerazione per il credito che esse vantano verso costei e che il collegamento esistente impedisce di valorizzare con il voto, per cui esse non vantano un credito verso il o i creditori alternativi e, anche se lo vantassero, sarebbe del tutto indifferente, dato che non si discute del loro concordato.
[17] 
In tal senso G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fallimento 2015, 1163, che, con riferimento all’art. 177 L. fall., sottolinea questo aspetto proprio a prova della disparità di trattamento a carico del debitore che subisce l’esclusione dal voto anche di queste categorie di creditori.
[18] 
G. D’Attorre, Le proposte di concordato…. cit., 1176; L. Varotti, Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare (terza parte), in ilcaso.it.
[19] 
Non è vero che in questi casi il voto, per il fatto che incide allo stesso modo per tutte le proposte, perde significato perché gli effetti potrebbero essere diversi per ciascuna proposta dato che bisogna tener conto dei consensi raccolti dalle altre proposte. Ad esempio, ipotizzato che la proposta A abbia ricevuto consensi del 30% dei creditori e la proposta B del 45%, il voto favorevole del creditore che rappresenti il 7% del monte crediti permette alla sola proposta B di arrivare e superare il 51%, nel mentre, di contro, il dissenso dello stesso creditore per tutte le proposte non consente a nessuna delle due di raggiungere la maggioranza assoluta.
[20] 
Soluzione questa che ben si concilia (costituendone nel contempo una ulteriore conferma) con l’affermazione precedente della ammissibilità del voto favorevole del creditore su più di una proposta in quanto solo in tal caso si potranno avere più proposte che superino la maggioranza di legge. 
[21] 
Situazione che diventa paradossale nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione che ha come ragione fondante l’unanimità del consenso delle classi quale contrappeso alla libertà distributiva concessa al debitore, eppure l’art. 64 bis, comma 7, stabilisce che alle operazioni di voto si applica, tra gli altri, l’art. 109, comma 2, ove, essendo il richiamo ad uno specifico comma che regola la formazione delle maggioranze nelle proposte plurime, la salvezza della compatibilità non ha ragione di esistere perché tale comma o è compatibile, ed allora ha senso il richiamo, o non lo è ed allora non doveva essere richiamato. Peraltro tale richiamo è rimasto benché nel comma 9 dell’art. 64 bis sia stato espunto il richiamo dell’art. 90, che potrebbe interpretarsi quale intento del legislatore di limitare, in considerazione delle peculiarità del PRO, tale strumento all’utilizzo da parte del solo debitore, di modo che non possono essere ammesse proposte di piano presentate da terzi, per cui c’è da chiedersi se il richiamo all’art. 109, comma 2, sia un refuso o se, nonostante l’abolizione del richiamo dell’art. 90, sia ancora possibile ipotizzare plurime proposte di ristrutturazione soggette ad omologazione.
La risposta a questo quesito fuoriesce dai limiti del presente contributo. Qui è sufficiente sottolineare come, qualora si ammetta la possibilità di proposte concorrenti di PRO, sia che si tratti di più domande di PRO che di una domanda di concordato in continuità che si innesta sulla proposta presentata dal debitore, l’applicazione del sistema di votazione di cui al comma 2 dell’art. 109 diventa illogica. 
[22] 
L’unico modo che ha il debitore di evitare questo rischio è formulare una proposta di concordato che assicuri “il pagamento di almeno il trenta per cento dell'ammontare complessivo dei crediti chirografari” (percentuale ridotta la 20% nel caso in cui il debitore abbia utilmente avviato la composizione negoziata ai sensi dell'articolo 13), attestata da un professionista indipendente (art. 90, comma 5), che sono livelli non facili da raggiungere.
[23] 
Idea che fa capolino nella Relazione al D.Lgs. n. 136 del 2024 quando si afferma, a proposito della introduzione del comma 5-bis, che “La disposizione è inserita nel comma 109 in quanto puntualizza, tra le proposte approvate secondo le regole di maggioranza stabilite per le diverse proposte di concordato, quale viene considerata ai fini dell’omologazione”.
[24] 
Così, V. S. Ambrosio, Le proposte concorrenti…, cit., 1029-1030.
[25] 
Basti pensare che nel sistema di cui al comma 2, i creditori prelatizi votano soltanto per la parte di credito incapiente, per cui risultata prevalente con questo criterio una proposta in continuità, il giudice dovrebbe stabilire se quella proposta avrebbe avuto le maggioranze secondo le regole del comma 5, che ammette al voto i creditori prelatizi anche pe la parte capiente. 
[26] 
App. L’Aquila 2 aprile 2020, in Fallimento 2020, 1453, con nota di M. Ranieli, Dalla pluralità al concorso di proposte di concordato fallimentare: vizi procedimentali e rimedi. 

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