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(Imprenditore) Inadimplenti (ma ancora viable) est adimplendum?

Marina Spiotta, Associato di diritto commerciale e di diritto fallimentare nell’Università del Piemonte Orientale

12 Novembre 2021

Da una riconduzione “a sistema” dell’art. 10, comma 2, L. n. 147/2021 emerge che l’obbligo di rinegoziazione è meno eccentrico di quanto potrebbe sembrare, ma che della sua introduzione la giurisprudenza dovrà tener conto ai fini dell’esenzione da revocatoria. L’A., convinta dell’importanza dell’ausilio del test di risanabilità, s’interroga sull’opportunità di renderne pubblico l’esito anche al fine di contemperare i precetti sintetizzati nei brocardi pacta sunt servanda e rebus sic stantibus.
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1 . Premessa: il Leitmotiv della salvaguardia del going concern
In Italia con il tradizionale detto “ho famiglia” e ora anche “in nome della salvaguardia della continuità aziendale” (divenuto il nuovo adagio) “si giustificano o si spiegano tante cose”[1], tra cui:
a) lo stop all’autotutela contrattuale accordata dagli artt. 1186, 1460 e 1461 c.c., ma anche, per esempio, dal meccanismo di ritenzione della caparra confirmatoria consentito dall’art. 1385 c.c.;
b) la sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione del capitale sociale (artt. 2446-2447 e 2482 bis e ter c.c.) e della conseguente causa di scioglimento prevista dagli artt. 2484, n. 4, 2545 duodecies c.c., a prescindere dall’apertura di una vera e propria procedura concorsuale e, per queste ragioni, criticamente definita una misura “fai da te” o “autopoietica”[2];
c) la deroga alla regola della postergazione dei finanziamenti anomali sancita dall’art. 2467 c.c. e richiamata, in tema di gruppi, dall’art. 2497 quinquies c.c.;
d) la disapplicazione della responsabilità solidale del cessionario dell’azienda (commerciale) per i debiti risultanti dalla contabilità prevista dall’art. 2560, comma 2, c.c.;
e) la spinta (non troppo gentile) alla rinegoziazione dei contratti laddove le prestazioni siano divenute eccessivamente onerose, inedito dovere suscettibile di esecuzione giudiziale coattiva.
Sono tutte “misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale”, alcune già presenti nella legislazione e altre inedite, varate dal d.l. n. 118/2021, convertito, con modifiche, nella legge n. 147/2021.
Il riferimento – giova ricordarlo per comodità del Lettore - è, rispettivamente alle seguenti disposizioni, fresche di stampa:
a) art. 6, comma 5: “I creditori interessati” (ossia concretamente colpiti) “dalle misure protettive” (e come tali legittimati a chiederne la revoca, nel contraddittorio che si aprirà davanti al giudice, ai sensi dell’art. 7) “non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza” di applicazione di dette misure avanzata dall’imprenditore con la richiesta di nomina dell’esperto o con dichiarazione successivamente presentata tramite la piattaforma telematica;
b) art. 8: con le stesse modalità di cui sopra, ma con obbligatoria pubblicazione dell’istanza/dichiarazione nel registro delle imprese[3], l’imprenditore può ottenere che, “sino alla conclusione delle trattative” (e quindi per un massimo di  180 giorni, prorogabili per un uguale periodo) “o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata”, non si applichino nei suoi confronti le norme sulla riduzione del capitale sociale per perdite;
c) art. 10, comma 1, lett. b) e c): il tribunale, “verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori”, può autorizzare l’imprenditore o una o più società del gruppo a contrarre finanziamenti-soci prededucibili; 
d) art. 10, comma 1, lett. d): il tribunale - previa verifica dei due presupposti che precedono - può altresì autorizzare l’imprenditore a trasferire l’azienda o uno o più rami della stessa senza l’accollo cumulativo dei debiti da parte del cessionario, ma “dettando le misure ritenute opportune, tenuto conto delle istanze delle parti interessate, al fine di tutelare gli interessi coinvolti” e ferma restando l’applicazione dell’art. 2112 c.c. a tutela dei lavoratori[4];
e) art. 10, comma 2, rimasto invariato, al quale sono dedicate le riflessioni che seguono. 
Verrebbe da chiedersi, parafrasando il titolo di un commento all’art. 182 septies l. fall.[5], fino a che punto la legge (nella specie il d.l. n. 118/2021) possa derogare a se stessa?
Il limite intangibile dovrebbe essere il rispetto di principi sovraordinati, quali la solidarietà (art. 2 Cost.), la coerenza dell’ordinamento e l’uguaglianza (art. 3 Cost.) perché altrimenti si rischierebbe di creare un effetto domino dal quale si potrebbe uscirne sempre e solo costringendo il contraente inizialmente in bonis (magari messo in crisi dalla rinegoziazione ope giudicis) che sia, a sua volta, imprenditore, a ricorrere alla composizione negoziata della crisi e, attraverso tale percorso, costringere altri a subire la rinegoziazione.
Scopo di questo breve contributo è soffermarsi sull’introduzione della norma che - prima facie e per stessa ammissione della Presidente e di un autorevole membro della c.d. Commissione Pagni – potrebbe apparire più eversiva e “pericolosa”[6] al fine di ricondurla a sistema, senza addentrarsi nei temi di politica legislativa, economica e sociale che richiederebbero ben altro approfondimento.
1.1 . Segue: da mito a realtà
Giova premettere che anche il filo rosso sotteso a tutto il d.lgs. n. 14/2019 (e alla Direttiva Insolvency 1023/2019[7]) è il favor per le soluzioni volte a salvaguardare la continuità aziendale, ma il d.l. n. 118 ne assicura una “tutela reale” (e non solo “programmatica”) e il Decreto dirigenziale del 28 settembre 2021 lo riempie di contenuto. 
Il “cambio di passo” e anzi “di cultura” emerge dal raffronto tra l’art. 4, comma 5, del d.l. n. 118 e l’art. 4, comma 2, lett. b), c.c.i.i.[8]: 
-la prima norma attribuisce all’imprenditore il dovere di “gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori”, aggettivazione che evoca quella utilizzata dall’art. 2043 c.c. e che, se letta a contrario, sembra sottintendere la possibilità di sacrificarli per la sopravvivenza delle imprese ancora viable;
-la seconda annovera tra i propri princìpi generali il dovere del debitore di “assumere tempestivamente le iniziative idonee alla rapida definizione della procedura, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori”.
E ancora: mentre ai sensi dell’art. 4, comma 2, lett. c), c.c.i.i. il debitore ha il dovere di “gestire il patrimonio o l’impresa […] nell’interesse prioritario dei creditori”, in base all’art. 9 del d.l. n. 118 l’imprenditore “in stato di crisi” gestisce l’impresa “in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività” (regola di corretta gestione, societaria e imprenditoriale, che dovrebbe valere anche per le imprese in bonis) e, solo indirettamente, ai diritti dei creditori. Soltanto quando, nel corso della composizione negoziata, “risulta che l’imprenditore è insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento, lo stesso gestisce l’impresa nel prevalente interesse dei creditori”[9]. 
Emblematico anche l’incipit dell’art. 10, comma 1, che subordina il rilascio all’imprenditore delle autorizzazioni a compiere gli atti derogatori sopra schematizzati alla verifica della loro “funzionalità rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori”, presupposto non ripetuto dal comma 2, giacché si dà per scontato che la rinegoziazione (sottinteso, in melius) delle condizioni di un contratto non possa che avvantaggiare tutti i creditori, eccetto il contraente, direttamente interessato dalle modifiche in pejus
Si potrebbe sinteticamente dire che l’esigenza di salvaguardare la continuità aziendale e, più in generale, di prevenire la crisi passa dall’essere un “mito” più decantato che realmente perseguito dal d.lgs. n. 14/2019 (anche a causa dell’elevata soglia d’indebitamento che avrebbe dovuto far scattare l’allerta esterna disciplinata dall’art. 15 c.c.i.i.) a un obiettivo concretamente raggiungibile mettendo l’imprenditore nella condizione di poter davvero presentare un’istanza tempestiva di risoluzione della probabilità della crisi (e non della sola insolvenza), così rafforzando quegli obblighi organizzativi sanciti dal capoverso dell’art. 2086 c.c., in vigore da metà marzo 2019, che costituiscono l’altro pilastro dell’allerta (arg. desunto dall’art. 12 c.c.i.i.).
Fatta questa breve premessa, ci si soffermerà su una novità normativa che, a prescindere dai contrastanti giudizi che susciterà, ha l’indiscusso merito di affrontare il tema, divenuto di estrema attualità a seguito della pandemia, delle sopravvenienze nella fase esecutiva dei c.d. contratti di durata[10].
2 . Gli stringenti presupposti dell’obbligo di rinegoziazione previsto dall’art. 10 d.l. 118/2021
Dopo tanto parlare (nei Convegni/Webinar) e scrivere[11] sull’inadeguatezza della tutela demolitoria/caducatoria assicurata dal vigente codice civile e i ristretti spazi per un intervento giudiziale ripristinatorio dell’iniziale equilibrio contrattuale[12], nonché sull’insufficienza delle misure emergenziali varate in subiecta materia dalla legislazione anti-Covid[13], per la prima volta, anche nel nostro ordinamento giuridico[14], viene codificato il dovere (non solo morale) di rinegoziazione che assurge a vera obbligazione di risultato (e non di mezzi), in quanto se la trattativa avesse esito infruttuoso potrebbe intervenire il Giudice, attenuando così le differenze rispetto all’art. 2932 c.c.[15].
Il Legislatore cerca di conciliare il rispetto dei due antitetici principi racchiusi nei noti brocardi “pacta sunt servanda” e “rebus sic stantibus”[16] e di arginare un intervento giudiziale nelle forme della tutela cautelare ex art. 700 c.p.c. attribuendo concretezza e dinamicità ai principi generali di correttezza e buona fede nella stipulazione, interpretazione ed esecuzione del contratto sanciti, rispettivamente, dagli artt. 1175, 1366 e 1375 c.c. e presidiati dallo strumento della responsabilità precontrattuale e contrattuale[17]. 
Sarebbe errato considerare il capoverso dell’art. 10 del d.l. n. 118 (convertito, senza modifiche in parte qua, dalla l. n. 147/2021) una norma di portata generale, collocabile idealmente nel Titolo II, Libro IV, del Codice civile, intitolato “Dei contratti in generale”. 
Si tratta di una norma settoriale ed emergenziale che circoscrive (nei presupposti, nel tempo e nelle finalità) l’intromissione dell’autorità giudiziaria nel regno dell’autonomia privata, stante la (condivisibile) preoccupazione della “Commissione Pagni” di non scardinare alcuni dogmi del diritto dei contratti legittimando la pronuncia di una sentenza emblematicamente definita “costitutiva rinegoziante”[18] e non “non a rime obbligate”[19].
I presupposti sono alquanto stringenti:
a) deve trattarsi di contratti di durata, rectius “ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita” che, presupponendo una certa organizzazione, sono quelli in cui uno dei paciscenti è un imprenditore;
b) occorre che la prestazione sia “divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2” e non per altri motivi e neppure per altre pandemie;
c) la rideterminazione giudiziale del contenuto sembra possa avvenire solo a favore dell’imprenditore che abbia intrapreso il percorso della composizione negoziata della crisi e non della controparte, la cui prestazione potrebbe parimenti essere divenuta eccessivamente onerosa;
d) il tribunale deve valutare se la rideterminazione delle condizioni contrattuali sia “indispensabile ad assicurare la continuità aziendale” e tener conto “delle ragioni dell’altro contraente” che, a sua volta, potrebbe essere un imprenditore; 
e) il contenuto contrattuale non sarà novativo (e, quindi, in caso d’inadempimento, dovrebbe essere consentito agire per la risoluzione[20]), ma varrà solo “per il periodo strettamente necessario” a recuperare il going concern, con conseguente reviviscenza delle pattuizioni originarie dopo il recupero dell’equilibrio patrimoniale-economico-finanziario (nulla si dice per l’ipotesi speculare in cui l’obiettivo diventi impossibile[21] o nel caso in cui la crisi del settore sia strutturale e quindi non risolvibile in tempi brevi);
f) non è espressamente contemplata la possibilità di rinegoziare più volte lo stesso contratto, alla luce dell’andamento della curva epidemiologica e del raggiungimento di certi obiettivi intermedi;
g) è previsto un correttivo giacché, “se accoglie la domanda, il tribunale assicura l’equilibrio tra le prestazioni anche” (e, quindi, non solo) “stabilendo la corresponsione di un indennizzo” (non già il risarcimento di un “giusto” danno) che (per definizione) non potrà essere integralmente satisfattivo e dovrà essere pagato con modalità tali da non pregiudicare il recupero della continuità aziendale perché altrimenti si tornerebbe al punto di partenza;
h) la rinegoziazione giudiziale forzosa può avvenire solo in caso di esito infausto di quella volontaria tentata nel contesto, più ampio, di una composizione negoziata della crisi (e non a prescindere dall’apertura di questo nuovo percorso introdotto dal d.l. n. 118);
i) il procedimento incidentale, camerale, monocratico e di natura contenziosa (in cui occorre la difesa tecnica), si svolge davanti al tribunale fallimentare (art. 9 l. fall.) che, previa audizione delle “parti interessate”[22], emette un provvedimento impugnabile davanti al tribunale in composizione collegiale[23], ma, probabilmente, incidendo su diritti soggettivi, anche tramite il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. 
Se le parole hanno un senso (a fortiori nel linguaggio giuridico che è, o dovrebbe essere, un linguaggio tecnico) sarebbe dunque errato attribuire all’art. 10 del d.l. n. 118 una portata generale.
2.2 . Segue: e declinato dall’art. 11 del Decreto dirigenziale del 28.9.2021
La distonia semantica tra la fonte normativa primaria (l’art. 10 del d.l. n. 118) e quella regolamentare (art. 11 del decreto direttoriale), che considerano la rinegoziazione una misura rispettivamente, “indispensabile” e “opportuna” ad/per “assicurare la continuità aziendale” e (nel caso dell’art. 11) “agevolare il risanamento dell’impresa” è stata convincentemente ricomposta “in diretta” (durante uno dei tanti Webinar dedicati a queste ultime novità normative) da un membro della Commissione[24] mettendo in risalto che mentre l’esperto può soltanto “invitare le parti” alla rinegoziazione secondo buona fede, il tribunale può invece disporre coattivamente la riconduzione delle prestazioni ad equità. Questa diversa graduazione dei poteri pare, in effetti, sufficiente a giustificare la scelta di aggettivi molto diversi tra loro: un invito può essere formulato anche solo per ragioni di opportunità, mentre una coartazione della libertà contrattuale deve essere maggiormente ponderata e richiede un presupposto più stringente.
Il decreto dirigenziale ha cura di declinare in concreto quest’attività di rinegoziazione, precisando che l’esperto, oltre a convocare uno o più incontri nei quali le parti possano confrontarsi e discutere le diverse proposte messe sul tavolo (per la cui formulazione l’Allegato 1 offre preziose indicazioni operative, frutto dell’esperienza maturata sul campo), deve richiedere, fin dall’inizio, il loro consenso affinché, in caso d’insuccesso della rinegoziazione, “acconsentono a che l’esito delle trattative e le motivazione del mancato accoglimento delle proposte vengano riferiti al tribunale” (una sorta di rinuncia, qualora le opzioni fossero formalizzate per iscritto, all’apposizione della classica clausola “riservata personale, non producibile in giudizio”).
La ratio è evidente: fare in modo che il tempo e le energie spese nel tentativo di trovare una soluzione satisfattiva per entrambi i contraenti agevolino il delicato compito dell’autorità giudiziaria. 
Ciò è reso palese dalla circostanza che il parere che l’esperto deve rendere al tribunale investito dall’imprenditore della domanda di rinegoziazione deve contenere:
-“come elementi minimi”: “indicazioni sul fatto che la misura richiesta nel ricorso dell’imprenditore consenta effettivamente di assicurare la continuità aziendale” e “sul tempo minimo necessario perché questo avvenga”;
-in caso di rinuncia alla riservatezza delle trattative informali: anche indicazioni circa le cause dell’esito infausto delle trattative, “se ciò sia utile al fine della valutazione del tribunale sulla richiesta dell’imprenditore” ed eventualmente sulle ragioni dei soggetti incisi dal provvedimento.
Dal combinato disposto delle norme sopra ricordate si evince l’importante ruolo che riveste l’esperto[25], che, nell’assolvere la sua funzione consultiva, sarà coadiuvato dall’esito del test di risanabilità (compilato dall’imprenditore da solo o con il suo ausilio), mentre il tribunale, data la delicatezza della pronuncia (che, indirettamente, investe anche la tenuta del piano di risanamento), potrà nominare un ausiliario ex art. 68 c.p.c.
3 . Un rapido raffronto con l’art. 7 della Direttiva Insolvency
Il blocco dell’autotutela contrattuale e l’indiretto incentivo a risedersi al tavolo delle trattative che traspare dal d.l. n. 118 pare (a chi scrive) perfettamente allineato all’art. 7, comma 4, della Direttiva Insolvency, ai sensi del quale “Gli Stati membri prevedono norme che impediscono ai creditori cui si applica la sospensione” (delle azioni esecutive individuali) “di rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti essenziali, o di risolverli, anticiparne la scadenza o modificarli in altro modo a danno del debitore, in relazione ai debiti sorti prima della sospensione, per la sola ragione di non essere stati pagati dal debitore”. 
La norma specifica che “i contratti pendenti essenziali devono essere intesi come i contratti pendenti necessari per la continuazione della gestione corrente dell’impresa, inclusi i contratti relativi alle forniture la cui interruzione comporterebbe la paralisi dell’attività del debitore”. 
Viene dunque fornita una definizione che dovrebbe rendere più agevole il compito del giudice.
4 . Il contesto sistematico
Prima facie si potrebbe essere indotti ad aggiungere i sopra citati artt. 6 e 10 del d.l. n. 118/2021 a quello che potremmo definire lo “statuto contrattuale dell’imprenditore”, ossia alle disposizioni che presuppongono che uno dei contraenti sia un imprenditore.
Il riferimento è innanzitutto agli artt. 1368, comma 2, e 1370 c.c., dettati in tema d’interpretazione, ma anche ad altre norme che prevedono deroghe alle regole codicistiche generali e che potrebbero essere accomunate dall’obiettivo (inespresso, ma tangibile) di salvaguardare il going concern. Si pensi agli artt. 1330, 1674 e 1722, n. 4, c.c., dai quali si evince che la “parola data” sopravvive alla persona dell’imprenditore e all’art. 2558 c.c. che, in deroga al diritto comune, sancisce l’irrilevanza delle vicende soggettive del titolare dell’azienda. Del resto, i caratteri qualificanti i contratti di impresa sono essenzialmente due: 
i) l’insensibilità alle vicende personali dell’imprenditore (per esempio morte, interdizione);
ii) il trasferimento automatico del contratto in capo a colui che subentra all’imprenditore nell’esercizio dell’attività, come avviene con il trasferimento, anche temporaneo, dell’azienda. 
Ma nel codice civile si possono individuare altre norme tra le cui righe si potrebbe leggere una tutela della continuità aziendale. 
Emblematico l’art. 1564 c.c. che, in deroga all’art. 1455 c.c., subordina la possibilità di ottenere la risoluzione del contratto di somministrazione alla duplice prova della notevole importanza (anziché non scarsa importanza) dell’inadempimento e della menomazione della fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti. Il superamento o meno di questa sorta di “test di affidabilità” rappresenta dunque l’equo contemperamento tra l’esigenza di conservazione del contratto (art. 1367 c.c.) e quella di preservazione dell’impresa. 
Identica ratio può scorgersi dietro il successivo art. 1565 c.c. che, sempre derogando alla disciplina di diritto comune dettata dall’art. 1460 c.c., stabilisce che se l’inadempimento del somministrato è di “lieve entità”, il somministrante non può sospendere l’esecuzione del contratto senza darne “congruo preavviso”, verosimilmente proprio per dargli il tempo di riorganizzarsi e trovare un altro fornitore. 
Anche in tema di appalto, altro tipico contratto di impresa, l’art. 1664 c.c., per bilanciare le due opposte esigenze cui si è fatto cenno, consente di rivedere il corrispettivo durante l’esecuzione dell’opera, sostituendo, per le ipotesi ivi contemplate, il rimedio generale della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.). Una norma analoga è dettata dall’art. 1623 c.c. in tema di affitto. 
Un piccolo spazio di rinegoziazione e un certo margine di tolleranza, a ben vedere, era quindi già contemplato dal codice civile[26]. Il d.l. n. 118 ha il merito di aver allargato detto spazio e incentivato la rinegoziazione volontaria, così superando il carattere eccezionale (e, quindi, di stretta interpretazione) delle norme sopra ricordate.
Il capoverso dell’art. 10, di per sé, non appare quindi eccentrico, né stravagante. 
Il “pericolo” (se così vogliamo chiamarlo) potrebbe semmai scaturire dal combinato disposto degli artt. 6, comma 5, 10, comma 2, e 12, comma 2, del d.l. n. 118 dal quale si evince che, per esempio i fornitori, non potranno sollevare (per il passato) l’eccezione inadimplenti non est adimplendum; dovranno (per il futuro) sottostare alle nuove condizioni contrattuali rideterminate equamente dal Giudice e qualora il risanamento non dovesse comunque andare a buon fine e l’impresa fosse assoggettata a fallimento (rectius, liquidazione giudiziale) potrebbero rischiare la revocatoria giacché l’esonero dalla relativa azione degli atti, pagamenti e garanzie “posti in essere dall’imprenditore nel periodo successivo alla accettazione dell’incarico da parte dell’esperto” è subordinato al fatto che gli stessi risultino “coerenti” (ex ante, ma con il rischio di una valutazione giudiziale ex post) “con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti”. 
A differenza di quanto prevede l’art. 166, comma 3, lett. d), c.c.i.i, nessun rilievo è attribuito allo stato soggettivo del terzo contraente, ossia alla circostanza che lo stesso fosse o meno consapevole dell’incoerenza dell’atto/pagamento/garanzia rispetto all’obiettivo di recuperare al continuità aziendale. 
Come risolvere questo nuovo “dilemma del prigioniero”? 
5 . Una proposta de jure condito
Per recuperare la coerenza del sistema, sarebbe auspicabile un revirement dell’orientamento giurisprudenziale – contraddittorio con il tenore della già ricordata Relazione tematica dell’Ufficio del massimario n. 56 – che interpreta in modo rigoroso l’esenzione dalla revocatoria concorsuale prevista dall’art. 67, comma 3, lett. a), l. fall. (riproposta nella corrispondente lettera dell’art. 166 c.c.i.i.)[27] e deduce la scientia decoctionis dalla stessa disponibilità a rinegoziare[28] o dall’esposizione in bilancio di perdite che erodono il capitale sociale[29].
Come si è avuto modo di osservare in altra sede (prima di conoscere il testo del d.l. n. 118)[30], sarebbe paradossale costringere il contraente in bonis ad accettare, per esempio, un pagamento dilazionato e poi, qualora il tentativo di risanamento non dovesse andare a buon fine e l’impresa essere sottoposta a fallimento/liquidazione giudiziale, costringerlo a restituire quanto incassato adducendo il mancato rispetto dei “termini d’uso” intesi come quelli divenuti consuetudinari prima dei pagamenti per cui si agisce in revocatoria. 
Se (il condizionale è d’obbligo) l’attuale art. 10 del d.l. n. 118 verrà inserita all’interno del Titolo II del d.l.gs. n 14/2019 sarà dunque importante un raccordo tra la norma sulla rinegoziazione e l’esenzione da revocatoria dei pagamenti, considerando “termini d’uso” anche quelli (ri)concordati (da poco tempo) per aiutare l’imprenditore in difficoltà.
5.1 . Segue: e qualche spunto de jure condendo
De jure condendo, si potrebbe forse trovare un equo contemperamento tra i brocardi pacta sunt servanda e rebus sic stantibus individuando come ago della bilancia l’esito del test di risanabilità.
Se il responso è positivo paiono più che giustificate le deroghe alle norme ordinarie previste dal d.l. n. 118, ossia la compressione dei rimedi di autotutela contrattuale, l’incentivo alla rinegoziazione volontaria (anche per evitare quella giudiziaria o di dover accettare obtorto collo, senza aver voce in capitolo, la proposta avanzata dall’imprenditore in sede di concordato semplificato) e l’esonero da revocatoria.
Se, viceversa, il risultato del test pratico fosse negativo, i mezzi di autotutela previsti dagli artt. 1186, 1460 e 1461 c.c. dovrebbero poter essere applicati “in anticipo” rispetto alla loro formulazione testuale.
La giurisprudenza ha già chiarito che l’insolvenza, comportante la decadenza dal beneficio del termine, non s’identifica con una situazione di definitivo ed irreversibile dissesto, bensì con un mero squilibrio nella capacità del debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni e ha consentito di sollevare l’eccezione inadimplenti non est adimplendum anche in presenza di una crisi anteriore alla nascita del rapporto, ma ignorata incolpevolmente dal contraente tenuto ad adempiere per primo. Nella stessa ottica si potrebbe considerare condizione tale da “porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione” non solo la classica manovra del debitore che si renda “nullatenente”, ma anche la situazione dell’imprenditore (o del lavoratore o professionista) che non riesca più a garantire certi flussi di redditività[31]. 
È vero che una simile impostazione sarebbe in controtendenza rispetto all’esigenza di riservatezza poiché presupporrebbe la pubblicità (aggiornando le indicazioni prescritte dall’art. 2250 c.c.[32]) del risultato di un test di solvibilità (anziché di mera risanabilità), la cui effettuazione periodica assurgerebbe a condizione per l’esercizio dell’impresa (da inserire nell’art. 2084 c.c.).
Tuttavia, se ben si riflette, detta pubblicità non dovrebbe portare ad un’eterogenesi dei fini creando una sorta di “cordone sanitario” attorno all’impresa: anzi, qualora l’esito del test fosse positivo (e l’esperto, appositamente interpellato, confermasse la coerenza dell’atto rispetto all’obiettivo del risanamento), il terzo contraente dovrebbe essere più tranquillo di poter poi beneficiare dell’esonero da revocatoria. 
In sintesi, delle due l’una: se (come chi scrive) si crede nell’affidabilità del test congegnato dal Decreto dirigenziale, il rischio c.d. di falsi positivi dovrebbe essere minimo e un’attivazione tempestiva degli strumenti di autotutela contrattale potrebbe essere considerata una forma di allerta esterna che, a differenza di quella codificata dall’art. 15 c.c.i.i., coinvolgerebbe tutti creditori e sarebbe tempestiva. 
In fondo, il dovere dell’imprenditore, “che operi in forma societaria o collettiva, di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile” (e forse anche finanziario[33]) “adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale” sancito dal capoverso dell’art. 2086 c.c. è in vigore da metà marzo 2019 e solo per la sua diversa collocazione topografica non lo è ancora (formalmente) il corrispondente dovere dell’imprenditore individuale di adottare corrispondenti misure idonee allo scopo sancito dall’art. 3 c.c.i.i.
Il menzionato Decreto dirigenziale ha finalmente “riempito di contenuto”[34] detti doveri predisponendo la check-list dalla quale si evince chiaramente l’indispensabilità di un piano di tesoreria a sei mesi “o, in difetto, di un prospetto delle stime delle entrate e delle uscite finanziare almeno a 13 settimane, il cui scostamento con l’andamento corrente dovrà essere valutato a consuntivo” (v. Sezione II, § 1.5.). 
Perché non aggiornare la “carta intestata” delle società ed estendere a tutte le imprese, anche individuali, l’obbligatoria indicazione del risultato di un test di solvibilità che ormai, non solo le norme di soft law e le best practices, ma lo stesso Legislatore (sia pure a livello di decreto dirigenziale e nella variante del test di risanabilità) ha messo a disposizione delle imprese?
Se nel registro delle imprese si dovrà (comprensibilmente) iscrivere la dichiarazione dell’imprenditore di volersi avvalere della sospensione degli obblighi in tema di ricapitalizzazione e il dissenso dell’esperto rispetto al compimento di atti di straordinaria amministrazione potenzialmente pregiudizievoli per gli interessi dei creditori (art. 9, comma 4)[35], perché non mettere questi ultimi direttamente in condizione di conoscere il risultato del test di risanabilità o l’esito di verifiche condotte con i più comuni indici sullo stato di salute dell’impresa (tra i quali quelli che misurano il rapporto tra capitale proprio e indebitamento o tra la progressione dell’indebitamento complessivo e dei ricavi)?
6 . En attendant di successivi interventi normativi
Come noto, già nel 2019 era stato presentato un D.D.L. di delega al Governo per la revisione del codice civile che detta, tra i criteri direttivi, anche la necessità di “prevedere il diritto delle parti di contratti divenuti eccessivamente onerosi per cause eccezionali e imprevedibili di pretendere la loro rinegoziazione secondo buona fede o, in caso di mancato accordo, di chiedere in giudizio l’adeguamento delle condizioni contrattuali in modo che sia ripristinata la proporzione tra le prestazioni originariamente convenuta dalle parti” [v. l’art. 1, lett. i), del DDL S.1151][36]. La norma che vi darà attuazione dovrebbe riguardare tutti i contratti (e non solo quelli di durata), a prescindere dalla causa del sopravvenuto squilibrio e non essere temporalmente e finalisticamente limitata al recupero del going concern da parte dell’imprenditore che abbia chiesto la composizione negoziata della crisi. 
Anche in base al progetto del c.d. “Codice europeo dei contratti”, redatto dall’Accademia dei Giusprivatisti Europei di Pavia[37], al verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili “che abbiano reso eccessivamente gravosa l’esecuzione” (art. 97, comma 1), la parte che intende avvalersi della facoltà di ottenere la rinegoziazione del contratto (prevista dall’art. 157) deve indirizzare alla controparte una dichiarazione che contenga le necessarie indicazioni e inoltre precisi - a pena di nullità della richiesta – “quali diverse condizioni ella propone per mantenere in vita il contratto stesso”.
L’Associazione civilisti italiani ha invece suggerito l’introduzione, nel codice civile, di un art. 1468 bis sulla rinegoziazione delle obbligazioni contrattuali preesistenti[38]. 
Vedremo quale sarà l’esito, ancora incerto, di questi progetti e se un giorno, a prescindere da apposite pattuizioni contrattuali (c.d. hardship clauses), la tutela del going concern potrà assurgere a “causa” dell’obbligazione ex lege di rinegoziazione, con conseguente configurabilità di un’obbligazione risarcitoria in caso di rifiuto ingiustificato.
“In questo caso non abbiamo il conforto della Direttiva a guidarci”, ma parte della dottrina è convinta “che i tempi siano maturi per un’innovazione coraggiosa ed equilibrata in questa direzione”, ossia verso un primato della continuità aziendale dell’impresa risanabile[39]. 
Le implicazioni sistematiche non sarebbero né poche né trascurabili, giacché permettere al giudice di riscrivere il contratto “non sarebbe diverso da consentirgli di riscrivere la delibera assembleare nell’ipotesi dell’art. 2378, comma 4, c.c.”[40] o di cambiare segno (da negativo a positivo) alla delibera, scardinando, almeno in parte, la Business Judgment Rule.
6.1 . Carpe diem (id est, la composizione negoziata)
In uno dei tanti instant boox pubblicato durante il primo lockdown ci si era chiesti se non fosse giunto il momento di parlare della continuità aziendale come scopo (o valore)-fine anziché come scopo-mezzo[41]. 
Il d.l. n. 118 pare buttare il cuore al di là dell’ostacolo e cambiare la scala valoriale, misurando i risultati dei percorsi/procedure in termini non solo di migliore (e non massima) soddisfazione dei creditori, ma anche di efficienza allocativa[42]. 
“Si assiste, in questo modo, al riconoscimento normativo espresso di quel principio di responsabilità sociale dell’impresa” (oggi anche “responsabilità sociale dei contraenti”) “che probabilmente era già possibile enucleare in via interpretativa nel sistema concorsuale”[43] (ed estrapolare dalle norme del codice civile) “e che trova oggi emersione sul piano testuale nella composizione negoziata”[44]. 
Riallacciandoci all’incipit di questo saggio e rispondendo alla domanda che Oppo aveva sollevato a proposito del contemperamento tra ragioni dell’impresa e ragioni della famiglia[45] - pare forse giunto il momento di riconoscere che “nell’esercizio di attività economiche il soggetto che” deve salvaguardare il going concern vede “in qualche misura modificate, per riguardo alla tutela dell’interesse e della solidarietà” con tutti gli stakeholders “le regole generali che presiedono alla disciplina delle iniziative economiche e che governano i diversi interessi in esse coinvolti”. 
Piaccia o no, i Giudici – soggetti alla legge – devono prenderne atto, ma – come ha ben spiegato la Presidente della Commissione in uno dei tanti Webinar sulla miniriforma di quest’estate[46] – l’auspicio è che l’intervento dell’autorità giudiziaria, in una materia strutturalmente complessa come quella dei contratti di impresa[47], sia residuale e che un giorno (si spera non troppo lontano) se ne possa fare a meno in quanto le parti, assistite dai loro professionisti di fiducia e con il solo ausilio dell’esperto-facilitatore, saranno in grado di comportarsi secondo correttezza e buona fede e, quindi di sfruttare l’opportunità della composizione (non a caso definita) negoziata della crisi anche attraverso la rinegoziazione volontaria dei contratti.
Poiché manca poco al 15 novembre 2021 (data di entrata in vigore delle nuove norme), non reta che attendere la prova dei fatti.

Note:

[1] 
Il virgolettato è tratto da G. Oppo, Iniziativa economica e rapporti familiari, in ID., Persona e famiglia. Scritti giuridici, V, Padova, 1992, 460.
[2] 
Così P. Liccardo, Neoliberismo concorsuale e le svalutazioni competitive: il mercato delle regole, in www.giustiziainsieme.it, 7 settembre 2021, a cui avviso “la nuova regola sarà dunque ‘ricapitalizza o liquida o rinegozia’, cosicché l’impresa in crisi si rinsalda e consolida nei propri assets non per nuovo capitale di rischio ma per il capitale indirettamente versato dal ceto creditorio nella negoziazione”.
[3] 
Inciso aggiunto in sede di conversione del d.l. n. 118.
[4] 
Per un attento commento si rinvia a G. D’Attorre, Il trasferimento dell’azienda nella composizione negoziata, in www.dirittodellacrisi.it, 5 novembre 2021.
[5] 
N. Nisivoccia, Il nuovo art. 182 septies l. fall.: quando e fin dove la legge può derogare a se stessa?, in Fallimento, 2015, 1184.
[6] 
Così I. Pagni e M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in www.dirittodellacrisi.it, 2 novembre 2021, 24.
[7] 
Per brevità, sia consentito rinviare a M. Spiotta, La continuità aziendale: una nuova “stella polare” per il legislatore, in UE e disciplina dell’insolvenza, a cura di L. Boggio, in Giur. it., 2018, 265 ss.
[8] 
Il raffronto sinottico è tratto da V. Minervini, La “composizione negoziata” nella prospettiva del recepimento della direttiva “Insolvency”. Prime riflessioni, in www.ilcaso.it, 17 ottobre 2021, 17.
[9] 
Questa distinzione tra crisi e insolvenza e la sua ripercussione sull’ampiezza dei poteri gestori dell’impresa in pendenza di trattative è stata introdotta dalla legge di conversione n. 147/2021.
[10] 
Per un excursus storico v. E. Gabrielli, I contratti di durata, il diritto italiano e il nuovo codice argentino, in Giust. civ., 2018, 268 ss.
[11] 
Dopo la pandemia, all’argomento, divenuto di estrema attualità, sono stati dedicati interi fascicoli supplementari delle Riviste specializzate, ma v. già la monografia di F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione dei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, passim. Al fine di evitare un lungo e necessariamente incompleto elenco di citazioni, ci si limita a rinviare, per brevità, ai contributi di I. Pagni, Crisi d’impresa e crisi del contratto al tempo dell’emergenza sanitaria, tra autonomia negoziale e intervento del giudice, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2021, n. 2, 349 ss.; V. Di Cataldo, Pandemia, imprese e contratti di durata, in Rivista ODC, 2020, n. 3, 689 ss.; S. Leuzzi, Sopravvenienze perturbative e rinegoziazione dei contratti d’impresa, in www.dirittodellacrisi.it, 4 giugno 2021. I contributi sono raccolti anche nel volume collettaneo Le crisi d’impresa e del consumatore. Liber amicorum A. Jorio, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2021.
[12] 
Si pensi agli artt. 1467, comma 3 e 1468 c.c., ma anche alle ipotesi di riduzione della clausola penale (art. 1384 c.c.) e di nullità della caparra confirmatoria di ammontare eccessivo (vizio configurato dalle ordinanze della Consulta n. 248 del 2013 e n. 77 del 2014, per contrasto della clausola con il precetto dell’art. 2 Cost. che “entra direttamente nel contratto in combinato contesto con il canone della buona fede”).
[13] 
Il riferimento è non tanto all’art. 91 del d.l. n. 18/2020 (c.d. Decreto Cura Italia), convertito nella l. n. 27/2020, che ha introdotto un’ipotesi di esclusione della responsabilità del debitore impossibilitato ad adempiere a causa delle misure di contenimento del virus), ma soprattutto all’art. 6-novies del d.l. n. 41/2021 (c.d. Decreto Sostegni), convertito dalla l. n. 69/2021, che ha introdotto il c.d. “percorso per la ricontrattazione delle locazioni commerciali”. Sull’argomento v. ex multis V. Cuffaro, Rinegoziare, ricontrattare: rideterminare il canone? Una soluzione inadeguata, in Corr. giur., 2021, 954 ss.
[14] 
Altri ordinamenti hanno già previsto una specifica regolazione per le sopravvenienze: v. ad esempio per quello tedesco v. il par. 313 BGB e per quello francese l’art. 1195 Code civil. Cfr. E. Carbone, Una novella per l’art. 1467 cod. civ. (appunti dal modello rimediale francese), in NGCC, 2021, n. 2, 460 ss. Per altri riferimenti comparatistici si rinvia per brevità a S. Monti, Il Covid-19 e il revival dell’obbligo di rinegoziazione, in Danno e resp., 2020, 587 ss. Inoltre, nel diritto internazionale dei contratti esistono diversi testi normativi che contemplano la “hardship clause” che, ove richiamata dai contraenti quale legge materiale applicabile al contratto, potrà essere utilmente invocata in tutti i casi in cui si verifichino eventi “avversi”. Basti qui ricordare i Principi Unidroit (UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts del 2016 – art. 6.2.2 e 6.2.3) e la Convenzione sulla vendita internazionale di beni mobili (c.d. Convenzione di Vienna del 1980, entrata in vigore nel 1988 ed alla quale ha aderito anche l’Italia) che all’art. 79 esime da responsabilità contrattuale la parte che abbia invocato la clausola di forza maggiore per il periodo in cui sussiste l’impedimento (v. art. 79, par. 3).
[15] 
Rimedio adombrato dall’Ufficio del Massimario della Cassazione nella Relazione tematica n. 56 dell’8 luglio 2020. Tra le prime applicazioni v. Trib. Milano, 21 ottobre 2020, in Contratti, 2021, 161, con commento di M. Manelli, Sopravvenienze e Covid-19: prime applicazioni giurisprudenziali della rinegoziazione secondo la relazione tematica della Cassazione n. 56/2020.
[16] 
In argomento v. M. Lopinto, La “riscoperta” dei rimedi conservativi: la rinegoziazione ai tempi del Covid-19. Nota a Trib. Lecce, 24 giugno 2021, in www.ilcaso.it, 24 settembre 2021.
[17] 
Per il tentativo di ricavare dagli artt. 1175 e 1375 c.c. un dovere di rinegoziazione secondo buona fede la cui violazione implicherebbe una responsabilità contrattuale si rinvia ex multis a E. Navarretta, Covid-19 e disfunzioni sopravvenute, in AA.VV., Riflessioni giuridiche sugli effetti della pandemia Covid-19, Pisa, 2020, 9 ss.
[18] 
A. Briguglio, Contro il paternalismo giudiziario a spese dell’autonomia dei privati, in Giustiziacivile.com, n. 10/2020.
[19] 
Così I. Pagni e M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), cit., 25.
[20] 
Arg. desunto dall’art. 1976 c.c. dettato in tema di transazione.
[21] 
Il contraente in bonis s’insinuerà per il credito derivante dalle originarie pattuizioni contrattuali o per quello rinegoziato?
[22] 
Così l’art. 10, comma 3, ma, come si desume dall’esplicito riferimento alle sole “ragioni dell’altro contraente” contenuto nel comma 2, le “parti interessate” e legittimate a proporre reclamo dovrebbero essere l’imprenditore (in caso di rigetto dell’istanza) o la controparte contrattuale (nell’ipotesi speculare di accoglimento della richiesta di rideterminazione del contenuto contrattuale), e non anche gli altri creditori, che, a ben vedere, sarebbero avvantaggiati dalla liberazione di ulteriori risorse.
[23] 
Per ovvie ragioni, la norma precisa che del collegio non potrà far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.
[24] 
Cfr. M. Fabiani, Coordinatore dei lavori della III Sessione del Convegno di Modena, “La crisi e la ripartenza”, del 1° e 2 ottobre 2021, la cui riproduzione audio-video è disponibile sul sito www.dirittodellacrisi.it.
[25] 
Ciò spiega la ragione per cui nelle 55 ore di formazione obbligatoria di questa nuova figura professionale ampio spazio sia dedicato alle tecniche di negoziazione e un apposito modulo alla rinegoziazione e ai principi sui contratti.
[26] 
Oltre che dalle normative di settore come l’art. 118 t.u.b. che disciplina lo jus variandi della banca (cfr. L. Sicignano, La modifica unilaterale dei contratti bancari al tempo del Covid-19. Prime riflessioni, in Giustiziacivile.com, 30 giugno 2020) e l’art. 149 del d.lgs. n. 50/2016 sulle varianti negli appalti pubblici.
[27] 
Il riferimento è a tre sentenze di legittimità: Cass., 19 febbraio 2021, n. 4482 e a Cass., 7 dicembre 2020, n. 27939, pubblicate congiuntamente in Fallimento, 2021, 775, con commento di F. Marelli, Si consolida l’orientamento della Cassazione sui pagamenti “nei termini d’uso”, cui adde Cass., 7 luglio 2021, n. 19373, in www.ilcaso.it.
[28] 
V. da ultimo Trib. Roma, 30 giugno 2021, depositata il 2 novembre 2021, in www.ilcaso.it.
[29] 
Cfr. S. Mancinelli, «Sterilizzazione delle perdite» presunto indizio di insolvenza. È auspicabile un intervento legislativo volto a limitare la revocatoria per atti normali, per non vanificare i benefici concessi dalla norma emergenziale, in Eutekne.Info, del 26 luglio 2021.
[30] 
M. Spiotta, I «termini d’uso» al tempo (dell’inusualità) del Covid-19, in corso di pubblicazione su Giur. comm.
[31] 
Per i riferimenti giurisprudenziali sia consentito rinviare a M. Spiotta, Continuità aziendale e doveri degli organi sociali, Milano, 2017, 244. Sull’applicabilità degli artt. 1453 ss. c.c. prima della scadenza del termine o del verificarsi della condizione sospensiva v. di recente V. Brizzolari, Inadempimento anticipato e risoluzione del contratto, in Contratti, 2021, 592 ss.
[32] 
Per un’esegesi “evolutiva” dell’art. 2250 c.c. (che, per le sole società di capitali, richiede l’indicazione, negli atti e nella corrispondenza della società, del capitale sociale effettivamente versato quale risultante dall’ultimo bilancio) v. M. Spiotta, Continuità aziendale e doveri degli organi sociali, cit., 16.
[33] 
Sull’argomento v. M. Fabiani, Dai finanziamenti alla adeguatezza dell’assetto finanziario della società, in Fallimento, 2021, 1312 ss.
[34] 
Cfr. Irrera e Riva, La convergenza tra le indicazioni del Codice della crisi e del D.L. 118/2021: is cash still king? DSCR e TDR a confronto, in Ristrutturazioni aziendali, www.ilcaso.it, 20 ottobre 2021.
[35] 
Se non si commettono errori d’interpretazione, dal raffronto tra i commi 3 e 4 dell’art. 9 sembrerebbe lecito desumere che l’iscrizione del dissenso sia facoltativa nel caso in cui l’atto possa ostacolare le trattative o le prospettive di risanamento e che sia obbligatoria solo nel caso di potenziale pregiudizio per i creditori.
[36] 
F. Fiorucci, Disegno di legge S.1151 sulla rinegoziazione dei contratti, in ilSocietario, News del 28 ottobre 2020.
[37] 
A tale progetto la Commissione europea ha dedicato il congresso tenuto a Roma il 19-20 maggio 2006, in cooperazione con diverse Università, presentandolo quale “strumento di facilitazione delle transazioni transfrontaliere" e potenziale "simbolo dell'aspirazione di una Comunità dall'identità condivisa "trascendendo così la sua utilità pratica e favorendo la nascita di una cultura giuridica europea”.
[38] 
La proposta è reperibile all’indirizzo www.civilistiitaliani.eu/images/notizie/Una_riflessione_ed_una_proposta_per_la_migliore_tutela_dei_soggetti_pregiudicati_dagli_effetti_della_pandemia.pdf. Sull’argomento v. P. Sirena, Eccessiva onerosità sopravvenuta e rinegoziazione del contratto: verso una riforma del codice civile?, in Jus, 2020, 205 ss.
[39] 
Così V. Minervini, La “composizione negoziata” nella prospettiva del recepimento della direttiva “insolvency”. Prime riflessioni, cit., 23.
[40] 
Il parallelismo è tratto da I. Pagni e M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), cit., 25 s.
[41] 
M. Spiotta, Covid-19: un’occasione per ripensare le priorità (anche nel diritto concorsuale), in AA.VV., Crisi d’impresa ed emergenza sanitaria, a cura di S. Ambrosini e S. Pacchi, Bologna, 2020, 101 ss.
[42] 
Con la conseguenza che anche i parametri ministeriali per determinare il compenso del curatore dovrebbero essere rivisti.
[43] 
Si rinvia a G. D’Attorre, La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, in Riv. dir. civ., 2021, 60 ss.
[44] 
Così G. D’Attorre, Il trasferimento dell’azienda nella composizione negoziata, cit., 7.
[45] 
G. Oppo, op. cit., 460.
[46] 
I. Pagni, Le scelte del d.l. n.118/2021: tra autonomia negoziale e intervento del giudice, Relazione al Convegno di Bargamo su “Il valore della crisi”, del 15 e 16 ottobre 2021, la cui riproduzione audio-video è disponibile sul sito www.dirittodellacrisi.it
[47] 
Nessuno, meglio dell’imprenditore, ha le competenze necessarie (conoscenza del mercato, dell’andamento della domanda, degli sviluppi del processo tecnologico e via dicendo) per trovare un nuovo assetto contrattuale adeguato: cfr. I. Pagni e M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), cit., 24, che, a loro volta, richiamano P. Lucarelli e L. Ristori, I contratti commerciali di durata, Milano, 2016, 72.

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