Al pari del precedente, anche il secondo quesito presenta significativi profili di complessità non soltanto intrinseca, ma determinata anche dal fatto che la sua soluzione coinvolge temi tanto giuridici, quanto contabili ed economico-aziendali e che esso pone problematiche – a quanto si è potuto appurare – in larga misura inedite.
In via preliminare va ricordato che l’organo amministrativo della Società aveva provveduto alla redazione del progetto di bilancio di esercizio al 31 dicembre 2021, sulla base del presupposto della continuità aziendale: una prospettiva di going concern che risultava in allora fondata sugli effetti conseguenti all’omologazione del concordato preventivo e all’attuazione del relativo piano, all’esito dei quali la Società poteva considerarsi sostanzialmente risanata dal punto di vista economico-patrimoniale-finanziario e di prospettiva industriale. Senonché il processo di approvazione del bilancio è stato doverosamente interrotto a seguito della sopravvenuta pubblicazione, in data 23 maggio 2022, della richiamata sentenza della Corte di Cassazione, che ha radicalmente modificato il quadro presupposto dai prospetti inizialmente (e, si ripete, tempestivamente) elaborati dagli amministratori: una variazione dello scenario patrimoniale e finanziario della Società, conseguente alla riemersione delle percentuali debitorie già oggetto dello stralcio concordatario, che impone un complesso ricalcolo dei relativi importi, anche in considerazione degli importi degli interessi (tema trattato ex professo nei paragrafi conclusivi del presente parere); e che è risultata così drastica da sollecitare l’avvio del percorso di composizione negoziata, in conformità alla nuova disciplina concorsuale esaminata nei paragrafi precedenti, e l’affidamento dell’incarico per la predisposizione di un piano da porre a fondamento delle trattative che in quella sede verranno avviate nella già sottolineata prospettiva di un risanamento dell’impresa auspicabilmente funzionale alla preservazione (ove vi fossero gli estremi per ritenerla ancora esistente) o al ripristino (ove attualmente non più sussistente) della continuità aziendale.
Sempre in via preliminare, va sottolineata l’assoluta peculiarità della fattispecie in esame, nella quale la Società aveva già realizzato un complesso ed efficace percorso di ristrutturazione industriale, in aderenza alle previsioni contemplate nel piano concordatario, e adempiuto quasi integralmente agli impegni assunti nella proposta concordataria nei confronti dei creditori. Si è dunque dinanzi ad una situazione eccezionale – e in larga misura inedita – nella quale lo stato di crisi, da un lato, trova la sua causa nella riemersione dello stralcio concordatario e, dall’altro, vede la sua soluzione non già sul piano industriale, ma esclusivamente nella negoziazione di uno stralcio dei crediti “riemersi” al cui adempimento destinare parte rilevante della liquidità disponibile e dei proventi della continuità. Nella prospettiva del risanamento non parrebbero dunque, allo stato, pianificabili azioni dirette a rafforzare l’efficienza industriale suscettibili di dilatare i flussi generati dalla gestione corrente a tal punto da consentire di ripagare integralmente il debito riemerso: il ripristino o la preservazione della continuità aziendale passa inevitabilmente attraverso una ristrutturazione della debitoria reviviscente che la Società si accinge a prospettare al ceto creditorio sulla base del piano in corso di ultimazione.
È sulla base di tali premesse fattuali che si può correttamente impostare la questione teorica posta alla base del quesito prospettato.
Come noto, il presupposto della continuità aziendale – oltre a ricollegarsi al postulato di bilancio enunciato dall’art. 2423 bis c.c. – è richiamato dai principi contabili nazionali e internazionali.
Muovendo dall’esame di questo secondo fronte, si segnala il principio IAS 1, che, ai paragrafi 25 e 26, stabilisce: “nella fase di preparazione del bilancio, la direzione aziendale deve effettuare una valutazione della capacità dell’entità di continuare a operare come un’entità in funzionamento. Il bilancio deve essere redatto nella prospettiva della continuazione dell’attività a meno che la direzione aziendale non intenda liquidare l’’entità o interrompere l’attività, o non abbia alternative realistiche a ciò (…). Nel determinare se il presupposto della prospettiva della continuazione dell’attività è applicabile, la direzione aziendale tiene conto di tutte le informazioni disponibili sul futuro, che è relativo almeno, ma non limitato, a dodici mesi dopo la data di riferimento del bilancio. Il grado dell’analisi dipende dalle specifiche circostanze di ciascun caso. Se l’entità ha un pregresso di attività redditizia e dispone di facile accesso alle risorse finanziarie, si può raggiungere la conclusione che il presupposto della continuità aziendale sia appropriato senza effettuare analisi dettagliate. In altri casi, la direzione aziendale può aver bisogno di considerare una vasta gamma di fattori relativi alla redditività attuale e attesa, ai piani di rimborso dei debiti e alle potenziali fonti di finanziamento alternative, prima di ritenere che sussista il presupposto della continuità aziendale”.
Sul versante dei principi domestici, l’indagine deve muovere dal principio contabile OIC 11 il quale offre alcune direttive rilevanti in merito alla questione da esaminare. Tale principio prevede infatti che: i) il bilancio va redatto “nella prospettiva della continuazione dell’attività”, la cui sussistenza è rimessa alla valutazione della direzione aziendale (e v. anche l’art. 2323 bis, comma 1, n. 1), c.c. e il principio contabile internazionale IAS 1); ii) qualora, “a seguito di tale valutazione prospettica, siano identificate significative incertezze in merito a tale capacità”, devono essere chiaramente fornite nella nota integrativa le informazioni prescritte dal principio contabile; iii) se si valuta che in un prossimo futuro (dodici mesi) la società “non abbia alternative realistiche” all’interruzione dell’attività, sarà necessario descrivere con chiarezza e completezza le motivazioni delle conclusioni raggiunte e i criteri contabili applicati per la redazione del bilancio in assenza della prospettiva della continuità[24].
Lo stesso principio OIC 11 ha cura di precisare che “la crisi di impresa non giustifica l’abbandono dei criteri di continuità, anche se questi vanno applicati al bilancio con le dovute cautele”, mentre all’adozione di criteri di liquidazione si deve necessariamente transitare dopo il formale avvio della procedura liquidatoria.
Da una prima lettura dei principi contabili nazionali e internazionali ora richiamati parrebbe desumibile uno scenario tendenzialmente “conservativo” tanto del presupposto di redazione dei prospetti contabili, quanto degli obblighi di redazione degli stessi. Secondo una interpretazione strettamente letterale dei principi richiamati, pur in presenza di incertezze rilevanti e consistenti in ordine alla continuità aziendale, gli amministratori non sarebbero per tale sola ragione autorizzati a derogare ai termini imposti dalla legge ai fini dell’approvazione e del deposito del bilancio, giacché le regole contabili fornirebbero le guidelines necessarie per consentire agli stessi di redigerlo nel rispetto del principio di correttezza che tali regole concorrono a concretizzare[25]. In altri termini, le significative incertezze sulla continuità non giustificherebbero, di per sé, né di postulare un automatico venir meno del presupposto della continuità aziendale, né di soprassedere all’obbligo di redigere il bilancio e, di conseguenza, neanche del dovere di sottoporlo all’approvazione assembleare e di depositarlo presso il registro delle imprese.
Si tratta peraltro di verificare se tali conclusioni siano, da un lato, in astratto condivisibili e, dall’altro, direttamente trasponibili alla peculiare fattispecie in esame. Partendo da quest’ultimo profilo, di cui non si può disconoscere l’assoluta eccezionalità, si ritiene fondatamente prospettabile un ragionamento contrario, tale da giustificare la una transitoria posticipazione della tempistica prevista in capo all’organo amministrativo in ordine alla predisposizione e conseguente deposito del bilancio di esercizio, a fronte della peculiarissima condizione nella quale versa attualmente la Società, in conseguenza i) del recente rigetto da parte della Suprema Corte del ricorso contro la decisione della Corte d’Appello di Venezia, che ha accolto il reclamo avverso la domanda di omologazione del concordato della Società stessa e ii) della necessità quindi di individuare adeguate contromisure alla “riemersione” dell’esposizione debitoria non più ristrutturata per effetto della soluzione negoziata con i creditori e ab origine omologata dal tribunale competente.
Naturalmente, ciò non implica una sospensione degli obblighi in esame, dovendo anzi intensificarsi l’impegno degli amministratori in ordine all’acquisizione del set documentale necessario per la valutazione in ordine alla continuità aziendale, così da poter adempiere quanto prima agli adempimenti prescritti dalla legge. Il punto è però che, siccome quell’obbligo ha una finalità superiore, che è quella di fornire informazioni veritiere e corrette, la imperatività dei termini entro i quali adempiere allo stesso cede il passo alla superiore esigenza informativa[26].
Al fine di suffragare siffatta conclusione occorre prendere le mosse dalla regola fondamentale di veridicità (o verità legale) dettata in materia di redazione del bilancio dall’art. 2423 c.c.: regola, che assume rilievo centrale stante il fatto che il bilancio assolve la funzione di strumento di informazione nell’interesse dei soci, dei creditori e dei terzi[27].
Tale principio, insieme a quelli di chiarezza e correttezza, assurge a postulato del bilancio e si colloca al vertice della gerarchia di regole che presiedono alla sua redazione[28]. La dottrina aziendalistica è del resto univoca nel riconoscere alla esigenza di rappresentazione chiara, veritiera e corretta, di cui all’articolo 2423 c.c., il ruolo di “Clausola Generale”, ponendola al vertice della “gerarchia” delle norme di riferimento per la redazione del bilancio[29]. Nella letteratura contabile, tale clausola è, del resto, nota come clausola “overriding” proprio in quanto, sin dalla sua originaria introduzione nella quarta direttiva CEE, è stata intesa come disposizione sovraordinata a ogni altra regola prevista per la redazione del bilancio[30].
La posizione sovraordinata nelle quale si collocano le clausole generali enunciate dall’art. 2423 c.c. rispetto alle ulteriori regole sulla redazione del bilancio comporta che nell’interpretazione e nell’applicazione di specifici criteri o prescrizioni il redattore del documento contabile non possa mai disattendere le indicazioni imposte dalle prime[31].
Per quanto qui interessa, il principio di veridicità esige che il redattore del bilancio adotti un atteggiamento il più possibile oggettivo e neutrale e che il processo valutativo sia fondato su un’adeguata base informativa e su un procedimento estimativo basato su adeguate metodologie e assunzioni logiche[32].
Tanto rilevato, la situazione attuale nella quale la Società si è prontamente attivata per far fronte ai corollari della decisione assunta dalla Suprema Corte nell’imminenza dell’approvazione di un progetto di bilancio redatto in continuità aziendale, appurando i corollari derivanti dal radicale sovvertimento della situazione patrimoniale e finanziaria conseguente al definitivo venir meno della procedura concorsuale, alla quale la stessa era stata originariamente ammessa, e dando incarico ad un advisor di riconosciuto standing di predisporre un nuovo piano industriale/economico/finanziario, risulta del tutto peculiare e, in relazione all’avvenuto pagamento quasi integrale dei creditori concordatari, (a quanto consta) finanche inedita. Una situazione tale per cui una valutazione sulla prospettiva della continuità aziendale della Società sostenuta da un adeguato set di informazioni – in quanto tale congruente con la clausola generale di veridicità – si rivela allo stato non realizzabile, posto che la stessa valutazione risulterebbe gravata da elementi di incertezza tali da renderela non adeguatamente attendibile e dunque non suscettibile di essere posta a fondamento della selezione dei criteri di redazione del bilancio.
La direzione aziendale necessita invero di una vasta gamma di dati al fine di poter formulare una valutazione informata e ragionevolmente attendibile sulla prospettiva della continuità aziendale, dovendo preliminarmente procedere a “un’integrazione informativa proveniente da diverse fonti qualitative e quantitative”[33]. Fra queste fonti il piano industriale/economico/finanziario attualmente in fase di elaborazione assume un ruolo di fondamentale rilievo, costituendo altresì la premessa per l’avvio delle trattative nell’ambito della composizione negoziata ed acquisire i primi riscontri da parte dei creditori; ma tali essenziali elementi di riferimento nella valutazione prognostica che i redattori del bilancio sono chiamati a compiere per accertare la prospettiva della continuità aziendale sono entrambi, allo stato, non disponibili.
Quanto sopra consente allora di concludere plausibilmente che la necessaria attuazione del sovraordinato principio di veridicità di cui all’art. 2423 c.c. impone – prevalendo sulle direttive subordinate dell’OIC 11 – di attendere il decorso del (peraltro, breve) lasso temporale entro il quale sarà predisposto il nuovo piano della Società e si acquisiranno i primi esiti delle trattative con i creditori, così da poter procedere consapevolmente alla redazione del bilancio. Se quest’ultimo fosse redatto e approvato anteriormente, infatti, si rischierebbe di veicolare nei confronti dei soci e degli stakeholders della Società informazioni non corrispondenti a una valutazione della continuità che possa dirsi adeguatamente informata e fondata su attendibili assunzioni logiche, ossia non compliant con il principio di veridicità.