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Saggio

Continuità aziendale, avvio della composizione negoziata e giustificato ritardo nella redazione del bilancio*

Niccolò Abriani, Ordinario di diritto commerciale nell’Università di Firenze

18 Ottobre 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
In ambito di concordato preventivo, l’Autore fornisce meditate risposte ad alcuni quesiti in tema di continuità aziendale, redazione del bilancio, computo degli interessi e imputazione dei pagamenti.
Riproduzione riservata
1 . La fattispecie e i quesiti
Alfa s.p.a. (di seguito anche la Società) è una società che opera nel settore alimentare.
La Società ha a suo tempo richiesto e ottenuto l’ammissione alla procedura di concordato preventivo in continuità aziendale; il concordato è stato omologato dal Trib. di Treviso in data 28 gennaio 2020.
Avverso il decreto di omologazione – provvisoriamente esecutivo – tre soggetti, che già precedente avevano proposto opposizione all’omologa, hanno presentato reclamo ex art. 183 L. fall. Tale reclamo è stato accolto dalla Corte di Appello di Venezia in data 22 agosto 2020. 
La Società ha impugnato mediante ricorso per Cassazione il suddetto provvedimento della Corte veneziana. Tale ricorso è stato rigettato dalla Suprema Corte con ordinanza del 28 aprile 2022, pubblicata in data 23 maggio 2022. Il concordato provvisoriamente omologato della Società e i relativi effetti sono conseguentemente venuti meno.
In relazione a tale vicenda, è stato richiesto di rendere un parere pro veritate avente ad oggetto i seguenti quesiti:
i) se la composizione negoziata presupponga necessariamente una valutazione positiva in ordine alla sussistenza, al momento del deposito della domanda di nomina dell’esperto, del presupposto della continuità aziendale in capo alla società istante;
ii) se la situazione eccezionale in cui verte la Società, a seguito degli effetti derivanti dalla richiamata decisione della Cassazione, imponga, o quanto meno giustifichi, di posporre la redazione del bilancio di esercizio al perfezionamento del piano di risanamento attualmente in corso di predisposizione;
iii) se, in merito alla debenza degli interessi a seguito del venir meno della procedura concordataria, essa comprenda solo gli interessi convenzionali o anche a quelli di mora; e, in questo ultimo caso, se gli interessi di mora siano dovuti solo in presenza e dal momento della messa in mora o vadano ricollegati ad altri eventi o norme di generale applicazione;
iv) se, con riguardo ai pagamenti eseguiti in sede di riparto concordatario medio tempore, gli stessi vadano imputati prima a interessi o a capitale.
2 . Continuità aziendale e avvio della composizione negoziata (Quesito sub i)
In proposito va premesso che la composizione negoziata è strumento di recentissima introduzione (con il  D.L. 118/2021, poi trasfuso, senza sostanziali modificazioni, negli artt. 12 ss. del Codice della crisi e dell’insolvenza, d’ora in avanti CCII), rispetto al quale pertanto non esiste allo stato né una prassi applicativa consolidata, né una riflessione dottrinaria sufficientemente stratificata. Al riguardo va altresì soggiunto che i presupposti oggettivi richiesti dalla legge per l’avvio del percorso di composizione negoziata rappresentano uno dei temi maggiormente discussi rispetto al nuovo istituto. 
Alla luce di tale premessa, al fine di prospettare una risposta al quesito appare necessario distinguere due scenari: quello attinente alla situazione nella quale versa ex ante la società che intenda utilizzare la composizione negoziata, al momento della presentazione dell’istanza di nomina dell’esperto, e quello prospettabile sulla base di un piano di risanamento e in conseguenza delle trattive con i creditori condotte nell’ambito del nuovo strumento di early warning introdotto nell’ordinamento concorsuale. 
Ai sensi dell’art. 12, comma 1, CCII il presupposto oggettivo che legittima l’imprenditore ad avviare il percorso della composizione negoziata, chiedendo la nomina dell’esperto, è rappresentato dalle condizioni di “squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza”, purché risulti “ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”[1]. 
Il tenore letterale della norma menziona quali precondizioni di utilizzo della composizione negoziata la probabilità di crisi o di insolvenza. Il ricorso al nuovo strumento di early warning presuppone, dunque, oltre alla pre-crisi, la crisi e l’insolvenza reversibile[2]; fattispecie, queste ultime, rispettivamente compatibili (la crisi) e finanche tendenzialmente consustanziali (l’insolvenza) con una discontinuità aziendale già sopravvenuta[3]. 
In altri termini, lo stato di crisi espressamente menzionato dall’art. 12, comma 1, CCII comprende situazioni che non implicano necessariamente la perdurante sussistenza del going concern[4]. Ciò costituisce un primo indizio del fatto che, di per sé, la continuità aziendale – come prospettiva “più probabile che non” per l’impresa distressed – non costituisce un presupposto necessario ai fini dell’accesso alla composizione negoziata. 
Tale conclusione – pur a fronte dell’ambiguità della nozione di continuità aziendale e di quella, speculare, di perdita della continuità aziendale e dell’uso che ne fa il CCII[5] – sembra trovare un fondamento normativo nel collegamento ex lege fra l’art. 2086, comma 2, c.c., ove si attribuisce agli assetti adeguati la funzione “della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale”, e l’art. 3, comma 2, CCII, il quale, pur richiamando l’art. 2086 c.c., assegna agli assetti la precipua funzione di “tempestiva rilevazione della crisi”. 
Tanto il tenore letterale della norma codicistica (utilizzando la congiunzione “e” nell’individuare la funzione degli assetti), quanto l’espressione più sintetica (che fa riferimento, cioè, solo alla rilevazione precoce della crisi) ricorrente nell’art. 3, comma 2, CCII, in ordine alla funzione degli assetti di cui all’art. 2086, comma 2, CCII, sembrano autorizzare l’interprete a considerare lo stato di crisi e la perdita della continuità aziendale nozioni, almeno in parte, sovrapponibili (o, se si vuole, assimilabili sul piano normativo)[6]. 
Da tale premessa consegue che, essendo la crisi elevata a presupposto del ricorso alla composizione negoziata, lo stesso può dirsi per la situazione di perdita della continuità aziendale. Altrimenti detto: avendo l’accesso alla composizione negoziata quale presupposto oggettivo la crisi o addirittura l’insolvenza reversibile, si può sostenere che il ricorso a tale strumento risulta consentito non solo quando sussista una situazione che genera “significative incertezze” o “dubbi significativi” sulla capacità dell’impresa di continuare a operare come entità in funzionamento, ma anche quando si sia già determinata una cesura della prospettiva di continuità. 
In tale contesto normativo, come anticipato, occorre collocare su piani rigorosamente distinti la situazione attuale della società che decida di ricorrere alla composizione negoziata e quella prospettabile in futuro, in conseguenza dell’avvio di tale percorso; situazione, quest’ultima, che risulterà prefigurabile alla luce del piano che la società sottoporrà ai suoi creditori e delle trattative che intercorreranno con i creditori, nelle quali si sostanzia la composizione negoziata, con l’implementazione delle conseguenti concordate misure di contrasto alla situazione (di probabilità di crisi o) di insolvenza. 
Come si evince chiaramente dal menzionato art. 12, comma 1, CCII – e già dalla corrispondente disposizione introdotta dal D.L. n. 118/2021 – la composizione negoziata è strumento pensato dal legislatore per risanare l’impresa e dunque tanto per preservare la continuità aziendale eventualmente sussistente, quanto per ripristinarne la continuità aziendale eventualmente venuta meno al momento dell’avvio del nuovo percorso negoziale. In altri termini, non è la continuità aziendale, bensì la risanabilità dell’impresa – sostanzialmente coincidente con la conservazione o il ripristino della continuità aziendale[7] – a costituire il “fulcro logico” del nuovo istituto[8]. In mancanza di tale prospettiva la composizione negoziata deve infatti essere archiviata dall’esperto (art. 17, comma 5, CCII), così come non possono essere confermate dal tribunale le misure protettive, né può essere autorizzata l’erogazione di nuova finanza[9]. 
La continuità aziendale rappresenta dunque, non già il presupposto, bensì l’obiettivo che giustifica – in termini non solo di preservazione, ma altresì di recupero – il percorso della composizione negoziata: un risultato per il cui conseguimento devono essere tempestivamente avviate le trattative con i creditori[10]. La nuova disciplina normativa legittima dunque una società a ricorrere alla composizione negoziata quand’anche versi in una situazione attuale di transitoria perdita della continuità aziendale o di significative incertezze circa il protrarsi della medesima, purché però sia ragionevole prospettarne la risanabilità per mezzo delle trattative con i creditori agevolate dall’intervento proattivamente interattivo dall’esperto. 
Lo stesso tenore letterale dell’art. 12, comma 1, CCII sembra autorizzare – ed anzi, in qualche misura, presupporre – una nitida distinzione fra la situazione in cui versa l’impresa che accede alla composizione negoziata – che, va ribadito, può anche fondare incertezze significative sulla conservazione della continuità aziendale – e quella che deve invece prospettarsi a seguito dell’esperimento dello strumento di early warning, che deve consistere invece nel risanamento dell’impresa, con (preservazione o) ripristino della continuità aziendale dell’impresa (salvo poi verificare, ma è tema estraneo al presente parere, se ciò possa avvenire anche nella forma della continuità indiretta).
Con riguardo all’approdo del percorso della composizione negoziata si è osservato, in termini generali, che la relazione finale dell’esperto può in talune ipotesi rappresentare il “bagno di realtà” che fa comprendere agli amministratori che rimane a disposizione della società da loro amministrata la sola soluzione liquidatoria[11]. Tale osservazione coglie indubbiamente nel segno, dovendosi peraltro precisare che la presa d’atto della irrecuperabilità della crisi dovrebbe comunque collegarsi a eventi sopravvenuti nel corso della composizione negoziata, mentre un primo “bagno di realtà” deve aver luogo ab initio, in sede di vaglio preventivo operato dallo stesso imprenditore grazie anche al confronto con l’esperto e, prima ancora, alla valutazione del “responso” della piattaforma telematica. Ed è soltanto qualora non risultino attivabili piani di risanamento suscettibili di (preservare o) ripristinare la continuità aziendale, conducendo ad esiti alternativi alla liquidazione, che il percorso della composizione negoziata va fermato sul nascere, precludendo la stessa nomina dell’esperto. 
A questo riguardo si tratta di adottare un approccio adeguatamente duttile, ricordando che l’obiettivo della nuova disciplina è conservare la continuità aziendale o permettere il suo ripristino, sicché anche qualora l’esperto dovesse ravvisare, nella fase iniziale a seguito dei primi colloqui con organi di controllo, revisori e creditori, la presenza di uno stato di insolvenza, “ciò non gli impedisce di avviare la composizione negoziata, a patto che scorga concrete prospettive di risanamento che richiedano di essere valutate sulla base della effettiva possibilità di accordi con i creditori o di una cessione dell’azienda i cui proventi consentano la sostenibilità del debito”[12]. 
Se la presenza di uno stato di insolvenza non preclude necessariamente l’avvio della composizione negoziata, lo stesso Decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia del 28 settembre 2021, di attuazione della disciplina in esame, ha cura di precisare che “occorre però che l’esperto reputi che vi siano concrete prospettive di risanamento che richiedano, per essere ritenute praticabili, l’apertura delle trattative, perché dovranno essere valutate sulla base della effettiva possibilità di accordi con i creditori o di una cessione dell’azienda i cui proventi consentano la sostenibilità del debito”[13]. Pertanto, è solo qualora tali prospettive di recupero della continuità aziendale non risultino sussistenti – o comunque non concretamente praticabili – ab initio[14], che il percorso di composizione negoziata non potrebbe essere ritualmente avviato per mancanza originaria del presupposto per l’accesso allo stesso.
3 . Segue. Riscontri giurisprudenziali
Le considerazioni sin qui svolte trovano alcune significative conferme nei primi precedenti giurisprudenziali – invero poco numerosi – che si sono espressi in merito ai presupposti oggettivi di utilizzo della composizione negoziata. 
Al riguardo il Tribunale di Bergamo ha avuto modo di affermare come soltanto una società rispetto alla quale si delinei, come unica opzione concretamente praticabile, una prospettiva meramente liquidatoria – a fronte, peraltro di uno stato di liquidazione che nella peculiare fattispecie in esame si protraeva da un decennio – non possa fruire del percorso della composizione negoziata per mancanza del presupposto di procedibilità della ragionevole perseguibilità del risanamento[15]. 
Lungo questa linea di ragionamento il medesimo Tribunale ha adombrato – nel solco dell’inciso finale del passo del Decreto dirigenziale sopra enfatizzato – la possibilità di assegnare rilievo alla circostanza che, nonostante la prevista dismissione dell’intero patrimonio sociale in funzione del soddisfacimento dei creditori, il percorso negoziale sia comunque teoricamente suscettibile di “generare un surplus tale da consentire la ripresa dell’attività caratteristica”[16]. 
Da tali pronunce sembra evincersi che il constatato venir meno della continuità aziendale – al pari della sussistenza di incertezze o di rischi per la continuità aziendale, da ritenere comunque sempre connaturati all’accertamento della stessa, risolvendosi esso in una valutazione prognostica riferita a un orizzonte temporale futuro[17] – non possa considerarsi di per sé ostativo al ricorso alla composizione negoziata, non essendo quest’ultimo da escludere nemmeno nel caso in cui la società prefiguri nel piano inizialmente posto alla base delle trattative di procedere a una dismissione dell’intero patrimonio. Nella decisione da ultimo richiamata si rileva, infatti, che soltanto una “opzione liquidatoria… ab origine prospettata quale unico mezzo per addivenire al soddisfacimento dei… creditori” varrebbe a precludere ogni “ragionevole possibilità di perseguire l’obiettivo del risanamento dell’impresa e la prosecuzione della sua attività”[18], che la legge prescrive quali presupposti della composizione negoziata.
A tali considerazioni deve aggiungersi che non è detto che il risanamento – proprio in quanto esito ex lege “ragionevole” (art. 12, comma 1, CCII) e quindi, come tale, non certo – costituisca il naturale (e, tanto meno, l’inevitabile) approdo delle trattative. Per espressa previsione normativa, uno dei possibili esiti della composizione negoziata è rappresentato infatti dal concordato semplificato liquidatorio (come si evince dal tenore letterale dell’art. 25 sexies CCII), cui si ricollega il constatato venir meno della continuità; così come un concordato liquidatorio “tradizionale” o un accordo di ristrutturazione parimenti liquidatorio, anch’essi contemplati come risultato del percorso di composizione negoziata (v. art. 23, comma 2, CCII). Le trattative con i creditori possono cioè portare al risanamento, ma non necessariamente assicurano siffatto risultato e dunque (la conservazione o) il ripristino della continuità aziendale[19]. Esse si svolgono nel presupposto che sussista una ragionevole probabilità di addivenire al risanamento; il che non implica però, com’è a tutti evidente, un margine di certezza iniziale in ordine al conseguimento di tale obiettivo[20]. Di talché pare plausibile affermare che l’impresa che ricorra alla composizione negoziata deve avere una ragionevole prospettiva (i.e. una probabilità) di ripristino della continuità aziendale, ma non anche garantire (né l’attuale sussistenza della stessa, né) la certezza della realizzazione di tale obiettivo. Ragionando diversamente infatti – ossia sostenendo che la composizione negoziata abbia quale precondizione di utilizzo una prospettiva certa di continuità aziendale – si perverrebbe a una contraddizione fra la (ipotizzata) disciplina legale dei presupposti della composizione negoziata e quella dei possibili esiti della stessa, fra i quali viene annoverato – come detto – anche il concordato semplificato liquidatorio e gli altri strumenti di regolazione di natura liquidatoria sopra ricordati, che determinano una inevitabile cesura del going concern. Tale indebita sovrapposizione di piani condurrebbe dunque ad un esito interpretativo inaccettabile stante il fondamentale canone ermeneutico rappresentato dalla presunzione di coerenza e razionalità dell’ordinamento[21]. 
A sostegno delle conclusioni alle quali si è ora pervenuti militano alcune limpide affermazioni offerte dalla giurisprudenza teorica e pratica nella materia in esame. Sul primo versante si è autorevolmente rilevato che “se è vero che la composizione negoziata è stata costruita essenzialmente per offrire un percorso agile verso il superamento degli squilibri, gravi o meno gravi, nei quali è caduta l’impresa, non è men vero che l’accordo possa comportare l’adozione di un piano condiviso per la liquidazione del patrimonio aziendale, con l’ovvio abbandono della continuità aziendale”[22]. 
Dal suo canto, la giurisprudenza ha ritenuto preclusiva dell’avvio della composizione negoziata la circostanza che “il ricorso all’opzione liquidatoria, lungi dal conseguire allo svolgimento delle trattative… ed all’accertata impraticabilità delle soluzioni individuate… al fine di superare lo stato di squilibrio… dell’impresa, è dalla stessa ab origine prospettato quale unico mezzo per addivenire al soddisfacimento dei suoi creditori”, posto che in tal caso “non sussiste… alcuna ragionevole possibilità di perseguire l’obiettivo del risanamento dell’impresa e la prosecuzione della sua attività”[23]: passo dal quale si evince che solo una situazione attuale di certezza di intervenuta cessazione irreversibile della continuità varrebbe ad impedire l’avvio del percorso della composizione negoziata e l’applicazione della relativa disciplina, non già anche quella rappresentata dall’attuale e transitoria discontinuità nel funzionamento dell’apparato produttivo prospetticamente reversibile mediante lo strumento di early warning contemplato dal nuovo ordinamento concorsuale.
4 . Segue. Conclusioni sul primo quesito
Se nella prospettiva sistematica generale delineata dal nuovo diritto della crisi risulta dunque confermato che i presupposti oggettivi della composizione negoziata sono effettivamente molto ampi, tali da ricomprendere anche situazioni di crisi così altamente problematiche da essere già trascolorate in insolvenza, va altresì sottolineato il fatto che sotto il profilo economico-aziendale, come si avrà modo di approfondire nel paragrafo seguente, la continuità aziendale (going concern) costituisce un principio orientato al futuro, prospettico e quindi per definizione esposto a condizioni di rischio e di incertezza: rischi ed incertezze che nella fattispecie in esame sono stati puntualmente rappresentati nell’istanza presentata dalla Società ai fini dell’apertura della composizione negoziata e della nomina dell’esperto. 
Non va neppure trascurata la circostanza che l’esperto non è chiamato dalla legge ad esprimere un giudizio sulla continuità aziendale in termini prognostici, se non quando richiesto per le autorizzazioni di cui all’art. 22 CCII e già all’art. 10 del decreto n. 118/2021. E va anzi soggiunto che, nella fattispecie considerata, trattandosi di istanza depositata in data antecedente al 15 luglio 2022, risultano ancora applicabili le previsioni dettate dalla disciplina vigente alla data di deposito dell’istanza, contenuta nel D.L. 118/2021: profilo, quest’ultimo, destinato ad assumere rilievo in relazione al quesito, in quanto non risulta applicabile alla fattispecie in esame l’art. 19, comma 2, lettera d), CCII, che oggi richiede il deposito da parte dell’imprenditore di un progetto di piano di risanamento sin dal momento della richiesta di nomina dell’esperto. La norma ora richiamata risulta significativa sotto un duplice profilo: da un lato, in quanto, rimanendo immutati i presupposti della composizione negoziata, vale a confermare che l’avvio del relativo percorso può aver luogo anche in situazione di insolvenza, pur in presenza di un piano già predisposto e depositato, come imposto per ogni nuova istanza proposta dal 15 luglio 2022, che pertanto potrebbe prefigurare una prospettiva (non soltanto di preservazione, ma anche) di recupero di una continuità aziendale non presente al momento della nomina dell’esperto; dall’altro, sottolinea i margini di più marcata incertezza che possono caratterizzare la disciplina previgente (ma ancora applicabile nella specie), nella quale, non essendo la società istante tenuta a depositare il piano, il percorso di composizione negoziata risulta avviato in una fase nella quale ancora manca il principale strumento di indicazione formale e metodologicamente razionale, secondo i principi della scienza aziendalistica, che permetta di esprimersi con elementi probatori, per quanto prognostici, sulla continuità aziendale. 
Ed è appena il caso di soggiungere che, sino alla redazione del piano e ai primi riscontri al riguardo da parte dei creditori, non constano elementi idonei a superare le condizioni di incertezza e di rischio sussistenti al momento del ricorso: mentre, dal suo canto, l’esperto non si è ancora pronunciato con un proprio parere, circa la perseguibilità del risanamento, che sarà prevedibilmente reso in occasione dell’udienza per la conferma delle misure protettive, fissata al prossimo 21 settembre. Pertanto, ad oggi, permangono condizioni di incertezza sulla continuità aziendale, che non potranno essere sciolte se non alla luce di una compiuta disamina delle previsioni contenute nel piano di risanamento, una volta formalizzato, e della valutazione prognostica dell’esperto che ne potrà conseguire, anche alla luce dell’avvio delle trattative da quest’ultimo condotte.
In conclusione su questo primo quesito, si deve escludere che l’avvio della composizione negoziata presupponga necessariamente una valutazione positiva in ordine alla sussistenza del presupposto della continuità aziendale in capo alla società che a tale percorso sia ammessa mediante la nomina dell’esperto.
5 . Continuità aziendale e redazione del bilancio di esercizio (Quesito sub ii)
Al pari del precedente, anche il secondo quesito presenta significativi profili di complessità non soltanto intrinseca, ma determinata anche dal fatto che la sua soluzione coinvolge temi tanto giuridici, quanto contabili ed economico-aziendali e che esso pone problematiche – a quanto si è potuto appurare – in larga misura inedite.
In via preliminare va ricordato che l’organo amministrativo della Società aveva provveduto alla redazione del progetto di bilancio di esercizio al 31 dicembre 2021, sulla base del presupposto della continuità aziendale: una prospettiva di going concern che risultava in allora fondata sugli effetti conseguenti all’omologazione del concordato preventivo e all’attuazione del relativo piano, all’esito dei quali la Società poteva considerarsi sostanzialmente risanata dal punto di vista economico-patrimoniale-finanziario e di prospettiva industriale. Senonché il processo di approvazione del bilancio è stato doverosamente interrotto a seguito della sopravvenuta pubblicazione, in data 23 maggio 2022, della richiamata sentenza della Corte di Cassazione, che ha radicalmente modificato il quadro presupposto dai prospetti inizialmente (e, si ripete, tempestivamente) elaborati dagli amministratori: una variazione dello scenario patrimoniale e finanziario della Società, conseguente alla riemersione delle percentuali debitorie già oggetto dello stralcio concordatario, che impone un complesso ricalcolo dei relativi importi, anche in considerazione degli importi degli interessi (tema trattato ex professo nei paragrafi conclusivi del presente parere); e che è risultata così drastica da sollecitare l’avvio del percorso di composizione negoziata, in conformità alla nuova disciplina concorsuale esaminata nei paragrafi precedenti, e l’affidamento dell’incarico per la predisposizione di un piano da porre a fondamento delle trattative che in quella sede verranno avviate nella già sottolineata prospettiva di un risanamento dell’impresa auspicabilmente funzionale alla preservazione (ove vi fossero gli estremi per ritenerla ancora esistente) o al ripristino (ove attualmente non più sussistente) della continuità aziendale. 
Sempre in via preliminare, va sottolineata l’assoluta peculiarità della fattispecie in esame, nella quale la Società aveva già realizzato un complesso ed efficace percorso di ristrutturazione industriale, in aderenza alle previsioni contemplate nel piano concordatario, e adempiuto quasi integralmente agli impegni assunti nella proposta concordataria nei confronti dei creditori. Si è dunque dinanzi ad una situazione eccezionale – e in larga misura inedita – nella quale lo stato di crisi, da un lato, trova la sua causa nella riemersione dello stralcio concordatario e, dall’altro, vede la sua soluzione non già sul piano industriale, ma esclusivamente nella negoziazione di uno stralcio dei crediti “riemersi” al cui adempimento destinare parte rilevante della liquidità disponibile e dei proventi della continuità. Nella prospettiva del risanamento non parrebbero dunque, allo stato, pianificabili azioni dirette a rafforzare l’efficienza industriale suscettibili di dilatare i flussi generati dalla gestione corrente a tal punto da consentire di ripagare integralmente il debito riemerso: il ripristino o la preservazione della continuità aziendale passa inevitabilmente attraverso una ristrutturazione della debitoria reviviscente che la Società si accinge a prospettare al ceto creditorio sulla base del piano in corso di ultimazione.
È sulla base di tali premesse fattuali che si può correttamente impostare la questione teorica posta alla base del quesito prospettato. 
Come noto, il presupposto della continuità aziendale – oltre a ricollegarsi al postulato di bilancio enunciato dall’art. 2423 bis c.c. – è richiamato dai principi contabili nazionali e internazionali. 
Muovendo dall’esame di questo secondo fronte, si segnala il principio IAS 1, che, ai paragrafi 25 e 26, stabilisce: “nella fase di preparazione del bilancio, la direzione aziendale deve effettuare una valutazione della capacità dell’entità di continuare a operare come un’entità in funzionamento. Il bilancio deve essere redatto nella prospettiva della continuazione dell’attività a meno che la direzione aziendale non intenda liquidare l’’entità o interrompere l’attività, o non abbia alternative realistiche a ciò (…). Nel determinare se il presupposto della prospettiva della continuazione dell’attività è applicabile, la direzione aziendale tiene conto di tutte le informazioni disponibili sul futuro, che è relativo almeno, ma non limitato, a dodici mesi dopo la data di riferimento del bilancio. Il grado dell’analisi dipende dalle specifiche circostanze di ciascun caso. Se l’entità ha un pregresso di attività redditizia e dispone di facile accesso alle risorse finanziarie, si può raggiungere la conclusione che il presupposto della continuità aziendale sia appropriato senza effettuare analisi dettagliate. In altri casi, la direzione aziendale può aver bisogno di considerare una vasta gamma di fattori relativi alla redditività attuale e attesa, ai piani di rimborso dei debiti e alle potenziali fonti di finanziamento alternative, prima di ritenere che sussista il presupposto della continuità aziendale”.
Sul versante dei principi domestici, l’indagine deve muovere dal principio contabile OIC 11 il quale offre alcune direttive rilevanti in merito alla questione da esaminare. Tale principio prevede infatti che: i) il bilancio va redatto “nella prospettiva della continuazione dell’attività”, la cui sussistenza è rimessa alla valutazione della direzione aziendale (e v. anche l’art. 2323 bis, comma 1, n. 1), c.c. e il principio contabile internazionale IAS 1); ii) qualora, “a seguito di tale valutazione prospettica, siano identificate significative incertezze in merito a tale capacità”, devono essere chiaramente fornite nella nota integrativa le informazioni prescritte dal principio contabile; iii) se si valuta che in un prossimo futuro (dodici mesi) la società “non abbia alternative realistiche” all’interruzione dell’attività, sarà necessario descrivere con chiarezza e completezza le motivazioni delle conclusioni raggiunte e i criteri contabili applicati per la redazione del bilancio in assenza della prospettiva della continuità[24]. 
Lo stesso principio OIC 11 ha cura di precisare che “la crisi di impresa non giustifica l’abbandono dei criteri di continuità, anche se questi vanno applicati al bilancio con le dovute cautele”, mentre all’adozione di criteri di liquidazione si deve necessariamente transitare dopo il formale avvio della procedura liquidatoria.
Da una prima lettura dei principi contabili nazionali e internazionali ora richiamati parrebbe desumibile uno scenario tendenzialmente “conservativo” tanto del presupposto di redazione dei prospetti contabili, quanto degli obblighi di redazione degli stessi. Secondo una interpretazione strettamente letterale dei principi richiamati, pur in presenza di incertezze rilevanti e consistenti in ordine alla continuità aziendale, gli amministratori non sarebbero per tale sola ragione autorizzati a derogare ai termini imposti dalla legge ai fini dell’approvazione e del deposito del bilancio, giacché le regole contabili fornirebbero le guidelines necessarie per consentire agli stessi di redigerlo nel rispetto del principio di correttezza che tali regole concorrono a concretizzare[25]. In altri termini, le significative incertezze sulla continuità non giustificherebbero, di per sé, né di postulare un automatico venir meno del presupposto della continuità aziendale, né di soprassedere all’obbligo di redigere il bilancio e, di conseguenza, neanche del dovere di sottoporlo all’approvazione assembleare e di depositarlo presso il registro delle imprese.
Si tratta peraltro di verificare se tali conclusioni siano, da un lato, in astratto condivisibili e, dall’altro, direttamente trasponibili alla peculiare fattispecie in esame. Partendo da quest’ultimo profilo, di cui non si può disconoscere l’assoluta eccezionalità, si ritiene fondatamente prospettabile un ragionamento contrario, tale da giustificare la una transitoria posticipazione della tempistica prevista in capo all’organo amministrativo in ordine alla predisposizione e conseguente deposito del bilancio di esercizio, a fronte della peculiarissima condizione nella quale versa attualmente la Società, in conseguenza i) del recente rigetto da parte della Suprema Corte del ricorso contro la decisione della Corte d’Appello di Venezia, che ha accolto il reclamo avverso la domanda di omologazione del concordato della Società stessa e ii) della necessità quindi di individuare adeguate contromisure alla “riemersione” dell’esposizione debitoria non più ristrutturata per effetto della soluzione negoziata con i creditori e ab origine omologata dal tribunale competente. 
Naturalmente, ciò non implica una sospensione degli obblighi in esame, dovendo anzi intensificarsi l’impegno degli amministratori in ordine all’acquisizione del set documentale necessario per la valutazione in ordine alla continuità aziendale, così da poter adempiere quanto prima agli adempimenti prescritti dalla legge. Il punto è però che, siccome quell’obbligo ha una finalità superiore, che è quella di fornire informazioni veritiere e corrette, la imperatività dei termini entro i quali adempiere allo stesso cede il passo alla superiore esigenza informativa[26]. 
Al fine di suffragare siffatta conclusione occorre prendere le mosse dalla regola fondamentale di veridicità (o verità legale) dettata in materia di redazione del bilancio dall’art. 2423 c.c.: regola, che assume rilievo centrale stante il fatto che il bilancio assolve la funzione di strumento di informazione nell’interesse dei soci, dei creditori e dei terzi[27]. 
Tale principio, insieme a quelli di chiarezza e correttezza, assurge a postulato del bilancio e si colloca al vertice della gerarchia di regole che presiedono alla sua redazione[28]. La dottrina aziendalistica è del resto univoca nel riconoscere alla esigenza di rappresentazione chiara, veritiera e corretta, di cui all’articolo 2423 c.c., il ruolo di “Clausola Generale”, ponendola al vertice della “gerarchia” delle norme di riferimento per la redazione del bilancio[29]. Nella letteratura contabile, tale clausola è, del resto, nota come clausola “overriding” proprio in quanto, sin dalla sua originaria introduzione nella quarta direttiva CEE, è stata intesa come disposizione sovraordinata a ogni altra regola prevista per la redazione del bilancio[30]. 
La posizione sovraordinata nelle quale si collocano le clausole generali enunciate dall’art. 2423 c.c. rispetto alle ulteriori regole sulla redazione del bilancio comporta che nell’interpretazione e nell’applicazione di specifici criteri o prescrizioni il redattore del documento contabile non possa mai disattendere le indicazioni imposte dalle prime[31].
Per quanto qui interessa, il principio di veridicità esige che il redattore del bilancio adotti un atteggiamento il più possibile oggettivo e neutrale e che il processo valutativo sia fondato su un’adeguata base informativa e su un procedimento estimativo basato su adeguate metodologie e assunzioni logiche[32].
Tanto rilevato, la situazione attuale nella quale la Società si è prontamente attivata per far fronte ai corollari della decisione assunta dalla Suprema Corte nell’imminenza dell’approvazione di un progetto di bilancio redatto in continuità aziendale, appurando i corollari derivanti dal radicale sovvertimento della situazione patrimoniale e finanziaria conseguente al definitivo venir meno della procedura concorsuale, alla quale la stessa era stata originariamente ammessa, e dando incarico ad un advisor di riconosciuto standing di predisporre un nuovo piano industriale/economico/finanziario, risulta del tutto peculiare e, in relazione all’avvenuto pagamento quasi integrale dei creditori concordatari, (a quanto consta) finanche inedita. Una situazione tale per cui una valutazione sulla prospettiva della continuità aziendale della Società sostenuta da un adeguato set di informazioni – in quanto tale congruente con la clausola generale di veridicità – si rivela allo stato non realizzabile, posto che la stessa valutazione risulterebbe gravata da elementi di incertezza tali da renderela non adeguatamente attendibile e dunque non suscettibile di essere posta a fondamento della selezione dei criteri di redazione del bilancio. 
La direzione aziendale necessita invero di una vasta gamma di dati al fine di poter formulare una valutazione informata e ragionevolmente attendibile sulla prospettiva della continuità aziendale, dovendo preliminarmente procedere a “un’integrazione informativa proveniente da diverse fonti qualitative e quantitative”[33]. Fra queste fonti il piano industriale/economico/finanziario attualmente in fase di elaborazione assume un ruolo di fondamentale rilievo, costituendo altresì la premessa per l’avvio delle trattative nell’ambito della composizione negoziata ed acquisire i primi riscontri da parte dei creditori; ma tali essenziali elementi di riferimento nella valutazione prognostica che i redattori del bilancio sono chiamati a compiere per accertare la prospettiva della continuità aziendale sono entrambi, allo stato, non disponibili.
Quanto sopra consente allora di concludere plausibilmente che la necessaria attuazione del sovraordinato principio di veridicità di cui all’art. 2423 c.c. impone – prevalendo sulle direttive subordinate dell’OIC 11 – di attendere il decorso del (peraltro, breve) lasso temporale entro il quale sarà predisposto il nuovo piano della Società e si acquisiranno i primi esiti delle trattative con i creditori, così da poter procedere consapevolmente alla redazione del bilancio. Se quest’ultimo fosse redatto e approvato anteriormente, infatti, si rischierebbe di veicolare nei confronti dei soci e degli stakeholders della Società informazioni non corrispondenti a una valutazione della continuità che possa dirsi adeguatamente informata e fondata su attendibili assunzioni logiche, ossia non compliant con il principio di veridicità. 
6 . Segue. Impossibilità di esprimere una valutazione in ordine alla continuità aziendale e significativo ritardo nella redazione del bilancio
Vi sono ulteriori spunti, tanto a livello normativo quanto a livello di principi di revisione, che parrebbero suffragare le conclusioni ora pur problematicamente prospettate. 
Una prima e soltanto indiretta conferma potrebbe derivare da una lettura innovativa delle norme in tema di redazione del bilancio, ove si enuncia il principio della prevalenza della sostanza sulla forma (art. 2423 bis, n. 1 bis, c.c.)[34] e si impone di derogare alle regole dettate dalle disposizioni che lo seguono qualora queste ultime risultino incompatibili con la sovraordinata istanza di rappresentazione veritiera e corretta (art. 2423, comma 4, c.c.)[35]. 
Per quanto non direttamente riferibili alla fattispecie in esame, le disposizioni ora richiamate sembrano offrire un indiretto conforto – unitamente ai più pregnanti argomenti più sopra e di seguito richiamati – del riconoscimento di un principio più generale dell’ordinamento, in base al quale le regole che prescrivono i termini di redazione, approvazione e deposito del bilancio – la cui funzione va ravvisata nell’assicurare l’ordinato ed efficiente svolgimento dell’attività d’impresa – in quanto afferenti ad adempimenti formali, risultano comunque subordinate rispetto all’esigenza sostanziale di garantire la veridicità delle informazioni contenute nel bilancio.
Tale conclusione trova un puntuale riscontro tanto nei principi di redazione del bilancio, quanto nei principi di revisione. Sul primo versante, il Conceptual Framework for Financial Reporting IASB-IFRS, IASB-IFRS dopo aver affermato, in termini generali, che “If financial information is to be useful, it must be relevant and faithfully represent what it purports to represent”, sicché “The usefulness of financial information is enhanced if it is comparable, verifiable, timely and understandable” (2.4), soggiunge che “Comparability, verifiability, timeliness and understandability are qualitative characteristics that enhance the usefulness of information that both is relevant and provides a faithful representation of what it purports to represent. The enhancing qualitative characteristics may also help determine which of two ways should be used to depict a phenomenon if both are considered to provide equally relevant information and an equally faithful representation of that phenomenon” (2.23).
Merita a questo riguardo rimarcare la distinzione che, in tema di qualità dell’informazione di bilancio, il Framework pone tra “fundamental qualitative characteristics” ed “enhancing qualitative characteristics”, accogliendo tra le prime la “faithful representation” ed inserendo, invece, la “timeliness” delle “enhancing characteristics”. Ed è sulla base di tali premesse che si perviene conclusivamente ad enunciare la seguente puntualizzazione, quanto mai significativa ai nostri fini: “Timeliness means having information available to decision-makers in time to be capable of influencing their decisions. Generally, the older the information is the less useful it is. However, some information may continue to be timely long after the end of a reporting period because, for example, some users may need to identify and assess trends (2.33).
La portata di questi principi viene così puntualmente stigmatizzata dallo stesso IASB nelle Basis for Conclusions on the Conceptual Framework for Financial Reporting: “Timeliness is very desirable, but it is not as critical as relevance and faithful representation. Timely information is useful only if it is relevant and faithfully represents what it purports to represent. In contrast, relevant information that provides a faithful representation may still be useful (especially for confirmatory purposes) even if it is not reported in as timely a manner as would be desirable” (BC, 2.65, enfasi aggiunta).
Si noti che il principio di rilevanza, nella letteratura scientifica anglosassone, costituisce da sempre il principale criterio di significatività dell’informazione[36]. Tale principio è poi stato fortemente accreditato anche nella nostra dottrina[37], recuperando anche tradizioni autorevoli[38].
Tra gli scopi della Conceptual Framework, qui richiamato per confermare la prevalenza delle esigenze di verità e correttezza rispetto a quelle di tempismo, vi è proprio quello di offrire soluzioni a questioni che, in ragione della loro tipicità, non trovino espressa soluzione in specifici principi contabili. Tanto è chiaramente indicato al paragrafo 10 dello IAS 8 che chiarisce che “In assenza di un Principio o di una Interpretazione che si applichi specificatamente a una operazione, altro evento o circostanza, la direzione aziendale deve fare uso del proprio giudizio” e “deve fare riferimento e considerare l’applicabilità delle seguenti fonti in ordine gerarchicamente decrescente: a) le disposizioni degli IFRS che trattano casi simili e correlati; e b) le definizioni, i criteri di rilevazione e i concetti di valutazione per la contabilizzazione di attività, passività, ricavi e costi contenuti nel Quadro concettuale”.
Quanto ai principi contabili nazionali, il documento OIC n. 11 conferma il principio civilistico (art. 2423, comma 2, c.c.) circa la finalità del bilancio alla rappresentazione veritiera e corretta della situazione aziendale.
L’OIC n. 11 attende anche al tema della fruizione, rafforzando così il valore del bilancio come strumento di rilevanza informativa. Il principio nazionale in esame individua i destinatari principali negli investitori, nei finanziatori e nei creditori; ma non specifica, a differenza dei principi contabili internazionali, se si debbano considerare solo quelli presenti, ovvero anche quelli potenziali[39]. L’interpretazione che viene sul punto rappresentata in dottrina è però quella di preferire l’estensione della platea dei destinatari del bilancio anche ai fruitori potenziali, armonizzando i principi contabile nazionale con quelli internazionali[40]. Ciò rileva anche in termini di esigenza di completezza dell’informazione, specialmente in presenza di eventi che presentano carattere evolutivo e di incertezza, tali da condizionare le risultanze del bilancio e la sua valenza segnaletica[41].
L’indagine finalizzata a verificare l’esistenza di indizi che conducano ragionevolmente a ritenere che l’impresa non sia più in grado di operare come entità in funzionamento, oppure che inducano a ritenere che si siano verificati i presupposti richiesti dalla disciplina delle perdite rilevanti, è d’altro canto di tale rilevanza che i principi di revisione aziendale contemplano espressamente la possibilità che ciò determini un “ritardo significativo nella redazione del bilancio da parte della direzione o dei responsabili delle attività di governance, successivamente alla data di riferimento del bilancio”[42]. Il principio di revisione in parola raccomanda invero al revisore legale un supplemento di controllo qualora lo stesso prenda coscienza che la ragione del ritardo nell’iter di formazione e approvazione del progetto di bilancio sia connesso alla valutazione del management in ordine alla sussistenza dei requisiti della continuità aziendale[43].
Da tale evidenza, e dal conseguente controllo “rafforzato” previsto in capo al revisore, risulta dunque confermato che la verifica del postulato della continuità aziendale è logicamente un prius rispetto alla redazione del progetto di bilancio e al connesso avvio del procedimento diretto alla sua approvazione. In altre parole, la previsione da parte dei Principi di Revisione di un “comprensibile” ritardo significativo nella formazione del bilancio derivante dalla verifica de quo, connesso alla problematica dell’accertamento del presupposto in esame, lascia intendere che l’adempimento da parte degli amministratori degli obblighi procedurali del bilancio deve sempre cedere il passo all’adempimento dell’obbligo di appurare preliminarmente la capacità della società di operare come ente in funzionamento: riscontro che si colloca in una fase anteriore da un punto di vista cronologico e su un rango sovraordinato sul piano assiologico[44].
L’insieme delle indicazioni sin qui richiamate induce pertanto a ritenere che il postulato della verità (veridicità) nella redazione del bilancio giustifichi la decisione degli amministratori di rinviare la predisposizione e l’approvazione del bilancio ad un’epoca in cui la società possa compiutamente tenere conto e recepire gli effetti, nella predisposizione dei dati patrimoniali, economici e finanziari, dell’avanzamento del percorso di soluzione della crisi che è stato avviato ed è in fieri. Si tratta di principio applicabile soltanto in situazioni del tutto eccezionali, nelle quali sino all’acquisizione di tale set documentale risulti impossibile esprimere una valutazione sul presupposto della continuità aziendale: situazioni che devono essere comunque circoscritte entro un perimetro temporale limitato e non possono protrarsi oltre l’arco cronologico strettamente necessario all’acquisizione dei documenti necessari (nella specie, del piano di risanamento)[45]. 
Al riguardo esiste peraltro una casistica, nota alla prassi delle ristrutturazioni anche se in larga misura “carsica” (priva cioè di riscontri in giurisprudenza e con rari momenti di emersione nella riflessione dottrinale), relativa a emittenti che, trovandosi nell’ambito di un processo di risanamento e nell’incertezza circa il relativo esito, valutano di attendere il perfezionamento del “piedistallo pianificatorio” e i relativi riscontri e indicazioni in ordine alla definizione dell’esito di detto processo in corso risultanti dalle trattative con i creditori, così da procedere alla redazione del bilancio con una più nitida valutazione delle prospettive di continuità aziendale[46].
Deve trattarsi, giova ribadirlo, di situazioni eccezionali di obiettiva (e transitoria) impossibilità di operare la valutazione in ordine alla continuità, nelle quali non mancano del resto precedenti, relativi peraltro a società quotate o loro controllate, nei quali si è fatto ricorso, quale extrema ratio, a una comunicazione resa ai sensi dell’art. 114 del Testo Unico della Finanza, in luogo del bilancio separato approvato, viste le incertezze connesse alla soluzione negoziata della crisi della legal entity interessata.
7 . Segue. Profili di responsabilità degli organi sociali e invalidità delle deliberazioni assembleari
Con riferimento alla fattispecie in esame si deve ulteriormente osservare come, pur nell’assenza di precedenti esattamente in termini, la decisione di rinviare la redazione del bilancio al momento dell’acquisizione del set documentale necessario per un’affidabile valutazione in ordine al presupposto della continuità aziendale risulti più cautelativa per gli stessi organi di amministrazione e controllo. A tale riguardo vanno infatti considerate le gravi responsabilità che potrebbero derivare in capo ai componenti di tali organi dalla redazione e dal deposito di un bilancio non conforme ai principi di redazione. 
La decettività di tali indicazioni potrebbe invero esporre a possibili azioni da parte di terzi che abbiano fatto affidamento sulla correttezza della rappresentazione (e dei suoi presupposti), ai sensi dell’art. 2395 c.c.[47], mentre non potrebbe escludersi anche l’esperimento di a responsabilità da parte della società e dei suoi creditori (artt. 2392 e 2394 c.c.). Per contro, il ritardo nella predisposizione dei prospetti e nel loro deposito potrebbe fondare tutt’al più, e solo ove ritenuto non legittimo (a differenza di quanto qui sostenuto), una giusta causa di revoca ex art. 2383 c.c.[48], non parendo allo stato prospettabili danni eziologicamente riferibili al rinvio. 
Tale osservazione vale a confermare, dall’angolo prospettico delle azioni prospettabili, quanto più sopra rilevato sul piano assiologico: il danno che potrebbe derivare agli interessi degli stakeholders dalla pubblicazione di un bilancio redatto sulla base di una profonda incertezza di fondo in relazione ad un elemento fondamentale, quale la continuità aziendale, risulta di essere di gran lunga superiore ai danni che questi potrebbero subire da una pubblicazione oltre i termini di legge. E va al riguardo rammentato che i principi contabili, al fine di valutare la rilevanza di un errore contabile, fanno sempre riferimento agli effetti che questo potrebbe avere sulle decisioni degli stakeholder
In particolare, nel principio OIC 29 si qualifica rilevante quell’errore che può portare gli stakeholders ad assumere una decisione differente da quella che avrebbero preso se avessero avuto l’informazione corretta. Più precisamente, il principio ora richiamato evidenzia come alcuni eventi verificatisi tra la data di chiusura del bilancio e la data di sua formazione potrebbero “far sorgere la necessità di considerare se, nella redazione del bilancio d'esercizio, sia ancora appropriato basarsi sul presupposto della continuità aziendale” (§ 59), soggiungendo che, nel caso in cui la società non sia più nelle condizioni di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito, sarà “necessario che nelle valutazioni di bilancio si tenga conto degli effetti del venir meno della continuità aziendale" (§ 59, c). In questo quadro, pertanto, un accadimento di gestione con impatto sulla “prospettiva della continuità aziendale”, anche se intervenuto dopo la chiusura dell'esercizio, “deve essere rilevato in bilancio per riflettere l'effetto che tali eventi comportano sulla situazione patrimoniale e finanziaria e sul risultato economico alla data di chiusura dell'esercizio” (§ 60)[49].
Da tali principi traspare dunque la consapevolezza che il rischio di indurre ad assumere una decisione non corretta si rivela evidentemente più elevato nelle ipotesi in cui sia formalmente rispettata la scadenza pervenendo però ad una informazione errata, piuttosto che se si garantisce, pur con un lieve ritardo, una informazione corretta[50]. E tale prospettiva getta una luce più vivida sul il riferimento, più sopra operato, alla portata dell’art. 2423 c.c. e al rapporto tra norme generali (i postulati) e norme specifiche (criteri formali e sostanziali). Nel nostro ordinamento il rapporto è di tipo “aperto”, ovvero i postulati sono in posizione di preminenza e le norme specifiche sono applicabili nella misura in cui riescano a tradurre (o “mettere in pratica”) le norme generali. La conferma di questa impostazione sta appunto nel codice civile laddove si prevede che, nelle ipotesi in cui i criteri non siano in grado di esprimere compiutamente e correttamente la norma generale, l’estensore del bilancio, motivando la sua scelta, se ne può discostare. Se questo vale nella relazione tra postulati e criteri, a maggior valore deve valere per la relazione tra norme generali e disposizioni procedurali, che comprendono i termini di pubblicazione del bilancio.
Sotto altro versante vanno sottolineati, oltre ai corollari negativi della già preannunciata impossibilità di emettere la propria opinion da parte del revisore (anche sulle trattative appena avviate nell’ambito della composizione negoziata), i rischi di una impugnativa per nullità della deliberazione, la quale approvi il bilancio non chiaramente e correttamente rappresentativo della situazione e del risultato dell’impresa, che verrebbe ad assumere un oggetto in contrasto con norme imperative poste a presidio di interessi che trascendono le posizioni dei soci e, come tale, affetta da nullità in quanto deliberazione con oggetto illecito ai sensi dell’art. 2379 c.c.[51].
Per contro, nell’ipotesi di inosservanza del termine per la convocazione dell’assemblea chiamata ad approvare il bilancio, dottrina e giurisprudenza sono concordi nell’affermare l’impossibilità di desumerne corollari in punto di invalidità (rectius, annullabilità) della relativa delibera[52], posto che non si tratta di un termine perentorio, né dilatorio, bensì meramente acceleratorio, avente la funzione di fissare un limite alla situazione di incertezza in ordine alla determinazione del bilancio[53]. Scaduto il termine legale, pur nell’assenza di una norma specifica che individui univocamente il termine ultimo entro il quale l’assemblea può procedere all’approvazione assembleare del progetto di bilancio, permane l’obbligo degli amministratori alla redazione del bilancio e alla convocazione dell’assemblea dei soci, che costituisce la premessa logica per adempiere agli obblighi pubblicitari[54].
Al proposito non appare tautologico ricordare che, così come la mancata predisposizione del progetto di bilancio non consente successivamente di convocare l’assemblea per provvedere all’approvazione di un documento ancora inesistente, la mancata convocazione (e, dunque, la mancata approvazione) preclude a sua volta il deposito del bilancio, degli allegati e del verbale di approvazione assembleare presso il Registro delle Imprese, da effettuarsi entro trenta giorni dalla data dell’approvazione assembleare. 
A quest’ultimo riguardo, va sottolineato che il ritardo, come risulta chiaramente dalla lettera della legge, è equiparato alla mancata esecuzione: è sufficiente, infatti, non depositare il bilancio nei termini prescritti per incorrere nella sanzione amministrativa pecuniaria prescritta dall’art. 2630 c.c., non prevendendosi esenzioni e neppure graduazioni in relazione alla gravità del ritardo stesso; di conseguenza, il successivo deposito tardivo del bilancio non consentirà l’esenzione dalla sanzione, ma semplicemente la cessazione della permanenza dell’illecito[55]. 
In questo quadro, con riferimento alla fattispecie in esame si viene a prospettare un’alternativa “secca”: o si ritiene, in coerenza alle conclusioni alle quali si è qui pervenuti, che nell’inedita situazione considerata sussistano i presupposti che giustificano – rectius, impongono – un ritardo nella predisposizione del bilancio, nel breve arco temporale che consentirà di operare una consapevole valutazione sulla prospettiva della continuità aziendale della Società, sostenuta da un adeguato set di informazioni, alla luce del piano predisposto dall’Advisor e dei primi esiti delle trattative condotte sotto l’egida dell’esperto nell’ambito della composizione negoziata; oppure risulterebbero già oggi configurabili in capo agli organi sociali le fattispecie integranti gli illeciti amministrativi di cui agli artt. 2630 e 2631 c.c.[56], rimanendo irrilevante sotto questo profilo l’entità del presunto ritardo, e dunque la data di convocazione dell’assemblea e di deposito del bilancio dalla stessa approvato, essendo entrambe comunque successive al termine ultimo fissato dalla legge per detti adempimenti. Tertium non datur.
Conclusivamente, in relazione al secondo quesito, si ritiene di poter affermare che la situazione del tutto eccezionale in cui verte la Società, alla luce degli effetti della richiamata decisione della Cassazione, imponga (o quanto meno giustifichi), la posposizione della redazione del bilancio di esercizio al momento in cui, acquisito il piano di risanamento attualmente in corso di predisposizione da parte dei professionisti incaricati dalla Società, gli amministratori saranno in grado di esprimere una valutazione in ordine alla continuità aziendale tale da garantire la redazione di un bilancio in grado di offrire una rappresentazione chiara veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria della società e del risultato economico dell’esercizio, così come richiesto dall’articolo 2423 c.c.
8 . Sul calcolo degli interessi dovuti a seguito del venir meno della procedura concordataria (Quesito sub iii)
Com’è noto in forza del richiamo nell’art. 96 CCII agli artt. 153 ss. CCII dalla data di presentazione della domanda di concordato preventivo rimane sospeso il decorso degli interessi – convenzionali e legali, corrispettivi, compensativi o moratori[57] – sui crediti chirografari (v. per la liquidazione giudiziale l’art. 154, comma 1, CCII), mentre continuano a decorrere quelli sui crediti assistiti da una causa legittima di prelazione secondo la disciplina dell’art. 153, comma 3, CCII
È pacifico che la previsione dell’art. 154, comma 1, CCII deve essere intesa nel senso che gli interessi rimangono sospesi rispetto ai crediti chirografari sino al momento in cui il decreto di omologazione diviene definitivo; il decorso degli interessi riprende successivamente a tale data o in caso di anticipata cessazione della procedura concorsuale o di risoluzione o annullamento del concordato.
Occorre altresì considerare che l’art. 154, comma 1, CCII prevede la sospensione degli interessi “agli effetti del concorso”.
Si tratta invero di espressione che dà luogo a interpretazioni contrastanti quanto alla sorte degli interessi sospesi pendente la procedura concorsuale.
La dottrina e la giurisprudenza maggioritaria ritengono che l’espressione implichi una distinzione disciplinare tra gli effetti endoprocedurali e gli effetti esoprocedurali. Il regime degli interessi all’interno della procedura andrebbe quindi distinto da quello al di fuori dalla medesima. Solo quest’ultimo, peraltro, è il regime che rileva per rispondere al quesito in esame, stante il fatto che – come ricordato – nel caso di specie il concordato della Società è stato travolto dal rigetto in via definitiva (in Cassazione) del ricorso contro il provvedimento che ha accolto il reclamo avvero l’originario decreto di omologa. 
Secondo la tesi in esame, la sospensione del decorso degli interessi varrebbe solo all’interno del concorso e agli effetti dello stesso (per es. in ordine alla quantificazione del credito in funzione dell’ammissione allo stato passivo nella liquidazione giudiziale) e non si estenderebbe anche ai singoli rapporti correnti tra ciascun creditore e il fallito laddove per qualunque vicenda (risoluzione o mancata omologazione in via definitiva del concordato, revoca del fallimento) cessi la procedura concorsuale alla quale sia stato inizialmente sottoposto il debitore. Dall’art. 154 CCII (già 55 L. fall.) si evincerebbe a contrario la decorrenza degli interessi fuori dal concorso. Pertanto – non essendo la durata della procedura imputabile al creditore, che anzi ne subisce gli stringenti effetti ex artt. 51 ss. legge fall. – gli interessi continuerebbero a maturare al di fuori del concorso e dunque nei rapporti tra il singolo creditore e debitore originariamente sottoposto a procedura concorsuale[58]. Più precisamente, secondo la Cassazione “una volta chiuso il fallimento, i creditori possono chiedere al fallito in sede post-fallimentare, il pagamento della residua somma non ricevuta nella ripartizione dell’attivo, calcolati gli interessi come normalmente e ordinariamente prodottisi anche in rapporto al tempo della pendenza del processo di fallimento”[59]. 
Ovviamente il medesimo principio di diritto risulta trasponibile anche al concordato preventivo, a condizione che venga meno, come nel caso di specie, l’omologazione e quindi l’effetto esdebitatorio ad essa conseguente[60]; conclusione che trova conferma anche nel nuovo contesto normativo, stante il fatto che l’art. 154, comma 1, CCII, dettato con riferimento alla liquidazione giudiziale, è richiamato anche per la procedura concordataria. 
Sulla base del principio di diritto espresso dalla Suprema Corte i crediti verso la Società facenti parte della massa passiva del concordato andrebbero computati, una volta che sia venuta meno la procedura concorsuale, maggiorati anche degli interessi decorsi nel lasso di tempo fra la domanda di apertura della stessa e la sentenza della Corte di Cassazione che ha definitivamente fatto venir meno l’omologa originariamente concessa.
Non si può tuttavia sottacere l’esistenza di una tesi minoritaria, ma autorevolmente sostenuta, che perviene alla conclusione opposta, per la quale la maturazione degli interessi durante la procedura concorsuale (ma non “agli effetti” del concorso) sarebbe preclusa da elementi e circostanze collegati alla natura del credito concorrente: quali, in primo luogo, l’inesigibilità di quest’ultimo pendente la procedura concorsuale stessa (per quanto concerne gli interessi legali o corrispettivi: v. l’art. 1232 c.c.) e il fatto che il ritardo nel soddisfacimento dei creditori ammessi al passivo fallimentare non è imputabile a una condotta di inadempimento del debitore fallito,poiché a quest’ultimo è precluso ex lege ogni pagamento dei debiti concorsuali pregressi, venendo pertanto meno la causa giustificativa della decorrenza degli interessi moratori[61].
Comunque, non essendo questa la sede per verificare la preferibilità dell’una o dell’altra opinione, ai fini del presente parere è sufficiente porre in risalto che se l’organo amministrativo della Società contabilizzerà in bilancio gli interessi maturati pendente il concordato, tale scelta dovrebbe essere considerata – nonostante il descritto contrasto interpretativo – ragionevole e non suscettibile di incorrere in eventuali future contestazioni, in quanto coerente con l’opinione consolidata e assolutamente prevalente all’interno del panorama della nostra giurisprudenza teorica e pratica. In quanto tale detta opzione prudenziale risulta rispondente sia al canone della diligenza, che deve informare l’espletamento dell’incarico degli amministratori di società di capitali, sia ai principi che presiedono alla redazione del bilancio. 
Per rispondere, infine, al sotto-quesito di cui al p.to iii) si può preliminarmente enucleare sulla base dell’ordinamento vigente (sul punto non innovato dal Codice della crisi) il principio in base al quale le pretese creditorie vantate verso un debitore originariamente sottoposto a procedura concorsuale devono essere necessariamente assoggettate alla disciplina comune delle obbligazioni, sotto i profili dell’esistenza, validità ed efficacia, nel momento in cui tale procedura concorsuale cessi[62]. 
In ossequio a tale principio appare possibile concludere che, nel caso di specie, agli interessi moratori occorre applicare la disciplina di diritto civile, giacché la procedura concorsuale avviata nei confronti di Alfa è definitivamente venuta meno, ragion per cui trattasi di società formalmente in bonis e, pertanto, soggetta al diritto comune. Ciò, peraltro, è confermato dal fatto che nella disciplina concorsuale non sussistono regole speciali in materia di presupposti per il decorso degli interessi moratori che possano dare origine a dubbi in ordine all’applicazione del suddetto principio.
Da tale angolo prospettico va rammentato che l’art. 1219 c.c. distingue i casi nei quali il creditore ha l’onere di operare la costituzione in mora del debitore inadempiente (comma 1) da quelli nei quali la costituzione in mora non è necessaria (comma 2). Dal giorno della mora decorrono gli interessi moratori secondo la disciplina di cui all’art. 1224 c.c. Pertanto, è a tale disciplina che deve farsi riferimento anche nel caso di specie; con l’unica eccezione, tuttavia, costituita dalla regola di cui al D.Lgs. 231/2002 (modificato dal d.lgs. 192/2012) sui ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali. In caso di ritardato pagamento del prezzo relativo a una transazione commerciale il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori calcolati al saggio di cui all’art. 5 di detto decreto, dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, senza che sia necessaria la costituzione in mora, salvo che il ritardo non sia imputabile al debitore. Si tratta di una disciplina che ha dato luogo a un accesso contrasto giurisprudenziale, che però non rileva rispetto al caso in esame, trattandosi di questione attinente all’ipotesi nella quale penda una procedura concorsuale che, al contrario, non ricorre rispetto alla Società.
9 . Sulla imputazione dei pagamenti eseguiti in sede di riparto concordatario (Quesito sub iv)
Le conclusioni alle quali si è pervenuti nel paragrafo precedente consentono di affrontare e risolvere anche l’ultimo quesito oggetto del presente parere. 
Ai sensi dell’art. 1194 c.c. il criterio legale di imputazione dei pagamenti parziali è quello per cui essi, salvo diverso espresso accordo fra le parti, si computano come corresponsione prima degli interessi e poi del capitale. 
I pagamenti effettuati sulla base del piano sotteso al concordato preventivo a cui è stata ammessa la Società rimangono senz’altro fermi, in applicazione analogica della regola di cui al comma 3 dell’art. 252 CCII (che riproduce quanto già previsto dall’art. 140 L. fall. per il concordato fallimentare)[63]. Tali pagamenti – da ritenersi non più satisfattori dei crediti concorrenti per effetto dell’esdebitazione conseguente al concordato preventivo, ma meri adempimenti parziali rispetto all’intero ammontare degli stessi previsto ex contractu e da soddisfare integralmente venuto meno il corollario del concordato omologato – vanno imputati, in base alla regola legale dell’art. 1194 c.c., prima agli interessi e poi al capitale.

Note:

[1] 
Sui presupposti oggettivi della composizione negoziata v. Jorio, Qualche ulteriore considerazione sul D.L. 118/2021, e ora sulla legge 21 ottobre 2021, n. 147, su Ristrutturazioni aziendali; A. Rossi, I presupposti della CNC, tra debiti dell’imprenditore e risanamento dell’impresa, su Dirittodellacrisi.it; Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, su ilcaso.it; Panzani, La composizione negoziale dopo lo schema di decreto legislativo del c.d.m. in Dirittodellacrisi.it; Bonfatti, Profili della composizione negoziata della crisi d’impresa - natura giuridica, presupposti e valutazioni comparative in Dirittodellacrisi.it; Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. 118 del 2021 in Dirittodellacrisi.it; Quagli, Riflessioni aziendali sulla ammissione alla composizione negoziata (d.lgs. 118/2021), su Ilcaso.it, 10 gennaio 2022; Ranalli, Dall’allerta alla composizione negoziata. Flessibilità, semplificazione e trasparenza del nuovo strumento in Dirittodellacrisi.it.
[2] 
In tal senso la dottrina (Jorio, op. cit., 4; Ambrosini, op. cit., 7; Quagli, op. cit., 4) e la giurisprudenza prevalenti (T. Arezzo 16 aprile 2022, inedita; T. Bergamo, 25 maggio 2022, su Ilcaso.it). 
[3] 
Pagni-Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata e viceversa, cit. E v già lo spunto magistralmente offerto, con riguardo all’originaria versione del Codice della crisi, da Jorio, La riforma della legge fallimentare tra utopia e realtà, in Dir. fall., 2019, I, 290 s.s, ove si sottolineava l’esigenza di un’apertura delle procedure di allerta ad accogliere anche situazioni di insolvenza, purché reversibile. Conf. sul punto D’Alonzo, I compiti dell’esperto, tra adempimenti e scadenze, su Dirittodellacrisi.it, 11 gennaio 2022, 1 ss., nonché le convergenti indicazioni offerte dal Decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia del 28 settembre 2021, di attuazione del D.L. n. 118 del 2021, Sezione III (Protocollo di conduzione della composizione negoziata).
[4] 
E v. al riguardo anche Quattrocchio-Bellando, Continuità aziendale, crisi e insolvenza, in Diritto ed economia dell’impresa, 2017, 138 ss. e 141.
[5] 
Fortunato, Insolvenza, crisi e continuità aziendale nelle riforme delle procedure concorsuali: ovvero la commedia degli equivoci, in Dir. fall., 2021, I, 28.
[6] 
Così, pur dubitativamente, Fortunato, op. cit., 28 e, in modo più netto, Id., Assetti organizzativi e crisi d’impresa: una sintesi, in Rivista ODC, 2021, 572. V. nel senso di rendere la valutazione della continuità aziendale indicatore della sussistenza della crisi anche l’art. 3, comma 3, lett. b), CCII.
[7] 
Trib. Bergamo, 15 marzo 2022, su Ilcaso.it; e v. V. Minervini, La “composizione negoziata nella prospettiva del recepimento della direttiva “insolvency”. Prime riflessioni”, su Ilcaso.it, 17 ottobre 2021, 16.
[8] 
Trib. Bergamo, 15 febbraio 2022, su Dirittodellacrisi.it; Id, 15 marzo 2022, su Dirittodellacrisi.it, cit.; Id., 5 luglio 2022, su Dirittodellacrisi.it; Trib. Arezzo, 16 aprile 2022, cit.; V. Minervini, op. cit.; Bonfatti, op. cit.
[9] 
E v. la giurisprudenza sopra citata.
[10] 
Così Ranalli, Il comportamento dell’imprenditore ed il ruolo dell’esperto anche alla luce del decreto dirigenziale, in Fall., 2021, 1518; e v. il punto 2.4. del citato Decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia del 28 settembre 2021, sul quale anche infra.
[11] 
Così Panzani, Gli esiti, cit.
[12] 
Così Pagni-Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata e viceversa, cit. (enfasi aggiunta), per i quali, specularmente, “la via della composizione non sarà praticabile se, pur in una situazione di crisi appena accennata, non vi siano le condizioni per proseguire l’attività, neppure mediante trasferimento dell’azienda a terzi” (come nel caso “dell’impresa che produce beni o servizi obsoleti e che non abbia le capacità o le risorse per una riconversione in beni o servizi produttivi”). Sull’esigenza di una lettura quanto più lata del presupposto della crisi, con spostamento del fuoco dalla nozione di insolvenza a quella della risanabilità, anche a seguito dell’emergenza pandemica, v. Abriani-Palomba, Strumenti e procedure di allerta: una sfida culturale, cit. in www.osservatorio-oci.org; Abriani, Il diritto delle imprese tra emergenza e rilancio nella sostenibilità, in Abriani, Caselli, Celotto, Di Marzio, Masini, Tremonti, Il diritto e l’eccezione, Roma, 2020, 101 ss.; Fabiani, Prove di riflessioni sistematiche per le crisi da emergenza Covid-19, in Fallimento, 589 ss.; Stanghellini, La legislazione d’emergenza in materia di crisi d’impresa, in Riv. soc., 2020, 356 ss.; Fimmanò, La resilienza dell’impresa di fronte alla crisi da coronavirus mediante affitto d’azienda alla newco-start up, auto-fallimento e concordato “programmati”, in Riv. not., 2020, 165 ss.; V. Minervini, Il (necessario) ripensamento delle procedure concorsuali dopo il “lockdown: dal concetto di “insolvenza” a quello di “risanabilità”?, in Dir. fall., 2020, p. 965.
[13] 
In tal senso il Decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia del 28 settembre 2021, Sezione III (Protocollo di conduzione della composizione negoziata), 2.4, cit.
[14] 
E v. ancora il Decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia del 28 settembre 2021, ove tale situazione viene tipicamente ravvisata “a fronte i) di una continuità aziendale che distrugge risorse, ii) dell’indisponibilità dell’imprenditore a immetterne di nuove, iii) dell’assenza di qualsiasi valore del compendio aziendale”, la cui convergenza renderebbe “assai remote” le probabilità che l’insolvenza sia reversibile, “indipendentemente dalle scelte dei creditori”.
[15] 
Trib. Bergamo, 15 febbraio 2022, cit.
[16] 
Trib. Bergamo, 15 marzo 2022, cit.
[17] 
Sul carattere prognostico della valutazione relativa alla continuità aziendale v. fra i molti Ordine dei Dottori Commercialisti e degli esperti Contabili di Roma, La continuità aziendale, 2016, 6 e passim
[18] 
Trib. Bergamo, 15 marzo 2022, cit.
[19] 
Sul rapporto tra presupposti e approdi della composizione negoziata v. Lamanna, Criticità del presupposto oggettivo della composizione negoziata, su Ilfallimentarista.it, 20 aprile 2022.
[20] 
Sugli esiti delle trattative v. Zanichelli, Gli esiti possibili della composizione negoziata, in Dirittodellacrisi.it e Panzani, Gli esiti possibili delle trattative e gli effetti in caso di insuccesso, in Fall., 2021, 1591 ss. che precisa come anche gli esiti di cui all’art. 23, comma 2, CCII non debbano essere considerati come corrispondenti a un insuccesso delle trattative. 
[21] 
Per tutti Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 2004, 176 ss.
[22] 
Jorio, op. cit., 4.
[23] 
Trib. Bergamo, 15 marzo 2022, cit.
[24] 
Principio contabile OIC 11, p.ti 21 ss.; IAS 1. 
[25] 
Cagnasso, La disciplina civilistica dei bilanci: il ruolo dei principi contabili nazionali, in NDS, 2016, 10 ss.
[26] 
In altre parole, l’obbligo permane (e per alcuni versi si intensifica), ma viene ridefinito nei suoi termini di esecuzione, imponendosi (o, quanto meno, giustificandosi) un supplemento di riflessione all’esito dell’acquisizione del necessario set documentale in corso di elaborazione. 
[27] 
Cfr. Trib. Milano, 7 novembre 2003, in Giur.it., 2004, 340; Strampelli, Art. 2423, in Le società per azioni, Milano, I, 2016, 2171, (ove ult. riff.). Nell’ampia dottrina aziendalistica, si vedano, per tutti, Ferrero-Dezzani-Pisoni-Puddu-Campra, Contabilità e bilancio d’esercizio, Milano, 2008; Superti Furga, Il bilancio di esercizio italiano secondo lanormativa europea, Milano, 2017; Giunta-Pisani, Il bilancio, Apogeo-Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2008, 26; Onesti-Romano-Taliento, Il bilancio di esercizio nelle imprese. Dal quadro concettuale di riferimento alle nuove regole contabili nazionali e internazionali, Giappichelli, Torino, 2016.
[28] 
Strampelli, op. cit., 2182. 
[29] 
Nell’ampia letteratura in argomento, si veda, per tutti, Provasoli, Bilancio. Valutazioni, lettura, analisi, Milano 2007, 20; Ferrero, I complementari principi della chiarezza e della verità nella redazione del bilancio d’esercizio: contributo all’interpretazione degli articoli 2423 e 2423-bis dell’innovato Codice civile, Milano, 1991. E v. sul punto anche la Relazione ministeriale di accompagnamento del D.Lgs. n. 127 del 1991, ove viene puntualizzato il concetto di verità/veridicità, ponendolo in parallelo con la “true and fair view” di matrice anglosassone.
[30] 
E v. Van Hulle The true and fair view override in the European Accounting Directives, in European Accounting Review 6.4 (1997), 711 ss.
[31] 
Oltre agli contributi citati alle note precedenti, v. Savioli, La continuità aziendale nel bilancio 2020, tra prassi contabile e provvedimenti emergenziali, 4 marzo 2021, su Commercialisti.mo.it.
[32] 
Strampelli, op. cit., 2173.
[33] 
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli esperti Contabili di Roma, La continuità aziendale, cit., 5 ss.
[34] 
Quanto al principio di prevalenza della sostanza sulla forma, si è anche qui ben consapevoli che, secondo l’opinione corrente, la portata applicativa della deroga in questione parrebbe concepita dal legislatore in termini particolarmente stringenti, come confermerebbe il riferimento testuale ai “casi eccezionali”. Tuttavia, da un lato, la giurisprudenza ne ha avallato un’applicazione più ampia, attribuendo rilievo all’incompatibilità con l’obiettivo del rispetto delle clausole generali e svalutando il necessario accertamento della sussistenza del presupposto dell’eccezionalità delle circostanze (Cass., 8 giugno 2007, n. 13503, in Foro.it., 2008, 1, 206); dall’altro, anche a voler collegare alla norma un’estensione circoscritta, in ossequio al suo tenore letterale, i “casi eccezionali” menzionati dalla legge vengono individuati nell’esistenza di uno scenario gestionale del tutto atipico o imprevedibile, ove tra l’altro un’applicazione formalistica delle norme sul bilancio avrebbe l’effetto di dare ai terzi una rappresentazione potenzialmente decettiva della realtà fattuale sottesa ai prospetti contabili. E tale scenario sussiste senza dubbio, per quanto già rilevato, rispetto alla particolarissima situazione in cui si trova attualmente la Società. In dottrina, circa il raccordo tra principi nazionali OIC, principi civilistici e principi IAS/IFRS, in particolare in ordine alla dialettica tra le due posizioni della “prevalenza della forma sulla sostanza” e della “sostanza sulla forma”, rimanendo il corpus dei principi nazionali fondamentalmente coerente con la prima impostazione, si esamini Dezzani-Biancone-Busso, IAS/IFRS, Milano, 2020, Introduzione, par. 2. 
[35] 
Come noto, l’ambito di applicazione della disposizione de qua è stato sinora ricostruito in modo da ricomprendervi fattispecie che non ricorrono nel caso di specie; nondimeno, non sembra fuori luogo riportare la ratio anche di questa disposizione a un principio più generale volto a legittimare il redattore del bilancio a ricorrere alla deroga obbligatoria ogni qualvolta si tratti di dare concreta attuazione alla supremazia delle clausole generali su tutte le altre disposizioni in materia di bilancio: disapplicando allora non soltanto quelle alle quali la norma in esame si riferisce espressamente (ossia gli artt. 2343 bis ss. c.c.), ma qualunque regola che possa essere giudicata suvvalente rispetto ai principi sovraordinati di veridicità, correttezza e chiarezza (e per uno spunto in tale direzione, sebbene in modo non così esplicito, v. Strampelli, op. cit., 2182).
[36] 
Per un’analisi storica ed economica del principio di rilevanza, si faccia riferimento a Johnson-Kaplan, Relevance Lost: The Rise and Fall of Management Accounting, Boston, 1987.
[37] 
Si veda, per tutti, Amigoni, I sistemi di controllo direzionale, Milano, 1979.
[38] 
Cfr. Onida, Il bilancio d’esercizio nelle imprese, Milano, 1974. Il Maestro, fondatore della Scuola torinese e della Scuola romana (La Sapienza) degli studi di Ragioneria, ha orientato il suo insegnamento alla rilevanza dell’informazione di bilancio come primario finalismo dello strumento.
[39] 
Cfr. Organismo Italiano di Contabilità, OIC n. 11. Finalità e postulati del bilancio d’esercizio, al par. 3.
[40] 
Cfr. Aa.Vv., I principi contabili nazionali OIC commentati, Trento, 2022, 67 s.
[41] 
E v. la già richiamata Relazione ministeriale di accompagnamento del D.Lgs. n. 127/1991.
[42] 
Così il Principio ISA 570 al par. 26. 
[43] 
Più precisamente, di fronte al ritardo significativo nella redazione del bilancio “collegato ad eventi o circostanze relativi alla valutazione della continuità aziendale”, il par. 26 del Principio ISA 570 impone al revisore di “svolgere le ulteriori procedure di revisione necessarie, come descritto al paragrafo 16, oltre a considerare gli effetti di tali eventi o circostanze sulle proprie conclusioni relative all’esistenza di un’incertezza significativa, come descritto al paragrafo 18”. E merita di essere segnalato che tra gli eventi o circostanze che possono far sorgere dubbi significativi sulla capacità dell'impresa di continuare ad operare come un'entità in funzionamento, siano annoverati anche i procedimenti legali o regolamentari in corso che, in caso di soccombenza, possono comportare richieste di risarcimento alle quali l'impresa probabilmente non è in grado di far fronte. In funzione di tali eventi il revisore deve procedere a valutare le iniziative che la società ha assunto o sta assumendo per fronteggiare gli effetti di tali incertezze sulla continuità aziendale e verificare che la valutazione della capacità dell'impresa di continuare ad operare come un'entità in funzionamento includa tutte le informazioni pertinenti e copra un periodo di almeno dodici mesi dalla data di riferimento del bilancio. Il giudizio di revisione deve quindi tenere conto dell’adeguatezza dell’informativa di bilancio sugli eventi o le circostanze principali che possono far sorgere dubbi significativi sulla capacità dell'impresa di continuare ad operare come un’entità in funzionamento, nonché sui piani della direzione per far fronte a tali eventi o circostanze.
[44] 
Un ulteriore spunto è desumibile dal Draft di Conceptual Framework recentemente approvato per il settore pubblico. Il riferimento è al Framework per i principi contabili europei per le amministrazioni pubbliche, ove si sottolinea in questi termini la possibilità di compromessi tra le qualità della faithfulness e della timeliness: Balance between the individual qualitative characteristics and application principles - The qualitative characteristics work together to contribute to the usefulness of information. In some cases, a balancing or trade-off between individual qualitative characteristics and application principles may be necessary to achieve the objectives of financial reporting. The aim is to achieve an appropriate balance among the individual qualitative characteristics and application principles in order to meet the objectives of financial reporting”. Assai meno convincente è l’ulteriore passaggio del documento in esame nel quale sembrerebbe inopinatamente escludersi l’esistenza di una gerarchia tra le qualità richiamate (“Qualitative characteristics and application principles are all self-standing and mutually limiting each other. No hierarchy among them is herewith defined, also taking into consideration that a hierarchy might impact adversely on the ability of the standard-setter to cope with emerging cases in the future”), laddove l’esistenza di tale gerarchia pare incontestabile, per le ragioni più ampiamente richiamate nel testo.
[45] 
Né una indicazione contrastante pare desumibile dalla disciplina emergenziale che, come noto, ha permesso alle imprese di godere di una sorta di presunzione di continuità aziendale purché sussistente alla data di chiusura dell’esercizio anteriore all’evento pandemico, accordando dilazioni predefinite anche in questo caso ex lege ai termini di redazione e approvazione dei prospetti contabili (art. 7 del D.L. 8 aprile 2020, n. 23, sul quale v. Abriani, Il diritto delle imprese tra emergenza e rilancio nella sostenibilità, cit., 121 ss.; Capalbo, Macchioni, Smarra, Sorrentino, Il principio di continuità aziendale nella redazione e nella revisione dei bilanci nell’emergenza Covid-19, in Oltre la pandemia, a cura di Palmieri, Napoli, 2020, I, 433 ss.). Si tratta, sotto entrambi i versanti, di una previsione di carattere eccezionale, non applicabile al di fuori dei casi dalla stessa disciplinati e certamente non trasponibile alla fattispecie in esame. Del resto, in quel caso non esisteva la possibilità, con un differimento contenuto, di fornire un bilancio sulla base di una autonoma valutazione della continuità nell’arco temporale di riferimento; per contro, nel caso in esame si tratta di operare un rinvio limitato nel tempo, giustificato dal perfezionamento del piano di risanamento, nonché dall’adozione dei provvedimenti richiesti dal Tribunale e dall’avvio delle trattative con i creditori nell’ambito della composizione negoziata.
[46] 
Esemplare è il caso della società Exprivia s.p.a. (società quotata sul mercato Euronext Milano, controllante di Italtel s.p.a.). Tale società, stata ammessa alla procedura di concordato preventivo dopo una fase di trattativa con i principali creditori, risulta aver approvato i bilanci relativi agli esercizi 2019 e 2020 in data 23 giugno 2021. Con riferimento a tale fattispecie, effettivamente estrema nella sua proiezione temporale, si riporta il seguente (ed eloquente) estratto della relazione sulla gestione: “Il ritardo dell’approvazione del Bilancio d’Esercizio al 31 dicembre 2019 è essenzialmente stato causato dall’incertezza che ha caratterizzato, nello scorso anno, l’esito del percorso di risanamento di Italtel e quindi la sussistenza del presupposto della continuità aziendale di quest’ultima. Alla luce della evoluzione della procedura concordataria che ha interessato Italtel, ammessa dal Tribunale di Milano, il Consiglio di Amministrazione di Exprivia, lo scorso 30 aprile, ha proceduto alla predisposizione e approvazione del proprio progetto di bilancio 2019, in quanto ha ritenuto sussistente in termini di elevata probabilità il presupposto della continuità aziendale di Italtel”. E se questa impostazione presuppone una tendenziale giustificazione del ritardo nell’approvazione del bilancio in ragione della pendenza di trattative per la ristrutturazione del debito bancario, nel contesto di un piano di risanamento, tale conclusione dovrebbe trasporsi a fortiori in una fattispecie, come quella in esame, nella quale difettano allo stato finanche i presupposti (la predisposizione e approvazione del piano) necessari per dare avvio alle trattative nel contesto protetto della composizione negoziata. E nella quale, peraltro, l’impossibilità di esprimere la valutazione in ordine alla continuità aziendale, da un lato, è stata determinata, da un evento sopravvenuto di natura e portata inedite e, dall’altro, rimarrebbe contenuta entro il ristretto arco cronologico necessario all’acquisizione del piano in corso di ultimazione e dei primi riscontri da parte dei creditori nell’ambito delle trattative avviate sotto l’egida dell’esperto. Tornando alla richiamata vicenda Exprivia, nonostante i dubbi che può sollevare il protrarsi del ritardo per un arco cronologico così dilatato, quel caso celebre – in quanto riferito a una società quotata, ma non isolato, come segnalato nel testo – vale a ricordare che nessun principio contabile impone di approvare il bilancio a prescindere dal fatto che i numeri più significativi non siano ancora definitivi; e che appare del tutto giustificato un approccio prudente che, in presenza di eventi che potrebbe condizionare l’entità e può dare definitività a poste di bilancio come quelle relative ai beni immateriali, suggerisca di attendere la realizzazione di tale evento nella sua effettiva portata. E v. anche il Documento Banca d’Italia, Consob, Isvap n. 2 del 6 febbraio 2009, ove a p. 6 “si rammenta che un’informazione adeguata non può prescindere dalla necessità di indicare le iniziative che la società ha assunto o sta assumendo (ad esempio piani di ristrutturazione del debito, di rafforzamento del capitale, di riduzione dei costi, di vendita di assets ecc.) per fronteggiare gli effetti di tali incertezze sulla continuità aziendale. Inoltre, gli amministratori devono illustrare in modo adeguato le argomentazioni a sostegno della ragionevolezza di tali soluzioni. Soltanto attraverso una effettiva trasparenza informativa in materia sarà, infatti, possibile valutare la ragionevolezza della conclusione finale in merito all’adozione del presupposto della continuità aziendale”.
[47] 
Al riguardo merita di essere segnalato che, in base a quanto riferitomi, il revisore legale avrebbe già preannunciato l’impossibilità di esprimere il proprio giudizio, rebus sic stantibus, in ordine a un bilancio redatto dalla Società e fondato sul presupposto della continuità aziendale.
[48] 
Come rilevato, la (nella fattispecie, ad avviso di chi scrive, non rilevabile) configurabilità della ritardata predisposizione del bilancio in termini di inadempimento ascrivibile agli amministratori può rilevare ai sensi degli artt. 2392 ss. c.c. solo nei rarissimi casi in cui a tale ritardo sia eziologicamente riconducibile un danno in capo alla società o ai suoi creditori. Sulle sanzioni di cui agli artt. 2630 e 2631 c.c., v. infra nel testo.
[49] 
Tale indicazione, tradotta in termini metaforici, vale a confermare che non si deve per forza prendere il treno all’orario astrattamente indicato, ma che se ci sono eventi rilevanti, accaduti in prossimità dell’arrivo del treno, se ne deve tenere conto: al limite anche posponendo la partenza al momento in cui si assume adeguata consapevolezza sul tipo di viaggio si deve fare. Il richiamato principio di revisione n. 570 rende del resto evidente che se gli amministratori si fanno prendere dalla fretta di salire sul treno, rischiano di avere poi una censura dai revisori, perché non hanno affrontato i requisiti della valutazione delle iniziative e della corretta informativa nel modo più appropriato (e v. in particolare la previsione ricordata supra, alla nt. 43).
[50] 
Il tema è dunque determinare i presupposti in presenza dei quali (e il perimetro temporale entro il quale) il rinvio può considerarsi doveroso o comunque giustificabile.
[51] 
In tal senso, per tutti, Colombo, Il bilancio di esercizio, cit., p. 440 ss. Naturalmente, le irregolarità sostanziali del bilancio rendono altresì gli amministratori, e i sindaci, responsabili dei danni causati alla società; le medesime possono poi dar luogo anche a responsabilità verso il singolo socio, o terzo, direttamente danneggiato che abbia fatto affidamento sulla conformità a legge dei prospetti, ex art. 2395 c.c.
[52] 
In tal senso Cass. 14 agosto 1997, n. 7623, in Giust. civ., 1998, I, p. 85 e App. Bologna 14 marzo 1997, in Giur. comm., 1999, II, 131. In dottrina, per tutti, Serra, Il procedimento assembleare, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, II, Torino, 2006, p. 40.
[53] 
Ove si intendesse diversamente, si perverrebbe all’incongrua conclusione per cui, una volta decorso infruttuosamente il termine, l’assemblea non potrebbe più validamente approvare il bilancio.
[54] 
Dalla lettura dell’art. 2434-bis, comma 1, c.c. si desume un limite implicito, ravvisato nella sopravvenuta “approvazione del bilancio dell’esercizio successivo”, termine oltre il quale verrebbe leso il diritto all’impugnativa da parte dei soggetti legittimati.
[55] 
L’omesso o ritardato deposito è punito con sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 2630 c.c. (che ha sostituito la disciplina del vecchio art. 2626 c.c.) che viene irrogata in capo a “chiunque sia tenuto dalla legge agli adempimenti previsti a causa delle funzioni rivestite in una società o in un consorzio”, ovvero ciascun membro del Consiglio di amministrazione, a prescindere dalle deleghe attribuite, e ciascun sindaco, tutti tenuti al pagamento di una sanzione che varia da 45,78 a 458,67 euro nel caso di differimenti non superiori ai 30 giorni rispetto ai termini statuiti, o da 137,33 a 1.376 euro nel caso di ritardi superiori. Le sanzioni si applicano ai soggetti sopra indicati in carica al momento della violazione, vale a dire al primo giorno successivo alla scadenza del termine prescritto per la richiesta di iscrizione o di deposito.
[56] 
Salvo valutare la possibile esenzione da responsabilità dei sindaci ai sensi di quest’ultima disposizione, non essendo gli stessi in grado di provvedere alla convocazione in via sostitutiva, per l’evidente ragione che non potrebbero porre all’ordine del giorno l’approvazione di un bilancio non ancora predisposto dall’organo competente.
[57] 
Per gli opportuni riferimenti, v. il Commento all’art. 55, in Commentario Maffei Alberti, Padova, 2013, 346 s.
[58] 
Cass., 12 maggio 2021, n. 12560, su DeJure; Cass., 28 luglio 2020, n. 23947, su Ilcaso.it nel corpo della quale numerosi ulteriori riff. ai precedenti conformi di legittimità; Cass., 9 luglio 2020, n. 14527, su DeJure; Cass. 19 giugno 2020, n. 11983, su DeJure; Trib. Milano 10 maggio 2012, in Dir. fall., 2012, II, 693 ss.; in dottrina sub art. 55, cit., 346 (“con la revoca del fallimento, la sospensione del corso degli interessi viene meno, con la conseguenza che andranno computati anche quelli maturati dal momento della dichiarazione di fallimento”); Lamanna, Art. 55, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio, Bologna, 2006, 800; Guizzi, Art. 55, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da Cavallini, Milano, 2010, 1093; Bonsignori, Il fallimento, Padova, 1986, 384.
[59] 
Con opinione, tuttavia, non pacifica nella giurisprudenza di merito: v. per es. le due pronunce riformate dalla sentenza della Suprema Corte, di Trib. Padova, 3 maggio 2016 e App. Venezia, 8 novembre 2017, le quali hanno statuito che “il creditore potrà agire contro il fallito tornato in bonis... per gli interessi maturati prima dell'apertura della procedura e quelli maturati, sull'eventuale capitale insoddisfatto dopo la chiusura della procedura; mentre si deve ritenere che gli interessi post-fallimentari non maturino nei confronti del debitore fallito”.
[60] 
Per effetto del concordato definitivamente omologato infatti la pretesa creditoria (comprensiva di capitale e interessi) viene conformata secondo i termini e le condizioni previsti nella proposta, venendo estinta (o, secondo altra prospettiva, divenendo inesigibile) nei confronti del debitore (art. 117 CCII), con conseguente liberazione dello stesso (così, per tutti, D’Attore, Concordato preventivo e responsabilità patrimoniale del debitore, in Riv. dir. comm., 2014, I, 377).
[61] 
In tal senso Inzitari, Gli interessi nel fallimento, in I crediti nel fallimento, a cura di Villanacci, Padova, 2015, 501 ss. ove più ampie argomentazioni; Id., I cosiddetti interessi post-fallimentari: sospensione agli effetti del concorso ed inesigibilità nei confronti del debitore tornato in bonis, in Cagnasso-Panzani, Crisi d'impresa e procedure concorsuali, I, Torino, 2016, 1137; Id., Presupposti e limiti della maturazione degli interessi nell’obbligazione pecuniaria: inammissibilità fallimentare e civilistica dei cc.dd. post-fallimentari, in Banca. borsa, tit. cred., 2021, I, 825 ss.
[62] 
Inzitari, Gli interessi, cit., 502.
[63] 
V. fra le molte, anche per le ipotesi in cui il principio generale può essere derogato in caso di consecuzione della liquidazione giudiziale, Cass., 13 giugno 2018, n. 15495; Cass. 14 gennaio 2016, n. 509; App. Firenze, 17 novembre 2020, tutte su Ilcaso.it.

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Le suddette informazioni sono trattate in forma automatizzata e raccolte al fine di verificare il corretto funzionamento del sito e per motivi di sicurezza.

Ai fini di sicurezza (filtri antispam, firewall, rilevazione virus), i dati registrati automaticamente possono eventualmente comprendere anche dati personali come l'indirizzo IP, che potrebbe essere utilizzato, conformemente alle leggi vigenti in materia, al fine di bloccare tentativi di danneggiamento al sito medesimo o di recare danno ad altri utenti, o comunque attività dannose o costituenti reato. Tali dati non sono mai utilizzati per l'identificazione o la profilazione dell'utente, ma solo a fini di tutela del sito e dei suoi utenti.

I sistemi informatici e le procedure software preposte al funzionamento di questo sito web acquisiscono, nel corso del loro normale esercizio, alcuni dati personali la cui trasmissione è implicita nell'uso dei protocolli di comunicazione di Internet. In questa categoria di dati rientrano gli indirizzi IP, gli indirizzi in notazione URI (Uniform Resource Identifier) delle risorse richieste, l'orario della richiesta, il metodo utilizzato nel sottoporre la richiesta al server, la dimensione del file ottenuto in risposta, il codice numerico indicante lo stato della risposta data dal server (buon fine, errore, ecc.) ed altri parametri relativi al sistema operativo dell'utente.

Tempi di conservazione dei Suoi dati - I dati personali raccolti durante la navigazione saranno conservati per il tempo necessario a svolgere le attività precisate e non oltre 24 mesi.

Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

Il TITOLARE

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