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Saggio

I presupposti della CNC, tra debiti dell’imprenditore e risanamento dell’impresa*

Antonio Rossi, Associato di diritto commerciale nell’Università di Bologna

30 Novembre 2021

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Le intricate nozioni di crisi e insolvenza e la complessa tematica della risanabilità dell’impresa in una riflessione tesa a cogliere opportunità e criticità del nuovo strumento della composizione negoziata. 
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1 . Cenni introduttivi
Con il nuovo istituto che il legislatore della passata estate ha consegnato agli interpreti (prima) e agli operatori (poi) il contratto, allo stato più puro del prodotto della libera negoziazione tra le parti, depurata dall’intermediazione occhiuta dell’autorità giudiziaria, entra prepotentemente tra gli strumenti di regolazione della crisi d’impresa. L’occasione della pandemia ha offerto quindi il destro al legislatore per imprimere al sistema normativo una svolta “privatistica” [1] che, con ogni probabilità, resterà acquisita dall’ordinamento anche quando [2] saranno ripristinate condizioni di funzionamento dell’economia non contaminate dalle esigenze sociali di contenimento della pandemia.
Non che il contratto non fosse strumento di regolazione della crisi già conosciuto dall’esperienza e dal diritto, manifestandosi, ad esempio, nella pratica dei concordati stragiudiziali. E lo stesso piano attestato di risanamento ex art. 67 c. 3°, lett. d), l. fall., cela una valenza squisitamente contrattuale che si è poi manifestata apertis verbis nel Codice della Crisi [3]. Ma mai come con la composizione negoziata del D.L. n. 118/2021 (“il D.L.”) il legislatore aveva costruito attorno al contratto un apparato di principi, norme e procedimenti così strutturato in funzione del suo adattamento alle particolari esigenze imposte dalla crisi d’impresa.
Tali esigenze, come noto [4], dipendono anche dal fatto che la crisi d’impresa è fenomeno che raramente coinvolge due o poche parti, ma costringe un debitore (l’imprenditore in crisi) alla relazione con una massa di creditori e stakeholders, con interessi a fatica riconducibili a categorie omogenee e costretti spesso dalla (normale) insufficienza del patrimonio responsabile ad un atteggiamento poco cooperativo. Si tratta di situazione che, per la numerosità dei protagonisti e la loro scarsa propensione alla trattativa (i creditori confidano ab origine nell’adempimento del debitore, non nella rinegoziazione del rapporto obbligatorio), genera costi di transazione elevatissimi, che, sino all’ingresso nell’ordinamento del D.L. n. 118, contribuivano a spiegare la necessità di governare la crisi d’impresa tramite procedure concorsuali, le più “negoziali” delle quali caratterizzate dall’operatività di quel principio maggioritario che costituisce tecnica di soppressione di un dissenso che si assume irrazionale, in quanto espresso da una minoranza, e quindi di riduzione dei costi di transazione [5].
Nel percorso di composizione negoziata tracciato dal D.L., invece, non c’è spazio per la forza del numero e l’esito maggiormente auspicato dal legislatore (v. infra, al par. 6) è quello che passa attraverso l’adesione del tutto volontaria delle parti all’accordo finale.
Per arrivare a questo risultato, e per conciliare la libera contrattazione, non coartata dal principio maggioritario, con la necessità di ridurne i costi, tuttavia, il legislatore introduce la figura dell’esperto, vero e proprio caposaldo della composizione negoziata della crisi d’impresa (“CNC”), al quale, per l’appunto, l’art. 2.1 [6] affida il compito di “agevola[re] le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati”. Compito senz’altro arduo e meritorio, affidato ad una persona sola [7], vero e proprio one (super)man band [8], la cui utilità al sistema dipenderà strettamente dalla sua specifica formazione professionale, alla quale è (giustamente) dedicata l’intera Sezione IV del Decreto Dirigenziale approvato dal Direttore Generale del Dipartimento per gli Affari di Giustizia il 28 settembre 2021 (“il Decreto Dirigenziale”).
Alla concreta ed effettiva praticabilità delle trattative, inoltre, concorre la soft law [9] che si esprime nei principi affermati dall’art. 4 e che – evocando a grandi linee quelli già introdotti dall’art. 4 CCII [10], riguardano tutti i protagonisti che devono sedere al tavolo: esperto (cfr. art. 4.2), imprenditore in crisi (cfr. art. 4.5), banche e intermediari finanziari (cfr. art. 4.6), “tutte le parti coinvolte nelle trattative” (art. 4.7), creditori in primis. Parimenti rilevante, al fine di incanalare le spinte e controspinte tipiche di una trattativa, il “manuale delle istruzioni” diffusamente esposto nel Decreto Dirigenziale che, a sua volta, concorre nel porre all’esperto e alle parti delle trattative regole di azione più dettagliate, pur se dall’incerta valenza normativa [11].
In questo contesto, caratterizzato da totale innovazione rispetto alla previgente disciplina della crisi d’impresa [12], l’autorità giudiziaria entra in gioco al bisogno (in termini gastronomici, si potrebbe dire “quanto basta”), solo allorquando le esigenze della contrattazione (e la sua agevolazione) impongano la compressione, seppure normalmente temporanea, dei diritti di terzi [13]. Si tratta, tuttavia, di un intervento non necessario [14] al buon esito delle trattative, che ben potrebbero condursi e concludersi senza che mai un giudice ne abbia avuto il benché minimo sentore: risultato certo ottimale, che terrebbe insieme regolazione della crisi, rinunzie dei creditori accettate esclusivamente su base volontaria, alleggerimento del carico degli uffici giudiziari.
Sempre a mo’ di premessa, si confessa che l’approccio di chi scrive al nuovo istituto è del tutto laico, senza indulgere a manifestazioni di appassionata esultanza per l’affermazione di un neoliberismo contrattuale (ciò che – senza infingimenti - di sicuro comporta la disciplina della CNC) ovvero, al contrario, ad un senso di aprioristica repulsione per una disciplina che dà l’impressione di un abbandono dei principi rigoristici del CCII e della funzione tutoria della magistratura nella regolazione della crisi d’impresa.
Interessa piuttosto interrogarsi, nell’imminenza della sua entrata in servizio, su: (i) a chi serva la CNC; (ii) a cosa serva; (iii) se funzioni. Le pagine che seguono sono volte a contribuire a dare una risposta (o una delle risposte) a questi quesiti.
2 . Il “presupposto” soggettivo della CNC
È costume parlare di “presupposti” a proposito delle condizioni, attinenti alla qualificazione del debitore, all’attività dallo stesso svolta, alla gravità della sua crisi, in presenza soltanto delle quali possa aprirsi una procedura concorsuale o, nel caso degli accordi di ristrutturazione dei debiti, possa ricevere il suggello dell’omologazione.
La CNC non è, a stretto rigore, una procedura concorsuale [15] né l’autorità giudiziaria procede all’apertura o alla chiusura delle trattative, che ben potrebbero condursi e concludersi su un piano di rigorosa autonomia negoziale, senza la necessità di alcun intervento eteronomo. Potrebbe quindi darsi l’obiezione che non esistono presupposti, nella loro tradizionale declinazione del “soggettivo” e dell’“oggettivo”, di accesso alla CNC e degli stessi, quindi, non avrebbe senso discettare.
Vero è che, tuttavia, l’art. 2.1 riserva ad alcuni soggetti soltanto, che si trovino nelle condizioni previste dall’art. cit., la possibilità di chiedere al segretario generale della CCIAA, tramite la piattaforma telematica nazionale di cui all’art. 3, la nomina dell’esperto ed è utile quindi interrogarsi sul perimetro esatto della fattispecie cui possa applicarsi la disciplina in materia di CNC. D’altra parte, è pur vero che, nella migliore delle ipotesi, le trattative si aprono e si chiudono senza che mai l’autorità giudiziaria ne abbia notizia ma, allorché questa sia chiamata in gioco, è lecito attendersi che, preliminarmente, ai fini dell’applicazione della disciplina invocata dal debitore istante al fine di incidere sui diritti di terzi, s’interrogherà se effettivamente sussistano le condizioni che di quella disciplina costituiscono il presupposto di applicazione. Esemplificando: quando l’imprenditore chiederà la conferma delle misure protettive ex art. 6, il tribunale andrà ad accertare se effettivamente si trovi nelle condizioni di cui all’art. 2, solo in presenza delle quali potrà farsi applicazione dello stesso art. 6 (così come dell’art. 10 in materia di autorizzazioni).
Accertata la rilevanza del tema dei “presupposti” [16], e per rispondere alla domanda “a chi serve la CNC?”, si può innanzitutto guardare alla natura del soggetto debitore cui la relativa disciplina è riservata. Così, l’art. 2.1 consente di chiedere la nomina dell’esperto negoziatore all’imprenditore commerciale e agricolo, senza distinzione a seconda delle loro dimensioni [17] e a prescindere dal fatto che si tratti di una monade o di un elemento di un più ampio gruppo d’imprese [18].
Abbiamo dunque a che fare con un istituto che si applica a qualunque soggetto, purché svolga un’attività d’impresa riconducibile al paradigma dell’art. 2082 c.c., qualunque sia la natura dell’attività esercitata, con una latitudine d’intervento unica nel panorama degli strumenti di regolazione della crisi. Sicuramente apprezzabile risulta l’omologazione di disciplina tra impresa commerciale ed impresa agricola, quell’omologazione che sembrava auspicata dall’art. 2.1.e) della L.n. 155/2017 e che invece era rimasta lettera morta nel CCII. Del tutto razionale anche l’applicazione della disciplina alle imprese sotto – soglia, specie considerato il (relativamente) basso costo di intervento dell’esperto, comunque correlato all’attivo dell’impresa (cfr. art. 16.1), e tenuto conto che le difficoltà nelle trattative saranno direttamente (non inversamente) proporzionate alle dimensioni e alla complessità dell’organizzazione d’impresa. Si sarebbe quindi potuto al limite immaginare un limite verso l’alto, piuttosto che verso il basso, nella fruibilità dell’istituto, ma il legislatore ha manifestato una fiducia estrema nella propria disciplina (e nell’esperto), prevedendone l’operatività anche per imprese che, se insolventi, avrebbero titolo per accedere alla procedura di amministrazione straordinaria, con apertura delle trattative anche ad imprese appartenenti allo stesso gruppo ma che non si trovino nelle condizioni previste dall’art. 2 (cfr. art. 13.7).
L’imprenditore in crisi (riservando al seguito la più precisa definizione dei contorni della crisi destinata alla regolazione tramite CNC) può rivestire ovviamente qualunque forma, potendo essere una persona fisica come una società o altro soggetto di diritto. Addirittura, è immaginabile il ricorso alla nomina dell’esperto anche da parte di una società in liquidazione, purché mantenga una organizzazione d’impresa suscettibile del risanamento previsto dall’art. 2.
Ciò premesso, la disciplina della CNC resta esclusa ai soggetti non imprenditori, siano essi debitori “civili”, associazioni, fondazioni, enti pubblici o altro, e la necessità di chiedere la nomina dell’esperto tramite una piattaforma telematica nazionale “accessibile agli imprenditori iscritti nel registro delle imprese” (anche nella sola sezione speciale), dovrebbe di per sé impedire tentativi di accesso alla CNC da parte di soggetti non legittimati.
Si realizzerà quindi un disallineamento rispetto ai soggetti che possano fruire delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento ex L.n. 3/2012 [19], alcuni dei quali (gli imprenditori agricoli e sotto – soglia) potranno accedere a dette procedure anche dopo avere esperito un tentativo di CNC (cfr. art. 17.6), mentre agli altri, privi della qualità imprenditoriale, tale possibilità sarà negata. Si tratta di una differenza poco spiegabile, specie per un istituto avulso dal contesto della legge fallimentare o del CCII, anche perché l’intervento di un facilitatore nelle trattative e l’esito negoziale di una crisi da sovraindebitamento potrebbe essere del tutto plausibile anche al di fuori del contesto imprenditoriale, in considerazione della normale ristrettezza dei soggetti da coinvolgere nelle trattative, e potrebbe comunque generare i benefici sistemici cui tende la CNC: la soluzione della situazione di sovraindebitamento nel rispetto dei diritti soggettivi dei creditori (rimodulati solo su base squisitamente volontaria) e senza quell’intervento di apparati giudiziari che comunque costituisce un costo sociale. È auspicabile, dunque, che, magari all’esito di una positiva esperienza applicativa della CNC nell’ambito imprenditoriale oggi riservatole, si rifletta sulla possibilità di estenderne l’applicazione anche al di fuori di siffatto ambito.
3 . Il primo corno del “presupposto oggettivo”: le condizioni di squilibrio
L’imprenditore che voglia chiedere la nomina dell’esperto ai sensi dell’art. 5 deve trovarsi “in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza”; l’istanza di nomina, peraltro, sembra possa proporsi solo “quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa” (art. 2.1).
Si tratta di due condizioni, non incompatibili tra loro, che devono coesistere affinché possa dirsi integrato il “presupposto oggettivo” della CNC
Muovendo dall’analisi del “primo corno” del “presupposto oggettivo”, si constata innanzitutto che la crisi descritta dall’art. 2.1 in termini di “squilibrio patrimoniale o economico-finanziario” non ha precedenti nel panorama degli strumenti di governo della crisi d’impresa, dove dominano il concetto di insolvenza ex art. 5 l. fall. e di crisi atipica di cui all’art. 160 c. 3° l. fall. [20], e non si nasconde qualche perplessità nella pretesa del legislatore di dotare il nuovo istituto di condizioni di acceso singolari rispetto al sistema. Si tratta di un tema che era stato dibattuto nel corso dei lavori parlamentari di conversione del D.L. ma, alla fine, si è preferito confermare il testo originario.
In ogni caso, sembra che le “condizioni di squilibrio” siano un elemento del “presupposto oggettivo” poco utile a fini interpretativi [21], perché alla fine l’imprenditore dovrà allegare di trovarsi in una situazione di “probabilità di crisi o di insolvenza” e non c’è dubbio che, data questa situazione, qualche squilibrio, attuale o prospettico, di natura patrimoniale, economica o finanziaria, ci sarà sempre. Al contrario, se ci sia uno squilibrio innocuo, ovvero che non renda probabile la crisi o l’insolvenza, detta condizione non integrerà in sé il presupposto per accedere al percorso di CNC.
Occorre quindi interrogarsi sulla misura del segmento della crisi che corrisponda alla probabilità di crisi o di insolvenza, segmento che idealmente muove dalla percezione intima dell’imprenditore circa l’esistenza di difficoltà dell’impresa (normalmente corrispondenti alle condizioni di squilibrio, anche prospettiche, evocate dalla norma), muove lungo una progressiva esternazione delle difficoltà limitata a pochi, attenti creditori (a grandi linee identificabili con il ceto bancario e con i maggiori fornitori) e degenera nella massiva incapacità di regolare adempimento che corrisponde ad un vero e proprio stato d’insolvenza.
Guardando all’estremo iniziale del segmento della crisi, il riferimento alla “probabilità della crisi”, evoca un concetto di dubbia interpretazione, perché oggi convivono nell’ordinamento due nozioni di “crisi”: quella, sostanzialmente atipica ed includente lo stato d’insolvenza, di cui all’art. 160 c. 3° l. fall., e quella, tipica e riconducibile ad una “probabilità di insolvenza”, dell’art. 2.a del CCII, già pubblicato ma destinato ad entrare in vigore solo il 16 maggio 2022.
Pur nell’impasse creata dall’ambiguità della norma, sembra si possa abbandonare un approccio particolarmente rigoroso per concludere che la “probabilità della crisi” porti di fatto ad un’anticipazione della situazione rilevante per consentire (e imporre) all’imprenditore la fruizione della disciplina in materia di CNC. Il “presupposto oggettivo” della CNC, dunque, prende inizio dal momento in cui l’imprenditore, avvalendosi dei propri assetti organizzativi (imposti, come noto, anche dall’art. 2086 c. 2° c.c.) realizza che le cose vanno (o andranno) male se non si inciderà sulla programmazione d’impresa in chiave di discontinuità, a prescindere dal fatto che già le difficoltà dell’impresa si siano tradotte in inadempimenti o, più in generale, in un deterioramento delle relazioni contrattuali che concorrono all’organizzazione e all’efficace funzionamento dell’impresa.
In altre parole, già la crisi “intima” è sufficiente (ma altresì necessaria) affinché si possa procedere con l’istanza di nomina dell’esperto [22].
Se si condivide questo assunto interpretativo, allora non si può che escludere che il “presupposto oggettivo” della CNC corrisponda alla crisi tipicamente definita dall’art. 2.a CCII [23], situazione che, a differenza di quanto previsto dall’art. 2 D.L. (oltre a non considerare rilevante uno squilibrio solo patrimoniale), si trova immediatamente a ridosso della vera e propria insolvenza e si manifesta potenzialmente all’esterno tramite quei “ritardi nei pagamenti reiterati e significativi” che l’art. 13.1 CCII annovera, per l’appunto, tra gli indicatori della crisi [24].
L’anticipazione della situazione rilevante alla crisi “intima” reca poi con sé importanti implicazioni di governance dell’impresa e, soprattutto, incide sul sistema dell’allerta interna. Se, infatti, la nozione di crisi di cui al CCII, nella sua prossimità allo stato d’insolvenza, determina (e forse determinerà) un nefasto ritardo nell’attivazione dei doveri di reazione imposti dall’art. 14 CCII [25], ciò non può dirsi per la condizione di attivazione della disciplina della CNC e, soprattutto, dei doveri di allerta imposti dall’art. 15 D.L. L’organo di controllo societario, dunque, per ricevere la benevola valutazione della sua responsabilità ai sensi del comma 2° dell’art. ult. cit. [26], dovrà segnalare per iscritto all’organo amministrativo “la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza di cui all’articolo 2, comma 1” tempestivamente, ovvero all’inizio del loro manifestarsi all’interno dell’organizzazione d’impresa. Se, dunque, la segnalazione arriverà dopo, pur se possano ritenersi ancora persistenti i presupposti per la segnalazione ma nel frattempo la crisi “intima” sia mutata in vera e propria insolvenza (v. infra, al par. 4), l’organo di controllo potrà essere chiamato in responsabilità per il suo inadempimento, corrispondente alla non esatta (perché non tempestiva) prestazione dovuta.
L’identificazione nei termini anzidetti della situazione rilevante ex art. 2.1 incide poi sull’interpretazione e sull’applicazione dello stesso art. 2086 c. 2° c.c., laddove impone all’imprenditore “di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. Anche qui si potrebbe discutere di quale sia la crisi da superare e che imponga all’imprenditore (rectius: agli organi della società imprenditore) di attivarsi senza indugio e ancora una volta la risposta non è così scontata. È vero, infatti, che l’art. 2086 c.c. è stato novellato dallo stesso D. Lgs. n. 14/2019 che ha introdotto la nozione tipica di crisi di cui all’art. 2.a del CCII, ma l’art. 2 CCII – a prescindere dalla sua posticipata entrata in vigore - pone definizioni “Ai fini del presente codice”, che quindi non possono de plano estendere la loro portata a norme del codice civile.
Mi sembra quindi che, poiché l’istituto della CNC è senz’altro uno “strumento previsto dall’ordinamento per il superamento della crisi”, strumento che può (e deve, ai sensi dell’art. 15) intervenire in un momento certamente anticipato, corrisponda proprio alle esigenze di tempestiva emersione e regolazione della crisi d’impresa riferire la nozione di “crisi” evocata dall’art. 2086 c. 2° c.c. a quella situazione definita (o, meglio, presupposta) dall’art. 2.1 D.L., che quindi assumerà una rilevanza sistematica esterna alla stessa disciplina in materia di CNC.
4 . E lo stato d’insolvenza?
Visto dove inizia il segmento della crisi rilevante ex art. 2, resta infine da chiedersi dove lo stesso termini e, in particolare, se al suo estremo ultimo si trovi lo stato d’insolvenza vero e proprio o, in alternativa, una condizione dell’impresa meno drastica e meglio governabile. In altri termini, occorre rispondere alla domanda se possa ricorrere allo strumento della CNC anche un imprenditore già insolvente.
Dopo i dubbi iniziali (e qualche aggiustamento all’art. 9), sembra che il quesito non possa che risolversi in senso affermativo. È vero, infatti, che si potrebbe sostenere che la “probabilità d’insolvenza” di cui all’art. 2.1 vada vista in chiave prospettica e che, quindi, il rischio di una futura insolvenza sia logicamente incompatibile con un’insolvenza già attuale (anche se non “accertata”). D’altra parte, però, si potrebbe ricondurre la “probabilità” di insolvenza all’attualità, nel senso di ricomprendere nelle condizioni di cui all’art. 2 – specie considerato che, almeno in limine del procedimento, non si dà alcun accertamento giudiziale di dette condizioni – anche una situazione in cui sia probabile, anche se non certo, che l’imprenditore sia già insolvente.
Al di là di sofismi interpretativi, ritengo tuttavia più utile indurre la fattispecie dalla disciplina dalla prima attivata. Così, guardando ad un aspetto di disciplina tra i più caratterizzanti il nuovo istituto, nel momento stesso in cui si dà quasi per fisiologica la necessità di ricorrere a misure protettive del patrimonio [27] e, dunque, si assume che l’imprenditore stia già subendo (o sia in procinto di subire) l’aggressione esecutiva sui propri beni da parte dei creditori, si dà per scontato che l’imprenditore che accede alla CNC possa essere già bell’e insolvente. E, d’altra parte, solo il suo stato d’insolvenza giustifica quella perdita di riservatezza – conseguente all’iscrizione nel registro delle imprese dell’istanza di misure protettive - che, ai sensi dell’art. 4.7, dovrebbe essere una delle caratteristiche del procedimento.
Il dubbio che lasciava l’originario testo dell’art. 9 [28] è stato poi risolto dalla legge di conversione, che ha espressamente introdotto uno shift duty a pro dei creditori, nel cui interesse prevalente dovrà essere gestita l’impresa, “quando, nel corso della composizione negoziata, risulta che l’imprenditore è insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento” [29].
A chiare lettere si esprime anche il Decreto Dirigenziale che, alla sez. III, par. 2.4, fornisce all’esperto tali indicazioni: “Se l’esperto, ravvisa, diversamente dall’imprenditore, … la presenza di uno stato di insolvenza, questo non necessariamente gli impedisce di avviare la composizione negoziata” [30]. Né sembra che tale regola impedisca all’imprenditore, che ravvisi ex ante lo stato d’insolvenza, di presentare istanza di nomina dell’esperto e di rappresentare in limine all’esperto nominato la sua drastica situazione, senza che l’esperto abbia bisogno di apprenderla ab externo.
Potrà piacere o no; soprattutto, la CNC potrà funzionare o no, in presenza di un vero e proprio stato d’insolvenza dell’imprenditore che costringe alle trattative una massa di creditori e di parti contraenti in presenza di un normale deterioramento delle relazioni negoziali (v. infra, al par. 7), ma ciò può costituire un problema di effettività del ricorso alla CNC, non un impedimento ex lege [31].
Piuttosto, tra i primi commentatori e nella stessa Relazione Illustrativa del D.L., quasi a prendere le distanze da un “presupposto oggettivo” piuttosto ampio, in quanto comprendente lo stato d’insolvenza vero e proprio, si è fatto spesso riferimento all’ambiguo concetto di “insolvenza reversibile” [32], che merita qualche precisazione. In particolare, va ricordato che l’art. 5 l. fall. riferisce lo stato d’insolvenza all’imprenditore, non all’impresa. Vero che normalmente la crisi dell’impresa porta all’insolvenza dell’imprenditore, ma ciò non toglie che si può parlare di incapacità di regolare adempimento soltanto relativamente al soggetto debitore.
Ciò premesso, l’insolvenza può dirsi veramente “reversibile” se l’imprenditore, nel momento in cui lo stato rilevante è oggetto di accertamento (o anche solo di indagine, nel caso della CNC), è in grado, anche attraverso la prosecuzione dell’attività d’impresa, di ripristinare la sua capacità di adempimento, magari soltanto dilatando nel tempo il pagamento dei propri debiti. È la condizione evocata dal Test Pratico della sez. I del Decreto Dirigenziale, dove, al par. 4, si assume il caso dell’impresa “prospetticamente in equilibrio economico” e che è in grado di generare flussi attesi in misura tale sia da alimentare la continuità aziendale, sia da portare all’integrale adempimento del debito pregresso. Nel secolo scorso, si sarebbe parlato di “temporanea difficoltà di adempimento” e questa situazione avrebbe costituito il presupposto ex art. 187 l. fall. per l’ammissione alla procedura di amministrazione controllata.
Temo però che ciò che ha in mente il legislatore della Relazione Illustrativa, e con lui molti autorevoli commentatori, allorché, a proposito della CNC, evocano l’ambiguo concetto di insolvenza reversibile, sia altro rispetto ad una temporanea difficoltà di adempimento – che, si ribadisce, assume la intrinseca capacità dell’imprenditore di ripristinare condizioni di integrale adempimento anche delle obbligazioni pregresse – e si riferisca piuttosto alla sussistenza di un’impresa ancora viable e, quindi, capace di essere “rifinanziata”, o in via diretta (tramite l’esercizio dell’opzione call riservata ai soci dalla disciplina in materia di aumento del capitale sociale o tramite l’ingresso di nuovi soci) o in via indiretta, tramite la cessione dell’azienda. Ciò, però, non ha nulla (o poco, in caso di continuità diretta) a che fare con la reversione dello stato d’insolvenza dell’imprenditore e attiene, invece, alle concrete prospettive di risanamento dell’impresa, prospettive che possono ben sussistere a prescindere dalle sorti dell’imprenditore. Solo se l’impresa vale l’intera massa dei debiti pregressi, allora il suo “rifinanziamento” può comportare anche il ripristino della capacità di regolare adempimento dell’imprenditore; nella normalità dei casi, la riallocazione dell’impresa, e quindi la sua concreta idoneità al risanamento, tramite la cessione dell’azienda in esercizio genererà un ammontare di risorse insufficiente al ripristino della solvibilità dell’imprenditore, e ciò normalmente imporrà che lo stato d’insolvenza (in realtà irreversibile, anche se l’impresa possa essere ancora appetibile) vada poi regolato tramite uno strumento negoziale, para-negoziale o giudiziale.
Insomma, sembra utile non confondere il soggetto (l’imprenditore, cui si riferisce l’insolvenza) con l’organizzazione (l’impresa, che aspira al risanamento) e abbandonare l’ambigua (e inutile a fini interpretativi: v. infra, al par. 5) nozione di “insolvenza reversibile”, per affermare che l’insolvenza dell’imprenditore che accede alla CNC possa essere tranquillamente irreversibile [33], salvo il fatto che, come prescrive l’art. 2.1, la sua impresa esibisca una “concreta prospettiva di risanamento” (cfr. art. 5.5).
5 . Il secondo corno del “presupposto oggettivo”: le concrete prospettive di risanamento dell’impresa
Se nessuna norma del D.L. impone all’esperto di verificare in quali condizioni si trovi l’imprenditore, se in una crisi passeggera o in uno stato di vera e propria (irreversibile) decozione, il legislatore si cura invece di precisare che la CNC ha un senso solo se risulti “ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa” (art. 2.1). Ai sensi dell’at. 5.5, l’esperto appena nominato “convoca senza indugio l’imprenditore per valutare l’esistenza di una concreta prospettiva di risanamento”, incontra le altre parti potenzialmente interessate alle trattative “se ritiene che le prospettive di risanamento sono concrete”, segnala al segretario generale della CCIAA per l’archiviazione dell’istanza (e del procedimento) “se non ravvisa concrete prospettive di risanamento”.
Sembra dunque evidente la centralità della funzionalizzazione della CNC al risanamento dell’impresa, mentre lo stato di crisi dell’imprenditore resta ai margini, e rilevante soprattutto al fine dell’attivazione degli obblighi di allerta interna imposti dall’art. 15.
Come noto, l’obiettivo della continuità aziendale, che alla fine corrisponde al “risanamento dell’impresa” evocato dal D.L., può essere perseguito in via diretta, tramite la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del medesimo soggetto imprenditore [34], ovvero in via indiretta, tramite la cessione (o il conferimento) dell’azienda. Nel primo caso, l’impresa si “risana” in mano all’imprenditore in crisi (che tratterà poi la sua crisi tramite le trattative svolte nell’ambito della CNC o avvalendosi di altro strumento di regolazione della crisi); nel secondo caso il risanamento avviene in mani altrui, in particolare di chi acquista l’azienda in esercizio.
L’istituto della CNC sembra immaginato innanzitutto per consentire un risanamento dell’impresa da un punto di vista soggettivo, con l’imprenditore in crisi che contestualmente svolge le trattative e prosegue ininterrottamente nell’esercizio dell’attività d’impresa (cfr. art. 9). Basti pensare alla richiesta, da parte dell’art. 5.3.b), di un “piano finanziario per i successivi sei mesi” e ai requisiti posti dalla Check List della Sezione II del Decreto Dirigenziale a proposito di organizzazione dell’impresa (par. 1) e di proiezione dei flussi finanziari (par. 4) per concludere che il complesso apparato normativo eretto attorno alla CNC servono innanzitutto al monitoraggio delle possibilità e delle necessità di un risanamento che avvenga in via diretta.
Con questa via è senz’altro coerente la riservatezza imposta alle parti del processo di risanamento e pure la possibilità per l’imprenditore di effettuare pagamenti e stipulare contratti senza dover sottostare al gravoso vincolo autorizzatorio previsto, ad esempio, dall’art. 161 c. 7° l. fall. per la fase prenotativa del concordato preventivo. Solo se la rete di fornitori e finanziatori che alimenta l’attività d’impresa resti nella convinzione di avere a che fare con un imprenditore in bonis, la prosecuzione dell’attività risulterà pressoché indifferente alla nomina dell’esperto e all’inizio delle trattative. Ma allorché l’imprenditore abbia bisogno di disapplicare la regola “ricapitalizza o liquida” (cfr. art. 8) o di tutelare il patrimonio aziendale dall’aggressione dei creditori, ricorrendo alle misure protettive apprestate dagli artt. 6 e 7, incorrerà inevitabilmente nel dovere di pubblicare il ricorso a siffatte misure nel registro delle imprese, con conseguente perdita di quella riservatezza invece imprescindibile per una lineare prosecuzione dell’attività d’impresa [35].
Se la situazione di crisi dell’imprenditore diventa di pubblico dominio, tuttavia, il D.L. non crea un ambiente accogliente per la continuità aziendale diretta [36], esponendo creditori e controparti contrattuali ad un rischio di degenerazione della situazione, con conseguente successivo trattamento concorsuale dei crediti, che crea un potentissimo disincentivo alla conservazione di relazioni contrattuali con l’imprenditore. È pur vero, infatti, che i pagamenti “non sono inibiti” pur a seguito dell’applicazione e della conferma delle misure protettive ma è altresì evidente che, specie considerato che il percorso di CNC non è una procedura concorsuale, i crediti che matureranno anche successivamente alla nomina dell’esperto e pure dopo l’applicazione delle misure protettive non godranno della prededuzione nella (vera) procedura concorsuale che eventualmente consegua all’insuccesso delle trattative. Addirittura, applicate e confermate le misure protettive, in assenza di una segregazione patrimoniale che distingua il prima dal dopo rispetto all’apertura di una procedura concorsuale, le misure protettive si applicheranno anche ai crediti maturati dopo la concessione delle stesse. Si tratta di un combinato disposto che rende pressoché impraticabile il ricorso al credito da parte dell’imprenditore che, nel trade off tra riservatezza e tutela del patrimonio, si veda costretto a rinunciare alla prima. Così, le forniture arriveranno solo se pagate alla consegna e il credito bancario si prosciugherà, poiché certo il mantenimento degli affidamenti previsto dall’art. 4.6 non imporrà alle banche di erogare nuovo credito mediante, ad esempio, il ricorso ad operazioni autoliquidanti, specie considerato come la ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte in materia di concessione abusiva di credito [37] imponga al ceto bancario una valutazione del merito creditizio dell’imprenditore in crisi vieppiù rigorosa.
E anche il pagamento per cassa delle forniture non sarà del tutto scontato, perché è vero che l’art. 12.2 prevede che non sono soggetti all’azione revocatoria ex art. 67 c. 2° l. fall. i pagamenti “posti in essere dall’imprenditore nel periodo successivo alla accettazione dell’incarico da parte dell’esperto” ma l’esonero sarà riconosciuto solo se i pagamenti siano “coerenti con l’andamento dello stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti”, ovvero in presenza di una condizione normalmente intranea all’imprenditore ma (specie se i fornitori non siano coinvolti nelle trattative) estranea alla sfera informativa delle sue controparti contrattuali.
Nella “migliore” delle ipotesi, quindi, la diffusione della notizia circa la nomina dell’esperto determinerà la chiusura dei rubinetti del credito ed il disallineamento dei flussi di cassa, qualora i fornitori accettino di essere pagati alla consegna [quindi anche in difformità rispetto a quei “termini d’uso” che consentirebbero comunque l’esonero da revocatoria ex art. 67 c. 3°, lett. a), l. fall.]; nella peggiore delle ipotesi, attorno all’imprenditore che ha fatto ricorso alla CNC si farà il deserto di relazioni contrattuali, portandolo ipso facto fuori dal mercato (e al probabile insuccesso del percorso di risanamento dell’impresa).
La continuità aziendale diretta, nel corso dello svolgimento delle trattative, sarà quindi effettivamente esperibile solo se la crisi dell’imprenditore si trovi veramente in uno stadio iniziale, che consenta, in particolare, lo svolgimento delle trattative senza la necessità di disapplicare la regola “ricapitalizza o liquida” ex art. 8 e di ricorrere a misure di protezione del patrimonio.
In tutti gli altri casi – che possono essere ben più numerosi se, come prevedibile, alla CNC ricorreranno imprenditori veramente insolventi – non tutto è perduto, tuttavia, perché il risanamento sarà conseguibile in via indiretta, ovvero tramite la cessione dell’azienda in esercizio, come espressamente previsto dall’art. 2.2. In tal caso, all’esperto chiamato a valutare circa l’utilità delle trattative si chiederà alla fine di valutare soprattutto se l’azienda sia viable [38] e quindi riallocabile sul mercato. Quanta soddisfazione traggano i creditori dalla vendita dell’azienda o dal “rifinanziamento” dell’impresa diventa circostanza tutt’affatto secondaria al fine dell’avvio delle trattative. Anche il Decreto Dirigenziale, al par. 8 della Sezione I, precisa: “Se la continuità aziendale può essere perseguita solo in via indiretta, occorre stimare le risorse realizzabili attraverso la cessione dell’azienda o di rami di essa e compararle con il debito che deve essere servito per comprendere la praticabilità del risanamento”. La stima delle risorse, corrispondente a grandi linee al prezzo atteso di cessione dell’azienda, impone una perizia che dovrà essere attivata in conformità a quanto previsto dal par. 13 della Sezione III del Decreto Dirigenziale, dove la stima s’impone se “risulti utile per le trattative” (ciò che nel caso di specie potrebbe senz’altro essere), ma solo a seguito della “nomina congiunta di un soggetto di fiducia di tutte le parti”, e “con costi ripartiti tra di esse”. Sulla base di questa procedimentalizzazione, e se l’esperto non si vuole caricare di costi che non gli verranno mai rimborsati, giusta la previsione dell’art. 16.9, è verosimile immaginare che, alle soglie delle trattative, l’esperto esprimerà un giudizio del tutto sommario circa l’appetibilità dell’azienda e, dunque, sulla praticabilità di una continuità aziendale indiretta, così come sarà probabilmente piuttosto approssimativa l’aspettativa di ideale soddisfacimento dei creditori tramite la provvista formata dal prezzo di cessione dell’azienda.
Alla fine, in tutti i casi in cui la nomina dell’esperto sarà chiesta da un imprenditore insolvente, la continuità aziendale indiretta costituirà il safe harbour della CNC, nelle cui acque relativamente tranquille e pressoché indifferenti alle sorti dei creditori (v. infra, al par. 6) si svolgeranno trattative finalizzate innanzitutto alla ricerca di un acquirente dell’azienda [39].
Se questa dovesse essere la linea di conduzione di buona parte delle trattative, tuttavia, la montagna del Decreto Dirigenziale, evidentemente preoccupato di dotare l’imprenditore delle cautele e degli strumenti da utilizzare nel corso della pianificazione del percorso di risanamento in contestualità con la prosecuzione dell’attività d’impresa, avrà partorito il topolino della cessione dell’azienda in esercizio, magari affittata a terzi a scopo protettivo subito dopo la nomina dell’esperto (e senza la necessità di alcuna autorizzazione del tribunale ex art. 10 o di quelle “procedure competitive” che il par. 12 della Sezione III del Decreto Dirigenziale richiede solo per la cessione dell’azienda).
Soprattutto, però, se il risanamento dell’impresa può tranquillamente essere conseguito nelle mani dell’acquirente dell’azienda, la necessità che sussistano concrete prospettive di risanamento avrà una capacità di selezionare le fattispecie per le quali possa darsi l’avvio delle trattative estremamente ridotta, e limitata alle remote ipotesi in cui, con valutazione ex ante, l’esperto ritenga che le caratteristiche intrinseche dell’impresa esprimano un valore organizzativo così basso da escludere che qualcuno possa mai essere interessato al suo acquisto. Negli altri casi, nonostante la peggiore insolvenza dell’imprenditore, e purché questi sia disposto alla dismissione dell’azienda, non sembra ci siano spazi per richiedere in limine l’archiviazione dell’istanza.
6 . Gli obiettivi del legislatore
Svolta un’indagine sui “presupposti” di accesso al percorso di CNC, si tratta ora di chiedersi “a cosa serva” questo nuovo istituto. Non è così semplice fissare gli obiettivi che il legislatore si è dato per uno strumento di regolazione della crisi che, visto l’art. 11, può avere gli esiti più disparati, dalla chiusura di un accordo tra debitore e creditori che risolva la crisi su un piano squisitamente contrattuale (cfr. art. 11.1) ad una qualsiasi procedura disciplinata dalla legge fallimentare (cfr. art. 11.3.c) [40]. D’altra parte, come non c’è un accertamento giudiziale dei presupposti per il ricorso alla nomina dell’esperto, così, redatta da parte di questo la relazione finale, non c’è un provvedimento di chiusura del percorso [41]. Manca quindi un formale riscontro del successo della CNC e, per immaginare quali obiettivi si sia veramente dato il legislatore, può essere utile guardare alla disciplina del compenso dell’esperto, per verificare quando il risultato della sua attività sia stato così buono da meritare un supplemento di remunerazione.
Dalla lettura dell’art. 16, è agevole constatare che l’esperto arreca la massima utilità al sistema quando risolve la crisi e procura il risanamento dell’impresa (ai sensi dell’art. 11.1: individua “una soluzione idonea al superamento della situazione di cui all’articolo 2, comma 1) attraverso un accordo su base contrattuale, pur se mediato dall’intervento dell’autorità giudiziaria (cfr. art. 16.5). Sono i casi: (i) del contratto con uno o più creditori che sia idoneo “ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni”; (ii) della convenzione di moratoria; (iii) dell’accordo assimilabile, quanto agli effetti, al piano attestato di risanamento ex art. 67 c. 3°, lett. d), l. fall. [42], dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. In queste ipotesi di uscita dalla CNC, l’esperto fruisce di un bonus pari addirittura ad un +100% del suo compenso (che diventa un + 120% in caso di sottoscrizione da parte dell’esperto dell’accordo assimilabile al piano attestato di risanamento: cfr. art. 16.6). Si tratta di ipotesi piuttosto eterogenee, in alcune delle quali veramente la chiusura del percorso avviene sulla base della sola “forza di legge” del contratto (sono i casi del contratto di cui all’art. 11.a e dell’accordo assimilabile quoad effectum al piano attestato di risanamento), mentre in altre occorre o è possibile l’intervento sia dell’autorità giudiziaria, sia del principio maggioritario (sono i casi della convenzione di moratoria e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti).
In generale, tuttavia, in tali ipotesi il lavoro dell’esperto merita il massimo premio, considerato che la crisi è risolta con un nullo o minimo dispiego di risorse giudiziali e sulla base di una soluzione integralmente o ampiamente condivisa dai protagonisti delle trattative.
Dal punto di vista sistemico, tuttavia, balza agli occhi anche il (minor) premio riconosciuto all’esperto “in caso di vendita del complesso aziendale o di individuazione di un acquirente da parte dell’esperto”, pari al 10% del compenso base e previsto dall’art. 16.3.d). Si tratta, per vero, di un bonus pari solo ad un decimo di quello riconosciuto nelle ipotesi contemplate dall’art. 16.5, ma è in sé rilevante perché consente di ritenere che, tutto sommato, il legislatore possa dirsi soddisfatto anche se, all’esito della CNC non si risolve la crisi dell’imprenditore su base negoziale ma, semplicemente, si riesce a trovare all’azienda una collocazione alternativa rispetto a quella dell’imprenditore in crisi. Torna cioè alla ribalta la continuità aziendale indiretta, che di per sé consente il risanamento dell’impresa, seppure nelle mani dell’imprenditore acquirente l’azienda.
Tutto ciò considerato, si può ritenere che l’esperto abbia fatto un ottimo lavoro, se ha rimediato alla crisi dell’imprenditore e così risanato anche l’impresa; ma può altresì ritenersi che abbia fatto un buon lavoro, anche se non ottimo, se ha procurato o agevolato la vendita l’azienda dell’imprenditore in crisi o addirittura anche soltanto “individuato” un suo acquirente, a prescindere dalla circostanza che la crisi dell’imprenditore si sia risolta oppure no. In questo secondo caso, sembra del tutto irrilevante se la cessione avvenga nel corso o all’esito delle trattative, magari con l’autorizzazione alla disapplicazione dell’art. 2560 c. 2° c.c. prevista dall’art. 10.1.d). Anche se, individuato l’acquirente dell’azienda da parte dell’esperto, la cessione avvenga dopo la redazione della relazione finale ex art. 5.8 e nel corso di altra, conseguente procedura concorsuale, che sia un concordato semplificato, o un concordato preventivo o addirittura un fallimento, la CNC avrà realizzato l’obiettivo della riallocazione dell’azienda e, dunque, del risanamento dell’impresa.
E i creditori? Può dirsi che la CNC sia funzionale anche ad un loro ottimale, se non migliore, soddisfacimento?
Sul punto occorre tenere distinti i piani. Se, infatti, le trattative si concludono con un vero contratto (sono le ipotesi dell’art. 11.1.a e dell’art. 11.1.c), il soddisfacimento dei creditori sarà self-executing, perché ogni loro adesione corrisponderà al massimo sacrificio dagli stessi accettabile su base esclusivamente e puramente volontaria.
Al di fuori di questa ipotesi, tuttavia, non c’è spazio per introdurre il migliore soddisfacimento dei creditori tra gli obiettivi che si dà la CNC [43], anche perché solo nel confronto con un piano o un accordo già perfezionato può ragionarsi di un soddisfacimento dei creditori (promesso dal piano o dall’accordo) migliore rispetto alle alternative soluzioni liquidatorie. Nel caso di specie, se l’uscita dalle trattative avviene con un contratto, come visto, non ci si pone il problema; se le trattative sfociano invece in altro strumento di regolazione della crisi, il livello di soddisfacimento dei crediti sarà quello eventualmente imposto dalla disciplina di questo strumento.
Quae cum ita sint, sembra difficile riconoscere una valenza sistemica al requisito della “migliore soddisfazione dei creditori” quale condizione per il rilascio delle autorizzazioni previste dall’art. 10, perché, in assenza di un accordo già (magari solo a grandi linee) definito, se non anche stipulato, sarà estremamente difficile avere un termine di paragone affidabile, anche considerato che, ad esempio, in mancanza di un vincolo di destinazione già pattuito con i creditori, sarà molto difficile costringere l’imprenditore a devolvere l’intero prezzo di cessione di un ramo d’azienda al soddisfacimento dei creditori piuttosto che all’alimentazione di altra parte della continuità aziendale.
Alla fine dei conti, o i creditori trovano la loro tutela nella stipulazione di un contratto che dia loro soddisfazione, o la disciplina della CNC non offre loro particolari tutele. Anche nel caso in cui la gestione dell’impresa nel corso delle trattative sia del tutto diseconomica e foriera di distruzione di patrimonio responsabile, è lecito dubitare del fatto che l’art. 9.1, pur come novellato dalla legge di conversione, imponga all’imprenditore la cessazione dell’attività d’impresa, se questa è funzionale alla conservazione dell’azienda in esercizio al fine della sua cessione as a going concern. E solo una lettura (molto) estensiva dell’art. 9.2 può condurre l’esperto a segnalare all’organo di amministrazione e all’organo di controllo, nonché alla successiva iscrizione del dissenso nel registro delle imprese se non anche alla comunicazione dello stesso al tribunale che abbia concesso misure protettive o cautelari, la conduzione di un’attività, piuttosto che il compimento di un atto, che possa arrecare pregiudizio ai creditori [44].
Addirittura, come visto, un dato essenziale per consentire ai creditori di adottare scelte razionali nel corso delle trattative, quale la stima del valore di liquidazione dell’intero patrimonio del debitore, sarà acquisibile al set informativo dei creditori solo se accetteranno di condividere il costo della stima, con un evidente corto circuito che impedisce il dispiegarsi della credibilità della minaccia del concordato semplificato, sempre aleggiante nello svolgimento delle trattative, minaccia che, per essere credibile e fungere da efficace moral suasion alla partecipazione dei creditori alle trattative, presuppone la piena conoscenza da parte dei creditori del risultato realizzabile all’esito di un percorso di liquidazione del patrimonio responsabile.
L’impressione offerta dal sistema normativo, dunque, è quella di un istituto che, sempre e comunque, deve realizzare il risanamento dell’impresa, vero e proprio comune denominatore delle ipotesi di uscita dalla CNC che vedano “premiato” l’esperto: pur in assenza di alcuna seria aspettativa di accordo con i creditori, le trattative potranno essere condotte anche solo al fine della riallocazione dell’azienda, a prescindere dal quantum di soddisfacimento dei creditori [45]. Questi potranno ricevere un trattamento buono o cattivo, effettivamente negoziato o imposto da un concordato preventivo (in cui almeno vale una maggioranza di crediti) o semplificato (in cui i creditori “mandano giù” la proposta loro riservata e omologata dal tribunale): si tratta di circostanza che non incide sulle “concrete prospettive di risanamento” e, dunque, che non condiziona la percorribilità della CNC da parte dell’imprenditore, in un contesto firm oriented, ancor più che debtor oriented [46].
7 . Ma funziona?
Alla terza domanda si può tentare di dare risposta solo in relazione agli obiettivi individuati nel precedente paragrafo: un tentativo di CNC può essere intrapreso e proseguito se e solo se l’azienda dell’imprenditore, nonostante la sua crisi, sia ancora appetibile ed in grado di sollecitare un “rifinanziamento” dell’imprenditore stesso o una proposta di acquisto dell’azienda. Costituisce, tutto sommato, una positiva eventualità – ma non una necessità - la conclusione del percorso di risanamento dell’impresa che si accompagni anche ad una soluzione della crisi dell’imprenditore, con uno degli accordi previsti dai commi 1° e 2° dell’art. 11 che, se del caso, comportino una ristrutturazione su base negoziale dei suoi debiti.
Si potrebbe sostenere che, come in tutti gli strumenti di regolazione della crisi, l’effettiva praticabilità della CNC dipenda dalla composizione della massa passiva o dalle esigenze della continuità aziendale o dalle altre caratteristiche dell’organizzazione che fanno di ogni impresa un unicum di relazioni e di problemi. Ciò che, tuttavia, caratterizza il nuovo istituto è che, se si condivide la conclusione testé esposta circa l’individuazione degli obiettivi, lo svolgimento delle trattative può prescindere dall’an e dal quantum del soddisfacimento dei creditori e, in ultima istanza, dall’effettiva possibilità di risolvere su un piano negoziale la crisi dell’imprenditore.
Data questa premessa, la CNC si presenta come uno strumento double face.
Ci saranno condizioni in cui la presenza di un esperto che agevoli la rinegoziazione di contratti e rapporti obbligatori, tramite la sua autorevolezza e la spinta gentile consentita dalle norme che riguardano – tra l’altro - gli obblighi delle parti, la rinegoziazione dei contratti, la spada di Damocle dell’alternativa liquidatoria del concordato semplificato, sarà decisiva per cogliere effettivamente il risultato di una soluzione della crisi che dipenda in gran parte dalla volontaria adesione dei creditori e marginalizzi l’intervento dell’autorità giudiziaria.
Sarà il caso, tipicamente, di un ricorso estremamente anticipato alla nomina dell’esperto, cui giova senz’altro l’allerta prevista dall’art. 15, ben più early di quella dell’art. 14 del CCII, compromessa da una definizione di crisi tipica ex art. 2.a CCII troppo vicina all’insolvenza per potersene effettivamente distinguere e per imporre veramente una reazione tempestiva agli organi di controllo [47]. Allora, si potrà immaginare che si possa rimediare alla condizione di squilibrio mediante poche rimodulazioni di rapporti obbligatori con un club ristretto di creditori o altri fornitori di fattori della produzione (anche i lavoratori, cui si riferisce opportunamente ed espressamente il comma 8° dell’art. 4), in un contesto dialogico che conservi una rigorosa riservatezza, se ed in quanto il tempestivo ricorso alla CNC consenta la prosecuzione dell’attività d’impresa senza dover ricorrere alle protezioni “pubbliche” offerte dagli artt. 6, 7 e 8.
Se l’imprenditore fosse afflitto solo da una temporanea difficoltà di adempimento crisi, l’esperto potrebbe senz’altro agevolare la stipulazione di una convenzione di moratoria ex art. 182-octies l. fall. che consenta al primo di acquistare il tempo necessario al ripristino dell’equilibrio economico-finanziario. Soprattutto, però, costituirà terreno naturale di ricorso (quasi necessario) alla CNC il tentativo di risolvere la crisi tramite un accordo di ristrutturazione dei debiti, in funzione del quale magari l’imprenditore abbia già aperto il tavolo delle trattative prima della richiesta di nomina dell’esperto. In tale situazione, l’intervento dell’esperto indipendente sarà utile a smussare gli ultimi spigoli e ad agevolare la conclusione dell’accordo anche grazie allo scivolo offerto dall’esaltazione del principio maggioritario prevista dall’art. 11.2 [48].
In questi esempi si specchia il volto virtuoso della CNC, ma purtroppo non è l’unico.
Innanzitutto, infatti, sembra evidente che le dimensioni e la complessità dell’organizzazione d’impresa da condurre al risanamento e la diffusione della crisi attraverso le entità di un gruppo di società (cui pure è dedicato l’art. 13) renderà estremamente improbabile un ricorso alla CNC che possa effettivamente risolvere la crisi dell’imprenditore o del gruppo. In tali contesti, l’esperto potrebbe pensare di avvalersi generosamente dei consulenti dell’imprenditore (che possono partecipare alla conduzione delle trattative ex art. 5.5, con un significativo distacco della disciplina del D.L. dal senso di diffidenza nei loro confronti di cui è permeato il CCII e che trova plastica manifestazione nell’art. 6.3 CCII), così mutando il suo ruolo da one (super)man band a direttore d’orchestra, ma rischiando così di perdere quella indipendenza che costituisce caratteristica necessaria dell’esperto e che consiglia a questo di “avvalersi di [propri, n.d.r.] soggetti dotati di specifica competenza” [49], sostenendone i costi, senza potersi quindi appoggiare in toto al team di consulenti dell’imprenditore (pur tenuti a fornire all’esperto tutte le informazioni utili e necessarie allo svolgimento delle trattative).
Se la CNC riguardi un’impresa poco più che piccola, quindi, il lavoro dell’esperto rischia di essere improbo a prescindere (oltre che poco remunerativo, se la complessità dell’impresa gl’impone di costruirsi e pagarsi una suo team di coadiutori) e fonte di potenziali sue responsabilità qualora, privo di veri e propri poteri di controllo della gestione, non riesca ad intercettare per tempo atti o attività dell’imprenditore pregiudizievoli per la massa dei creditori.
Ma ciò che rende veramente insidiosa la CNC è la sua utilizzabilità anche in presenza di uno stato di insolvenza dell’imprenditore. Al di là dell’esperibilità di un serio tentativo di stipulare un accordo di ristrutturazione dei debiti, infatti, dubito che la CNC si presti bene a governare una situazione di decozione che realisticamente impedisca il raggiungimento di un accordo con i creditori, data la necessità di coinvolgere nelle trattative una massa di creditori privi di un coordinamento, di una regola di allineamento degli interessi paragonabile al principio della par condicio (certo non imposto nello svolgimento delle trattative), caratterizzati da propensioni alla regolazione del proprio credito del tutto soggettive ed impossibili da ricondurre ad unicum.
In questi casi, però, l’obiettivo del risanamento dell’impresa sarà comunque perseguibile (normalmente) tramite la cessione dell’azienda, anche a prescindere dal livello di soddisfacimento dei creditori, e ciò consentirà all’esperto di condurre comunque trattative, seppure finalizzate in primis alla ricerca di un potenziale acquirente dell’azienda. Nella migliore delle ipotesi, il tempo delle trattative sarà limitato a questo minimale (ma pur “premiato”: v. art. 16.3.d) obiettivo.
Nella peggiore, considerate le diffidenze che potrebbero comunque essere generate dall’acquisto di un’azienda da parte di imprenditore insolvente al di fuori di una procedura concorsuale, si rischia l’intrapresa di un percorso che alla fine si traduce in una “fase di osservazione” all’esito della quale – raccolta una qualsiasi Relazione Finale dell’esperto, in cui si dia atto dello svolgimento delle trattative “secondo correttezza e buona fede” (limitatamente all’intervento dell’imprenditore, sembra di poter sostenere) – la CNC possa trovare sfogo nel concordato semplificato o in qualche altra procedura più acconcia alla fattispecie concreta. Quasi un surrogato extra-giudiziale del concordato “in bianco”, insomma, con le mani dell’imprenditore lasciate però innegabilmente più libere.
Questo, se si vuole, è il lato oscuro della CNC, che può giustificare l’appassionata levata di scudi che si è registrata tra alcuni commentatori, specialmente di estrazione giurisprudenziale [50]. Di certo, abbiamo a che fare con un istituto estremamente flessibile, destinato ad introdurre nella panoplia degli strumenti di governo della crisi una modalità d’intervento unica per ampiezza di applicazione nell’ordinamento nazionale, destinata ad imprenditori commerciali ed agricoli, grandi e piccoli [51], organizzati in gruppi o monadi, destinato dal legislatore a trattare qualsiasi situazione di crisi, anche la peggiore immaginabile: veramente uno strumento totipotente, anche se mirato innanzitutto alla conservazione dell’impresa in sé e difficilmente utile al governo di una situazione di insolvenza dell’imprenditore, i cui risultati, in un contesto di intervento “quanto basta” dell’autorità giudiziaria, dipenderanno soprattutto dalla professionalità, dalla razionalità, dalla serietà, finanche dalla moralità delle persone coinvolte nel procedimento [52].

Note:

[1] 
La tendenza sembra inequivoca, a prescindere dal fatto che si tratti di un “venticello” (cfr. D. Galletti, È arrivato il venticello della controriforma? Così è, se vi pare, nel Fallimentarista, 27 luglio 2021) o di un “vento di maestrale” (cfr. A Jorio, Alcune riflessioni sulle misure urgenti: un forte vento di maestrale soffia sulla riforma!, in questa Rivista, 1°.10.2021). Si veda anche P. Liccardo, Neoliberismo concorsuale e le svalutazioni competitive: il mercato delle regole, in www.giustiziainsieme.it, 14.09.2021.
[2] 
Si vuole indulgere all’ottimismo e muovere da un certum an, seppure incertum quando, della fine della pandemia che, d’altronde, costituisce evento storicamente ricorrente e quindi non propriamente “eccezionale” in sé, pur se eccezionali possono dirsi gli effetti determinati su una società interconnessa come mai lo era stata nella storia (nota) dell’umanità. E la storia (anche recente) insegna che le pandemie sono sempre passate (anche se alle volte tramite la rarefazione dei vettori umani dell’agente virale).
[3] 
All’art. 56 del CCII si fa infatti oggi riferimento agli “accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento”.
[4] 
E come ci ha insegnato anche L. Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2007, p. 30 ss., autorevole membro della Commissione cui si deve l’articolato del D.L. n. 118/2021. V. anche (e già) D. Galletti, La ripartizione del rischio di insolvenza. Il diritto fallimentare tra diritto ed economia, Bologna, 2006, p. 7 ss.
[5] 
È peraltro singolare che, nel testo di legge che restituisce al contratto dignità di strumento di regolazione della crisi, nella disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti, l’istituto più “negoziale” contenuto nella legge fallimentare, si ampli ulteriormente, con l’apertura dell’efficacia estesa degli accordi ex art. 182-septies l. fall. ad ogni creditore, anche diverso da banche e intermediari finanziari, il ricorso al principio maggioritario.
[6] 
In assenza di altri riferimenti, il richiamo di articoli di legge s’intende fatto all’articolato del D.L. n. 118/2021, quale modificato dalla legge di conversione n. 147/2021.
[7] 
Anche nella conduzione di trattative che coinvolgano un gruppo d’imprese: cfr. art. 13.8.
[8] 
L’esperto non potrà non fare affidamento, specie considerata la disciplina dei costi delle trattative (che scarica sul compenso dell’esperto “gli esborsi sostenuti per la remunerazione dei soggetti dei quali l’esperto si è avvalso”: art. 16.9), sul contributo dei consulenti dell’imprenditore in crisi.
[9] 
Soft a causa della sua scarsa coercibilità e della difficoltà di immaginare una reazione ex post all’inadempimento dei doveri imposti dall’art. 4.
[10] 
Cfr. L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in questa Rivista, 24 agosto 2021, p. 17.
[11] 
Cfr. …
[12] 
Certo va riconosciuto il merito della Commissione Pagni nell’elaborare in tempi ristretti un istituto nuovo di zecca, caratterizzato da una disciplina nella quale sono quasi del tutto assenti rinvii esterni, con un lessico normativo appropriato e ricercato.
[13] 
Che si tratti di impedirne l’esercizio di azioni a tutela dei crediti (cfr. artt. 6 e 7), di imporre gli effetti asimmetrici della prededuzione (cfr. art. 10.1, lettere “a”, “b”, “c”), di sottrarre la responsabilità solidale ex art. 2560 c.c. dell’acquirente dell’azienda (cfr. art. 10.1, lettera “d”), di rideterminare forzosamente, seppure “per il periodo strettamente necessario”, il contenuto di contratti ad esecuzione continuata, periodica o differita (cfr. art. 10.2). In realtà, con la legge di conversione, l’art. 8 consente all’imprenditore di disapplicare ex lege, senza l’intervento dell’autorità giudiziaria, la disciplina di tutela dell’integrità del capitale sociale posta dagli artt. 2446, 2447, 2482-bis, 2482-ter c.c., di per sé posta ad evitare esternalità negative nella conduzione dell’impresa che incidano sulle sfere d’interesse di terzi. Vero è, d’altra parte, che la necessaria pubblicità dell’atto con il quale l’imprenditore dichiara di volersi avvalere di siffatta disapplicazione costituisce il contrappeso che il legislatore assume sufficiente e necessario nei confronti dei creditori volontari.
[14] 
A differenza, ad esempio, da quanto avviene negli accordi di ristrutturazione dei debiti, che alla fine devono sempre passare attraverso il vaglio di omologazione del tribunale.
[15] 
Cfr. S. Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in Ristrutturazioni aziendali, 23 agosto 2021, p. 11 s. Più possibilista R. Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in Ristrutturazioni aziendali, 08 settembre 2021, p. 14.
[16] 
Le virgolette daranno il senso dello scarso rigore dell’utilizzo del sostantivo, debitore della tradizione e a grandi linee equivalente a “condizioni di applicazione della disciplina”.
[17] 
Cfr. art. 17, ove sono contenute le minime modifiche di disciplina riservate alle imprese “sotto soglia”, con questa espressione riferendosi il legislatore a quelle imprese che non superino alcuna delle soglie numeriche previste dal comma 2° dell’art. 1 l. fall.
[18] 
Cfr. art. 13, in materia di “Conduzione delle trattative in caso di gruppo di imprese”.
[19] 
Escludendosi, ovviamente, che la CNC sia una delle “procedure concorsuali” che impediscano, ai sensi dell’art. 6.1 della L.n. 3/2012, la fruibilità dei suoi istituti.
[20] 
Solo nella L.n. 3/2012, all’art. 6.2.a), si fa riferimento ad una (più precisa) “situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte”, in una dimensione statica (evocata dal “patrimonio prontamente liquidabile”) che mal si attaglia alla fattispecie imprenditoriale.
[21] 
E ciò che è inutile ben che vada resta inutile, male che vada diventa dannoso a fini interpretativi, ovvero alimenta incertezze. Come nelle auto da corsa, anche nelle norme, più pezzi (inutili) ci sono, più c’è il rischio che si rompano (C. Chapman).
[22] 
Diffusa la convinzione dei primi commentatori dell’anticipazione della situazione rilevante al fine dell’applicazione della disciplina in materia di CNC: cfr. In tal senso, cfr. S. Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in Ristrutturazioni aziendali, 23 agosto 2021, p. 6; L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in questa Rivista, 24 agosto 2021, p. 10; S. Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, in questa Rivista, 28 settembre 2021, p. 5; V. Minervini, La “composizione negoziata” nella prospettiva del recepimento della Direttiva “Insolvency”. Prime riflessioni, in Ristrutturazioni aziendali, 17 ottobre 2021, p. 7 (ove parla di “earliest warning”). Tra gli “autori” del D.L., v. M. Fabiani, La proposta della Commissione Pagni all’esame del Governo: valori, obiettivi, strumenti, in questa Rivista, 02 agosto 2021, p. 4: “L’idea di fondo è quella di intercettare situazioni di difficoltà economica, finanziaria e patrimoniale che possono essere lontane dal concetto di crisi, palesemente schiacciato su quello di insolvenza declinato nel codice della crisi”.
[23] 
In tal senso, invece, M. Irrera e P. Riva, La convergenza tra le indicazioni del Codice della Crisi e del D.L. 118/2021: is cash still king? DCSR e TdR a confronto, in Ristrutturazioni aziendali, 20 ottobre 2021, p. 3, ove addirittura si ritiene “certo che la nozione di crisi contenuta nel D.L. 118/2021 appare certamente coerente con la definizione contenuta nel Codice della Crisi” (corsivi aggiunti).
[24] 
V., se si vuole, Ant. Rossi, Dalla crisi tipica ex CCII alla resilienza della twilight zone, nel Fallimento, 2019, p. 293 ss.
[25] 
V. ancora, se si vuole, Ant. Rossi, op. cit. p. 295 ss.
[26] 
La legge di conversione ha saggiamente abbandonato l’impreciso concetto di “attenuazione” della responsabilità contenuto nel testo originario del D.L., né ha un gran senso l’“esonero” che pure era previsto (come è tuttora previsto dall’art. 14.3 CCII), dal momento in cui la tempestiva segnalazione all’organo di amministrazione integra un’ipotesi di esatto adempimento delle obbligazioni dell’organo di controllo, in sé in grado di escludere (più che esonerarlo dal) la sua responsabilità.
[27] 
Addirittura richiedibili in quasi contestualità con l’istanza di nomina dell’esperto: cfr. art. 6.1.
[28] 
L’art. 9 originario dava regole di gestione dell’impresa in pendenza delle trattative che consideravano quale peggiore situazione dell’imprenditore la sussistenza di una “probabilità di insolvenza”.
[29] 
Per la persistente (ma non prevalente) rilevanza dell’interesse dei creditori in ogni momento della gestione dell’impresa, cfr. M.G. Musardo, La conservazione del patrimonio nella gestione delle società, Milano, 2020, p. 79 ss.
[30] 
Contra S. Leuzzi, op. cit., p. 9: “Quando l’impresa arriva decotta non c’è spazio per la relazione finale, dovendosi procedere all’archiviazione immediata da parte del negoziatore dopo l’audizione”.
[31] 
Cfr. S. Ambrosini, op. cit., p. 7; R. Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in Ristrutturazioni aziendali, 08.09.2021, p. 4.
[32] 
V. Relazione Illustrativa, all’esordio (p. 1), dove si finalizza lo strumento della CNC allo scopo di “affrontare e risolvere tutte quelle situazioni di squilibrio economico-patrimoniale che, pur rivelando l’esistenza di una crisi o di uno stato di insolvenza, appaiono reversibili”. Ancor più esplicita la Relazione a p. 3, dove si legittima alla CNC l’imprenditore “in difficoltà, in crisi, o in stato di insolvenza reversibile”. Tra i primi commentatori, cfr. S. Ambrosini, op. cit., p. 8; L. Panzani, op. cit., p. 10; S. Leuzzi, op. cit., p. 16; A. Jorio, op. cit., p. 2 ss.
[33] 
Assumendosi che esista effettivamente un’insolvenza assolutamente “irreversibile”, considerata l’astratta possibilità (che rientra comunque nella libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.) che qualcuno voglia buttare soldi in un’impresa non appetibile. Cfr. D. Galletti, Breve storia, cit.: “non esiste ontologicamente un’insolvenza in sé ‘irreversibile’”.
[34] 
Anche se, qualora si tratti di società, la compagine sociale muti al suo interno con un conferimento di risorse da parte di un nuovo soggetto economico.
[35] 
Cfr. S. Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, in questa Rivista, 28 settembre 2021, p. 7: “La ‘fuga di notizie’ può far prendere all’impresa il piano inclinato della distruzione insanabile di ricchezza”.
[36] 
Cfr. D. Galletti, Breve storia di una (contro)riforma annunciata, nel Fallimentarista, 1° settembre 2021: “Ad un occhio disincantato in realtà l’obiettivo del risanamento dell’azienda, perseguito attraverso la continuità diretta, non sembra davvero interessare molto il Legislatore del DL”.
[37] 
Ci si riferisce, in particolare, a Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2021 (ord.), n. 18610.
[38] 
V. Decreto Dirigenziale, sez. III, par. 2.4, ove sembra che sia “inutile avviare le trattative” solo in caso di “assenza di valore del compendio aziendale”.
[39] 
V. anche L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in questa Rivista, 24 agosto 2021, p. 9: “L’accento è posto sulla possibilità di trasferimento dell’azienda o di rami di essa prendendo atto che l’esperienza insegna che la ristrutturazione ed il ripristino della continuità aziendale nella maggioranza dei casi sono possibili soltanto con la continuità indiretta”.
[40] 
Cfr. V. Zanichelli, Gli esiti possibili della composizione negoziata, in questa Rivista, 26 ottobre 2021.
[41] 
Cfr. P. Liccardo, op. cit., p. 3: “l’esito negativo della composizione negoziata è caratterizzato dall’assoluta irrilevanza concorsuale della archiviazione del procedimento”.
[42] 
Resta singolarmente fuori dall’applicazione del bonus la trattativa che porti alla predisposizione di un piano di risanamento, pur non sottoscritto dall’esperto ma attestato dal professionista indipendente ex art. 67 c. 3°, lett. d), l. fall., specie allorché il bonus, a seguito della conversione del D.L., è stato esteso anche all’ipotesi di chiusura con una domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, che richiede pur sempre l’intervento del professionista attestatore.
[43] 
Cfr. L. Panzani, op. cit., p. 20.
[44] 
V. anche S. Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, in questa Rivista, 28 settembre 2021, p. 4: “L’esperto parrebbe chiamato a dire la sua solo sull’attività straordinaria. Sul piano delle operazioni correnti, pertanto, potrebbero consumarsi iniziative opache”.
[45] 
V. Decreto Dirigenziale, Sezione I, par. 8: “Se la continuità aziendale può essere perseguita solo in via diretta, occorre stimare le risorse realizzabili attraverso la cessione dell’azienda o di rami di essa e compararle con il debito che deve essere servito per comprendere la praticabilità del risanamento”. Le ambiguità di questa parte del test sono molte; soprattutto, una volta stimate le risorse (il valore-prezzo dell’azienda), constatato che tendenzialmente il prezzo ritraibile dalla cessione dell’azienda sarà inferiore alla massa passiva, il risanamento dell’impresa sarà comunque sempre praticabile attraverso la cessione dell’azienda, a prescindere dal soddisfacimento (integrale) del debito. In tal senso sembra indirizzare l’interprete anche la Sezione III, par. 2.4, del Decreto cit.: “Se l’esperto ravvisa … la presenza di uno stato di insolvenza, questo non necessariamente gli impedisce di avviare la composizione negoziata. Occorre però che l’esperto reputi che vi siano concrete prospettive di risanamento … perché dovranno essere valutate sulla base della effettiva possibilità di accordi con i creditori o di una cessione dell’azienda i cui proventi consentano la sostenibilità del debito. Si terrà conto del fatto che, a fronte (i) di una continuità aziendale che distrugge risorse, (ii) dell’indisponibilità dell’imprenditore a immettere nuove risorse, (iii) dell’assenza di valore del compendio aziendale, la probabilità che l’insolvenza sia reversibile sono assai remote indipendentemente dalle scelte dei creditori, e dunque che [solo, n.d.r.] in questi casi è inutile avviare le trattative”.
[46] 
Cfr. V. Minervini, op. cit., p. 13: “E’ l’impresa in senso obiettivo, intesa dunque come organizzazione (e non il soggetto-imprenditore) a essere al centro del giudizio di risanabilità e, con esso, dell’azione di salvataggio volta a sottrarla alla possibile disgregazione a causa della pandemia”.
[47] 
Salvo la reviviscenza della rilevanza di una crisi atipica anche nel vigore del CCII: cfr., se si vuole, A. Rossi, op. cit., p. 296.
[48] 
L’art. 11.2 consente la riduzione della maggioranza richiesta per l’estensione degli affetti dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-septies l. fall. dal 75% al 60%, con una sempre maggiore competitività dell’istituto rispetto al concordato preventivo.
[49] 
Peraltro, a loro volta “non legati all’impresa o ad altre parti interessate all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale”, nel testo dell’art. 4.2 risultante dalla conversione in legge del D.L.
[50] 
Ci si riferisce soprattutto a F. Lamanna, Nuove misure sulla crisi d’impresa del D.L. 118/2021: Penelope disfa il Codice della crisi recitando il ‘de profundis’ per il sistema dell’allerta, nel Fallimentarista, 25 agosto 2021; D. Galletti, Breve storia di una (contro)riforma ‘annunciata’, nel Fallimentarista, 1° settembre 2021; P. Liccardo, op. cit.; A. Ghedini e M.L. Russotto, L’istituto della composizione negoziata della crisi, in questa Rivista, 19 ottobre 2021.
[51] 
Poche le modifiche poste dall’art. 17 alla disciplina della CNC per le imprese “sotto soglia”, specialmente dipendenti dai diversi strumenti di regolazione della crisi (previsti dalla L.n. 3/2012), nei quali può sfociare la CNC.
[52] 
Esperto, imprenditore in crisi, consulenti, banche, creditori, tutte le anonime “parti” cui spesso le norme del D.L. si riferiscono ermeticamente.

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