Gli approdi cui possono giungere le trattative di cui si è sin qui detto sono ascrivibili a tre gruppi, ed in relazione ad ognuno di essi è richiesta all’esperto una gamma più o meno vasta di incombenti[30].
Al primo sono da ricondurre soluzioni negoziali, che cioè prevedono il consenso delle controparti.
E così, l’art. 11 comma 1 let. a) prevede che la negoziazione si concluda con la stipula di contratti, con uno o più creditori, che possono anche produrre gli effetti di cui all’art. 14 (riduzione degli interessi sui debiti tributari, riduzione delle sanzioni tributarie, concessione di una dilazione di pagamento del debito tributario) se nella relazione conclusiva caricata sulla piattaforma l’esperto attesta che il contratto è idoneo ad assicurare la continuità aziendale per almeno 2 anni. Questo tipo di soluzione, quindi, incide sul contenuto della relazione finale.
Non è prescritto che questo contratto debba avere un contenuto minimo specifico, per cui le parti potranno liberamente determinarne i termini a norma dell’art. 1321 c.c. La norma non contempla l’eventualità che l’accordo possa coinvolgere anche uno o più terzi (si pensi al fornitore strategico), ma il silenzio serbato sul punto dal legislatore non pare indice di una volontà preclusiva. L’unico elemento richiesto, se si vuole la produzione degli effetti di cui all’art. 14, è che, come detto, dalla relazione dell’esperto risulti la sua idoneità ad assicurare la continuità aziendale per almeno due anni.
Certamente, la conclusione della negoziazione con uno o più contratti di questo tipo potrebbe apparire esito poco appagante, visto che ci si accontenta di assicurare la continuità aziendale per un (solo) biennio, il che non assicura ex se il definitivo superamento della situazione di crisi. Questa perplessità può essere tuttavia superata se si immagina che, vista la finalità propria della composizione negoziata, e cioè il superamento della crisi, l’esperto sia comunque chiamato a compiere una valutazione prognostica, ed a ritenere positivamente concluso il percorso solo se le soluzioni concordate siano idonee all’obiettivo ultimo, al netto dalla garanzia della continuità nel biennio, dovendo indicare, in caso contrario, qual è lo strumento (concordato preventivo, accordo di ristrutturazione dei debiti, piano attestato o altro) che possa assicurare la definitiva esistenza in vita dell’azienda. Che però (anche) questo sia il compito dell’esperto nelle ipotesi di cui all’art. 11, comma 1 let. a) appare: da un lato incerto poiché non si colgono nel tessuto normativo chiari indici che depongano in questa direzione; e dall’altro assai complicato, visto che si tratterebbe di argomentare sul lungo periodo, e prim’ancora occorrerebbe intendersi sul corretto significato del sintagma “definitivo superamento della crisi”, atteso che la vita aziendale non è un insieme di fotogrammi ma un divenire in continuo movimento, esposto non solo alle dinamiche ad essa interne, ma anche alle molteplici variabili del mercato.
Altra possibilità è che le parti stipulino una convenzione di moratoria ai sensi dell'articolo 182-octies l.fall., con conseguente obbligo per l’esperto di verificarne i presupposti (art. 11, comma 1 let. b).
Si tratta di un istituto che il dl 118/2021 innesta nel corpo della legge fallimentare, e che anticipa l’identico strumento di cui all’art. 62 del codice della crisi. Esso consente all’imprenditore di concludere un accordo con i creditori la cui funzione sia quella di “disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi”. Il suo contenuto non è libero, potendo realizzare solo: la dilazione delle scadenze dei crediti; la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative; ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito.
È anche possibile che la convenzione di moratoria imponga l'esecuzione di nuove prestazioni [31] la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l'erogazione di nuovi finanziamenti, ma dette imposizioni non vincoleranno i creditori non aderenti
La norma prevede che essa sia efficace anche nei confronti dei creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria, a condizione che:
a) essi siano stati informati dell'avvio delle trattative o siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sulla convenzione e i suoi effetti;
b) i crediti dei creditori aderenti appartenenti alla categoria rappresentino il settantacinque per cento di tutti i creditori appartenenti alla categoria:
c) i creditori della medesima categoria non aderenti subiscano un pregiudizio proporzionato e coerente con le ipotesi di soluzione della crisi o dell'insolvenza in concreto perseguite;
d) un professionista attesti la veridicità dei dati aziendali, l'idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi, e la proporzionalità del pregiudizio dei non aderenti rispetto agli auspicati esiti di soluzione della crisi perseguiti.
Poiché, come detto, funzione della convenzione di moratoria è quella di disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi, è chiaro che se, com’è fisiologico nella natura dell’istituto, esso rappresenta solo un momento del processo di traghettamento dell’impresa verso il definitivo risanamento, la relazione finale dell’esperto dovrà dare conto del fatto che si tratta di una soluzione ponte, indicando quale sia l’ulteriore percorso, concordato con i creditori che hanno partecipato alla trattativa, per addivenire alla soluzione definitiva.
Una terza soluzione negoziale è quella della sottoscrizione, tra imprenditore, creditori ed esperto, di un accordo ai sensi dell’art. 67, comma 3 let. d) l.fall. (art. 11, comma 1 let. c), che si sostanzia in un piano di risanamento dell’impresa. Si è opportunamente previsto che il piano non abbia bisogno dell'attestazione di cui al terzo comma, lettera d) del medesimo art. 67 poiché l’attestazione di fattibilità, di veridicità dei dati e di idoneità dell’accordo a superare la crisi è insita nelle attribuzioni dell’esperto che assiste l’imprenditore, ed è evidente che la sottoscrizione dell’accordo da parte dello stesso esperto implica un onere di accertamento di questi presupposti. Inoltre, proprio in ragione della funzione istituzionale dell’esperto (che è quella di perseguire il risanamento dell’impresa), sarebbe stato soverchio il richiamo alla previsione dell’art. 67 l.fall. per cui il piano “appaia idoneo a consentire il risanamento della posizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria”.
Ci si deve chiedere se la norma, nel prevedere un accordo “sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto” imponga all’esperto di assicurarsi la sottoscrizione da parte di tutti i creditori, anche in ragione del fatto che nell’art. 11 let. a) si rinviene il diverso riferimento a “uno o più creditori”. L’interpretazione più rigorosa del dettato normativo pare difficile, poiché così operando l’istituto difficilmente potrebbe avere concreta applicazione; appare dunque preferibile ritenere, anche qui, che l’accordo possa intervenire anche solo con alcuni creditori.
Accanto a queste possibilità è previsto (art. 11 comma 2) che la composizione negoziata della crisi possa sfociare nella domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis l.fall.), un accordo ad efficacia estesa (art. 182-septies l.fall. o art. 61 ccii), ovvero ancora un accordo di ristrutturazione agevolato (art. 182-nonies l.fall. o art. 60 ccii).
In relazione ad essi l’esperto non deve necessariamente pretenderne la formalizzazione prima della conclusione dell’incarico. Lo si ricava agevolmente dalla previsione del secondo capoverso dell’art. 11 comma 2, a mente del quale “La percentuale di cui all'articolo 182-septies, secondo comma, lettera c), è ridotta al 60 per cento se il raggiungimento dell'accordo risulta dalla relazione finale dell'esperto”, dal che si desume, a contrario, che in occasione della chiusura della procedura l’accordo potrebbe anche non essere stato (ancora) formalizzato, sebbene il ricorso ad un accordo già sugellato prima della chiusura della negoziazione siaì incentivato poiché ciò consente di ridurre (dal 75% al 60%) la percentuale di creditori consenzienti necessaria affinché la proposta sia vincolante anche per quelli dissenzienti. Del resto, è lo stesso art. 182-bis comma sesto a prevedere che il ricorso per omologa possa essere presentato anche prima del raggiungimento dell’accordo, al fine di ottenere la pronuncia del decreto con cui il Tribunale vieta di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari contro l’imprenditore. In ogni caso, il ricorso all’istituto è incentivato dall’accesso alle misure premiali di cui agli artt. 14, comma 1, 2 e 3.
Infine, il terzo comma dell’art. 11 prevede la possibilità che, conclusosi il procedimento, l’imprenditore potrebbe:
- predisporre un piano attestato di risanamento ex art. 67 comma 3 let. d) l.fall.;
- depositare una domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio ex art. 18[32];
- accedere ad una delle procedure disciplinate dalla legge fallimentare (e quindi, sostanzialmente, il fallimento), o all’amministrazione straordinaria (d.lgs. 270/1999 e d.l. 347/2003).