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Codice della crisi e legislazione antimafia: una convivenza possibile?*
Pasquale Addesso, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Milano
25 Marzo 2024
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Sommario:
La direttiva (UE) 2019/1023[2] considera l'insolvenza delle imprese una condizione da prevenire al fine di evitare la liquidazione di imprese recuperabili al valore e massimizzare, al contempo, il soddisfacimento dei creditori nell'interesse del mercato e della sua competitività; tuttavia, il nostro ordinamento giuridico stabilisce quale regola imperativa che gestire un'impresa richiede imprescindibilmente di preservarne la continuità aziendale adottando tutti gli strumenti disponibili per il contrasto tempestivo all'insorgere della crisi e dell'insolvenza (art. 2086 c.c.)[3].
La normativa europea fissa altresì un'altra esigenza primaria che le imprese irreversibilmente insolventi siano liquidate, il più presto possibile, in modo da non aggravare i danni già maturati disponendo la cessazione dell’attività, secondo le procedure previste dalla legge realizzando la responsabilità patrimoniale del debitore, in un ambito processuale, attraverso la conversione dei beni e i crediti vantati dal debitore verso terzi in denaro da restituire ai creditori, in modo da ridurre l'impatto negativo dell'inadempimento.
Il diritto dell'insolvenza è, per le ragioni evidenziate, caratterizzato dalla variabile determinante data dall'attività economica esercitata dal debitore compromessa dall'incapacità di adempiere; quando la crisi assume carattere sistemico può investire l'intera realtà economica cagionando fallimenti “in serie” o l'insolvenza può colpire imprenditori che gestiscono attività economiche di grandi dimensioni oppure operatori in determinati settori di mercato, (es. bancario finanziario), determinando anche crisi di ampia portata. Anche nei casi di minor rilievo, l'insolvenza costituisce un problema significativo; si tratta di una condizione soggettiva negativa che può determinare l'impossibilità della prosecuzione dell'attività di impresa del debitore con pregiudizio non soltanto dei creditori ma anche dei lavoratori e dei consumatori, che abitano nel territorio in cui l’impresa operava.
Il nuovo diritto delle ristrutturazioni fondato sulla regola valoriale dell’art. 2086 c.c. offre all’interprete, quale prima chiave di lettura, la valorizzazione dell’impresa ancora capace di produrre ricchezza che è necessario preservare; l'acquisizione dei fattori produttivi necessari allo svolgimento dell'attività economica presuppone la solvibilità dell'imprenditore che, in caso contrario, vedrà compromessa la prosecuzione dell'attività fino all'interruzione della continuità aziendale; l’impresa, infatti, non si limita a creare ricchezza (che è qualcosa di diverso dalla logica del profitto) ma, per il suo stesso dinamismo, ne realizza la redistribuzione verso i creditori (lavoratori fornitore professionisti erario enti previdenziali banche). Il valore di un’attività economica non riguarda solo la capacità di produrre utili, che possono anche mancare, ma l’attitudine a generare o mantenere rapporti di lavoro, sviluppare il tessuto economico del territorio, manutenere i rapporti con i sub fornitori o l’indotto. L'insolvenza impedisce questa fondamentale funzione e suscita l'esigenza del monitoraggio dell'efficienza e del recupero precoce dell'efficacia perduta nell'esercizio dell'impresa.
Nel diritto tradizionale, l'insolvenza costituiva un concetto compatto e indicava una condizione di irrecuperabile impotenza del debitore; nel diritto del nuovo codice (D.Lgs. n. 14/2019) il concetto di insolvenza è stato ridefinito in una concezione più ampia, in cui insolvenza in senso tradizionale costituisce la fase terminale di un processo degenerativo, variamente indicato nei suoi sviluppi che vanno: dallo stato di “pre crisi” alla “crisi” (o pericolo di insolvenza), all'insolvenza reversibile, all'insolvenza definitiva e non reversibile; l'insolvenza resta, tuttavia, il concetto cardine in quanto le ulteriori definizioni di crisi o precrisi ne costituiscono delle varianti definite in relazione ad essa[4].
Nel diritto fallimentare tradizionale l'interesse dell'impresa era “occasionalmente” protetto in quanto condizioni imprescindibili era la soddisfazione dei diritti dei creditori; nel nuovo diritto della ristrutturazione emerge la maggiore consapevolezza del fenomeno dell'impresa ove il superamento della crisi e il ritorno al valore di impresa si realizza anche attraverso la conformazione dei diritti dei creditori se necessaria per consentire la ristrutturazione dell'attività. Il rigore del sistema di responsabilità patrimoniale è attenuato consentendo la cancellazione dei debiti non pagati l'intangibilità dei beni sopravvenuti in ciò emerge l'accrescimento del numero degli interessi coinvolti nella disciplina dell'insolvenza.
Le direttive europee sugli appalti, a partire dalla prima, la n. 305 del 1971, sino all’ultima, la n. 24 del 2014, pur contemplando (quest’ultima all’art. 57.4, lett. b) il fallimento e le altre procedure concorsuali tra i possibili motivi di esclusione, hanno tuttavia sempre rimesso agli stati membri e alle loro amministrazioni aggiudicatrici la scelta del se e come escludere i concorrenti che si trovano in stato di crisi o insolvenza, attribuendo ai legislatori nazionali la facoltà di non applicare affatto tali cause di esclusione o di inserirle nella normativa nazionale domestica con un grado di rigore variabile a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economico o sociale (Corte di giustizia 28 marzo 2019, in causa C-101/18).
In armonia con le regole europee, il nostro legislatore ha introdotto significative deroghe al divieto contenuto nell’art. 94 co 5 lett. d) del D.Lgs. n. 36/2023[5] che costituiscono la positivizzazione del favor riconosciuto alla continuità aziendale, secondo quanto previsto dai commi da 1 a 5 dell’articolo 95 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, nonché dall’articolo 186 bis, comma 5, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e dall'articolo 124 del D.Lgs. n. 36/2023 (fase di esecuzione); la disposizione del nuovo codice dei contratti pubblici, prevede infatti che “l’esclusione non opera se, entro la data dell’aggiudicazione, sono stati adottati i provvedimenti di cui all’articolo 186 bis, comma 5, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e all’articolo 95, commi 3 e 4, del codice di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019, a meno che non intervengano ulteriori circostanze escludenti relative alle procedure concorsuali”.
Nella disciplina del concordato preventivo, in particolare l’art. 95 CCII (“Disposizioni speciali per i contratti con le pubbliche amministrazioni”) per i contratti in corso di esecuzione, stipulati con pubbliche amministrazioni, si esclude la risoluzione per effetto del deposito della domanda di concordato, con inefficacia di eventuali patti contrari. Al comma 3 è previsto altresì che successivamente al deposito della domanda di cui all'articolo 40, la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici non è preclusa all’impresa in concordato ma richiede un controllo giurisdizionale attraverso l’autorizzazione del tribunale, e, dopo il decreto di apertura, dal giudice delegato, acquisito il parere del commissario giudiziale ove già nominato. L'autorizzazione consente la partecipazione alla gara previo deposito di una relazione del professionista indipendente che attesta la conformità al piano, ove predisposto, e la ragionevole capacità di adempimento del contratto. Fermo quanto previsto dal comma 4, l'impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, sempre che nessuna delle altre imprese aderenti al raggruppamento sia assoggettata ad una procedura concorsuale[6].
La disciplina sulla liquidazione giudiziale prevede la possibilità che il Tribunale autorizzi il curatore a proseguire l’esercizio dell’impresa, anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, purché la prosecuzione non arrechi pregiudizio ai creditori[7]; il curatore autorizzato all'esercizio dell'impresa non può partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori, forniture e servizi ovvero essere affidatario di subappalto, tuttavia, l’art 124, comma 4, del D.Lgs. n. 36/2023 prevede che “Il curatore della procedura di liquidazione giudiziale, autorizzato all'esercizio provvisorio dell'impresa, può, su autorizzazione del giudice delegato, stipulare il contratto qualora l’aggiudicazione sia intervenuta prima della dichiarazione di liquidazione giudiziale ed eseguire i contratti e gli accordi quadro già stipulati dall'impresa assoggettata alla liquidazione giudiziale. L’autorizzazione alla stipulazione del contratto deve intervenire entro il termine di cui all’articolo 18, comma 2; in mancanza il curatore è da intendersi sciolto da ogni vincolo e la stazione appaltante procede ai sensi dei commi 1 e 2”.
Si tratta di un novità legislativa significativa che, modificando il regime previgente, esclude l’automatica decadenza dall’aggiudicazione in caso di sopravvenienza della liquidazione giudiziale potendo il contratto essere stipulato col curatore autorizzato all’esercizio dell’impresa, previa autorizzazione del giudice delegato; risulta evidente la ratio di preservare il valore dell’impresa quando la partecipazione e l’aggiudicazione della gare sono avvenute in una situazione di solvenza dell’operatore economico, in modo del tutto legittimo ed occorra soltanto l’aspetto formale della stipulazione. La meritevolezza dell’aspettativa della curatela alla sottoscrizione del contratto è nella tutela della consistenza del patrimonio dell’imprenditore in liquidazione giudiziale e delle ragioni dei creditori, previa verifica del curatore e del giudice delegato della sostenibilità da parte della società fallita dell’esecuzione del contratto.
L’ambito interpretativo dell’espressione “contratti stipulati” di cui al previgente l’art. 110, comma 3 decreto legislativo n. 50 del 2016 è stato inoltre ampliato ricomprendendo nel comma 4 della disposizione proposta anche gli accordi quadro (e quindi i contratti applicativi successivi); i è così risposto al dubbio se il curatore potesse stipulare contratti applicativi dell’accordo quadro, oppure se l’accordo quadro stipulato rimanesse comunque valido, ma “sospeso” fino al subentro di un nuovo soggetto acquirente dell’azienda o cessionario del contratto.
L’art. 124 D.Lgs. n. 36/2023, infine, si occupa dell’esecuzione o completamento dei lavori, servizi o forniture in caso di insolvenza o di impedimento alla prosecuzione dell’affidamento con l’esecutore designato e corrisponde all’art. 110 del decreto legislativo n. 50 del 2016[8] prevedendo che “Fatto salvo quanto previsto dai commi 4 e 5, in caso di liquidazione giudiziale, di liquidazione coatta e concordato preventivo, oppure di risoluzione del contratto ai sensi dell’articolo 122 o di recesso dal contratto ai sensi dell'articolo 88, comma 4 ter, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, oppure in caso di dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto, le stazioni appaltanti interpellano progressivamente i soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, per stipulare un nuovo contratto per l'affidamento dell'esecuzione o del completamento dei lavori, servizi o forniture, se tecnicamente ed economicamente possibile”.
La norma effettua un bilanciamento tra contrapposte esigenze della stazione appaltante: da un lato, contenere i costi dell’opera pubblica, ma anche di completarne la realizzazione (ovvero, per gli appalti di servizi e forniture di contenerne i costi, ma pervenire alla conclusione del servizio o della fornitura). Il comma 2 un secondo periodo prevede la facoltà per la stazione appaltante di disporre nei documenti di gara che, in caso di subentro con scorrimento della graduatoria, le condizioni economiche del contratto saranno quelle proposte dal subentrante (sempre che il subentro sia economicamente e tecnicamente possibile ai sensi del comma 1 riformato)[9].
Il tema è analogo all’ipotesi in cui subentri una interdittiva in fase di esecuzione del contratto; in entrambi i casi (art. 124, commi 1 e 3), al collegio consultivo tecnico è consentito di valutare la preferibilità a proseguire o meno, come per tutti gli altri casi che si dovessero presentare. Del resto, ciò è in linea con l’art. 94, commi 3 e 4, del D.Lgs. n. 159/2011 dove si legge che: “I soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, non procedono alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente nel caso in cui l'opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell'interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi” e che “Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 si applicano anche nel caso in cui emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione”.
La giurisprudenza amministrativa[10] ha avuto modo di affrontare il rapporto tra legislazione antimafia e diritto concorsuale nel caso di divieto alla iscrizione nella white list e/o emissione di una informativa con efficacia interdittiva, nei confronti di una società ammesso ad una procedura concorsuale di concordato preventivo; il giudice amministrativo, in fase cautelare, nella valutazione comparativa degli interessi in gioco, tra la conservazione dei livelli occupazionali ed il favor per il terzo acquirente (estraneo al contesto criminale), antagonisti al pericolo di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, ha ritenuto necessario verificare il livello di gravità dell'infiltrazione mafiosa e la sussistenza di concrete possibilità di risanamento aziendale, occorrendo privilegiare strumenti di prevenzione meno invasivi e paralizzanti rispetto all'espulsione dalla white list ed alla interdizione al proseguimento dell'attività. In tale proiezione, il giudice amministrativo ha sospeso l’efficacia delle misure di natura interdittiva sul presupposto di una infiltrazione mafiosa di grado più tenue, rispetto a quanto ritenuto dall’autorità amministrativa prefettizia, attuata da soggetti posti in posizioni non apicali dell'organigramma aziendale, ritenendo necessario che la p.a. valuti l’applicazione di misure, più idonee al caso concreto, quali quelle indicate all' art. 94 bis D.Lgs. n. 159/2011.
E’ evidente pertanto la necessità che i percorsi di risanamento previsti nel codice antimafia quali strumenti di recupero dell’impresa contaminata dovranno armonizzarsi con gli strumenti di regolazione della crisi nel percorso di recupero della legalità; la strada da percorre è costellata da una comune “stella cometa” da individuarsi nel fascio degli interessi super individuali protetti nel nuovo diritto delle ristrutturazioni, espressamente contemplati in disposizioni innovative, quali l’articolo 87 D.Lgs. n. 14/2019 per il concordato in continuità aziendale diretta; la norma dispone infatti che nel piano concordatario il fabbisogno finanziario deve essere calcolato tenendo conto anche dei costi necessari per assicurare il rispetto: i) normativa in materia di sicurezza sul lavoro; ii) normativa a protezione dell'ambiente. La ristrutturazione deve pertanto avvenire in un contesto di legalità e presuppone il rispetto delle condizioni di sicurezza in cui deve essere esercitata qualsiasi impresa (art 41 Cost); la soddisfazione dei creditori rimane pertanto condizionata dei costi per il soddisfacimento di tale esigenza.
Se partiamo da questa idea, è intuitivo comprendere che parlare di strumenti di prevenzione antimafia vuol dire occuparsi di processi di ristrutturazione della crisi d’impresa o della partecipazione degli operatori economici alle gare pubbliche; tali discipline possono essere comprese avendo quale criterio ordinatore la tutela e salvaguardia della continuità aziendale che rappresenta oggi l’evoluzione del concetto di fare impresa e una regola valoriale.
L’esternalizzazione dell'organizzazione di impresa si realizza essenzialmente nella contrattazione che sintetizza le complesse attività di relazione tra gli operatori del mercato volte alla giuridificazione dell'azione economica attraverso l'assunzione di impegni vincolanti.
Per definire questo circuito molto ampio, la dottrina usa l’espressione “contratti dell'impresa”, così da inglobare nella definizione tutti i contratti riferibili all'impresa, ossia stipulati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa. In questa categoria si distinguono: i contratti attinenti alla costituzione e organizzazione dell'impresa; i contratti attinenti all'attività d'impresa, i contratti attinenti al coordinamento dell'attività d'impresa, infine, i contratti sulla crisi d'impresa.
Il diritto negoziale delle ristrutturazioni è la frontiera più avanzata del diritto dei contratti e si definisce in ragione della struttura della decisione sulla composizione del debito e, eventualmente, sulla ristrutturazione dell'impresa:
a) in primo luogo, vi è l'accordo contrattuale che governa i negozi sul debito tipizzati nel codice, siano essi realizzati sul mercato (accordi attuativi dei piani attestati) oppure sottoposti a una procedura di omologazione (accordi di ristrutturazione dei debiti), o infine negoziati all'interno del percorso legalmente stabilito della composizione negoziata della crisi (cfr. par. 4 che segue);
È intuitivo rilevare le assonanze tra le valutazioni di idoneità delle misure organizzative funzionali ad eliminare il rischio di infiltrazione mafiosa e i giudizi sui processi di ristrutturazione del debito o dell'impresa, tipici del diritto delle ristrutturazioni; l'idea di “crisi” intesa quale incapacità reversibile e transitoria di adempire alle obbligazioni assunte è generalmente associata con la “perdita di continuità aziendale”, anche se i due concetti, andrebbero tenuti distinti: la crisi è legata alla perdita di equilibrio economico nella gestione (cioè la capacità di conseguire ricavi superiori costi di esercizio) o dell’equilibrio monetario (come l’attitudine di prevedere i flussi di entrate monetarie mio ritorni a fronteggiare le uscite) mentre la perdita di continuità può dipendere anche da fattori diversi ed ulteriori di natura non economica quali: la perdita di quote di mercato o di relazioni con fornitori strategici, il venir meno di amministratori e dirigenti fondamentali per l’esercizio dell’attività, il rischio insito in contenziosi legali o modifiche legislative, la contiguità con fenomeni illegali.
Quando ciò accade, occorre domandarsi come si conciliano la libertà di iniziativa economica e i percorsi di ristrutturazione governati dall’Autorità (giudiziaria o amministrativa); costituisce un’evenienza frequente che, in conseguenza delle misure organizzative adottate per “neutralizzare” il rischio di infiltrazione mafiosa, la società entri in crisi.
Gli approcci classici sui rapporti tra l’idea di “continuità aziendale” e il contrasto all’impresa mafiosa, partendo da una visione parcellizzata e statica hanno avuto il limite di ridimensionare la tematica affermando che l’impresa mafiosa è normalmente un’impresa che, sin dall’origine, non si pone alcuna prospettiva di continuità aziendale, in quanto società “nate per fallire” che servono a drenare e/o monetizzare il profitto. Ciò è vero, ma solo in parte. Ampliando la visuale e collocando questi operatori economici “in odore di mafia” all’interno del mercato, si pongono immediatamente nuovi scenari: chi conclude contratti con tali imprese? in attuazione di quali strategie gestionali? le decisioni di esternalizzazione della produzione di beni e/o servizi a quali logiche sottendono o rispondono? il venir meno dell’impresa ausiliaria che ricadute presenta sull’organizzazione?
Questa è l’area di contiguità in cui si pone la necessità di coordinare gli strumenti di regolazione della crisi con le misure antimafia, al fine di preservare l’economia sana dalle contaminazioni ove la soluzione è offerta dai nuovi strumenti offerti dal diritto delle ristrutturazioni che costituiranno per gli amministratori, anche giudiziari, la strada maestra per restituire all’alveo della legalità operatori economici che abbiano attuato politiche contrattuali illegali conquistando posizioni di dominanza di mercato in danno di concorrenti.
Si tratta della soglia più avanzata prevista dall'ordinamento per un intervento di ristrutturazione, siamo sempre nell'area dell'insolvenza prospettica ma nella sua fase genetica. In altri termini, per integrare questa condizione è sufficiente lo squilibrio patrimoniale o economico finanziario, in quanto non si richiede in aggiunta che tali squilibri possano comportare nei mesi successivi la perdita della continuità aziendale quale evento probabile, è sufficiente che possono comportare la perdita della continuità aziendale quale evento semplicemente possibile.
L'unica condizione di accesso alla composizione è nella non irragionevolezza del tentativo di ristrutturazione; anche il mutamento della condizione soggettiva del debitore che potrebbe trasformarsi da stato di “pre crisi” ad insolvenza non determina il venir meno del percorso di soluzione della crisi purché permanga la prospettazione del risanamento ossia la reversibilità dell'insolvenza.
La regolazione della composizione negoziata della crisi è stata coniata come un'area fuori dalla giurisdizione che, a differenza di quanto era previsto per la composizione assistita, si fonda esclusivamente sulle decisioni del debitore essendo soltanto a lui riservato di richiedere la nomina dell'esperto e di avviare così la ristrutturazione assistita.
La natura privata della composizione negoziata ha evidenziato i suoi limiti nei rapporti con la disciplina (extra codice) dell’amministrazione straordinaria, oggetto di una recente modifica introdotta dal D.L. n. 4/2024 all’art. 2, comma 2, D.L. n. 347/2003 conv. L. n. 39/2004 - con la quale il legislatore è intervenuto decidendo con una norma ad hoc l’esito dei procedimenti di composizione negoziata in corso al momento della sua entrata in vigore (art. 1, D.L. n. 4/2024 ultima parte “Se alla data di presentazione dell'istanza di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria risulta depositata la domanda di nomina dell'esperto di cui all'articolo 12 decreto legislativo n. 14 del 2019, la relativa domanda è archiviata”).
È evidente che tale disposizione sarebbe stata sospetta di illegittimità costituzionale ove fosse intervenuta su un percorso di ristrutturazione giurisdizionale per condizionare l’esito in corso di giudizio, essendo preclusa l’adozione di leggi che abbiano «il solo scopo di aggirare il «controllo giurisdizionale»[11]. L’ambito negoziale della composizione ha consentito, di contro, la possibilità di una interruzione della trattativa “ex lege” esautorando la libertà negoziale delle parti (debitore e creditori). In tal modo è stata preferita una strada già percorsa, in altre vicende di rilievo nazionale, in cui il Legislatore ha scelto di amministrare per “decreto legge” incidendo sulla libertà contrattuale o sulla discrezionalità amministrativa con inevitabili riflessi sui limiti del sindacato giudiziale, circoscritto a quello di legittimità costituzionale e tensioni con il principio costituzionale della separazione dei poteri.
La legittimazione riservata a presentare l'istanza e l’impermeabilità alle iniziative del pubblico ministero, inserisce questo percorso di ristrutturazione nella dinamica propria degli strumenti contrattuali fondati sull'iniziativa delle parti e conseguentemente pone l'istituto a una certa distanza rispetto al concordato preventivo, in cui alla preventiva legittimazione del debitore, segue la legittimazione di altri interessati a presentare proposte concorrenti.
La composizione negoziata non è uno strumento di ristrutturazione ma è uno spazio regolamentato di trattativa che se il debitore decide di farvi ricorso può precedere l'adozione di uno strumento di ristrutturazione. In tale ambito, l'intervento giurisdizionale è solo eventuale ed episodico in quanto previsto unicamente per i provvedimenti che incidono su diritti soggettivi come l'adozione di misure protettive o l'autorizzazione di finanziamenti in prededuzione.
In tale fattispecie il diritto dell'insolvenza non si presenta quale procedura concorsuale ma quale semplice percorso sulla trattativa regolamentato per la soluzione contrattuale della crisi; il percorso compositivo è espressione di un metodo appropriato per anticipare al massimo la trattazione del problema della continuità aziendale messa in pericolo.
Al posto del tribunale è prevista la centralità di un professionista del diritto dell'insolvenza di nomina giudiziaria o amministrativa che possa condurre una mediazione degli interessi in gioco al fine di favorire l'incontro tra le parti che non avviene sul mercato ma all'interno di un percorso governato da regole precise che tutti sono chiamati a rispettare. Per tale caratteristica, i percorsi compositivi di natura contrattuale si avvicinano a quelli del diritto civile processuale, potendosi la procedura inserire nel novero delle “alternative dispute resolution” (ADR) finalizzate ad alleggerire il lavoro delle corti e favorire la composizione amichevole delle liti attraverso l'assistenza di un soggetto terzo.
La tenuta stagna della composizione negoziata dalle possibili insidie giudiziarie è costruita attraverso uno statuto di guarentigie a tutela dell'esperto che, pur essendo un attore in posizione di indipendenza dal debitore, (art 13 CCII) viene equiparato al suo difensore escludendolo dalla sfera dei destinatari di atti investigativi (art 16, comma 3, CCII), trovando applicazione l'articolo 103 c.p.p., nonché sollevandolo dall'obbligo di riferire su quanto appreso nell'esercizio delle sue funzioni.
L’articolo 16 CCII stabilisce che le parti, debitore, creditori e altri interessati, sono tenute a comportarsi secondo il canone della buona fede nel corso delle trattative collaborando lealmente tra di loro e con l'esperto. Il debitore deve adempiere due doveri: i) rendere una completa e trasparente e informativa sulla situazione dell'impresa; ii) gestire l’impresa e compiere atti di disposizione del patrimonio senza arrecare ingiusto pregiudizio ai creditori. Il dovere di informazione e trasparenza può anche richiedere di concedere il consenso alla consultazione da parte dei soggetti interessati delle informazioni contenute nelle banche dati di cui all'articolo 14 CCII; il dovere gestorio è di non arrecare pregiudizi ai creditori ingiustamente: ossia oltre il limite segnato dalla corretta conduzione dell'impresa nella salvaguardia dell'interesse dei creditori.
L'imprenditore presenta istanza di nomina dell'esperto è tenuto alla compilazione di un modello informativo e la domanda deve essere corredata da una cospicua documentazione idonea a rappresentare la situazione complessiva dell'impresa che comprende: i bilanci degli ultimi tre esercizi, le dichiarazioni dei redditi e dell'iva degli ultimi tre periodi di imposta, una situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata; un progetto di piano di risanamento e una sintetica relazione sull'attività esercitata comprensiva di un piano finanziario per i successivi sei mesi dell'iniziative che si intende adottare; l'elenco dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti scaduti a scadere dell'esistenza di garanzia; il certificato unico dei debiti tributari, la situazione debitoria e complessiva richiesta all'agenzia delle entrate riscossione; il certificato dei debiti contributivi e premi assicurativi un estratto delle informazioni presenti nella centrale dei rischi.
Una prima difficoltà della trattativa è nel tipo di informazioni necessarie ad una decisione consapevole: infatti, nel caso dei contratti di ristrutturazione investe la complessiva situazione in cui si trova il debitore e non un singolo affare a ciò si aggiunga che i creditori devono accettare di astenersi dall'esercizio dei loro poteri di autotutela il che richiede una loro condivisione e fiducia delle iniziative del debitore.
Interessi coinvolti nella disciplina in esame si palesano all'evidenza contrapposti: da un lato vi è la libertà negoziale del debitore dilatata fino alla possibilità di concludere accordi con i suoi creditori funzionali alla continuità aziendale, dall'altra la necessità di neutralizzare il rischio di abuso insito in ogni libertà che nella specie si annida nel possibile uso dilatorio della trattativa procedimentalizzazione per ritardare l'emersione di uno stato di insolvenza non più reversibile.
Gli anticorpi a tale rischio interni alla composizione negoziata operano unicamente sul piano civilistico attraverso una tecnica di tutele già utilizzata nella disciplina dei contratti d'impresa consistente nella positivizzazione di doveri di trasparenza (art 16, comma 4, CCII) e di reciproca collaborazione leale (art 16, comma 4) aventi matrice e derivazione dalla clausola generale di buona fede; tali regole mantengono tuttavia una rilevanza sul piano della responsabilità, senza tradursi in parametri di validità dei negozi conclusi in caso di buon esito delle trattative, se non nei limiti di rilevanza previsti dagli strumenti di tutela del Codice Civile per tutti i contratti.
Tuttavia, tale assetto regolatorio, pare fuorviato da una concezione dell'intervento del pubblico ministero quale soggetto della repressione la cui presenza è disincentivante l'utilizzo della trattativa ed ignora che la mancanza di raccordi con le prerogative e poteri dell’organo requirente, pone il concreto rischio del loro esercizio all'oscuro delle trattative in corso. È sufficiente far riferimento alla possibile proposizione di richieste di liquidazione giudiziale che traggano origine da notizie di insolvenza derivanti da procedimenti penali (es. relativi a reati tributari) che produrrebbero inevitabilmente una “discovery” della composizione negoziata con pregiudizio delle esigenze di riservatezza delle trattative e la necessità di attivare misure di protezione.
Il mancato coordinamento è ancor più critico tenuto conto che la L. 9 agosto 2023, n. 111, contenente la delega per la revisione del sistema tributario, ha previsto (art. 9, comma 1, lett. a, n. 5) l’estensione della transazione fiscale alla composizione negoziata della crisi.
Lo schema di decreto legislativo sulla fiscalità della crisi[12], con cui verrà data attuazione al principio direttivo contenuto nell’art. 9, comma 1, lett. a), n. 5 della citata legge delega n. 111/2023, prevede infatti la possibilità di un pagamento parziale e/o dilazionato dei debiti tributari anche nell’ambito della composizione negoziata della crisi, purché il pagamento offerto non sia deteriore per i rispettivi creditori rispetto alla liquidazione giudiziale e ciò risulti da un’attestazione rilasciata da un professionista indipendente. È esclusa in tale contesto la possibilità di “crown down fiscale”, tenuto conto della natura dell’istituto, fondato sul consenso e senza previsioni di un procedimento di omologazione dell’accordo raggiunto.
Il legislatore, inoltre, prevede la facoltà per l’impresa debitrice di presentare, già in sede di trattiva nell’ambito della composizione negoziata, una proposta di transazione fiscale, in caso di esito infausto delle trattative con conseguente mancata individuazione di una soluzione fra quelle indicate al comma 1 dell’art. 23, del Codice e, ritenga necessario avvalersi delle disposizioni recate dal comma 2, lettere b) o d), del medesimo art. 23, sfociando detto percorso nell’accordo di ristrutturazione dei debiti o in altro strumento di regolazione della crisi in cui la transazione fiscale sia attuabile.
Tale percorso della trattativa rischia di essere condizionato dalla “variabile penale” quale, ad esempio, la richiesta di misure cautelari reali avanzate dal pubblico ministero a tutela dell’imposta evasa che continua ad essere trattata, nella giurisprudenza penale, quale credito a maggior tutela rispetto alle esigenze di ristrutturazione, in evidente disallineamento con la nuova idea di fondo del codice, anche in relazione alla disciplina del cd. “crown down fiscale”.
La tensione tra esigenze eterogenee è offerta dall’istituto della confisca tributaria che trova la sua disciplina nell'art. 12 bis del D.Lgs. n. 74 del 2000, (introdotto dall'art. 10, comma 1 del D.Lgs. n. 24/09/2015, n. 158), il cui comma 1 stabilisce che "nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca dei beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto". Il comma 2 dell'art. 12 bis, ha precisato che "la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario anche in presenza di sequestro", aggiungendo, subito dopo, che "nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta".
Al fine di attribuire un significato logicamente plausibile alla norma, deve necessariamente ritenersi che la locuzione "non opera" non significhi affatto che la confisca, a fronte dell'accordo rateale intervenuto, non possa essere adottata, quanto piuttosto, e più semplicemente, che la stessa non divenga efficace con riguardo alla parte "coperta" da tale impegno. La confisca "non operativa", dunque, sarebbe una confisca applicata ma non eseguibile perché non (ancora) produttiva di effetti, la cui produzione sarebbe subordinata (condizionata) al verificarsi di un evento futuro ed incerto, costituito dal mancato pagamento del debito, fermo restando che, come recita il comma 2 dell'art. 12 bis, essa dovrà, comunque, essere "disposta", rectius diventare efficace, allorquando l'impegno non sia stato rispettato e il versamento "promesso" non si sia verificato.
Pertanto, anche in presenza di un piano rateale di versamento, la confisca potrà continuare ad essere comunque consentita, sia pure per gli importi non ancora corrisposti, così continuando ad essere consentito anche il sequestro ad essa finalizzato (per questa tesi v. Sez. 3, n. 5728 del 14/01/2016, Orsetto, Rv. 266038). Sequestro che ai sensi dell'art. 323, comma 3 del codice di rito manterrà i suoi effetti in caso di pronuncia di una sentenza di condanna, qualora sia stata disposta la confisca "ancorché condizionata" delle cose sequestrate[13].
Così ricostruiti, in termini generali, i confini dell'istituto, che comunque consentono, anche in presenza di un impegno "qualificato" da parte del contribuente, l'adozione della misura ablativa, anche in via cautelare, deve osservarsi come le considerazioni che precedono non siano inficiate dalla particolare natura dell'impegno di pagamento assunto dal debitore. Potrebbe, infatti, sostenersi che la costituzione, sui beni del debitore, di un vincolo reale in grado di garantire comunque il soddisfacimento della pretesa creditoria, possa rendere superfluo disporre anche la misura penale, la cui adottabilità è del resto motivata, proprio con la necessità di non consentire al debitore di intaccare l'area della garanzia patrimoniale rappresentata dai suoi beni.
Sulla tematica è da rilevare che il Consiglio dei Ministri ha di recente approvato, in via preliminare, nell’esercizio della menzionata delega fiscale un decreto legislativo (cd. “decreto sanzioni”) che provvede alla complessiva revisione del sistema sanzionatorio tributario, intervenendo anche sull’art. 12 bis, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000 così riformulato “Salvo che sussista il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto altresì conto della gravità del reato, il sequestro dei beni finalizzato alla confisca di cui al comma 1 non è disposto se il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, sempre che, in detti casi, il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti”; la modifica presenta una evidente e condivisibile finalità compositiva tra le esigenze di prevenzione penale e tutela della continuità aziendale che potrebbe essere ancor più calibrata se le limitazioni ai poteri cautelari reali fossero legate all’esistenza di piani di rateizzazione del debito erariale funzionali al buon esito di percorsi di composizione o ristrutturazione. In tal modo, il debitore sarebbe ulteriormente incentivato al loro utilizzo tempestivo e si eviterebbero abusi dello strumento della rateizzazione ove attivato con l’unica finalità di “protezione” dal sequestro penale.
Rinunciare, infatti, all'applicazione del sequestro preventivo, sulla base dell'esistenza di altri strumenti idonei a impedire il compimento di atti di disposizione sui beni de quibus, determinerebbe una situazione di rischio per le finanze dello Stato tutelate anche attraverso le norme penali, considerato che tali strumenti potrebbero essere revocati o comunque resi inefficaci, senza alcuna possibilità di interlocuzione, in merito, da parte degli organi del processo penale. Senza considerare, inoltre, che in relazione al profitto conseguito dei reati tributari l'applicazione della confisca ha, tuttora, carattere obbligatorio e che, pertanto, è sottratta al pubblico ministero e al giudice procedente la possibilità, in presenza dei presupposti di legge, di non provvedere all’applicazione della misura ablativa[14].
Più in generale, la regolazione della composizione negoziata insensibile alla presenza del pubblico ministero pare non tener in debito conto l'esistenza di poteri investigativi e cautelari che per essere correttamente valutati richiedono la necessaria conoscenza del pubblico ministero dell’esistenza di una trattativa, quale soggetto cui compete una legittimazione nell'interesse della legge a tutela del debito erariale che rappresenta un creditore stabilmente seduto al tavolo della negoziazione.
Una soluzione potrebbe essere offerta nella ricerca di un punto di equilibrio tra esigenze della parte pubblica e riservatezza cd. “economico finanziaria”, osservando che il bilanciamento va operato tenendo conto che non trovano applicazione, né il criterio della stretta indispensabilità (riferito a dati sensibili e giudiziari) né dell'indispensabilità e pari rango (riferito ai dati super sensibili); tale equilibrio potrebbe essere individuato in meccanismi di coordinamento di natura convenzionale tra soggetti pubblici che prevedano la trasmissione al pubblico ministero della relazione conclusiva dell'esperto redatta all'esito delle trattative[15].
In tal modo, per un verso, verrebbe preservata la libertà negoziale in pendenza delle trattative, dall'altro sì garantirebbe una corretta informazione del pubblico ministero al fine dell'esercizio delle sue prerogative tenuto conto altresì che l'esito infruttuoso delle trattative potrebbe determinare l'apertura di una procedura concorsuale di liquidazione (art 23, comma 2, lett. c) e d) della quale è parte processuale, anche il pubblico ministero.
Tale esigenza è ancor più pregnante se si considera che i rapporti tra l'organo inquirente e i processi di ristrutturazione non sono limitati alle discipline del codice della crisi, un esempio è offerto dagli strumenti di prevenzione dell'infiltrazione mafiosa quali l'amministrazione e il controllo giudiziale (art 34 e 34 bis codice antimafia) o dei modelli organizzativi per la prevenzione dei reati (D.Lgs. n. 231/2001).
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