Ci siamo qui incontrati l’anno scorso per discutere di che cosa occorresse alla composizione assistita del Codice della Crisi nel contesto dell’emergenza pandemica; avevamo allora riscontrato la carenza di una cassetta degli attrezzi adeguata per affrontare le esigenze delle imprese in crisi, anche in relazione alle conseguenze che sarebbero derivate dalla pandemia in atto.
Ora, ad un anno di distanza, ci ritroviamo alla presenza di uno strumento nuovo, significativamente diverso rispetto al precedente, caratterizzato, tra l’altro, da una cassetta degli attrezzi quanto meno variegata. Che cosa troviamo al suo interno? Innanzitutto, la possibilità per l’impresa che ricorra al nuovo strumento di avvalersi della nuova finanza, sia esterna che infragruppo, in quanto ad essa può essere riconosciuta la prededuzione, presupposto necessario per la sua concessione non presente né nei piani attestati di cui all’art. 67 l.f. né nelle composizioni assistite avanti all’OCRI. Troviamo anche la possibilità per l’impresa in crisi di ricorrere a finanziamenti concessi da altre società del gruppo ottenendo, al verificarsi di specifiche condizioni, l’esclusione della loro postergazione di cui agli artt. 2467 e 2497-
quinquies c.c.
[1]; è questa una previsione determinante per la gestione del fabbisogno finanziario di un’impresa appartenente ad un gruppo che approcci lo strumento della composizione della crisi. Vi è inoltre la possibilità di cedere rami d’azienda o addirittura l’intera azienda, grazie alla deroga, in seguito ad autorizzazione del tribunale
[2], della responsabilità solidale prevista dal secondo comma dell’art. 2560, c.c. che impedisce di fatto la cessione anche di un solo ramo di azienda da parte di una impresa in crisi; la portata di tale norma è assai rilevante tenuto conto che la deroga è preclusa negli altri strumenti di composizione diversi dal concordato preventivo (quali i piano di risanamento, gli accordi di ristrutturazione e la composizione assistita). Abbiamo anche un percorso di rinegoziazione dei contratti la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia; il che risponde a diffuse esigenze delle imprese nel momento in cui le misure sanitarie, in primo luogo, ma anche le conseguenze pandemiche, hanno impedito il pieno sfruttamento delle risorse o alterato l’equilibrio dei contratti stipulati. È possibile con la composizione negoziata anche la rateazione del debito fiscale, a prescindere dalla presenza o meno di un avviso bonario o di una iscrizione a ruolo; è questa una possibilità che si affianca a quella del ricorso alla transazione fiscale di cui all’art. 182-
ter l.f., comunque possibile anche nella composizione negoziata quando l’esito sia un accordo di ristrutturazione. Abbiamo inoltre la possibilità di ricorrere all’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa di cui al nuovo art. 182-
septies l.f. con il
quorum ridotto del 60% rispetto all’ordinario 75%. Anche la sospensione della regola “ricapitalizza o liquida” di cui all’art. 2447 c.c. si avvantaggia, nella composizione negoziata, di un percorso snello ed agevole. È inoltre possibile rivolgere le misure protettive solo a taluni creditori; su questo punto tornerò nel prosieguo, qui ritengo importante sottolineare che la protezione potrebbe utilmente essere invocata solo nei confronti di quei creditori che avrebbero interesse a pregiudicare il successo dell’operazione, avendo finalità confliggenti con quelli del risanamento dell’impresa.
Una caratteristica importante del nuovo strumento è la sua estrema flessibilità che si sostanzia in una pluralità di sbocchi (da meri contratti con singole parti, a convenzioni di moratoria, piani attestati, accordi di ristrutturazione anche ad efficacia estesa); ulteriore elemento di flessibilità è la possibilità di perseguire accanto alla continuità diretta anche quella indiretta, invece preclusa per le motivazioni dianzi esposte agli accordi di ristrutturazione, ai piani di risanamento ed alla composizione assistita; rientra nella flessibilità di impiego anche la ricerca di una composizione di gruppo, consentita dalle specifiche disposizioni di cui all’art. 13.
Qualora l’esito delle trattative fosse negativo, le attività svolte potranno comunque essere utilmente impiegate nella successiva proposizione di un concordato preventivo in continuità, resa più celere e solida grazie alla documentazione (in primo luogo un piano redatto nel rispetto della lista di controllo del decreto dirigenziale) predisposta per la composizione negoziata e, ancor di più, dalla intervenuta interlocuzione con i diversi stakeholder. Vi è infine la possibilità, in caso di insuccesso delle trattative, se avviate e condotte in buona fede, di procedere alla liquidazione del patrimonio attraverso un concordato semplificato, volto a tutelare la continuità del compendio aziendale, laddove possibile.
L’osservazione più importante da fare è che nella composizione negoziata le trattative si svolgono, diversamente rispetto a quanto accade negli accordi di ristrutturazione e nelle trattative sottostanti ai piani attestati, in via informata in un ambiente caratterizzato da trasparenza. La trasparenza e la simmetria informativa sono, infatti, assicurate dalla presenza dell’esperto indipendente ed equidistante rispetto alle parti.
Le premesse per il successo dello strumento paiono dunque esservi. Perché la scommessa possa essere vinta occorre però che si realizzino alcuni presupposti fondamentali.
In primo luogo, occorre che vengano colti correttamente, da parte di ciascun singolo attore, il ruolo che gli è richiesto; mi riferisco, in primo luogo, al ruolo dell’esperto che non assiste l’impresa né si pone di fianco di essa, ma è terzo ed imparziale rispetto a tutte le parti. La sua terzietà e la sua imparzialità sono la chiave del successo; è, in particolare, ciò che permette il rispetto del termine dei 180 giorni, orizzonte temporale comunque breve entro il quale rarissimamente abbiamo assistito alla chiusura di accordi, ma che è alla portata dello strumento nel momento stesso in cui vi sia un soggetto, l’esperto, che evita che vengano formulate proposte eccessive o incoerenti con l’esposizione al rischio e l’interesse per la continuità aziendale delle singole parti.
Anche i creditori e l’imprenditore debbono comprendere perfettamente il proprio ruolo. In questo agevolati dal decreto dirigenziale, che reca i pilastri, perché ciascuno sappia che cosa deve fare e come deve farlo, nonché come deve comportarsi nelle trattative.
L’imprenditore, in particolare, deve utilizzare la composizione negoziata con trasparenza, buona fede e autoconsapevolezza. Sono questi presupposti indispensabili; l’autoconsapevolezza è indotta dal test di praticabilità dello strumento, che egli trova nella piattaforma telematica, e dalla check-list o lista di controllo con il relativo allegato recante gli esempi di proposte che possono essere formulate alle diverse categorie di stakeholder. Ciò avendo presente che nell’individuazione delle parti da coinvolgere nelle trattative assume un ruolo fondamentale l’esperto, il quale dovrebbe, in qualche modo, valutare o domandarsi qual è l’interesse di ciascuna di esse sulla base della sua esposizione al rischio per suggerire all’imprenditore di portare al tavolo tutte le parti che hanno un effettivo interesse al risanamento. Con il che si eviterebbe l’inconveniente di attivare e coltivare le interlocuzioni solo con i creditori bancari, pur in presenza di altri stakeholder, non ultimo il cliente di filiera, maggiormente interessati rispetto alle banche al risanamento dell’impresa. L’apertura del tavolo ad altri soggetti comporta, infatti, una maggiore suddivisione dei sacrifici ed una mitigazione del costo richiesto a ciascuna di essi.
La finalità del test, che è un test pratico, semplificato, sorretto da un chiaro e controllabile iter logico, è quella di dare evidenza della relazione causa-effetto tra i singoli addendi che sono in esso considerati e le azioni ed iniziative che possono essere intraprese dall’imprenditore per intervenire sugli addendi più determinanti. Comprendendo il nesso logico appaiono evidenti le finalità di dettaglio da perseguire e diventa chiaro quali siano le linee di intervento necessarie e la difficoltà di percorso per pervenire al risanamento. L’esito del test non è indice di uno stato di crisi; non dobbiamo guardare ad esso come all’indicatore dello stato di salute finanziaria dell’impresa, ma assumerlo, semplicemente, come indicatore delle difficoltà di percorso.
L’imprenditore deve avere chiara la direzione in cui deve andare e come raggiungere la meta; è ben vero che tra gli allegati della domanda non vi è il piano di risanamento; tra di essi però compare il piano di tesoreria e una relazione recante l’individuazione delle iniziative che egli intende intraprendere. Da qui ad arrivare ad un piano il passo è molto breve; al punto che è estremamente opportuno che il piano egli lo abbia già redatto
[3] prima di accedere alla composizione negoziata e nel redigerlo abbia seguito la lista di controllo che trova nella piattaforma telematica; essa fa del confezionamento del piano un processo, facendo derivare gli elementi qualitativi e quelli quantitativi dal percorso che muove dalla situazione in atto e giunge sino alla formazione proposte agli
stakeholder.
L’imprenditore deve anche sapere, e va sottolineato con grande forza, che eventuali abusi dello strumento avrebbero le gambe estremamente corte, perché si scontrerebbe subito con la realtà di fatto; quando egli ricorra alla composizione negoziata solo per differire l’accesso ad una procedura concorsuale, non potrebbe non richiedere anche la protezione allargata nei confronti dei creditori. In quel caso però trasmetterebbe ai creditori la piena consapevolezza del rischio di credito sulle nuove forniture che non fruiscono del regime automatico della prededuzione; ne deriverebbe la subordinazione dei nuovi approvvigionamenti al pagamento anticipato o al rilascio di congrue garanzie. Ebbene, i pagamenti anticipati all’ordine e la prestazione delle garanzie, se andiamo a vedere il contenuto del protocollo dell’esperto
[4], costituiscono atti di straordinaria amministrazione, in relazione ai quali l’esperto può esprimere il proprio dissenso. Nel protocollo viene anche rappresentato l’
iter logico che l’esperto potrebbe seguire per valutare se dall’atto derivi o meno un pregiudizio per i creditori ed in presenza di esso egli è obbligato ad esprimere il dissenso. Con una conseguenza: a seguito degli atti comunque posti in essere, se egli dovesse iscrivere presso il registro delle imprese il proprio dissenso, gli atti in questione diventerebbero suscettibili di revocatoria. In conseguenza di ciò è assai probabile che sia la controparte, nel momento stesso in cui è stata data pubblicità della protezione, che chieda, prima di dare corso alla fornitura, la prova del mancato dissenso dell’esperto. Tenete anche conto che in ogni momento lo stesso esperto, che trova nel protocollo indicazioni per poter svolgere valutazioni sul pregiudizio cagionato ai creditori dalla prosecuzione di un’attività in assenza di concrete prospettive di risanamento, o i creditori potrebbero chiedere al tribunale laddove, ne ricorda l’esigenza, di abbreviare i termini della protezione o addirittura di disattivarla.
La stessa flessibilità di impiego deve essere correttamente compresa. Provo a spiegarmi con due esempi che si pongono ai due estremi opposti della scala delle difficoltà di percorso.
Il primo esempio, e mi auspico che sia un caso ricorrente, è quello di una società che abbia violato i limiti del minimo del capitale sociale e versi, pur in assenza di ritardi di pagamento reiterati e significativi, in situazione di cui all’art. 2447 c.c.; essa ha principalmente la necessità di ricostituire la propria adeguatezza patrimoniale pur non avendo il socio di riferimento la disponibilità delle risorse occorrenti. In una situazione del genere, l’intervento dell’esperto può essere estremamente efficace; la sua presenza e la trasparenza informativa che ne deriva consente alle parti interessate alla continuità aziendale di comprendere il grado di credibilità del piano d’impresa, nonché la concretezza delle prospettive di risanamento anche attraverso l’apertura del capitale sociale. Le parti che potrebbero essere coinvolte nel capitale sociale possono essere i fornitori strategici, che trovano nell’impresa uno sbocco alla propria produzione, il cliente di filiera, che necessita delle forniture dell’impresa, i soci di minoranza, ma anche eventuali terzi interessati. La pubblicazione presso il registro delle imprese della sospensione delle disposizioni dell’art. 2447 c.c. comporta peraltro la diffusione di una notizia che mette in allerta i creditori, ed in particolare i fornitori; la presenza di un piano correttamente redatto che convinca esperto e controparti sulla percorribilità del risanamento attraverso un mero aumento del capitale sociale sarà però sufficiente a mitigare l’impatto reputazionale. In questi casi, l’esito della composizione negoziata, che verrebbe raggiunto rapidamente dopo le necessarie due diligence dei potenziali investitori, sarebbe quello più semplice tra quelli possibili e precisamente quello previsto dalla lett. a) del co. 1 dell’art. 11 (contratto, in questo caso di investimento, concluso con uno o più creditori, idoneo ad assicurare la continuità aziendale per almeno due anni).
All’estremo opposto abbiamo la situazione di un imprenditore che versa in stato di insolvenza, per il quale si prospetta come unica alternativa la cessione dell’azienda. Perché lo strumento possa essere impiegato in questo caso occorre che l’insolvenza sia reversibile ed in particolare che una parte dei creditori sia disponibile ad accontentarsi delle risorse, tante o poche che siano, che derivano dalla cessione dell’azienda, una volta soddisfatti integralmente tutti i restanti creditori. Perché l’esperto si possa rendere conto se la strada sia o meno percorribile è tutt’al più sufficiente
[5] aprire il tavolo delle trattative con i principali creditori, rappresentando loro le grandezze quantitative di riferimento (debito complessivo, marginalità che l’impresa è in grado di esprimere). Già dalla prima riunione l’esperto si potrà rendere conto della perseguibilità della composizione negoziata e nel momento in cui questa non vi fosse egli non potrà che chiedere l’archiviazione della domanda. Il che è sufficiente a precludere in via di fatto la possibilità di impiego dello strumento in via strumentale solo per pervenire ad un concordato semplificato, magari volto a cedere l’azienda a una parte correlata dello stesso imprenditore, perché mancherebbe il presupposto per poter accedere a tale forma di concordato che è costituito dalla buona fede e dalla correttezza nello svolgimento delle trattative che, affinché possano essere considerate tali, occorre che siano state effettivamente avviate e abbiano avuto una prosecuzione a seguito alla riunione iniziale di rappresentazione dei dati e delle informazioni. Se qualcuno, pur sapendo che non è possibile raggiungere alcuna intesa con i creditori, pensasse di utilizzare in via strumentale la composizione negoziata solo per acquisire in via facilitata l’azienda facendo pagare ai creditori il costo del suo risanamento si sbaglierebbe di grosso.