Saggio
La composizione negoziata dopo lo schema di decreto legislativo del C.d.M. del 17 marzo 2022*
Luciano Panzani, già Presidente della Corte d’Appello di Roma
19 Aprile 2022
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Sommario:
4 . Gli assetti adeguati e la disciplina dell’allerta. Il coordinamento con la Direttiva 1023/2019
7 . La disciplina delle misure protettive
9 . Conclusioni delle trattative nel caso di gruppi di imprese
10 . Misure premiali. Compenso dell’esperto
12 . Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio
Lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri non rappresenta ovviamente la conclusione dell’iter legislativo diretto alla revisione del codice ed al suo adeguamento alla Direttiva 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva.
Nelle pagine che seguono si è cercato di offrire un sintetico quadro di insieme delle modifiche introdotte dal legislatore che, per brevità di trattazione, adotta come termine di confronto la disciplina contenuta nel d.l. 118/21 attualmente in vigore, il cui testo è stato trasfuso nello schema, talvolta con modificazioni. Lo stato attuale della normativa ha sconsigliato un eccessivo approfondimento.
Ci si è anche soffermati sulle modifiche al codice, soprattutto alle definizioni ed ai principi generali, oltre che alle restanti parti del titolo II, che sono più direttamente collegate alla disciplina della composizione negoziata.
Complessivamente, tuttavia, il mutamento della definizione non sembra incidere sulla sostanza essendo evidente che la mancata indicazione di uno stato di squilibrio economico – finanziario non può cancellare il fatto che l’inadeguatezza dei flussi di cassa tale stato di squilibrio determina e che la valutazione dei flussi è pur sempre prospettica sì che le obbligazioni cui occorre far fronte non sono soltanto quelle pianificate, ma quelle comunque prevedibili. Rimane la soppressione dell’avverbio regolarmente, sì che non vi sarebbe stato di crisi quando l’adempimento delle obbligazioni nei successivi dodici mesi possa essere il frutto di adempimento non con mezzi ordinari, per esempio con il ricavato da dismissioni di asset. Ne deriva una nozione leggermente meno rigorosa di crisi.
E’ invece innovativo la previsione di un arco massimo di dodici mesi di durata del periodo di valutazione dei flussi prospettici.
La nozione di crisi rileva soltanto relativamente per quanto concerne la composizione negoziata perché il legislatore ha dettato con l’art. 12 dello schema di decreto legislativo, immutato rispetto all’art. 3 del dl 118/21, una diversa definizione del presupposto oggettivo di accesso, che è costituito dallo stato di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza. Rimane quindi l’apparente bisticcio di una crisi che è probabilità di insolvenza e che può essere preceduta da uno stato di squilibrio del debitore che rende probabile tale probabilità di insolvenza, essendo comunque evidente l’interesse del legislatore ad anticipare il più possibile l’ingresso nel percorso negoziale, senza impedirlo almeno inizialmente per chi già si trovi in stato di insolvenza.
a) di rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore. Si noti che la nozione di squilibrio, che si è visto esser stata espunta dalla definizione di crisi dettata dal codice, rientra nell’obiettivo della rilevazione affidata agli assetti adeguati ed alle misure;
b) verificare la non sostenibilità dei debiti e l’assenza di prospettive di continuità aziendale per i dodici mesi successivi e i segnali di allarme indicati al comma 4 della norma. Fermandoci per il momento al primo degli elementi indicati, il concetto di non sostenibilità del debito richiama immediatamente la definizione di crisi accolta dal legislatore perché comporta l’inadeguatezza dei flussi di cassa a far fronte alle obbligazioni per il medesimo arco di dodici mesi cui fa riferimento la definizione in parola. L’assenza di prospettive di continuità aziendale si riferisce ad una situazione certamente più grave che prospetta un’insolvenza irreversibile, ma che potrebbe anche comportare un arresto tempestivo dell’attività d’impresa, prima che si manifesti la crisi quando sia dovuta ad un fatto oggettivo di mercato ( ad esempio l’attuale crisi ucraina e l’impossibilità di produrre a costi competitivi).
c) ricavare le informazioni necessarie a seguire la lista di controllo particolareggiata e ad effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento previsto dall’art. 13, comma 2, per l’imprenditore che voglia accedere alla composizione negoziata. Il contenuto del test pratico e della lista particolareggiata di controllo sono chiariti dal decreto dirigenziale emanato dal Ministero della Giustizia il 28.9.2021 La check-list serve all’imprenditore per redigere un piano di risanamento affidabile sulla base di minimi requisiti organizzativi, della disponibilità di una situazione economico-patrimoniale aggiornata, dell’analisi della situazione in cui si trova l’impresa e dalle sue cause, della proiezione dei flussi finanziari, della determinazione del debito che deve essere servito da tali flussi anche per determinare il tipo ed il contenuto delle proposte da presentare ai creditori. Quindi in tanto gli assetti e le misure possono ritenersi adeguati in quanto permettano in ogni tempo all’imprenditore di predisporre un piano di risanamento grazie ad un adeguato sistema di rilevazione contabile che consenta di individuare i flussi finanziari presenti e futuri.
Va sottolineato che l’art. 13 dello schema di d.lgs. non prevede un adeguamento del decreto dirigenziale alle modifiche della disciplina legislativa da esso recate, come sarebbe stato opportuno. A differenza infatti del corrispondente art. 3 del d.l. 118, l’art. 13, comma 2, non indica che il decreto debba essere emanato entro un certo termine (come poi è avvenuto con il decreto 29.9.2021), ma si cita invece direttamente il decreto dirigenziale già adottato ai sensi dell’art. 3 d.l. 118.
Come si è già accennato, costituiscono segnali di allarme ai sensi del comma 4 dell’art. 3 alcune situazioni elencate dalla norma:
a) l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
b) l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da oltre 90 giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
c) l’esistenza di esposizioni nei confronti di banche ed altri intermediari finanziari scadute da più di 60 giorni o che abbiano superato da almeno 60 giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il 5% del totale delle esposizioni.
d) l’esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall’art. 25 novies, comma 1, vale a dire il superamento delle soglie per la segnalazione dei creditori pubblici istituzionali.
Complessivamente queste situazioni sembrano indicare condizioni di forte difficoltà cui certamente corrisponde una crisi di liquidità, ma probabilmente una situazione di vera e propria insolvenza, non tanto per il superamento del termine di volta in volta previsto, ma per il rapporto tra il termine ed ulteriori condizioni che sono indicate, come ad esempio l’entità del debito scaduto non pagato rispetto a quello non scaduto.
Va peraltro detto che questa norma, a differenza del combinato disposto degli artt. 13 e 24 del testo originario del codice della crisi dai quali è tratta, non evidenzia indicatori di crisi veri e propri, ma ha una funzione diversa. Il superamento dei termini e delle soglie non è rilevante in se stesso, ma in rapporto all’idoneità degli assetti e delle misure a rilevarne l’esistenza. Si tratta quindi di fattori che vanno valutati come elementi che contribuiscono ad evidenziare la non sostenibilità del debito e l’eventuale assenza di prospettive di continuità aziendale.
4.2. Con lo schema di d.lgs. il legislatore ha introdotto un capo III del titolo II del codice che contiene gli artt. 25 octies, novies, decies ed undecies, che hanno in gran parte contenuto innovativo, anche se viene ripresa la disciplina dettata dal d.l. 152/201 convertito in legge 233/2021, artt. 30 quinquies e sexies.
Con l’art. 25 octies il legislatore riprende, lasciandola immutata, la disciplina delle segnalazioni dell’organo di controllo societario agli amministratori della sussistenza di condizioni per la presentazione dell’istanza di composizione negoziata, ivi compreso il regime limitativo della responsabilità dei componenti dell’organo di controllo che abbiano effettuato la segnalazione. Tale regola determina un meccanismo di allerta indiretto, perché stimola gli amministratori ad accedere tempestivamente alla composizione negoziata quando ad avviso dell’organo di controllo ne sussistano le condizioni.
A tale meccanismo di segnalazione e stimolo si affiancano le segnalazioni da parte degli enti pubblici che siano creditori istituzionali, secondo il meccanismo previsto dal d.l. 152/21, fortemente raccomandato dalla Commissione europea in attuazione degli impegni assunti dall’Italia con il PNRR. L’art. 25 novies non reca molte novità rispetto al testo dell’art. 30 sexies del d.l. 152, a parte l’inserimento accanto all’INPS ed all’Agenzia delle Entrate dell’INAIL. Nei primi commenti si è segnalato che le soglie perché scatti l’obbligo di segnalazione, la cui omissione a differenza del precedente regime di allerta previsto dal testo originario del codice della crisi non comporta più la perdita del privilegio sul credito per l’ente pubblico, sono molto basse sia in assoluto sia con riferimento ai parametri temporali presi in considerazione ( ad esempio per l’Agenzia delle Entrate l’omesso versamento dell’IVA sulla dichiarazione periodica in misura superiore a 5.000 euro). Va però aggiunto che la segnalazione contiene sì l’invito a presentare la domanda di composizione negoziata, ma soltanto se ne ricorrono i presupposti (art. 25 novies, comma 3, che conferma il testo dell’art. 30 sexies d.l. 152/21).
L’art. 25 decies prevede obblighi di comunicazione delle banche e degli altri intermediari finanziari di cui all’art. 106 t.u.b. che debbono dare notizia anche agli organi di controllo societari delle eventuali variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti. Non si tratta di una novità, perché la norma figurava già nel codice della crisi al quarto comma dell’art. 14 ed è semplicemente stata spostata in questa sede. L’obbligo della banca di “dare notizia anche agli organi di controllo” delle comunicazioni inviate al cliente, nella specie agli amministratori della società beneficiaria degli affidamenti bancari, si inserisce nella dialettica tra gli organi amministrativi e gli organi di controllo della società affidataria. Consente che gli organi di controllo possano svolgere in modo rapido ed efficace i loro compiti di vigilanza ed, in particolare, possano avere notizie di prima mano su circostanze di rilievo al fine di individuare precocemente eventuali indizi di crisi. Va aggiunto che l’informazione è quella stessa rivolta al cliente. L’organo di controllo non viene a ricevere maggiori o diverse informazioni di quelle che già debbono esser state inviate o che vengono contestualmente inviate agli amministratori.
L’art. 25 undecies riproduce la disciplina contenuta nell’art. 30 quinquies del d.l. 152 relativamente all’istituzione di un programma informatico sulla piattaforma telematica nazionale destinata ad accogliere le domande di composizione negoziata diretto ad assicurare l’elaborazione dei dati necessari per accertare la sostenibilità del debito esistente e che consente all’imprenditore il test pratico di accesso alla composizione negoziata per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento.
E’ ripresa la norma, anch’essa caldeggiata dalla Commissione europea, di un programma di rateizzazione per l’ipotesi che l’indebitamento complessivo non superi i 30.000 euro. In tale ipotesi se il programma informatico consente di ritenere che il debito sia sostenibile, esso elabora anche il piano di rateizzazione che, se comunicato ai creditori senza che essi manifestino il loro dissenso, diventerà vincolante. Si tratta però di norme di carattere generale che necessitano delle disposizioni di attuazione tuttora da emanare ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 25 undecies, sì che è prematuro diffondersi ulteriormente su tale disciplina, destinata a riguardare comunque situazioni di crisi di modesta entità, comunque relative però ad attività d’impresa.
Al verificarsi della situazione di crisi o di insolvenza, evidenziata in base ad un adeguato sistema di assetti ovvero in forza delle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati l’imprenditore ai sensi dell’art. 2086 e dell’art. 3 del codice, come rivisto dallo schema di decreto legislativo, sorge l’obbligo di attivarsi. L’art. 25 octies dello schema di d.lgs. è rimasto immutato rispetto all’art. 15 del d.l. 118/2015 con la conseguenza che su segnalazione dell’organo di controllo gli amministratori debbono attivarsi richiedendo la composizione negoziata, ovviamente se ne ricorrono le condizioni.
Va sottolineato che complessivamente questa disciplina dà attuazione non al regime dell’allerta originariamente previsto dal codice della crisi, che dopo i vari rinvii che ha subito viene definitivamente accantonato, ma all’art. 3 della Direttiva 1023/2019 che fa obbligo agli Stati membri di istituire un sistema in forza del quale i debitori “abbiano accesso a uno o più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e di segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio”. Il par. 2 dell’art. 3 specifica che “Gli strumenti di allerta precoce possono includere quanto segue: a) meccanismi di allerta nel momento in cui il debitore non abbia effettuato determinati tipi di pagamento; b) servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private; c) incentivi a norma del diritto nazionale rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, come i contabili e le autorità fiscali e di sicurezza sociale, affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi”.
Anche queste disposizioni costituiscono attuazione dell’obbligo previsto dall’art. 3 della Direttiva 1023/2019 di istituire servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche e private.
L’obbligo generale di buona fede e correttezza riguarda ora l’accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva ed i relativi procedimenti nonché la fase delle trattative, anche se il legislatore ha soppresso l’inciso “che li precedono” che era contenuto nella versione originaria dell’art. 4, comma 1, del codice. Tale soppressione ha però il significato di riferire l’obbligo di buona fede a tutte le trattative con i creditori sia in pendenza di procedura che anteriormente, fatte salve le norme specifiche che riguardano la composizione negoziata.
Per il resto il testo dell’art. 4 non reca novità sostanziali, al di là di modifiche rese necessarie dall’adeguamento al diverso linguaggio del legislatore che fa riferimento ai quadri di ristrutturazione. Spicca invece la nuova disciplina contenuta nel comma 3 dell’art. 4 che prevede una speciale procedura di consultazione sindacale a carico del datore di lavoro che occupi più di 15 dipendenti, prima della predisposizione del piano nell’ambito di un quadro di ristrutturazione preventiva nel caso di rilevanti determinazioni che incidano sul rapporto di lavoro di una pluralità di lavoratori anche soltanto per quanto riguarda le modalità di organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni. Si tratta di un indubbio appesantimento degli adempimenti, reso necessario dall’adeguamento alla disciplina lavoristica dell’Unione europea.
Come si è detto, l’art. 4 dello schema di d.lgs. fa salvo il contenuto dell’art. 16 che ripropone la disciplina dei doveri delle parti già contenuta nell’art. 4 del d.l. 118 nel caso di accesso alla composizione negoziata. I commi 4 e seguenti della norma sono stati riportati nei commi quattro e seguenti dell’art. 16 senza modificazioni eccezion fatta per l’inserimento anche qui nel comma 8, della speciale procedura sindacale di cui s’è già detto, che è prevista con le medesime caratteristiche a carico del datore di lavoro quando nel corso della composizione negoziata siano assunte, anche solo per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni, rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori.
Va sottolineato che vi sono differenze nella disciplina degli obblighi a carico dell’imprenditore nel caso della composizione negoziata e secondo i principi generali dettati dall’art. 4 che si riferiscono all’accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva. Invero l’art. 16 fa obbligo all’imprenditore che accede alla composizione negoziata di gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori. Tale obbligo è ripreso dall’art. 21 (già art. 9 d.l. 118) che individua gli obblighi dell’imprenditore nella composizione negoziata prevedendo che in caso di crisi egli debba gestire in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività e che in caso di insolvenza, purché reversibile, debba invece seguire il prevalente interesse dei creditori.
L’art. 4 dello schema di d.gls. prevede invece che nei quadri di ristrutturazione preventiva l’imprenditore debba gestire il patrimonio e l’impresa nell’interesse prioritario dei creditori, anche quando vi sia uno stato di crisi e non di insolvenza. La differenza di linguaggio non è certo casuale e dipende ragionevolmente dal fatto che nel caso dei quadri di ristrutturazione si apre una procedura che ha caratteri di concorsualità anche se ampiamente differenziati e comporta in misura maggiore o minore un controllo sull’attività dell’imprenditore, se non uno spossessamento attenuato.
Certamente peraltro sarà opportuno in futuro riflettere sulle scelte fatte dal legislatore anche perché l’interesse prioritario dei creditori va valutato con riferimento alle caratteristiche specifiche di ogni procedura ed anche alla scelta fatta dal legislatore con lo schema di d.lgs. di attuare la previsione della Direttiva 1023/2019 in ordine alla relative priority rule, che incide sul regime dettato dagli artt. 2740 – 2741 c.c.
La comparazione tra gli artt. 4 dello schema di d.gls. e 16 mostra ancora una differenza rilevante tra gli obblighi a carico delle parti nei quadri di ristrutturazione e nella composizione negoziata. Soltanto nel secondo caso, infatti, sorge l’obbligo a carico delle banche, degli intermediari finanziari, dei mandatari e cessionari dei loro crediti di partecipare alle trattative in modo attivo ed informato. Soltanto nel caso della composizione negoziata è previsto l’obbligo delle parti di dar riscontro alle proposte e richieste che ricevono con risposta tempestiva e motivata.
Queste regole non sono state estese al comportamento delle parti durante i quadri di ristrutturazione ed alle relative trattative. La mancata estensione non appare ragionevole se si considera ad esempio la fase delle trattative dopo che l’imprenditore ha presentato domanda di accesso ad un quadro di ristrutturazione con riserva di presentazione della proposta e del piano.
6.2. L’art. 17, comma 3, richiede che l’imprenditore presenti oltre a tutta l’ulteriore documentazione già prevista dall’art. 5 del d.l. 118/21 un progetto di piano di risanamento redatto secondo le indicazioni della lista di controllo prevista dall’art. 13, comma 2, già art. 3, comma 2, d.l. 118/21. La norma già prevedeva che la lista di controllo deve contenere indicazioni operative per la redazione del piano di risanamento. In pratica occorrerà far riferimento soprattutto alle indicazioni contenute nel decreto dirigenziale già emanato dal Ministero della Giustizia in attuazione del dl 118/21 che non dovrà essere aggiornato perché il testo di schema di d.lgs. non prevede nessun aggiornamento e fa anzi riferimento al decreto già emanato.
7.1. Al primo comma dell’art. 18 dello schema il divieto per i creditori di acquisire diritti di prelazione, se non concordati con l’imprenditore e di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari è limitato ai creditori “interessati”. Questa precisazione è conseguenza di un diverso linguaggio adottato dal legislatore nel definire i soggetti nei cui confronti le misure protettive producono effetti. L’art. 18, comma 5, infatti nel confermare la disciplina dell’art. 6 d.l. 118 che vietava ai creditori di rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti, risolverli, anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto della richiesta delle misure, precisa che ciò non riguarda più i creditori “interessati”, ma i creditori “nei cui confronti operano le misure”, che possono essere tutti i creditori anteriori, ma possono essere anche una parte soltanto di essi, posto che il legislatore ora prevede che il debitore possa limitare la richiesta delle misure ad alcuni creditori o categorie di creditori soltanto. Al terzo comma dell’art. 18 si è aggiunto, infatti, che l’imprenditore può chiedere che l’applicazione delle misure protettive sia limitata a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori.
7.2. Degna di nota è la modifica che il quarto comma dell’art. 18 introduce al divieto di far luogo alla pronuncia della liquidazione giudiziale, già fallimento, in pendenza delle misure protettive perché fa salvo il caso che il tribunale disponga la revoca delle misure stesse. Lo scenario quindi ipotizzabile è che il creditore istante per il fallimento chieda la revoca delle misure ai sensi dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. e contestualmente la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. Il legislatore precisa che sono fatte salve le misure cautelari già concesse ai sensi dell’art. 54, primo comma, del codice che non vengono meno per effetto della revoca delle misure protettive. Si tratta delle misure concesse nell’ambito del procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale, del concordato preventivo, di omologazione degli accordi di ristrutturazione e del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, procedimento di nuovo conio introdotto dallo schema di decreto legislativo nell’ambito dell’adeguamento della disciplina alla Direttiva UE 1023/2019. I provvedimenti cautelari in questione sono quelli, come recita l’art. 54, che appaiono più idonei ad assicurare provvisoriamente l’attuazione delle sentenze di omologazione dei quadri di ristrutturazione preventiva e di apertura delle procedure di insolvenza.
In realtà dall’art. 17, comma 3, lett. d), che ha ripreso l’omologo comma 3, lett. d) dell’art. 5 del d.l. 118/21, risulta che l’imprenditore deve allegare alla domanda di accesso alla composizione negoziata una dichiarazione in cui attesta di non aver in precedenza presentato domanda di accesso alla liquidazione giudiziale ed ai quadri di ristrutturazione preventiva, anche nelle forme della domanda con riserva, oltre che domanda di concessione delle misure protettive e cautelari in vista della presentazione della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione. E l’art. 25 quinquies dello schema di d.lgs., riprendendo l’art. 23 del d.l. 118 ribadisce che l’istanza di composizione negoziata non può essere presentata in pendenza di una domanda presentata ai sensi degli artt. 40, 54 comma 3 e 74 del codice, vale a dire di concordato preventivo, omologa di accordo di ristrutturazione, concordato minore, anche nelle forme con riserva ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. a). Aggiunge poi che l’istanza non può essere presentata nei quattro mesi dalla rinuncia ad una domanda relativa a tali procedure.
La scelta di accedere al concordato preventivo, alla nuova procedura regolata dall’art. 64 bis dello schema di d.lgs. (il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, introdotto dal legislatore per meglio adeguare la nostra normativa alla disciplina della Direttiva 1023/2019), agli accordi di ristrutturazione o al concordato minore preclude l’accesso alla composizione negoziata. Analoga preclusione deriva dall’accesso alle forme di procedura con riserva disciplinate dall’art. 44, comma 1, dello schema, ed alle misure protettive in vista della presentazione della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione, ai sensi dell’art. 54, comma 3, dello schema.
Il legislatore ha dunque confermato il principio già affermato dall’art. 23 del d.l. 118 meglio individuando il complesso di procedure, in parte con riserva ed in parte mere misure protettive o cautelari, che determinano l’effetto preclusivo.
Da queste premesse sembra possa ricavarsi che le misure cautelari che possono essere già state concesse prima dell’accesso alle misure protettive e cautelari proprie della composizione negoziata e che possono sopravvivere alla loro revoca ai sensi dell’art. 18, quarto comma, dello schema di d.gls., riguardano le istanze di liquidazione giudiziale che siano già state proposte nei confronti dell’imprenditore.
7.3. Innovativa è anche la norma che nell’ambito della disciplina delle misure protettive relative alla composizione negoziata prevede (art. 19, co. 5) che non può essere concessa la proroga della durata di tali misure se il centro degli interessi principali dell’impresa è stato trasferito da un altro Stato membro nei tre mesi precedenti la formulazione della domanda di accesso alle misure ai sensi dell’art. 18, comma 1. Tale norma costituisce applicazione dell’art. 6, par. 8, secondo periodo, della Direttiva. La norma unionale tuttavia ha contenuto diverso e più ampio. Essa s’inserisce nella disciplina dei limiti della proroga della sospensione delle misure protettive e prevede che, in deroga al generale limite di dodici mesi della durata complessiva della sospensione, essa non possa essere superiore a quattro mesi se lo Stato membro ha deciso di dare attuazione alla Direttiva per quanto concerne i quadri di ristrutturazione tramite misure o procedure che sono al di fuori del riconoscimento reciproco in base al Regolamento 2015/848 e non sono pertanto previste dall’Allegato A, quando il COMI del debitore sia stato trasferito da altro Stato membro nei tre mesi anteriori alla richiesta di apertura della procedura di ristrutturazione preventiva.
7.4. Anche la disciplina propriamente detta delle misure subisce delle modifiche. Coerentemente con la modifica della documentazione di accesso alla composizione negoziata che, come si è visto, deve ora comprendere anche un progetto di piano di ristrutturazione, anche i documenti da allegare all’istanza relativa alle misure comprendono ora un progetto di piano di risanamento redatto secondo le indicazioni della lista di controllo.
Per quanto concerne la cessione d’azienda che, si ricorda, va autorizzata dal tribunale perché l’acquirente possa non rispondere dei debiti pregressi in deroga all’art. 2560, comma 2, c.c., si precisa che con il provvedimento autorizzativo il tribunale deve rispettare anche il principio di competitività nella selezione dell’acquirente. Si tratta di un requisito che era implicito anche nella precedente disciplina che già prevedeva che il tribunale dettasse le misure ritenute opportune. Poiché in questo caso il prezzo si sostituisce alla garanzia patrimoniale rappresentata per i creditori dall’azienda ceduta, è evidente che la sua determinazione deve avvenire nel rispetto dei criteri che assicurano il massimo realizzo. Si tratterà poi di vedere in concreto come si orienterà la giurisprudenza nel valutare il comportamento dell’imprenditore, richiedendo in ogni caso la gara o accontentandosi di adempimenti meno severi.
8.2. E’ stata riscritta la disciplina dell’autorizzazione alla rinegoziazione dei contratti ad esecuzione continuata o periodica in caso di eccessiva onerosità della prestazione o comunque di alterazione dell’equilibrio del rapporto per cause sopravvenute. L’art. 10, comma 2, del d.l. 118/21 prevedeva che, fallito il tentativo dell’esperto di addivenire ad un accordo delle parti per la rideterminazione del contenuto del contratto (intervento limitato però ai casi in cui l’alterazione dell’equilibrio contrattuale era il risultato della pandemia), il tribunale potesse intervenire autoritativamente se necessario per ripristinare la continuità aziendale, disponendo anche un indennizzo a favore della parte in bonis.
Al primo comma tra le ipotesi di successo delle trattative la previsione dell’accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto che produce gli effetti del piano attestato, e quindi l’esenzione da revocatoria ai sensi dell’art. 166, comma 3, lett. d) CCII e da responsabilità penale ex art. 324 CCII, non reca più l’indicazione che non occorre l’attestazione prevista dall’art. 166, comma 3, citato. Non pare tuttavia che tale onere di attestazione sia ripristinato perché la lett. c) del comma 1 dell’art. 23 reca ora l’indicazione che “con la sottoscrizione dell’accordo l’esperto dà atto che il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o dell’insolvenza”. Anche in questo caso la precisazione appare quasi superflua perché sia l’art. 11, primo comma, in apertura ed ora l’art. 23 condizionano le tre ipotesi di esito positivo al fatto che sia individuata una soluzione idonea al superamento della situazione di pericolo di crisi o di insolvenza che costituisce il presupposto di accesso alla composizione negoziata (ora ai sensi dell’art. 12, comma 1, schema d.lgs.). In ogni caso rimane escluso che si possa ritenere che l’esperto debba svolgere le funzioni di attestatore posto che l’art. 16 dello schema afferma espressamente che l’esperto non è equiparabile al professionista indipendente di cui all’art. 2, comma 1, lett. o) CCII, che deve attestare il piano ai sensi dell’art. 56, comma 3, CCII.
E’ appena il caso di aggiungere che il legislatore ha mutato il testo della lettera c) del comma 3 dell’art. 23 rispetto al testo già recato dall’art. 11 del d.l. 118/21 semplicemente per affermare che la possibilità dell’imprenditore di accedere, in caso di esito negativo della composizione negoziata, a qualunque procedura, riguarda ora, essendo mutato il linguaggio del codice, i quadri di ristrutturazione preventiva e le procedure di insolvenza disciplinate dal codice, oltre all’amministrazione straordinaria che non fa parte della riforma organica ed è quindi menzionata separatamente.
a) concludere un contratto privo di effetti nei confronti di terzi ed idoneo ad assicurare la continuità aziendale. A differenza dell’art. 23, comma 1, lett. a) per le imprese maggiori non si richiede che l’idoneità ad assicurare la continuità aziendale riguardi un periodo non inferiore a due anni;
b) concludere un contratto avente il contenuto di cui all’art. 62 CCII, vale a dire la convenzione di moratoria. Il legislatore ha in tal modo inserito nella disciplina di legge il richiamo della convenzione di moratoria che era già ricompreso tra gli esiti positivi della composizione negoziata per le imprese maggiori, ma non nel caso delle imprese sotto soglia.
c) concludere un accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto, idoneo a produrre gli effetti di cui all’art. 25 bis, comma 5. La norma nella sua originaria stesura nell’art. 17, comma 4, d.l. 118 era chiara nel riferirsi al piano attestato. Questa chiarezza è venuta meno perché per evidente disguido si è fatto riferimento agli effetti dell’art. 25 bis, comma 5, che regola le misure premiali ed i relativi effetti. E’ ben vero che il comma 5 in parola richiama l’accordo di cui all’art. 23, comma 1, lett. c), cioè il piano attestato cui si voleva far riferimento, ma il rinvio non è a questa disciplina, ma agli effetti del comma 5 dell’art. 25 bis. Che sia questione del piano attestato di risanamento si ricava dall’ulteriore periodo aggiunto al comma 4, lett. a) dove si dispone che con la sottoscrizione dell’accordo l’esperto dà atto che il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o dell’insolvenza, come già previsto per l’esito positivo della composizione negoziata per le imprese maggiori.
Alle ipotesi regolate dalla lett. a), che sono tutte ipotesi di contratto, convenzione o accordo con i creditori, sì che si giustifica la formula “all’esito delle trattative le parti possono alternativamente” con cui si apre il comma 4 dell’art. 25 quater, seguono tutti casi in cui è l’imprenditore che in via unilaterale accede ad un tipo di procedura ( il concordato minore, la liquidazione controllata, il concordato semplificato, l’omologazione degli accordi di ristrutturazione se impresa agricola). Per tali ipotesi la formula di apertura del comma 4 “le parti possono alternativamente” ha scarso senso perché non si tratta di iniziativa comune né risulta, diversamente dalla disciplina prevista per le imprese maggiori dall’art. 23, un collegamento tra l’esito delle trattative e l’iniziativa dell’imprenditore di chiedere l’apertura di una procedura. Il testo, come già del resto l’originario art. 17 del d.l. 118, andrebbe rivisto e migliorato.
Note: