1. La più diffusa applicazione anche giurisprudenziale della responsabilità dei sindaci per violazione degli obblighi relativi alla loro carica si manifesta in concorso con gli amministratori, per il danno da questi ultimi causato per effetto della violazione degli obblighi di corretta amministrazione della società.
Minore è stata l’attenzione per l’altro profilo della responsabilità per fatto proprio, ad esempio, per aver violato doveri di verità delle loro attestazioni o di segreto sui fatti o documenti di cui abbiano conoscenza o per omesso o negligente controllo contabile o comunque per aver agito dolosamente o colposamente a danno della società.
La prestazione di maggiore rilevanza e contenuto, cui è obbligato l’organo di controllo e che solitamente viene intesa come una proiezione della responsabilità degli amministratori, con i quali i sindaci possono essere solidalmente responsabili per concorso nella responsabilità, consiste nello svolgimento di una attività, appunto, di vigilanza e controllo sull’osservanza delle regole di corretta amministrazione, oltre che sull’osservanza della legge e dello statuto. A questo si aggiunge, l’obbligo di vigilare sull’adeguatezza e sul concreto funzionamento dell’assetto amministrativo, organizzativo e contabile adottato dalla società.
Il mancato svolgimento di una tale attività, complessivamente definibile come attività di vigilanza e controllo, comporta una responsabilità omissiva per fatto proprio da valutare sotto il profilo della colpa.
Risulta definitivamente superato qualsiasi richiamo alla responsabilità oggettiva per fatto altrui. Il presupposto dell’attribuzione della responsabilità necessita dell’accertamento della condotta colposa e del nesso causale con il danno che si è verificato.
Questo è pienamente confermato dalla stessa definizione della responsabilità dei sindaci contenuta all’art. 2407 c.c.
La norma stabilisce al primo comma il livello di diligenza richiesto, che non è più quella del mandatario, originariamente prevista dal Codice civile, ma piuttosto quella più specifica e rilevante della diligenza professionale richiesta per la natura dell’incarico, vale a dire con riguardo alla natura dell’attività esercitata, secondo il generale principio dell’art. 1176, secondo comma c.c.
Da questo deriva che anche il livello e l’intensità della diligenza richiesta all’organo di controllo non può essere fissato in astratto per tutte le tipologie e situazioni societarie ma dipende, oltre che dalle dimensioni e dalla complessità organizzativa della società, dalla situazione concreta che questa attraversa.
L’art. 2407 al secondo comma opera uno stretto collegamento in termini di responsabilità solidale con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.
Tale stretta connessione della responsabilità dei sindaci con quella degli amministratori deriva dalla finalità sottesa alla prestazione di vigilanza e controllo. L’inadempimento di tale fondamentale prestazione rende possibile agli amministratori di non adempiere ai doveri cui sono obbligati. Da questo, l’unicità del danno secondo un pieno ed assorbente concorso nelle responsabilità.
Del tutto conseguenziale, è quindi la previsione del successivo terzo comma che tende ad assorbire la disciplina della responsabilità dei sindaci in quella degli amministratori in tutte le declinazioni degli artt. 2393, 2393 bis, 2394, 2394 bis, 2395 c.c., che si applicano in quanto compatibili.
2. Il compito assegnato ai sindaci di vigilanza e controllo sull’operato degli amministratori, affinché questi compiano le scelte gestorie nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale, alla stregua delle circostanze del caso concreto[1], con il Codice della crisi si è significativamente arricchito non solo di ulteriori obblighi, ma di un complessivo sistema, nel quale i sindaci sono chiamati allo svolgimento di una regolare attività continuativa di intervento, volto a verificare lo stato della società ed il suo assetto organizzativo.
Le modificazioni di prospettiva nel governo e prima ancora nella prevenzione della crisi, che caratterizzano il nuovo codice della crisi [2], hanno avuto un impatto rilevante sul diritto societario e sui doveri degli organi societari, che si sono arricchiti di nuovi compiti che possono essere realizzati con attività continuative, dai quali derivano nuovi profili di responsabilità.
Questo ha comportato una profonda e sostanziale modificazione del ruolo della funzione del controllo, che è passata da compiti di verifica ex post, troppo spesso attuati attraverso “accessi” prevalentemente formali, ad una attività di raccolta di dati, approfondimento e verifica, cui i sindaci sono tenuti in modo costante e contemporaneamente alla gestione dell’impresa da parte degli organi di governo della società[3].
Si è verificato quindi un significativo ampliamento delle prestazioni sinteticamente definibili di controllo e verifica cui sono obbligati i sindaci ed un conseguente rafforzamento della responsabilità dei sindaci stessi.
Le ragioni di questa svolta risiedono nella profonda modificazione dei doveri cui, secondo il rinnovato art. 2086 c.c. l’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva è tenuto. Si tratta, come è noto, del dovere di istituire assetti organizzativi, amministrativi, e contabili adeguati in funzione della più corretta ed efficiente organizzazione e gestione della società, al punto che l’adeguatezza degli assetti costituisce condizione della stessa sostenibilità della conduzione e gestione dell’impresa e quindi della organizzazione della società[4].
Lo stesso art. 2086, pur costituendo norma generale dell’attività dell’imprenditore nella gestione dell’impresa e per questo collocato nella disciplina Dell’impresa in generale, pone in diretto collegamento funzionale gli adeguati assetti alla cui istituzione è tenuto l’imprenditore, con il dovere di rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale.
L’art. 2086 con l’aggiunta, ad opera del Codice della crisi, del secondo comma, arricchisce la gestione dell’impresa, che costituisce la rubrica dell’intero articolo, con il nuovo profilo gestorio della prevenzione o risoluzione della crisi, i quali vengono a costituire nuovi elementi necessari per lo stesso esercizio dell’attività d’impresa.
Non si tratta certo di una invasione di campo della disciplina speciale della crisi e dell’insolvenza nel diverso e si vorrebbe sovraordinato terreno delle definizioni generali dell’impresa ma piuttosto costituisce il punto d’arrivo della complessiva disciplina dell’impresa, la cui gestione per rispondere a requisiti di sostenibilità economica e funzionale, deve essere dotata di strumenti e organizzazione in grado di prevenire e gestire la crisi.
Questo corrisponde ad un radicale mutamento di prospettiva nella valutazione della situazione di crisi il cui verificarsi piuttosto che costituire l’annuncio dei una situazione irrimediabilmente patologica, che porta al declino ed arresto dell’iniziatica economica, costituisce una delle possibili fasi dello sviluppo dell’impresa, che al pari di ogni altra deve essere governata con gli strumenti e l’organizzazione adeguati[5].
Questo nuovo livello dell’attività richiesta per la gestione dell’impresa comporta conseguentemente anche per i sindaci un diretto ampliamento dei loro compiti e conseguentemente delle responsabilità che possono discendere dal non corretto operato degli organi di amministrazione e degli organi di controllo.
L’istituzione di assetti organizzativi, amministrativi, e contabili adeguati alla natura ed alle dimensioni dell’impresa, costituisce lo strumento che consente la rilevazione tempestiva della crisi e l’individuazione delle criticità che possono emergere e compromettere la continuità aziendale, obbligando gli amministratori ad attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione degli strumenti previsti per il superamento della crisi e il recupero della eventualmente compromessa continuità aziendale.
Alle previsioni innovative della nuova formulazione dell’art. 2086 c.c., hanno fatto seguito gli obblighi previsti agli art. 3 e segg. del Codice della crisi, relativi alla istituzione di assetti organizzativi adeguati, come pure, all’adozione di misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi, al fine di porre in essere le iniziative necessarie per farvi fronte,
A questo ampliamento nel contenuto e nella qualità dei compiti assegnati agli amministratori, fa seguito, in modo del tutto corrispondente, il dovere dei sindaci di vigilanza e controllo sulla effettiva osservanza e attuazione di tali doveri da parte degli amministratori.
3. Emerge quindi una profonda metamorfosi del ruolo della funzione e dei compiti che i sindaci debbono assolvere. La prestazione di vigilanza non è più quella solo formale in passato realizzata attraverso verifiche ex post, condotte in modo troppo spesso parziale, secondo una burocratica periodicità[6]. Al contrario ai sindaci è richiesto di operare, osservando un chiaro dovere di intervento, la cui attuazione deve necessariamente avvenire in via di assoluta contemporaneità con l’esercizio dell’impresa da parte degli amministratori.
L’introduzione della composizione negoziata con il D.L. n. 118/2021, successivamente versata nel testo del Codice della crisi, quale prima misura messa a disposizione del debitore per la soluzione o regolamentazione della crisi, è stata accompagnata dalla previsione di un insieme di strumenti di regolazione della crisi affinché lo stesso debitore possa mettere in atto le iniziative più opportune per far fronte alla crisi, pena una dichiarata responsabilità dello stesso.
In questo contesto uno specifico obbligo di intervento è stato imposto dall’art. 25 octies CCII all’organo di controllo ed ora per effetto del “correttivo”, anche del soggetto incaricato della revisione legale[7], nella forma dell’obbligo di segnalazione all’organo amministrativo dell’esistenza dei presupposti di cui all’art. 2, comma 1, lett. a), e b). vale a dire inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi, o addirittura inadempimenti rilevatori dell’insolvenza per la presentazione dell’istanza di accesso alla composizione negoziata di cui all’art. 17.
La rinnovata formulazione apportata dal “correttivo” ha specificato il contenuto della segnalazione, direttamente rinviando all’art. 2, comma lett. a, e b) e nello stesso tempo ha fissato le modalità della segnalazione, che deve essere redatta in forma scritta, trasmessa con mezzi che assicurino prova dell’avvenuta ricezione da parte degli amministratori e con fissazione di un congruo ma anche ravvicinato termine, che infatti non deve superare 30 giorni, entro il quale gli amministratori debbono riferire in ordine alle iniziative intraprese.
Nello stesso tempo, l’articolo in parola ha cura di specificare che l’esercizio della segnalazione non fa venir meno l’obbligo di vigilanza di cui all’art. 2403 c.c..
4. L’obbligo di intervento con la descritta segnalazione è poi rafforzato sul piano della deterrenza dalla previsione contenuta al secondo comma dell’art. 25 octies, secondo cui la tempestiva segnalazione e la vigilanza sull’andamento delle trattative, forniscono elementi di valutazione per l’attenuazione o l’esclusione della responsabilità prevista dall’art. 2407 c.c.[8], sulla base del quale la condotta dovrà essere valutata ai sensi dell’art. 2407 c.c. per i sindaci e dell’art. 15, D.Lgs. n. 39/2010, per i sindaci.
Nello stesso tempo la qualifica di tempestività della segnalazione, viene del tutto sottratta alla flessibilità dell’interpretazione e piuttosto rigidamente ricondotta al termine massimo di sessanta giorni dalla conoscenza da parte dell’organo, di controllo delle condizioni di crisi di cui all’art. 2 comma 1, lett. a), e b).
È significativo che nell’imporre questo nuovo obbligo di intervento, peraltro così rigidamente e precisamente specificato nelle forme e nelle modalità, il legislatore abbia inteso stabilire che l’avvenuta osservanza dell’obbligo di segnalazione non esclude di per sé la responsabilità prevista dall’art. 2407 c.c..
L’obbligo di intervento è stato infatti strettamente collegato a condizioni aventi, nello stesso tempo, una finalità premiale e di deterrenza. La tempestiva segnalazione nelle forme e modalità prescritte può comportare attenuazione o esclusione della responsabilità, con la conseguenza che la mancata o difettosa segnalazione è sicuramente fonte di piena responsabilità.
In questo modo il legislatore, forse per la prima volta in forma così esplicita, ha inteso determinare i criteri di valutazione della diligenza richiesta ex art. 1176 secondo comma c.c., per tale attività professionale. Ha fissato quindi specifiche regole relative al concreto contenuto della prestazione richiesta (segnalazione nei tempi e modalità rigidamente e specificamente prescritte), ed ha altresì sostituito ai generali ma anche flessibili criteri di attribuzione della responsabilità dell’art. 1218 c.c., specifici criteri di verifica fattuale del comportamento dell’organo di controllo.
Va considerato che il principio introdotto all’art 25 octies CCII, ha una portata che va ben oltre la disciplina della composizione negoziata cui è riferito.
Esso apre il Capo III interamente dedicato al sistema di Segnalazione per anticipata emersione della crisi. L’intervento in parola, da un lato individua nell’organo di controllo e nel soggetto incaricato della revisione legale, il primo soggetto attraverso il quale si deve realizzare l’emersione della crisi ma, nello stesso tempo, costituisce il momento ultimo e conclusivo di verifica dell’avvenuto adempimento e del livello di diligenza applicato nell’esecuzione della prestazione di vigilanza e controllo cui sono tenuti l’organo di controllo ed il soggetto incaricato della revisione.
A tale prestazione di monitoraggio e verifica delle situazioni e degli indici che nel tempo emergono dalla gestione della società essi sono tenuti in via continuativa e l’obbligo di segnalazione richiesta dall’art. 25 octies, costituisce una sorta di “cancello”, attraverso il quale il sistema introdotto con il nuovo codice della crisi di rilevazione o regolazione della crisi “tira le fila” del comportamento degli organi di controllo e governo e, nello stesso tempo, apre alla fase di gestione volta a porre rimedio allo stata di crisi o insolvenza della società.
Se l’organo di controllo ha adempiuto correttamente alla prestazione di costante vigilanza e controllo, la segnalazione potrà far emergere la crisi nel suo primo manifestarsi (secondo quella che viene definita anticipata emersione). Al contrario, se vigilanza e controllo sono stati insufficienti, inadeguati o addirittura del tutto mancati, la segnalazione non potrà che essere tardiva e quindi non meritevole di alcun elemento premiale per l’organo di controllo, il quale, al contrario, dovrà essere ritenuto inadempiente. In ogni caso la sola circostanza della avvenuta segnalazione, non potrà certo giustificare e/o cancellare il comportamento inerte ed omissivo precedentemente tenuto.
Va peraltro osservato che la segnalazione dell’esistenza e dei presupposti di cui all’art. 1, comma 1, lett. a) e b), vale dire dello stato di insolvenza, circostanza che peraltro legittima ex art. 37 CCII anche i sindaci a proporre la domanda di apertura della liquidazione giudiziale, se da un lato costituisce adempimento dell’obbligo di segnalazione, non può che risultare anche implicita “confessione” di non aver per tempo rilevato e segnalato la crisi con la conseguente responsabilità che ne deriva.
In conclusione, nel rinnovato sistema del codice della crisi, all’obbligo di segnalazione, di cui al l’art. 25 octies CCII è affidato nella sostanza il compito di verifica dell’avvenuta osservanza da parte dell’organo di controllo dei doveri di verifica e controllo, che questo è tenuto ad esercitare in via continuativa nell’esercizio dell’impresa.
A seconda, infatti, che l’organo di controllo abbia o meno effettuato la segnalazione ed a seconda della tempestività di questa in relazione al livello di crisi dell’impresa, è possibile dedurre elementi significativi per escludere o affermare la responsabilità dello stesso organo di controllo nelle possibili graduazioni di intensità.
A questo riguardo va tenuto conto del fatto che l’organo di controllo è chiamato allo svolgimento di attività secondo tempi e modalità che hanno modificato la stessa natura della prestazione dovuta.
L’azione di verifica e controllo non solo deve svolgersi secondo una continuità che di per sé comporta una modifica rilevante della prestazione dovuta, ma deve assolvere a compiti più ampi e complessi, segnati dall’esercizio di maggiori poteri proattivi, ai quali corrispondono dirette responsabilità.
Di conseguenza si può ritenere che il profilo di responsabilità concorrente con quella degli amministratori (che trova peraltro prevalente applicazione nella casistica giurisprudenziale), potrà manifestarsi con maggiore evidenza. Infatti, considerata la maggiore ampiezza e carattere penetrante dei compiti di verifica e controllo imposte ai sindaci, la condizione esimente prevista dall’art. 2407 c.c. secondo cui i sindaci sono responsabili solidalmente con gli amministratori per atti o fatti di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica, risulterà più arduo applicarla, in quanto, nella sostanza, solitamente il danno causato dall’imprenditore dipende da un mancato controllo.
Questo non significa attribuire al sindaco una sorta di responsabilità oggettiva o comunque una responsabilità da “posizione di garanzia”, in quanto resta ferma la possibilità di una prova controfattuale, che dimostri l’avvenuto esercizio o tentato esercizio dell’intera gamma di poteri di verifica e controllo che già il Codice civile ed ora il codice della crisi gli affida[9].
5. La responsabilità concorrente con gli amministratori, nella concreta esperienza giurisprudenziale ha seguito le dinamiche e le sorti dell’azione fatta valere dal curatore per il danno subito dei creditori per la perdita della capacità patrimoniale della società a causa della continuazione dell’attività svolta successivamente alla perdita del capitale sociale, con incremento del passivo e determinazione del danno con il criterio oggi previsto anche dal novellato art. 2486 c.c., della differenza dei netti patrimoniali [10].
In realtà come è stato osservato anche di recente, il danno che può scaturire dalla violazione delle regole di corretta amministrazione da parte degli amministratori e degli obblighi di vigilanza e controllo da parte dell’organo di controllo, può avere una dimensione più ampia ed una diversa natura.
Il danno può consistere, infatti, nel pregiudizio al patrimonio della società che può manifestarsi nella lesione delle capacità reddituali, nella rottura della continuità aziendale, nella sostanza possiamo dire, nella perdita di valore della stessa società.
Questa può assumere dimensioni tali da pregiudicare la garanzia patrimoniale offerta ai creditori e compromettere la capacità di adempiere alle obbligazioni sorte durante la gestione della società ma, nello stesso tempo, le dimensioni delle perdite possono essere anche rilevanti ma non tali da interrompere la continuità aziendale, né di compromettere la capacità di far fronte alle obbligazioni assunte[11].
Tale danno potrà essere fatto valere con l’azione sociale di responsabilità alla quale è pienamente legittimato anche il curatore fallimentare, tanto nei confronti degli amministratori che dell’organo di controllo.
Le nuove più ampie dimensioni dei compiti e doveri che ricadono sui sindaci, secondo la rinnovata disciplina introdotta dal codice della crisi, agevolano l’attribuzione della responsabilità concorrente, in quanto di fronte al comportamento illegittimo e pregiudizievole dell’amministratore, la corretta osservanza da parte dei sindaci degli ampi doveri di controllo, vigilanza e intervento avrebbe potuto ragionevolmente impedire, frenare o eventualmente porre rimedio alla crisi con l’applicazione delle misure o degli strumenti oggi previsti.
Nello stesso tempo, per gli stessi motivi, anche la responsabilità per fatto proprio risulta più agevolmente applicabile nei casi in cui la mancata osservanza degli obblighi di informazione, controllo ed intervento abbia comportato un pregiudizio alla società consistente in una perdita di valore della stessa, anche se tale perdita di valore resta contenuta in una misura che non compromette la capacità della società di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni.
La responsabilità per tale pregiudizio potrà essere fatta valere con l’’azione sociale, alla quale peraltro è legittimato anche il curatore, non solo nell’interesse dei creditori ma anche della stessa società alla quale è succeduto, in quanto della reintegrazione del patrimonio sociale e del recupero della perdita di valore si avvantaggiano non solo i creditori ma anche i soci.
Deve essere altresì considerato che la crisi e l’insolvenza dell’impresa nel rinnovato quadro delle misure e degli strumenti di regolazione della crisi forniti dal Codice della crisi, vengono regolate e ottengono la loro risoluzione con esdebitazione del debitore al di fuori di quello che un tempo era il fallimento ed ora la liquidazione giudiziale. Nello stesso tempo i creditori sopportano la perdita nella misura dello stralcio del credito subito a seconda dell’esito dei diversi strumenti adottati ed i soci subiscono la perdita di valore delle società e delle loro partecipazioni sociali.
Il danno sopportato dai creditori può essere fatto valere, oltre che nei confronti degli amministratori, anche dei sindaci per non aver correttamente e diligentemente adempiuto ai doveri di vigilanza e controllo, da ciascun creditore per la parte non soddisfatta del credito, come pure per il pregiudizio subito per ritardo nell’adempimento. Nello stesso tempo i soci, per gli stessi motivi, potranno far valere l’azione sociale di responsabilità per la perdita di valore della società.
6. L’ampiamento dei compiti e dei poteri particolarmente proattivi che il codice della crisi assegna ai sindaci, comporta non soltanto un significativo rafforzamento delle responsabilità ma anche una modificazione degli stessi caratteri di tale responsabilità. Essa, anche in ragione dei nuovi poteri e doveri di intervento e di iniziativa, non può essere più essere intesa o ricondotta ad una responsabilità indiretta ma piuttosto ad una responsabilità per fatto proprio consistente nella violazione dei doveri di costante informazione sull’andamento dell’esercizio dell’impresa, e conseguenti doveri di intervento, segnalazione, nell’osservanza di un comportamento proattivo di prevenzione e soluzione della crisi[12].
Già nell’interpretazione della giurisprudenza - con riferimento ai doveri di vigilanza ed oggi nella disciplina del codice della crisi, con riferimento ai più volte menzionati doveri di informazione, intervento, segnalazione ecc. - i compiti e gli obblighi dei sindaci non possono essere circoscritti alla valutazione dell’operato degli amministratori ma piuttosto investono l’intera gestione sociale, secondo una costante verifica dei contenuti, dell’andamento e delle prospettive, in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali[13].
La responsabilità dei sindaci deve pertanto essere oggi intesa come responsabilità per fatto esclusivamente proprio. Tale responsabilità può certamente divenire concorrente con quella degli amministratori, quando sia dimostrato il concorso omissivo con la condotta degli amministratori[14].
La distinzione già enunciata nell’art. 2407 c.c. tra la responsabilità esclusiva e la responsabilità concorrente con quella degli amministratori è emersa, anche da ultimo, nei casi in cui il curatore, ha fatto valere l’avvenuto inadempimento dei sindaci ai doveri di vigilanza e controllo.
L’inadempimento, infatti, non giustifica il compenso ricevuto dal sindaco con conseguente obbligo alla restituzione oppure consente di respingere la richiesta del sindaco, volta ad esigerne il pagamento.
Alla domanda di ammissione al passivo del credito per il compenso dovuto dalla società fallita o in liquidazione giudiziaria, il curatore che intende far valere nei confronti del sindaco, il mancato esercizio dei doveri di controllo e vigilanza, può eccepire l’inadempimento mentre il sindaco potrà contrastare tale eccezione fornendo la prova dell’avvenuto adempimento[15].
A questo riguardo va considerato che l’eccezione riconvenzionale d’inadempimento opposta dal curatore, al fine di ottenere il rigetto della domanda del sindaco o dell’amministratore per l’ammissione al passivo, ad es, del credito per il compenso, non corrisposto dalla società, se il curatore contemporaneamente incardini un giudizio di responsabilità contro i sindaci o gli amministratori, non comporta che il giudizio per l’ammissione del credito al passivo ossa o debba essere sospeso a norma dell’art. 295 c.p.c., in quanto il tribunale fallimentare ha la piena competenza a decidere sui diritti azionati dai creditori concorsuali.
Di conseguenza, per ottenere il rigetto della domanda di ammissione al passivo, in questa sede grava sul Curatore l’onere di controdedurre e di fornire prove adeguate a contrastare la domanda di dei sindaci o degli amministratori, in quanto essendo preclusa la possibilità di sospendere tale giudizio, l’accertamento di tali inadempimenti non può essere sospeso e rinviato al giudizio di responsabilità proposto davanti al Tribunale delle Imprese[16], essendo pienamente competente il tribunale fallimentare nel giudicio di accertamento dei crediti per l’ammissione al passivo.
La giurisprudenza ha chiarito in più occasioni ed anche da ultimo che nei casi (che in verità sono i più frequenti), in cui il curatore oppone l’eccezione di inadempimento alla domanda di pagamento del sindaco per il compenso non percepito dal sindaco dalla società fallita, il criterio del riparto degli oneri probatori è esattamente identico a quello che rileva ove il creditore agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento [17].
Il creditore che agisca per l’inadempimento deve pertanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, allegando la circostanza dell’inadempimento della controparte [18]. A fronte dell’eccezione d’inadempimento sollevata dal curatore, spetta poi al sindaco dare la prova della correttezza del proprio operato.
Tale principio deve poi essere necessariamente concretizzato nelle diverse fattispecie nelle quali non potrà che essere adattato. Deve escludersi infatti l’efficacia dell’eccezione di inadempimento che fosse formulata in modo del tutto sommario senza indicazione da parte del curatore dei fatti di inadempimento da imputare al sindaco.
L’ampiezza di tale onere di allegazione sarà quindi graduale a seconda che l’eccipiente limiti la contestazione al diritto al compenso, facendo valere la responsabilità esclusiva del sindaco oppure faccia valere la responsabilità concorrente con quella degli amministratori.
In quest’ultimo caso l’onere di allegazione sarà più intenso, in quanto perché si verifichi il concorso con gli amministratori dovranno essere indicati i fatti di omessa vigilanza sul comportamento degli amministratori stessi. Inoltre, per operare l’imputazione della responsabilità in via solidale con gli amministratori per il danno da questi causato, sarà necessaria l’indicazione dei caratteri e del contenuto del comportamento omissivo del sindaco, completato da una valutazione controfattuale che il danno non si sarebbe verificato o sarebbe stato di dimensione più contenuta se i sindaci avessero adempiuto ai doveri di controllo e vigilanza cui erano tenuti[19].