Il nuovo concordato “finale”: i tratti salienti del (finalmente) incentivato concordato nella liquidazione giudiziale
Antonio Pezzano, Avvocato in Firenze
Massimiliano Ratti, Avvocato in La Spezia
12 Febbraio 2025
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Sommario:
Quasi a rappresentare, fra i tanti concordati previsti dal Codice e che lo precedono (dal semplificato, al minore ed al preventivo), quello che potrebbe ritenersi - e perciò d’ora in poi anche così lo definiremo - il concordato “finale” [3].
L'istituto concordatario, difatti, oggi più di ieri, realizza, in uno con la rapida chiusura della procedura maggiore, un equilibrio tra la finalità satisfattiva dei creditori e, ricorrendone la fattispecie, quella conservativa dell’impresa, consentendo dunque in taluni casi, forse ancor meglio dell'attuale concordato preventivo, la salvaguardia dei complessi produttivi, nell’assicurare comunque il miglior soddisfacimento dei (tempestivi) creditori[4].
Funzioni di salvaguardia che risultano particolarmente significative nel caso di pregiudiziale esercizio “provvisorio” (recte esercizio dell'impresa e/o di affitto dell'azienda) dell’ente insolvente, in cui senz’altro il concordato può divenire uno degli strumenti elettivi per garantire la continuità aziendale e, al contempo, assicurare un più rapido soddisfacimento del ceto creditorio[5].
Anzi, vi erano stati solo segnali di segno opposto, come i) la necessità dell’apporto da parte del debitore (o società partecipate o sottoposte a comune controllo) di finanza terza pari ad almeno il 10% dell’attivo anche in caso di concordato “finale” teso a salvaguardare la continuità aziendale; ii) la previsione all’art. 243, comma 5, CCII di un generale quanto generico precetto in tema di conflitto di interessi: rispetto ad ogni singolo creditore, alla maggioranza delle singole classi, alla maggioranza assoluta della massa dei creditori e/o allo stesso debitore in caso di proposte presentate da creditori o terzi? [7]; iii) ovvero omettendosi di prevedere una disciplina dei concordati di gruppo (pur imposta dall’art. 3, comma 3, lett. d) L. n. 155/2017, oltre che da coerenza sistematica vista la possibilità di liquidazioni giudiziali di gruppo ex art. 287 e ss. CCII)[8]; iv) o ancora con l’espunzione dalla norma sul programma di liquidazione (art. 213 CCII) del riferimento al concordato (esistente, invece, in sede fallimentare nell’art. 104 ter); v) oltre che con il verosimile lapsus calami di cui all’art. 130, comma 9, CCII, non prevedente più (come l’omologo comma 5 dell’ art. 33 L. fall.) l’obbligo di pubblicazione al registro dell’imprese dei fondamentali - per informare e stimolare, quindi, proposte di concordato ad opera di terzi - rapporti informativi periodici del curatore[9].
Tanto da apparire le iniziali scelte legislative, cioè quelle che hanno preceduto l’ultimo decreto correttivo, spesso non coordinate e talvolta contraddittorie, rischiando persino di relegare l'istituto ad un ruolo marginale nel sistema concorsuale[10].
In tale rinnovato scenario, si inseriscono anzitutto le novità che hanno riguardato l’articolo 240 CCII, delle quali, prima di dar conto, sembra importante riepilogare velocemente il consolidato sistema in cui si innestano.
Il primo comma, nel consentire sempre a creditori e terzi la presentazione del concordato del “giorno dopo” (purché la contabilità del debitore e/o altri obiettivi dati consentano al curatore di predisporre un affidabile elenco provvisorio dei creditori da sottoporre all’approvazione del giudice delegato),[13] ha confermato, invece, per il debitore le duplici limitazioni temporali (“un anno dalla sentenza che ha dichiarato l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale e purché non siano decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo”) già vigenti in sede fallimentare per l'accesso alla procedura di concordato da parte del debitore, sebbene neppure richieste dalla legge delega, che anzi, come precisato, aveva previsto anche per il debitore una nuova disciplina che incentivasse le sue proposte di concordato, ponendo come unica condizione l'implementazione dell’attivo.[14]
Anche post correttivo, è rimasta invariata, quale ulteriore condizione di ammissibilità per la proposta del debitore, la previsione d’un apporto di risorse tale da incrementare il valore dell'attivo in misura non inferiore al dieci per cento, senza comunque risolvere la questione applicativa riguardante l'identificazione del valore dell'attivo da considerare come riferimento[15].
La nuova disposizione è rimasta immuta anche rispetto al perimetro dei soggetti, correlati alla società insolvente, sottoposti alle predette limitazioni, perimetro che invece si pronosticava destinato all’ampliamento, stante anche la collegata (e da sempre più estesa soggettivamente) previsione in tema di voto. Segnatamente, sono state richiamate - e per ben due volte nello stesso comma 1 dell’ art. 240 CCII - le (sole) società cui il debitore partecipa e le società sottoposte a comune controllo,[16] ma non anche le società controllanti, che quindi, essendo anche espressamente indicate in altra correlata previsione del concordato “finale” e precisamente in tema di voto (art. 243, commi 5 e 6, CCII), dovrebbero, di contro, essere prive degli (eccezionali) limiti ad agire in giudizio previsti dall’art. 240 CCII.
Scelta legislativa, ovvero esegetica, che comunque risulterebbe in linea con il dettato dell’art. 7, comma 10, lett. d), L. n. 155/2017, che, come detto, anche per il debitore aveva previsto che fosse emanata una nuova disciplina che incentivasse le proposte di concordato.[17]
Al secondo comma, è' stata mantenuta l’ampia possibilità di formulare una proposta di concordato a contenuto libero, con o senza classi.[18]
Al terzo comma, la norma ha innovativamente imposto, in caso avvenuta emissione di obbligazioni o di strumenti finanziari, l'inserimento dei relativi titolari in un'apposita classe.
Il comma 4, nel confermare la possibilità di un pagamento stralciato dei prelatizi incapienti, ha eliminato il lemma “avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti”, ratificando ciò che era già diritto vivente e cioè che il soddisfacimento promesso deve essere confrontato con il minor valore rappresentato da quanto verosimilmente i creditori otterrebbero proseguendo la procedura liquidatoria, al netto delle spese di procedura[19].
Sempre al comma 4, opportunamente, sono state eliminate le parole «iscritto nell'albo dei revisori legali, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 358» riferite al professionista che redige la relazione giurata, in quanto figura già compiutamente definita dall'articolo 2, comma 1, lettera o) CCII[20].
Al comma 5 nulla e' mutato perché è' stata confermata la possibilità, in caso di proposta presentata da creditori o terzi e a stato passivo già esecutivo, del patto di limitazione della responsabilità, cioè della facoltà per il proponente di limitare l’accollo, recte l'espromissione concordataria,[21] ai soli creditori tempestivi: e cioè già ammessi al passivo e a quelli che hanno proposto opposizione allo stato passivo o domanda di ammissione tardiva al tempo della proposta.[22] In tale caso, verso gli altri creditori continua a rispondere il debitore, fermo comunque il caso di utile accesso all’esdebitazione.
Invece, di particolare rilevanza è l'introduzione del nuovo comma 4 bis, con il quale il legislatore ha finalmente attuato la delega di cui all’art. 3, comma 3, lett. d), L. n. 155/2017, inserendo una specifica disposizione di coordinamento per l'ipotesi di proposta di concordato nella liquidazione giudiziale nell'ambito di una liquidazione giudiziale di gruppo[23]. È infatti stabilito che, ove il tribunale disponga l'apertura di una procedura di liquidazione giudiziale unitaria di gruppo ai sensi dell'articolo 287 CCII, l'eventuale proposta concordataria può essere presentata con unica domanda, con più domande tra loro coordinate ovvero con singole autonome domande, fermo restando l'autonomia delle rispettive masse attive e passive delle società insolventi. La domanda unica o le domande coordinate, a differenza di quelle autonome, devono illustrare le ragioni di maggiore convenienza, in funzione del miglior soddisfacimento dei creditori delle singole imprese, rispetto alla scelta di presentare domande autonome [24].
Anche nel concordato di liquidazione troveranno applicazione le disposizioni sul voto e sul regime degli effetti di risoluzione e annullamento dettate dall'articolo 286, commi 5, 6 e 8, per il concordato preventivo di gruppo[25].
Va senz’altro accolta favorevolmente la maggiore flessibilità dello strumento rispetto a quello analogo del concordato preventivo.
Difatti, non è richiesta obbligatoriamente la presentazione di un unico ricorso per tutte le società insolventi, a differenza che nella soluzione anticipata (art. 284, comma 1, CCII).
E quindi, salvo non si sia scelto di presentare un ricorso unico (e probabilmente anche nell’ipotesi di domande coordinate tra loro), nel caso di concordato “finale” di gruppo a ricorsi autonomi, non è necessaria l’approvazione di tutte le proposte, diversamente da quanto accade in sede di concordato preventivo (art. 286, comma 5, CCII).[26]
Flessibilità che, in caso di singole domande, propaga, rispetto alle separate procedure non interessate, i suoi effetti di “salvezza” (anche) relativamente agli scenari di revoca, risoluzione o annullamento del concordato.
Invece, ove si verta in un‘ipotesi di un ricorso unitario (e verosimilmente anche qualora si tratti di ricorsi coordinati tra loro), si applicherà la stessa disciplina di (relativa) salvezza del concordato preventivo di gruppo.[27]
Anzitutto il novellato art. 241 CCII ha previsto al comma 2, in caso di pluralità di proposte (depositate prima che il giudice delegato abbia già ordinato la comunicazione ai creditori), che di regola tutte (e non solo, come in precedenza, quella ritenuta preferibile dal comitato dei creditori ovvero poi anche dal curatore tra quelle scartate dal primo organo) debbono essere sottoposte all'approvazione dei creditori, salva l'eccezione nel caso in cui curatore e comitato dei creditori “congiuntamente, ne individuino una o più maggiormente convenienti.”
Scelta condivisibile, anche se, per come adesso formulata la disposizione, può porsi comunque una legittima domanda: ma in caso di proposte concorrenti, visto che ora tutte debbono comunicarsi ai creditori (salva la predetta eccezione, che comunque prevede la comunicazione di almeno una proposta), l'iniziale parere del comitato dei creditori non risulta più vincolante, ove anche negativo su tutte le proposte formulate, lasciando quindi esclusivamente la massa dei creditori aventi diritto al voto arbitri sulla convenienza delle/a proposte/a?
L'art. 242 CCII è stato modificato per consentire, in caso di numerosi creditori, che il giudice delegato possa autorizzare il curatore a dare notizia della proposta di concordato, anziché con singole comunicazioni, ovvero con i tradizionali avvisi collettivi a mezzo quotidiani, anche mediante le oramai molteplici “altre forme ritenute opportune”.
Al primo comma dell’art. 243 CCII e’ stato espunto il riferimento alla non più esistente categoria dei creditori ammessi provvisoriamente, cosicché oggi hanno diritto di voto i creditori chirografi ammessi, compresi con riserva. E se la proposta è presentata prima che lo stato passivo venga reso esecutivo, hanno diritto al voto i creditori di cui all'elenco provvisorio (quindi i creditori tardivi non ancora ammessi e gli opponenti, pur dovendo essere obbligatoriamente considerati dall’eventuale patto di limitazione della responsabilità ove già esistenti, non hanno comunque diritto di voto).[28]
Sono state introdotte regole più chiare per l'approvazione in caso di pluralità di proposte concorrenti nell'articolo 244, comma 4 CCII: non più l’equivoca previsione di “quella tra esse che ha conseguito il maggior numero di consensi “, che avrebbe potuto far le pensare ad una maggioranza per “teste”, bensì “quella tra esse che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto.”
Peccato solo non si sia colta l’occasione di prevedere, in generale, anche in caso di concordato “finale”, il voto “suppletivo” (per l'ipotesi di mancato raggiungimento della/e maggioranza/e da parte di almeno una proposta), opportunamente, invece, regolato ancora (dopo l’art. 177, comma 1, L. fall.) dal secondo capoverso del comma 2 dell’art. 109 CCII in tema di concordato preventivo.
Difatti, solo “in generale” è disposizione non applicabile, perché, almeno in un caso, pare regolante il riavvio delle operazioni di voto anche nel concordato “finale”. E segnatamente nello scenario del concordato di gruppo, alla luce del richiamo effettuato, dall’ art. 240, comma 4 bis, all’ art. 286, comma 5, CCII (rinviante a propria volta all’art. 109, appunto).
L’ art. 245 CCII è stato ampiamente rimodulato, anzitutto per meglio chiarire, ai commi 2 e 3, le fasi del processo di omologazione e di eventuale opposizione, con espressa indicazione, finalmente, dei termini e della tipologia di atti, attraverso il rinvio mirato ad alcune previsioni del procedimento ex art. 124 CCII.
Opportunamente è stato altresì precisato al comma 5 che, in caso di opposizione di convenienza da parte di un creditore di una classe dissenziente, la comparazione di “non inferiorità’ deve avvenire rispetto al risultato della “prosecuzione della liquidazione giudiziale” (eliminando in radice i dubbi germinati in precedenza con il generico riferimento “alle alternative concretamente praticabili”).
Infine, pur decidendosi di non estendere integralmente il regime della transazione fiscale previsto dall’art. 88 CCII in sede concordataria preventiva (e quindi, oltre il sistema di votazione, la possibilità dell’applicazione delle speciali regole di priorità relativa sancite nei finali due capoversi del relativo primo comma),[29] anche nel concordato “finale” è stato comunque introdotto (sempre al comma 5 dell’art. 245 CCII) il cram down nei confronti dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie, recependosi così l’indirizzo prevalente della giurisprudenza di merito [30].
Il tutto a condizione che il voto contrario degli enti statali sia determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze e che il concordato risulti “conveniente (ndr: non è sufficiente la “non inferiorità”) rispetto all’alternativa della prosecuzione della liquidazione giudiziale.”[31]
Altra rilevante modifica è stata effettuata all’art. 246 CCII, chiarendo al comma 1 che gli effetti dell'omologazione si producono immediatamente dalla data di pubblicazione del relativo decreto, così - come precisa la relazione legis - “si evita che l’opposizione (ndr: il reclamo ex art. 247 CCII) all’omologazione rappresenti un ostacolo all’esecuzione del concordato”.
Ricordando in proposito che, allorché il concordato preveda il trasferimento di beni al proponente o all'assuntore, il titolo al riguardo, salva diversa previsione in proposta, è rappresentato proprio dal provvedimento di omologazione, essendo gli eventuali successivi provvedimenti del giudice delegato ex art. 249, comma 3, CCII atti meramente esecutivi.[32]
Ancora nell’art. 246 CCII è stata introdotta al comma 2 bis un’opportuna disposizione riguardante l'interruzione dei giudizi tribunalizi di impugnazione dello stato passivo. Evento che si verifica nel momento in cui il decreto di omologazione diviene definitivo, colmando così, in linea peraltro con il diritto vivente, il vuoto normativo relativo agli effetti prodotti dalla definitività del decreto di omologazione sui giudizi di impugnazione dello stato passivo. Il giudizio potrà essere riassunto dal proponente o nei confronti del proponente e proseguirà nelle forme di cui all’art. 207 CCII dinanzi al medesimo giudice.
Le modifiche all'art. 247 CCII hanno introdotto, al comma 7, termini decadenziali per la costituzione delle parti resistenti nel procedimento di reclamo.
Inoltre, sempre per incentivare le soluzioni concordatarie, è stato previsto al comma 12, in linea con la disposizione dell’art. 246, comma 1, CCII, che anche il decreto decidente il reclamo “produce i propri effetti dalla data della pubblicazione”, dunque, a prescindere dall'eventuale ricorso per cassazione avverso il decreto della corte d’appello che, in riforma della decisione di primo grado, avesse omologato il concordato.
Come equilibrato contraltare (invero invocabile anche in caso di mancata o revocata omologazione del concordato), si è pure introdotto al comma 12-bis, in caso di reclamo o ricorso per cassazione, su istanza di parte o anche del curatore, la possibilità di richiedere alla corte d’appello, al ricorrere di gravi e fondati motivi, la sospensione, in tutto o in parte o temporaneamente, della liquidazione dell’attivo (relativa alla liquidazione giudiziale), oppure dell’attuazione, in tutto o in parte o temporaneamente, del piano o dei pagamenti (della proposta concordataria omologata).
Il tutto verosimilmente secondo il sub-procedimento previsto dall’analoga disposizione dell’art. 52, commi 3 e 4 CCII, da cui dovrebbe mutuarsi anche la previsione sul potere della corte di sospendere, oltre la liquidazione dell’attivo, “il compimento di altri atti di gestione”, come, ad esempio, la stipula di una transazione su una azione oggetto della proposta di concordato.
Vi è da chiedersi se l'introduzione all’art. 247 CCII di questa espressa previsione, regolante il potere sospensivo giudiziale (ma solo) in fase di reclamo o ricorso per cassazione, consenta ancora al giudice delegato di sospendere la liquidazione dell'attivo (ed eventualmente degli altri atti di gestione relativi alla liquidazione giudiziale) anche durante la fase “di primo grado” del procedimento di concordato.
La risposta potrebbe essere affermativa, qualora si ritenga applicabile anche allo strumento di risoluzione dell’insolvenza, quale dovrebbe essere, recte è anche il concordato nella liquidazione giudiziale (v. supra nota 1), il mini-procedimento generale in tema di misure (protettive e) cautelari di cui agli artt. 54 e 55 CCII.[33]
Sotto la vigenza della legge fallimentare, si era ritenuta sussistente la possibilità sospensiva al ricorrere di “gravi e giustificati motivi”, in applicazione estensiva del disposto dell’art. 108, comma 1, l.fall. (oggi sostituito dall’art.217 CCII), sul potere al riguardo del giudice delegato durante la fase liquidatoria della procedura maggiore[34].
Infine, l'art. 249 CCII è stato opportunamente integrato al comma 1-bis con disposizioni che salvaguardano, in caso di revoca dell'omologazione, gli atti legalmente compiuti in esecuzione del concordato, in ossequio ai principi generali di cui all’art. 2929 c.c., nonché i provvedimenti ad essi collegati, nonché prevedono, al comma 3, le modalità di cancellazione delle iscrizioni pregiudizievoli anteriori (e non solo di quelle posteriori per i beni offerti a garanzia), risolvendo l’annoso problema in ordine alle purgazioni dei vincoli afflittivi, che in passato, nel silenzio della norma, veniva risolto attraverso una lettura olistico-sistematica dell’ art. 108, comma 2, L. fall.[35]
Dispiace solo che, a parte indirettamente con l’immediata esecutività del decreto di omologazione (ove anche conseguita in fase di reclamo), nessun segnale esplicito sia stato offerto per favorire la continuità aziendale anche con il concordato “finale” (sebbene risulterà finalità comunque perseguibile, come vedremo nel paragrafo che segue).
Eppure, sarebbe bastato poco, ad esempio eliminando, in caso di piano finalizzato alla salvaguardia della continuità, la limitazione temporale prevista contro il debitore e/o l’obbligo dell'apporto suppletivo del 10%,[36] oppure prevedendo, in caso di proposte concorrenti, una disciplina analoga a quella del comma 5 bis dell’art. 109 CCII. Anzi, a ben vedere, applicabile anche al concordato “finale”, pur se solamente negli scenari di proposte concorrenti relative a concordati di gruppo, per via del rinvio dell’art. 240, comma 4 bis CCII all’art. 286, comma 5, CCII che a sua volta rinvia, appunto, all’ art. 109 CCII.
In difetto di una specifica disposizione sul punto, neppure risulta applicabile l’eccezionale previsione rappresentata dalla relative priority rule di cui all’art. 84, comma 6, CCII in tema di concordato preventivo in continuità.[37]Con la conseguenza che, tutto quanto verosimilmente ricavabile dalla liquidazione giudiziale, anche in seno all’eventuale esercizio dell’impresa ex art. 211 CCII e comunque per il maggior ricavo conseguibile da una vendita di azienda in esercizio (per essere stata così mantenuta sino alla cessione, anche grazie ad un interinale contratto d’affitto), dovrà essere destinato ai creditori concorsuali concorrenti, nel rispetto - a pena di inammissibilità [38] - delle cause legittime di prelazione, in ossequio al principio dell’absolute priority rule di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c.
Pertanto, tale rispetto concernerà unicamente i creditori prelatizi, alla luce della sola cogente previsione sussistente in tema e di cui all’ art. 240, comma 4, CCII, mirando la relazione del curatore, di cui all’art. 241, comma 1, CCII sui “presumibili risultati della liquidazione” e sulle garanzie offerte, a soli fini informativi per una consapevole espressione del voto da parte dei creditori [39].
Dunque i creditori chirografari, i quali in ogni caso ben potrebbero scegliere la soluzione concordata perché più sicura e rapida rispetto alle comunque (mere) aspettative di un ricavo maggior e più dilatato nel tempo derivante dalla liquidazione giudiziale[40], potranno paralizzare tale soluzione negoziale unicamente con l'opposizione di convenienza di cui all’art. 245, comma 5, CCII (e solo ove posti in una classe dissenziente).
Difatti, sulla chiara premessa che i rischi penalistici sono pressoché analoghi per il debitore (recte, gli organi sociali), sia che si richieda la propria liquidazione giudiziale (per poi passare al procedimento ex art. 240 CCII), che si opti per un concordato preventivo (sul punto è inequivocabile l’art. 341, comma 2, CCII), nel caso di concordato “finale”:
Note: