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Saggio

Revisione critica dei principi in tema di classi dei creditori*

Massimo Fabiani, Ordinario di diritto commerciale nell’Università del Molise

3 Febbraio 2025

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’Autore propone un percorso di ricostruzione “storica” dell’istituto della “classe” nelle procedure concordatarie al fine di porre in evidenza che le categorie concettuali formatesi nel vigore della legge fallimentare a partire dal 2005 debbano essere ampiamente ripensate, sia perché il regime disciplinare è stato modificato in misura assai rilevante, sia perché la stessa funzione della classe assume un ruolo in gran parte diverso soprattutto nel concordato preventivo in continuità e nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. 
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1 . Preambolo
Il presente contributo non ha la pretesa di esaminare in modo analitico e approfondito tutte le questioni che ruotano attorno alla figura della “classe”, ma quella diversa di mostrare come all’esito del processo riformatore le classi abbiano perso, soprattutto nei concordati in continuità, l’importanza di strumento di distribuzione asimmetrica del valore, per assumere una diversa rilevanza, tutt’altro che inferiore, ai fini dell’approvazione e, ancor più, ai fini dell’omologazione. Le classi continuano, però, a poter essere reputate un chiaro sintomo della collettivizzazione degli interessi racchiusi negli scenari di crisi, così risultando evidente, rispetto ai modelli espropriativi, che la tutela del singolo creditore, assicurata in modo assoluto rispetto alla salvaguardia del principio del “non pregiudizio, tende a soccombere rispetto alla tutela dei creditori intesi come comunità. 
2 . L’introduzione dell’istituto delle classi nell’ordinamento italiano
Il nostro ordinamento di diritto civile conosceva, sino al 2004, la classificazione tradizionale fra crediti chirografari e crediti muniti di cause di prelazione secondo la nota classificazione proposta dalla norma di cui all’art. 2740 c.c., cui per diritto pretorio, nel corso del tempo si era giustapposta la categoria dei crediti prededucibili, mentre sullo sfondo restava l’altra categoria, pure resa diritto positivo con la riforma societaria del 2003, dei crediti postergati. Messi in disparte i crediti prededucibili e quelli postergati (che, però, ritroveremo nella loro rilevanza anche ai fini della composizione delle classi), la distinzione tra crediti privilegiati e crediti chirografari trova il suo terreno di elezione nelle procedure volte a regolare e attuare la responsabilità patrimoniale, posto che quando il debitore è solvibile e il suo patrimonio è capiente, la stessa distinzione non esprime alcun significato perché i creditori sono destinati ad essere, tutti, soddisfatti per intero. 
In passato, e cioè sino alle modifiche delle diverse normative sulla crisi d’impresa, non si potevano gradualizzare i creditori aventi una medesima posizione giuridica, sì che le tecniche del riparto, sia nell’esecuzione singolare che in quelle collettive, dovevano adattarsi al paradigma di cui agli artt. 2777 ss. c.c. 
La rigidità dei meccanismi di formazione e poi di concreta applicazione delle cause di prelazione ha generato effetti disincentivanti sulla flessibilità degli strumenti adottabili per risolvere la crisi dell’impresa e così, se guardiamo all’indietro alla stagione che ha preceduto le riforme delle leggi concorsuali, possiamo notare che una idea ripetutamente ricorrente nei vari progetti di riforma era, proprio, quella di stabilire classi fra i creditori, ogni qualvolta si affacciasse una soluzione concordata della crisi[1]. 
Si tratta, dunque, di valutare come le classi siano penetrate nel nostro sistema, come il legislatore le abbia disciplinate e come queste si possano rapportare al principio della par condicio creditorum e alla sua effettiva postulazione nel nuovo ordine concorsuale[2].     
La suddivisione dei creditori in classi diviene diritto positivo per l’ordinamento italiano in occasione della conversione in legge del D.L. n. 347/2003, più noto come ‘’Legge-Marzano’’[3], quando su iniziativa del commissario giudiziale della Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, si avvertì che la soluzione migliore per gestire il dissesto di un grande gruppo economico, poteva essere quella di proporre ai creditori un concordato. La frammentazione del ceto creditorio e in particolare la conformazione della massa passiva, composta da numerosi risparmiatori, fu la ragione principale della previsione della formazione di classi fra i creditori [4]. 
La novità tale era solo per l’ordinamento domestico, visto che la suddivisione dei creditori in classi era una regola già fissata sia in sistemi di common law (Chapter 11 del Bankruptcy Code), che di civil law (§ 222 dell’InsolvenzOrdnung; art. 219 della Legge federale elvetica su esecuzioni e fallimenti). 
Il numero limitato dei concordati nelle procedure di amministrazione straordinaria ‘’speciale’’, governate dal D.L. n. 347/2003 non ha però consentito una sperimentazione dell’istituto sino a quando la classe non è divenuta fattispecie rilevante anche per le procedure destinate agli imprenditori commerciali assoggettati al R.D. 16 marzo 1942 n. 267, ciò che è accaduto, dapprima con il D.L. n. 35/2005 e poi con il D.Lgs. n. 5/2006, per poi confluire nel Codice della crisi e dell’insolvenza. 
Prima dell’avvento del Codice la classe risultava uno strumento di flessibilità delle proposte di concordato (preventivo e fallimentare) in quanto di classi si poteva discutere solo laddove la crisi fosse stata gestita con le regole della negozialità. In questo senso, l’introduzione delle classi rimanda al tema più generale della contrattualizzazione della regolazione della crisi dell’impresa, da intendersi, qui, come strumenti di regolazione della crisi (art. 2, lett. m) bis CCII). 
Le ultime modifiche apportate al Codice rendono questa lettura forse non più attuale, quanto meno con riferimento all’istituto – peraltro centrale nella gerarchia delle scelte del legislatore – del concordato preventivo con piano di continuità aziendale, posto che in esso la necessaria pluralità della formazione delle classi rende certamente più difficile l’approvazione della proposta. Ma di questo si tornerà a parlare quando si confronterà la classe con il tema della votazione.
3 . La definizione di classe
Il vocabolo “classe” nel lessico corrente è espressione dell’idea di un “insieme” o di un “raggruppamento”; così, da classe deriva “classamento” e cioè l’attività con cui si forma la classe (o, secondo altri, classificazione)[5]. In questo senso, la classe nel Codice della crisi è un insieme costituito da più creditori; tuttavia, occorre segnalare che ci troviamo sin da subito a dover smentire la definizione linguistica classica, poiché con riferimento alle classi nel diritto della crisi non possiamo affatto escludere che la classe, a dispetto della formulazione letterale dell’art. 2 lett. r) CCII, possa essere costituita da un solo creditore, la c.d. “mono-classe”. Infatti, ai nostri fini, la classe va ad identificare una compartimentazione della massa dei creditori, per cui la nozione di insieme va contestualizzata rispetto ai creditori diversi. Se, in passato, si poteva dubitare della legittimità della formazione della mono-classe[6] poiché i creditori privilegiati non erano ammessi al voto per la porzione di credito capiente sì che non emergeva la necessità di formare una classe ad hoc per l’unico creditore titolare di un determinato privilegio, ora è la legge a stabilire espressamente che i creditori privilegiati partecipano al voto, salvo che non siano soddisfatti integralmente ed entro un certo spazio temporale (art. 109 comma 5 CCII)[7]; il creditore esprime un doppio voto ma per la parte falcidiata è ragionevole ritenere che possa essere formata anche una sola classe che raccoglie tutti i crediti privilegiati non soddisfatti per l’intero[8]. Pertanto, se la proposta di concordato preventivo contempla l’attribuzione ai creditori di risorse eccedenti il valore di liquidazione che da solo non consentirebbe il pagamento integrale di alcuni gradi di privilegio, e nello scalare della graduazione una determinata causa di prelazione spetta ad un solo creditore (si pensi, per semplicità, al privilegio del locatore ex art. 2764 c.c.), non vi è dubbio che la classe debba essere composta dall’unico locatore[9]. 
La classe, là dove è composta da più creditori, presuppone che i più creditori si trovino in una posizione di omogeneità (cfr., § 2.1. e 2.2.) e, dunque, va costruita, sia soggettivamente che oggettivamente, in modo che l’elasticità del concetto di omogeneizzazione sia la più vasta possibile. Nessuna frammentazione del ceto creditorio è ammissibile quando sia rivolta, solo, alla raccolta del singolo consenso: la classe mira ad una compartimentazione funzionale del trattamento dei creditori e non può essere, invece, l’occasione per marginalizzare il diritto di voice di taluni creditori o, ancor meno, non può celare trattamenti discriminatori: questa è la ragione per la quale la valutazione sulla corretta formazione delle classi non è rimessa ai creditori ma è sottoposta al vaglio - preventivo e rinnovato in occasione del giudizio di omologazione – del giudice (cfr., § 8). 
Il Codice contiene la definizione di classe e non anche quello di categoria, lemma che compare nell’art. 61 CCII (accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa) e nell’art. 62 CCII (convenzione di moratoria); sennonché, proprio nell’art. 61 si dice che la categoria è “individuata tenuto conto dell'omogeneità di posizione giuridica ed interessi economici”, ovverosia le medesime caratteristiche che connotano la classe. Ed allora, la distinzione tra classe e categoria appare basata soltanto su un criterio formale[10]: (i) la classe è l’insieme dei creditori omogenei negli accordi fondati sulla deliberazione (concordati e piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione), mentre (ii) la categoria è l’insieme dei creditori omogenei negli accordi di ristrutturazione e nella convenzione di moratoria, e cioè nella cornice di strumenti di regolazione della crisi in cui la matrice negoziale è esaltata.
3.1 . La posizione giuridica
Il primo criterio di omogeneità è costituito dalla omogeneità, ma qui si dovrebbe declinare come identità, di posizione giuridica. Creditori privilegiati e creditori chirografari non possono essere assemblati in un’unica classe perché il loro regime giuridico è differente. Così come non possono essere accomunati nella stessa classe i creditori chirografari e quelli postergati perché, per questi, il trattamento è deteriore rispetto ai creditori chirografari. La posizione giuridica eguale o diversa è facilmente identificabile perché è la legge, in particolare il Libro VI del codice civile sulla tutela dei diritti, che stabilisce una rigida gerarchia tra crediti. In questo senso, all’interno della massa dei crediti privilegiati vanno distinti quelli che si fondano su una garanzia reale (pegno e ipoteca) da quelli che derivano dalla causa del credito e, a loro volta, questi si distanziano gli uni dagli altri a seconda che il privilegio sia generale o speciale, il privilegio sia esercitabile sui beni mobili o immobili, ed ancora a parità di caratteristiche si trovi collocato nell’ambito della graduazione legale in un ordine diverso dagli altri. Queste brevi notazioni ci consentono di postulare, sin da subito, quanto possa risultare complesso organizzare il classamento dei crediti, vista la congerie di diversità tra i crediti assistiti da prelazione. Analoga classificazione non ricorre per i crediti chirografari che detengono istituzionalmente la medesima posizione giuridica[11]; per essi, la suddivisione in classi deriva dalla possibile omogeneità degli interessi economici. Si potrebbe ipotizzare che per posizione giuridica si debba intendere anche il titolo di formazione del credito, ad esempio distinguendo i crediti derivanti da obbligazioni contrattuali dai crediti di fonte extracontrattuale[12]. È ben vero che la posizione giuridica è diversa, basti pensare ai termini di prescrizione, e tuttavia l’identità di posizione giuridica deve avere riguardo al concorso e, dunque, al modo della soddisfazione, di talché la diversità dei titoli, infatti, non incide in alcun modo sulla graduazione nella soddisfazione del credito.[13]
3.2 . Gli interessi economici
Il secondo criterio di suddivisione dipende dalla possibile omogeneità degli interessi economici del creditore; questo criterio vale a differenziare i creditori che vantano identica posizione giuridica e quindi si attaglia essenzialmente ai creditori chirografari in quanto l’omogeneità degli interessi economici è già assunto quale criterio fondante la diversità tra creditori privilegiati. Infatti, l’attribuzione di un privilegio altro non è che la scelta di offrire tutela maggiorata a coloro che hanno maturato una ragione di credito in relazione a specifiche tipologie di obbligazioni. 
Risulta, così, assai meno rigida la classificazione tra creditori chirografari e, di riflesso, più lasco il margine di discrezionalità nella composizione della classe. Ad esempio, se è noto che usualmente si tengono distinti i creditori finanziari dai fornitori, è pur vero che gli uni e gli altri potrebbero, invece, essere unificati e poi differenziati non già per il titolo, ma per la scadenza delle obbligazioni e così unificati nella stessa classe creditori finanziari e fornitori a breve e, in altra, creditori finanziari e fornitori a medio-lungo termine. Le suddivisioni possono essere molteplici: (i) creditori interessati alla ristrutturazione e alla prosecuzione dei rapporti commerciali e creditori interessati al pagamento; (ii) creditori di società del gruppo e creditori della società debitrice nel gruppo; (iii) creditori chirografari originari e creditori chirografari frutto della falcidia del privilegio; (iv) creditori per rapporti di durata e creditori per rapporti istantanei; (v) creditori finanziari e non finanziari[14]; (vi) fornitori e creditori diversi. A tutte queste classificazioni si devono giustapporre le ipotesi di classi obbligatorie (v., infra, § _4). L’omogeneità degli interessi economici spiega, anche, il fatto che un creditore possa essere collocato in classi distinte in relazione a diverse tipologie di crediti[15] o, per converso, che nella stessa classe possano essere inseriti crediti dello stesso creditore derivanti dalla falcidia di un credito originariamente privilegiato e da un credito chirografario sin dall’inizio.[16] 
La suddivisione dei creditori in più classi secondo interessi omogenei può riguardare, però, anche creditori aventi la medesima posizione giuridica tra creditori privilegiati[17], basti pensare (quando la proposta non ne prevede il pagamento integrale entro trenta giorni) ai lavoratori dipendenti, fra i quali è possibile distinguere coloro che vantano crediti per retribuzioni ma non sono più impiegati nell’impresa e quanti, invece, vantano crediti per retribuzioni e il rapporto di lavoro è pendente. 
Resta, poi, da verificare se sia corretta la formazione di una classe ‘arlecchino’ costituita da creditori contestati[18]; una prassi siffatta è diffusamente praticata ed è stata validata dalla giurisprudenza[19] ma non pare davvero corrispondere al significato dell’interesse economico omogeneo, posto che ogni contestazione ha una storia a sé. È, cioè, corretto configurare una classe separata per il creditore contestato, ma se i creditori contestati sono più di uno e il loro titolo e la tipologia della contestazione è diversa, le classi debbono essere separate, o, in virtù di una adeguata rappresentazione, i crediti contestati possono essere inseriti nella classe omogenea visto quanto dispone l’art. 87 CCII in tema di piano.[20]
4 . La classe come strumento di compartimentazione dei creditori
La scelta di dover (nel concordato preventivo in continuità e nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione) o poter (negli altri modelli di concordato) suddividere i creditori in classi muove dall’idea di rafforzare il valore del consenso espresso in termini di omogeneità, pur quando diviene rilevante anche il solo voto favorevole della classe determinante (qui da intendersi come quella che da sola consente l’omologazione del concordato ai sensi dell’art. 112, comma 2, lett. d CCII). Si è voluto rafforzare un principio di valorizzazione della comunità degli interessi[21] come se si volesse predicare che davvero nelle procedure concordate assume un valore assorbente la collettivizzazione degli interessi[22]. Si preferisce che alla sommatoria dei consensi individuali dei creditori si surroghi un consenso frutto di una preventiva aggregazione di interessi, come a dire che prevale un consenso di comunità. Sia chiaro, questa osservazione muove da una riflessione astratta perché la costituzione della c.d. mono-classe smentisce questa tesi, ma dovremmo pur sempre immaginare che la costituzione della classe sia naturalmente l’esito di un processo aggregativo. La formazione delle classi in funzione di un consenso di gruppo esprime, ancora una volta, l’idea della prevalenza degli interessi aggregati sugli interessi dei singoli, che al fondo evoca il principio della obbligatorietà del concordato per tutti i creditori anteriori (art. 118 CCII)[23] e ciò senza farsi troppo influenzare dal fatto che questo effetto sia il frutto di una visione privatistico-contrattuale o pubblicistico-dirigistica, perché il risultato è comunque quello di una imposizione sui diritti del singolo creditore. 
Ma se questo è l’intendimento, dobbiamo subito domandarci se la volontà di rafforzare la comunità aggregata dei creditori sia anche compatibile con una ulteriore caratteristica delle classi e cioè con la possibilità di prevedere trattamenti differenziati a parità di posizioni giuridiche. Rinviando al § 5 la questione più tecnica, per ora ci interessa capire se le classi di creditori di pari grado trattate in modo differente siano compatibili con la regola principe della responsabilità patrimoniale universale (art. 2740 c.c.)[24], con l’ancillare disposizione sulla parità di trattamento di cui all’art. 2741 c.c. O, se vogliamo essere più concreti, dobbiamo spiegare perché le classi con trattamenti diversi non violano il principio, non più così “sacro” della par condicio creditorum, ma ad esso si adattano determinandone una diversa portata 
Poiché nell’art. 2741 c.c. è stabilito il principio della parità di trattamento, salve le cause di prelazione, dobbiamo chiederci come le classi interferiscano con quella regola[25], posto che il legislatore sembra riferirsi ad un numero chiuso di prelazioni, costituito da ipoteche, pegni e privilegi[26]. In verità sappiamo che il principio della parità di trattamento incontra una deroga anche per motivi processuali, come accade nella esecuzione singolare quando un creditore tardivo è posposto agli altri (se non detentore di una causa di prelazione) per il solo fatto che la sua ragione di credito sia stata esposta in ritardo[27], oppure come accade, anche nella liquidazione giudiziale rispetto alla categoria dei crediti prededucibili[28]. 
Esistono, quindi, anche sul piano processuale, trattamenti differenziati fra creditori di pari grado[29], in forza della acquisizione di privilegi processuali. L’espressione privilegi processuali va, qui, intesa con molta cautela, nel senso che il privilegio si accompagna non già alla deroga al principio della par condicio in astratto, ma al modo in cui essa viene declinata in concreto. In tal senso, giusta o meno che sia la costituzione di privilegi nel processo esecutivo, il significato è quello per il quale la garanzia della parità di trattamento sarebbe assicurata solo in astratto, perché poi sul piano della sua attuazione potrebbe essere condizionata da fattori specifici al processo esecutivo in quanto tale. 
Se questo è il senso del privilegio processuale, si tratta allora di verificare la tenuta degli artt. 87 e 240 dal momento che la suddivisione dei creditori in classi genera una situazione di favore che non sembra derivare né da una prelazione né da una posizione di vantaggio processuale.
4.1 . Il rapporto con i privilegi
Sebbene la funzione della classe non sia poi così eterogenea rispetto al “mondo” dei privilegi, la classe non può essere considerata una forma spuria di causa di prelazione, non tanto perché derivante dalla convenzione fra le parti, visto che vi sono le classi obbligatorie per legge, quanto piuttosto per il fatto che le prelazioni hanno ad oggetto beni e diritti che appartengono al debitore e sui quali queste prelazioni insistono[30]; viceversa, nell’ipotesi delle classi, non v’è una relazione fra vantaggio e patrimonio, bensì il vantaggio deriva da una distribuzione asimmetrica delle risorse. Se si vuole, il problema della distribuzione delle risorse in funzione di creare aree di ‘preferenza’ è un fenomeno ampiamente conosciuto nel nostro sistema e riconoscibile, prima, nella creazione di nuovi istituti contrattuali dove il bene oggetto del negozio assume un valore di garanzia atipica[31], e poi, in quella che è, al fondo, la segregazione patrimoniale[32]. La parcellizzazione del patrimonio riflette, dunque, la volontà di rendere diseguale il principio generale della responsabilità patrimoniale [generica] universale, basti pensare all’istituto dei patrimoni destinati ad uno specifico affare (artt. 2447 bis ss. c.c.) o al trust [33], ma è una tecnica che non equivale strutturalmente a quella della previsione di cause legittime di prelazione[34]. Ci pare, infatti, che l’incisione della tutela del credito in casi come questi possa ridondare in termini di dispersione del patrimonio e che attenga al fenomeno della tutela della garanzia patrimoniale generica, mentre le cause di prelazione sono un presidio della responsabilità patrimoniale specifica. In questo senso, possiamo trovare qualche profilo di somiglianza fra le classi e la separazione patrimoniale solo con riferimento alla ‘disponibilità’ dei vantaggi che possono venire attribuiti al creditore[35]; ma vi sono elementi di distacco, se solo pensiamo alla circostanza che la separazione patrimoniale è ‘a riserva di legge’ (qui, sì, va notato, in conformità al principio di tipicità[36] e legalità dei privilegi), mentre le classi, pur col controllo giudiziale, quando non obbligatorie, possono essere rimesse alla discrezionalità del debitore e tale circostanza rende meno semplice giustificarne l’importazione nel nostro ordinamento, rispetto al quale le posizioni di vantaggio debbono essere codificate. 
Non pare neppure che la preferenza nel trattamento differenziato possa germinare da opzioni processuali; anche se si volesse condividere la teoria processualistica del concordato, non si vede quale sarebbe la posizione nel processo che fa conseguire il beneficio del trattamento migliore. Se, come si è sopra ricordato, il privilegio processuale pertiene alla attuazione della responsabilità patrimoniale nel singolo ‘incidente’ esecutivo, offrendo al creditore qualche vantaggio correlato alla sua iniziativa, certo di privilegio processuale non possiamo discutere quando pensiamo alla formazione delle classi quale strumento per distribuire le risorse. Allo stesso risultato [negativo] si giunge quando si rileva che la classe non è materia del processo, ma istituto di diritto sostanziale[37].
4.2 . La giustificazione delle classi
Una volta assodato che le classi non hanno la configurazione tipologica delle cause di prelazione e una volta condiviso che sono funzionali a valorizzare il consenso di una comunità resta da dimostrare che la frammentazione delle risorse distribuibili secondo canoni non aderenti alla legge generale (codice civile) non viola il precetto di cui all’art. 2741 c.c. 
Se la classe non è equiparabile ad una forma di prelazione[38] e se la classe non è neppure espressione di una posizione nel processo, riesce difficile comprenderne la configurabilità se non ci rifugiamo nella sfera del contratto e della autonomia negoziale. Per l’intanto possiamo provare a segnalare come la distinzione fra classe e privilegi, oltre che per le ragioni dianzi enunciate (là dove si è detto che nelle classi manca il rapporto di inerenzialità fra credito e bene ‘vincolato’), sia dimostrabile anche con l’affermazione per la quale è consentito suddividere in classi creditori che fruiscono della medesima posizione giuridica. 
Infatti, se è vero che le scelte del legislatore con le quali si attribuiscono i privilegi, sono scelte di politica del diritto, nel senso che frammentano il ceto creditorio stabilendo criteri di priorità legale nel soddisfacimento del credito, non è egualmente sostenibile che l’attribuzione di un privilegio escluda la possibilità di suddividere i creditori in più classi, sol perché la legge ha stabilito che con le classi non si può alterare l’ordine delle prelazioni[39]. Infatti, anche dando per concesso che non alterare l’ordine delle prelazioni significa vietare il pagamento di crediti di rango inferiore[40], v’è da ritenere certamente possibile formulare un proposta che preveda un pagamento solo sino ad un certo punto della graduazione, con la conseguenza che con risorse esterne, sarebbe di sicuro possibile, trattare in modo diverso – tramite la predisposizione di classi autonome - creditori appartenenti alla medesima posizione giuridica[41] come esplicita ora l’art. 84 CCII. 
Per provare a ricercare il fondamento del superamento della par condicio nel concordato, possiamo prospettare (anche si tratta di una ipotesi di scuola) che a ciascun creditore – in ragione di una peculiarità nella posizione economica – spetti un trattamento differente da quello di tutti gli altri[42]. Se così fosse, in modo inconfutabile, si dovrebbe affermare che la par condicio non solo non coincide o non assorbe la concorsualità[43], ma non è più neppure, quanto meno nei concordati, la pietra angolare della concorsualità[44], se si pensa alla facoltà per il debitore di pagare soltanto alcuni dei creditori concorsuali (cfr., art. 100 CCII)[45] che fa strame della parità di trattamento in nome (o forse nel miraggio) della continuità imprenditoriale. 
Ma prima di pervenire a questa decisiva conclusione, va fatto il passo più delicato perché dobbiamo, ancora, trovare il fondamento che regge la regola delle classi; diversamente residuerebbe il rischio di un contrasto fra gli artt. 87 e 240 e l’art. 2741 c.c. con relativo sospetto di incostituzionalità delle prime norme per violazione dell’art. 3 Cost. La circostanza che gli artt. 87 e 240 siano disposizioni pari-ordinate[46] rispetto a quella di cui all’art. 2741 c.c. di per sé può risultare decisiva le quante volte si sia in grado, oggi più di ieri, di smarcare la tesi ideologica secondo la quale la disposizione codicistica affonderebbe la sua legittimazione – per non trascurabili settori della letteratura – in un principio di parità di trattamento che troverebbe un preciso referente normativo nella carta costituzionale (e cioè nel principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.)[47], o se si vuole in un ancor più risalente principio di «diritto naturale»[48]. 
La stessa presenza delle cause di prelazione e quindi di figure che parrebbero contraddire il principio di eguaglianza formale, è, invero, espressione del principio di eguaglianza sostanziale, nel senso che vi sono taluni creditori che meritano maggiore protezione di altri, sì che ove non fossero i loro crediti assistiti dai privilegi, ne sarebbe violato il principio di eguaglianza sostanziale[49]. Il fatto che gli artt. 87 e 240 siano norme pari-ordinate ben potrebbe spiegare che la deroga alla par condicio può essere rappresentata non soltanto da privilegi, pegni e ipoteche, ma anche dalle ‘classi’[50] perché le classi, come i privilegi rappresentano una applicazione del principio di parità sostanziale tra creditori[51], posto che oggi, più di ieri, si può predicare che la par condicio creditorum è espressione di una regola distributiva e non più di un principio di sistema[52]. In tale prospettiva la concezione “naturalistica” della par condicio appare largamente superata dagli eventi, sì che anziché difenderla ad oltranza appare decisamente più proficuo delimitarne l’esatto perimetro applicativo 
Se ammettiamo che la formazione delle classi si pone come una scelta del legislatore di pari valore sostanziale rispetto alla immissione di un nuovo privilegio (non diversamente da quanto accade a proposito delle esenzioni dall’azione revocatoria, dove pure occorre trovare una razionalità nella scelta esonerativa[53]), riusciamo ad accettare la deroga all’art. 2741 c.c., ma incontriamo un ostacolo nuovo. Infatti, la scelta di preferire un creditore in luogo di un altro, purché non irragionevole[54], è certamente legittima ma è anche, certamente sindacabile. Con la previsione della formazione delle classi, però, il parametro della ragionevolezza si sposta dal legislatore al proponente il concordato; è il proponente che decide in quale classe collocare ciascun creditore. Poiché le linee guida fissate dal legislatore (posizione giuridica ed interessi economici omogenei) sono flessibili[55], è come se ci trovassimo di fronte ad una causa di prelazione ’in bianco’, riempibile a cura del proponente[56]. Potremmo allora censurare le disposizioni che fanno riferimento alle classi di creditori perché non stabiliscono criteri per la composizione delle classi medesime[57]. Poiché in assenza di una disciplina ferrea sui criteri di formazione delle classi, il sostanziale arbitrio lasciato al proponente, renderebbe irragionevole il trattamento dei creditori o comunque renderebbe sempre sindacabile questo trattamento, per conseguenza la disciplina in tema di classi non sarebbe, così com’è ora, idonea a governare la regolazione dei rapporti con i creditori. Questa obiezione poteva avere un profilo di fondatezza nel 2005, ma ora la situazione è profondamente mutata e molte delle considerazioni svolte in passato[58] meritano una revisione “storica”. 
La possibilità di proporre un trattamento migliore per i creditori appartenenti ad alcune classi[59], deriva direttamente dalla proposta di accordo negoziale; mentre i privilegi – e qui non pare che sia rilevante distinguerne la ratio fra quelli che hanno ad oggetto il rapporto obbligatorio e quelli che hanno ad oggetto le qualità del soggetto titolare della pretesa - trovano fondamento nella inerenza economica di alcuni crediti alla cosa gravata o nel vantaggio che si è procurato il debitore col conseguimento di una certa prestazione, vantaggio che però ridonda anche a favore di terzi[60], i vantaggi che derivano dalle classi attengono direttamente al beneficio collettivo che si può conseguire con l’accordo, per la sistemazione dell’insolvenza. 
La distribuzione dei creditori per classi, se da un lato è ragione di armonizzazione delle posizioni al fine di rendere omogeneo il consenso, dall’altro lato è servente rispetto al valore del funzionamento dell’accordo. La classe è il mezzo per perseguire il fine dell’accordo; si tratta, dunque, di un istituto che non può in alcun modo essere comparato al sistema dei privilegi e per capirne, appieno, il significato dobbiamo, dunque, sgomberare il campo dai retaggi ideologici connessi alle singole posizioni di credito per confluire verso una visione ‘collettiva’ del soddisfacimento dei creditori. Tanto i privilegi esprimono la loro forza rispetto alla tutela del singolo creditore (pur, ovviamente, nel concorso di altri, perché il privilegio non esiste se manca il concorso – o se concorso c’è ma i beni del debitore sono sufficienti a soddisfare tutti –, ed è ciò che viene qualificato come principio di relatività delle cause di prelazione[61]), quanto le classi vanno rapportate alla tutela dei diritti di credito dell’intero ceto creditorio. È un drastico mutamento di prospettiva, se si trascorre da un sistema concorsuale votato a soddisfare i diritti di credito incisi dal dissesto, ad un sistema concorsuale diretto a regolare i diritti dei creditori[62]. Questo spiega anche la ragione per la quale di classi non si può parlare con riguardo all’esecuzione forzata perché lì, anche quando vi sono più creditori intervenuti, manca una collettivizzazione degli interessi. 
 Per cercare di comprendere come questa visione si armonizzi col sistema di diritto positivo, possiamo ricordare come in passato accadesse frequentemente che i creditori operassero una postergazione delle loro ragioni, in funzione di favorire il buon esito del concordato[63], e queste dichiarazioni di postergazione altro non erano che delle parziali (o se si vuole, provvisorie) abdicazioni dalle loro ragioni di credito[64], frutto di intese negoziali con il proponente[65], realizzate in funzione di conservare la ragione di credito (ai fini dell’esercizio del diritto di voto) e di non pesare sulla attuabilità della proposta. 
La previsione di cui agli artt. 87 e 240, al fondo, altro non è che la recezione, a posizioni invertite, del sistema delle postergazioni, interpretato come creazione di un antiprivilegio[66] in danno del creditore postergato che rinuncia alla par condicio, con l’addendo, decisivo, che non occorre il consenso individuale, ma è sufficiente quello della maggioranza dei creditori. 
Nella sostanza, il legislatore ha attribuito al proponente la facoltà di proporre ai creditori dei trattamenti differenziati (che prescindono dalla titolarità di posizioni giuridiche) acconsentendo a che l’accettazione di questi trattamenti differenziati possa avvenire con la regola del consenso prestato da una comunità di creditori[67]. Si forma, dunque, una deviazione convenzionale dalla regola della par condicio, fondata non più sull’assenso individuale, ma sul consenso della maggioranza[68] (o della comunità della classe determinante), Il giudice in occasione dell’omologazione più che ponderare i diritti dei creditori e valutare il consenso o il dissenso è chiamato a validare una operazione di mercato[69] che può reggersi anche soltanto sull’adesione di una classe minoritaria e questo perché prevale il profilo della riorganizzazione dell’impresa non ostile ai creditori nella misura in cui non viene loro sottratto il valore di liquidazione[70]. In questa cornice, nel concordato in continuità, la formazione delle classi diviene fattore decisivo per la conferma dell’operazione ristrutturativa perché una sola classe, quella determinante, può trascinare l’intera comunità dei creditori; da qui, come vedremo, diviene ancor più fondamentale il ruolo del tribunale (v., § 7). 
Le classi operano, allora, su tre livelli in relazione alla forza del consenso: (i) quando tutte le classi esprimono una adesione, la volontà collettiva consente il superamento di regole distributive rigide, salvo il diritto “inviolabile” del singolo creditore a non essere pregiudicato; (ii) quando la maggioranza delle classi si esprime favorevolmente il principio di maggioranza resiste e le classi dissenzienti soccombono; (iii) quando la maggioranza delle classi si esprime sfavorevolmente ma risulta l’adesione della classe determinante, il principio di maggioranza evapora[71] ed entra in campo prepotentemente l’autorità perché prevalgono gli interessi pubblici al consolidamento dell’operazione di mercato. Tutto ciò conferma l’assoluta centralità delle classi e, al fondo, una irrilevanza del conflitto apparente tra classe e parità di trattamento.[72] La classe “funziona” se proiettata verso la tutela minima del singolo creditore accompagnata ad una distribuzione asimmetrica delle risorse per giungere al risultato di mercato[73].
5 . Classi obbligatorie e classi facoltative
Quando le classi sono state importate nella legge fallimentare tanto l’art. 160 L. fall. che l’art. 124 L. fall. utilizzavano il verbo “può” per segnalare che era il debitore che poteva scegliere se suddividere i propri creditori in classi distinte o se tenerli tutti assieme in un’unica classe.[74] 
La circostanza assumeva però una rilevanza decisiva in quanto solo nel caso in cui i creditori fossero stati suddivisi in classi, il creditore dissenziente appartenente alla classe dissenziente avrebbe potuto dolersi di un difetto di convenienza del concordato (preventivo o fallimentare) rispetto al fallimento, con il mezzo dell’opposizione alla omologazione (artt. 129 e 180 L. fall.)[75]. La scelta del proponente di non separare i creditori, pur in presenza di posizioni limpidamente non omogenee, poteva allora celare la volontà di comprimere il diritto dei creditori a contestare la convenienza del concordato. Sulla scorta di questa preoccupazione era emersa in letteratura[76] una tesi secondo la quale il debitore non era arbitro della scelta le quante volte i creditori fossero effettivamente titolari di posizioni non allineate se non addirittura contrapposte: la tesi del classamento obbligatorio ha avuto breve respiro in dottrina e anche in giurisprudenza[77] essendo nettamente prevalsa la tesi opposta e più aderente alla lettera della legge che lasciava al proponente la facoltà di organizzare il ceto creditorio in classi[78]. Tuttavia, il germoglio era stato seminato e così la legge delega 155/2017 ha, con sorpresa di molti, enunciato un principio direttivo molto chiaro all’art.6: “d) individuare i casi in cui la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, è obbligatoria, prevedendo, in ogni caso, che tale obbligo sussiste in presenza di creditori assistiti da garanzie esterne”. La scelta, però, ha riguardato solo il concordato preventivo e non anche quello innestato nella liquidazione giudiziale, con la conseguenza che, oggi, il regime tra i due concordati è differente; proprio questa differenza, rende ancora attuale – ma nel concordato nella liquidazione giudiziale soprattutto – la tesi dottrinale della obbligatorietà delle classi. 
Nel concordato preventivo ora è la legge che stabilisce quando è obbligatorio formare le classi, lasciando al debitore discrezionalità solo nelle ipotesi non previste e, in verità, la libertà del proponente è, ormai, assai ridotta[79]. 
In primo luogo, nel concordato preventivo con piano di continuità la formazione delle classi è sempre obbligatoria (art. 85 CCII)[80], al pari del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. Tale soluzione è il portato della scelta di condizionare l’omologazione o alla approvazione dell’unanimità delle classi, o all’approvazione della maggioranza o ancora alla approvazione da parte di almeno una classe. Ciò significa che nel concordato in continuità il presupposto approvativo si realizza solo rispetto alle classi e non alla collettività dei creditori (art. 112 CCII). Non solo. La legge stabilisce ancor più in dettaglio che nei piani di continuità vanno allocati in classi distinte: (a) i creditori privilegiati di cui si prevede un soddisfacimento solo parziale e che perciò sono catalogati tra i creditori interessati alla ristrutturazione (ovverosia i creditori che non pagati per l’intero entro centottanta giorni o trenta giorni se sono i crediti di cui all’art. 2751-bis n. 1 c.c.),[81] e (b) i creditori da qualificare come imprese titolari di crediti chirografari derivanti da rapporti di fornitura di beni e servizi, che non hanno superato, nell’ultimo esercizio, almeno due dei seguenti requisiti: un attivo fino a euro cinque milioni, ricavi netti delle vendite e delle prestazioni fino a euro dieci milioni e un numero medio di dipendenti pari a cinquanta. 
Nei concordati preventivi diversi da quelli in continuità la formazione delle classi è obbligatoria in relazione a: (a) creditori titolari di crediti previdenziali o fiscali dei quali non sia previsto l’integrale pagamento, (b) creditori titolari di garanzie prestate da terzi, (c) creditori che vengono soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro; (d) creditori proponenti il concordato e per le parti ad essi correlate (art. 85 CCII). Questa suddivisione, però, rimbalza anche nel concordato in continuità, nel senso che ferma l’obbligatorietà di formazione delle classi, quando i creditori appartengono alle quattro categorie disegnate nell’art. 85 CCII, il piano in continuità deve prevedere classi distinte composte dagli insiemi di creditori appartenenti a questi sottogruppi[82], cui si affiancano i creditori privilegiati falcidiati e le imprese minori. 
Le categorie di creditori per le quali la formazione della classe è obbligatoria rispondono a finalità distinte: (i) per i crediti erariali e previdenziali la classe è funzionale e tenere distinto il creditore pubblico dagli altri anche ai fini del trattamento di cui all’art. 88 CCII; (ii) per i creditori che siano anche titolari di garanzie vantate verso terzi coobbligati, la classe deve essere formata in quanto tali creditori possono avere (e normalmente hanno) un interesse diverso dagli altri in quanto possono confidare su un altro patrimonio responsabile e potrebbero avere minori motivazioni ad aderire al concordato[83]; (iii) la posizione del creditore-proponente (v. infra in questo §) è indubbiamente differente da quella di tutti gli altri creditori; (iv) per i creditori assegnatari di valori diversi dal pagamento in denaro, la formazione della classe è obbligatoria perché gli interessi connessi a tale modalità di soddisfacimento sono diversi in ragione del fatto che queste attribuzioni, almeno nella maggior parte dei casi, sono destinate a realizzarsi nel corso del tempo, dopo il pagamento dei creditori in denaro. 
Nei concordati diversi da quelli in continuità resta però un interrogativo e cioè se in presenza di situazioni non omogenee sia ora sicuro che la formazione della classe non sia obbligatoria in quanto è la legge che ne ha stabilito il rigido palinsesto; detto in altro modo, il dubbio è relativo alla tassatività (o no) delle fattispecie di cui all’art. 85 CCII. Il tono perentorio con cui è declinato l’art. 85 sembra lasciar intendere che solo in questi casi il debitore è costretto a formare le classi, il che potrebbe indurre taluno – in presenza di situazioni simili ma non incluse nella norma – a sollevare un incidente di costituzionalità. Tanto per fare un esempio, il creditore che vanta una garanzia nei confronti di un terzo va collocato in una classe separata sul presupposto che abbia un diverso interesse al voto in quanto consapevole di poter essere soddisfatto altrimenti; ci si trova, però, di fronte ad un assioma perché la sola presenza di una garanzia esterna non è certo indice di probabile soddisfazione. Fatta questa precisazione, si può notare che la classe non è obbligatoria nel caso in cui il debitore concordatario sia chi si è costituito garante; anche in tale situazione il creditore dispone di due patrimoni aggredibili e tuttavia il caso non è ricompreso nell’art. 85. Una ulteriore complicazione è rappresentata dal fatto che, se la regola generale è la libertà di formare le classi, la norma che pone un vincolo può essere intesa come regola eccezionale e, dunque, non suscettibile di interpretazione analogica. In tale cornice la soluzione da prospettare appare densa di criticità: da un lato la tassatività delle ipotesi di classi obbligatorie offrirebbe certezza[84], ma al contempo potrebbe rivelarsi irrazionale. Ed allora, nonostante la formulazione perentoria, sembra preferibile una lettura più elastica che veda nell’art. 85 un elenco di casi esemplificativi ma non tassativi; ciò si traduce nel fatto che il tribunale, al cospetto di situazioni disomogenee fra creditori potrebbe sindacare la mancata formazione delle classi. Di certo, invece, memore dell’approdo giurisprudenziale del 2018[85], il legislatore ha stabilito che la classe è obbligatoria per i creditori che propongono il concordato e per le parti ad essere correlate: l’art. 109, comma 6, CCII stabilisce che “Il creditore che propone il concordato ovvero le società da questo controllate, le società controllanti o sottoposte a comune controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile possono votare soltanto se la proposta ne prevede l’inserimento in apposita classe”; identica previsione ricorre nell’art. 243, comma 6, CCII nel concordato successivo alla liquidazione giudiziale. La disposizione di cui all’art. 109 CCII è stata di recente sottoposta a critica vibrante[86] con particolare riferimento al fatto che al creditore proponente il concordato non viene inibito il voto ma solo imposta l’inclusione in classe separata; sappiamo che, invece, nei concordati esiste una regola generale di esclusione dal voto di chi si trovi in conflitto di interessi. Questa soluzione (l’esclusione dal voto) sarebbe stata forse preferibile per armonia di sistema ma la differenza si spiega con la manifestata volontà di premiare l’operazione concordataria[87] vista, come sopra enunciato, quale operazione di mercato nell’ambito della valorizzazione dell’impresa. 
Le complesse interazioni tra diritto della crisi e diritto delle società hanno determinato l’innesto di una partizione del codice nella quale vengono considerate le posizioni dei soci[88] e tra queste il fatto che anche i soci possano essere inseriti in classi[89]. Ed allora, è obbligatoria la formazione della classe dei soci nelle ipotesi di cui all’art. 120 ter CCII (o, più esattamente delle classi dei soci quando i diritti di partecipazione non sono omogenei)[90], e cioè quando il piano prevede modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci (classico è il caso in cui nel piano si prevede l’attribuzione delle partecipazioni ad un terzo con esclusione del diritto di opzione dei soci)[91] e, sempre, per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio[92]: in questo caso il controllo del giudice è agevolato dal fatto che il voto viene assunto con la regola del silenzio-assenso[93]. 
Il fatto che in queste due ipotesi la classe dei soci sia obbligatoria lascia però la facoltà al debitore di formare una classe dei soci anche quando non ricorrono queste due ipotesi; in disparte il fatto che una ulteriore classe potrebbe rallentare il processo approvativo[94], come si è diffusamente sottolineato, la classe facoltativa dei soci può essere prevista solo quando i soci sono interessati al processo di ristrutturazione[95], circostanza tutt’altro che infrequente visto che ai sensi dell’art. 120 quater CCII nel concordato in continuità (quanto meno in quella c.d. “diretta”) ai soci può essere lasciato il valore dell’impresa ristrutturata[96], pur quando la soddisfazione dei creditori sia stata parziale[97]. La disposizione di cui all’art. 109 non è replicata con riferimento alla proposta concorrente formulata dai soci (art. 120 bis CCII)[98], sì che v’è da chiedersi se la classe dei soci possa votare sulla propria proposta di concordato e la risposta non può essere univoca, nel senso che solo i soci che hanno presentato la proposta possono votare in una classe ad hoc, sempre che siano interessati alla ristrutturazione, mentre gli altri andranno collocati in una classe diversa[99]. 
Va, però, precisato che i soci possono trovare collocazione anche altrove quando abbiano erogato finanziamenti che per legge debbono intendersi postergati; in questo caso, vi potrà essere una classe formata da soci-creditori che dovrà ricevere un trattamento comunque preferenziale rispetto alla classe dei soci per puri apporti di capitale.[100] 
In sintesi, (a) è obbligatoria la formazione delle classi in tutti i concordati che si fondano su un piano di continuità; (b) è necessaria una classe separata per: (b/1) i creditori titolari di crediti previdenziali o fiscali dei quali non sia previsto l’integrale pagamento, (b/2) per i creditori titolari di garanzie prestate da terzi, (b/3) per i creditori che vengono soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro e (b/4) per i creditori proponenti il concordato e per le parti ad essi correlate; (c) nei concordati in continuità vanno formate classi separate per (c/1) i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, interessati dalla ristrutturazione perché non ricorrono le condizioni di cui all'articolo 109, comma 5[101]; (c/2) i crediti delle imprese titolari di crediti chirografari derivanti da rapporti di fornitura di beni e servizi, che non hanno superato, nell’ultimo esercizio, almeno due dei seguenti requisiti: un attivo fino a euro cinque milioni, ricavi netti delle vendite e delle prestazioni fino a euro dieci milioni e un numero medio di dipendenti pari a cinquanta[102]; (d) per i soci nel caso di società quotate o di previsioni di piano con incisione sui diritti dei soci; (e) per i crediti postergati, che però in quanto non interessati si è detto non dovrebbero partecipare alla votazione[103]; (f) nell’art. 240, comma 3, CCII si è previsto che debba essere formata la classe degli obbligazionisti (o dei titolari di strumenti finanziari partecipativi) il che induce a ritenere che tutti i portatori di titoli esprimano un voto singolo che va a confluire in quello di classe. In questo modo è parzialmente osservata la regola di cui all’art. 2415 c.c., nel senso che viene espresso un voto di classe unitario. Tuttavia, mentre in passato il voto della assemblea comportava che il risultato complessivo ai fini della maggioranza numerica fosse quello dell’intero debito obbligazionario, ora il voto di classe serve ai fini della maggioranza delle classi, ma ai fini della maggioranza assoluta sui crediti si devono conteggiare i singoli portatori dei titoli[104].
6 . Classe e trattamento differenziato
Nel concordato preventivo e nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (v., artt. 87 e 64 bis CCII) il debitore indica nel piano le classi in cui le parti interessate sono state suddivise ai fini del voto, con spiegazione dei criteri di formazione utilizzati[105], del valore dei rispettivi crediti e degli interessi di ciascuna classe. Il fatto che la suddivisione dei creditori in classi sia prevista come componente del piano non significa, però, che la classe sia istituto indifferente rispetto alla proposta, ed infatti, nel momento in cui la proposta contiene la previsione del soddisfacimento dei creditori questo soddisfacimento è decisivamente condizionato (anche) dalla suddivisione dei creditori in classi perché a questa suddivisione può (ma non deve) corrispondere una offerta di trattamenti differenziati[106]. È indiscusso che l’idea della classe sia sorta al fine di consentire un trattamento differenziato all’interno del medesimo insieme dei creditori chirografari, ma questo non impediva, secondo la prevalente lettura, che le classi potessero essere formate ai fini del voto e non già per differenziare i livelli di soddisfacimento del credito[107], fermo che non sarebbe mai legittimo formare più classi tra creditori omogenei e di pari situazione giuridica con identico trattamento perché questo vorrebbe dire creare classi ai soli fini della raccolta del consenso[108] Ora le cose sono cambiate in misura assai cospicua perché solo in alcuni modelli di concordato alla suddivisione dei creditori in classi può corrispondere un trattamento differenziato, nonostante l’incipit dell’art. 85, comma 1, CCII appaia perentorio: “Il piano può prevedere la suddivisione dei creditori in classi con trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse”; a sua volta l’art. 240, comma 2, CCII prevede che: “La proposta inoltre può prevedere: a) la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei; b) trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse, indicando le ragioni dei trattamenti differenziati dei medesimi”. Queste previsioni non si ritrovano né nel concordato semplificato, né nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione e tuttavia non sembrano sussistere ostacoli nel ritenere che in tali strumenti sia possibile trattare diversamente i creditori inseriti in classi distinte. 
La criticità è, invece, costituita dal “tipo” concordato in continuità perché al momento della omologazione se una o più classi sono dissenzienti il tribunale deve verificare che “il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore fermo restando quanto previsto dall'articolo 84, comma 7[109]”. La proposta può, dunque, prevedere che creditori di pari grado siano trattati in misura differente – ciò che non rende la proposta inammissibile – ma con il caveat per cui se vi dovessero essere classi dissenzienti e si debba procedere alla omologazione di cui all’art. 112, comma 2, CCII, in questo caso i trattamenti tra creditori del medesimo grado non potrebbero essere differenti. 
La questione è, ancor oggi dopo il decreto correttivo del 2024, assai controversa e dibattuta: da un lato si discute se “grado” e “rango” esprimano concetti davvero differenti con la conseguenza che se tutti i creditori chirografari appartengono allo stesso grado ma sono di rango diverso rispetto ai creditori privilegiati si potrebbe opinare che il divieto di trattamenti discriminatori riguarderebbe quei pochi casi nei quali nello stesso grado concorrono crediti diversi come accade nel caso delle imprese artigiane e delle cooperative (art. 2751 bis n. 5) c.c.). Se, invece, grado esprime il concetto della differenza tra privilegio e chirografo, allora tutti i creditori chirografari pur suddivisi in più classi dovrebbero ricevere il medesimo trattamento[110] quando manca il consenso unanime delle classi, il che rischia di indurre il debitore a non proporre – in una sorta di atteggiamento difensivo – trattamenti differenziati non potendo sapere in anticipo se vi sarà il dissenso di qualche classe. Vi è, però, da svolgere una ulteriore considerazione e cioè se il trattamento differenziato sia, almeno, praticabile sul valore di liquidazione dal momento che il divieto della discriminazione sembra, letteralmente, ancorato al valore eccedente quello di liquidazione, il c.d. plusvalore da continuità al netto della non prevista liquidazione di alcuni cespiti. 
Un esempio può spiegare il quesito: immaginiamo che soddisfatti integralmente tutti i creditori privilegiati, il valore di liquidazione consenta di distribuire ai creditori chirografari ancora 1000, e che vi siano risorse aggiuntive pari a 500; i 500 debbono essere distribuiti tra i creditori appartenente a classi diverse nella medesima percentuale, mentre sui 1000 a classi diverse potrebbero essere assegnate percentuali differenti. Una interpretazione letterale dell’art. 112 CCII parrebbe confermare questa ipotesi, ma al contempo sorgerebbe un dubbio di razionalità della norma e, per converso, un endorsement per l’utilità che questa interpretazione porterebbe a favore del buon esito del concordato perché smorzerebbe la rigidità della regola della pari distribuzione. In questa alternativa, visto che l’interpretazione letterale è in armonia con l’interesse a favorire il buon esito della procedura, forse è la soluzione preferibile, pur a dispetto di una compressione della razionalità[111] e pur nella consapevolezza che le procedure nelle quali il valore di liquidazione consente una distribuzione ai creditori chirografari sono davvero poche.
7 . Classe e votazione
La formazione delle classi è funzionale alla distribuzione delle risorse nel modo che consenta una propensione al voto favorevole alla approvazione della proposta[112] ma è anche direttamente incidente sulla approvazione perché là dove le classi sono formate dal proponente e là dove le classi sono indispensabili per quel modello di regolazione della crisi – cioè concordato preventivo in continuità e piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione – il metodo di formazione della volontà dei creditori è (solo) quello della (i) unanimità del voto delle classi; (ii) solo nel concordato preventivo vi sono le condizioni subordinate di approvazione date dal voto favorevole della maggioranza delle classi e ancor più in subordine del voto favorevole della classe determinante[113]. 
Nel caso dei concordati diversi da quelli fondati sulla continuità deve essere raggiunta la maggioranza assoluta sull’ammontare dei crediti ammessi al voto (50% + 1 centesimo di Euro); pertanto, il voto è validamente espresso solo se c’è una volontà manifesta: l’astensione dal voto equivale a silenzio-rifiuto[114], al contrario di quanto accade nel concordato post liquidazione giudiziale. Ma se la proposta prevede la suddivisione dei creditori in classi, deve essere raggiunta anche la maggioranza delle classi e nelle classi la maggioranza è quella assoluta in relazione ai crediti (e non alle ‘teste’). Per evitare che un unico creditore possa imporre la sua volontà su quella di tutti gli altri, laddove un unico creditore sia titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, il concordato è approvato se, oltre alla maggioranza assoluta sui crediti, sia conseguita anche la maggioranza per teste dei voti espressi dai creditori ammessi al voto[115]. Le classi possono essere in numero pari o dispari ma se sono in numero pari occorre una adesione più ampia, perché ad esempio se le classi sono due occorre l’unanimità[116]. 
Nel caso del concordato con continuità, invece, ai fini dell’approvazione dei creditori all’interno di ciascuna classe, vi sono due regole in ordine scalare: 
(i) la maggioranza si forma con il voto palese favorevole della maggioranza assoluta sull’ammontare dei crediti ammessi al voto ma solo all’interno della son gola classe; 
(ii) se la maggioranza assoluta non è raggiunta, la proposta si intende, comunque, approvata quando vi è il voto favorevole di almeno due terzi dei creditori votanti, purché questi siano almeno la maggioranza dei creditori ammessi al voto: tale criterio sussidiario è volto a sterilizzare la condotta dei creditori apatici che non votando, in realtà, non manifestano alcuna propensione al voto (né favorevole, né contrario)[117], ma di per sé non è un criterio che rinnega il principio di maggioranza[118], come invece accade nell’ipotesi del consenso della classe determinante. Si può ipotizzare che la volontà unanime delle classi si realizzi in base ad un quorum differente, nel senso che in una classe la maggioranza si può formare sugli aventi diritto al voto e in un’altra classe sui votanti[119]. 
Ed ancora, nel concordato in continuità il sistema di voto non prevede che debba essere raggiunta la soglia di una maggioranza (ancorché non qualificata) di creditori favorevoli per somme. Tuttavia, questa scelta non è affatto bizzarra o eterodossa, ma è il risultato di un recepimento di una indicazione eurounionale, perché nella Direttiva si enfatizza il ruolo delle classi e, persino, della classe determinante.[120]
8 . Controllo del giudice sulle classi
Tra le indagini che il tribunale è chiamato svolgere, prima ai fini dell’apertura della procedura di concordato preventivo (art. 47 CCII) o dell’avvio del concordato nella liquidazione giudiziale (art. 241 CCII), - poi, ancora, in occasione dei giudizi di omologazione - vi è quella che pertiene alla formazione delle classi. Ricordato che per classe si intende l’insieme di creditori che hanno posizione giuridica e interessi economici omogenei (art. 2, lett. r, CCII), il tribunale deve verificare: (i) l’omogeneità della posizione giuridica, intesa prima di tutto come graduazione tra i crediti; (ii) a parità di grado l’omogeneità degli interessi economici che andranno valutati in relazione al caso concreto; (iii) l’identità di trattamento tra i creditori inclusi in ciascuna classe; (iv) l’impossibilità che il trattamento assegnato ai creditori di una certa classe comporti per loro una alterazione sfavorevole rispetto all’ordine di graduazione[121]. 
La scelta di compartimentare i creditori è l’esito della sagoma frastagliata del ceto creditorio. I titolari delle pretese sono portatori, in uno con l’aspirazione generica a massimizzare il valore del patrimonio del debitore, di interessi peculiari, correlati alla qualità delle proprie pretese e condizioni soggettive[122]. 
I principi in tema di tutela del credito e di relatività degli effetti del contratto che impregnano l’ordinamento, in tanto sono salvaguardati, in quanto sul diritto del singolo faccia premio, in luogo della volontà di una comunità disgregata, una deliberazione collettiva espressiva di un interesse di gruppo., sì che il sacrificio del singolo creditore rispetto al dominio della maggioranza è tollerabile nella misura in cui sia il prodotto di una valutazione maturata dentro un sistema di posizioni assimilabili. Questi sono i valori che nei precedenti §§ sono stati enfatizzati e se si vuole che questi valori siano realizzabili, è necessario che vi sia qualcuno cui compete controllare l’esercizio di prerogative che sui quei valori possono incidere. 
Così, il giudice accerta che le classi assicurino una maggior propensione e congruenza distributiva per le affinità elettive fra i creditori, connotandosi come ingranaggi funzionali ad una maggiore efficienza del congegno maggioritario, reso più idoneo ad affermare l’interesse di categoria, disattivando le resistenze egocentriche dei singoli. 
Poiché come si è visto (v., supra, §§_2.1, 2.2) non è scolpita una regola precisa, quello del giudice s’atteggia a sindacato di razionalità[123] e coerenza di scelte discrezionali del debitore e i parametri sono stati già collaudati dall’esperienza. Si tratta di apprezzare le ragioni che hanno indotto l'imprenditore a classificare in un certo modo anziché negli altri possibili i suoi creditori. A tal fine il giudice deve muovere dalle spiegazioni esposte dal debitore nel piano concordatario, ove ex art. 87, lett. m), devono ora essere riportati “i criteri di formazione” delle classi, il “valore” dei crediti e gli “interessi di ciascuna classe
L’indagine giudiziale attiene alla logica dei criteri; di fronte a criteri non bizzarri, né discriminatori, si arresta il sindacato del tribunale, rimanendo il merito delle ragioni giustificatrici della costruzione di una classe e della diversificazione del trattamento fuori dallo steccato del suo controllo[124]. 
Il controllo sulle classi in sede di omologazione (come vuole l’art. 112 CCII) è un controllo “secondo” perché già il tribunale deve averlo compiuto al fine di decretare l’apertura del concordato (art. 47 CCII)[125]. 
Il controllo sulla correttezza della formazione delle classi - che incide anche sugli aventi diritto al voto e sulla formazione della maggioranza - deriva dalla previsione contenuta nell’art. 85 CCII a mente della quale il debitore può formare più classi fra creditori, ma deve farlo in presenza di particolari situazioni: La regola del doppio voto per i creditori privilegiati non interamente soddisfatti è stabilita per i concordati in continuità[126]; analoga regola non è esplicitata nei concordati liquidatori e qui si discute se emerga una valida giustificazione per un trattamento differente[127]. 
La composizione della classe può essere censurata dal giudice in sede di omologa ogni qualvolta sia servita a costruire compagini artificiose[128], volte solo ad abbattere il dissenso dei creditori refrattari, isolandoli in categorie selettive e disomogenee o, al contrario volte solo alla raccolta del consenso[129]; il sindacato sulla corretta formazione delle classi può avvenire in via officiosa[130], ma se un creditore si vuole lamentare della collocazione in una classe non omogenea lo deve fare, appunto, proponendo opposizione alla omologazione[131]. 
Le classi giovano a scomporre il ceto creditorio, ma al fine di salvaguardarne gli interessi complessivi e di assicurare una forma di eguaglianza sostanziale fra i creditori. Il giudice verifica perciò che ognuna di esse sia stata adoperata, non per adulterare la formazione dei consensi, ma per far funzionare il principio di maggioranza all'interno di una comunità, quella dei creditori, tendenzialmente frantumata. 
In simmetria con l’impellenza del debitore di ampliare la platea del consenso attorno all’ipotesi concordataria si colloca il diritto del creditore a partecipare all’adozione della scelta sulla soluzione della crisi. La capacità di incidere del singolo può perdere vigore solo in quanto la maggioranza sia rappresentativa di interessi reali[132]. L’omogeneità non è coincidenza, eppure è sempre necessario riscontrare nella classe una preponderanza quantitativa e qualitativa di lineamenti comuni fra i crediti rispetto a quelli differenziali[133]. 
Naturalmente, il limite ultimo nella strutturazione delle classi alligna nel divieto di alterazione delle cause di prelazione e nella regola dell'obbligatorio pagamento integrale del credito privilegiato, qualora risulti la capienza rispetto al bene su cui grava (art. 85, comma 6, CCII). Il giudice deve verificare che il debitore non abbia confezionato classi distinte per una posizione giuridica omogenea, in tal guisa ledendo le cause di prelazione previste dalla legge e l'ordine di collocazione dettato dal codice civile. 
Meno complicato è il controllo di parità di trattamento all’interno della singola classe, previsto dalla lett. e) dell’art. 112. La regola della par condicio torna ad operare dentro le specifiche classi regolarmente costruite, inibendo il trattamento differenziato degli appartenenti ad una stessa categoria. Il giudice verifica che l’utilità riservata ai diversi creditori sia di consistenza e quantità identiche, nonché di identica qualità e tempistica[134]; non sono tollerate sperequazioni sul livello della soddisfazione promessa e garantita. 
Il controllo sulle classi si allaccia al controllo sulla votazione[135] visto il “dominio” del voto di classe ai fini della approvazione.
9 . Le classi nei concordati nelle procedure amministrative
Nel nostro sistema concorsuale, messi in disparte i procedimenti nei quali l’assetto negoziale è più marcato, sono presenti più procedure: la liquidazione giudiziale, il concordato preventivo, il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, la liquidazione coatta amministrativa (ora per convenzione anche solo ‘l.c.a.’) e l’amministrazione straordinaria (ora per convenzione anche solo ‘a.s’), la liquidazione controllata. 
Orbene, accantonato il concordato preventivo, in quanto procedura concorsuale negoziata, per le altre tre possiamo parlare di ‘procedure imposte’ anche quando l’iniziativa per la loro apertura sia stata assunta dal debitore[136]. 
Parliamo di procedure imposte in quanto il soddisfacimento delle ragioni dei creditori dipende dall’andamento della gestione della singola procedura e non dipende dalla volontà del debitore. Sono procedure imposte anche perché, tutte, sono volte ad attuare la garanzia patrimoniale ai sensi dell’art. 2740 c.c. 
Tuttavia, è subito necessario operare un netto distinguo in quanto mentre nella liquidazione giudiziale (e controllata) e nella liquidazione coatta amministrativa l’esito del procedimento è, naturalmente, quello della liquidazione del patrimonio e della successiva distribuzione ai creditori di quanto ricavato, nell’amministrazione straordinaria il percorso della liquidazione non è obbligato, posto che l’uscita dalla procedura può essere anche la ristrutturazione dell’impresa, senza alienazione (art. 27, 2° comma, lett. b, D.Lgs. n. 270/1999). Sappiamo per una esperienza di oltre cinque lustri, che i casi nei quali l’uscita dalla a.s. è stata quella della prosecuzione dell’attività d’impresa con lo stesso imprenditore (continuità soggettiva), si contano in poche unità (e nel complesso rappresentano meno dell’1% del totale). 
In tale contesto e cioè prendendo atto che nella grande maggioranza dei casi anche la a.s. assume un connotato liquidatorio (benché conformato con lo schema della cessione dei complessi aziendali), possiamo collocare nella medesima categoria liquidazione giudiziale, l.c.a. e a.s. Quindi, anche la a.s., benché residualmente è procedura di attuazione della garanzia patrimoniale. Per ora possiamo trascurare le, anche, marcate differenze fra la a.s. regolata dal D.Lgs. n. 270/1999 e la a.s. regolata dal D.L. n. 34772003, e trattare unitariamente la a.s., lasciando al prosieguo la disamina delle distonie a proposito delle classi nel concordato. 
In quanto procedure imposte e volte ad attuare la garanzia patrimoniale contro la volontà del debitore, dobbiamo verificare se al medesimo debitore sia data la possibilità di una uscita alternativa dalla procedura e se a ciò si possa giungere anche ad iniziativa di un terzo. 
La legge regolativa di ciascuna delle tre procedure contempla la possibilità che la procedura si possa concludere anche con la proposizione e successiva omologazione di un concordato. 
Si parla, all’uopo, di “concordato nella liquidazione giudiziale” (art. 240 CCII), di “concordato coattivo” (art. 314 CCII.), di “concordato straordinario” (art. 78 D.Lgs. n. 270/1999 e 4 bis D.L. n. 347/2003). 
Restando focalizzati sul tema della formazione delle classi, in questa sede basta qui rammentare che il concordato nella liquidazione giudiziale deve essere approvato dai creditori con una votazione (ma disciplinata dal metodo del voto del silenzio-assenso)[137], mentre il concordato “coattivo” e quello “straordinario” non prevedono un esplicito consenso approvativo dei creditori. Il consenso dei creditori deriva dal fatto che non propongano opposizione[138]. Sia chiaro che questa locuzione “concordato coattivo” viene qui adoperata per semplicità perché questo modello di concordato lo si potrebbe, meglio, definire non partecipato o con partecipazione debole, il che, però, è cosa ben diversa da un concordato coattivo.[139] 
Esiste una ragione di fondo (per vero discutibile) che spiega l’assenza di una votazione. 
L.c.a. e a.s. sono procedure non giurisdizionali (salvo che in taluni segmenti procedimentali) ma a gestione amministrativa, in quanto gli organi di governo sono soggetti che rispondono alla autorità amministrativa. In tale contesto si assume che l.c.a. e a.s. coinvolgano non solo interessi superindividuali tipici di tutte le procedure di concorso derivanti dall’insolvenza di una impresa, ma anche veri e propri interessi pubblici, talché si postula che la sintesi di questi interessi plurali debba spettare all’autorità amministrativa e deve, ai nostri fini, essere l’autorità amministrativa che valuta la rispondenza della proposta di concordato ai fini di pubblico interesse[140]. 
La circostanza che nel concordato coattivo ed in quello straordinario sia importante valutare, anche, la ricorrenza di un interesse pubblico certo non mette in ombra il fatto che la proposta di concordato è, comunque, rivolta ai creditori e ciò nel senso che è destinata a procurare il soddisfacimento delle ragioni dei creditori. 
In tale contesto se guardiamo alla proposta di concordato dovremmo, dunque, ritenere che la conformazione della proposta non debba essere diversa fra il concordato nella liquidazione giudiziale ed il concordato straordinario. 
Infatti, se è ben vero che la proposta di concordato per poter essere procedimentalizzata va preceduta dal rilascio della autorizzazione del MIMIT, non v’è dubbio che l’autorità amministrativa debba valutare gli interessi dei creditori. 
L’art. 78 D.Lgs. n. 270/1999 stabilisce che l’autorizzazione ministeriale vada concessa ‹‹tenuto conto della convenienza del concordato e della sua compatibilità con il fine conservativo della procedura››[141]. 
Tuttavia, occorre osservare che il fine conservativo va valutato con riguardo al contesto temporale nel quale la proposta concordataria si inserisce. 
Quando la proposta di concordato sopraggiunge in un momento in cui deve, ancora, essere attuato il programma di cui all’art. 27, è chiaro che la proposta di concordato non può rivelarsi demolitiva della prosecuzione dell’attività. 
Il MIMIT, sino a che è in corso l’attuazione della ristrutturazione non può autorizzare una proposta di concordato liquidatorio. In questa fase gli interessi pubblici alla conservazione del valore dell’impresa sono preminenti o, meglio, essenziali[142]. Ciò significa che in questa fase anche una proposta che fosse particolarmente conveniente per i creditori non potrebbe essere autorizzata ove prevedesse la chiusura dell’attività produttiva. 
L’art. 78, però, non esclude affatto che la proposta di concordato sopravvenga dopo che il tempo della ristrutturazione si è esaurito e cioè quando la procedura deve proseguire per la liquidazione di beni o attività o rapporti giuridici non strettamente connessi al complesso produttivo oggetto della ristrutturazione o della cessione (art. 73 D.Lgs. n. 270/1999). 
Una volta che il programma è stato attuato, la procedura prosegue come una normale procedura di liquidazione sì che da quel momento gli interessi da valutare saranno, soltanto, quelli dei creditori[143]. 
Ed allora, se il concordato straordinario è una variante, ma solo una variante, del concordato nella liquidazione giudiziale, bisogna domandarsi quando sia opportuno che lo schema del concordato straordinario debba modificarsi rispetto allo schema del concordato nella liquidazione giudiziale. 
A tal proposito si pone il quesito se vi sia la possibilità di suddividere i creditori in classi in un concordato relativo ad una a.s. regolata dalla c.d. Prodi-bis
Nella fattispecie in esame le norme di riferimento sono costituite dagli artt. 78 D.Lgs. n. 270/1999, 240 e 314 CCII. 
Per la precisione dei richiami interconnessi fra norme giova ricordare che l’art. 78 D.Lgs. n. 270/1999 risale al 1999 e contiene un rinvio all’art. 214 L. fall. che è stato modificato con il D.Lgs. n. 169/2007 e poi sostituito dall’art. 314 CCII, mentre l’art. 124 L. fall., nella parte in cui interessa è stato modificato nel codice della crisi con l’art. 240. 
Non è, dunque, stravagante che fra tali disposizioni vi possano essere sia sovrapposizioni che conflitti. 
La conformazione delle norme sopra citate potrebbe far dubitare dell’applicabilità della frammentazione del ceto creditorio in classi. 
Sennonché, da subito potremmo definire questa ipotesi paradossale, ove si rammenti che l’istituto delle classi ha fatto la sua prima comparsa nel sistema proprio nell’amministrazione straordinaria, nella versione di cui al D.L. n. 347/2003 e successive modifiche (art. 4 bis), mentre solo successivamente è stato esportato agli altri concordati. 
Già il solo ipotizzare che le classi possano costituire un segmento della proposta del concordato straordinario speciale e non anche del concordato straordinario base desta molte perplessità. In ogni caso, proprio la sequenza normativa impone di prestare molta attenzione alle conclusioni cui sono pervenute dottrina e giurisprudenza che si sono pronunciate sul tema delle classi prima del 2003 e, soprattutto, prima del 2006; anzi, potremmo ritenerle del tutto irrilevanti. 
Si assume (in thesi) che le classi non possono essere invocate nell’amministrazione straordinaria di cui al D.Lgs. n. 270/1999 perché l’art. 78 fa rinvio ai commi 2 e ss. dell’art. 214 L. fall., mentre è nel 1° comma (ora) dell’art. 314 CCII che è contenuto il rinvio all’art. 240 CCII là dove si disegna il meccanismo delle classi[144]. 
In verità basta porre a confronto sinottico il 1° comma degli artt. 78 e 314 CCII per avvedersi della limitatezza concettuale della tesi. 
Come si può osservare, le due formulazioni del 1° comma sono molto simili, ma solo nell’art. 314 CCII è contenuto un richiamo all’art. 240 CCII di poi, il 3° comma dell’art. 78 rinvia sì all’art. 214 L. fall. (ora 314 CCII) ma non al 1° comma che contiene il riferimento all’art. 240 CCII e quindi alla proposta di concordato e di riflesso alla possibilità di suddividere i creditori in classi. 
V’è, dunque, da chiedersi quali possano essere le conseguenze derivanti da questa “omissione”. Il dubbio che si adombra è che mancando il richiamo di sponda all’art. 240, il solo ove si disciplinano le classi, la proposta di concordato straordinario non potrebbe prevederle. 
Se si guarda alla cronologia delle leggi è assai facile avvedersi della ragione per la quale l’art. 78, si ribadisce formato nel 1999, non contiene un richiamo al 1° comma dell’art. 214 (ora art. 314 CCII). Infatti, nel 1999, il 1° comma dell’art. 214 (ante riforma) conteneva la seguente dizione ‹‹Dopo il deposito dell’elenco previsto dall’art. 209 l'autorità che vigila sulla liquidazione, su parere del commissario liquidatore, sentito il comitato di sorveglianza, può autorizzare l'impresa a proporre al tribunale un concordato osservate le disposizioni dell'art. 152, se si tratta di società››. Una disposizione perfettamente speculare a quella dell’art. 78; quindi il richiamo al 1° comma sarebbe stato del tutto inutile. 
L’art. 78, invece, richiamava il 2° comma dell’art. 214 (ante riforma) nel quale si stabiliva che ‹‹la proposta di concordato deve indicare le condizioni e le eventuali garanzie››
Orbene, se si ripudia il rinvio al 1° comma dell’art. 214 (ora 314 CCII), viene a mancare la disciplina sostanziale del concordato; ovverosia, amputato il 1° comma attuale, le uniche regole applicabili sarebbero quelle del procedimento (commi 2, 3 e 4 dell’art. 314), con il risultato che mancherebbe una disciplina del contenuto della proposta di concordato. 
Non mancherebbe, in verità, come si postula la possibilità di formare le classi, ma più semplicemente mancherebbe ogni disciplina del concordato. Il contenuto della proposta di concordato non avrebbe alcun referente normativo (tanto è vero che, ben prima delle riforme del 2005-2007, si riteneva che il contenuto della proposta di concordato nella a.s., dovesse ricavarsi dai concordati della legge fallimentare).[145] 
Di riflesso, mancando un rinvio ad una qualunque forma di concordato non resterebbe che colmare la lacuna con l’analogia e, oggi, tutti i modelli di concordato (preventivo, nella liquidazione giudiziale, coattivo e straordinario ex D.L. n. 347/2003) contemplano, proprio le classi. 
Sennonché va rammentato che là dove manchi una norma specifica, la disciplina del D.Lgs. n. 270/1999 tramite l’art. 36 fa rinvio alla disciplina della l.c.a. e in questa è compreso l’art. 314 CCII, nella sua interezza, che contiene il richiamo all’art. 240 CCII, pure nella sua interezza. 
Ad identiche conclusioni si deve pervenire se si abbandona una lettura formale del tessuto normativo e si guarda alla razionalità del sistema. Se in tutti i modelli di concordato si possono formare le classi, sarebbe irrazionale che solo nel caso dell’art. 78 non fosse possibile non avendo luce alcuna possibile spiegazione. 
L’amministrazione straordinaria di cui al D.Lgs. n. 270/1999 è una procedura concorsuale di matrice amministrativa e si distingue perciò dalle procedure concorsuali giurisdizionali. Ed allora se pur fosse possibile negare una analogia col concordato nella liquidazione giudiziale e preventivo, di certo l’analogia non potrebbe che essere affermata rispetto alla liquidazione coatta amministrativa e alla amministrazione straordinaria del D.L. n. 347/2003, procedure governate pacificamente dall’autorità amministrativa. Ed ancora, non avendo in sé l’art. 78 alcun contenuto riferito alla proposta, il patto di concordato presentato dal debitore o da un terzo sarebbe del tutto svincolato dalla legge e ciò impedirebbe al tribunale o ai creditori una qualunque forma di controllo. 
Allo stato non risultano precedenti editi specifici nei quali sia stato dibattuto l’argomento; tuttavia, sono noti alcuni casi per i quali l’autorità amministrativa non ha autorizzato la presentazione di proposte di concordato straordinario perché comprensive della suddivisione dei creditori in classi. 
È nota una decisione che, in tema di liquidazione coatta amministrativa, aveva escluso che la proposta di concordato coattivo potesse prevedere la suddivisione in classi[146]. Tuttavia, è stata resa prima della modifica dell’art. 314, comma 1, CCII, sì che appare doppiamente irrilevante: (i) non riguarda la a.s.; (ii) non è più attuale per il mutato quadro normativo. 
La dottrina che si è occupata dell’argomento non è vastissima. Tuttavia, netta è la prevalenza degli autori che condividono come una lettura storica e razionale dell’art. 78 porti a concludere per l’ammissibilità della formazione delle classi[147]. 
Vi sono, però, anche autori dissenzienti[148], nessuno dei quali offre argomenti che non siano quelli, errati, del mancato rinvio. 
Una volta che si ammetta la possibilità di frazionare i creditori in classi, dal punto di vista del procedimento di concordato, le conseguenze non risultano di particolare complessità. Infatti, mentre nel concordato nella liquidazione giudiziale la suddivisione dei creditori in classi impone che, sebbene col metodo del silenzio-assenso, debba essere raggiunta oltre che la maggioranza dei crediti ammessi al voto, anche la maggioranza fra le classi, nel concordato straordinario mancando la votazione, neppure si pone un problema di voto per classi. 
Resta, però, da verificare se la suddivisione dei creditori in classi possa determinare altri effetti. 
L’art. 78 D.Lgs. n. 270/1999 rinvia all’art. 214 L. fall. (ora art. 314 CCII), il quale a sua volta richiama, fra gli altri, gli artt. 245, 246 e 247 CCII, cioè le norme che governano il potere del tribunale in sede di omologazione. 
Nel caso di concordato nella liquidazione giudiziale, solo la proposta con le classi apre il giudizio di convenienza [149]quando l’opposizione alla omologazione è presentata da un creditore che appartiene ad una classe dissenziente. 
Sennonché nel concordato straordinario, in mancanza di votazioni neppure si può disputare di creditori o classi dissenzienti; ciò significa che la disposizione di cui all’art. 245 CCII, in quanto non compatibile, non può essere direttamente applicata al concordato straordinario. 
Si apre, allora, il tema se, comunque, il creditore che, pur non potendo esprimere il voto, proponga l’opposizione ai sensi dell’art. 314 CCII. possa addurre a conforto dell’opposizione il difetto di convenienza del concordato. 
La circostanza che gli interessi dei creditori siano valutati, unitamente all’interesse alla conservazione dell’impresa, dalla autorità amministrativa quando rende l’autorizzazione ex art. 78, non sembra una ragione sufficiente per escludere che una valutazione di convenienza possa essere espressa anche dal tribunale a seguito dell’opposizione di un creditore. 
Proprio la compressione dei diritti dei creditori con riguardo al profilo della votazione, potrebbe indurre a ritenere, per un giusto equilibrio di interessi, che il creditore opponente possa dedurre il difetto di convenienza della proposta rispetto ad altre alternative praticabili[150]. 
Più nel dettaglio dobbiamo pensare che nel momento in cui il concordato è presentato dopo l’esaurimento della fase di ristrutturazione, la comparazione di interessi pertiene alla sola sfera giuridica del creditore opponente: se il concordato offre al creditore meno di quanto sarebbe ricavabile dalla prosecuzione della liquidazione commissariale, il concordato non può essere omologato. 
Viceversa, se la proposta di concordato si innesta nel percorso di ristrutturazione, la valutazione di convenienza non potrà esaurirsi nella comparazione concordato vs. liquidazione, ma dovrà tener conto degli interessi alla conservazione dell’impresa, il che significa che potrà essere omologata la proposta di concordato che non è conveniente per i creditori, se questa consente un’utile prosecuzione dell’attività. 
Pertanto, la circostanza che la proposta contempli la suddivisione dei creditori in classi non è determinante ai fini della differenziazione del giudizio di merito che compete al tribunale. 
Come si è accennato, diversamente dal modello della a.s. ‘base’, nel modello di a.s. ‘speciale’, la possibilità per il proponente di formare le classi di creditori è prevista espressamente (v., art. 4 bis, D.L. n. 347/2003). Non solo, ma le differenze sono ancor più marcate perché il modello di conformazione della volontà dei creditori è assai più simile a quello del concordato preventivo, con tanto di richiesta di manifestazione espressa del voto e, solo in subordine, di applicazione della regola del silenzio-assenso. 
La circostanza, poi, che la proposta distingua i creditori in classi è rilevante ai fini di delimitare il contenuto del giudizio del tribunale in sede di omologazione, dal momento che la presenza anche di una sola classe dissenziente, legittima il tribunale ad effettuare, pur senza la sollecitazione di creditori opponenti (come accade, invece, nel concordato preventivo) la comparazione fra la proposta di concordato e le alternative concretamente praticabili[151]. 
Nel c.d. concordato straordinario di cui all’art. 78 D.Lgs. n. 270/1999, in virtù dell’interpretazione storica e razionale è ammissibile che la proposta possa prevedere la formazione di classi fra creditori; la formazione delle classi, pur in assenza di una compiuta disciplina, deve consentire, per coerenza, che i creditori opponenti possano richiedere al tribunale che si valuti la convenienza della proposta ed il tribunale la dovrà valutare in termini strettamente comparativi rispetto alla liquidazione quando il concordato venga avanzato dopo l’esaurimento della fase di gestione dell’impresa, mentre quando il concordato viene presentato durante la fase di gestione occorre, anche e soprattutto, valutare che la proposta sia allineata alle esigenze di conservazione dell’impresa.
10 . Conclusioni
Nonostante nel concordato in continuità si sia giunti, se si vuole, al paradosso che l’omologazione si può fondare sul consenso di una sola classe (quella determinante), il sistema quale ci viene “restituito” dalla Direttiva 2019/1023 vede la classe al “centro del villaggio” perché l’obbligatoria formazione delle classi valorizza la collettivizzazione degli interessi che travalicano le tutele dei singoli creditori. La classe si palese come strumento prima deliberativo e solo poi distributivo[152], pur se il profilo distributivo lasciato a discrezione del debitore trova nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione il suo terreno di elezione. Lo stesso limite costituito dal principio di non discriminazione non sembra rivelarsi un ridimensionamento del ruolo delle classi[153], là dove la classe si manifesta centro di interessi collettivi la cui tutela prevale su quella del singolo creditore al netto dell’attribuzione minima pari al valore di liquidazione.

Note:

[1] 
Cfr., A. Jorio, S. Fortunato, La riforma delle procedure concorsuali. I progetti, Milano, 2004, passim; G. Lo Cascio, Concordati, classi di creditori ed incertezze interpretative, in Fall., 2009, p. 1129. 
[2] 
O. De Cicco, Le classi di creditori nel concordato preventivo. Appunti sulla par condicio creditorum, Napoli, 2007, p. 1 ss.; E. Migliaccio, Parità di trattamento e concorso dei creditori, Napoli, 2012, p. 52. 
[3] 
Diversamente da quanto opina L. Panzani, Ambito di applicazione e definizioni, in Il codice della crisi dopo il Correttivo ter, Commentario diretto da M. Irrera, A.S. Cerrato, Bologna, 2024, p. 10, il quale la fa risalire al 2006. 
[4] 
P. Beltrami, sub art. 4 bis, in La legge Marzano, a cura di A. Castagnola e R. Sacchi, Torino, 2006, p. 154; G.U. Tedeschi, Piano di risanamento e concordato nell’amministrazione straordinaria speciale, in Dir. fall., 2005, I, p. 753; D. Manente, Il «decreto Parmalat»: appunti per una prima lettura, in Dir. fall., 2004, I, p. 48; M. Ferro, Le classi di creditori nel concordato proposto dal commissario della amministrazione straordinaria speciale, in Fall., 2004 p. 588; L. Guglielmucci, La disciplina speciale dell’amministrazione straordinaria per le situazioni di crisi particolarmente rilevanti, in Dir. fall., 2004, I, p. 1238. 
[5] 
S. Ambrosini, sub art. 85, in Il codice della crisi, Commentario a cura di P. Valensise, G. Di Cecco, D. Spagnuolo, Torino, 2004, p. 501. 
[6] 
In senso favorevole, Trib. Ivrea, 09/03/2010, in Fall., 2010, p. 776. 
[7] 
“I creditori muniti di diritto di prelazione non votano se soddisfatti in denaro, integralmente, entro centottanta giorni dall'omologazione, e purché la garanzia reale che assiste il credito ipotecario o pignoratizio resti ferma fino alla liquidazione, funzionale al loro pagamento, dei beni e diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Nel caso di crediti assistiti dal privilegio di cui all'articolo 2751 bis, n. 1, del codice civile, il termine di cui al quarto periodo è di trenta giorni. Se non ricorrono le condizioni di cui al terzo e quarto periodo, i creditori muniti di diritto di prelazione votano e, per la parte incapiente, sono inseriti in una classe distinta”. 
[8] 
M. Arato, Il concordato preventivo, in Trattato Cagnasso, Panzani, in corso di pubblicazione, consultato per cortesia dell’Autore; in senso contrario, S. Ambrosini, Classi di creditori, moratoria dei privilegiati e contenuti del piano nel nuovo concordato preventivo, in Dir.fall., 2023, p. 241. 
[9] 
Sulla legittimità della mono-classe, G. Buccarella, Concordato nel corso della liquidazione giudiziale, in Crisi e insolvenza dopo il Correttivo ter, Commentario diretto da M. Irrera, S.A. Cerrato, Bologna, 2024, p. 2609; C. Proto, Le classi dei creditori nel concordato preventivo, Milanofori-Assago, 2010, p. 72; L. Cristini, V. Cristini, La formazione delle classi nel concordato preventivo: criticità de iure condito e prospettive de iure condendo, in Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2021, p. 61. 
[10] 
L. Panzani, Ambito di applicazione e definizioni, cit., p. 16. 
[11] 
In senso contrario G. Buccarella, Concordato nel corso della liquidazione giudiziale, in Crisi e insolvenza dopo il Correttivo ter, Commentario diretto da M. Irrera, S.A. Cerrato, Bologna, 2024, p. 2608, ad avviso del quale rappresentano una diversa posizione giuridica i cc.dd. “stati” del credito, come ad esempio la natura contrattuale o extracontrattuale del titolo da cui è sorta l’obbligazione, o la natura esigibile o non esigibile del credito o, ancora, la disponibilità di un titolo esecutivo; L. Panzani, Ambito di applicazione e definizioni, cit., p. 12.
[12] 
M. Arato, Il concordato preventivo, cit. 
[13] 
C. Proto, Le classi dei creditori nel concordato preventivo, Milanofori-Assago, 2010, p. 57; L. Cristini, V. Cristini, La formazione delle classi nel concordato preventivo: criticità de iure condito e prospettive de iure condendo, in Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2021, p. 60. 
[14] 
Ma non tutti i creditori finanziari sono tra loro uguali, v., Trib. Ravenna, 09/10/2020, in Dirittodellacrisi.it, secondo la quale l’inclusione nella stessa classe del credito defalcato del Mediocredito Centrale unitamente alle banche chirografarie non sembra corrispondere ad una omogeneità quanto a posizione giuridica ed interessi economici sottesi, tenuto conto che la posizione di Mcc oltre ad essere del tutto diversa giuridicamente da quella degli istituti di credito per finanziamenti chirografari, sconta altresì una diversa condizione economica, essendo al contempo destinataria del soddisfacimento per la parte capiente del privilegio, pari ad un 47,07 per cento. 
[15] 
F. Del Rosso - G. Trisorio Liuzzi, Il concordato preventivo, in Diritto della crisi d’impresa, a cura di G. Trisorio Liuzzi, Bari, 2023, p. 617. 
[16] 
F. Santangeli, M. Spadaro, sub art. 85, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2023, p. 555; M. Fabiani, Concordato preventivo, in Comm. Scialoja-Branca alla legge fall., Bologna, 2014, p. 218. 
[17] 
Trib. Milano, 05/02/2024, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Spoleto, 29/12/2023, in Dirittodellacrisi.it, App. Torino, 06/05/2010, in Fall., 2010, p. 1275. 
[18] 
Sulla necessità di considerare i crediti contestati nel piano concordatario v., S.F. Marzo, I crediti contestati nel concordato preventivo, in Dir.fall., 2021, p. 601. 
[19] 
Cass. civ., 31/07/2024 n. 21431; Cass. civ., 07/03/2017 n. 5689; Cass. civ., 26/07/2012, n. 13284, in Fall. 2013, p. 576. 
[20] 
S. Ambrosini, sub art. 85, cit., p. 505. 
[21] 
F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, Milano, 2023, p. 204. 
[22] 
V. Pinto, R. Sacchi, Diritti e garanzie comuni dei dissenzienti nel concordato preventivo, negli adr e nel pro, in Nuove leggi civ.comm., 2024, p. 488. 
[23] 
V. Pinto, Il concordato preventivo nei centoventi anni della rivista del diritto commerciale, in Banca, borsa, tit.cred., 2024, I, p. 519; D’Alessandro, Efficienza e giustizia distributiva nelle procedure concorsuali, in Riv.dir.comm., 2018, I, p. 379. 
[24] 
Tuttora ritenuta da A. Nigro, Il ruolo e la portata dell’art. 2740 cod.civ., in La questione distributiva nel diritto della crisi e dell’insolvenza, a cura di Vattermoli, Pisa, 2023, p. 10 ss., la regola di sistema. 
[25] 
A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2023, p. 323. 
[26] 
A. Ravazzoni, Privilegi, in Digesto civ., XIV, Torino, 1996, p. 373. 
[27] 
La conservata distinzione fra creditori tempestivi e creditori tardivi nell’esecuzione singolare, sommata agli effetti della riforma del 2005-2006 con la quale è stata fortemente compressa l’area soggettiva degli interventi, ha generato una rilevante deviazione di tale procedura esecutiva dal principio della parità di trattamento, v. G. Tarzia, Par aut dispar condicio creditorum, in Riv. dir. proc., 2005, p. 2; B. Capponi, A. Storto, Prime considerazioni sul d.d.l. Castelli recante “Modifiche urgenti al codice di procedura civile”, in relazione al processo di esecuzione forzata, in Riv. esec. forz., 2001, p. 163, p. Sulla tendenzialità della par condicio nella procedura esecutiva, anche per effetto del nuovo regime degli interventi, Canale, sub art. 499, in Le recenti riforme del processo civile, diretto da Chiarloni, I, Torino, 2007, p. 684; A.M. Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2016, p. 600. 
[28] 
L’argomento dei crediti prededucibili è molto controverso; in giurisprudenza e in dottrina è decisamente prevalente la tesi che vuole riconoscere nel credito prededucibile un credito munito di preferenza ma diverso dal credito privilegiato. Il credito prededucibile, infatti, secondo la lezione corrente ha matrice processuale perché attiene al tempo dell’esecuzione [collettiva], come sarebbe dimostrato dal fatto che, nell’ipotesi di insufficienza del patrimonio del fallito, i crediti prededucibili vengono soddisfatti non già in proporzione, ma secondo il loro rango (chirografario o privilegiato), ciò dimostrando la non attinenza della fattispecie alla materia delle cause di prelazione. V. A. Cavalaglio, Prededuzione e pagamento per contanti dei crediti sorti durante le procedure concorsuali, in Dir.fall., 2005, I, p. 528; G. Minutoli, La distribuzione dell’attivo e il rendiconto, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, Milanofiori-Assago, 2016, p. 2354; A. Pisani Massamormile, La prededuzione ed i finanziamenti alle imprese in crisi, in Banca, borsa, tit.cred., 2015, I, p. 4; A. Patti, I privilegi, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 2003, p. 10; E. Marinucci, I crediti prededucibili nel fallimento, Padova, 1998, p. 185; G. Alessi, I debiti di massa nelle procedure concorsuali, Milano, 1987, p. 15; A. Vitale, I debiti della massa nel fallimento, Milano, 1975, p. 57; Cass civ., Sez.un., 31/12/2021 n. 42093, in Fall., 2022, p. 365-375; Cass. civ. 13/12/2019, n. 32997; Cass. civ., 11/06/2019, n. 15724; Cass., 20 dicembre 1990, n. 12075, in Fall., 1991, p. 670; Cass., 9 aprile 1984, n. 2268, in Foro it., 1984, I, c. 2802; Cass., 29 gennaio 1982, n. 569, in Fallimento, 1982, 564. Per una ampia confutazione di questa tesi v., però, M. Fabiani, Ricognizione rapsodica sulla prededuzione all’esito del completamento del ciclo di riforme, in Dirittodellacrisi.it; in senso sostanzialmente adesivo v., F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, Milano, 2023, p. 239; A. Farolfi, Spunti ricostruttivi sulla prededuzione nel nuovo Codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it. Condividono questa ultima interpretazione ma la contestano come soluzione “assurda”, A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2023, p. 71. 
[29] 
In verità, ancorché meno diffuse, sono molteplice le deroghe alla par condicio; si tratta di talune ‘preferenze’ accordate dal legislatore e che hanno una diversa ratio; sono le ipotesi di cui agli artt.189, 490, 499, 512, 514, 1416 del codice civile. 
[30] 
G. Tucci, Privilegi, in Enc. Giur., XXIV, Roma, 1991, p. 3; P. Rescigno, Obbligazioni (nozioni), in Enc. Dir., XXIV, Milano, 1979, p. 209. 
[31] 
Cfr., P.G. Jaeger, «Par condicio creditorum», in Giur. comm., 1984, I, p. 89, il quale citava il caso del contratto di leasing. Ed in effetti, la funzione di preferenza – come ricordato da J.M. Garrido, Preferenza e proporzionalità nella tutela del credito, Milano, 1998, p. 182 – la ritroviamo in molti istituti, dalla riserva di proprietà, alla compensazione, alla cessione dei crediti a scopo di garanzia. 
[32] 
R. Sacchi, Creditori privilegiati e soluzioni concordate della crisi, in La questione distributiva nel diritto della crisi e dell’insolvenza, a cura di D. Vattermoli, Pisa, 2023, p. 161. 
[33] 
Sui rapporti fra separazione patrimoniale e titoli di prelazione, v. A. Patti, I privilegi, cit., pp. 3, 5; F. Fimmanò, Patrimoni destinati e tutela dei creditori nella società per azioni, Milano, 2008, p. 44, il quale nel tracciare il tema della compartimentazione delle attività e dei rischi, pone a raffronto cause di prelazione, responsabilità patrimoniale e patrimoni destinati; M. Lupoi, Trust e riflessi sul sistema delle garanzie, in Fall., 2002, p. 939. Il tema è certamente oggi di particolare attualità ma giova ricordare come esso affondi le sue radici in altri e risalenti istituti del diritto civile (le separazioni patrimoniali in ambito ereditario), non a caso esaminati proprio da R. Nicolò, Del concorso dei creditori e delle cause di prelazione, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1955, p. 23, a proposito delle cause di prelazione; v., anche L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale. Disposizioni generali, in Il codice civile. Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1991, p. 95; V. Roppo, La responsabilità patrimoniale del debitore, in Tratt. Rescigno, XIX, Torino, 1985, p. 412. 
[34] 
L. Bigliazzi Geri, Patrimonio autonomo e separato, in Enc. Dir., XXXII, Milano, 1982, p. 292. 
[35] 
È il debitore, con le sue scelte a precostituire posizioni di vantaggio e di svantaggio fra creditori. 
[36] 
A. Ravazzoni, Privilegi, cit., p. 373; G. Tucci, Privilegi, in Enc. Giur., Roma, XXIV, 1991, p. 2; S. Ciccarello, Privilegio (dir. priv.), in Enciclopedia del diritto, XXXV, Milano, 1986, p. 724; Cass., 10 marzo 1980, n. 1584, in Foro it., 1980, I, c. 2528. 
[37] 
Così, persuasivamente, C. Ferri, Classi di creditori e poteri del giudice nel giudizio di omologazione del ‘‘nuovo’’ concordato preventivo, in Giur. comm., 2006, I, p. 562. 
[38] 
Così non occorre, neppure, scomodare il tema, invero scomodo (v. A. Ravazzoni, Privilegi, cit., p. 372) dei privilegi convenzionali, v. App. Catania, 10 settembre 1990, in Giur. comm., 1991, II, p. 612. Secondo la lettura prevalente (A. Ravazzoni, Privilegi, cit., p. 374; S. Ciccarello, Privilegio (dir. priv.), cit., p. 735; A. Patti, I privilegi, cit., p. 17; V. Andrioli, Dei privilegi, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1955, p. 60), alle parti è attribuita la facoltà di scelta se porre in essere taluni comportamenti, dai quali la legge fa discendere l’insorgenza del privilegio; in sostanza l’accordo fra le parti non ha effetti dispositivi ma rileva come condizione per il prodursi di una vicenda effettuale da correlarsi, sempre e comunque, alla causa del credito. Se questa è la nozione di privilegio convenzionale, la classe non sembra proprio potersi qualificare in questo modo. 
[39] 
Così, invece, G. Bozza, La facoltatività della formazione delle classi nel concordato preventivo, in Fall., 2009, p. 424. 
[38] 
Così non occorre, neppure, scomodare il tema, invero scomodo (v. A. Ravazzoni, Privilegi, cit., p. 372) dei privilegi convenzionali, v. App. Catania, 10 settembre 1990, in Giur. comm., 1991, II, p. 612. Secondo la lettura prevalente (A. Ravazzoni, Privilegi, cit., p. 374; S. Ciccarello, Privilegio (dir. priv.), cit., p. 735; A. Patti, I privilegi, cit., p. 17; V. Andrioli, Dei privilegi, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1955, p. 60), alle parti è attribuita la facoltà di scelta se porre in essere taluni comportamenti, dai quali la legge fa discendere l’insorgenza del privilegio; in sostanza l’accordo fra le parti non ha effetti dispositivi ma rileva come condizione per il prodursi di una vicenda effettuale da correlarsi, sempre e comunque, alla causa del credito. Se questa è la nozione di privilegio convenzionale, la classe non sembra proprio potersi qualificare in questo modo. 
[39] 
Così, invece, G. Bozza, La facoltatività della formazione delle classi nel concordato preventivo, in Fall., 2009, p. 424. 
[40] 
Mentre è noto che vi è anche una diversa lettura per la quale si può passare al grado successivo purché non vi sia un trattamento deteriore per i creditori di grado poziore, cfr., App. Torino, 14/10/2010, in Fall., 2011, p. 349. 
[41] 
Come esempio si può addurre quello dei lavoratori subordinati per i quali, in assenza di risorse per pagarli tutti per intero e in presenza, invece, di risorse esterne, possiamo immaginare un trattamento differenziato (quelli prossimi al pensionamento potrebbero ricevere qualcosa di più di quanto è attribuito ai lavoratori più giovani per i quali si prospetti una continuazione dell’attività d’impresa). 
[42] 
Va, qui, ribadita l’ammissibilità della composizione unitaria della singola classe; il tenore degli artt. 85, 87 e 240 CCII non ostacola questa ipotesi di lavoro perché di fronte a situazioni non omogenee la suddivisione in classi risponde alla esigenza, fondamentale, di creare le condizioni per un sindacato più penetrante da parte dei creditori dissenzienti, e nulla esclude che vi sia una posizione distinta da quella di tutte le altre, rispetto alla quale si imponga una classe con un solo creditore (v., L. Guglielmucci, sub artt. 124-141, in Codice del fallimento, a cura di G. Lo Cascio, Milano, 2008, p. 1213; in senso opposto P.F. Censoni, I diritti di prelazione nel concordato preventivo, in Giur.comm., 2009, I, p. 27, esclude che la classe sia unitaria perché così mancherebbe il presupposto della omogeneità, ma pare che la valutazione comparativa sulla omogeneità debba prospettarsi rispetto all’intero ceto creditorio). Se tale percorso è configurabile con riguardo ad un credito, seppure per paradosso, il ragionamento, portato alle estreme conseguenze, può condurre ad una segmentazione parcellizzata del ceto creditorio. 
[43] 
Per concorsualità dobbiamo intendere, come prima rammentato, il sistema che regola l’insolvenza di un debitore ed i suoi rapporti con i creditori. È un sistema informato ad offrire un insieme di regole essenzialmente processuali e rispetto ad esso, può essere coerente, ma non indispensabile, il principio della par condicio creditorum, che è regola di diritto sostanziale, cfr., V. Colesanti, Mito e realtà della «par condicio», in Fall., 1984, p. 36; L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale, cit., p. 33; A. Bonsignori, Fallimento, in Digesto civ., V, Torino, 1990, p. 378; più di recente, D. Galletti, Il concorso nel fallimento, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, Milanofiori-Assago, 2016, p. 1252; V. De Sensi, La concorsualità nella gestione della crisi di impresa, Roma, 2009, p. 195; Bassi, Lezioni di diritto fallimentare, Bologna, 2009, p. 29; M. Fabiani, Il concorso dei creditori dopo il codice della crisi, in Fall., 2023, p. 1017; A. Nigro, La disciplina delle crisi patrimoniali delle imprese, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, Torino, 2012, p. 251; D. Vattermoli, Crediti subordinati e concorso tra creditori, Milano, 2012, p. 46; F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., p. 208.
[44] 
E. F. Ricci, La procedura di soluzione della crisi, in Crisi d’impresa e riforma della legge fallimentare, a cura di Piccininni, Santaroni, Roma, 2002, p. 39. Sulla residualità della par condicio anche nel fallimento, v. Libonati, Prospettive di riforma sulla crisi d’impresa, in Giur. comm., 2001, I, p. 334; A. Jorio, Le procedure concorsuali tra tutela del credito e salvaguardia dei complessi produttivi, in Giur. comm., 1994, I, p. 500; P.G. Jaeger, «Par condicio creditorum», cit., p. 88, ad avviso del quale, nei fatti, il principio tradizionale assume una portata residuale, applicabile sol quando non vi siano situazioni di diseguaglianza espressamente rilevate dal legislatore; nello stesso senso, G. Alpa, I principi generali, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 1993, p. 409. 
[45] 
L.A. Bottai, Il pagamento di debiti anteriori tra regole di efficienza e incalcolabilità del diritto, in Fall., 2017, p. 225; G. D’Attorre, Concordato con continuità ed ordine delle cause di prelazione, in Giur. comm., 2016, I, p. 39; Falagiani, Il pagamento autorizzato di debiti anteriori nel concordato preventivo - Il nuovo art. 182 quinquies, 4º comma, l.fall., in Fall., 2014, p. 827. 
[46] 
C. Ferri, Classi di creditori e poteri del giudice nel giudizio di omologazione del ‘‘nuovo’’ concordato preventivo, cit., p. 562. 
[47] 
Dubbi di legittimità costituzionale sono espressi da G. Tarzia, La tutela dei creditori concorsuali dopo la riforma: ridotta o diversa?, in Fall., 2007, p. 373. Per una diretta inerenza delle cause di prelazione al principio di eguaglianza sostanziale, come stabilito nella Costituzione, v. M. Miglietta, F. Prandi, I privilegi, Torino, 1995, p. 13; F. Del Vecchio, I privilegi nella legislazione civile, fallimentare e speciale, Milano, 1994, p. 9; A. Patti, I privilegi, cit., p. 32; L. Abete, Tipicità delle cause di prelazione e strumenti di formazione dei privilegi fattuali, in Fall., 2008, p. 1008. Pur non ritenendo che la par condicio discenda direttamente dalla Costituzione, A. Ravazzoni, Privilegi, cit., p. 273, osserva che il principio della parità di trattamento è perfettamente aderente allo spirito dell’art. 3 Cost.; che si tratti, comunque, di un principio sovraordinato alle norme di diritto positivo è affermato anche da Breccia, Le obbligazioni, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 1991, p. 61; per v. G. Tarzia, Par aut dispar condicio creditorum, cit., p. 9, la questione della rilevanza costituzionale del principio di parità di trattamento, effettivamente si pone quanto meno in occasione delle distribuzioni satisfattive, perché a quel punto nessuna deroga è più consentita; in senso opposto, V. De Sensi, Convenzioni stragiudiziali per il salvataggio delle imprese e patti parasociali, in Dir. fall., 2005, I, p. 58. 
[48] 
Cfr., D’Amelio, Tutela dei diritti, in Commentario D’Amelio, Firenze, 1943, p. 439; Colesanti, Mito e realtà della «par condicio», cit., 46. Una conferma della preesistenza della par condicio alle regole di tecnica normativa, la si può trarre dal fatto che il principio, considerato di ‘civiltà’, è presente nella gran parte degli ordinamenti giuridici (a partire dalla norma ‘ascendente’ dell’art. 2093 del Code Napoleon), ma la sua attualità è controversa, v., F. Macario, Insolvenza, crisi d’impresa e autonomia contrattuale., in Riv. società, 2008, p. 104. 
[49] 
S. Ciccarello, Privilegio del credito e uguaglianza dei creditori, cit., p. 15. 
[50] 
Le classi sono viste come una deroga alla par condicio creditorum da Trib. Padova, 16/05/2011, in Fall., 2012, p. 219; Trib. Roma, 20/04/2010, in Dir. fall., 2011, II, p. 297. 
[51] 
O. De Cicco, Procedure concorsuali e par condivio creditorum: la protezione dei creditori tra parità e ragionevolezza, in Riv.dir.impr., 2011, p. 349; L. Cristini, V. Cristini, La formazione delle classi nel concordato preventivo: criticità de iure condito e prospettive de iure condendo, in Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2021, p. 57; ma in senso opposto v., G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie tra absolute e relative priority rule, Torino, 2023, p. 167; L. Panzani, Ambito di applicazione e definizioni, cit., p. 12. 
[52] 
Così, P. Schlesinger, L’eguale diritto dei creditori di essere soddisfatti sui beni del debitore, in Riv. dir. proc., 1995, p. 330, ad avviso del quale il principio di eguale trattamento è solo una regola applicativa che può essere invocata, senza enfasi, quando appaia la soluzione più ragionevole; sulla stessa linea, V. Andrioli, Fallimento e atti che limitano la disponibilità dei beni, in Riv. dir. proc., 1961, p. 569; G. Tarzia, Par aut dispar condicio creditorum, cit., p. 6; L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale, cit., p. 89; E. Migliaccio, Parità di trattamento e concorso tra creditori, cit., p. 70; al lume del codice e della riforma G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2024, p. 15 ritiene che il principio – pur indebolito - sia ancora connaturato alle ragioni del concorso. 
[53] 
G. Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, in Dir. fall., 2006, I, p. 320; R. Rordorf, Le procedure concorsuali e la «par condicio» fra diritto positivo, usi alternativi e prospettive di riforma, in Fallimento, 1989, p. 691. 
[54] 
Cass. civ., 16/04/2018, n. 9378, in Fall., 2018, p. 1415. 
[55] 
G. Lo Cascio, Le nuove procedure di crisi: natura negoziale o pubblicistica?, in Fall., 2008, p. 998. 
[56] 
Per simili valutazioni, L. Guglielmucci, sub artt. 124-141, cit., p. 1210. 
[57] 
In questo senso, pare, G.U. Tedeschi, Piano di risanamento e concordato nell’amministrazione straordinaria speciale, in Dir. fall., 2005, I, p. 755; L. Abete, Tipicità delle cause di prelazione, cit., p. 1006. 
[58] 
M. Fabiani, La giustificazione delle classi nei concordati e il superamento della par condicio creditorum, in Riv.dir.civ., 2009, II, p. 711. 
[59] 
Stanghellini, sub art. 124, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, Bologna, 2006-2007, p. 1966, suggerisce tre ipotesi di lavoro per dimostrare quanto ampia può essere la deroga al principio della parità di trattamento e assume come, ovviamente, la distinzione nella soddisfazione dei creditori, può essere sostanziale e non meramente formale, come accadrebbe se alcuni creditori fossero remunerati subito al 20% e altri al 25% ma in un tempo più lungo. 
[60] 
A. Patti, I privilegi, cit., p. 22. 
[61] 
G.P. Gaetano, I privilegi, Torino, 1949, p. 49; S. Ciccarello, Privilegio del credito e uguaglianza dei creditori, cit., p. 12; R. Niccolò, Della responsabilità patrimoniale, delle cause di prelazione e della conservazione della garanzia patrimoniale, cit., p. 25. 
[62] 
Ad esempio, P. Catallozzi, La falcidia concordataria dei creditori assistiti da prelazione, in Fall., 2008, p. 1016, parla di affievolimento della tutela dei singoli creditori e di collettivizzazione dell’esercizio di alcuni diritti. 
[63] 
App. Firenze, 16/06/1998, in Riv. dir. comm., 1999, II, p. 311; Trib. Firenze, 09/06/1997, in Riv. dir. comm., 1999, II, p. 311; Trib. Napoli, 23/11/1992, in Dir. fall., 1993, II, p. 1166; App. Trieste, 13/05/1986, in Fall., 1987, p. 398; Trib. Padova, 05/05/1986, in Fall., 1987, p. 73; Trib. Pordenone, 18/10/1984, in Fall., 1985, p. 1057. 
[64] 
L. Guglielmucci, sub artt. 124-141, cit., p. 1216; L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale, cit., p. 133; Trib. Milano, 26 ottobre 1989, in Fallimento, 1990, 624. Si può intendere la postergazione come una garanzia atipica – v., Trib. Roma, 14/03/1991, in Dir. fall., 1991, II, p. 1001 – ma certo non una causa di prelazione. Può qui trovare condivisione la riflessione di A. Ravazzoni, Privilegi, cit., p. 373, secondo la quale i creditori sono liberi di posporre il soddisfacimento del loro credito ad altro credito, ponendo in essere un regolamento di interessi che in relazione alle specifiche circostanze del caso; questo tipo di regolamento di interessi, che di regola non produce effetti verso i terzi, se non quelli favorevoli (cioè la posposizione), nel concordato assume un valore vincolante. 
[65] 
La ratio negoziale della postergazione volontaria la si trova affermata in Cass., 10/07/1991, n. 7674, in Riv. giur. edilizia, 1992, I, p. 41; Trib. Reggio Emilia, 29/01/1998, in Dir. fall., 1998, II, p. 992; Trib. Padova, 05/05/1986, in Fall., 1987, p. 73. Infatti, di postergazione non si poteva parlare nel fallimento, in mancanza di una spontanea accettazione della degradazione del credito, v. Cass., 22/03/2000, n. 3363, in Dir. e giustizia, 2000, fasc. 12, p. 59. 
[66] 
L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale, cit., p. 134. Sul rapporto fra postergazione e per condicio, e in particolare sul tema della rinuncia alla concorsualità, v., G. Bozza, La proposta di concordato fallimentare, in Fall., 1989, p. 135; G.F. Campobasso, I prestiti postergati nel diritto italiano, in Giur. comm., 1983, I, p. 133; M. Pizzigati, Postergazione di credito come garanzia nel concordato fallimentare, in Giur. comm., 1977, II, p. 284. Sulla postergazione volontaria nel concorso v., M. Centonze, Postergazione volontaria e concordato preventivo: il problema distributivo (spunti da un caso concreto), in Dir.fall., 2024, p. 500. 
[67] 
Alle stesse conclusioni perviene, L. Guglielmucci, sub artt. 124-141, cit., p. 1210. 
[68] 
Nella sostanza, assistiamo ad un fenomeno di postergazione collettiva, accettata a maggioranza. In questa direzione si muove Cass., 4 febbraio 2009, n. 2706, nella parte in cui afferma che la maggioranza [delle classi e dei creditori] può stabilire e accettare che un credito postergato – era quello dei soci ex art. 2467 c.c. nel caso di specie – possa stare sul livello degli altri se così lo dispone la volontà dei creditori espressa a maggioranza. 
[69] 
M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, Piacenza-Roma, 2024, p. 207; in termini parzialmente simili, V. Pinto, Il concordato preventivo nei centoventi anni della rivista del diritto commerciale, cit., p. 535; G. Ferri jr., Ristrutturazione dei debiti e partecipazioni sociali, in Riv.dir.comm., 2006, I, p. 752; di interessi di sistema parla L. Pecorella, Le classi come tecnica di distribuzione nel concordato in continuità tra dimensione “orizzontale” e “verticale”. Una prospettiva applicativa, in Dirittodellacrisi.it, p. 5. È questa una finalità ben evidente ma se le domande di concordato sono in numero grandemente inferiore rispetto al passato, la ragione non è data dalla inutilità dello strumento (così, invece, V. Di Cataldo, Concordati e procedure alternative. Quale futuro?, in Giur.comm., 2024, I, p. 500), quanto dalla oggettiva complessità del regime disciplinare (M. Spiotta, Evoluzione del diritto concorsuale e modello concordatario: unitarietà o pluralità?, in Fall., 2023, p. 881). 
[70] 
L. Sicignano, L’assenza di pregiudizio e il rischio di insuccesso nei piani concordatari, in Banca, borsa, tit.cred., 2024, I, p. 145; S. Ambrosini, Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano: gli interessi protetti e lo “statuto” della continuità aziendale in Dir.fall., 2024, p. 451. 
[71] 
G. D’Attorre, Dal principio di maggioranza al principio di minoranza, in Fall, 2023, p. 301; M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualita' concordataria, in Fall., 2022, p. 1495. 
[72] 
Anche se per ragioni diverse da quelle enunciate da F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., p. 230. 
[73] 
L. Pecorella, Le classi come tecnica di distribuzione nel concordato in continuità tra dimensione “orizzontale” e “verticale”. Una prospettiva applicativa, cit., p. 10; M. Fabiani, Appunti sulla responsabilità patrimoniale “dinamica” e sulla de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria, Bologna, 2017, p. 48. 
[74] 
L’art. 124 così stabiliva: “La proposta può prevedere: a) la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei;”. L’art. 160, a sua volta, prevedeva: “L'imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere: c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei”. 
[75] 
Cass. civ., 04/07/2014, n. 15345, in Fall., 2015, p. 165. A ciò, quindi, non era abilitato il creditore dissenziente di classe consenziente, v., Cass. civ., 29/11/2016 n. 24298; Trib. Novara, 14/06/2013, in Foro pad. 2013, I, p. 484; App. Genova, 23/12/2011, in Fall. 2012, p. 437. 
[76] 
R. Sacchi, Concordato preventivo, conflitti di interessi fra creditori e sindacato dell’Autorità giudiziaria, in Fallimento, Suppl. 1/2009, p. 30; G. D’Attorre, Il conflitto d’interessi fra creditori nei concordati, in Giur.comm., 2010, I, p. 419; M. Fabiani, Brevi riflessioni su omogeneità degli interessi ed obbligatorietà delle classi nei concordati, in Fall., 2009, p. 437. 
[77] 
Trib. Biella, 27 aprile 2009, in ilcaso.it; Trib. Monza, 7 aprile 2009, in ilcaso.it; Trib. Milano, 04/12/2008, in Fall., 2009, p. 437. 
[78] 
Corte cost., ord. 12/03/2010, n. 98, in Foro it. 2010, I, c. 1059; Trib. Milano, 19/072011, Foro it., Rep. 2012, voce Concordato preventivo, n. 165; App. Torino, 27/01/2010, id., Rep. 2011, voce cit., n. 171; per l’analoga situazione nel concordato fallimentare v., Cass., 10/02/2011, n. 3274, in Foro it., 2011, I, c. 2095; D. Galletti, Classi obbligatorie? No, grazie!, in Giur. comm., 2010, II, p. 343; P.F. Censoni, Il controllo giudiziale sull’ammissibilità della domanda di concordato preventivo e sulla formazione delle classi, in Fall., 2010, p. 328; S. Ambrosini, Autonomia negoziale e controllo giudiziale nel concordato preventivo, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di F. Di Marzio e F. Macario, Milano, 2010, p. 542. 
[79] 
M. Arato, Il concordato preventivo, cit. Eppure, ancora, si postula che in linea di principio la classificazione tra creditori sia meramente facoltativa, v., S. Ambrosini, sub art. 85, cit., p. 501; L. Cristini, V. Cristini, La formazione delle classi nel concordato preventivo: criticità de iure condito e prospettive de iure condendo, in Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2021, p. 79. 
[80] 
L. Panzani, Ambito di applicazione e definizioni, cit., p. 11. 
[81] 
F. Santangeli, M. Spadaro, sub art. 85, cit., p. 557; V. Pinto, R. Sacchi, Diritti e garanzie comuni dei dissenzienti nel concordato preventivo, negli adr e nel pro, in Nuove leggi civ.comm., 2024, p. 486. 
[82] 
A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., p. 387. 
[83] 
F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., p. 226. 
[84] 
V. Zanichelli, La nuova disciplina del concordato preventivo, Molfetta, 2019, p. 34. 
[85] 
Cass., Sez. un., 28/06/2018, n. 17186, Foro it., 2018, I, c. 4020. 
[86] 
G. Bozza, Quer pasticciaccio brutto del voto nelle proposte plurime di concordato, in Dirittodellacrisi.it., p. 12. 
[87] 
M. Aiello, Le nuove proposte e offerte concorrenti, in ristrutturazioniaziendali.it., p. 74 
[88] 
R. Brogi, I soci e gli strumenti di regolazione della crisi, in Fall., 2022, p. 1294. 
[89] 
Per R. Rordorf, I soci di società in crisi, in Società, 2023, p. 1142, tale previsione deriva da un processo di assimilazione dei soci ai creditori quali residual claimants; M.S. Spolidoro, I soci dopo l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi, in Riv.soc., 2022, p. 1264. 
[90] 
M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo delle società, in Banca, borsa, tit.cred., 2023, I, p. 176; V. Pinto, Il concordato preventivo nei centoventi anni della rivista del diritto commerciale, cit., p. 539; G. Fauceglia, Le proposte concorrenti dei soci, in Fall., 2024, p. 902. 
[91] 
Ma sul fatto che il criterio dell’incidenza sui diritti dei soci sia sfuggente v., R. Rordorf, I soci di società in crisi, cit., p. 1142. 
[92] 
E. Ricciardiello, I lineamenti del nuovo concordato preventivo, in Dir.fall., 2022, p. 1148; in senso critico rispetto a questa previsione v., N. de Luca, M. Senese, I soci nel concordato delle società, in Crisi e insolvenza dopo il Correttivo ter, Commentario diretto da M. Irrera, S.A. Cerrato, Bologna, 2024, p. 1977. 
[93] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 176; M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo delle società, cit., 177; R. Brogi, I soci e gli strumenti di regolazione della crisi, cit., p. 1297. 
[94] 
M. Perrino, Il concordato con attribuzioni ai soci, in Analisi giur.econ., 2023, p. 244; N. de Luca, M. Senese, I soci nel concordato delle società, cit., p. 1975; A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in Società, 2022, p. 955. 
[95] 
S. D’Orsi, sub art. 120 ter, in Il codice della crisi, Commentario a cura di P. Valensise, G. Di Cecco, D. Spagnuolo, Torino, 2004, p. 713. 
[96] 
R. Brogi, I soci e gli strumenti di regolazione della crisi, cit., p. 1296. 
[97] 
M. Fabiani, A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, in Fall., 2024, p. 605; P. Benazzo, Il codice della crisi e il nuovo correttivo: il punto (storico e prospettico) sul diritto societario della crisi, in Proc.conc., 2025, p. 100; N. Michieli, Il ruolo dell’assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell’impresa in crisi alla luce del d.lgs. n. 83/2022, in Riv.soc., 2022, p. 864; R. Rordorf, I soci di società in crisi, cit., p. 1143; S. Rossetti, Appunti sul classamento dei creditori nel concordato in continuità, in Dirittodellacrisi.it, p. 3. 
[98] 
A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., p. 954. 
[99] 
In termini simili, G. Fauceglia, Le proposte concorrenti dei soci, cit., p. 911. 
[100] 
M. S. Spolidoro, I soci dopo l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi, cit., p. 1263; L. Cristini, V. Cristini, La formazione delle classi nel concordato preventivo: criticità de iure condito e prospettive de iure condendo, in Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2021, p. 63; N. Michieli, Il ruolo dell’assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell’impresa in crisi alla luce del d.lgs. n. 83/2022, cit., p. 865; nel regime previgente, Cass. civ., 21/06/2018 n. 16348, per la legittima costituzione della classe dei creditori postergati; Trib Padova, 14/04/2011, in Foro pad. 2012, I, p. 139; Trib. Firenze, 26/04/2010, in Fall., 2010, p. 1427; Trib., Messina, 04/03/2009, in Fall., 2009, p. 795; Trib., Milano, 08/06/2006, in Fall., 2006, p. 1420. 
[101] 
In questo caso il creditore esprime un doppio voto dovendo essere collocato in classi distinte, v. S. Rossetti, Appunti sul classamento dei creditori nel concordato in continuità, in Dirittodellacrisi.it, p. 4; ci pare in senso contrario, S. Ambrosini, Classi di creditori, moratoria dei privilegiati e contenuti del piano nel nuovo concordato preventivo, in Dir.fall., 2023, p. 241. 
[102] 
Sulla classe delle imprese “minori” v., Trib. Vicenza, 28 settembre 2023, in Dirittodellacrisi.it
[103] 
Trib. Benevento, 14/04/2021, in Dirittodellacrisi.it; S. Ambrosini, sub art. 85, cit., p. 505; G. Terranova, L’autonomia del diritto concorsuale, Torino, 2016, p. 144; F. Santangeli, M. Cortese, sub art. 109, in Il codice della crisi, a cura di F. Santangeli, Milano, 2023, p. 740. Sul fatto che i creditori postergati non siano parti interessate vi è contrasto: da una parte (A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., p. 389) si assume che nei concordati in continuità, in virtù del principio della priorità relativa, anche i creditori postergati possono essere destinatari del plusvalore pur in assenza del pagamento integrale dei creditori poziori, mentre dall’altra (M. Centonze, Postergazione volontaria e concordato preventivo: il problema distributivo (spunti da un caso concreto), cit., p. 501), si postula che se la postergazione incide sulla esigibilità del credito, il credito resta comunque inesigibile sino al soddisfacimento integrale dei creditori poziori, pur se, poi, l’Autore condivide l’accesso al voto di tali creditori perché titolari di interessi diversi da quelli correlati al soddisfacimento. 
[104] 
G. Buccarella, Concordato nel corso della liquidazione giudiziale, in Crisi e insolvenza dopo il Correttivo ter, cit., p. 2606. 
[105] 
Trib. Ascoli Piceno, 04/03/2011, in Dir. e lav. Marche 2011, p. 107. 
[106] 
M. Arato, Il concordato preventivo, cit.; L. Panzani, Ambito di applicazione e definizioni, cit., p. 12.
[107] 
S. Ambrosini, sub art. 85, cit., p. 502, osserva che, se è ben possibile che in più classi i trattamenti possano essere uguali, esclude che il trattamento uguale possa valere per tutte le classi. 
[108] 
G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie tra absolute e relative priority rule, cit., p. 169.
[109] 
Si tratta dei crediti assistiti dal privilegio di cui all’art. 2751 bis n. 1) c.c. che hanno diritto al trattamento preferenziale secondo l’absolute priority rule anche sul valore eccedente quello di liquidazione.
[110] 
Trib. Busto Arsizio, 23 maggio 2024, in Fall., 2024, p. 1566 e App. Milano, 8 novembre 2024, ined., che rappresenta la decisione sul reclamo; G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie tra absolute e relative priority rule, cit., p. 319; F. Rolfi, Ristrutturazione trasversale e principio di non discriminazione: todos caballeros?, in Fall., 2024, p. 1578; in senso opposto, Trib. Bari, 09/01/ 2024, in Dirittodellacrisi.it.
[111] 
In senso diverso, L. Pecorella, Le classi come tecnica di distribuzione nel concordato in continuità tra dimensione “orizzontale” e “verticale”. Una prospettiva applicativa, cit., p. 25.
[112] 
G. Ballerini, Le riorganizzazioni societarie tra absolute e relative priority rule, Torino, 2023, p. 167.
[113] 
Va qui subito chiarito che nella prospettiva di questo contributo risulta del tutto neutrale come questa classe debba essere composta, se debbano essere creditori svantaggiati (Trib Napoli Nord, 4 giugno 2024, in Quaderni di ristrutturazioni aziendali, 2024, fasc. 2, p. 84; Trib. Spoleto, 29/12/2023, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Bergamo, 11 aprile 2023, in Fall., 2023, p. 791; G. Bozza, La tutela dei creditori nel concordato in continuità, in Dirittodellacrisi.it, p. 22), creditori interessati al c.d. sostegno minimo (I. Donati, Il requisito del “sostegno minimo” dei creditori per l’omologazione del concordato in continuità: una prima (errata) applicazione dell’art. 112, comma 2, lett. d) CCII in Fall., 2023, p. 796; G. D’Attorre, Classi “interessate” e classi “maltrattate” nella ristrutturazione trasversale, in Dirittodellacrisi.it, p. 6; Trib. Ferrara, 11 dicembre 2024, in Dirittodellacrisi.it), o creditori non remunerati per l’intero. 
[114] 
F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., p. 572; Cass. civ., 25/05/2016 n. 10819.
[115] 
G. Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2021, p. 111.
[116] 
Cass. civ., 04/02/2020 n. 2424.
[117] 
F. Del Rosso - G. Trisorio Liuzzi, Il concordato preventivo, in Diritto della crisi d’impresa, a cura di G. Trisorio Liuzzi, Bari, 2023, p. 287; F. Santangeli, M. Cortese, sub art. 107, in Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2023, p. 738; M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità sistematizzata postmoderna, in Fall., 2022, p. 1488; G. D’Attorre, I principi generali, in La crisi d’impresa nel nuovo codice: problemi e prospettive, a cura di F. Barachini, Torino, 2024, p. 31; S. Rossetti, Appunti sul classamento dei creditori nel concordato in continuità, in Dirittodellacrisi.it, p. 3.
[118] 
In senso opposto G. Bozza, La tutela dei creditori nel concordato in continuità, cit., p. 11, ad avviso del quale una maggioranza fondata sui votanti non è una maggioranza, ma se così fosse tutte le consultazioni elettorali sarebbero espressione di una minoranza perché si contano solo gli elettori votanti.
[119] 
Si pone, ancora, il tema della valorizzazione del voto, ai fini del conseguimento delle maggioranze, quando vengano formate classi dei soci. Sebbene possa apparire bizzarro, l’effetto del voto è diverso a seconda che sia un voto positivo o negativo. Se la classe dei soci esprime un voto sfavorevole, deve escludersi che il concordato possa reputarsi approvato da tutte le classi (N. Michieli, Il ruolo dell’assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell’impresa in crisi alla luce del d.lgs. N. 83/2022, cit., p. 866) e questo apre le porte al meccanismo della ristrutturazione trasversale (G. Scognamiglio, F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, in Nuovo dir.soc., 2022, p. 1184); se, invece, la classe esprime un voto favorevole ciò non consente di rendere applicabile la regola della ristrutturazione trasversale nel senso che la classe dei soci non è una classe di creditori interessati e non è una classe di creditori privilegiati; pertanto, il voto favorevole della sola classe dei soci non consente l’omologazione del concordato. Resta, forse, il dubbio se il voto favorevole possa rilevare per computare la classe tra quelle che esprimono il consenso e ciò al fine di costituire la maggioranza: il fatto che si parli solo di classe e non di classe di creditori può far propendere per la soluzione per cui il voto può essere conteggiato; in questo senso v., A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, cit., p. 958; per considerazioni simili a quelle del testo, v., N. Michieli, Il ruolo dell’assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell’impresa in crisi alla luce del d.lgs. n. 83/2022, cit., p. 866.
[120] 
In senso opposto G. Bozza, La tutela dei creditori nel concordato in continuità, cit., p. 19.
[121] 
S. Leuzzi, L’omologazione del concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, p. 11; G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale, in Dirittodellacrisi.it, p. 6.
[122] 
 Sul tema delle classi v. F. Rolfi, Sui criteri di formazione delle classi nel concordato preventivo, in Fall., 2018, p. 415. 
[123] 
Trib. Palermo, 17/02/2006, in Fall. 2006, p. 570; Trib. Firenze, 23/11/2005, in Foro toscano-Toscana giur. 2006, p. 59.
[124] 
M. Arato, Il concordato preventivo, cit.; S. Rossetti, Appunti sul classamento dei creditori nel concordato in continuità, in Dirittodellacrisi.it, p. 7. In senso contrario per il concordato nella liquidazione giudiziale, G. Buccarella, Concordato nel corso della liquidazione giudiziale, cit., p. 2637. 
[125] 
A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., p. 387. È anche questo un controllo di legittimità, v., E. Ricciardiello, I lineamenti del nuovo concordato preventivo, cit., p. 1153; Trib. Piacenza, 01/09/2011, in Fall., 2012, p. 1377.
[126] 
F. Santangeli, M. Spadaro, sub art. 85, cit., p. 558. Ma, in senso dubitativo, v., S. Ambrosini, sub art. 85, cit., p. 505; L. Panzani, Ambito di applicazione e definizioni, cit., p. 14.
[127] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 150; in senso diverso, ci pare, A. Nigro - D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., p. 442, ad avviso dei quali la regola da applicare sarebbe uguale a quella prevista nel concordato successivo alla liquidazione giudiziale; S. Ambrosini, sub art. 85, cit., p. 506.
[128] 
Trib. Napoli, 21 febbraio 2024, in Dirittodellacrisi.it.
[129] 
Trib. Milano, 19/07/2011, in Dir. fall., 2012, II, p. 387. 
[130] 
Tuttavia, secondo, G, Buccarella, Concordato nel corso della liquidazione giudiziale, cit., p. 2606, il controllo officioso sarebbe disinnescato dall’assenza di opposizioni, il che mal si concilia con il principio del controllo di legittimità anche sulla formazione delle classi quale mezzo di verifica della genuinità della votazione.
[131] 
Cass. civ., 16/04/2018 n. 9378.
[132] 
M. Sciuto, La classificazione dei creditori nel concordato preventivo (un’analisi comparatistica), in Giur comm., 2007, p. 569. 
[133] 
M. Arato, Il concordato preventivo, in O. Cagnasso – L. Panzani (diretto da), Crisi d'impresa e procedure concorsuali, III, Milano, 2016, p. 3499. 
[134] 
L. Pecorella, Le classi come tecnica di distribuzione nel concordato in continuità tra dimensione “orizzontale” e “verticale”. Una prospettiva applicativa, cit., p. 20. 
[135] 
L. Pecorella, Le classi come tecnica di distribuzione nel concordato in continuità tra dimensione “orizzontale” e “verticale”. Una prospettiva applicativa, cit. p. 6.
[136] 
Per la nomenclatura delle procedure concorsuali, ci si permette di rinviare a M. Fabiani, Concordato preventivo, in Commentario Scialoja-Branca al codice civile, Bologna, 2014, p. 76.
[137] 
Sia consentito rinviare a M. Fabiani, Il concordato fallimentare, in F. Vassalli - F.P. Luiso – E. Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, II, Torino, 2014, p. 990.
[138] 
L. Desiderio, La liquidazione coatta amministrativa delle aziende di credito, Milano, 1981, p. 419; contra, G. Bucarella, Il concordato fallimentare, coattivo e straordinario, Milano, 2016, p. 441.
[139] 
Cfr., Relazione al re n. 46; S. Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1996, p. 564. 
[140] 
E. Bran, La cessazione della procedura: conversione, chiusura e concordato, in C. Costa (diretto da), L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, Milanofiori-Assago, 2008, p. 656; V. Zanichelli, I concordati giudiziali, cit., p. 518. 
[141] 
G. Bucarella, Il concordato fallimentare, coattivo e straordinario, cit., p. 369.
[142] 
G. Bucarella, Il concordato fallimentare, coattivo e straordinario, cit., p. 361, 442.
[143] 
F. Ghignone, sub art. 78, in A. Maffei Alberti (a cura di), Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, p. 1874. 
[144] 
Tuttavia, va segnalato che per V. Zanichelli, I concordati giudiziali, cit., p. 532, è dubitabile che nella l.c.a. si possano formare le classi visto che i creditori non votano.
[145] 
V., P. Beltrami, sub art. 78, in A. Castagnola, R. Sacchi (a cura di), La nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, Torino, 2000, p. 412; G. Lo Cascio, Commentario alla legge sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, Milanofiori-Assago, 2000, p. 417.
[146] 
Cass., 19 settembre 2006, n. 20259, in Fall., 2007, p. 11. 
[147] 
F. Di Marzio, F. Macario, Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, in A. Jorio, B. Sassani (diretto da), Trattato delle procedure concorsuali, V, Milano, 2017, p. 730; V. Giorgi, sub art. 214, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da C. Cavallini, III, Milano, 2010, p. 1106; G. Bucarella, Il concordato fallimentare, coattivo e straordinario, cit., p. 378; S. Ambrosini, L’amministrazione straordinaria, in O. Cagnasso, L. Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, III, Milanofiori-Assago, 2016, p. 4108; F. Ghignone, Sub art. 78, cit., p. 1873; V. Zanichelli, L’amministrazione straordinaria, in G. Fauceglia. L. Panzani (diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, Milanofiori-Assago, 2009, p. 2063; F. Fimmanò, Il concordato straordinario, in Giur. comm., 2008, I, p. 982; F. Tomasso, La riforma del concordato nella liquidazione coatta amministrativa e nell’amministrazione straordinaria, in Fall., 2008, p. 118.
[148] 
G. Vona, Le amministrazioni straordinarie, in A. Caiafa, S. Romeo (a cura di), Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Padova, 2014, p. 495. Nell’Opera La legge fallimentare, Milanofiori-Assago, 2014, sub art. 214, a cura di M. Ferro, è riportata una opinione dubitativa di C. Blatti.
[149] 
A. Di Iulio, Il nuovo concordato coattivo, in Trattato Ghia-Piccininni-Severini, 5, Torino, 2010, p. 759.
[150] 
V., in termini, G. Bucarella, Il concordato fallimentare, coattivo e straordinario, cit., p. 452; E. Bran, La cessazione della procedura: conversione, chiusura e concordato, cit., p. 660; M. Giorgetti, La liquidazione coatta amministrativa, in A. Jorio, B. Sassani (diretto da), Trattato delle procedure concorsuali, IV, Milano, 2016, p. 448; contra, V. Zanichelli, I concordati giudiziali, cit., p. 577, il quale tuttavia è di opposto parere (e cioè a favore del giudizio di convenienza) nel concordato coattivo. 
[151] 
In senso dubitativo, però, P. Beltrami, sub art. 4 bis, in A. Castagnola, R. Sacchi (a cura di), La legge Marzano, Torino, 2006, 204.
[152] 
L. Pecorella, Le classi come tecnica di distribuzione nel concordato in continuità tra dimensione “orizzontale” e “verticale”. Una prospettiva applicativa, cit., p. 6.
[153] 
Ristrutturazione trasversale e principio di non discriminazione: todos caballeros?, cit., 1581.

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