Saggio
Spunti ricostruttivi sulla prededuzione nel nuovo Codice della crisi*
Alessandro Farolfi, Giudice addetto all'Ufficio del Massimario e del Ruolo presso la Corte di Cassazione
10 Gennaio 2023
*Lo scritto costituisce la rielaborazione della relazione tenuta dall’A. al convegno dal titolo “Il soddisfacimento dei creditori nelle procedure di composizione della crisi d’impresa”, tenutosi a Reggio Emilia il 28 ottobre 2022, coordinato scientificamente da S. Bonfatti.
Cambia dimensione testo
Sommario:
Come è noto, nella legge fallimentare modificata dalla riforma apportata dai D.Lgs. n. 5/2006 n. 169/2007[3] vi era una disposizione di carattere generale, collocata nella parte relativa alla ripartizione dell’attivo, rappresentata dall’art. 111, comma 2, L. fall., secondo cui “sono considerati crediti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge; tali debiti sono soddisfatti con preferenza ai sensi del primo comma n. 1)”[4]. Questo comportava la possibile ricostruzione, in termini generali e necessariamente schematici, di almeno tre diversi ordini di prededuzioni[5]:
a) quelle c.d. “tipiche”, ossia previste da specifiche disposizioni di legge (ad es. l’indennizzo dovuto dalla curatela in caso di scioglimento dal contratto di affitto d’azienda ex art. 79 L. fall. o l’analogo indennizzo dovuto in caso di scioglimento dal contratto di locazione ex art 80 L. fall.; i crediti sorti nel corso dell’esercizio provvisorio ex art. 104 L. fall., ecc…);
Questa sistemazione è in qualche modo divenuta insufficiente, o comunque oggetto di tensioni evolutive, alla luce delle più recenti modifiche alle disposizioni in tema di concordato.
Da un lato, è sorta una nuova categoria di prededuzioni collegate alla prosecuzione ordinaria dell’attività di impresa nel corso del concordato c.d. prenotativo (crediti di terzi sorti per atti “legalmente compiuti” dal debitore ex art. 161, comma, 7 L. fall.); dall’altro sono proliferati i casi di prededuzioni collegate all’autorizzazione giudiziale di finanziamenti (cfr. artt. 182 quater e quinquies L. fall.). Il concordato in continuità ha poi conosciuto forme di prededuzione “di fatto”, attraverso l’autorizzazione al pagamento integrale di crediti anteriori, quindi di per sé concorsuali, ma relativi a forniture o prestazioni considerate essenziali per la prosecuzione dell’attività aziendale (ancora art. 182 quinquies cit. con riferimento ai c.d. creditori “strategici”).
Più in generale, il fenomeno della consecuzione – che pure la giurisprudenza aveva ritenuto essere un fenomeno immanente del sistema della concorsualità[6] - è divenuto da fattispecie di nicchia una ipotesi ricorrente, soprattutto nel moltiplicarsi di casi di concordati seguiti, a diverso titolo, dal fallimento dello stesso debitore.
Con riferimento ad una particolare categoria di crediti, quella dei professionisti che abbiano assistito il debitore nella predisposizione della domanda di concordato preventivo, il dibattito si è spesso incentrato sui concetti di funzionalità di tale apporto professionale e dell’utilità che da esso sarebbe derivato per la massa dei creditori, in termini semplificanti contrapponendosi due orientamenti principali: a) quello per cui l’utilità era sostanzialmente da valutarsi astrattamente e quindi sempre sussistente salvo il caso di inadempimento del professionista (e ciò proprio alla luce del citato art. 69 bis in relazione all’anticipazione del periodo sospetto che la sola presentazione della domanda avrebbe provocato unitamente alla c.d. cristallizzazione del debito); b) quello per cui invece l’utilità si doveva verificare in concreto, cioè valutando in ciascuna fattispecie singolarmente considerata se la prestazione professionale aveva o meno prodotto degli effetti positivi per i creditori. Non è mancato, peraltro, un diffuso orientamento, per c.d. “intermedio”, che ha ritenuto sussistente una sorta di presunzione relativa di utilità della prestazione professionale resa, con la possibilità per la curatela fallimentare di offrire la prova contraria[7].
Tralasciando in questa sede una più diffusa analisi di questi indirizzi, va certamente ricordato come le Sezioni Unite della Cassazione abbiano recentemente composto detto contrasto. In particolare, con la sentenza n. 42093 del 31/12/2021, le S.U. hanno infatti ritenuto che “in tema di concordato preventivo, il credito del professionista incaricato dal debitore per l'accesso alla procedura è considerato prededucibile, anche nel successivo e consecutivo fallimento, se la relativa prestazione, anteriore o posteriore alla domanda di cui all'art. 161 L. fall., sia stata funzionale, ai sensi dell'art. 111, comma 2, L. fall., alle finalità della prima procedura, contribuendo con inerenza necessaria, secondo un giudizio "ex ante" rimesso all'apprezzamento del giudice del merito, alla conservazione o all'incremento dei valori aziendali dell'impresa, sempre che il debitore sia stato poi ammesso al concordato ex art. 163 L. fall.”; con l’ulteriore avvertenza, fatta propria dall’autorevole pronuncia nomofilattica, che “restano impregiudicate, da un lato, la possibile ammissione al passivo, con l’eventuale causa di prelazione e, per l’altro, la non ammissione, totale o parziale, del singolo credito ove si accerti l’inadempimento della obbligazione assunta o la partecipazione del professionista ad attività fraudatoria”[8].
In quest’ottica l’effettiva apertura della procedura concordataria è stata considerata un vero e proprio “spartiacque” ai fini del riconoscimento della prededuzione, occorrendo pertanto un provvedimento giudiziale – l’ammissione appunto – che implicitamente, ma anche in modo formale, riconoscesse l’utilità e la funzionalità della prestazione professionale stessa, così superando quello che era forse il precedente maggioritario orientamento[9].
Ma, si diceva, l’art. 69 bis L. fall. esprime davvero un principio di carattere generale?
La risposta della Cassazione più recente appare, forse sorprendentemente, di ordine negativo.
Anche qui, semplificando eccessivamente i toni del dibattito, si può citare come esempio una recente decisione: si tratta di Cass., Sez. I, 16 febbraio 2022, n. 5090[10], secondo la quale risulta manifesta l’intenzione del legislatore di regolare autonomamente i singoli effetti giuridici prodotti dalla presentazione della domanda di concordato sul fallimento consecutivo, sì che, al di fuori di tali effetti tipici, nessun effetto ulteriore risulta predicabile in via interpretativa. In particolare, la c.d. ”retrodatazione” di cui parla l’art. 69 bis varrebbe solo ai fini del computo per le azioni revocatorie e di inefficacia, ma non assumerebbe rilievo sull’ammissione dei crediti ex art. 96, comma 3, n. 3, L. fall., dal cui disposto si evince inequivocabilmente che la data da considerare ai fini della opponibilità della sentenza nei confronti della massa è quella della dichiarazione di fallimento e non quella di pubblicazione della domanda di ammissione al concordato preventivo. Pertanto, la sentenza favorevole ottenuta dal creditore e passata in giudicato in pendenza di un concordato preventivo, poi seguito dalla dichiarazione di fallimento, deve considerarsi opponibile a quest’ultima procedura, ma non attribuisce a detto credito una natura prededuttiva, consentendone l’ammissione unicamente in via chirografaria.
Anche Cass., Sez. I, 8 luglio 2022, n. 21758[11], si è espressa nel senso di non attribuire alla “consecuzione” il rango di principio generale, ed ha perciò ritenuto che l’art. 168 L. fall., comma 3, nella parte in cui dispone l'inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni anteriori all'iscrizione nel registro delle imprese del ricorso per concordato preventivo rispetto ai creditori anteriori al concordato, non trovi applicazione nel caso in cui, una volta aperta la procedura concordataria, la stessa abbia avuto esito infausto e sia stato, contestualmente o anche in un momento successivo, dichiarato il fallimento dell'imprenditore, “trovando l'inefficacia degli atti nell'ambito della proceduta fallimentare la propria disciplina (soltanto) negli artt. 64 e segg. L. fall.”.
In primo luogo, certamente, una norma cardine è costituita dall’art. 6. Può essere interessante ricordare quanto afferma la Relazione illustrativa (almeno per le parti che non si riferivano al procedimento di composizione assistita davanti agli OCRI, abrogato e “sostituito” dalla composizione negoziata, prima con il d.l. n. 118/2021, poi con gli artt. 12 e ss. dello stesso codice).
“L’articolo 6 è diretto all’attuazione del principio contenuto nell’art. 2, comma 1, lett. l), legge delega n. 155/2017, nella parte in cui mira espressamente al contenimento dei costi delle procedure e dunque delle ipotesi di prededuzione, specie dei professionisti, al fine di evitare che, come attualmente spesso avviene, il pagamento dei crediti prededucibili assorba in misura rilevante l’attivo delle procedure, compromettendo gli stessi obiettivi di salvaguardia della continuità aziendale e il miglior soddisfacimento dei creditori.
Di conseguenza alle lettere c) e d) del comma 1 si prevede che, fermo restando l’elevato grado di privilegio di cui restano comunque muniti i crediti professionali sorti in funzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e del concordato preventivo, la prededuzione spetta solo nei limiti del 75% dell’ammontare del credito, sempre a condizione, rispettivamente, che l’accordo sia omologato o che la procedura di concordato sia aperta. E’infatti unicamente a questa condizione che l’opera del professionista – il cui credito è comunque assistito da un privilegio di grado elevato (art. 2751 bis, n. 2, c.c.) - può ritenersi aver apportato un reale beneficio alla massa dei creditori e che quindi si giustifica un sacrificio delle aspettative di soddisfacimento dei creditori stessi. […] Restano ferme le regole già vigenti riguardanti la prededucibilità dei crediti sorti durante le procedure concorsuali e la sua persistenza nelle procedure successivamente aperte”.
Ricordati così gli intendimenti perseguiti dal legislatore, l’art. 6 del nuovo Codice della crisi ribadisce in primo luogo che esiste una prededuzione legale o tipica (vds. comma 1), alla quale vanno equiparati (“oltre ai crediti così espressamente qualificati dalla legge, sono prededucibili”):
a) i crediti relativi ai compensi per le prestazioni rese dall’OCC in tema di sovraindebitamento;
b) i crediti professionali funzionali alla omologazione degli accordi di ristrutturazione o del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, nonché quelli relativi alla richiesta di misure protettive, nei limiti del 75% del credito accertato e “a condizione che gli accordi o il piano siano omologati”;
c) i crediti professionali funzionali alla presentazione della domanda di concordato preventivo, nonché della relativa proposta e del piano che la correda, nei limiti del 75% del credito accertato e “a condizione che la procedura sia aperta ai sensi dell’art. 47” CCII;
d) i crediti legalmente sorti durante le procedure concorsuali per la gestione del patrimonio del debitore e la continuazione dell’esercizio dell’impresa, il compenso degli organi preposti e le prestazioni professionali richieste dagli stessi organi (definizione quest’ultima che sembra rimandare alla categoria delle prededuzioni in occasione o per spese di massa).
La norma, pur di contenuto apparentemente chiaro, offre il destro per affrontare alcuni dubbi interpretativi o criticità che, sia pure schematicamente, si possono qui menzionare.
Dove, pertanto, si faccia questione di tale forma di prededuzione e non sia prevista una verifica del passivo, il riferimento dovrà intendersi a quanto concordato dalle parti, restando l’“accertamento” di cui parla la norma ad appannaggio dei casi di successiva apertura di una procedura liquidatoria. A tal riguardo, va subito chiarito ulteriormente che tale accertamento non riguarderà unicamente la liquidazione giudiziale (che come noto ha preso il posto della procedura “maggiore” del fallimento), ma potrebbe interessare anche l’accertamento in seno ad una liquidazione controllata, riservata dagli artt. 268 e ss. CCII ai soggetti non fallibili, per i quali pure potrà innovativamente porsi un problema di “consecuzione” fra procedure concorsuali (ad es. da precedente ristrutturazione dei debiti del consumatore o concordato minore a liquidazione controllata).
In particolare, si consideri in primo luogo che l’art. 6 riconosce la prededuzione anche per la richiesta di misure protettive e per le prestazioni rese dall’OCC senza, a prima lettura, richiedere altre particolari condizioni; deve tuttavia ipotizzarsi che – come nel caso dell’accordo di ristrutturazione è richiesta la sua omologa e per il concordato l’ammissione alla procedura – anche per il riconoscimento della prededuzione nei casi di misure protettive o sovraindebitamento occorra un successivo provvedimento nel merito di conferma della stessa o di ammissione alla procedura di sovraindebitamento, al fine di non incorrere in una irragionevole disparità di trattamento con le altre ipotesi in cui la norma effettua il riconoscimento, ma a condizione appunto che la procedura sia aperta od omologata e, quindi, la prestazione professionale abbia così raggiunto il suo scopo, assicurando una utilità che il provvedimento giudiziale implicitamente acclara.
Peraltro, a ben vedere, la norma non parla della richiesta di misure cautelari. Il che non sembra frutto di una volontà espressa di escludere la prededuzione connessa alla prestazione professionale relativa alla loro richiesta giudiziale. Se, infatti, la misura protettiva sarà certamente di più frequente utilizzo, non è da escludere che vi siano fattispecie nelle quali il ricorso a misure cautelari è essenziale per garantire la buona riuscita della trattativa o la stessa predisposizione del piano. Ed anche in tal caso, con l’avvertenza che l’istanza sia stata esaminata nel merito e non immediatamente respinta de plano, dovrà riconoscersi quella stessa prededuzione che la norma assicura testualmente alla sola domanda giudiziale di misure protettive, stante l’evidente eadem ratio.
Posta questa prima osservazione, potrebbe allora anche sostenersi che la norma non escluda la possibilità di riconoscere la prededuzione ai compensi degli advisors nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento. Pur se, infatti, le norme prevedono l’intervento necessario dell’OCC e del gestore da questi nominato, non sembra che il legislatore sia giunto al punto di escludere o vietare la facoltà di ricorso all’assistenza tecnica da parte del debitore: una tale scelta, in procedimenti nei quali esistono momenti conflittuali di contestazione della omologazione o anche di richiesta “ostile” (si pensi alla novità della domanda di apertura della liquidazione controllata da parte di uno o più creditori), parrebbe addirittura contraria ad una interpretazione costituzionalmente orientata delle nuove disposizioni[13]. Quindi, se pure è vero che con disposizioni di favore ed al fine di contenere i costi delle procedure il debitore deve necessariamente essere assistito dall’OCC e può limitarsi a tale ausilio, non sembra però che da ciò discenda un divieto di farsi rappresentare da un difensore o, nei casi più complessi, di elaborare un piano di ristrutturazione o industriale tramite propri advisors ai quali si potrà, conseguentemente, in analogia con quanto la norma prevede per le procedure maggiori (e purchè l’apporto sia strettamente necessario ed abbia portato all’apertura della procedura richiesta), riconoscere la prededuzione per il 75% dell’importo convenuto od accertato (per questo secondo caso si pensi ancora alla liquidazione controllata, nella quale la fase di verifica del passivo è stata maggiormente giurisdizionalizzata rispetto a quella prevista nella liquidazione del patrimonio della legge n. 3/2012: cfr. i nuovi artt. 270, comma 2, lett. d) e 273 CCII).
Del resto, se la norma accorda la prededuzione per la richiesta di misure protettive e se queste ultime possono riguardare certamente anche le imprese minori o agricole (anche per chi non ritiene applicabile l’art. 44 del CCII, infatti, resta pur sempre applicabile il procedimento degli artt. 18 e 19, ben potendo la composizione negoziata riguardare anche le imprese minori ex art. 25 quater CCII), non si vede come – irragionevolmente – la stessa prededuzione non debba riguardare anche l’apporto professionale reso per la procedura principale alla cui fruttuosità ed effettiva percorribilità le prime sono strumentalmente e funzionalmente rivolte.
Questo dato, a ben vedere, appare veramente rivoluzionario rispetto al sistema previgente e spinge a ritenere che questa qualifica caratterizzi il credito in sé, nella sua essenza causale e non più soltanto quale forma di privilegio processuale. A tal punto, la caratteristica sostanziale della “nuova” prededuzione potrebbe essere fatta valere non soltanto nei confronti del debitore, come è certo più frequente, ma anche di eventuali coobbligati (si pensi ad un soggetto fideiussore che abbia garantito il pagamento dei compensi oltre al debitore o ad un terzo che si sia accollato i relativi costi: l’accessorietà di tale obbligazione può probabilmente portare a riconoscere il rango prededuttivo del credito anche in una eventuale esecuzione individuale promossa nei confronti del garante del debitore principale assoggettato a concorso o del di lui accollante).
Anche al di là di tale possibile estensione soggettiva, la circostanza per cui il credito sia azionabile in via esecutiva individuale porta probabilmente a svalutare lo stesso concetto di “consecuzione” fra procedure. Si potrebbe così pensare che la norma, in questo caso, dove parla di procedure “successive”, intenda tale concetto sotto un profilo prevalentemente se non esclusivamente cronologico. In altri termini, ferma restando l’elaborazione della consecuzione per gli istituti che ad essa fanno espresso riferimento (come anche la Cassazione nel 2022 ci ha ricordato a proposito dell’art. 96 e 168 L. fall., con le sentenze richiamate al par. 2), qui l’art. 6 potrebbe, per così dire, “accontentarsi” di un concetto di consecuzione “attenuato”, non espresso in termini di identica insolvenza, ma si semplice posteriorità della procedura relativa allo stesso debitore e rispetto alla quale, naturalmente, il titolo fondante il credito prededucibile sia opponibile. Del resto, se è vero che il credito prededuttivo così riconosciuto potrà essere fatto valere in sede esecutiva individuale – nella quale una consecuzione è per definizione esclusa – appare quantomeno strano che ciò che è così possibile ottenere in via individuale non sia consentito azionare in una eventuale procedura collettiva, ferme le regole di eventuale accertamento del credito, in caso di contestazione, ivi previste.
Una ulteriore conseguenza, infine, sembra ulteriormente profilarsi. Se la prededuzione si avvia ad ottenere un riconoscimento di natura sostanziale, si può probabilmente ritenere, altresì, che anche il credito prededucibile sia “colpito” e non sopravviva ad una eventuale esdebitazione che – all’esito di altra successiva procedura – il debitore dovesse comunque conseguire (l’evenienza è certamente rara, perché dovrebbe ammettersi una procedura liquidatoria successiva il cui attivo non sia neppure sufficiente a consentire il pagamento integrale delle prededuzioni, ma non è un caso di scuola, ora che l’esdebitazione può maturare “di diritto” al decorso di un triennio dall’apertura della procedura liquidatoria, fermo naturalmente l’impedimento costituito da eventuali “abusi” o frodi ai danni dei creditori).
Viene in rilievo, in primo luogo, l’art. 22 lett. a), b) e c), il quale si occupa di finanziamenti prededucibili nella composizione negoziata sotto varia forma concessi ed autorizzati dal tribunale, verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale ed alla migliore soddisfazione dei creditori. In questo senso, a conferma, si può ricordare anche l’art. 24, comma 1, in tema di conservazione degli effetti degli atti autorizzati dal tribunale rispetto alle successive procedure ivi elencate: si tratta di disposizione che sul piano sistematico sembra introdurre una sorta di “consecuzione” fra composizione negoziata – che non è evidentemente una procedura concorsuale – ed altre procedure concorsuali successive, ma qui la deroga ai principi si giustifica nella misura in cui la prededuzione sia stata riconosciuta da un provvedimento autorizzativo del tribunale che diviene, pertanto, non solo provvedimento di stabilizzazione dell’atto e di “deresponsabilizzazione” per la sua esecuzione ma, altresì, nell’evidente scopo di incentivare il finanziamento all’impresa in crisi, momento di insorgenza di una prededuzione “ope judicis” non fondata sulla natura concorsuale – che come detto non sussiste – del percorso negoziale vigilato in cui la composizione negoziata si svolge. Da notare che l’art. 25 quater, comma 6, accorda una analoga conservazione degli effetti degli atti autorizzati anche per le imprese “sotto-soglia”.
L’art. 25 ter, comma 12, riconosce che anche il compenso dell’esperto è prededucibile ai sensi dell’articolo 6, rimarcando qui – forse – ancora una volta che la elencazione contenuta in quest’ultima disposizione non ha natura tassativa ma esemplificativa e che, pertanto, la prededuzione va assicurata ai soggetti la cui opera sia comunque strumentale e necessaria alla ristrutturazione della crisi.
Una disposizione non irrilevante appare poi l’art. 25 sexies, comma 2, nella parte in cui dispone che dalla data della pubblicazione del ricorso per l’omologazione del concordato semplificato si producono gli effetti previsti dagli artt. 6, 46 (vedi in part. comma 4), 94 e 96. La norma rimarca una sorta di actio finium regundorum fra composizione negoziata – per la quale non può parlarsi di procedura concorsuale in assenza, fra l’altro, di un qualunque spossessamento del debitore – e presentazione del concordato semplificato per la liquidazione, da ritenersi invece una vera e propria procedura concorsuale di carattere concordatario, seppure non assistita dal momento della votazione, ma caratterizzata da una fase di omologazione “ad ampio spettro”, nella quale i creditori possono far valere ogni tipo di contestazione ed il giudice svolgere penetranti controlli.
Da notare anche l’art. 46, comma 4, secondo cui i crediti verso terzi, sorti dopo il deposito della domanda di accesso al concordato preventivo, anche se “prenotativo” ex art. 44, sono prededucibili se la loro genesi deriva per effetto di atti legalmente compiuti dal debitore: si tratta, per questa parte, sostanzialmente di una riproposizione del “vecchio” art. 161, comma 7, L. fall., alle cui problematiche interpretative può rinviarsi. Vale la pena sottolineare che l’art. 64 bis, comma 2, estende quanto previsto dall’art. 46, comma 4, alla presentazione della domanda di omologazione del piano di ristrutturazione sottoposto ad omologazione, il che appare forse opportuno in quanto, al di là di una formale libertà di manovra del debitore, non del tutto coerente con la natura di procedura concorsuale che lo stesso sembra rivestire diversamente dalla composizione negoziata, già in questa fase opera una vigilanza vera e propria da parte del Commissario giudiziale.
L’art. 97, comma 11, dispone che l’indennizzo dovuto in caso di sospensione o scioglimento del contratto pendente è trattato come un credito chirografario anteriore, ma eventuali prestazioni eseguite legalmente e in conformità degli accordi o agli usi dopo la pubblicazione della domanda di accesso al concordato e prima della notifica del provvedimento giudiziale (sospensivo o caducatorio) danno luogo a crediti da ritenersi in prededuzione.
L’art. 98 riconosce espressamente la prededuzione nel concordato, così superando annose discussioni sulla possibilità di configurare questo istituto in ambito concordatario; la norma prevede che il credito prededucibile debba soddisfarsi alla scadenza prevista dalla legge o dal contratto, volendo con ciò esprimere un concetto che è solo apparentemente ovvio, ma ribadendo piuttosto che l’istituto ha ormai una valenza “sostanziale” e che – ecco una possibile ricaduta concreta – nella previsione dei piani di ripartizione dovrà evidentemente darsi la precedenza alle prededuzioni non solo in termini di necessario soddisfacimento integrale, ma anche temporale, così rispettando, salvo espressa pattuizione para-concordataria in deroga, il termine negoziale o legale che le assiste.
L’art. 99 riguarda, invece, i finanziamenti prededucibili autorizzati prima dell’omologazione del concordato preventivo o degli accordi, se funzionali alla miglior soddisfazione dei creditori; la disposizione si occupa anche dei finanziamenti (comma 4) erogati in funzione della presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione se previsti dal piano e la stessa è espressamente sancita dal decreto di apertura del concordato o segue l’omologa dell’accordo stesso. L’art. 101 completa l’ambito dei finanziamenti, riguardando i finanziamenti prededucibili in esecuzione, purchè l’accordo di ristrutturazione o il concordato siano stati omologati ed i finanziamenti siano espressamente previsti nel piano. Questa necessità di previsione espressa pone forse un limite alla possibilità di riconoscere generiche prededuzioni “in esecuzione”, relative a finanziamenti od operazioni che non siano espressamente previste nel piano.
L’art. 170, comma 2, ripropone, di fatto, il contenuto del previgente art. 69 bis L. fall. esplicitando, nell’area delle azioni revocatorie, l’idea stessa della consecuzione fra procedure concorsuali. La norma meriterebbe ben altro spazio, che qui non è possibile affrontare. Per tutte basti pensare al concetto di “procedura concorsuale” che la norma ancora utilizza, invece di citare i singoli strumenti e procedure di ristrutturazione del debito e dell’insolvenza previsti dal Codice, così da lasciare perciò all’interprete l’analisi di temi relativi all’eventuale consecuzione innovativa fra diverse procedure minori o fra accordi ad efficacia estesa o PRO ed altra successiva procedura concorsuale liquidatoria.
Gli artt. 184 e 185 valgono a “trasformare” l’indennizzo dell’affittante o del locatore in credito concorsuale, mentre invece nella legge fallimentare tale credito indennitario era trattato come prededucibile; emerge anche qui l’idea di contenimento dei costi delle procedure oltre che, probabilmente, quella per cui si vuole rimarcare come il titolo causale del credito non sia riconducibile al recesso del curatore – posteriore all’apertura del concorso – ma trovi pur sempre causa genetica nell’originario negozio di affitto d’azienda o locazione anteriore all’apertura della liquidazione giudiziale.
L’art. 221 continua a prevedere al primo posto, nell’ordine dei crediti da soddisfare, i crediti prededucibili, ma scompare significativamente il secondo comma del “vecchio” art. 111, che nella norma di nuovo conio non è riprodotto, e la cui funzione è svolta dal già citato art. 6. L’art. 222, infine, disciplina il soddisfacimento dei crediti prededucibili nella liquidazione giudiziale, mentre l’art. 277 contiene una disciplina analoga per la liquidazione controllata, rimarcando come la prededuzione possa intaccare anche quanto ricavato dalla vendita del bene costituente la garanzia reale di un creditore ipotecario o pignoratizio[14].
La possibile esazione in sede esecutiva dei crediti prededuttivi, inoltre, porta forse a rileggere lo stesso concetto di consecuzione. Non a caso l’art. 170, comma 2 CCII riprende ai fini dell’applicazione del periodo “sospetto” per le revocatorie il testo del previgente art. 69 bis L. fall., mentre l’ultimo comma dell’art. 6 CCII parla più semplicemente di procedure od esecuzioni individuali “successive”. Forse in tal modo la consecuzione, come riconosciuto da alcune più recenti decisioni del S.C. che si sono ricordate al par. 2, si avvia ad essere un fenomeno non estensibile a settori diversi da quelli che espressamente disciplina, come in particolare avviene per quello delle revocatorie. Ed allora, come si è avvertito, parrebbe abbastanza contraddittorio far dipendere l’esistenza della prededuzione da una consecuzione in senso tecnico, presupponente una identica insolvenza, quando tale credito può ormai essere fatto valere “extra concorso” con una qualunque azione individuale.
Ancora, l’art. 6, come si è visto, non parla di prededuzione in esecuzione di un accordo o di un piano concordatario omologati, mentre l’unica disposizione che si riconduce a tale categoria è quella, come si è già indicato, dell’art. 101 CCII, con riferimento ai finanziamenti, ma a condizione che gli stessi siano espressamente previsti dal piano. Questa circostanza può forse contribuire a limitare l’insorgenza di generici crediti prededuttivi attinenti alla fase esecutiva dei concordati omologati, se non siano espressamente indicati dal piano stesso ed abbiano perciò in qualche modo formato oggetto dell’incontro di volontà con i creditori concorsuali, ponendo perciò al contempo alcuni limiti a quell’orientamento giurisprudenziale che in qualche modo ha a volte “largheggiato” nel riconoscere una tale categoria di crediti.
Il che in fondo riporta, forse, ad una linea di tendenza del codice che sembra garantire alla prededuzione una maggiore certezza, in cambio di una incidenza quantitativa sensibilmente ridotta o, comunque, più chiaramente prevedibile. Dato questo certamente non irrilevante, anche per chi si accinga a predisporre piani e proposte di ristrutturazione del debito utilizzando i nuovi strumenti messi a disposizione dal Codice.
Note: