Le illustrate problematiche interpretative vanno ora rapportate alla normativa di cui al Codice della Crisi.
Come segnalato, con specifico riferimento al concordato in continuità l’articolo 84, comma 6 ad una prima lettura[9] ha statuito come:
- la quota di liquidità corrispondente al valore di liquidazione deve essere distribuita nel rispetto delle cause legittime di prelazione, nel rispetto dunque dei principi di cui agli articoli 2740 e 2741 del Codice civile, di fatto ripercorrendo le modalità ordinarie di distribuzione seguite in un procedimento esecutivo, come pure in una liquidazione giudiziale;
- la quota di liquidità eccedente il valore di liquidazione può essere liberamente destinata ai creditori, purché i crediti inseriti in una classe ricevano un trattamento pari alle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto al trattamento delle classi di grado inferiore (fatta eccezione per i dipendenti).
In altri termini, il cosiddetto surplus concordatario può essere distribuito in modo che “i crediti in una classe siano pagati in ugual misura rispetto alle classi di pari grado e in misura maggior rispetto alle classi di rango inferiore, anziché in misura integrale”[10].
Si osserva incidenter tantum come la norma non si richiami alla percentuale di pagamento, ma al trattamento “complessivo”.
La percentuale è all’evidenza ascrivibile al soddisfacimento dei creditori chirografari, mentre il trattamento complessivo, ad avviso di chi scrive, rimanda al soddisfacimento totale.
Ciò può significare che, nel confronto tra classi di creditori, per la verifica del rispetto della previsione in commento debba essere sommato quanto prospettato in termini di soddisfacimento in via prelatizia e quanto conseguente al pagamento percentuale della quota chirografaria. Rapportando il monte oggetto di pagamento (quota in prelazione più quota in chirografo) al totale del credito, si ottiene la percentuale di soddisfacimento complessivo della classe (che deve essere superiore alla percentuale complessiva delle classi con grado di prelazione inferiore). Con un esempio: credito complessivo 1.000, importo previsto in prelazione 400, importo degradato 600 con prospettiva di pagamento del 10%. Il pagamento complessivo sarà di 460 (dato da 400+600*0,10) che, rapportato al credito totale, conduce ad una percentuale di soddisfacimento complessiva del 46% (data da 460/1.000).
Di conseguenza, secondo questa interpretazione, la percentuale di pagamento offerta alle differenti classi di creditori chirografari può anche essere identica, purché il trattamento percentuale complessivo sia superiore in rapporto al grado di prelazione. Preferibile, ovviamente, in una eventuale proposta tenere comunque anche una percentuale chirografaria a scalare in base al grado originario del credito prelatizio degradato, per evitare dubbi interpretativi.
Ciò precisato, si osserva come anche la nuova normativa utilizzi una terminologia che porta a fatiche interpretative, laddove ritiene che sia liberamente distribuibile (nei limiti sopra evidenziati) il valore eccedente quello di liquidazione.
È necessario esplorare cosa si intenda per “valore eccedente quello di liquidazione”, per poter correttamente determinare quale sia l’importo distribuibile con le regole della priorità relativa.
Secondo la Relazione illustrativa al decreto legislativo n. 83/2022, che ne ha introdotto la previsione, tale valore rappresenta “il valore ricavato dalla prosecuzione dell’impresa, il cd. plusvalore da continuità”.
Il concetto di plusvalore da continuità si ritrova nella sentenza n. 17155/2022 della Suprema Corte, che lo qualifica quale “misura in cui la prosecuzione dell’attività imprenditoriale generi risorse aggiuntive rispetto al valore di liquidazione dei beni”.
In dottrina[11], si è ritenuto trattarsi “della differenza, alla data di apertura del concorso, tra il valore di liquidazione giudiziale del patrimonio e il valore dell’azienda in continuità, quali stimati nel piano” o, più sinteticamente, “il maggior valore prodotto dalla prosecuzione dell’impresa”, coincidente “con il valore complessivo ricavabile dall’accordo di ristrutturazione”[12], vale a dire il valore dell’azienda a seguito della riorganizzazione, in sintonia con l’articolo 2, paragrafo 1, numero 6, direttiva UE 2019/1023.
La traduzione pratica e numerica dei concetti sopra espressi, peraltro, non è immediata.
La Suprema Corte, quantomeno con riguardo all’articolo 182 ter L. fall., si esprime in termini di “risorse aggiuntive”, e come tale parrebbe poter rimandare a tutti i contributi utili al pagamento del passivo concorsuale, e sopravvenuti grazie alla continuità. Tali possono essere configurati gli apporti di capitale, i finanziamenti, i flussi derivanti dalla prosecuzione della gestione.
In dottrina, in questo indirizzo è stato affermato[13] “per quanto riguarda i nuovi investimenti, che i soci sono liberi di allocare come vogliono anche senza rispettare l’ordine dei privilegi (si tratta, infatti di risorse esterne)… Viene quindi finalmente superata quella giurisprudenza della Cassazione un po’ dogmatica che limitava enormemente la nozione di risorse esterne, al punto che anche un aumento di capitale non avrebbe potuto essere considerato una risorsa esterna in quanto le somme entrano a far parte del patrimonio della società” [14].
Un secondo filone interpretativo[15] si focalizza sulla creazione di flussi di liquidità, per quanto anche la loro delimitazione non sia univoca, potendo oscillare tra le pure variazioni di capitale circolante netto operativo e i flussi che comprendono apporti esterni di liquidità, o ne sono influenzati (tornando così, in qualche modo, alla terminologia della Suprema Corte).
Ad una differente posizione conduce l’attenzione posta sul valore dell’azienda. Tale attenzione volge all’esame di due valori dell’azienda, quello liquidatorio degli attivi ad inizio procedura (in termini di azienda di funzionamento, ove pronosticabile, diversamente in termini di liquidazione in blocco od ancora in subordine atomistica) e il valore della azienda (si ritiene quale potrà essere ad avvenuta esecuzione del piano[16]).
Entrambe le espressioni di valore conducono dunque ad una analisi di attivi, passivi ed eventuale avviamento. Il valore finale dell’azienda sarà mediatamente influenzato dai flussi e dagli interventi finanziari, che tuttavia non costituiranno addendi diretti nella determinazione del valore[17].
Pare agli scriventi che quest’ultima linea interpretativa, volta al confronto tra i valori dell’azienda ante e post ristrutturazione, sia quella più aderente al tenore della norma.
Si osserva al riguardo che:
- l’articolo 84, comma 5, compara il “valore eccedente quello di liquidazione” al “valore di liquidazione”. Quest’ultimo, in prima battuta e per quanto possibile, deve essere espresso come valore dell’azienda. Ne consegue che anche il “valore eccedente” deve essere espresso in termini di valore d’azienda, e non di singoli contributi (flussi di capitale circolante, apporti di capitale, finanziamenti eccetera)[18];
- il punto 49 del Consiglio del 20 giugno 2019 individua il “valore della continuità aziendale” nel “valore a lungo termine dell’impresa del debitore… superiore al valore di liquidazione, poiché si basa sull’ipotesi che l’impresa continua la sua attività…”;
- la Relazione illustrativa chiarisce come la norma “concerne la ripartizione di risorse che non fanno parte del patrimonio dell’impresa e quindi non sono necessariamente soggette ai principi sulla responsabilità patrimoniale del debitore”;
- l’articolo 84, comma 4, nell’ambito del concordato preventivo liquidatorio ha esplicitato espressamente la possibilità di distribuire le risorse esterne in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile, oltretutto limitando la possibilità alle “risorse apportate a qualunque titolo dai soci senza obbligo di restituzione o con vincolo di postergazione, di cui il piano prevede la diretta destinazione a vantaggio dei creditori concorsuali”. Tali esplicitazioni non ricorrono con riferimento al concordato in continuità, con ciò conducendo alla necessità di differenti interpretazioni;
- l’articolo 120 quater consente che “il valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato anche ai soci anteriori alla presentazione della domanda”, precisando che “per valore riservato ai soci si intende il valore effettivo, conseguente alla omologazione della proposta, delle loro partecipazioni”.
In definitiva, un piano che prevede il degrado dei creditori prelatizi andrà costruito su due livelli:
- il primo, di valutazione di quanto “distribuibile secondo le regole della priorità relativa”, e calcolato come differenza algebrica tra due valori di azienda (alla data della domanda e ad avvenuta ristrutturazione, in ovvia ipotesi che il primo sia inferiore al secondo), ferme in particolare le prescrizioni di cui agli articoli 112 e 120 quater CCII nel caso in cui il concordato non sia approvato da tutte le classi;
- il secondo, di analisi delle fonti di liquidità da cui trarre la finanza necessaria per pagare i creditori concorsuali, nei limiti della proposta. Tali fonti potranno essere costituite, come più volte ribadito, dalle variazioni di capitale circolante netto operativo, da finanziamenti dei soci e di terzi, da mutui e finanziamenti ottenuti da parte del sistema bancario[19].