Se questo è il dictumche risolve in modo univoco il problema per quanto attiene al presupposto giuridico della prededuzione nell’ambito di un Codice che per molti versi non stravolge l’impianto della disciplina della crisi di impresa, non può destare particolare sorpresa l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione che in una decisione, peraltro ampiamente e dottamente motivata[10], ha risolto il lunghissimo dibattito in materia di prededuzione dei crediti professionali sorti in funzione dell’accesso alle procedure di crisi pervenendo ad una soluzione in linea con quella adottata dal Codice di cui si è dato conto, ovviamente tenuta presente sia pure a conferma della soluzione adottata.
La sentenza delle Sezioni Unite, a parte il valore di decisivo precedente per la soluzione delle questioni che si sono poste e si porranno per le procedure cui si applica la previgente disciplina, è importante anche perché fornisce un’autorevole interpretazione di problematiche che si pongono anche nell’interpretazione dell’art. 6 del Codice.
Acquisita infatti per previsione ex lege la necessità che sussista la condizione dell’apertura del concordato o dell’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti e del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, restano da determinare i criteri di individuazione dell’altra condizione e cioè quella della funzionalità dell’intervento professionale rispetto alla presentazione della domanda che, a differenza di quanto pure sostenuto, non può intendersi presunta iuris et de iure per il solo fatto che siano intervenute l’apertura o l’omologazione. Deve essere infatti precisato che lo scrutinio circa la qualifica del credito, da effettuarsi con valutazione ex ante, compete necessariamente al giudice, sia esso quello stesso della procedura in cui il credito è maturato, sia, più probabilmente, il giudice della successiva procedura liquidatoria oppure anche del giudice dell’esecuzione singolare.
Rileva la Corte che “la funzionalità, a sua volta e come terzo parametro, esprime un’attitudine di vantaggio per il ceto creditorio, compendiato nella stessa procedura concorsuale in cui esso è organizzato, così attenendo a crediti maturati in capo a terzi, per prestazioni svolte anche prima dell’inizio della procedura (quesito vii) e perciò al di fuori di un diretto controllo dei relativi organi ma comunque in una relazione di inerenza necessaria allo scopo dell’iniziativa, più che al risultato” e ancora che” la funzionalità può dirsi sussistente allora quando l’attività originante il credito sia ragionevolmente assunta, nella prospettazione delle circostanze ad essa coeve, proprio per assecondare, con l’instaurazione o lo svolgimento della specifica procedura concorsuale cui è volta, le utilità (patrimoniali, aziendali, negoziali) su cui può contare tipologicamente, cioè secondo le regole del modello implicato, l’intera massa dei creditori, destinati a prendere posizione sulla proposta del debitore; ciò ne permette l’assimilazione ad una nozione di costo esterno sostenibile al pari di quelli prodotti dalle attività interne degli organi concorsuali, se e quando potranno operare (quesito iii”).
Questa precisazione consente di escludere tutte le attività professionali sovrabbondanti o non assolutamente necessarie per la predisposizione del ricorso “così da rientrare in una complessiva causa economico-organizzativa almeno preparatoria, di una procedura concorsuale tra quelle della legge fallimentare e sempre che non ne sia provato il carattere eccedentario, superfluo o abusivo rispetto all’iniziativa adottata (Cass. 24791/2016, 220/2020, 10130/2021, 22670/2021); si deve trattare di un’inerenza necessaria, rinvenibile quando le prestazioni si atteggino secondo indispensabilità rispetto alle finalità istituzionali della procedura cui accedono, senza cioè che, in loro difetto, quel coordinamento potesse essere prospettato.
Ciò autorizza dunque la selezione delle categorie di professionisti comunque intervenuti. E se dunque possono senz’altro essere ritenuti giustificati gli interventi finalizzati a specifiche prestazioni normativamente o implicitamente richieste, e quindi quelle di advisors legali o commerciali o di un perito per la valutazione di beni, l’intervento di altre professionalità c.d. atipiche dovrà essere giustificato da specifica motivazione, perdendo, diversamente, la qualifica della prededucibilità.
Ma merita segnalare anche un ulteriore passaggio rilevante della sentenza de qua, utile all’interpretazione di un’altra disposizione del Codice e cioè dell’art. 166, comma 3, lett. g), circa l’esenzione dalla revocatoria dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti dal debitore alla scadenza per ottenere prestazioni di servizi strumentali all’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza.
Contestando l’argomento secondo il quale, posto che i pagamento di prestazioni professionali funzionali all’accesso agli strumenti di regolazione della crisi sono esenti da revocatoria, dovrebbe ritenersi che anche i pagamenti siano prededucibili prescindendo dall’ammissione, la Corte nota che, a parte la considerazione che l’esenzione opera solo per il pagamento di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza, l’argomento dà per ammesso ciò che dovrebbe invece essere dimostrato e cioè che l’esenzione operi prescindendo dall’ammissione mentre della necessaria strumentalità rispetto al programma del debitore “si può predicare la possibile sussistenza anche come fattispecie pienamente compiuta e dunque proprio per il caso di concordato ammesso, cui cioè il debitore abbia acceduto, pena la riduzione a mera intenzionalità della commentata attitudine causale”.
L’accenno alla circostanza che l’esenzione operi solo per pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuato alla scadenza induce ad approvare la prassi che vuole che il compenso dell’incarico sia previsto per stati di avanzamento dell’attività professionale in modo che i pagamenti ante deposito della domanda corrispondano alla maturazione di un credito definito e alla scadenza prevista, con l’avvertenza che la cautela vale anche per i pagamenti fatti in corso di procedura in quanto l’art. 98 dispone che “i crediti prededucibili sono soddisfatti durante la procedura alla scadenza prevista dalla legge o dal contratto” con conseguente inefficacia di quelli effettuati su difformi presupposti.
Discorso diverso e indipendente da quello sulla prededuzione ma affrontato nella sentenza della Suprema Corte, e comunque ancora attuale, è quello sulla spettanza stessa del credito per inadempimento o inesatto adempimento, quando non, ovviamente, sia addirittura accertato che la condotta del debitore integri atti di frode, e ad essi abbia partecipato (o almeno di essi sia stato pienamente consapevole) il professionista[11].
Come già enunciato dalla Cassazione[12] “Il professionista al quale sia stato negato, a causa di carenze nella dovuta diligenza, il compenso per la redazione della relazione di cui all'art. 161, comma 3, l. fall., non può invocare, a fondamento del proprio credito, l'ammissione del debitore che lo ha designato (successivamente dichiarato fallito) alla procedura concordataria. Infatti, il decreto emesso dal tribunale ex art. 163, comma 1, l. fall. non costituisce approvazione della relazione, né un apprezzamento di competenza esclusiva del tribunale in ambito concordatario, in quanto l'ammissione a detta procedura non assevera definitivamente, con valore di giudicato, l'esattezza dell'adempimento del professionista, potendo la valutazione essere, in seguito, smentita dal medesimo tribunale, in sede di procedura fallimentare, all'esito di un più approfondito controllo da parte del commissario giudiziale”.
A fronte della contestazione del curatore il professionista ha “l’onere di dimostrare l’esattezza del suo adempimento, per rispondenza della sua condotta al modello professionale e deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è intervenuto con la propria opera”.
E questo, dunque, l’ulteriore possibile ostacolo non al riconoscimento della prededuzione ma, più radicalmente, al riconoscimento della stessa sussistenza, totale o parziale, del credito, come ribadito anche dalla giurisprudenza di legittimità successiva[13] ma peraltro già da tempo segnalato dalla giurisprudenza, anche di merito[14].