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Appunti sul classamento dei creditori nel concordato in continuità

Sergio Rossetti, Giudice nel Tribunale di Milano

30 Novembre 2023

Con questo contributo l’Autore intende mettere a disposizione degli operatori alcune riflessioni maturate sul complesso tema del classamento (sic!) nel concordato in continuità nello svolgimento della pratica giudiziaria, dalla lettura di alcuni rari contributi che hanno il coraggio di andare oltre alla lettera della legge per proporre letture di sintesi, negli incontri organizzati dalla Scuola Superiore della Magistratura, nei corridoi della Sezione Crisi d’Impresa del Tribunale di Milano e nelle chat in cui sono coinvolti tanti giudici delegati. 
Riproduzione riservata
Questo lavoro non ha pretese di scientificità. Non vi sono note di richiamo a dottrina e giurisprudenza che, peraltro, chi frequenta la materia non mancherà di intravedere. Si intende qui esclusivamente dare uno strumento operativo, o quantomeno di riflessione, ai professionisti presi dalla difficile impresa di costruire le classi dei creditori nei concordati in continuità.
Si tratta, insomma, di semplici appunti di uno studente messi a disposizione di altri studenti per tentare di dare una soluzione ai problemi concreti che la pratica quotidiana pone sull’intricata questione del classamento nei concordati in continuità.
1. Le classi rappresentano una deroga al principio di ordine generale della par condicio creditorum regolato dall’art. 2741 c.c. e hanno, evidentemente, natura e funzione completamente diversa rispetto a quella svolta dai privilegi[1].
2. La deroga all’art. 2741 c.c. è funzionale ad agevolare il tentativo di risoluzione della crisi. Consentendo il classamento, quindi, il legislatore afferma che la par condicio è un principio soccombente rispetto all'obiettivo del risanamento; alcuni creditori possono avere un interesse alla prosecuzione dell'attività d'impresa, altri alla liquidazione: il diverso classamento consente al debitore di catturare quanto più consenso possibile in ordine alla proposta che formula ai creditori, tenendo conto dei loro diversi (e spesso antitetici) interessi alla ristrutturazione.
3. Trattandosi di una suddivisione (in classi, appunto) che incide sul consenso del ceto creditorio sulla proposta concordataria, la disciplina delle classi regola - oltre all’interesse del debitore ad ottenere il maggior consenso possibile in vista del risanamento dell’impresa - anche il controinteresse dei creditori a partecipare alla formazione della volontà dei creditori in modo corretto e, quindi, conformemente alla legge. 
4. Tradizionalmente la regola della rilevanza della volontà dei creditori era quello della maggioranza: siccome il concordato preventivo doveva perseguire "il miglior interesse dei creditori", se la maggioranza di questi riteneva che quella sistemazione concordataria fosse soddisfacente, tanto bastava, fermi i requisiti di ammissibilità della domanda, a che il percorso concordatario proseguisse fino al suo fisiologico sbocco con l’omologazione.
5. Il Codice della crisi, invece, ritiene sufficiente, nel concordato in continuità, che i creditori abbiano un trattamento non deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria, assicurato il quale la proposta di concordato preventivo può proseguire, anche se non sia raggiunta alcuna maggioranza - e, anzi, sia approvato, a date condizioni, anche da una sola classe - al fine di garantire comunque la prosecuzione dell'attività d'impresa, in via diretta o indiretta.
6. Nel caso in cui, viceversa, all’esito del percorso concordatario non vi sia alcuna continuità dell’attività d’impresa da preservare e, quindi, il concordato assuma una veste liquidatoria, resta ferma la necessità che la proposta persegua il miglior interesse per i creditori[2] e la regola della maggioranza (assoluta del ceto creditorio e delle classi ammesse al voto) non subisce deroghe o modifiche rispetto alla previgente disciplina. 
7. Nel concordato in continuità, in assenza di un principio di maggioranza su cui ancorare la volontà dei creditori, la disciplina dettata dal Codice si concentra tutta sul sistema (schiettamente tecnico) di formazione delle classi immaginando che, se le classi sono formate correttamente ed è garantito a tutti almeno quanto riceverebbero in caso di liquidazione, il concordato può proseguire: da qui la regola del classamento obbligatorio di cui all’art. 85.
8. Una volta che si proponga ex novo il tema del classamento perché la tradizionale regola della maggioranza, nel concordato in continuità, viene abbandonata, ci si deve porre, innanzitutto, il problema di individuare quali tra i creditori della concordante (prededucibili, privilegiati, chirografari e postergati) possano essere considerati "interessati" alla ristrutturazione e, quindi, in tesi, inseriti in una classe e, quindi, ammessi al voto. 
9. Il Codice introduce sul punto due novità di assoluto rilievo: (i) votano a certe condizioni a) i soci e b) i privilegiati; (ii) la regola sulla distribuzione del valore eccedente a quello della liquidazione, regola che si intreccia, ma non si sovrappone, alla questione relativa al voto dei privilegiati.
10.  I soci votano in due diversissime accezioni:
·  quando il concordato incide sui diritti di partecipazione dei soci (art 120 bis e 120 ter) nel qual caso il dissenso dei soci che si esprimerebbe altrimenti in giudizi ordinari davanti al Tribunale delle Imprese viene canalizzato nel contesto processuale tipico dell’opposizione nel concordato preventivo[3].
·  in caso di continuità diretta. A ben pensarci, infatti, nell’ipotesi in cui il concordato preveda la continuazione dell’attività in capo allo stesso debitore, all’esito dell’esecuzione del piano concordatario, soddisfatti i creditori nella misura indicata dalla proposta, il debitore si trova nel proprio patrimonio un valore consistente nella partecipazione in un’azienda ormai ristrutturata e priva di debiti, in grado, quindi, astrattamente di generare ancora profitto per il futuro. In altri termini: a dispetto di ogni criterio di graduazione, all’esito del piano, un creditore postergato come il socio, si trova tra le mani un bene (il valore dell’azienda ristrutturata) che non ha messo a disposizione dei creditori. Se alla fine del piano in continuità diretta, quindi, residua in favore dei soci un "valore risultante dalla ristrutturazione", il codice pretende di considerare tale valore al fine di costruire la proposta ai creditori. In tale accezione (evidentemente diversa da quella della classe dei soci formata perché il piano prevede operazioni sul capitale), la classe dei soci è una classe meramente figurativa in quanto l'art 120 quater si limita ad isolare e descrivere il valore di ristrutturazione riservato ai soci per verificare se il concordato possa o meno essere omologato, secondo una regola che ricorda da vicino le regole della distribuzione orizzontale del valore.
11. Quanto ai creditori privilegiati, questi non votano se pagati integralmente nel termine di 180 giorni dall’omologazione o 30 giorni se si tratta di lavoratori. Altrimenti votano e per la quota eventualmente incapiente sono inseriti in un'altra classe. Ciò che comporta che i creditori privilegiati e incapienti possano essere classati due volte: per la quota privilegiata, se non soddisfatta nei termini e per la quota chirografaria, se incapiente. Tale regola si intreccia, come subito di dirà, con il criterio di distribuzione del valore prodotto dal concordato.
12. L'altra novità di assoluto rilievo, infatti, è quella della distribuzione orizzontale del valore eccedente quello della liquidazione, secondo la regola della Relative Priority Rule.
12.1. Sul punto bisogna innanzitutto chiarire che cosa sia valore di liquidazione e cosa il valore eccedente quello di liquidazione. Il valore della liquidazione è rappresentato, innanzitutto, dal valore che può essere attribuito all’azienda del debitore, in tutte le sue componenti, materiali e immateriali, compreso l’avviamento[4]. Non si intende per valore di liquidazione, viceversa, il mero valore atomistico dei beni aziendali in quanto, nel concordato in continuità esiste, per definizione, un’azienda e non solo una massa di beni. L’azienda nell’alternativa liquidatoria, inoltre, dovrà essere considerata nella sua dimensione dinamica di talché se, con la liquidazione giudiziale, sia immaginabile un esercizio “provvisorio”, anche i ricavi relativi alla prevedibile durata di quell’esercizio prima della vendita devono essere considerati tra i valori della liquidazione. Al valore dell’azienda, inoltre, dovranno essere aggiunte quelle componenti che, comunque, potrebbero ragionevolmente pervenire in favore della massa in ipotesi di liquidazione giudiziale a seguito di azioni recuperatorie, risarcitorie o revocatorie. Così chiarito cosa debba intendersi per valore di liquidazione, il valore eccedente quello della liquidazione dovrebbe ridursi, ferma restando la necessità di analisi di ogni singolo caso, ai flussi di cassa generati nell’arco piano e posti al servizio del debito[5].
12.2. Una volta chiarito cosa sia il valore eccedente quello della liquidazione, bisogna chiarire chi siano, esattamente, i creditori a cui si riferisce l'art. 84, comma 6 e che, come tali, potrebbero essere pagati secondo il criterio della RPR, tenuto conto che esaurito il valore della liquidazione, tutti i creditori devono essere ugualmente trattati come chirografi a norma dell’art. 84, comma 5.
12.3. Innanzitutto, deve chiarirsi che sul valore di liquidazione (composto, come detto, sia da beni materiali che da beni immateriali) concorrono, prioritariamente, sia i privilegiati generali che i privilegiati speciali. Il piano e l’attestazione, quindi, dovranno, innanzitutto, considerare i beni materiali dell’imprenditore, distinguendoli in masse e valutare quali creditori sono destinati a soddisfarsi su tali beni, tenendo conto del fatto che sulle singole masse di beni materiali sono chiamati a concorrere tanto i privilegiati speciali quanto i privilegiati generali, in base al disposto dell’art. 2778, comma 1, c.c. 
12.4. Esaurito il valore dei beni materiali ricompresi nell’azienda, tutti i privilegiati speciali non potranno che essere degradati al rango chirografario. I privilegi speciali incidono, infatti, su specifici beni materiali e, pertanto, esaurito quel valore non resta altro che declassare al chirografo il creditore.
12.5. Siccome però l’azienda non si compone solo di beni materiali, ma anche immateriali (avviamento, crediti e via dicendo) e che nel valore di liquidazione rientra anche l’effetto utile delle azioni recuperatorie, risarcitorie e revocatorie, tali valori, che pure sono della liquidazione, dovranno essere distribuiti, secondo il criterio della priorità assoluta in favore dei privilegiati generali, nel rispetto assoluto delle cause legittime di prelazione, secondo la regola della priorità assoluta.
12.6. Il valore eccedente quello della liquidazione, quale che esso sia, non può consistere, per definizione, in beni su cui insiste un privilegio speciale perché sarà rappresentato dalle risorse ulteriori che il concordato porta rispetto ai beni esistenti già nel patrimonio del debitore e, quindi, tale valore non potrà che essere distribuito, secondo la disciplina della Relative Priority Rule, a favore dei soli privilegiati generali[6].
12.7. La parte incapiente dei privilegiati speciali (perché esauriti i valori materiali dei beni su cui insistono) e la parte incapiente dei privilegiati generali (perché esauriti i valori materiali dei beni su cui concorrono ex art. 2778 c.c., i valori immateriali, nonché il valore dei flussi di cassa loro destinati secondo la regola della RPR), devono essere collocati al chirografo e, come tali, essere soddisfatti.
12.8. Da quanto sopra emerge che per una compiuta descrizione del trattamento riservato al privilegio generale, potrebbe essere necessario descriverlo in più classi: quella dei privilegiati capienti pagati nei termini (e come tali non interessati alla ristrutturazione), quello dei privilegiati capienti, ma pagati oltre il termine di 180 giorni (o 30 in caso di lavoratori), quella dei privilegiati generali soddisfatti con il valore eccedente quello della liquidazione e, per il residuo, quella del chirografo degradato per incapienza.
12.9. Si tratta, a ben guardare di una ripartizione valevole solo per descrivere l’andamento dei flussi verso quel creditore e dimostrare il rispetto della regola della priorità relativa, ma non ai fini del voto. Ai fini del voto, infatti, il creditore privilegiato (generale o speciale che sia) vota solo in due classi: quella del privilegio, nei limiti in cui non sia pagato nel termine di 180 giorni, quale che sia la fonte del suo pagamento (beni materiali, immateriali o eccedenti il valore della liquidazione) e quella del chirografo degradato per incapienza. 
12.10. Ciò chiarito le classi dovrebbero essere così poste in ordine: 1° in via assoluta i lavoratori fino all'integrale soddisfacimento, anche sul valore eccedente quello della liquidazione (art. 84, comma 7) e con possibilità di moratoria solo nel limite di 6 mesi (art. 86); 2°, gli altri creditori di cui all'art. 2751 bis in ordine decrescente; 3° SACE - MCC ex art. 9 comma 5. D.Lgs. n. 123/1998; 4° gli altri privilegiati generali in via decrescente (artt. 2751-2754 c.c.); 4° chirografi, anche se a seguito di degrado del privilegio generale o speciale declassato (2755 e ss) e sempre nel rispetto dell'art. 88, sicché una volta giunti al chirografo, l'Erario non può essere trattato peggio di qualunque altro chirografario.
13. Solo una volta chiarito quale sia l’ordine di classamento, bisogna ricordarsi che alcune classi sono, comunque, obbligatorie in base all'art. 85, quando anche presentassero (ma non lo presentano) interessi economici e giuridici omogenei: erario e previdenza, creditori con garanzie esterne, creditori soddisfatti in forma diversa dal denaro, creditore che presenti una proposta concorrente, creditori privilegiati soddisfatti oltre il termine, imprese minori.
14. Per quanto, poi, possa essere sfuggente la categoria generale degli interessi economici e giuridici omogenei, una volta che il classamento è obbligatorio nel concordato preventivo in continuità, va da sé che le parti collegate al debitore dovrebbero essere poste in una classe a parte in quanto portatrici di interessi "economici" disomogenei rispetto ai restanti creditori pure se "giuridicamente" identici.
15. Estremamente problematico, infine, è il caso del credito di SACE/MCC che non sia stata escussa dalla banca garantita prima del voto dei creditori. Non trattandosi di creditori attuali, in tale ipotesi, non potrebbero essere classati, ma il piano dovrebbe prevedere l'appostazione di un fondo rischi, a copertura almeno di quanto si intende offrire a SACE/MCC in caso di distribuzione orizzontale delle risorse secondo la RPR. 
16. Siccome in tesi, il fondo rischi appostato per SACE/MCC potrebbe non coprire l’intera ipotetica debitoria, questi soggetti dovrebbero potere interloquire sulla proposta, quantomeno come interessati all'omologa e, pertanto, dovrebbe essere loro notificato il decreto di ammissione per consentirgli, se lo ritengono, di svolgere un'opposizione all’omologazione. 
17. Quanto, infine, al controllo sul corretto classamento, questo si ricava argomentando dall'art. 90, comma 7 che in materia di proposte concorrenti prevede un tale controllo da parte del Tribunale che non v’è ragione razionale di escludere nell’ipotesi di domanda proposta dal debitore. Il punto è che si ritiene che il tribunale non possa, invece, sindacare se non, eventualmente, in fase di omologa, la corretta distribuzione dei valori concordatari. Se, infatti, tutte le classi votassero una proposta che preveda il completo stravolgimento di ogni regola di trattamento, il concordato potrebbe essere lo stesso omologato. Per evidenti ragioni di economia processuale, però, considerata la difficoltà che il sistema impone nella formazione delle classi, sembra opportuno comunicare alla debitrice, per chiarimenti, che così come formulate la distribuzione del valore tra le classi non segue i parametri previsti dalla legge ed esiste, quindi, il rischio di non ottenere l'omologa del concordato preventivo, nemmeno ai sensi dell'art. 112, comma 2, nel caso in cui tutte le classi non votassero favorevolmente. Le imprese, verosimilmente, non correranno il rischio di vedersi negare un’omologa per il mancato rispetto dei criteri indicati dall’art. 112, comma 2.

Note:

[1] 
Le classi, infatti, consentono al debitore di offrire un trattamento differenziato ai creditori che, invece, applicando rigidamente la par condicio, avrebbero ragione di pretendere il medesimo trattamento. Le cause di prelazione, invece, sono previste direttamente dalla legge e constano in un numero chiuso. 
[2] 
Ciò che si ottiene attraverso la previsione di cui all’art. 84, comma 4, che stabilisce, nel concordato liquidatorio, la necessità di un apporto ulteriore di risorse rispetto al valore di liquidazione degli assets aziendali.
[3] 
I casi, nella prassi, non sono frequenti, ma non mancano. Si immagini che, ai fini della ristrutturazione, gli amministratori della società (art. 120 bis) prevedano un aumento di capitale in favore di un soggetto terzo precludendo il diritto di opzione riconosciuto altrimenti ai soci. Con i soldi derivanti dall’aumento di capitale, la concordante si propone di pagare percentualmente i propri creditori. I soci originari, che attraverso l’aumento di capitale riservato vedono così diluito il valore della propria partecipazione all’interno della compagine sociale, se hanno questioni da porre, le dovranno porre nel contesto del procedimento di omologa del concordato, una volta che siano stati classati secondo le regole di cui all’art. 120 ter
[4] 
Tale considerazione, peraltro, va sempre calata nel caso concreto. Potrebbe darsi il caso di aziende che, entrando in liquidazione giudiziale, perdano il proprio avviamento. Si dia il caso delle imprese che lavorino con la grande distribuzione. La dichiarazione di liquidazione giudiziale, in tali casi, potrebbe prevedere l’espunzione del prodotto dagli scaffali del supermercato con una perdita secca dell’avviamento dell’impresa. 
[5] 
Nelle prime applicazioni è capitato che, dato un certo valore di stima dell’azienda, la proponente considerasse un valore eccedente quello della liquidazione il delta tra valore di stima e l’offerta da un soggetto reperito sul mercato. Tale prospettazione non può essere seguita: il valore dell’azienda è esattamente quello che incontra la domanda sul mercato e non, certamente, il valore ipotetico attribuito da un perito estimatore. Si ritiene, viceversa, possibile che chi ha effettuato la proposta suddivida il valore offerto tra il valore di stima (che costituisce quindi il valore della liquidazione) e un surplus a titolo di finanza esterna. In tale ipotesi il surplus può essere destinato ai creditori senza nemmeno il rispetto della regola della RPR perché, appunto, finanza esterna. C’è da dire che se però la concessione del surplus sia subordinato all’aggiudicazione dell’azienda (o di un altro qualsiasi bene), allora, la domanda così come formulata risulta inammissibile sia perché, nella sostanza, viene offerto un certo valore per l’azienda, ma si pretende di distribuirlo secondo regole non previste dal Codice; sia perché ciò renderebbe impossibile il corretto funzionamento del meccanismo delle offerte concorrenti che, comunque, non possono sopportare il paradosso per cui, vinta l’eventuale gara da un terzo, la concordante riceva meno di quanto riceverebbe se il terzo non avesse effettuato un acquisto ad un valore superiore. L’unico modo, quindi, per mantenere la distinzione tra valore di stima e surplus è quello di prevedere che il soggetto interessato offri di pagare una certa somma per l’azienda e attribuisca, comunque, la finanza esterna, quale che sia l’esito della gara.
[6] 
Si faccia il caso di un concordato che veda tra i propri creditori un locatore (munito di privilegio n. 16) e l’Erario dello Stato per Tributi diretti (privilegio n. 18). Esaurito il valore di liquidazione dei beni che si trovano nell’immobile locato, il credito del locatore viene degradato al chirografo, mentre l’Erario ancora potrà contare sui valori immateriali dell’azienda ancora parte del valore di liquidazione e, soprattutto, sui flussi di cassa derivanti dalla continuità, sebbene secondo la regola della RPR.

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