Quando, come e perché il debitore scelga di ricorrere alle misure protettive o a quelle cautelari è interrogativo che impegna dottrina e giurisprudenza fin dal debutto del CCII; è un tema che ritorna anche nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c. del giudice brindisino.
Il problema non si avverte cruciale nella composizione negoziata della crisi, perché ivi il catalogo delle misure protettive è circoscritto solo a quelle che l’art. 18 CCII espressamente elenca, sì che qualsiasi ulteriore esigenza di tutela del patrimonio, che il debitore avverta in pendenza delle trattative istituzionalizzate, non può che realizzarsi attraverso il ricorso alle misure cautelari[15].
Nella composizione negoziata, poi, la distinzione tra protezione e cautela emerge nitida rispetto alla disciplina degli effetti cui ciascuna delle due risponde: le misure protettive operano, se richieste, sin dalla pubblicazione dell’accettazione dell’esperto, ferma la necessità di una successiva conferma da parte del giudice; per contro, le misure cautelari esigono un preventivo vaglio di fondatezza da parte del giudice, previo contraddittorio con i soggetti destinatari (come accade nel rito cautelare uniforme del codice processuale, non a caso espressamente richiamato dall’art. 19 CCII).
Il discorso va impostato in termini parzialmente diversi negli strumenti di regolazione della crisi, dove la distinzione tra protettive e cautelari non si gioca sulla contrapposizione “tipicità delle prime versus atipicità delle seconde”, “efficacia immediata delle prime versus efficacia subordinata al vaglio giudiziale nelle seconde”. Negli strumenti, il campionario delle misure protettive, infatti, oltre che contemplare quelle dal contenuto predeterminato dal legislatore, si arricchisce di misure, il cui oggetto va individuato dal debitore, secondo il bisogno di tutela.
Di qui, la distinzione tra misure protettive tipiche e atipiche, per riprendere un’aggettivazione ormai comune nella prassi.
Le prime, di cui si occupa l’art. 54, comma 2, primo e secondo periodo, CCII, corrispondono grosso modo, nel contenuto, agli effetti protettivi che l’art. 168 L. fall. agganciava al deposito della domanda di concordato e di quella di omologa degli accordi di ristrutturazione, e coincidono quasi integralmente con le misure elencate dall’art. 18 CCII, sia pur con qualche vistosa differenza dovuta all’assenza di concorsualità che connota la composizione negoziata. Si tratta del divieto per i creditori di iniziare o proseguire le azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore e sui beni e i diritti attraverso i quali egli esercita l’attività di impresa[16]; della sospensione delle prescrizioni dei loro crediti e dell’impedimento delle decadenze; del divieto per il tribunale di dichiarare aperta la liquidazione giudiziale[17].
Anche negli strumenti, come nella composizione negoziata, il debitore può dichiarare di avvalersi delle protettive fin dal momento dell’accesso, con decorrenza qui pure immediata, come nella composizione negoziata, salva conferma successiva da parte del giudice (art. 55, comma 3, CCII), che interviene assegnandone la durata.
Con l’avvento del CCII, si trascorre dall’“automaticità” della protezione all’“opportunità” di fruirne. Quelli che sotto l’egida della legge fall., in quanto effetti della domanda, funzionavano alla stregua di meccanismi privi di alcun controllo giudiziale anche ex post, nel contesto codicistico, pur nell’identità tendenziale di contenuto, divengono misure, efficaci sin da subito, se il debitore dichiara di volersene avvalere ma, in ogni caso, bisognose di un imprimatur giudiziale.
In ciò, emerge la deviazione del regime degli effetti della protezione tipica, da quello cui rispondono i provvedimenti cautelari nel processo civile: una deviazione, questa, giustificata dallo speciale contesto concorsuale in cui le prime operano. Si avverte l’esigenza di proteggere nell’immediatezza il patrimonio, ancorando gli effetti delle misure alla mera proposizione dell’istanza, poiché anche la (pur breve) attesa di un provvedimento giudiziale potrebbe comportare l’alterazione o la diminuzione della consistenza del patrimonio o del suo valore e così pregiudicare l’effettiva regolazione della crisi, al centro dell’iniziativa del debitore. L’intervento del giudice è richiesto ai soli fini della conferma di quegli effetti, che è condizionata alla fondatezza dell’istanza (l’intento di regolazione della crisi non deve, cioè, mostrarsi inconsistente) e alla necessità di evitare un effettivo pregiudizio.
Delle misure protettive atipiche si occupa, invece, l’art. 54, comma 2, terzo periodo, CCII che, nel testo emendato dal D.Lgs. n. 136/2024, così dispone: “dopo il deposito della proposta, del piano o degli accordi, unitamente alla documentazione prevista dall’art. 39, comma 3, CCII può richiedere al tribunale, con successiva istanza, misure, anche diverse da quelle di cui al primo periodo, per evitare che determinate azioni o condotte di uno o più creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza”.
Le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 136/2024 (nella parte in cui ha subordinato la richiesta di una misura protettiva atipica al deposito di una domanda piena e ha precisato che il contenuto dell’inibitoria può riguardare “azioni o condotte” dei creditori) non incidono sulla funzione assegnata a queste misure, né sul regime di efficacia che da sempre le connota.
Diretti destinatari di questo tipo di misure (erano e) restano solo i creditori, nei cui confronti il debitore può richiedere un ordine inibitorio di fare o non fare, quand’esso si manifesti funzionale ad evitare un pregiudizio alle iniziative assunte per regolare la crisi o l’insolvenza, tramite lo strumento prescelto.
Il D.Lgs. n. 136/2024 è intervenuto per meglio chiarire cosa sia possibile inibire ai creditori, posto che il testo originario dell’art. 54, comma 2, terzo periodo, CCII - nella parte in cui si richiama alle “azioni” dei creditori - era stato oggetto di letture divergenti.
Secondo taluni, il termine “azioni” impiegato dal D.Lgs. n. 83/2022 doveva intendersi in senso generico, quale sinonimo di qualsiasi condotta o iniziativa, soprattutto di natura stragiudiziale, del creditore che fosse in grado di minare la buona riuscita delle trattative e, di conseguenza, l’attuazione successiva dell’accordo o del piano, dopo l’omologa. Stando a questa lettura, che era stata avallata all’indomani dell’entrata in vigore del CCII, le misure protettive atipiche sarebbero servite ad impedire ai creditori l’esercizio di quei poteri, di per sé non inibiti dall’operare delle misure protettive tipiche[18].
Poiché, negli strumenti, il divieto di azioni esecutive e cautelari riguarda tutti i creditori e la legittimazione processuale del debitore nelle azioni di cognizione non viene meno per effetto dell’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi, le misure protettive atipiche potrebbero neutralizzare l’esercizio del loro potere di autotutela negoziale (quando non inibito di per sé da singole disposizioni, v. oltre) oppure implicare la sospensione di un giudizio di risoluzione del contratto, pendente alla data di apertura di uno strumento, per evitare gli effetti irreversibili di una sentenza costitutiva, quando quel contratto risultasse essenziale al fine di dare attuazione al piano[19].
Sembra ammissibile, in astratto, che le protettive atipiche giovino ad impedire ai creditori l’aggressione del patrimonio dei garanti (di per sé esterno e non protetto dal divieto di azioni esecutive e cautelari)[20]. Non va, peraltro, trascurata l’imprescindibilità di un bilanciamento di fatto: da un lato, milita l’interesse del debitore a tenere fermo provvisoriamente il cordone delle garanzie che sussidiano l’attività d’impresa e ne permettono la prosecuzione; dall’altro lato, si staglia l’aspettativa condivisa fra i creditori a non subire, in costanza di misura, lo svuotamento della garanzia ad appannaggio di altri. Una criticità endemica si scorge nel rischio che – inertizzati i creditori dell’impresa in crisi, in forza della protezione – il garante subisca le azioni coattive dei propri creditori oppure compia operazioni di straordinaria amministrazione suscettibili ridurre sensibilmente l’entità del proprio patrimonio. Pare indispensabile, pertanto, una valutazione composita del periculum in mora, che si soffermi – oltre che sugli aspetti consueti – anche sul grado attuale di salute finanziaria del garante, indugi sulle implicazioni connesse ai profili di collegamento formale, contiguità sostanziale o cointeressenza in genere fra garante e debitore, scruti l’adempimento del dovere di buona fede e la trasparenza e correttezza delle sue recenti condotte (posto che l’art. 4 CCII, in punto di doveri, è riferibile anche ad esso quale soggetto interessato alla regolazione della crisi del debitore), monitori le dinamiche che contraddistinguono la programmazione economica del garante nel breve-medio-periodo. Un blocco dell’escussione della garanzia è concretamente concedibile solo in quanto sia pronosticabile una stabilità del patrimonio di quest'ultimo [21].
La menzione onnicomprensiva di azioni e condotte serve, ora, a sterilizzare qualunque iniziativa del creditore, non solo esecutiva in senso proprio, ma anche indirettamente tale, perché comunque in grado di ricadere sulla consistenza del patrimonio e dell’impresa del debitore.
Invero, prima del D.Lgs. n. 136/2024, v’era stato anche chi aveva assegnato un significato diverso alle misure protettive atipiche: parte della giurisprudenza ha ritenuto che esse fossero funzionali ad estendere il divieto di azioni esecutive e cautelari a creditori, in origine non interessati dallo stay, come del resto accade nella composizione negoziata della crisi[22].
Si tratta di una ricostruzione che non merita accoglimento, perché è proprio l’assenza di concorsualità che, nel percorso ex art. 12 ss. CCII, legittima una selettività soggettiva dello stay esecutivo e cautelare[23]. In questo senso, nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi, le misure protettive atipiche non possono sovrapporsi, nei contenuti, alle misure protettive tipiche. Comune ad entrambe sono solo i destinatari, che coincidono con i creditori, e il contenuto inibitorio, che nelle prime copre, in via residuale, ciò che non è oggetto delle seconde. È quanto accade, ad esempio, quando si renda necessario impedire ai creditori l’esercizio del loro potere di autotutela negoziale ove (come accade nel concordato liquidatorio o in quello semplificato[24]) quel potere non sia inibito dalla mera proposizione di una domanda di accesso allo strumento[25]. Il riferimento è qui a quegli effetti previsti dall’art. 94 bis (richiamati anche in tema di accordo di ristrutturazione e di piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione)[26]. Ancora: poiché la legittimazione processuale del debitore nelle azioni di cognizione non viene meno per effetto dell’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi, una misura protettiva ad hoc potrebbe invocarsi per ottenere la sospensione di un giudizio di risoluzione del contratto, pendente alla data di apertura di uno strumento, qualora si tratti di impedire gli effetti irreversibili di quella sentenza costitutiva, se il contratto che controparte vorrebbe risolvere risulti essenziale al fine di dare attuazione al piano[27]. In definitiva, l’atipicità della misura permette al debitore di salvaguardare il proprio patrimonio da qualsiasi aggressione dei creditori potenzialmente esiziale per una fattiva regolazione della crisi, e che non possa essere respinta in altro modo.
Quel che distingue la protezione atipica da quella tipica sono la selettività soggettiva, ammissibile solo nella prima, e la disciplina degli effetti.
Per un verso, l’art. 54, comma 2, terzo periodo CCII si riferisce espressamente ad azioni o condotte di “determinati creditori”; per altro verso, l’art. 55, comma 2, CCII subordina gli effetti di quelle misure ad un vaglio giudiziale di fondatezza dell’istanza, previa instaurazione del contraddittorio con i soggetti interessati.
Si è già rammentato che, diversamente dalle protettive atipiche, che hanno come destinatari solo i creditori, le misure cautelari possono dirigersi nei confronti di chiunque, purché strumentali alla buona riuscita delle iniziative assunte per regolare la crisi. La formulazione, volutamente ampia e generica dell’art. 54, comma 1, CCII, si spiega con l’obiettivo del legislatore di garantire (se fondato) qualsiasi bisogno di tutela provvisoria del debitore, nel rispetto del principio di effettività della tutela giurisdizionale, riconosciuto dalla stessa Costituzione[28].
Questa circostanza, unita al fatto che le misure protettive atipiche e quelle cautelari rispondono al medesimo regime, sembra rendere nominalistica la distinzione tra le due tipologie, al punto che il giudice, senza violare il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, potrebbe accogliere una misura (qualificata dal debitore come protettiva atipica) concedendo un provvedimento cautelare[29]. Quel che importa, nell’uno e nell’altro caso, è soltanto la dimostrazione della fondatezza dell’istanza e del pregiudizio che la misura intende evitare. Probabilmente il tentativo di accrescere al massimo grado, rispetto all’archetipo protettivo collaudato dell’art. 168 L. fall., quantità e qualità della copertura offerta all’impresa risanabile, ha per certi versi prodotto una superfetazione normativa.
L’ancoraggio al deposito di una proposta, di un piano o di un accordo è una scelta legislativa prudenziale, che vale a collegare la protezione atipica ad un grado di maturazione piena, quindi di maggiore affidabilità, della soluzione adottata: il vaglio giudiziale del fumus e del periculum in mora sarà, in questi casi, meno impegnativo proprio perché supportato dal deposito di tutta la documentazione (v. infra 3), ma ciò non esclude che analoga misura, richiesta nella forme della tutela cautelare, possa considerarsi ammissibile quando l’esigenza di ottenere una protezione del patrimonio, nei confronti di iniziative dei creditori non tipizzate dalla legge, si accompagni ad una domanda di accesso con riserva.
La sovrapponibilità ontologica fra cautela e protezione atipica e l’identità di regime che le connota sono tali da rendere arduo anche – in thesi – immaginare un contenuto della seconda che non sia conseguibile nel perimetro della prima.
Identico, del resto, è il limite che le accomuna, poiché il provvedimento provvisorio richiesto non può mai garantire al debitore un risultato che nemmeno attraverso un giudizio di merito sarebbe conseguibile: in questo senso, quale che sia la controparte destinataria della misura, non sarebbe ammissibile una condanna ad un facere consistente nell’espressione di una determinata volontà contrattuale, necessaria – esemplificativamente – ai fini di ripristinare un contratto già risolto, o di rinegoziare le condizioni di un rapporto negoziale ancora pendente, ovvero di concludere addirittura un nuovo negozio[30].
Per questo complesso di ragioni, se si volesse individuare, nel contesto degli strumenti, un criterio che, da un punto di vista applicativo, permetta di distinguere tra loro tra le varie forme di tutela provvisoria a disposizione del debitore, si potrebbe concludere in questi termini: o la misura ha un contenuto stabilito dal legislatore, e allora gode di un’efficacia immediata, salva conferma successiva da parte del giudice (art. 55, comma 3, CCII); oppure il petitum della domanda è ritagliato dal debitore, in base al proprio bisogno di tutela, e allora sarà il giudice, nel contraddittorio con i soggetti interessati, a doverne vagliare la fondatezza, secondo il procedimento previsto dall’art. 55, comma 2, CCII.